Magazine Confluenze Anno 1 N° 1

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Confluenze esperienze di pesca a mosca

Anno 1 - n.1 gennaio 2013

www.confluenze.com


Confluenze esperienze di pesca a mosca

Confluenze, la nuova rivista online Non è facile cambiare abitudini radicate da molti anni, abitudini di routine, quasi tradizioni, non è semplice pensare di poter leggere una pubblicazione, un libro, un’informazione solo attraverso un’immagine riflessa da uno schermo di un computer, non è normale non poter sfogliare le belle pagine di un magazine e soffermarsi a guardare una splendida foto che potrebbe comodamente stare anche in una colorata cornice appesa nella stanza dei nostri hobby, eppure il nostro vecchio mondo, quello che tanto noi sogniamo possa per un attimo fermarsi per farci tornare un po’ bambini, non concede tregua, si allinea con il nuovo trade, non rallenta, ma propone una nuova consuetudine, un nuovo modello di vita. Smartphone, tablet, computer sono ormai rivolti verso questo nuovo progresso, così anche noi pescatori a mosca, compresi quelli di una certa età, abbiamo pensato di adeguarci ai tempi sentendoci forse più giovani ed attuali. E’ nata una nuova rivista online, quella che ora state leggendo, il magazine che, speriamo, diventi un vostro riferimento tecnico e di svago. Confluenze, in uscita a cadenza bimestrale, è il frutto di un concentrato di tante idee, l’insieme di un gruppo di appassionati che vorrebbero rimandare ad altri le proprie esperienze, un fulcro di informazioni in grado di sopperire alle nostre/vostre curiosità e innovazioni tecniche. Non vi rimane che sfogliarla e leggerla! Immensi Auguri per un 2013 straordinario, Natalino Costa e tutto il Team di Confluenze Coordinatore Rivista online

Natalino Costa Coordinatore Pubblicità per l’Italia

Marco Feliciani Coordinatore Pubblicità per l’estero e web master

Massimiliano lo Faro Coordinatore Relazioni Italia/estero

Pino Messina Coordinatore Immagine

Corrado Corradini

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Confluenze esperienze di pesca a mosca

In copertina: Effimere di Corrado Corradini

PRESENTA: Spey & Salmo Marmoratus Testo e foto di Pino Messina

Semplicemente quattro Testo e foto di Massimo Ginanneschi

Un cestino virtuale Testo e foto di Corrdo Corradini

Bucktail forever Testo e foto di Antonio Rinaldin

Ribnik Testo e foto di Natalino Costa

Un cul de canard ... insolito Testo di Marco Feliciani e foto di Corrado Corradini

Alla ricerca dell’aspio perduto! Testo e foto di Carlo Aliprandi

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GENNAIO - FEBBRAIO 2013 N. 01 3 Confluenze

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Confluenze esperienze di pesca a mosca

Hanno collaborato per la realizzazione di questo numero: Pino Messina La pesca a mosca a due mani è per lui una vera e propria religione, una passione che lo porta ad investire tempo e risparmi in continui corsi di aggiornamento sul lancio tecnico ed in battute di pesca al salmone atlantico ed alle trote di mare in giro per il nord Europa. Istruttore di lancio ed autore di diversi articoli pubblicati sia su riviste del settore che on-line, da anni si dedica inoltre alla caccia di trote marmorate nei grandi fiumi del piano.

Massimo Ginanneschi Di origini Toscane, nato nel 1964, sposato con Gloria e padre di due meravigliosi figli, vive e lavora in provincia di Torino; inizia a pescare da giovanissimo, nel 1970, grazie al suo amico Franco Vaccarino, approda alla pesca a mosca, dalla quale resta affascinato. Con un gruppo di amici fonda la sezione del CIPM Valli Di Lanzo, è socio dell’A.S. dilettantistica Mouche Vallèe (AO), socio e presidente dell’I.F.T.A., “Italian Fly Tyers Association .

Natalino Costa Nato a Lodi, nella pianura lombarda delle rogge, delle risorgive, dei canali e dell’Adda, risiede ed è sposato con Grazia dalla quale ha avuto due figli. Passata, spinning e poi mosca, l’escalation, della sua pesca. Dal 1983 la scoperta della pesca a mosca che ha poi cambiato non poco le sue abitudini e le sue passioni. Nel 2004 ha formato il gruppo di redazione che per otto anni ha curato la pubblicazione di Fly Fishing.

Antonio Rinaldin Eredita dal padre la passione per la pesca. All’inizio degli anni ottanta si avvicina alla pesca a mosca grazie all’amico Marco Feliciani. Da subito si innamora di questo mondo, della pesca, ma in particolare della costruzione, realizzando mosche di ogni tipo e misura, per la pesca in acqua dolce e in mare. E’ socio del Fly Angling Club di Milano.

Altri collaboratori: Angelo Codecasa - Roberto Pedrazzini - Mario Madonini - Osvaldo Gilli Canepari Albino - Lino Pastori - Pino Savino - Stefano Baggi

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Carlo Aliprandi Nato a Monza nel 1969, dove tuttora abita, è sposato felicemente con Simona e padre di due splendidi bambini, Leonardo ed Elisabetta. Ha iniziato a pescare a mosca nel 1997, la pesca a mosca e tutto il suo mondo sono diventati per lui, una passione a cui non può rinunciare. E’ socio del Fly Monza.

Marco Feliciani E’ nato nel 1959 a Milano, padre di tre figli, Giulia, Giovanni e Luciano, convive da anni con Antonella. Fin da bambino conobbe la pesca a mosca alla quale si dedicò completamente nel 1977: fu amore a prima vista e da allora praticò solo questa meravigliosa tecnica. Attualmente è presidente del FLY ANGLING CLUB di Milano, è sicuramente uno dei più quotati fly tyers Italiani. Da anni collabora con le migliori riviste di pesca a mosca.

Corrado Corradini Ha fatto il fotografo per passione e come professione per otto anni poi, per caso, è entrato in contatto con il meraviglioso universo della pesca a Mosca. È' stato un " colpo di fulmine ". Si sta parlando di una trentina di anni fa, oggi, in maniera certamente più matura ed equilibrata, vive parallelamente l'amore per la pesca e per la fotografia in funzione alla sua duplice esperienza.

Max Lo Faro La pesca a mosca è per lui, più che uno svago o un lavoro, un vero e proprio stile di vita. Nato nel Friuli nel “73”, per motivi professionali, vive in Austria da più di 15 anni. Le sue esperienze di pesca, hanno varcato spesso i confini europei, partendo dai grandi fiumi dell’Argentina, fino ai fiumi del Nord come il Mörrum in Svezia, passando attraverso le flat delle Bahamas, ma il suo cuore rimane per i fiumi nostrani ricchi di trote e temoli.

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foto di Natalino Costa 9 Confluenze

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Spey & Salmo Marmoratus Testo e foto di Pino Messina

Riuscire a catturare Sua Maestà la Regina del Piano, la Trota Marmorata, rappresenta per molti appassionati della pesca a mosca una sorta di punto di arrivo. E’ sicuramente importante sentirsi stimolati da nuove sfide alieutiche, come ad esempio l’insidiare specie esotiche, magari di dimensioni sempre maggiori, o ancora pesci potentissimi, in grado di sbobinare mulinelli interi durante le fasi di combattimento. Tuttavia, quelle rare volte in cui ho avuto la fortuna di agganciare la marmorata, seguite dalle rarissime volte in cui ho avuto il piacere di toccarle ed immortalarle con una foto, mi sono sentito un pescatore appagato. Un appagamento dato dalla consapevolezza di aver catturato un predatore sfuggente, un maestoso pesce nostrano che potrebbe potenzialmente raggiungere il metro di lunghezza.

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Gli esemplari più importanti necessitano di cospicue portate d’acqua, grandi spazi che consentano alla marmorata di trovare sia i rifugi che gli ambienti di caccia. E’ nei grandi fiumi del piano, quali ad esempio il Ticino e l’Adda, che sarà più probabile la cattura di esemplari di taglia. Optando per la canna ad una mano, risulteranno utili attrezzature dai nove piedi in su, in grado di lanciare code #8 , con una buona riserva di potenza. Questi ambienti si prestano tuttavia molto all’uso della tecnica Spey/due mani. Armando Quazzo nel suo testo “Pesca a Mosca, Il manuale completo” dice che la pesca a mosca a due mani è l’evoluzione della pesca a mosca ad una mano così come la pesca a mosca è l’evoluzione del pescatore in genere. Forse è un’espressione che ai più potrà sembrare un po’ forte, ma sicuramente la pesca a mosca a due mani ha un fascino tutto suo, oltre ad

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indubbi vantaggi in diversi circostanze. Pescare a streamer o a sommersa con queste attrezzature permette un notevole controllo in pesca; i mending con attrezzature oltre gli 11’ piedi saranno più semplici ed efficaci, l’esca potrà più agevolmente lavorare in acqua, lontano da ostacoli di ogni tipo; si potrà così pescare negli strati d’acqua dove si presume la presenza del salmonide, affrontando proficuamente la maggior parte delle situazioni di pesca, specie i luoghi con poco spazio alle spalle. Segue una sintetica descrizione della tre principali metodologie Spey. E’ opportuno precisare che l’obiettivo non è quello di fornire puntualmente la totalità delle informazioni descrittive delle tecniche,l’intento è piuttosto quello di fornire una panoramica generale, volta a descriverne le principali caratteristiche, stimolando magari i lettori a successivi approfondimenti

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Roberto Pedrazzini, uno dei massimi esperti di pesca alla marmorata con la tecnica spey nei grandi fiumi del piano, mentre mostra un esemplare maestoso, recentemente catturato.

L’Adda riserva ancora piacevoli sorprese. Questa bella marmorata ritratta sulla riva appena prima di essere rilasciata (M.Madonini)

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SPEY Classico, l‘origine della tecnica. Lo Spey classico comporta l’uso di canne lunghe, tendenzialmente dai 15’ piedi di lunghezza in su, con azione progressiva, fatte lavorare con movimenti ampi, sfruttando la potenza di entrambe le braccia. Vengono impiegate code di tipo “long head”, di solito oltre i 50’ di lunghezza, almeno tre volte la lunghezza della canna impiegata, solitamente integrate con una “running line”. Viste le lunghezze delle code impiegate. Si tratta del metodo che probabilmente necessita della maggior padronanza tecnica per l’esecuzione del lancio. Il vantaggio principale rispetto alla tecniche di seguito descritte è la morbidezza della posa e la versatilità in pesca, nonché la piacevolezza alla vista conferita da lanci ben eseguiti. “Underhand” La tecnica spey “underhand”, sviluppatasi nei paesi scandinavi, comporta l’uso di canne tendenzialmente lunghe 15‘ o meno, con azione molto rapida, fatte lavorare con movimenti raccolti, ottenendo la potenza attraverso la trazione eseguita sul pomolo della canna. La mano del braccio sovrastante, detta dominante, funge da “perno”. Vengono impiegate code di tipo “shooting head”, lunghe al massimo tre volte la lunghezza della canna impiegata, solitamente non integrate con una “running line“, ma collegate a queste tramite una connessione di tipo loop to loop. Le running line, dette anche shooting line, possono essere

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sia a sezione circolare che a sezione piatta/ovale, garantendo elevata scorrevolezza tra gli anelli della canna durante lo shooting. L’uso del “polyleader” è necessario e propedeutico al lancio ed all’azione di pesca. Si tratta di un metodo di lancio più semplice rispetto allo spey classico, purché i movimenti e fasi di lancio vengano correttamente eseguiti. I vantaggi principali della tecnica underhand rispetto allo spey classico, sono la maggior semplicità di lancio, la possibilità di eseguire lanci in condizioni di minor spazio e la possibilità di raggiungere distanze notevoli con poco sforzo fisico. “Skagit” Si tratta di una tecnica sviluppatasi lungo la costa ovest americana, volta ad insidiare le grosse steelhead che risalgono il fiume Skeena (British Columbia) ed i suoi affluenti. Comporta l’uso di canne tendenzialmente lunghe non oltre i 14‘, con azione molto “morbida” e progressiva, fatte lavorare con movimenti specifici. Vengono impiegate code di tipo Skagit, particolarmente corte, solitamente non integrate con la “running line“, ma collegate a queste tramite una connessione loop to loop. Sono code il cui “belly” ha una sezione elevata, non pensate per lanci particolarmente lunghi, ma in grado di proiettare in avanti pesanti e voluminose esche nei più proficui tratti di corrente. Il “polyleader” è sostituito da specifiche

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“punte” caratterizzate da diversi gradi di affondamento. Con queste code possono essere eseguiti alcuni lanci tipici della tecnica spey classica, anche se risulta più proficuo effettuare lanci specifici, pensati apposta per queste tipologie di code. Il vantaggio principale della tecnica skagit è la possibilità di lanciare esche grandi e pesanti, difficilmente lanciabili con la tecnica spey classica ed underhand. Pesca della marmorata in Adda

L’autore in azione di pesca. Foto di Angelo Codecasa.

Azione di lancio e pesca … supervisionata.

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Tipicamente, i miei amici ed io, affrontiamo la marmorata dell’Adda sia con tecnica Spey “Underhand” che con tecnica “Skagit”. Entrambe le tecniche, seppur caratterizzate da attrezzature di base e metodologie di lancio diverse tra loro, consentiranno di far lavorare correttamente l’artificiale. Si pesca a scendere, iniziando dal punto più a monte del tratto di fiume che si intende pescare. Regola di buon senso generale è quella di lanciare prima nei tratti di fiume più vicini al pescatore, sondando via via le correnti centrali ed infine quelle a ridosso della sponda opposta, dimensioni del fiume e portata d’acqua permettendo. Solitamente, soprattutto ad inizio stagione ed in funzione dei livelli, vengono impiegate code (o punte) affondanti o intermedie, cercando appunto di far lavorare l’esca in prossimità del fondo. Non occorrerà recuperare l’esca; lanciando leggermente a monte o di fronte a noi, l’esca lavorerà per azione della

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corrente e tensione della coda; quest’ultima dovrà essere sempre controllata e caratterizzata dalla giusta tensione. Come esche vengono tipicamente impiegati streamer semplici, ma dalla comprovata efficacia, quali ad esempio zonker dai colori naturali, lunghe leech e morbidi streamer tipo Puglisi. Le insidie saranno costruite su ami barbless dalle dimensioni generose, mai al di sotto della misura #4. I momenti migliori risulteranno l’alba ed il tramonto.Va tuttavia ricordato che si tratta di una pesca “maledetta”, nell’accezione goliardica del termine. Occorre nfatti perseverare e mettere in conto una considerevole quantità di “cappotti”. Pochi, talvolta pochissimi, pesci catturati per stagione ripagheranno da tutti gli impegni e sacrifici sostenuti. Trattandosi di una specie potenzialmente a rischio, la pratica del catch & release risulta essere indispensabile. La maggior soddisfazione la si prova proprio quando questo stupendo salmonide riconquista la libertà.

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Una delle prede preferite della marmorata, lo scazzone. Splendido esemplare catturato dall’amico Mario. Foto di Roberto Pedrazzini

Roberto in azione di pesca. E’ fondamentale rimanere concentrati ed in contatto con l’esca utilizzata. Foto di Angelo Codecasa.

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La Marmorata, stato di salute e progetti in corso La trota marmorata è un salmonide endemico del bacino Adriatico, presente oltre che negli affluenti di sinistra del Po, anche in fiumi della ex - Jugoslavia ed Albania. È di fatto presente in corsi d’acqua che una volta rappresentavano l’antico corso del Po. Si tratta di un ceppo unico, molto ristretto, come già anticipato, potenzialmente a rischio. Oggigiorno, le principali cause di rarefazione di questo salmonide sono: - la carenza idrica: le asciutte dei corsi d’acqua o carenza idrica in generale -aumento delle temperature: gli scolmatori che aumentano la temperatura dell’acqua di 2/3 gradi, favoriscono il vantaggio selettivo di specie alloctone come il siluro; - la maggior predazione: specie predatorie che oltre a predarne i giovani esemplari, vanno in competizione alimentare; queste specie sono ad esempio - i cormorani, presenti in stormi sempre più numerosi; questo vorace uccello caccia nei tratti di fiume caratterizzati dalla presenza dal salmonide - il siluro, specie opportunista in netto au-

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mento nei corsi d’acqua italici; questi, specie in età giovanile, si ciba di ghiozzi e cagnette, pesci che a loro volta rappresentano la base alimentare della trota nostrana; in alcuni corsi d’acqua dove è presente la marmorata sono in atto progetti di contenimento del siluro - la riduzione della biomassa complessiva: il calo drastico di specie che rappresentano la principale fonte di alimentazione della marmorata, come i ghiozzi, le cagnette e la lasca; la riduzione di queste specie è da attribuirsi in prevalenza ai punti precedentemente elencati - l’ibridazione: è data da incroci con la fario; l’ibridazione è maggiormente presente nei tratti montani e pedemontani in fiumi quali il Serio ed il Brembo. In fiumi come ad esempio l’Adda, l’ibridazione è piuttosto limitata - l’inquinamento: l’inquinamento è sicuramente una grave causa di rarefazione della marmorata; tipicamente i fiumi del piano soffrono di inquinamento organico originato - dalle fogne delle città e centri abitati - dagli scarichi di liquami da allevamenti - dai residui di materiale organico da industria alimentare.

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Altra forma di grave inquinamento è poi data dai pesticidi chimici, dai nitrati e dei fosfati rilasciati dai fertilizzanti utilizzati in ambito agricolo. Per far fronte alla rarefazione di questo importante salmonide, sono in corso da tempo progetti di primaria importanza. Uno di questi è il “Progetto Marmorata” attuato nel fiume Adda, oggi seguito con determinazione ed elevato rigore professionale dall’amico ittiologo Dr. Simone Rossi. Il progetto segue il tratto di fiume Adda che va da Cassano D’Adda, in provincia di Bergamo, fino a Lodi, per una lunghezza complessiva di ca 35 km.

Il recupero della Marmorata nel fiume Adda I primi studi sullo stato della trota marmorata nel fiume Adda e relativi censimenti risalgono al 1993. I risultati sono altalenanti fino al 1998, anno in cui, grazie alla passione di un pescatore, il Sig. Antonio Aiolfi, riprendono le attività di censimento dei nidi. Si tratta di operazioni che vedono operativi i volontari insieme alle amministrazioni provinciali. Tra le attività principali del progetto vi è quella di recuperare le uova dei pesci dai nidi in asciutta. Dal 2002 sono coinvolte sul progetto sia la provincia di Cremona che quella di Lodi, con la collaborazione della sezione FIPSAS di Lodi; l’azione di recupero dei nidi sul campo viene prevalentemente svolta dai volontari soci dello Spinning Club Italia. E’ in questo periodo che, su proposta del Dr. Lombardi, l’amministrazione provinciale di Cremona decide di dotarsi di un incubatoio, consentendo la produzione di avannotti a sacco vitellino riassorbito da uova recuperate da nidi in asciutta. Dal 2002 ad oggi, grazie all’impegno di appassionati e professionisti, sono state recuperate svariate decine di migliaia di uova, che, presso l’incubatoio di Spino d’Adda, hanno dato origine a migliaia di

Avannotti nell’incubatoio lodigiano, gestito dal Dott. Simone Rossi. Ora che il sacco vitellino è stato completamente riassorbito è possibile procedere con il ripopolamento. Foto di A. Codecasa

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avannotti re immessi nei luoghi di provenienza delle uova. Tutte le attività e relative fasi vengono opportunamente monitorate. L’intero ciclo che va dall’individuazione e censimento dei nidi, recupero delle uova dei nidi in asciutta, schiusa in incubatoio e re immissione degli avannotti, comporta molto impegno e lavoro, sostenibile solo se mossi da grande passione; si tratta però di attività indispensabili per la tutela di questa specie. La marmorata è un nostro patrimonio, una specie importante, che va assolutamente tutelata.

Il nido è stato completato. La sua preparazione è avvenuta in un tratto di fiume riparato ma ben ossigenato. Foto di A. Codecasa.

Fasi di semina. Gli avannotti vengono riposti in un colino. Con un gesto specifico il colino viene ribaltato a ridosso del nido. Le piccole marmorate troveranno rifugio tra i sassi del nido stesso. Foto di A. Codecasa.

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Le mosche per le regine Di seguito la selezione privata di Roberto Pedrazzini, cinque tipologie di esche dalla comprovata efficacia per le marmorate del piano. I primi due dressing, la R.M. Black Nosed Dace e la Golden Smelt sono mosche storiche, riportate dal mitico Mario Riccardi nel suo libro “Le mie mosche”. Come costruirle e impiegarle” edito da Olimpia. I successivi due dressing sono modifiche di Roberto (con sigla R.P.) rispettiR.M. Black Nosed Dace vamente di - un dressing tipo Puglisi riadattato in un corputo vairone - il Waggy Tail Sculpin del celeberrimo Oliver Edwards, riadattato in forma e colore. Nella pagina successiva sono riportati Golden Smelt esempi in vari colori di Moal (Mother of All) Leech, letteralmente “la madre di tutte le sanguisughe”.

Vairone R.P.

Special R.P. Sculpin

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Moal R.P. Leech

Nera Verde

Viola

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Di seguito i passaggi costruttivi di uno dei miei “Marble Zonker� preferiti.

Marble Zonker

Materiale impiegato: Amo: Wizard Streamer Special misura 2 Filo: uni cord black Corpo: Antron di colore beige, strip di coniglio naturale, tinsel argento piatto Collarino: piuma di gallina nera

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Fissare il filo di montaggio sull’amo, ricoprendolo con due passaggi di filo, dalla curvatura dell’amo verso l’occhiello e da quest’ultimo verso la curvatura. Questo impedirà al dubbing di “scivolare”.

Fissare il tinsel argento piatto in prossimità della curvatura.

Avvolgere del dubbing di antron di color . . . intorno al filo di montaggio. Consiglio di usare poca quantità per volta, attorcigliandolo attorno al filo con indice e pollice. Avvolgere il dubbing intorno all’amo, con giri serrati, ricoprendo l’amo con due passaggi, dalla curvatura dell’amo verso l’occhiello e da quest’ultimo verso la curvatura.

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Spazzolare delicatamente il dubbing con del velcro o materiale equivalente, rendendolo “vaporoso”.

Posizionare lo strip di coniglio sopra l’amo, avendo la fondamentale accortezza che la direzione del pelo vada verso la curvatura dell’amo. Solitamente faccio eccedere dalla curvatura dell’amo una quantità di strip pari all’ampiezza della curvatura dell’amo stesso.Occorre ora aprire il pelo dello strip di coniglio proprio in prossimità della curvatura, dove è presente il filo.

Fissare saldamente lo strip con diversi giri di filo di montaggio. Vista la sua resistenza, l’uni cord può essere particolarmente forzato. Chiudere con un paio di nodi e tagliare il filo.

Avvolgere il tinsel intorno all’intera mosca; è importante non “schiacciare” il pelo dello strip durante gli avvolgimenti; occorrerà aprire il pelo prima di ogni spirale successiva di tinsel. I giri di tinsel potranno essere da 7 a 9.

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Fissare il tinsel e lo strip di coniglio nella parte anteriore, a circa 2 o 3 mm dall’occhiello.

Fissare 1 o 2 piume di collo di gallina color nero. Con indice e pollice “stirare” indietro le fibre delle piume. Avvolgere le piume con 1 o 2 giri se verranno impiegate due piume, avvolgere con 4 giri nel caso venga impiegata una piuma sola. Il collarino dovrà tuttavia essere piuttosto vistoso.

Creare con il filo di montaggio una testa non eccessivamente grande. Effettuare un paio di nodi di chiusura. Con uno spillo di servizio bagnare leggermente sia la testa dell’artificiale che il nodo in prossimità della curvatura. Il Marble Zonker è terminato. 27 Confluenze

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SEMPLICEMENTE QUATTRO Di Massimo Ginanneschi Come la gran parte dei pescatori a mosca, io provengo da una lunga esperienza di pesca tradizionale e ormai sono ben 46 anni che questa passione mi attanaglia. Dopo aver frequentato il mio primo corso base di lancio con la coda di topo, ho iniziato la mia avventura con la pesca a secca, ma dopo aver preso un po’ di dimestichezza con l’attrezzatura e con il lancio, il richiamo della pesca “ sotto “, è stato irrefrenabile e sono diventato in poco tempo, un grande appassionato di pesca a ninfa. Nelle pagine che seguono, ho deciso di presentarvi quattro imitazioni di semplice realizzazione che sicuramente vi regaleranno ottime soddisfazioni in pesca. Pescare “ sotto “ non è così facile, ma credetemi è una pesca molto stimolante; nelle mie uscite, appena arrivo sul torrente, la prima cosa che faccio è di verificare i livelli dell’acqua e di conseguenza leggere le correnti e la loro velocità. A questo punto monto il tip e le ninfe; ho usato il plurale perché prediligo pescare con due artificiali “ dove permesso “, molto frequentemente pesco in High Sticking a risalire, tecnica che dà ottimi risultati sui fiumi e torrenti che frequento, “acque piemontesi”. Purtroppo non avendo molto tempo per poter andare a pesca, faccio il possibile per sfruttare tutta la giornata iniziando sempre presto al mattino, in una fascia oraria dove molto spesso i pesci si cibano sul fondo. Se nell’arco della giornata poi si verificano schiuse d’insetti e i pesci iniziano a bollare, allora non disdegno la pesca a secca o con le sommerse. Non mi piace estremizzare o precludere alcuna tecnica e penso che un pescatore a mosca sia completo dal momento che si è impadronito di tutte le tecniche, quindi, se il pesce si nutre sotto o a mezz’acqua o a galla noi dovremo comunque saperlo insidiare nel migliore dei modi. Bene, dopo questa prefazione, parliamo ora di Fly Tying, che resta comunque la mia vera passione.

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Pheasant Black Questa ninfa è ottima se utilizzata ad inizio stagione o da ottobre in avanti. Molto adescante per le fario e se costruita su ami piccoli, è molto gradita anche ai temoli.

Dressing Filo di Montaggio: 6/0 nero Amo: 12 Knapek serie P Bead: tungsteno da 3 / 3,3 Appesantimento: filo di piombo 0,4-0,5 Code e corpo: fibre della piuma di coda di fagiano tinta di nero Rigaggio: tinsel oro o argento Torace: dubbing di lepre argentina lungo color mattone montato ad asola

Il montaggio

Infilata la bead nell’amo, procediamo ad appesantire la nostra ninfa con alcune spire di piombo piatto o tondo reso piatto con una pinzetta in modo da dare conicita al nostro artificiale

Fissato all’amo il filo di montaggio, da una penna della coda di fagiano maschio tinta nera, preleviamo alcune fibre che legate formeranno la coda. Fissiamo anche del tisel oro o argento piatto fine 31 Confluenze

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Avvolgiamo ora intorno all’amo le fibre di fagiano a formare il corpo, dopo di che, formiamo il rigaggio dell’artificiale avvolgendo il tinsel fino in prossimità della bead

Formiamo ora il collarino dell’artificiale con dubbing di lepre argentina color mattone montata ad asola iniziando, quindi ad avvolrgerlo attorno al corpo in prossimità del torace.

Procediamo ora ad eseguire il nodo di chiusura, una goccia di colla per fermare il tutto e la nostra ninfa è terminata.

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Spot Orange Bead E’ una ninfa che io uso prevalentemente nel periodo estivo quando le acque sono velate dallo scioglimento della neve o a causa di temporali. E’ un modello che piace sia a trote che temoli, se usata su ami 10-12 la monto come mosca di punta nelle misure più piccole di bracciolo.

Dressing: Filo di montaggio: 6/0 tan Amo: dal 10 al 16 Knapek serie P Bead: tungsteno arancio fluo da 3 / 3,3 Appesantimento: filo di piombo Code: fibre di piuma del petto di germano naturale o tinto giallo Corpo: dubbing misto di pelo di lepre e sintetico tan Sacca alare: stesso materiale delle code Torace: ice dubbing Nero

Il montaggio

Infilata la bead nell’amo, procediamo ad appesantire la nostra ninfa con alcune spire di piombo piatto o tondo reso piatto con una pinzetta in modo da dare conicita al nostro artificiale

Fissato all’amo il filo di montaggio. Da una piuma del petto del germano preleviamo alcune fibre che fissiamo in prossimità della curvatura dell’amo 33 Confluenze

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Adesso prepariamo il dubbing per il corpo composto da pelo di lepre e poly sintetico di colore tan. Avvolgiamo il dubbing attorno all’amo fino a formare il corpo curando la conicità.

Dalla piuma di petto di germano che abbiamo usato alcune fibre, ne preleviamo altre che andiamo a legarein prossimità del torace. Procediamo ora a formare il torace con dell’ice dubbing di colore nero.

A questo punto ribaltiamo verso la bead le fibre di germano formando la sacca alare.. Fissiamo tali fibre facendo alcuni nodi in prossimità della bead. Mettiamo un goccio di colla èer essere sicuri della tenuta dei nodi, la nostra ninfa è terminata.

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La Pelosa La chiamo cosÏ per il suo torace vaporoso che in acqua assume un movimento molto stimolante per i pesci. La uso prevalentemente su torrenti con corrente sostenuta. Può essere utilizzata prevalentemente per trote e salmerini.

Dressing: Filo di montaggio: 6/0 marrone Amo: 12, 14 Knapek serie P Bead: tungseno da 3 / 3,3 oro Appesantimento: filo di piombo Code e corpo: fibre di piuma della coda di fagiano Rigaggio: tinsel oro o argento Torace: pelo di foca o sostituto orange montato lungo ad asola

Il montaggio

Infilata la bead nell’amo, procediamo ad appesantire la nostra ninfa con alcune spire di piombo piatto o tondo reso piatto con una pinzetta in modo da dare conicita al nostro artificiale

Fissato all’amo il filo di montaggio, da una penna della coda di fagiano maschio tinta nera, preleviamo alcune fibre che legate formeranno la coda. Fissiamo anche del tisel oro o argento

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Avvolgiamo ora intorno all’amo le fibre di fagiano a formare il corpo, dopo di che, formiamo il rigaggio dell’artificiale avvolgendo il tinsel fino in prossimità della bead

Formiamo ora il collarino dell’artificiale con dubbing di pelo di foca o sostituto di colore orange montato ad asola iniziando ad avvolrgerlo attorno al corpo in prossimità del torace.

Fissiamo il dubbing con alcuni nodi. Mettiamo un goccio di colla per fissare i nodi, il nostro artificiale è terminato.

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Small Green Exuvia E’ una rivisitazione della mia exuvia nimph, con un corpo più sottile ed una exuvia più esile. Molto apprezzata dalle trote. E’ utilizzabile tutto l’anno.

Dressing: Filo di montaggio: verde oliva o marrone 6/0 Amo: 12-14 Knapek serie P Bead: 2,5-3 oro Appesantimento: filo di piombo Exuvia: polipropilene verde oliva Corpo: fibre di piuma di fagiano tinto verde Rigaggio: Tinsel oro Torace: Pelo di lepre argentina lungo verde oliva montato ad asola

Il montaggio

Infilata la bead nell’amo, procediamo ad appesantire la nostra ninfa con alcune spire di piombo piatto o tondo reso piatto con una pinzetta in modo da dare conicita al nostro artificiale, poi leghiamo il poly per l’exuvia “bruciato” con una fiamma

Fissiamo ora uno spezzone di tinsel oro e alcune fibre della coda di fagiano tinte con colore verde 37 Confluenze

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Avvolgiamo ora intorno all’amo le fibre di fagiano a formare il corpo, dopo di che, formiamo il rigaggio dell’artificiale avvolgendo il tinsel fino in prossimità della bead

Formiamo ora il collarino dell’artificiale con dubbing di pelo lungo di lepre argentina montato ad asola iniziando ad avvolrgerlo attorno al corpo in prossimità del torace.

Fissiamo il dubbing con alcuni nodi. Mettiamo un goccio di colla per fissare i nodi, il nostro artificiale è terminato.

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foto di Max lo Faro 41 Confluenze

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di Corrado Corradini In assoluto le prime uscite di pesca sono le più difficili; manca la tecnica, il senso dell’acqua, l’esperienza, non sai mai “ che pesci prendere” quello che ti conforta è il grande entusiasmo, sei tu, la tua canna un filo ed una specie di ciuffo assemblato in qualche modo su di un amo … Che meravigliosa magia sarà mai questa? Il primo temolo o la prima trota fario autoctona da 40 cm ti fanno battere il cuore a mille, ti senti un grande, vorresti tenere tutto, mostrare al mondo intero le tue catture! Grazie al cielo, con Il Catch & Release diventa importante trasferire dal reale a virtuale in nostro paniere di pesca. Da qui l’esigenza di portarci a casa il ricordo di una bella giornata di pesca; amici, pesci, luoghi, atmosfere, cosa di meglio di una macchina fotografica?!

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Per esperienza personale, non so dirvi quante volte sono partito con tutte le più buone intenzioni, uno o due corpi macchina con minimo tre obbiettivi … eppoi, arrivato sul fiume carico come non mai, non riuscivo a scegliere se pescare o fotografare. Con l’avvento del digitale, oggi abbiamo la fortuna di poter mettere in tasca del gilet, una fotocamera di piccolissime dimensioni dalle prestazioni mediamente buone che ci permette di essere soddisfatti delle nostre immagini, senza penalizzare in nessun modo, la nostra azione sul fiume.

In questa piccola rubrica proverò a condividere la mia modesta esperienza personale su come affrontare, fotograficamente, una giornata di pesca. Passo dopo passo, vedremo assieme cosa realmente può servirci per iniziare. Mediamente la maggior parte di noi ha solo l’esigenza di fissare il momento magico della cattura e basta; vedo moltissimi pescatori che immortalano i propri trofei anche con gli smartphone (sia foto che filmati), poi una volta a casa, si lamentano perché la qualità e scarsa ... e quindi? Avendo la voglia e la possibilità di farsi un piccolo regalo, oggi in commercio esistono “macchinette”, oggetti meravigliosi, che hanno caratteristiche specifiche alle nostre esigenze: tropicalizzate: resistono agli urti e all’acqua, “shockproof “ e “waterproof” 43 Confluenze

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alcuni esempi:

Nikon Coolpix AW100: da 16 Megapixel è dotata di un antenna GPS Waterproof 10 mt - Shockproof 1,5 mt - zoom ottico 5x (28-140 equivalente sul 35mm). Prezzo di vendita: media 280€

Panasonic DMC-FT3: da 12 Megapixel - Waterproof 12 mt - Shockproof 2 mt ed uno zoom ottico 4,6x. Prezzo di vendita: media 280€

Sony DSC-TX10: da 16,2 Megapixel Waterproof 5 mt - Shockproof 1,5 mt - zoom ottico 4 x Prezzo di vendita: media 300€

Pentax Optio WG-2 GPS: da 16 Megapixel Waterproof 12 mt - Shockproof 1,5 mt - zoom ottico 5x Prezzo di vendita: media 320 €

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Olympus TG-820: 12megapixel Waterproof 10 mt - Shockproof 2 mt - zoom ottico 5x (28-140 equivalente sul 35mm). Prezzo di vendita: media 320€

Canon Power Shot D20: da 12megapixel Waterproof 10 mt - Shockproof 1,5 mt - zoom ottico 5 x (28-140 equivalente sul 35mm). 80€

Panasonic DMC-FT4: da 12megapixel Waterproof 12 mt - Shockproof 2 mt - zoom ottico 5 x (28-140 equivalente sul 35mm). Prezzo di vendita: media 400€ A mio parere, questi gioiellini si equivalgono; solo vedendo le schede tecniche singolarmente, può essere fatta una scelta soggettiva in base all’estetica o in base ad alcune sfumature più o meno importanti. Questo come primo approccio, per avere sempre con se un “cestino virtuale” dove poter conservare gelosamente i risultati di una stagione di pesca. nella foto Valter Franco - foto ottica distribuzione s.r.l viale Padova 175 - Milano valter@fod.fastwebnet.it




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foto di Corrado Corradini 49 Confluenze

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L’impiego del bucktail per realizzare mosche da pesca risale ad oltre un secolo fa, quando negli Stati Uniti già si impiegava per legare streamers da trota. Alcuni patterns di allora sono rimasti dei classici e ancora oggi vengono utilizzati con successo da pescatori a mosca dell’ultima generazione.

Di Antonio Rinaldin

BUCKTAIL FOREVER 1 Tying

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Ripensando a quando iniziai a costruire le mie prime mosche, il bucktail era uno di quei materiali che, forse per le dimensioni, forse per l’apparente rigidità, non mi convinceva e mi attirava molto meno di altri. In realtà, come spesso accade prima di provare una cosa che non si conosce, mi sbagliavo. In quei tempi le mie scatole straripavano quasi esclusivamente di mosche realizzate in marabù, in tutti i colori e nelle fogge più disparate. La morbidezza di quelle leggerissime piume e il loro movimento in acqua mi davano molta fiducia. Allora nulla mi stimolava a provare qualche streamer fatto con quei peli rigidi e grossolani di una coda di cervo, che apparentemente davano anche l’impressione d’essere

poco resistenti. Ora è senza dubbio uno dei materiali naturali che più amo e impiego, sia da legare sull’amo, che da usare in pesca. Le mie scatole e le mie buste porta mosche contengono bucktail in grande quantità. In grande varietà di misure e di colori. Per l’acqua dolce e per quella salata. Per pesci super voraci e per pesci iper schizzinosi. Alcune ben acciaccate dall’età e ben segnate dall’usura, altre ancora immacolate. Molti modelli realizzati con questo meraviglioso pelo animale sono diventati un punto fermo ed immancabile tra le mie scorte. Le code di cervo ovviamente non sono sempre uguali tra loro. Anche qui, un po’ come nel caso dei colli di gallo, ne esistono di qualità diverse.

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La loro scelta in fase d’acquisto è molto importante e va fatta sicuramente in funzione dell’impiego che dovremo farne al morsetto. Il pelo può essere più o meno lungo. Può presentarsi estremamente liscio e lucido (foto 1), o al contrario più ondulato o increspato (foto 2) che, a seconda di quello che dovremo costruire potrà risultare più o meno indicato. Nella stessa coda vi sono poi varie lunghezze di pelo. Queste ci permettono di realizzare mosche di diverse misure. In base a quello che vogliamo costruire, è molto importante prelevare il pelo dalle giuste zone della coda, in quanto risulteranno più o meno lunghi, più o meno morbidi, più o meno vuoti al loro interno. Generalmente salendo verso la punta della coda (foto 3) avremo pelo meno vuoto, quindi più morbido e sottile. Scendendo verso la base della coda (foto 4) i peli saranno meno morbidi, più vuoti al loro interno e tenderanno maggiormente ad alzarsi sotto la tensione del filo di montaggio in fase di legatura.

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Realizzare mosche con il bucktail da molta soddisfazione e altrettanta ne da vedere la loro vitalità in acqua. Come spesso accade a molti appassionati fly tiers, si finisce con il costruire molte più mosche di quelle che realmente servirebbero per l’effettivo tempo che si dedica poi alla pesca. Non basta avere scatole piene di mosche impilate in armadi e cassetti di tutta la casa. Il piacere nel costruirle è talmente elevato che si continua a produrne. Tra le “scuse” più ricorrenti, la necessità di rinfoltire le scorte per la stagione successiva, oppure occupare quei momenti in cui il maltempo non ci permette d’andare a pesca...

Comunque sia, si stenta a capire se il vero scopo di tutti questi artificiali è quello di finire legati al nostro finale per ingannare i pesci o se, una volta riposti in bella mostra nella nostra fly box, siamo noi ad essere catturati dal loro aspetto accattivante, auto convincendoci di poterli utilizzare tutti. Le possibilità d’impiego del bucktail sono veramente tante, sia per realizzare artificiali per la pesca in acqua dolce che per quella in mare. A questo proposito, nel pieno rispetto della par condicio tra fresh e salt water, vi propongo due super classici realizzati in bucktail: il Clouser Deep Minnow e il Mickey Finn.

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Clouser Deep Minnow Credo che non ci sia pescatore a mosca che non lo conosca. La sua definizione è presto fatta in due parole: semplice e geniale! Semplice in quanto realizzabile veramente con tre veloci passaggi e con un minimo di materiali. Geniale per il suo modo veloce ed imitativo di entrare in pesca. Oltre ad essere uno streamer dai mille volti, che può essere realizzato in innumerevoli varianti di colori e misure, ha anche la caratteristica di poter essere usato per molteplici prede, sia in fresh che in salt water. Ideato negli anni 80’ dal mitico Bob Clouser per la pesca degli smallmouth bass, è stato subito “battezzato” con il nome di Clouser Deep Minnow dall’altrettanto mitico e famoso Lefty Kreh. Penso di non sbagliarmi dicendo che il Clouser Deep Minnow sia uno degli streamers più popolari ed usati nelle acque di tutto il mondo. E’ realizzabile in numerose taglie e quasi un’infinità di combinazioni cromatiche. Quella che vi propongo in questa occasione è indubbiamente una delle versioni più famose. La ricetta Amo: Filo di montaggio: Occhi: Corpo:

TMC811S size 2 nylon clear a clessidra nickel/pearl bucktail bianco + gold Krystal Flash + bucktail chartreuse

Con una serie di giri incrociati e ben tesi di filo di montaggio fissiamo gli occhi a circa due terzi della lunghezza dell’amo.

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Fissiamo in prossimità dell’occhiello un ciuffo di bucktail bianco che, una volta fatto passare sopra agli occhi, andremo a fissare anche sul resto del gambo dell’amo.

Nella parte inferiore dell’amo, sempre in prossimità dell’occhiello, fissiamo due o tre filamenti di gold Krystal Flash e un ciuffo di bucktail chartreuse.

Ultimiamo con un leggero strato di epoxy, avendo cura di ricoprire anche il bucktail tra gi occhi.

Il Clouser Deep Minnow è ultimato.

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Mickey Finn La sua apparizione risale alla prima metà del secolo scorso. Inizialmente venne chiamato con nomi tipo “Red & Yellow” e “Assasin” per poi essere definitivamente ribattezzato in Canada come “Mickey Finn“, il nome di un cocktail micidiale, che pare sia stato la causa della morte dell’attore Rodolfo Valentino! Il dressing più classico vuole la sua realizzazione con il bucktail lungo come l’amo, e di pari lunghezza tra i colori. Personalmente preferisco realizzarlo con il pelo un po’ più lungo rispetto la lunghezza dell’amo e non pareggiato, in modo da poter ottenere un pizzico di movimento in più e una silhouette più filante. Oltre a questo, faccio attenzione ad impiegare poco bucktail, possibilmente legato ben rado, in quanto trovo che, se troppo “vestito”, sia meno efficace. Questo streamer ha catturato alla grande da una costa all’altra degli Stati Uniti, ma nel corso degli anni ha ottenuto un grandissimo successo in tutto il mondo e, nonostante la sua età, resta un pattern tra i più classici e catturanti. La ricetta Amo: Filo di montaggio: Corpo: Anellatura: Ali:

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TMC300 size 8 nero tinsel argento piatto tinsel argento tondo bucktail giallo + bucktail rosso + bucktail giallo Confluenze 56


Il montaggio

Fissiamo del tinsel argento piatto e del tinsel argento tondo, avvolgendo il primo su tutto il gambo dell’amo e, avvolgendolo in senso opposto, con il secondo formiamo l’anellatura.

Leghiamo un primo esile ciuffo di bucktail giallo, seguito da un secondo rosso, sovrapposto e leggermente piĂš lungo.

Concludiamo con un terzo ciuffetto di bucktail ancora giallo e una goccia di colla sulla testina.

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foto di Antonio Rinaldin

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Ribnik

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Di Natalino Costa


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Ribnik Da qualche anno, il fiume Ribnik è tornato alle cronache della pesca a mosca. Dopo una parentesi tormentata, la Bosnia è tornata accessibile e sicura per questo nostro particolare tipo di turismo. Diversi gruppi di pescatori a mosca, hanno ormai inserito nel loro programma annuale di uscite di pesca, questa lunga gita molto particolare per diversi aspetti: natura, pesca, ambiente e costi contenuti. Filmati, fotografie, articoli e chi più ne ha più ne metta è quanto si può leggere, vedere e consultare per rendersi conto di come prepararsi prima di partire, ma oltre a queste “notizie internet”, i suggerimenti di chi ha già affrontato questa esperienza, rimangono il migliore dei modi per non tralasciare nulla. Anche noi, abbiamo potuto usufruire di questo comodo servizio perché nell’ambito del nostro club di pesca, più di una persona si è avvalsa di tale esperienza, così per essere certi di trovare posto in una delle poche

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strutture ricettive del luogo, abbiamo prenotato ad aprile al motel Aqua di Gornji Rbnik, la nostra uscita di pesca di fine settembre. … ma come si presenterà questo Ribnik a fine settembre? Chi è già stato in primavera avanzata, a fine maggio, ha pescato con buona quantità d’acqua, usando grosse mosche sia in caccia che in bollata e alla fine della giornata, a sera, con grosse imitazioni di stone fly, … ma a settembre come sarà? Non ci resta che costruire un put-pourri di artificiali per non arrivare impreparati all’appuntamento. Finalmente è settembre e si parte; sabato sera ritiriamo il Renault Trafic, dal noleggiatore, un van da otto posti perché in Bosnia le assicurazioni sono un “optional” ed in caso di incidente anche con tutte le ragioni del mondo, rischieremmo di non essere risarciti. Un pulmino con Kasko ci assicurerà un viaggio più sicuro. Partiamo, ci attende un viaggio di almeno dieci ore. Il tempo è

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buono, percorriamo l’autostrada fino a Trieste, superiamo il confine con la Slovenia in direzione di Rijeka (Croazia), da qui in autostrada raggiungiamo Karlovac. Da questa città in poi, si tornano a percorrere strade normali, fino al nostro Ribnik. La strada da prendere è la E71, in direzione Slunj, una bella cittadina turistica che è molto vicina ai laghi di Plitvice, poi finalmente superiamo il confine con la Bosnia. Il paesaggio intorno è un poco desolante, le case hanno un aspetto molto dismesso, povero come la gente che incontriamo. Le automobili sono tutte molto datate, ma tenute in ordine per poter circolare. Attraversiamo alcuni paesi dove notiamo rovine di case distrutte dai violenti scontri di guerra che contrastano con altre costruzioni più moderne, ma quasi sempre non terminate, segno di una nuova vita, di una voglia di normalità e futuro. La strada è buona, asfaltata, il traffico è pochissimo; spesso all’ingresso dei centri abitati si incontra la polizia che controlla la velocità con i laser. Il

nostro navigatore ci aiuta molto, ma consiglio anche una buona carta della Bosnia, perché non tutti i paesi che si incontrano sono inseriti nella memoria del navigatore. Finalmente verso sera ormai al buio, arriviamo a Kljuc dove troviamo le indicazioni per Ribnik. Un quarto d’ora e siamo davanti all’Aqua. La sistemazione è accettabile, siamo in sei, alloggiamo in tre camerette con due bagni completi più un wc.

La notte trascorre tranquilla. Sveglia alle sette, una corsa al fiume per tastare l’acqua, bella, bellissima, ma molto bassa. Dicono che siano tre mesi che praticamente non piove e anche il tempo previsto per i prossimi sarà stabile, caldo e sereno! Alle nove e trenta siamo pronti per la pesca. Risaliamo il fiume fino quasi alle sorgenti in un luogo dove affacciandoci dalla riva, notiamo enormi gruppi di temoli non ancora in attività. Una goduria, uno stimolo immenso che ci inietta una voglia sconsiderata di pesca.

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Ora bisogna decidere come sfidare questi pesci. Non sembra cosa molto facile capire, ma come sempre, proviamo a turno artificiali diversi. L’acqua è molto lenta e trasparente, la schiusa c’è, ma non sembra interessi molto a questi temoli che preferiscono qualcosa di invisibile, indecifrabile, a pelo d’acqua, forse minuscole emergenti, piccole effimere non completamente schiuse, ninfe. Peschiamo piccolo, artificiali sul venti, scendiamo anche con i terminali fino al dieci e all’otto e finalmente su piccole imitazioni di exuvie e di spinner, iniziamo a vincere qualche diffidenza anche se la sorte non ci aiuta poi molto, perché spesso perdiamo le nostre catture che per difesa, si infilano nelle copiose erbe acquatiche che affiorano. Peschiamo fino a sera, sfidiamo questi pesci effettivamente molto sospettosi e furbi con alterne fortune. Qualche temolo e qualche fario. Sole pieno e caldo anche il secondo giorno. La pesca ha un andamento altalenante. Siamo un poco più preparati, comunque rimane una sfida vera, peschiamo in mezzo a pesci che ti bollano a un metro, ma senza schiodarli troppo dalle loro certezze. Il bottino anche oggi non è molto soddisfacente, ma ci accontentiamo. La sera scorre

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veloce davanti ad una di bottiglia di buon vino albanese e a tante considerazioni su questa nostra seconda esperienza. Il terzo giorno inizia come i precedenti, decido di scendere a pescare più a valle dove già avevo avuto più fortuna. Provo con qualsiasi cosa, ninfe, emergenti, effimere, spent e cambiando spesso e qualche bel pesce rimane ingannato. Ma questo tempo caldo, l’acqua bassa e il sole a picco non ci regalano comunque una di quelle giornate da ricordare. La mia pesca è terminata. Decido di ritornare dagli altri risalendo il fiume lungo il sentiero che lo affianca. L’ambiente e le acque sono splendidi nelle loro infinite varianti. Non c’è un angolo, non c’è una radice, un grosso ramo caduto in acqua che non possano essere rifugio di pesci incredibili. Ciò che vedo è quello che si sogna e che si ama guardare spesso nelle fotografie e nei filmati, documenti che poi ci stimolano a provare queste esperienze. Non so quante fotografie ho scattato, certo mi serviranno quando vorrò ricordare questi bei momenti, belli anche se non esaltanti in pesca, giusti per questa sfida che spesso si pensa di vincere a mani basse senza considerare quel rispetto dovuto ad avversari che sono padroni di queste acque.

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L’ambiente e la pesca L’ambiente che si incontra a Ribnik è ciò che ogni pescatore a mosca può sognare e desiderare. Il fiume è bellissimo, unico sia per la sua lunghezza, solo 8 km, ma per le sue eccezionali sorgenti, subito ricchissimo di acque. L’acqua è trasparente, potabile, la natura ancora quasi intatta e poco contaminata dal progresso. Tutto il fiume è accessibile dai sentieri che corrono ai lati. Lungo questi percorsi si può trovare anche qualche luogo di sosta attrezzato con pensilina di legno, tavolo e panchetta, ideali per consumare piccoli pasti o per ripararsi da eventuali scrosci d’acqua. Le rive sono sempre protette da una ricca natura. Cespugli, alberi, rami caduti in acqua creano rifugi o ripari per pesci anche di buona dimensione. Il fiume è ricolmo di erbe che danno ulteriore rifugio a pesci in ottima salute e inoltre, racchiudono e accolgono ogni tipo di insetto acquatico. Le schiuse sono copiose, continue, molto lunghe nel tempo, dalla mattina al tardo pomeriggio, per la gioia di temoli e trote che non disdegnano di evidenziare il loro gradimento con continue bollate. Gli insetti in questo periodo sono di dimensione “normale”: effimere riproducibili con artificiali su amo del 16/18/20, exuvie su ami del 18, spent su ami 18/20, ninfe sempre su 18/20, pochissime le sedge. Per quanto concerne i pesci, ce ne sono tanti, popolose famiglie di temoli che si posso facilmente notare riuniti in gruppi di cinquanta/cento esemplari (senza esagerare!). Dimensioni? Grossi e piccoli, ce n’è una varietà incredibile che sicuramente da certezza di una costante riproduzione e presenza per il futuro. Noi ne abbiamo presi oltre i quaranta centimetri, ma sono certo che parecchi superano i cinquanta. Non sono assolutamente facili, anzi, i rifiuti e più ancora l’assoluta indifferenza verso certe nostre imitazioni, spesso, diventano disarmanti! Le trote, fario, sono bellissime. Hanno una livrea coloratissima, sono ben pasciute, con pinne perfette. Sono furbe e diffidenti come i temoli con i quali, di frequente, si dividono cibo (bollate) e ambiente. Dimensioni? Piccole e grandi, anche abbondantemente oltre il chilo. Come ho già scritto, il fiume è quasi sempre accessibile e a settem-

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bre, guadabile salvo alcune buche che però non sono mai molto profonde. Il “letto” non presenta particolari difficoltà o sorprese anche perché l’acqua molto trasparente. Consiglio sempre i waders con gli scarponcini; non si scivola per cui anche quelli con la suola in gomma vanno benissimo. Parliamo di altre attrezzature: le canne. Vanno bene tutte quelle che usate a pescare nelle nostre acque, canne lunghe e corte, ma se ne avete sui nove piedi per code 4/5, meglio, non sarete troppo penalizzati pescando a ninfa. A secca sono Indispensabili invece lunghi finali (12/15 piedi) con terminali molto sottili: 0,10 o anche 0,08 usando canne non troppo “veloci” per ammortizzare le strenue difese dei questi avversari, molto, molto combattivi.

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Alcune piccole mosche per il Ribnik su ami 18/20 73 Confluenze

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Sistemazione logistica Partiamo dalla prenotazione dell’alloggio. A Gornji Ribnik c’è, per ora, un solo albergo e un piccolo villaggio di casette per la pesca, il Ribnik fly fishing center. L’albergo Aqua è situato all’inizio del paese proprio in prossimità del ponte carrabile e del fiume. E un fabbricato molto spartano, esternamente non finito che ha poche camere arredate con il minimo indispensabile, quasi tutte con bagno. I prezzi per la pensione completa, sono molto contenuti (più o meno trenta euro per la completa e beveraggi vari), il mangiare è decente con una varietà di piatti che possono accontentare un poco tutti i gusti. Occorre prenotare (in inglese) per tempo! Per contatti, consultare il sito: www.motel-aqua.com/index-en.php Il Fly fishing Ribnik è viceversa un villaggio composto da alcune casette molto confortevoli che ospitano fino a sei persone. Tutte sono fornite di camere con bagno, soggiorno ed una cucina completa. Il piccolo villaggio è proprio sul fiume e dista dal paese un paio di chilometri, ha un suo ristorante e una reception che contiene anche un piccolo negozio di articoli per la mosca. Alla reception vengono venduti i permessi di pesca che da quest’anno, danno accesso oltre che al Ribnik, al Pliva, al Sana e al Sanica. Per contatti consultare il sito: www.ribnikflyfish.com/RIBNIK/home,1.html, se decideste di telefonare, il sig. Duško Risović 
Telefono: +387 50 430 111
Cellulare: +387 66 115145 parla un buon italiano. I permessi 2012 costavano 40,00 euro.

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foto di Natalino Costa

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UN CUL DE CANARD ... INSOLITO Tying

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UN CUL DE CANARD … INSOLITO Testo di Marco Feliciani Fotografie di Corrado Corradini Quale altra piuma, oltre a quelle dei galli, è legata in modo inscindibile agli artificiali di superficie? Ma il Cul de Canard ovviamente, materiale ormai insostituibile per emergenti e artificiali galleggianti. Proprio la sua comparsa sul mercato da ormai 30 anni, ha contribuito a stravolgere le concezioni classiche nel realizzare gli artificiali galleggianti, riducendo drasticamente l’utilizzo e la presenza sul mercato degli artificiali in piuma di gallo, relegati sempre più in quelle imitazioni dove la galleggiabilità deve essere ottima anche nelle misure maggiori, come ad esempio le imitazioni di grandi terrestri, sedge e stone fly; sempre più spesso questi artificiali classici sono ormai presenti nelle scatole che rimangono sistematicamente a casa e non nelle tasche dei gilet da pesca. Personalmente ritengo che questo diffusissimo impiego di piume di cul de canard, nonostante l’innegabile efficacia in pesca, in alcuni casi risultino poi inferiori ad alcune mosche in piuma di gallo, spesso semplicemente perché molte mosche così realizzate, sono cadute nell’oblio e molti moschisti delle nuove generazioni non solo non le hanno mai utilizzate, ma non le hanno mai conosciute. Sempre più spesso negli ultimi anni mi è capitato di insidiare pesci in attività in superficie, specie in acque soggette a forti pressioni di pesca, con pesci sospettosi e selettivi; questi ultimi sovente hanno gradito maggiormente imitazioni ben galleggianti, con l’artificiale totalmente fuori dalla “pellicola” superficiale, situazione che è più facile ottenere con artificiali realizzati con piume di colli di gallo. Probabilmente la diminuzione di questi artificiali in concomitanza con il sempre maggiore impiego di quelli in cul de canard, sta producendo un effetto diametralmente opposto alla comparsa di questa piuma di anatra e oca: ora i pesci ben conoscono gli artificiali così realizzati, molto meno quelli costruiti con piume di colli di gallo.

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Se queste mie considerazioni verranno confermate anche da altri pescatori, probabilmente in un futuro più o meno prossimo si riscoprirà e si tornerà ad un maggior impiego di artificiali classici, situazione che sinceramente per un costruttore risulta maggiormente gratificante. E’ innegabile che la comparsa delle piume di cul de canard abbia semplificato molto la realizzazione di ottimi artificiali da pesca, però di fatto ha “appiattito” il livello dei fly tyers, uniformando verso il basso le capacità manuali, imitative ed interpretative degli artificiali stessi. Questo aspetto inerente la comparsa del cul de canard, probabilmente sarà argomento di un mio futuro scritto, ora invece vorrei proporre l’impiego di queste piume in un modo meno comune se non insolito: l’utilizzo del cul de canard per artificiali sommersi, precisamente per ninfe e larve, artificiali comunque appesantiti con l’impiego di filo di piombo e gold beads al tungsteno. Tra le caratteristiche delle piume di cul de canard vi è, oltre all’ottima galleggiabilità, alla loro morbidezza e vaporosità, anche quello che, una volta inzuppate, assumono un aspetto meno brillante delle altre piume, donando all’artificiale un aspetto gelatinoso, molto simile appunto a larve e ninfe, effetto causato dalla peluria di

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micro fibre post sulle venature delle piume. In realtà è ormai da molti anni che esistono alcune ninfe che prevedono anche l’impiego di cul de canard, ma in modo marginale e limitato solitamente come hackles. La validità del cul de canard anche negli artificiali sommersi l’aveva già capita ormai venti anni fa quel genialoide olandese di Theo Bakelaar, eclettico fly tyers soprannominato per l’elevato numero di suo artificiali realizzati con le palline in ottone, Mr. Goldbead. Theo costruì una ninfa molto efficace, una delle tante variant di pheasant tail che prevedeva l’impiego di una piuma di cul de canard come hackles, la Bead Head Dutch CDC. Questo artificiale mi colpì perché la piuma di cdc rada con fibre piuttosto lunghe, una volta bagnata, si avvolgeva intorno al corpo dell’artificiale donando allo stesso un aspetto molto simile ad una ninfa. Lo provai in pesca ottenendo subito ottimi risultati, specie con trote e cavedani. Altre ninfe molto popolari, soprattutto negli USA, furono le Bead Head Metallic Caddis, in vari colori (rame naturale, oliva, rosso e nero le più comuni); anche questi artificiali prevedevano come hackles una piuma di cdc. Poi a metà anni ’90, si diffusero le mosche di Marc Petijean, prima con originali, ma galleg-

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gianti artificiali, poi anche una serie di ninfe realizzate quasi esclusivamente con piume naturali e tinte di cul de canard. Nonostante la presenza di questi artificiali, nei pescatori rimase (e rimane tutt’ora) l’equazione cul de canard = artificiali galleggianti. Come mia abitudine, vorrei con questo scritto proporvi una serie di artificiali la cui realizzazione è effettuata esclusivamente con piume di cdc, ad eccezione di fibre di pernice, gallo pardo e gallina per realizzare code e arricchire le hackles. Il montaggio di questi artificiali è estremamente semplice e piuttosto veloce; si tratta di fissare all’estremità dell’amo una piuma di cdc e poi girarla attorcigliandola lungo il gambo dell’amo; per realizzare l’addome ed il torace si possono impiegare da un minimo di 1 a 3 piume di cdc di co-

lori differenti, questo permette di creare diverse sfumature del corpo e del torace, rendendo l’artificiale più catturante. Qui di seguito verranno presentati alcuni mie modelli realizzati sia su ami tipo czech nimph che tradizionali, di misure medio piccole (16, 14) per arrivare a misure decisamente maggiori (10,8). Alcuni di essi hanno anche il corpo appesantito con numerose spire di piombo, altri sono appesantiti solo dalla gold bead in tungsteno per far mantenere una silouette sottile. Vi sono alcuni artificiali che sono costruiti su ami tipo Jig, particolarmente adatti per i modelli più pesanti; grazie alla particolarità che lavorano capovolti, permettono di lavorare presso il fondale senza rimanervi incagliati. Questo tipo di artificiali è imitante in particolare larve di caddis, anche se può simulare benissimo anche ninfe di effimere.

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Ecco finalmente una serie di artificiali realizzati quasi totalmente in cul de canard.

APT CDC Non è altro che la rivisitazione della mia APT utilizzando piume di cdc tinte di marrone al posto delle classiche fibre di penna di fagiano maschio; è possibile variando il colore del cdc, costruire diverse variant APT, le più comuni sono nei colori oliva, crema, giallo pallido e nero.

Qui di seguito il semplice dressing: Amo: Tmc 3769 della Tiemco o similare nei nr 16, 14, 12 Filo di montaggio: il diffuso ultrafine xxf nei colori tan o marrone scuro; in alternativa ultimamente utilizzo il gost thread di color fumè. Coda: poche fibre di puma di cdc coloro marrone Corpo: piuma di cdc color marrone girata lungo il gambo dell’amo attorcigliandola ed utilizzandola come un piccolo cordoncino Rib: filo di rame sottile (0,14 – 0.16 di diamentro) Torace: ben evidenziato, realizzato con numerosi giri di filo di rame Hackles: 2 giri di hackles di cdc color marrone Testa: gold bead in tungsteno di diametro 2,5 – 3,00 mm Note: mantiene la proverbiale attrazione su trote e temoli della versione originale in fagiano, averla nelle proprie scatole è senz’altro un vantaggio per il pescatore.

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TRICOLOR CDC Amo: sia di tipo czech nimph, jigs o tradizionale nelle misure dal 14 sino al nr. 8 Filo di montaggio: il diffuso ultrafine xxf nei colori giallo pallido, oliva, tan, marrone scuro; in alternativa ultimamente utilizzo il gost thread di color fumè. Corpo (addome): in 2 sezioni ottenute con 2 piume di cdc di colore differente, solitamente la parte iniziale presso la curvatura dell’amo di colore più chiaro, la seconda più scuro. Ad esempio bianco e nocciola, giallo pallido e marrone, nocciola chiaro e marrone scuro, ecc. ecc. Le 2 piume di cdc devono essere girate lungo il gambo dell’amo utilizzandole come un piccolo cordoncino. Torace: realizzato con una terza piuma di cdc di colore differente, solitamente molto scuro: marrone, nero, grigio, oliva. In questo caso la piuma, oltre a creare il terzo segmento dell’artificiale, con la parte finale deve formare un principio di hackles, per meglio imitare le zampette delle larve e ninfe che si intende imitare. Rib: facoltativo, solitamente in rame sia di colore naturale che colorato; in alternativa tinsel oro o silver Testa: beads in vari colori, in base a quello che si intende imitare; i più comunemente usati sono: oro, silver, rame, nero, più raramente con colori fluo tipo arancio, fuxia, rosso o chartreuse.

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Note: questa tipologia di artificiali, con ben evidenziati i 3 segmenti, possiede una ottima capacitĂ attrattiva nei confronti di trote e temoli, e permette di realizzare una notevole gamma di artificiali, dalla larva di caddis alla ninfa di effimera, passando per i vari stadi intermedi. Come la precedente serie di artificiali sopra illustrati, la loro presenza nelle scatole permette spesso di risolvere la giornata di pesca. 85 Confluenze

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COLLEONI CDC Amo: Tmc 3761, Tmc 5263 e Tmc 5262 della Tiemco o similari nelle isure dal nr 14 sino al nr 8 Filo di montaggio: il diffuso ultrafine xxf nei colori giallo pallido, oliva, tan, marrone scuro; in alternativa ultimamente utilizzo il gost thread di color fumè. Code: in quil di tacchino, in fibre di piuma di fagiano o in fibre di piuma di gallo pardo; valide anche le fibre di piuma di gallina. Corpo: realizzato con 1 o 2 piume di cdc in colori differenti, partendo sempre da quello più chiaro per poi scurire l’artificiale. Torace: realizzato con 3 beads, solitamente di colore gold, e in parte ricoperte da altre 2/3 piume (a seconda delle dimensioni dell’artificiale) di cdc in colori differenti, in ogni caso più scuri della parte iniziale dell’artificiale. Rib: facoltativo, solitamente in rame sia di colore naturale che colorato; in alternativa tinsel oro o silver Note: solitamente impiego questa tipologia di artificiali nelle misure medio grandi, infatti permettono di poter pescare anche in acque profonde o con correnti molto sostenute. Ottima tipologia di artificiali particolarmente idonei ad imitare grosse ninfe di plecotteri (stone fly)

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JIGS NIMPH Amo: tipo Jigs, presente sul mercato con diverse marchi: HANAK, KNAPEK, SKALKA, KLIMA, DOHIKU tra quelli piÚ diffusi. Filo di montaggio: il diffuso ultrafine xxf nei colori giallo pallido, oliva, tan, marrone scuro; in alternativa ultimamente utilizzo il gost thread di color fumè. Code: si possono realizzare con fibre di piuma di cdc, di pernice, di fagiano maschio, di gallopardo; queste sono le piume maggiormente utilizzate, ma si possono impiegare anche fibre di materiali sintetici. Corpo: in piuma di cdc in svariati colori: crema, oliva, nociola, marrone, rosa, giallo e nero i maggiormente utilizzati. Rib: facoltativo, in rame color naturale o colorato; validi anche tinsel metallici nei colori oro o silver Torace: sempre con la stessa piuma di cdc, o in alternativa, una seconda piuma sempre di cdc Hackles: realizzate con le eccedenze delle piume di cdc; in alternativa anche in piuma di pernice. Note: artificiale chiaramente da profondità , particolarmente adatto ad imitare larve e ninfe di caddis di medie e grosse dimensioni. Molto efficaci se impiegate in abbinata con altre ninfe meno appesantite.


CONCLUSIONI Indubbiamente le piume di cul de canard hanno delle caratteristiche uniche che ne permettono un utilizzo alquanto amplio, ma l’impiego anche in queste categorie di artificiali indubbiamente ne può ampliare ulteriormente l’utilizzo. A crescere l’impiego, ha contribuito l’enorme varietà di piume di cul de canard ora reperibili, sia di anatra, ma anche di oca, con calami e fibre ben più lunghe, per non parlare della varietà di colori tinti che si sono aggiunti nel corso degli anni a quelli naturali. In questo articolo non ho poi evidenziato il cdc in dubbing, altro ottimo materiale per fare si ottime emergenti, ma che potrebbe (e troverà, ne sono certo) trovare impiego anche in artificiali appunto sommersi. Per onore di cronaca, il primo distrinbitore di dubbing di cul de canard fu Giorgio Benecchi in tempi ormai lontani, mi sembra doveroso ricordarlo proprio in questi giorni che purtroppo la sua azienda sta chiudendo, colpita anch’essa dai difficili momenti che stiamo attraversando. Prossimamente proporrò articoli con artificiali sia emergenti che sommersi realizzati proprio con il dubbing in cul de canard.




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foto di Corrado Corradini 93 Confluenze

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ALLA RICERCA DELL’ASPIO PERDUTO! Report

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ALLA RICERCA DELL’ASPIO PERDUTO!!! Itinerario di pesca Testo e fotografie di Carlo Aliprandi (http://elileo.it/)

Ormai sono po’ di anni che nella pesca a mosca si parla di Aspio, pesci arrivati dall’Europa centro orientale che hanno invaso le nostre acque, adattandosi perfettamente al clima e all’ambiente Italiano. L’Aspio (Aspius aspius) appartiene alla famiglia dei Ciprinidi. Il suo habitat naturale è quello dei grandi fiumi di pianura, con acqua a corrente moderata: il fiume Po rispecchia in pieno queste caratteristiche. Il suo aspetto è quello di un ciprinide, ma la sua costituzione massiccia lo caratterizza come vero e potente predatore. La bocca, infatti, è molto grande e rivolta verso l’alto, l’occhio è piccolo, così come le squame. La testa è grande ed ha un aspetto appuntito, con la mandibola prominente rispetto alla mascella. La livrea non è appariscente, infatti ha il dorso verdastro od olivastro scuro, i fianchi argentei ed il ventre bianco. Le pinne anali, ventrali e pettorali hanno un colore rossiccio, mentre la dorsale e la caudale sono scure. È un gigante fra i ciprinidi, infatti può raggiungere il peso di 9 kg per 1 metro di lunghezza, tuttavia la media degli adulti è di circa 3 kg. Noi di solito peschiamo nel ramo sinistro del Po, in zona Isola Serafini. A valle dello sbarramento fluviale di Isola Serafini, il Po si divide in due rami, in 95 Confluenze

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quello destro o principale, l’acqua viene fatta defluire artificialmente e segue un percorso del fiume in modo piuttosto lineare, mentre quello sinistro, che in origine era alimentato dal fiume, riceve i suoi apporti solo in concomitanza degli eventi di piena, diventando di fatto una specie di grossa lanca, con l’acqua che riprende a correre solo dopo l’ingresso del colatore Gandiolo e dell’Adda. I due rami si ricongiungono all’altezza della località Maginot (Castel Vetro Piacentino). Il tratto di fiume in questione si snoda per 12 km ed è formato da lunghi spiaggioni di sabbia e ghiaia. L’acqua scorre lenta, e in alcuni punti è quasi ferma, quindi la zona è molto indicata per pescare anche con i belly boat o pontoon. (

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COME ARRIVARE: Prendere A1 fino a Piacenza sud ed uscire. Seguire la A21 Cremona- Brescia ed uscire a Caorso, girare sulla SP 10 direzione Cremona. Seguire per Isola Serafini. Una volta arrivati, seguire la strada che porta al ristorante Cattivelli, continuare fino a quando la strada curva a destra. A fine curva, girare a sinistra in una stradina sterrata e andare fino al parcheggio che ho indicato sulla cartina con il simbolo P. (questo primo tratto è da saltare, perchè la riva è poco accessibile) Immagine 01

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Inizio tratto pesca

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Il tratto prosegue fino dove l’Adda entra nel Po . Se si pesca in belly boat si può parcheggiare la seconda macchina nel posto indicato con la P che si trova a Castel Nuovo Bocca D’Adda (foto sotto) Immagine 03

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Immagine 04

Immagine 05

Tratto finale di pesca

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Iniziamo a pescare dopo aver saltato il primo km di fiume (foto1), questo perché la sponda dalla parte in cui ci troviamo è formata da prismi con molta vegetazione e quindi poco accessibile. Seguendo il sentiero che parte dal parcheggio e costeggia il fiume, si arriva finalmente ad una lunghissima e larghissima spiaggia (Foto 2). Da lì a scendere inizia il divertimento!!! Si spera!!! (Foto 3- 4- 5) In quel tratto di Po si pesca tutto l’anno, ma i mesi migliori sono da novembre a marzo, soprattutto nelle giornate nuvolose, o nelle giornate con pioggia o con neve: è in quei giorni che si ha la possibilità di prendere i pesci di taglia più grossa. L’Aspio è un pesce molto sospettoso, quindi la fase di avvicinamento al fiume è da fare con estrema attenzione per minimizzare il disturbo sulla riva e nell’entrata in acqua, se non disturbato capita spesso di trovarlo nei pressi della riva, magari dietro a qualche ostacolo pronto ad attaccare il nostro streamer. Di solito l’attrezzatura che si utilizza è una canna di lunghezza compresa tra i 9-10 piedi, per coda 6 o 7. Il mulinello non richiede grosse caratteristiche tecniche, meglio quelli a bobina larga, hanno il pregio di contenere agevolmente la coda di topo. In quel tratto i livelli dell’acqua non sono alti, quindi una coda di topo galleggiante o meglio ancora intermedia è la scelta più

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centrata. Il finale è di lunghezza compresa tra i 2 e 2,50 metri, composto da un butt dello 0,45, una parte centrale dello 0,35 e un terminale che può variare dallo 0,22 allo 0,28; meglio se in fluorocarbon visto la sua sospettosità. Generalmente utilizzo streamer di lunghezza che varia dai 4 ai 7 cm, dai colori visibili, come il bianco, nero, o chartreuse abbinati a filamenti di argento come flashabou o sparkle fiber. Se invece ci si vuole cimentare con il fiume, in una esperienza nuova ed emozionante, si può pescare con l’utilizzo dei float tubes, (ciambella detto in Italiano). È un mezzo di spostamento molto utile, perché permette di arrivare a pescare in spot irraggiungibili dalla riva e presentare l’esca in maniera diversa da un approccio da terra. È comodo da trasportare, e di per sé molto semplice e sicuro da usare. La pesca in float tubes è stupenda, ma facciamola in sicurezza, indossando sempre il salvagente (lifejacket) e una cintura elastica in vita ai nostri waders, il suo uso è molto importante in quanto ci permette di chiudere in modo sicuro ed efficace i nostri waders all’altezza della vita, così da non permettere l’entrata accidentale di acqua, ricordandoci sempre di esercitare il buon senso quando utilizziamo il float tubes. Spero di avervi dato sufficienti indicazioni per avere una valida alternativa alle solite tipologie di pesca!

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foto di Carlo Aliprandi 105 Confluenze

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