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CARTOLINA DA GINEVRA, ECCO COME È CAMBIATA L’INDUSTRIA DELL’AUTO
CARTOLINA DA GINEVRA, ECCO COME È CAMBIATA L’INDUSTRIA DELL’AUTO
La cartolina dal salone di Ginevra riporta un’industria dell’auto tesa, contrariata. Non c’è aria di crisi, eppure manca l’entusiasmo. Parli con i capi delle case e senti più o meno il medesimo mantra: stanno facendo una corsa verso un cambio di tecnologia che non condividono e che il mercato non comprerà. Eppure corrono, inseguiti da un legislatore che gli sposta ogni tanto il traguardo delle emissioni di CO2 più avanti, indifferente alla fattibilità industriale, che è indietro con le infrastrutture e che mostra un cartello dove su un lato c’è scritto “NO CO2” e sull’altro “NO DIESEL”, ignaro dell’incoerenza. Il cambio è quello ormai noto dell’elettrificazione, nelle forme del “full electric” (solo motore a batterie) e dell’ibrido (motore termico più batterie) in misura più o meno capace, a seconda che ci sia o meno la spina. Sulla prima soluzione hanno già scritto il de profundis, nel modo politically correct di oggi: non si dice NO, ma si sposta in avanti il tempo, nella quasi certezza che, trattandosi pur sempre di un galantuomo, sarà lui a togliere le castagne dal fuoco. Sulla seconda le considerazioni che ascolti sono più articolate. Nessuno è contrario, ovviamente, visto che coniuga una sensibilità ambientale con le abitudini di uso dell’auto, tuttavia… Non è una soluzione per le percorrenze medio-alte, perché i consumi aumentano e con essi le emissioni. Quindi i grandi clienti, che oggi pesano un terzo delle vendite, non le compreranno. Gli altri possono seguire questa transizione, ma con i loro tempi. Inutile fare fughe in avanti, per trovarsi da soli in un luogo dove mancano i clienti, che per adesso stanno sostituendo le utilitarie diesel con quelle a benzina, facendo aumentare la CO2. Inoltre, quando
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dovesse venir fuori che molti di questi motori camminano poco a batteria e molto col termico, rischierebbero di trovarsi di nuovo sotto attacco, accusati di aver aggirato i limiti imposti sulle emissioni – centraline 2, il remake? Purtroppo, questa riconversione industriale sta drenando miliardi di investimento e questo i manager proprio non riescono a mandarlo giù. Sia perché comprendono che chi ha più risorse e investe di più e prima si troverà più esposto. Sia soprattutto perché sono cresciuti con la cultura del mercato, per cui si produce ciò che si vende. Adesso invece la linea è di vendere ciò che si decide di produrre, per non incorrere in sanzioni e multe. E se i clienti non compreranno? Pazienza, gli viene risposto. Ora, si potrebbe obiettare, con ragione, che sia un bene che il regolatore, avendo a cuore interessi sociali, ponga limiti al mercato e all’industria. Se tali limiti perseguono il bene pubblico nei fatti, non solo nelle intenzioni. Gli addetti ai lavori sanno però che non è così. Inquinamento e riscaldamento, nella misura in cui sono attribuibili alle macchine (ed è una misura minima), riguardano quelle obsolete, non le nuove. Di conseguenza, il ricambio andrebbe favorito, non osteggiato, soprattutto agevolando l’acquisto di usato recente a fronte di rottamazione.
Ultimo, ma non meno importante, vedono sullo sfondo un’equazione geo-politica che non torna. Riconoscono che la via elettrica è una scelta cinese, e va bene: c’è un interesse legittimo. Ma non capiscono perché l’Europa (e segnatamente la Germania) segua la stessa rotta, andando incontro a una perdita di supremazia tecnologica e a una dipendenza sulle materie prime e sui componenti. Non lo capiscono i manager europei e ancor di meno quelli che ci guardano da fuori, da occidente come da oriente, e si sorprendono. Ma in fondo, la vecchia Europa è stata sempre un mistero per gli altri popoli. In conclusione, senza addentrarsi troppo nelle questioni tecniche
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e oggettive, l’impressione è che per la prima volta nella sua storia l’industria automobilistica si trovi a dover fare i conti con un regolatore ostile. Finora, l’interesse delle case e quello dei Paesi avevano sempre coinciso: investimenti, occupazione, ricchezza, evoluzione del prodotto e dei processi produttivi. Ora quella sintonia è svanita e l’industria si sente come un giovane di buona famiglia, educato e ben formato, che improvvisamente deve vedersela per la strada. Non menare le mani, ma almeno alzare la voce?
Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore, il 7 marzo 2019
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