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AUTO AZIENDALI, IL FALSO MITO GREEN DEL PARCO IBRIDO ED ELETTRICO

AUTO AZIENDALI, IL FALSO MITO GREEN DEL PARCO IBRIDO ED ELETTRICO

Un’auto diesel emette allo scarico 28 volte meno polveri sottili di una vettura degli anni ‘90.

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Nel primo semestre i noleggiatori a lungo termine hanno ridotto gli acquisti di auto diesel dal 75 al 66%, spostandosi sul benzina, passato dal 17 al 25%. Una decisione più emotiva che razionale, visto che le imprese hanno preso da tempo come riferimento il controllo delle emissioni di CO2 (un gas serra e non un inquinante) e che il motore diesel ne produce meno di quello a benzina. Le macchine elettrificate, o ibride, erano e sono al 5%, stabili, poiché finora i fleet manager sono stati prudenti, frenati dalla confusione sulle diverse tecnologie di ibrido. A una propulsione termica di base, tutte affiancano un motore elettrico, ma con una diversa autonomia. Ora, mentre tutte assolvono più o meno al problema di accedere al centro delle città, quelle con un range limitato poi ricorrono troppo al motore termico e i consumi schizzano. I costruttori però stanno presentando molti modelli ibridi plug-in, che associano un’autonomia più elevata a un propulsore di ultima generazione, parco nei consumi quasi quanto l’attuale diesel. Ci sono anche modelli ibridi plug-in diesel, offerti su vetture premium e alto-di-gamma, essendo una tecnologia top ma anche costosa. Dunque, c’è da aspettarsi una crescita di tali macchine nelle flotte, quando si sarà posata la polvere sollevata dal cambio della fiscalità, che al momento ha avuto l’effetto di sospendere gli ordini. Oltre le emissioni di gas serra, c’è la qualità dell’aria. Diciamo subito che se tutte le macchine fossero in noleggio a lungo termine (NLT) o comunque gestite da società, il problema dell’in-

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quinamento in Val Padana e in molti centri urbani sarebbe già risolto, perché la rotazione con cui sostituiscono le vetture produce l’effetto di avere a disposizione sempre i modelli di ultima generazione. Questi, godendo delle tecnologie più avanzate e rispondendo alle normative attuali molto stringenti, l’Euro 6d, hanno un impatto ambientale decisamente sostenibile. In Italia sono registrate 39 milioni di macchine, la cui età media è superiore agli undici anni, poiché convivono alcuni milioni di vetture recenti insieme ad altrettanti milioni di auto di venti e più anni. Ora, in questo secolo la normativa sulle emissioni è diventata molto stretta, alzando costantemente l’asticella alla tecnologia, che è riuscita a fare passi avanti notevolissimi. Ad esempio, un’auto diesel di oggi emette allo scarico 28 volte meno polveri sottili (PM) di una degli anni ‘90, mentre sugli ossidi di azoto (NOx) siamo a 12 volte meno. Si tratta dei due estremi, per dare l’idea di cosa abbia significato l’evoluzione tecnologica. Guardando al quadro complessivo, ci sono differenze marcate tra il parco circolante italiano e quello dei noleggiatori, che può essere rappresentativo delle flotte aziendali, visto che rispondono alla stessa logica di ruotarle al massimo ogni quattro anni.

Secondo un’analisi del Centro Studi Fleet&Mobility, il parco circolante italiano emette ossidi di azoto (NOx) in ragione di 0,12 gr/km nel caso di vetture alimentate a benzina e 0,30 g/ km per il diesel. Il noleggio si posiziona su valori inferiori della metà, per il benzina, e del 73% in meno per il diesel. Sulle polveri (PM), le emissioni medie sono di 0,032 gr/km, laddove le flotte sono a 0,005 gr/km, ossia l’84% in meno. Sia chiaro che parliamo esclusivamente delle polveri allo scarico, che restano una parte piccolissima di quelle prodotte dalla circolazione. Secondo rilevazioni scientifiche (tra cui Timmers & Achten) circa il 60% del particolato prodotto dalla circolazione automobilistica deriva dal sollevamento della polvere dal suolo, tanto che

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basterebbe lavare le strade per eliminarlo, mentre un ulteriore 35% viene dall’usura di freni, gomme e asfalto. Come detto, il merito di questo bassissimo impatto è ascrivibile solo alla rotazione delle auto, non a sensibilità ambientali.

Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore, il 17 dicembre 2019

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