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FCA-PSA, ECONOMIE DI SCALA E USA I PILASTRI COLLETTI BLU AL SICURO, PER ORA

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TRIBUTI

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FCA-PSA, ECONOMIE DI SCALA E USA I PILASTRI. COLLETTI BLU AL SICURO, PER ORA

La fusione FCA/PSA è il miglior approdo per entrambi i gruppi, in un’ottica di lungo e di breve termine.

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La dimensione di circa 9 milioni di veicoli prodotti all’anno dà la scala adeguata a reggere gli investimenti, soprattutto sull’automazione e sulla connettività.

Oltre a questo, l’altro pilastro forte del merge è quello geografico. PSA è molto ben posizionata in Europa, con oltre il 16% di quota. In Sud America FCA, con Fiat e Jeep, è decisamente messa bene, ma anche PSA non scherza. La Cina è un altro discorso, lì il lavoro è tutto da fare, ma probabilmente hanno più chance i brand di lusso, Jeep, Maserati e Alfa Romeo, che non quelli generalisti, che devono vedersela con i marchi locali, i quali già adesso coprono metà della domanda. Nell’azionariato di PSA c’è la cinese Dongfeng, che rimane ma tenendosi le mani libere. Da qui la vediamo come sponda per il mercato cinese, ma da lì è probabile che vedano la cosa all’opposto, come una sponda europea per le produzioni cinesi, che magari potrebbe anche essere una carta in più, nel segmento low cost. Quelle vetture presto o tardi sbarcheranno a Trieste e allora sarà meglio averle in casa che fuori la porta a bussare alle concessionarie. Poi c’è il Nord America, il vero asset di FCA e capolavoro del compianto Marchionne. Invece nell’immediato, l’incastro combacia bene su due piani. Quello industriale e dei prodotti e quello finanziario. Sul primo, FCA ha una capacità produttiva di primissima qualità ma sottoutilizzata. Il che, se nel lungo termine una questione oggettivamente la pone, nel breve non dispiace ai francesi che su alcune produzioni vorrebbero essere più fluidi e veloci. Sarà per questo che il comuni-

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cato congiunto sottolinea, in più di un passaggio, che non ci sono all’orizzonte chiusure di impianti in Italia. Sui prodotti, non è un mistero che i due futuri partner stanno vivendo gli effetti di due strategie opposte perseguite negli anni scorsi. PSA ha puntato al rinnovo della gamma, che oggi è in grande spolvero e le cui piattaforme tornano utili a FCA per accelerare l’approdo sul mercato di nuovi modelli, che servono come il pane. Di contro, il gruppo italo-americano ha fatto ogni sforzo per azzerare il debito e ampliare la sua capacità finanziaria, anche in vista di un matrimonio. Che è appunto il secondo piano di incastro: il polmone di liquidità, essenziale per affrontare gli investimenti necessari ad aprire nuovi mercati e finanziare l’innovazione di prodotto. Oltre a questi vantaggi nello sviluppo e nel time-to-market, il matrimonio porta con sé importanti sinergie, individuate nell’area dell’innovazione e degli acquisti: di nuovo, non sembrano in discussione i colletti blu. Si prevedono efficienze del valore di 3,7 miliardi di euro all’anno, da raggiungere verso la metà del prossimo decennio, con un costo one-time di queste sinergie stimato in 2,8 miliardi.

Però, nel prossimo futuro di FCA e di PSA, come degli altri costruttori, ci sono le multe che l’UE dovrebbe infliggere per lo sforamento dei limiti alle emissioni di CO2. I due gruppi sono su livelli piuttosto simili e anche piuttosto alti: secondo una recente analisi di Alix Partners, società di consulenza del settore, potrebbero scattare sanzioni tra 0,5 e 0,7 miliardi di euro per ciascuno dei due gruppi, anche se per FCA ci sono da mettere in conto le quote acquistate da Tesla. Tanti soldi, ma sempre pochi rispetto a quanto stanno investendo gli altri, senza alcuna garanzia di ritorno. Qualcuno dirà, ed è vero, che PSA è più avanti nell’offerta di modelli elettrificati. Ma si tratta appunto di offerta, laddove le multe si misurano sulla domanda, ossia sulle auto acquistate dai clienti, che al momento non ne vogliono tanto sapere. Ad ogni modo, la faccenda è discutibile da molti punti di vista e resta da vedere se veramente la Commissio-

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ne vorrà penalizzare, sull’altare dell’opinione pubblica, un’industria che occupa 3,5 milioni di addetti. In questa partita, che è tutta politica, essere il secondo gruppo europeo e rappresentare due Paesi chiave, Francia e Italia, qualche vantaggio potrebbe portarlo. Detto degli orizzonti positivi e dei vantaggi, guardiamo alla preoccupazione che sempre accompagna queste operazioni: i livelli occupazionali. Nell’immediato non ci dovrebbero essere contraccolpi, sia per gli impegni dichiarati e sia perché qualche linea di produzione potrebbe addirittura tornare utile. Però nel lungo termine nessuno può dire, con apprezzabile sicurezza, quanti stabilimenti italiani potranno ancora girare. Ma la questione deve essere ben posta. Così com’è oggi, FCA non avrebbe possibilità di competere da sola. Solo unendosi a un altro gruppo mondiale può avere buone chance di proseguire con i suoi brand e i suoi impianti. PSA è di gran lunga il miglior partner, perché condivide la stessa cultura europea di attenzione alle ricadute sociali e la presenza forte di una famiglia nell’azionariato. Chi ha a cuore le sorti dei lavoratori, deve sapere che senza una fusione come questa si potrebbe rischiare tra qualche anno un take-over, quasi certamente orientale, oppure uno spezzatino. Detto questo, a una tale preoccupazione le istituzioni possono e devono dare una risposta. Che non è quella di prestare soccorso, nelle forme più fantasiose, bensì di rendere le produzioni in suolo italico competitive. Finora, bisogna ammettere che FCA ha fatto la sua parte, rilanciando un sito, Pomigliano, dichiarato da molti irrecuperabile e trasformandolo in un esempio di world class manufacturing, studiato e ammirato dagli altri costruttori, e replicando poi a Melfi e Cassino. Certo, se poi quel lavoro continua a essere gravato da un prelievo fiscale eccessivo, diventa tutto più difficile.

Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore, l’8 novembre 2019

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