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SULL’INTESA NEO DISTRIBUZIONE: PESA IL CASO CONCESSIONARI

SULL’INTESA NEO DISTRIBUZIONE: PESA IL CASO CONCESSIONARI

L’altra faccia della fusione.

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Nella fusione FCA/PSA, dopo gli impianti e gli staff amministrativi, arriverà il momento di ottimizzare le reti di distribuzione, che troppe volte passano sotto silenzio. Lo scenario nel nostro Paese presenta caratteristiche interessanti. Innanzitutto, gran parte del business ruota attorno ai brand generalisti, Fiat e Lancia da un lato e Peugeot, Citroen e Opel dall’altro. Sono tutti mandati che non hanno fatto sorridere i concessionari, negli ultimi anni, stando all’indagine sulla soddisfazione condotta da Quintegia. Nessuno di essi figura tra i Top 20 negli ultimi tre anni. Una ragione di fondo può essere che tutti i marchi di volume abbiano sopportato la pressione maggiore da parte dei costruttori. Sono stati gli anni dei chilometri zero e dello stock eccessivo di auto presso le reti, le cui finanze hanno accusato il colpo. Secondo l’analisi dei bilanci condotta da Dekra, tra il 2014 e il 2018 (ultimo dato disponibile) le rimanenze sono più che raddoppiate (+109%) così come i debiti entro i 12 mesi verso fornitori (le case, +105%). Questioni di famiglia, si dirà. Forse, ma sta il fatto che anche i debiti a breve verso le banche sono cresciuti della metà (+56%). Inoltre, i due gruppi hanno perseguito negli anni due strategie diverse, sulla distribuzione. PSA ha cercato, con delle eccezioni, di tenere i mandati Peugeot e Citroen separati, affidandoli a imprenditori diversi, ancorché pluri-mandatari. All’opposto, FCA ha puntato alle sinergie tra i brand, anche se i marchi premium Alfa Romeo e Jeep in molti casi hanno seguito una strada diversa.

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Quando tra un paio di anni la fusione scenderà a livello strada, nei negozi, troverà questa realtà da gestire. L’altra considerazione è che nel frattempo l’evoluzione che sta interessando la vendita di automobili avrà compiuto altri passi, verso la concentrazione e la digitalizzazione. Chi disegnerà la rete o le reti che porteranno le auto di FCA/PSA ai clienti guarderà non allo status quo ma al futuro. Il rapporto col cliente si sposterà sempre più sul web, anche per l’acquisto o il noleggio, senza che ciò arrivi a marginalizzare il salone: semplicemente, dovrà ripensare la sua missione e quel che ne consegue, in termini di strutture e competenze. In parallelo, la distribuzione dovrà funzionare con costi inferiori, perché minori saranno i margini che la vendita gli lascerà. Già adesso un concessionario con oltre 200 milioni di giro d’affari produce in media un risultato della gestione corrente del 16,6%, laddove gli altri stanno sotto il 9%, grazie a un peso della struttura (gestione, personale e ammortamenti) pari all’81,4% dei margini che restano dalla vendita, a fronte degli altri dealer che viaggiano sopra il 90%. Il corollario si chiama concentrazione.

Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore, il 19 dicembre 2019

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CHI DEVE TEMERE GLI OPERAI NEL CDA

Fiat-Peugeot ok alla fusione. La svolta: operai nel CDA.

Troppo entusiasmo, di sindacati e loro sostenitori, per la presenza nel CDA del nuovo gruppo FCA/PSA di due esponenti dei lavoratori, uno per gli italoamericani FCA e uno per i franco-tedeschi PSA. Il massimo organo di governo del quarto gruppo automobilistico mondiale, che opera in cinque continenti, affronta scelte difficili, in conflitto con la natura del sindacato.

L’evoluzione dell’industria comporta ogni tanto delle ristrutturazioni di organico, frutto di congiunture negative, di scelte sbagliate (perché gli uomini sbagliano), di nuove tecnologie o di modi diversi di fare le cose, ad esempio ricorrendo all’outsourcing, che sposta posti di lavoro. Di fronte a ognuna di queste, il CDA sceglierà sempre la sopravvivenza, che in soldoni significa sacrificare qualcuno per salvare tutti gli altri. In tali circostanze, l’obiettivo dovrebbe essere quello di tutelare non il posto di lavoro ma il lavoratore, riqualificandolo e aiutandolo a rientrare nel sistema produttivo da un’altra parte. Insomma, l’esatto opposto di quanto il sindacato sta facendo da anni con Alitalia. Con la piccola differenza che Alitalia non muore perché la sostengono i contribuenti. Quei due in CDA potrebbero sentire a quel punto un retrogusto amarognolo, coma da polpetta avvelenata. L’altro lato ruvido è quello internazionale. Prima o poi quel CDA troverà sul tavolo una decisione difficile, che metterà in contrasto i lavoratori di un impianto italiano con quelli di uno francese, tedesco o americano, con buona pace per quelli serbi, turchi o

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