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AUTO, LE MULTE SULLE EMISSIONI DI CO2 INDEBOLISCONO L’INDUSTRIA EUROPEA
AUTO, LE MULTE SULLE EMISSIONI DI CO2 INDEBOLISCONO L’INDUSTRIA EUROPEA
Una ricerca Standard & Poor’s evidenzia un crollo dei margini dell’industria automotive del vecchio continente a causa dei costi per rispettare le normative per la riduzione dell’anidrite carbonica.
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La strada intrapresa dall’UE di multare i costruttori di auto (OEM) per le vendite eccedenti la soglia di 95 gr/km di CO2 sta iniziando a dare i suoi frutti. E sono avvelenati. Standard & Poor’s (S&P) ha appena completato un’analisi che mette in relazione stretta i profitti dell’industria con gli investimenti e i costi legati alla produzione e alla distribuzione di vetture a propulsione totalmente o prevalentemente elettrica. Non si tratta di un’indicazione di rating, tuttavia il messaggio arriva forte e chiaro, anche alla luce del fatto che tali investimenti potrebbero non essere ripagati dalle vendite, visto che la domanda di auto elettriche è decisamente marginale e difficilmente nei prossimi mesi aumenterà di quanto basta. Su questo, occorre parlare di grandezze. Quante auto elettriche servono per evitare le multe? E di che tipo di auto elettriche si tratta? L’industria si guarda bene dal fornire indicazioni a riguardo, ma uno studio di Alix Partners (una società di analisi del settore) qualche cifra la dà. Mediamente, una quota di auto solo elettriche (BEV) pari al 4% delle vendite totali consentirebbe una riduzione delle emissioni medie di 5 grammi, verso la soglia dei 95 gr. Nel 2018, le auto nuove acquistate dagli europei stavano appena sopra i 120 gr/km, livello al quale sarebbe necessario, per evitare le multe, un 20% di auto elettriche (BEV, senza altro propulsore). Il condizionale è d’obbligo.
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Innanzitutto, perché il livello sta salendo, non scendendo, dato che da un paio d’anni i consumatori europei acquistano meno motori diesel (che emettono meno CO2) di prima. È la conseguenza della guerra mossa da alcune amministrazioni, locali ma con una grande eco, al motore diesel, accusato di essere altamente inquinante. Guerra che l’industria ha scelto di perdere senza combattere, nonostante la scienza abbia certificato che i nuovi motori diesel sono ormai marginalmente inquinanti e che dunque sarebbe opportuno spingerli, in sostituzione di quelli vecchi, non bloccarli provocando un dannoso “effetto Cuba”. A ciò si aggiunga, tornando al condizionale e alle elettriche BEV, che attualmente la loro quota nell’UE è intorno a mezzo punto percentuale e sembra difficile che possano guadagnarne 19 nel giro di un paio d’anni. Ovviamente, non tutti i costruttori si trovano nella medesima posizione. Intanto, più utilitarie un gruppo vende e più il suo livello delle emissioni è basso. Di contro, i clienti delle auto premium sembrano meglio disposti verso le batterie. Inoltre, il peso delle multe, per ogni grammo di CO2 eccedente, non sarà uguale per tutti, in valore assoluto: da poche decine fino a alcune centinaia di milioni, a seconda dei volumi. L’impatto sull’EBITDA, che è ciò che conta, sta intorno a un punto percentuale (per singolo grammo) per quasi tutti i gruppi, ma con punte fino al 3/3,5% per i francesi, secondo tale analisi. Di conseguenza, variano le strategie con cui ognuno va incontro al traguardo dei 95 grammi. C’è chi ha investito da anni nello sviluppo e nell’offerta di modelli elettrici, ma questo ad oggi non sembra essersi rivelato un vantaggio. C’è chi sta investendo molto proprio in questi anni e chi invece è stato prudente, proprio per i costi legati alla produzione di questi veicoli e al rischio, piuttosto concreto, che i clienti possano non comprarli. È il caso di FCA che, scettica verso l’esistenza di una domanda di auto elettriche, ha preferito negli anni perseguire l’azzeramento del debito, cosa
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che avrà il suo peso, allorché i rating del settore dovessero entrare in sofferenza. La soluzione annunciata, di raggruppare le emissioni con Tesla, va nella direzione di operare sui costi e non sugli investimenti, anche per stare al riparo da un ulteriore rischio, quello sui valori residui, legati alle innovazioni che nei prossimi anni interverranno nella tecnologia delle batterie. È vero, elettrificazione non significa solo motore elettrico. Ci sono le cosiddette ibride, con emissioni di CO2 che vanno da 20 a 65 grammi/km. Queste vetture sono ovviamente sotto il limite del 95 grammi e dunque vanno bene per sé, ma il loro contributo alla causa è marginale. Insomma, l’industria è stata messa all’angolo da una politica miope e autolesionista. A parte gli ingenti investimenti in corso, più auto elettriche si venderanno e meno margini ci saranno nei bilanci, dato che il costo di produzione è maggiore dei modelli a motore termico. Se ne dovessero vendere poche, i margini salirebbero ma poi verrebbero assorbiti dalle multe. Un dilemma perfetto, non c’è che dire. Alla fine, l’aspettativa di S&P è di una diminuzione degli utili dei costruttori, che favorirà le scelte di consolidamento, per assorbire gli investimenti su volumi maggiori attraverso economie di scala. Il problema è che il mercato delle acquisizioni e fusioni non sarà chiuso, come qualcuno forse immagina, bensì aperto. Nel caso, potrebbero sedersi al tavolo capitali industriali cinesi, che non chiedono di meglio che mettere le mani su brand e tecnologie automobilistiche europee, come già hanno iniziato a fare con Volvo, Daimler e PSA.
L’aspetto inquietante dell’intera vicenda è l’inutilità, ai fini ambientali. Le misurazioni della CO2 proveniente dalle emissioni delle macchine in Europa parlano di 0,7 gigatons/anno, meno di due centesimi di tutta quella prodotta dall’uomo, che a sua volta è il 5% del totale che il pianeta produce ogni anno. Questo
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valore deriva dall’intera flotta auto circolante. Quelle di nuova immatricolazione stanno su 120 gr/km. Colpire l’industria, che impiega 3,4 milioni di addetti, per passare da 120 a 95, che sollievo darebbe al riscaldamento globale? Non solo. Quanto è corretto valutare solo la CO2 allo scarico, tralasciando quella derivante dalle produzioni delle batterie e dell’energia, che secondo il CNR porterebbero l’output complessivo poco sopra quello di un motore diesel di ultima generazione? Certo, se l’energia venisse di più da fonti rinnovabili la bilancia penderebbe a favore delle auto elettriche. Ma non è così. Se il regolatore avesse fatto i compiti, lo saprebbe. La buona notizia è che tutto questo durerà appena un decennio. Il limite di 95 grammi sarà superato nel 2025, quando scenderà a 80 grammi e poi ancora nel 2030, sotto i 60 grammi. A quel punto, considerando anche la diffusione delle ibride, circa un’auto su tre dovrebbe essere a emissioni zero. Ai volumi di oggi, parliamo di quasi sei milioni di pezzi. Ma, com’è noto, l’altra soluzione potrebbe essere di abbassare il denominatore.
Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore, il 24 giugno 2019
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