Associazione di Ricerca Culturale e Artistica
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Rivista mensile a diffusione nazionale - anno V - num. 8 - Agosto 2009
La fortezza di Rocchetta
Specia
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Cromie
Baustelle
Specia
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Cromie
Le opere di Barbara Paoletti, a prima vista, possono riportare alla mente alcuni lavori della pittura astratta italiana degli anni cinquanta e sessanta, dove tracce di sensazioni ed emozioni si materializzano entro uno spazio liquido. E, sicuramente, l’arte di quest’artista ha mosso i suoi fondamentali passi proprio nell’universo del realismo astratto; ma subito ha cercato di svincolarsi da codiiche stilistiche, realizzando un proprio personale linguaggio. Ferrarese di nascita, ma udinese di adozione, dove lavora come architetto, Barbara Paoletti esprime nelle sue opere una poetica che abbandona il puro astrattismo per diventare altro: le tele traducono, come dice l’artista, “le emozioni e i ricordi” di una vita, che vengono sussurrati allo spettatore, invitato a leggere le opere come le pagine di un diario, dove alle parole si sostituiscono forme evocative che raccontano un’esistenza. Questo avviene attraverso le tracce che nelle opere l’artista lascia di sé: una piccola piuma, segno di un ricordo fuggito via; una targhetta con il proprio nome, Barbara, quasi a testimoniare un complesso autoritratto da individuare in un labirintico groviglio di linee, dove il ricordo gioca un ruolo fondamentale. L’artista parla con un linguaggio non facile in apparenza: non vi sono rassicuranti elementi igurativi ma simboli che, però, diventano familiari, man mano che le opere scorrono innanzi ai nostri occhi. Frammenti di vetro trasportati sulla tela evocano antichi dolori, sprazzi di colore gioie intense: tutto galleggia in un’atmosfera sospesa, “metaisica”, come lo è Ferrara, la città tanto amata, e uno dei suoi più illustri cittadini, Giorgio De Chirico. Ogni piccolo quadrato, ogni linea, ogni ghirigoro (i segni che si ripetono con più frequenza) raccontano un ricordo, una sensazione, diventano una lettera di un alfabeto da codiicare e fare proprio. È un linguaggio volutamente criptico e geometrico (una “spia” dell’universo architettonico cui l’artista appartiene) dove domina un forte rigore, determinato anche da una cromia severa di neri, grigi e bianchi (unici colori ammessi, i blu e i rossi) da cui sfuggono solo quelle tracce fugaci di cui si parlava prima, che fuoriescono dalla tela e da quel complicato groviglio. Ed è proprio questo “venir fuori” che nelle ultime opere diventa sempre più pregnante e necessario: la materia pittorica si fa solida, concreta, e si libera all’interno di uno spazio tridimensionale costretto dalla cornice del vetro, all’interno della quale i colori, divenuti oggetti, si muovono in una dimensione onirica. Fili di ferro intrecciano cerchi,
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Il linguaggio cifrato di Barbara Paoletti di Fiorella Fiore
frantumi di vetro tracciano linee, frammenti di carta creano turbinii intorno ad oggetti plastici, solidi nella loro geometrica struttura, ricordo di linee antiche e rigorose disegnate su tela. Ciò che prima viveva nella dimensione bidimensionale della tela ora luttua all’interno dello spazio intrappolato dal vetro, che delimita la supericie dell’opera e nello stesso tempo
rende visibile, e quasi tangibile, allo spettatore che guarda, quei colori usati nelle tele, ora trasformati in scultoree realtà. Queste opere sono “scatole magiche” che invitano lo spettatore ad interagire con quel mondo che rivela, a chi lo vuol leggere, la bellezza di un universo ricco di emozioni e sentimento.
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