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AUTO EUROPEA PIÙ FORTE O PIÙ DEBOLE? AUTO AZIENDALI: 300MILA VETTURE IN MENO
AUTO EUROPEA PIÙ FORTE O PIÙ DEBOLE?
L’industria automobilistica europea, a metà del prossimo decennio, dovrebbe essere in buona salute, secondo gli addetti ai lavori che hanno risposto al sondaggio condotto dal Centro Studi Fleet&Mobility alla Capitale Automobile. Forte più o meno come oggi per il 47% del campione, se non di più per il 24%. Ma perché questa domanda? E perché il 29% prevede che sarà più debole? Perché importanti studi di consulenza, accreditati a livello mondiale, hanno lanciato allarmi sulle strategie che i costruttori europei stanno perseguendo: in arrivo una “tempesta perfetta” che porterebbe a un “deserto dei profitti”. Immagini roboanti che nel gergo della competizione industriale disegnano un quadro chiaro: senza profitti i titoli di questi gruppi diventano facile preda di altri cacciatori, specialmente orientali: Cina in testa, ma anche Corea e Giappone. Fanta-finanza? Già oggi sono cinesi i proprietari di Volvo e i principali azionisti di Daimler e PSA, mentre Nissan alza la voce con Renault.
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Non si parla di macchine, ma di 3,5 milioni di addetti in Europa, l’11% di tutto il manifatturiero, che fabbricano le migliori auto del mondo, che infatti tutto il mondo acquista. L’Europa esporta auto per 138 miliardi di euro, di cui il 36% prende la via dell’oriente e il 32% quella del nord America. Certo, restituiamo il favore importando a nostra volta, ma per appena 54 miliardi. No, non si tratta di macchine e tantomeno di CO2 e polveri sottili, ma di posti di lavoro e bilancia commerciale: un surplus di 84 miliardi di euro, precisamente. Perciò Ernesto Auci, decano del giornalismo economico, si chiede “perché l’Europa abbia scelto di uccidere la propria industria automobilistica che aveva un primato nel diesel”. Scelte politiche scellerate che inseguono opinioni pubbliche ben orchestrate. A Bruxelles, pretendono di risolvere il riscaldamento
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globale da soli impedendo la vendita di qualche milione di macchine, di fatto rallentando il ricambio. Nelle capitali, si illudono di pulire l’aria vietando i diesel, anche recenti, invece di lavare le strade e di cambiare le caldaie. Ma perché l’industria non reagisce? Forse proprio perché in cento anni non l’ha mai dovuto fare, di rispondere al fuoco amico. Solo che ora la politica sta da una parte e i clienti, con i soldi, dall’altra: dilemma.
Articolo pubblicato su il Giornale, il 30 ottobre 2019
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