Focus ON 13

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associazione giovani opinion leader

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EDITORIALE

WORK IN PROGRESS Dario De Lisi

Fatti venire un’idea, assicurati che sia divertente e infondile una scintilla di vita, affinché non resti soltanto un’idea. Questa è la magia. Jan Van der Ven Quando abbiamo deciso di cambiare, eravamo consapevoli di trovarci all’inizio di un nuovo percorso. Avevamo le idee chiare sulla destinazione, ma non sulla strada che avremmo intrapreso, e forse è stato meglio così. Godersi il percorso è un privilegio. Come lo è partecipare a riunioni dove le idee si incontrano e si scontrano, dove alcuni input si fanno concreti e altri rimangono nel cassetto (per il momento). L’unica certezza che abbiamo è che lavoreremo con calma. In un mondo che corre veloce, dove tutto è passato ancora prima di essere compreso, noi ci siamo presi il rischio e la responsabilità di fare un respiro profondo e affrontare il nostro cammino passo a passo, lasciando alle pagine il tempo di sedimentare e trovare il loro motivo di essere. Focus ON sta crescendo, sta cambiando pelle. Lo sta facendo nelle tematiche e nelle persone con cui si confronta, nel linguaggio e nei contenuti, lo sta facendo nel cambiare il modo di guardare e analizzare il nostro mondo, quello della comunicazione; consapevoli che per capirlo fino in fondo ci vuole tempo. Ci vuole il tempo e la pazienza di comprendere sfaccettature di una società in continuo cambiamento, che ogni giorno pone davanti ai nostri occhi trend, novità, fallimenti e idee innovative e dirompenti. Focus ON racconta di persone, di idee e di progetti. Cerchiamo di trovare opportunità lì dove altri vedono idee impossibili da realizzare. Diamo spazio a chi ha tracciato le linee guida del passato e a chi, con medesima enfasi, sta provando a impostare quelle del futuro. Nessuna pretesa di andare nella direzione corretta, ma l’assoluta consapevolezza di porci le medesime domande che ognuno di voi si pone ad ogni nuovo progetto, ad ogni nuovo brief, ad ogni nuova scelta. L’idea c’è e siamo al lavoro per infonderle la nostra scintilla di vita.

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SOMMARIO

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EDITORIALE Work in progress

SOTTO LA LENTE

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Essere o non essere green?

MILLENNIALS

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Portatori sani di sostenibilità

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inoltre Innovazione e ambiente

formazione 18

Il paradigma dell’istruzione per la smart society

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food Il cibo amico dell’ambiente

art Quando alla natura ci pensa il museo

TECH

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Digital transformation

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voce ALLE P.A. Il talento di saper cambiare

VOCE ALLE AZIENDE

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Mobilità sostenibile

extra Talenti green della moda italiana

m.i.c.e. High tech nell’ospitalità

controcorrente Dicesi buon marinaio...

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SOTTO LA LENTE

ESSERE O NON ESSERE GREEN?

TENDENZE E STRATEGIE PER COMUNICARE LA SOSTENIBILITÀ Francesca Passoni

Smart city: la città intelligente. Quella che spesso (purtroppo) viene rappresentata nelle sue tinte più futuristiche, con droni volteggianti su cieli azzurroeco, pale eoliche nei cortili condominiali e onde di natura indefinita che collegano ogni cosa, dalle auto che si guidano da sole ai sistemi di domotica. Non è facile delineare con precisione i contorni di una realtà nuova, costruita su moderni buoni propositi e speranze di chi, dove non trova risposta, a volte la cerca nella fantasia. Guardando il lato positivo della cosa, la smart city è reale, attuale, vicina. Si tratta di un microcosmo che sta cambiando il modo in cui viviamo, in cui consumiamo le risorse e in cui comunichiamo e ci relazioniamo con gli altri. Ci troviamo a compiere i primi passi in un’ epoca che si evolve con noi cittadini (o per rimanere all’inglese, city users) che affrontiamo nuovi interlocutori, strumenti e tematiche. Siamo figli di un progresso che ci ha portati in un ambiente comunicativo dove quello che era importante qualche decennio fa è cambiato drasticamente. Sperimentiamo un tempo tecnologico dove tutto è velocizzato e dove l’ambiente, l’uomo, la società e il territorio hanno assunto un ruolo più rilevante rispetto al passato.

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realtà sostenibile è garanzia di stabilità per un intero ecosistema, sia esso una città, uno Stato o un’azienda Una

Siamo tutti (istituzioni, cittadini, aziende) chiamati a collaborare per un mondo migliore e sostenibile, sia attraverso procedure innovative che tramite comunicazioni più semplici, sincere ed impegnate.

Certamente, oltre ad un’evidente esplosione di strumenti innovativi e spazi a disposizione, sono cambiate le modalità, le tematiche ed i soggetti protagonisti del processo comunicativo.

La smart city non è la città di domani, non è un progetto lontano anni luce. È la realtà odierna, quella che diventerà a breve - generazione più, generazione meno - la quotidianità. A guardare le definizioni, con il termine “città intelligente” si fa riferimento ad un agglomerato (solitamente una metropoli) che varia da paese a paese, la cui “intelligenza” dipende molto dal livello di avanzamento tecnologico, dalla volontà di cambiare, dalle risorse disponibili e dalle aspirazioni dei cittadini. Le smart city hanno connotazioni diverse in Europa, in Asia e in America, ma ciò che le accumuna è l’obiettivo di promuovere un’infrastruttura efficiente, un ambiente sostenibile e l’applicazione di tecnologie avanzate.

I primi a sentire la necessità di trovare un punto d’incontro con la comunità sono le stesse città. Le amministrazioni che vogliono collegarsi con i propri cittadini spesso creano un profilo sui principali social network (che gestiscono in modo più o meno efficiente) nella speranza che questo influenzi positivamente la propria immagine.

Obiettivo dichiarato, quello di focalizzarsi su uno sviluppo inclusivo che possa dar vita ad un modello replicabile e condivisibile. Le città intelligenti sono il faro dell’innovazione che ispira il resto del mondo; realtà capaci di unire alle proprie infrastrutture tradizionali la modernità della tecnologia, migliorando così ogni processo che, a sua volta, porterà ad una crescita economica sostenibile e a una migliore qualità della vita. Come si è evoluta la comunicazione al tempo della smart city?

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Le città fanno molto più city branding, valorizzando il proprio territorio non solo per i turisti, ma anche per coloro che la abitano. Digitalizzano processi, diminuiscono i tempi d’attesa e migliorano i servizi, seguendo l’obiettivo di interagire proattivamente con la comunità che viene messa in condizione di comprendere quanto viene fatto e di leggere meglio la realtà e il contesto in cui vivono. Le lunghe liste di procedure si trasformano in hub tecnologicamente avanzati che promuovono le interazioni tra cittadini, pubblica amministrazione, enti locali e realtà private. Nel fare ciò, in termini di comunicazione, il settore pubblico e quello privato oggi si rassomigliano più che in passato: entrambi vogliono raggiungere il proprio target, vogliono migliorare la sua esperienza e farla fruttare, riutilizzando gli insegnamenti ed i risultati ottenuti per migliorare ulteriormente il processo.


SOTTO LA LENTE

Con le smart city si entra definitivamente nell’epoca del riciclo, o meglio, del ciclo virtuoso: tutto viene ipotizzato, analizzato e testato. Ciò che non funziona viene scartato, mentre le pratiche vincenti diventano un patrimonio di conoscenza che, condiviso, sopperisce alle mancanze precedenti, risolvendo o dando risposte ai problemi storici della città. Un meccanismo sostenibile che per definizione rientra tra i parametri fondamentali che descrivono la smart city. Il termine “sostenibilità” definisce un campo molto più ampio delle politiche ambientali. Una realtà sostenibile è garanzia di stabilità per un intero ecosistema, sia esso una città, uno Stato o un’azienda. E sono proprio le imprese che oggi sfruttano maggiormente modelli comunicativi con alla base valori di trasparenza e condivisione, in scia alla nuova importanza che temi come la sostenibilità e l’etica hanno assunto nel corso degli anni - anche grazie ai social network, che hanno facilitato la creazione di un’opinione pubblica sul tema. In definitiva, la sostenibilità impatta anche sulla comunicazione, sul coinvolgimento del target e sulla creazione di una brand reputation.

Oggi i consumatori desiderano che gli venga chiesta la loro opinione, cercano prodotti tecnologicamente avanzati attraverso i quali creare un dialogo con l’azienda, vogliono che questa sia socialmente responsabile, rispettosa dell’ambiente e dei lavoratori, ma soprattutto si aspettano che agisca in modo etico. Le aziende innovative, quelle che oltre ad utilizzare le tecnologie avanzate le sanno impiegare per migliorare il proprio business, non mancano. Ne troviamo un esempio in WhatsApp che ha recentemente confermato l’apertura ai lavori di WhatsApp Business: la app di messaggistica esclusiva per le aziende. La multinazionale, ora nelle mani di Zuckerberg (il co-fondatore Brian Acton ha infatti annunciato che lascerà l’azienda), ha voluto rassicurare i suoi utenti sul “fattore spam”: saranno loro a decidere quali messaggi ricevere e da quali aziende. Le opportunità sembrano numerose, si va dall’invio delle informazioni sul check-in dalle compagnie aeree, agli avvisi sui pagamenti dalle banche. L’arrivo di WhatsApp Business è accompagnato da WhatsApp Payments per effettuare micro pagamenti in modalità peer to peer.

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E qui si abbandona il campo dell’innovazione per arrivare a quello strategico d’impresa, un elemento del DNA aziendale che spesso prevarica su tutti gli altri. Parlando invece di sostenibilità, quella ambientale è sicuramente tra i fattori che possono determinare il successo di una società. Solo qualche giorno fa il Centre for Sustainability Excellence (CSE) ha pubblicato i risultati della sua ricerca “Sustainability Reporting Trends in North America 2017” relativi ai trend di 551 aziende di Stati Uniti e Canada nel periodo 2015-2016 sul tema sostenibilità.

IMPEGNO AD ATTUARE POLITICHE AMBIENTALI

Uno degli elementi emersi, e che ha stupito gli analisti, è che le imprese con un rating alto di CSR (Corporate Social Responsibility) hanno anche mostrato evidenza di un impatto positivo delle strategie di sostenibilità sulle performance finanziarie. I settori con i punteggi più alti in termini di sostenibilità sono energia, utility, servizi finanziari e alimentare, mentre il settore tecnologico non ha raggiunto risultati ottimali.

Questo esito potrebbe non stupire, considerando che i rifiuti elettronici sono tanto recenti quanto in aumento; secondo un recente studio dell’ECODOM (Consorzio Italiano per il Recupero e Riciclaggio Elettrodomestici) ogni anno in Italia sprechiamo 600 mila tonnellate di rifiuti tecnologici. Questi, oltre a contenere plastica, ferro, alluminio e rame, spesso hanno elementi di oro e platino, che sarebbe utile riciclare per produrre nuova tecnologia salvaguardando l’ambiente. Le aziende stanno comunicando ai propri stakeholder un impegno crescente per la sostenibilità. Ma se da un lato troviamo Philip Morris che annuncia il cambio di business verso prodotti smoke-free, dall’altra ci sono numerosi esempi di realtà che non sono riuscite a mantenere le promesse fatte. Tra i casi più noti e attuali c’è Volkswagen, che nel 2015 è stata accusata di aver venduto auto Diesel inquinanti aggirando la normativa sulle emissioni, o la ExxonMobil che, secondo un

VERI LEADER DELLE POLITICHE AMBIENTALI

SUPPORTO ALLE POLITICHE AMBIENTALI

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SOTTO LA LENTE

La

smart city non è la città di domani, non è un progetto lontano anni luce. È la realtà odierna.

recente studio dell’Università di Harvard, pare che per quarant’anni abbia sviato l’opinione pubblica sulla gravità del cambiamento climatico e sull’impatto che l’uomo ha sull’ambiente. I ricercatori hanno analizzato la comunicazione degli scorsi decenni della compagnia petrolifera, dai documenti ufficiali agli “advertorials” (redazionali pubblicitari) pubblicati su testate giornalistiche di rilievo come il New York Times. Dalla ricerca è emerso che più ExxonMobil rendeva pubblici i propri statement, più questi non erano chiari e instillavano dubbi sul tema dell’eco sostenibilità, specialmente negli advertorials che, al contrario delle pubblicazioni accademiche condivise con la comunità di settore, raggiungevano una fetta di pubblico molto maggiore. In conclusione, secondo Harvard l’azienda ha promosso un atteggiamento incerto e fuorviante sul cambiamento climatico, influenzando l’opinione pubblica. La quantità di comunicazione che le aziende fanno su questo tema, sia essa vincente o fallace, minore o maggiore rispetto ad altri, dimostra un cambio di tendenza molto importante, ovvero che investire nella sostenibilità non è più solamente una mossa di PR, ma una parte fondamentale del modo di fare business. Perché oggi i consumatori si informano di più, leggono di più e soprattutto hanno modo di commentare qualunque scelta faccia un’impresa. Pertanto la ricaduta di immagine su un brand poco etico e poco sostenibile può in-

fluenzare drammaticamente il suo successo o suo fallimento. Annunciare il proprio impegno è il primo passo verso un mondo più sostenibile, tuttavia dalla comunicazione all’azione vera e propria la strada sembra ancora lunga. Stando al report dell’inglese InfluenceMap relativo alle 50 aziende più influenti del pianeta, si può notare che diverse corporation (come la stessa ExxonMobil) sono in prima linea nel contrastare le politiche ambientali. Nulla che non si sia già letto o sentito, ma fa riflettere constatare come nel 2017, in un panel di 50 multinazionali, sono solamente 15 quelle che risultano attive, influenti e propositive verso un’economia più sostenibile. Il verbo “Innovare” deriva dal latino “Novus”, ovvero nuovo. Significa modernizzarsi, introdurre elementi nuovi a processi, metodi e realtà. L’innovazione è insita nell’essere umano, è ciò che gli ha permesso di evolversi e di migliorarsi ad ogni passo generazionale. Oggi, nonostante il rapporto sia ancora a sfavore dell’innovazione, non mancano le aziende seriamente impegnate ad agire, oltre che a comunicare, per la salvaguardia del pianeta Terra. Tesla, Ikea, Apple, Enel, sono solo alcuni nomi di realtà commerciali che influenzano e vengono influenzate dall’ambiente che le circonda, promuovendo un circolo virtuoso di azione, più che di comunicazione. Perché se è vero che non si può non comunicare, è altrettanto reale e necessario andare oltre e trasformare un impegno in realtà effettiva.

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MILLENNIALS:

PORTATORI SANI DI SOSTENIBILITÀ Saranno loro a disegnare il futuro. La sostenibilità è al centro delle scelte d’acquisto dei Millennials e alcuni hanno già iniziato a costruire il mondo che verrà. Sara D’Agati e Antonio Carnevale

Sono oltre due miliardi in tutto il mondo, quasi nove milioni in Italia. Entro il 2020 rappresenteranno la metà della forza lavoro globale. Saranno dunque loro a disegnare il futuro del nostro mondo. E quando dovranno scegliere lo faranno in base ad un criterio fondamentale: la sostenibilità. Stiamo parlando dei Millennials - definizione nella quale rientrano i giovani tra i 20 e i 35 anni - o cosiddetti nativi digitali: una generazione esigente e informata, attenta alle questioni sociali, alla salute, all’ambiente e, più in generale, alla sostenibilità del proprio stile di vita. Malgrado infatti siano diventati adulti in un periodo difficile per l’economia globale e dovranno continuare a fare i conti con una situazione economica più precaria rispetto a quella dei loro genitori - o forse anche per questo motivo - i Millennials dimostrano di essere disposti a sacrificare qualcosa pur di partecipare al cambiamento collettivo. A partire proprio dal denaro. Secondo lo studio di Bain&Company, “The next wave of change”, il 65% dei consumatori più giovani considera una priorità assoluta la salvaguardia dell’ambiente e ben il 70% è disposto a spendere di più per prodotti sostenibili, dal punto di vista ambientale e non solo.

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MILLENNIALS

Quello della “sostenibilità” infatti, è un concetto molto vasto. I Millennials sono sensibili all’etichettatura dei cibi e all’alimentazione, ma anche a temi come corruzione, trasparenza e diseguaglianza nella distribuzione della ricchezza. Temi che entrano a pieno titolo nelle loro abitudini di vita. Dalla politica al design, dalla tavola all’abbigliamento. Scorrendo i risultati di una ricerca PwC intitolata “Think Sustainability, The Millennials view” ad esempio, emerge come il 58% dei Millennials sia convinto che le aziende di moda non prestino sufficiente attenzione al tema della sostenibilità, mentre l’88% spiega che le aziende dovrebbero comunicare in maniera più trasparente dove, da chi e come viene prodotto un capo d’abbigliamento. Una cosa è certa: i Millennials sembrano avere più consapevolezza delle proprie scelte in quanto consumatori. La Corporate Social Responsibility è al centro delle loro decisioni di acquisto e preferiscono selezionare prodotti e servizi di aziende etiche, che si spendono per questioni sociali o per l’ambiente. A confermarlo, ancora una volta, i numeri. Sempre da “Think Sustainability” infatti, si evince come per circa la metà degli intervistati “la sostenibilità può aumentare in maniera significativa la fedeltà verso un brand”.

Italia i giovani sono disposti a pagare di più per brand sostenibili Anche in

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Un atteggiamento tanto distante da quello della generazione precedente quanto fortemente indicativo, per qualsiasi azienda. Ma questo accade anche con i giovani italiani? A quanto pare sì. Anche loro, ad esempio, leggono le etichette e si interessano alla composizione dei tessuti e alla provenienza geografica (ben il 74%, secondo dati forniti da Cotton Usa). E anche loro, stando a una ricerca Nielsen, sono disposti a pagare di più per brand sostenibili: i Millennials con il 73% e i rappresentanti della generazione Z (15-20 anni), al 72%, le fasce d’età maggiormente propense. Numeri che evidenziano un interesse sempre maggiore da parte delle generazioni più giovani – e in media più istruite – nei confronti dello sviluppo sostenibile. Un interesse che non si esaurisce solo nelle scelte di consumo ma è sfociato, negli ultimi anni, nella nascita di diverse startup operanti sul nostro territorio. Dall’utilizzo delle stampanti 3D nel food ai big data, fino alla sharing economy, è l’innovazione tecnologica la chiave che permette ai Millennials di pensare un futuro sostenibile e accessibile a tutti.

I Millennials si interessano al consumo sostenibile un interesse che sfocia nella nascita di startup

MUV: un’app che incoraggia i cittadini a spostarsi per la città in modo sostenibile attraverso un gioco a premi

www.muv2020.eu

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MILLENNIALS

Gli ideatori di MUV: Alessia Torre, Francesco Massa, Mauro Filippi; Domenico Schillaci, Salvatore Di Dio, Roberto Filippi; Giuseppe Spataro e Claudio Esposito.

È il caso di progetti come MUV, acronimo di “Mobility Urban Values”, un’app ideata da 5 giovani palermitani che incoraggia i cittadini a spostarsi per la città in modo sostenibile attraverso un gioco a premi. Questa ha ricevuto di recente 4 milioni di euro di finanziamento dalla Commissione Europea per essere testata in una serie di città europee, tra cui Amsterdam, Barcellona e Helsinki, diventando così un modello di best practice internazionale. Il meccanismo è semplice: grazie al sistema gps per il rilevamento della posizione già presente negli smartphone, l’app monitora gli spostamenti degli utenti. Meno inquina il mezzo scelto - in una scala che va dalla bicicletta, ai mezzi pubblici, al car sharing - più questo accumulerà punti che gli permetteranno, grazie ad una serie di accordi tra l’app e aziende locali e sponsor, di ottenere una serie di premi: da una cena fuori, a un buono gratis per un centro benessere o per un weekend fuori porta. Una soluzione win-win insomma, in cui gli sponsor aderiscono al progetto per farsi pubblicità, gli utenti finiscono per fare più movimento e il traffico si riduce. Un gioco a tutti gli effetti quindi: con un’app per smartphone, classifiche in tempo reale, sfide tra amici, badge, premi. “Molti di noi sono tornati da esperienze fuori, dal MIT, al Politecnico di Milano, con la voglia di fare qualcosa per l’Italia” spiega Salvatore Di Dio, uno degli ideatori di MUV “la scommessa era fare qualcosa per rendere sostenibile la situazione del traffico, e quindi ambientale, a Palermo - nota per essere una delle citta più lente d’Italia -. Gli ostacoli non sono mancati, ma ora il progetto è divenuto scalabile e lo stiamo portando anche all’estero.”

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www.ortialti.com Orti Alti: per riportare il verde nelle grandi aree industriali della città collocando degli orti, sui tetti degli edifici

Un altro progetto che ha nella sostenibilità il suo centro è Orti Alti, lanciato a Torino da due giovani architetti, Elena Carmagnani ed Emanuela Saporito. L’idea è quella di riportare il verde nelle grandi aree industriali della città collocando degli orti sui tetti degli edifici. Il progetto si trova nel quartiere di Borgo Vittoria, ex zona industriale negli anni d’oro della FIAT, sul tetto de “Le Fonderie Ozanam”, ex opificio oggi trasformato in un ristorante gestito da una cooperativa sociale che si occupa del reinserimento di persone in difficoltà. E la scelta non è un caso. Il valore, in termini di sostenibilità del progetto, non è soltanto ambientale, impatto sulla qualità dell’area, aumento degli spazi verdi e risparmio energetico, ma anche sociale. Da un lato, infatti, si inserisce in un contesto di riqualificazione urbana, dall’altro, garantisce la partecipazione dei cittadini attraverso una serie di attività a tutti i livelli. Dalle scuole, che organizzano giornate con gli studenti ai quali si insegna a coltivare e a prendersi cura di un orto, agli abitanti del quartiere, che hanno a disposizione prodotti a km zero. Nel complesso industriale sorge anche un ostello, Ozanam House, che è divenuto un centro di accoglienza straordinario per migranti.

orangefiber.it Orange Fiber: produce tessuti a partire dagli scarti della lavorazione degli agrumi

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MILLENNIALS

Due giovani innovatrici siciliane, Adriana Santanocito ed Enrica Arena, sono protagoniste di un altro progetto italiano dall’elevato valore in termini di sostenibilità. Si tratta di Orange Fiber, la prima azienda al mondo che produce tessuti a partire dagli scarti della lavorazione degli agrumi. Una soluzione sostenibile, non soltanto perché permette di trasformare delle rimanenze naturali in stoffe, ma anche perché i sottoprodotti agrumicoli, data la difficoltà e i costi di smaltimento, costituiscono uno dei principali problemi della filiera di trasformazione degli agrumi (solo in Italia vengono prodotti ogni anno circa 700.000 tonnellate di scarti). Orange Fiber è riuscita quindi a trasformare un ostacolo in una soluzione innovativa e sostenibile, attirando anche l’attenzione di Ferragamo che ha realizzato una collezione in tessuto da agrumi dal nome Responsibile Passion.

kanesis.eu/it Kanèsis: realizza bioplastica dalla canapa

Su questa linea c’è anche Kanèsis, la startup che realizza bioplastica dalla canapa, ed è stata fondata da due di giovani neolaureati, Antonio Caruso e Giovanni Milazzo. Obiettivo è sostituire i materiali plastici petrolchimici con quelli di derivazione vegetale, affinché anche gli oggetti d’uso comune siano l’espressione di un ritorno alla natura consapevole e sostenibile. E questi sono soltanto alcuni esempi di giovani che non soltanto fanno della sostenibilità un driver essenziale nelle proprie scelte di tutti i giorni, ma si mettono in gioco nell’offrire soluzioni sostenibili per l’intera collettività, in un’ampia gamma di settori, e coniugando diversi elementi, dalla tutela dell’ambiente, al riuso degli scarti agricoli per la produzione di materiali sostenibili, alla riqualifica e condivisione degli spazi urbani.

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INNOVAZIONE E AMBIENTE ACCETTARE IL CAMBIAMENTO PER TUTELARE LA TRADIZIONE Francesca Passoni Oggi tecnologia e innovazione sono divenuti elementi fondamentali su cui porre le basi di un progresso globale e condiviso che vede coinvolte intere realtà commerciali, amministrative, pubbliche e private. L’high tech continua a stupire, le città si attrezzano implementando strumenti rivoluzionari per migliorare l’esperienza di vita di chi le abita; ci si domanda come tutelare il pianeta e come trovare soluzioni eco sostenibili, ma come impatta sul territorio questa evoluzione frenetica e senza sosta? Come sfruttare la tecnologia e le relazioni tra diverse realtà (anche quelle legate al mondo degli eventi) per migliorare e tutelare un ambiente come quello italiano, un vero e proprio patrimonio culturale? Abbiamo avuto l’opportunità di conoscere il punto di vista del FAI (Fondo Ambiente Italiano), parlando con Tea Raggi (Responsabile Ufficio Eventi nei beni), Daniele Meregalli (Responsabile Ufficio Ambiente) ed Elisabetta Scopinich (Responsabile Ufficio Raccolta Fondi Aziende e Sviluppo).

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Da sempre il FAI si impegna a valorizzare e tutelare il territorio italiano. Come vi approcciate a un mondo apparentemente lontano dal vostro come quello dell’eventistica? Sono molti i punti di contatto tra il FAI e il mondo dell’eventistica: gli eventi organizzati dalla Fondazione nei beni mirano a valorizzare e promuovere un patrimonio culturale immateriale importante quanto quello ambientale con attività nella natura per le famiglie, manifestazioni dedicate al florovivaismo, alle eccellenze enogastronomiche, all’artigianato di qualità, spesso lavorando a stretto contatto con

realtà aziendali presenti sul territorio. Nei beni sono ospitati inoltre molti eventi privati o aziendali come matrimoni, convention, incontri di team building. Sponsorship, partnership e Cause Related Maketing, il FAI si avvicina alle aziende, dando loro la possibilità di concretizzare il proprio impegno sociale. Come valutate la vostra relazione con le aziende e quanto pesa questo segmento nelle vostre attività di tutti i giorni? Il FAI considera le imprese un interlocutore fondamentale per la diffusione dei propri valori e una risorsa strategica per il raggiungimento dei propri obiettivi. Le aziende rappresentano la seconda fonte più importante di finanziamento, pari al 28% dei proventi totali della Fondazione.


INOLTRE

Nel 2016 sono state più di 500 le aziende, italiane e straniere, che hanno deciso di sostenere il FAI attraverso la realizzazione di collaborazioni personalizzate che consentano di intercettare gli specifici interessi delle imprese. Non mancano poi luoghi dove organizzare eventi, come ad esempio la milanese Villa Necchi Campiglio. Quali criteri utilizzate per prendere in considerazione le richieste di evento? E che ruolo gioca la sostenibilità nelle disposizioni che date alle aziende? In genere gli eventi ospitati nei nostri beni sono richiesti da aziende che condividono i valori della nostra Fondazione, quindi l’educazione, l’amore, la conoscenza e il godimento per l’ambiente, il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della nazione. gli In continuità e coerenza con questi principi, chi opera nei nostri beni è tenuto a rispettare puntualmente alcune regole, come praticare la raccolta differenziata, evitare l’utilizzo della plastica per gli allestimenti e utilizzare di preferenza materiali naturali.

Abbiamo sempre ricevuto feedback positivi da tutte le aziende che hanno deciso di organizzare giornate di volontariato aziendale all’interno dei nostri beni e una forte partecipazione e vicinanza alla missione da parte di tutti i dipendenti coinvolti. Queste giornate, studiate e progettate rispettando le esigenze e gli obiettivi di ogni azienda, hanno una duplice finalità: da una parte diffondere la cultura del rispetto per il nostro patrimonio di cultura e paesaggio attraverso la sensibilizzazione dei partecipanti sui temi ambientali e di salvaguardia dei tesori del nostro paese; dall’altro accrescono il senso di coesione interno del team di lavoro favorito dall’adesione collettiva alla missione della Fondazione e delle attività proposte durante la giornata.

anche le aziende contribuiscano concretamente alle grandi sfide del nostro Paese. Crediamo infatti che lo sviluppo culturale, civile ed economico dell’Italia si concretizzi anche attraverso il rapporto delle aziende e della Fondazione con il territorio. Lavorare il più possibile insieme per diffondere i valori di tutela del patrimonio italiano diventa, dunque, fondamentale per promuovere un dialogo che consenta un impegno concreto delle aziende a favore dei territori. Tra le realtà con cui avete rapporti o organizzato eventi in passato, c’è un progetto che più di altri ha saputo coniugare ambiente e tecnologia anticipando i trend del futuro o anche solo avvicinandosi ad essi?

eventi organizzati dalla Fondazione mirano a valorizzare e promuovere un patrimonio culturale importante come quello ambientale

Tra le opportunità di collaborazione con il FAI vi è anche il Volontariato d’Impresa. Qual è la reazione dei partecipanti? E come reputate la loro risposta a tali eventi?

Nella vostra opinione vi è un dialogo tra aziende e territorio? L’eco sostenibilità può diventare un elemento chiave nell’organizzazione di eventi? Thinking global, acting local (pensare globalmente, agire localmente): dal 1975 il FAI si ispira a questo ideale, che oggi continua a perseguire anche nel lavoro con le imprese. In un momento storico in cui è sempre più necessario che

Un elemento prezioso per il FAI è l’acqua, una componente di progetto nel restauro dei nostri beni e un tema sempre più di attualità, vista la periodica siccità che caratterizza ormai le nostre estati. È il caso del recupero di un compendio agricolo a Punta Mesco, il Podere Case Lovara, nel Parco delle Cinque Terre. Qui il FAI ha interrato in rete numerose cisterne di accumulo delle acque piovane, realizzate con serbatoi in polietilene, per


Podere Case Lovara a Punta Mesco - Foto di Davide Marcesini 2016 © Archivio FAI

I beni della Fondazione saranno aperti al pubblico in una rete di servizi interconnessi accogliendo una sfida collettiva per il territorio

utilizzare nel modo più efficiente possibile l’acqua destinata all’agricoltura. Nel podere il FAI ha inoltre installato un sistema di depurazione a membrane MBR (Membrane Bio Reactor) con cui le acque nere vengono depurate e riutilizzate sia per gli scarichi igienici che per scopi irrigui, mentre i residui della depurazione vengono trattati e riutilizzati come fertilizzante, chiudendo il ciclo.

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In una visione a lungo termine, dove la tecnologia pervaderà la realtà che ci circonda e il concetto di smart city passerà da obiettivo a vera e propria realtà, come pensate che la vostra attività ne verrà influenzata? Il concetto di smart nelle città sottolinea l’importanza della relazione tra le infrastrutture materiali urbane e il capitale umano, intellettuale e sociale espresso

in quei luoghi. In una visione a lungo termine, questa integrazione non potrà che far crescere l’impegno della Fondazione, con i suoi beni aperti al pubblico sul territorio, nell’essere un soggetto culturale attivo in una rete di servizi interconnessi. È una vera e propria sfida collettiva, da cogliere man mano che progrediscono le tecnologie del settore e gli spazi si amplificano fino alle aree metropolitane o a livello regionale.


INOLTRE

Sopra: Tre giorni per il giardino, Castello e Parco di Masino, Caravino - Foto di Elisabetta Cozzi 2014 Š Archivio FAI Sotto: Villa Necchi Campiglio, Milano - Foto di Giorgio Majno 2008 Š Archivio FAI

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INNOVAZIONE E FORMAZIONE AI TEMPI DELL’IMPRENDITORIA DIGITALE: IL CASO MILANESE DI INNOVATION LAB Riccardo Stebini

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me aziende del mondo che fatturano miliardi di dollari producendo stringhe di codici. Si potrebbe allora affermare che Marc Andreessen aveva pienamente ragione quando diceva “Software is eating the world”!

Innovazione, formazione, valore, trasformazione digitale: il ricorrere sempre più frequente di questi ed altri termini è uno degli indicatori che ci permette di capire che ormai viviamo in un mondo del business profondamente cambiato. L’avvento del digitale ha stravolto i paradigmi passati, restringendo le percezioni di tempo e distanza, ma soprattutto aprendosi a possibilità che sembravano inarrivabili. Sicuramente alle innovazioni tecnologiche va riconosciuto l’enorme valore di aver reso possibile quasi tutto quello che prima non era nemmeno immaginabile. Se ci si riflette, si realizzerà che è davvero difficile trovare qualcosa che, con il giusto investimento e l’appropriata dose di tecnologia, non si possa creare. Chi avrebbe mai pensato di poter prenotare una stanza in casa di uno sconosciuto dal proprio telefonino? Pagare una colazione “strisciando” il proprio smartphone? E, perché no, anche trovare l’amore o qualcuno con cui andare a bere una birra, “slidando” il pollice sullo schermo.

I social network, i motori di ricerca, le piattaforme di streaming e le app, dominano il mercato e, come qualsiasi altro settore in vertiginosa ascesa, hanno “fame” di competenze. Per mandare avanti queste realtà servono professionalità reali e altamente formate. Professionalità che però, fino a dieci anni fa, non esistevano. Il mondo della formazione non ha tardato a fornire la sua pronta risposta. Il paradigma dell’istruzione finalizzata a fornire personalità adatte a portare valore nella smart society é cresciuto a dismisura in tutto il mondo. Una risposta più che adeguata, che lascia trasparire finalmente l’intuizione che a supporto dell’innovazione finalizzata a portare valore, non può che esserci la formazione. Sono così “esplosi” corsi triennali, magistrali, dottorati di ricerca, master specialistici e attività collaterali come incubatori ed acceleratori, interamente dedicati al settore. A questi ultimi va sicuramente dedicato un approfondimento.

La trasformazione digitale in atto ha creato gli sconvolgimenti maggiori nel mondo delle business activities. I brand e le attività di maggior successo nell’universo dell’industria hanno lasciato inesorabilmente spazio alle società che producono “immateriale”; parliamo infatti delle pri-

La presenza sempre più massiccia del digitale nella nostra quotidianità ha aperto degli scenari particolari sul mondo dell’impreditoria. Questa si è sempre declinata in vari modelli, dall’aprire una pizzeria a creare un brand con una mela rosicchiata.


FORMAZIONE

Giuseppe Stigliano

Una volta, per l’essere umano medio che non avesse Jobs o Gates per cognome, si prospettava un percorso sicuramente in salita. I costi iniziali erano alti, era difficile trovare finanziatori e, se l’idea non era più che valida, vi era una concreta possibilità di fallimento. Oggi le cose sono diverse, è infatti possibile creare un sito, un blog o un’app con una spesa decisamente contenuta. La democratizzazione tecnologica ha reso più accessibile il modello delle startup, ma se possibile, ha reso ancora più vitale il ruolo dell’idea alla base. Gli incubatori hanno senza dubbio facilitato e reso più invitante il sogno di una propria attività, con la possibilità di essere aiutati e finanziati da un nutrito gruppo di professionisti che credono e investono nelle idee giovani e dei giovani. A tal proposito é proprio nel milanese che troviamo uno dei modelli più virtuosi in questo settore: stiamo parlando di Innovation Lab. Questa realtà, sviluppatasi nel contesto dell’università IULM, è un progetto innovativo rivolto a studenti e imprese per stimolare e agevolare la nascita di nuove idee di business. Ci siamo fatti spiegare in cosa consiste il modello dell’Open Innovation su cui si basa questa nuova realtà dal Professor Giuseppe Stigliano, docente di Retail & Brand Communication presso IULM. Si tratta di un paradigma che afferma che le imprese non possano più contare sulle sole forze interne per costruire il proprio vantaggio competitivo e debbano necessariamente adottare un modello “open” che le ponga in contatto con soggetti esterni in grado di supportarne il processo di innovazione.

La IULM si propone come partner di riferimento per facilitare e gestire questo approccio all’innovazione aziendale, facendo leva su tutto il suo ecosistema (studenti, alunni, docenti, società partner, etc.) e coordinando tutti gli attori coinvolti nel processo. Ma quale è la sostanziale differenza rispetto agli altri incubatori? Si tratta di una diversità sottile ma sostanziale. Mentre solitamente ci si focalizza su modelli di startup, che vengono seguite e lanciate sul mercato, Innovation Lab si concentra sul ruolo cruciale dell’idea. La domanda a cui gli studenti impareranno a rispondere è: “Ho un’idea! Può diventare un’idea di business realizzabile?” Una volta venuti a capo di questo dilemma, per chi riuscisse a concretizzare le proprie visioni, si entrerebbe nel vivo, con percorsi finalizzati alla strutturazione di impresa e ad una fase di accelerazione. Quindi come funziona effettivamente il progetto? Si offre un percorso gratuito di formazione basato su un ciclo di incontri con professionisti dell’ecosistema delle startup, e su una successiva fase di accelerazione e incubazione di idee di business. Particolarmente affascinante la versatilità di questo tipo di formazione, valida sia in caso di spunto imprenditoriale, ma utile anche in ambito aziendale. Un percorso consigliato a chiunque trovasse affascinanti i temi trattati. Concludendo, l’Innovation Lab è uno dei segnali positivi che l’Italia e Milano, con le loro università, provano a stare al passo con i tempi e credono in una nuova generazione che ha trasformato l’imprenditoria - ultimamente quasi imposta da un mercato del lavoro traballante come ultima spiaggia - in una brillante opportunità per creare innovazione e valore sia sul territorio locale che nazionale e mondiale.

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FOOD

IL CIBO AMICO DELL’AMBIENTE:

LE TENDENZE TRA INNOVAZIONE E TRADIZIONE Deborah Nania

La presa di coscienza del consumatore a cui abbiamo assistito nell’ultimo decennio è da considerarsi soprattutto come un fenomeno sociale, ed è interessante analizzare quanto abbia influito sulle abitudini di consumo ma anche sul modo di comunicare e sulle scelte delle aziende. Queste si sono trovate ad avere a che fare non più con una comparsa da tenere volutamente ai margini dei meccanismi commerciali ma con un protagonista ingombrante che gioca il ruolo dell’avvocato del diavolo in un mondo che cerca in tutti i modi di compiacerlo per condurlo al proprio abbeveratoio.

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Si è passati, in poco tempo, da una condizione di “passività” - in cui il consumatore si limitava a restare ammaliato dalle promesse della comunicazione - ad un utente “attivo” in grado di porsi con l’atteggiamento critico di chi cerca risposte che vadano oltre la coltre di frizzi e lazzi della pubblicità canonica. Con la complicità di Internet e di comunicazioni sempre più rapide, questa inversione di tendenza non ha risparmiato nessun settore; informazioni a cui prima era difficile risalire adesso possono essere trovate semplicemente digitando su un motore di ricerca le giuste keywords. Il mondo è cambiato in fretta e in molti hanno iniziato ad interrogarsi sul proprio modo di vivere e di sfruttare le risorse del pianeta. Il dibattito etico si è acceso su più fronti, compreso quello alimentare; ad un tratto milioni di persone hanno iniziato a ragionare davvero su quello che mettevano nel piatto: da dove viene? Come viene prodotto? Da chi? In che modo influisce sul cambiamento climatico? In una realtà in cui, per convincere una fetta sempre maggiore di potenziali clienti non basta più solo mettere insieme una campagna di comunicazione accattivante, si sono dovute trovare soluzioni alternative, studiando e immettendo sul mercato prodotti innovativi, certo, ma anche sostenibili e green. Accanto al problema però, si è presentata anche una grande oppor-

Basti pensare ai grandi sforzi fatti per rendere totalmente riciclabili, compostabili o biodegradabili i pack dei prodotti o, al contrario, per ottenerne di totalmente eco friendly partendo da materiali riciclati. In questo ambito, esempio virtuoso è il PackLab dell’Università degli studi di Milano che da 30 anni studia tecnologie per garantire la sicurezza degli alimenti confezionati. Al Lab si rivolgono tutte quelle aziende che strizzano l’occhio alle tematiche ambientali ma attente anche alla conservazione e durabilità del cibo con lo scopo di diminuire il costo degli imballaggi ma soprattutto di evitare sprechi e perdite alimentari. Un grande traguardo se si pensa alla regolamentazione dei MOCA (materiali e oggetti a contatto con gli alimenti) e alle severe misure che vengono prese negli stabilimenti affinché gli alimenti non siano contaminati durante le fasi di lavorazione, imballaggio e conservazione con materiali non idonei che potrebbero rilasciare sostanze dannose. La corsa all’innovazione si registra anche nel settore agricolo che vede la nascita dell’agricoltura 4.0 o “smart”, ad indicare il profondo legame con la tecnologia che consentirà, grazie ad Internet, computer e strumentazioni sofisticate, la condivisione di informazioni preziose tra i diversi operatori della filiera; permettendo maggiore sicurezza e controllo dei processi produttivi, ottimizzazione dei costi e tracciabilità. E se ci fossero ancora dubbi su come la tecnologia riesca ad influenzare le tendenze food, basti pensare ai prototipi di stampanti 3D per pasta fresca presentate da Barilla lo scorso anno o a Foodini, la stampante 3D per prodotti alimentari che, in un futuro non troppo lontano, ci permetterà persino di cuocere il cibo.

interrogarsi sul proprio modo di vivere e di sfruttare le risorse del pianeta in molti hanno iniziato a

tunità; se è vero che il consumatore è diventato più attento ed esigente, è altrettanto vero che è disposto a spendere di più per un prodotto ecosostenibile. Come fare, dunque, per rispondere a questa nuova esigenza? Tecnologia e ricerca, già impiegate per lo sviluppo di prodotti più performanti, sono diventate fondamentali.

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FOOD

Se da un lato le aziende si sono spese investendo in tecnologia sempre più avanzata, dall’altro molti consumatori hanno optato per una sorta di ritorno alle origini che si è tradotto, di fatto, in un riavvicinamento al naturale e al “fatto in casa” partendo da materie prime considerate sane e genuine. Espressioni come “biologico”, “chilometro zero” e “filiera corta” si sono imposte come indicatori di qualità tanto da convincere persino le grandi catene di supermercati a dedicare interi reparti a questa categoria di prodotti. Promotrici di questa filosofia sono state anche realtà come Slow Food, che ha fatto del cibo sano e buono la sua bandiera, ponendo l’accento

anche sul tema degli sprechi alimentari e della sostenibilità. Tema, quello del food waste, ripreso anche da grandi chef: Massimo Bottura, ad esempio, col suo “Refettorio Ambrosiano” ha voluto dimostrare come sia possibile ridurre gli sprechi preparando pasti per i bisognosi partendo dalle eccedenze. C’è poi chi, approfittando di questo trend, ha basato il proprio business sull’ossessione dei consumatori per la qualità del cibo, facendosi dare una mano dalla tecnologia per arrivare nelle case di tutti gli italiani. È il caso di realtà come Toc Toc Fruit e Cortilia che consegnano “cassette” di frutta e verdura, rigorosamente di stagione, scelte attraverso una filiera di coltivatori selezionati. Come? Basta collegarsi al sito internet e personalizzare in pochi click la propria spesa. Questi sono esempi di come realtà apparentemente lontane siano in sostanza due facce della stessa medaglia e di quanto la tecnologia permei così tanto la nostra vita consentendoci di raggiungere traguardi considerevoli, che si parli di tematiche ambientali o alimentari. È evidente che il futuro ci riserverà una commistione sempre maggiore di questi due mondi, che dobbiamo vedere come strade complementari per raggiungere obiettivi importanti quali la salvaguardia dell’ambiente e la qualità di quello che mettiamo nel piatto.

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Art Science Museum, Singapore

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ART

I GREEN BUILDING DELL’ARTE

QUANDO ALLA NATURA CI PENSA IL MUSEO Monica De Vivo

Le tematiche ambientali, oltre ad impattare sul business, sulle politiche e sul progresso internazionale, hanno raggiunto anche il mondo dell’arte. Vi sono diversi esempi di architetture sostenibili (i cosiddetti green building) sorti negli angoli più disparati del globo. Musei, gallerie, spazi aperti, strutture pubbliche e fondazioni private, in tanti si stanno attrezzando per trasmettere il messaggio di una sostenibilità consapevole e di una presa di responsabilità reale, attraverso l’arte. Nello specifico, con la costruzione di strutture rispettose dell’ambiente e che sfruttano al meglio le opportunità date dalla natura e dal territorio.

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www.archilovers.com

In Italia troviamo un importante esempio di museo sostenibile, si tratta del MUSE: il Museo delle Scienze di Trento progettato da Renzo Piano. Protagonista di un intervento di riqualificazione dell’area industriale dove sorgevano gli stabilimenti Michelin, la struttura è circondata da un parco, da una zona residenziale e da una commerciale. L’edificio prende ispirazione dal paesaggio trentino, con una linea che ricorda le montagne e spazi continui in un alternarsi di pieni e vuoti. L’efficienza energetica è di casa con impianti automatizzati che sfruttano l’energia solare e geotermica attraverso celle fotovoltaiche, pannelli solari e sonde a scambio termico. L’acqua piovana viene raccolta in serbatoi e gestita grazie alla domotica che comanda l’intera meccanica dell’edificio, come i sistemi di ventilazione e illuminazione.

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Facendo un salto dall’altra parte del mondo, più precisamente a Singapore, troviamo l’Art Science Museum, inaugurato nel 2011 e situato all’interno dell’hotel Marina Bay Sands (sì, quello con l’infinity pool mozzafiato). Eppure, nonostante il lusso sia una prerogativa dell’albergo, il museo è un trionfo di sostenibilità: la sua struttura a fiore di loto raccoglie l’acqua piovana che viene poi utilizzata per l’impianto di scarico dei servizi, mentre ogni “dito” (così viene chiamata ogni estensione della struttura) supporta sistemi di illuminazione tali che sfruttano il più possibile la luce naturale, impiegando così meno energia elettrica. Il museo, sviluppato su tre piani per circa 6000mq di spazi espositivi, presenta svariate mostre legate all’eco sostenibilità, come la “Season of sustainability” appena inaugurata a settembre insieme all’annuale Singapore Eco Film Festival: un’iniziativa della città volta a celebrare la difesa dell’ambiente, condividendo progetti e strumenti innovativi per migliorare l’impatto che l’uomo ha sull’ecosistema mondiale.


ART

In Nord America sono presenti alcuni musei frutto dell’attenzione per la natura e rispetto del territorio, uno di questi si trova a San Francisco, patria delle idee rivoluzionarie (non per nulla centro del movimento hippie negli anni Sessanta). È la California COPERTURA IN PRATO Academy of TESSUTO ANTI EROSIONE TERRENO TAPPETINO VEGETALE RICICLATO Science, MEMBRANA PER RACCOLTA IDRICA ISOLAMENTO CEMENTO LEGGERO FOGLIO DI METALLO ESPANSO

anche questa opera del genio Renzo Piano. È stato definito “il museo più sostenibile del mondo” ed è difficile provare il contrario. Oltre 155 mila celle fotovoltaiche provvedono a portare energia pulita alla struttura che sul suo soffitto presenta un enorme giardino che provvede all’isolamenSCHERMO ONDULATO E RETRATTILE COME to termico. PROTEZIONE DA PIOGGIA E SOLE

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RISCALDAMENTO A PAVIMENTO A BASSA ENERGIA

lafargeholcim-foundation.org


commons.wikimedia.org

Le pareti in vetro di questo green building migliorano sensibilmente l’assorbimento del calore e minimizzano così l’uso di energie per il raffreddamento del museo. In ultimo, dal tetto parte un impianto di ventilazione automatico che sfrutta le correnti del Golden Gate Park per regolare la temperatura all’interno dell’edificio. Giorno e notte, le griglie posizionate su tutti e quattro i lati della Academy si aprono e si chiudono, portando aria fresca in tutto il museo, riducendo in questo modo l’utilizzo di aria condizionata. Il Canada non è da meno in termini di strutture spettacolari e innovative. All’interno del Royal Ontario Museum di Toronto (conosciuto come ROM) sono custoditi oltre 6 milioni di oggetti in oltre 40 gallerie e dal 1933 il museo è soggetto di restauro ed espansioni. L’ultima, del 2007, è stata messa in atto dal famoso architetto Daniel Libeskind che ha la-

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vorato ad una nuova ala composta da cinque strutture prismatiche autoportanti in vetro e alluminio, percorse da travi d’acciaio. Il museo sfrutta sapientemente anche la tecnologia, offrendo ai suoi visitatori con disabilità percorsi tattili, tour con guide che comunicano attraverso il linguaggio dei segni e tour audio per ciechi, con descrizioni dettagliate delle opere. Un’attenzione importante quella del ROM, che oltre ad essere esteticamente impattante, mette in primo piano i bisogni dei propri visitatori, dimostrandosi socialmente sostenibile e rispettoso della natura umana. Guardando al futuro, facendo un ulteriore passo in avanti verso gli Emirati Arabi, troviamo un museo che ancora deve essere inaugurato. Abu Dhabi, si sa, è luogo di meraviglie tecnologiche, dai grattacieli futuristici alle “urban forest”, fino al sistema di trasporto Hyperloop One disegnato per collegare la città a Dubai in


ART

soli 12 minuti. L’impegno della metropoli nella costruzione di una realtà ecosostenibile sta venendo rapidamente comprovato dalle costruzioni a basso impatto ambientale, eleganti e durevoli che stanno già caratterizzando il suo skyline. A breve si aggiungerà un’altra perla, lo Zayed National Museum. Costruito per celebrare l’eredità dello sceicco Zayed, il museo si ispira alla natura e al volo, con padiglioni disegnati come le piume delle ali di un falco, la più alta delle quali arriverà fino a 125 metri. Tutt’attorno sono previsti dei giardini lussuriosi e laghetti decorativi che trasformeranno la zona in un parco in armonia con la natura dal forte potere evocativo. L’architettura e il design sono da sempre influenzati dalla natura, dalle sue linee, dalle sue forme, e dal suo sempre più insistente bisogno

di cura e rispetto. Nel corso del tempo gli spazi espositivi si sono evoluti da “contenitori” di arte e cultura, a location che offrono concrete esperienze interattive, ospitano eventi, laboratori e workshop. I musei vogliono comunicare attivamente il proprio DNA che, da qualche anno a questa parte, vede aggiunta una grande presa di responsabilità per il territorio. Oggi sembrano voler assumere con più forza il ruolo di promotori di cultura anche nei confronti dell’ambiente. Lanciano un messaggio importante ai loro visitatori e all’intera comunità artistica, mostrando loro come l’unione di tecnologia e innovazione può offrire sì un’esperienza di fruizione emozionante e indimenticabile, ma può anche salvaguardare l’ecosistema e prolungare la stessa esperienza in uno spazio temporale molto maggiore.

archdaily.com

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DIGITAL TRANSFORMATION

L’APPROCCIO ITALIANO ALLA CITTÀ INTELLIGENTE Sara Esposito

Sempre più di frequente sentiamo parlare di smart cities, ma cosa sono e perché sono tanto caldeggiate? La smart city è una “città ideale” che parte dal modello urbano della polis delineata da Platone nella sua “La Repubblica”, che garantisce un’elevata qualità della vita a persone e imprese, ottimizzando risorse e spazi per la sostenibilità e semplificando la vita urbana riducendo tempo ed energie consumate. L’Agenda digitale europea la definisce un posto dove le reti e i servizi tradizionali sono resi più efficienti tramite il digitale per una maggiore sostenibilità delle città. Il concetto di smart city è basato principalmente sull’efficienza resa possibile dall’integrazione delle reti digitali e dalla partecipazione attiva dei cittadini, prerogativa delle città-stato greche per l’appunto. La “smartitudine” di una città si identifica secondo sei dimensioni principali: economia, mobilità, ambiente, persone, vita e governance, ognuna connotata dall’aggettivo intelligente (“smart”). Per essere smart, una città deve avere soluzioni tecnologiche in diversi ambiti della vita urbana: Smart Energy per i consumi energetici, Smart Health per soluzioni sanitarie innovative, Smart Mobility per soluzioni integrate nei trasporti urbani, Internet of Things con la tecnologia inserita negli oggetti della quotidianità, Education e Open Data.

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TECH

In Italia un modello di smart city è stato Expo 2015 che ha lasciato in eredità principi fondamentali, come la capacità di creare un ecosistema di soluzioni verticali multivendor, offrendo modelli di business sostenibili a investitori privati e possibilità di integrarsi nel territorio con progetti replicabili in larga scala. Expo 2015 è stata un banco di prova mondiale per il nostro Paese, in particolare per i temi del digitale. Di fatto la manifestazione e la “Smart City Expo” nascono dalla collaborazione e integrazione di soluzioni verticali messe a sistema, come lo Smart Metering, la rete di fibra ottica e la sensoristica della sicurezza. Per quanto riguarda il reperimento delle risorse, Expo certamente partiva da una posizione ideale e privilegiata: 20 milioni di visitatori previsti e

finanziamenti pubblici di un certo livello (sebbene siano stati superati da quelli privati). Il fatto che partner e sponsor abbiano deciso di credere e investire nel progetto fa riflettere: oggi si rende necessario creare condizioni tali per cui i privati trovino conveniente investire in nuovi modelli di business. Expo Milano 2015 è stata la prima Esposizione Universale in cui gran parte dei visitatori possedeva uno smartphone; il pubblico è diventato in questo modo utente e collaboratore, lo smartphone strumento d’accesso ed elemento d’interazione con il mondo dell’Internet of Things. Inoltre la smart city di Expo, nata per il sito espositivo, si è integrata con il territorio in modo da essere replicabile; da questa scelta sono nate diverse iniziative come Extended Expo: il

Infografica che evidenzia la piattaforma tecnologica alla base della Digital Smart City che Cisco ha contribuito a realizzare come Partner di Expo - gblogs.cisco.com/it

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progetto permette ai partner di Expo2015 di valorizzare le competenze e le soluzioni maturate nel progetto stesso per trasformarle in parti integranti della loro offerta per imprese e cittadini. Un’altra proposta dal respiro internazionale sulla scia delle smart cities è E015. Nato in occasione di Expo (in una vera e propria collaborazione tra Expo 2015 SpA, Confindustria, CCIAA di Milano, Confcommercio, Assolombarda e Unione del Commercio) e con il coordinamento tecnico-scientifico di CEFRIEL Politecnico di Milano, è un sistema di condivisione di servizi che rispecchia bene il concetto di integrazione con il territorio. Grazie alle tecnologie dell’IoT, il sistema rileva numerosi dati che vengono utilizzati per costruire servizi che a loro volta abilitano degli applicativi che vengono messi a disposizio-

biometrica e circa 15mila sensori per la supervisione della rete. Per l’aspetto energetico è stata installata nell’intera area una smart grid per la gestione delle rete elettrica e il controllo dei consumi (Smart Metering), ma anche un sistema di illuminazione pubblica intelligente. Era presente poi una copertura del sito espositivo con reti a banda ultralarga fissa e mobile, posando 300 km di fibra ottica, e sei stazioni radio macro e 12 micro per la connettività 4G LTE: un network che, secondo il bilancio stimato, nei primi giorni di Expo ha sostenuto una media di 95 mila chiamate e 530 GB di traffico dati. Presente ovviamente anche una gestione delle infrastrutture via cavo, mobile e Wi-Fi (con 2700 punti di accesso). A mettere in relazione il tutto la Service Delivery Platform, il ‘sistema nervoso’ dell’Esposizione Universale: durante il semestre ha gestito oltre 2,5 milioni di transazioni e 7,5 milioni di notifiche al giorno.

Expo 2015 è stata un banco di prova mondiale per il nostro Paese ne del territorio. Nel 2015 i servizi riguardavano ovviamente Expo, in seguito però si sono ampliati attraverso l’apporto di numerosi operatori nell’area di Milano che collaborano al progetto. L’approccio tutto italiano alla smart city ha attirato l’attenzione di Dubai che, colpita dall’infrastruttura tecnologica a supporto di Expo 2015, ha mostrato interesse per l’aspetto innovativo e tecnologico legato allo sviluppo della città intelligente. Temi come sostenibilità, mobilità e opportunità saranno al centro dell’Expo 2020 che si focalizzerà su come la smart mobility e lo sviluppo sostenibile potranno sia migliorare la qualità della vita nelle città che valorizzare il business. Tornando ad Expo 2015 in quanto sito all digital, è frutto dell’integrazione delle tecnologie di molti operatori innovativi. A partire dalla sicurezza, nella “cittadella digitale” è stato predisposto un sistema con oltre 1500 telecamere anti-intrusione, 200 punti di controllo con tecnologia

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Uno dei concetti centrali della tematica smart city è che la Pubblica Amministrazione si deve fare promotrice di innovazione. Le città intelligenti stanno decollando grazie ad un numero crescente di moduli a basso costo, di sensori e di una serie di servizi di ultima generazione che le rendono grandi opportunità di miglioramento urbano e sociale. Per avere realmente successo però, il processo di apprendimento di così tante informazioni sui rispettivi abitanti deve essere gestito in maniera ottimale e per farlo è necessaria un’adeguata infrastruttura. Smart city, Internet of Things e smart objects. Modi diversi di chiamare una nuova dimensione tecnologica dove tutto può essere connesso e messo in grado di comunicare. Questi oggetti consentono di inaugurare un orizzonte di nuovi servizi capaci di migliorare la qualità della vita e del lavoro dei cittadini. Tutto diventa più smart, più intelligente, più comodo, in sintesi: più utile. Il progresso è inarrestabile, l’intelligenza computazionale è uscita dai computer e può essere integrata a un qualsiasi “smart object”.


TECH

La IoT è però una tecnologia che richiede una grande competenza progettuale. Nelle smart city le fabbriche, gli uffici, i magazzini, i negozi e qualsiasi azienda, indipendentemente dalle dimensioni e dal tipo di business, hanno bisogno di usare sempre di più e sempre meglio le tecnologie digitali. Rendere più smart gli oggetti con cui si lavora ogni giorno aiuta a rendere più efficienti i processi, ad azzerare gli sprechi e gli errori, a velocizzare l’operatività.

Il futuro delle smart city dipende dalle organizzazioni che riusciranno a intuire le potenzialità legate a nuovi criteri di integrazione e di sviluppo delle tecnologie digitali, sfruttando la Internet of Things per potenziare il business. A brevissimo, tutto ciò che potrà essere digitalizzato, connesso, contribuirà a una digital transformation fondata su una connettività di nuova generazione che parte dall’evoluzione tecnologica e dall’utilizzo dei dati.

Sono già tantissime le aziende che utilizzano le tecnologie smart per ottimizzare le procedure interne, basti pensare alle poste italiane, all’INPS, alle banche stesse che ormai offrono servizi online per sfoltire le affluenze di utenti nelle strutture fisiche. Ci vogliono system integrator esperti, capaci di effettuare dettagliati test per verificare la fattibilità delle soluzioni e la tipologia delle configurazioni più adatte, scegliendo d i volta in volta l’hardware più idoneo per poi sviluppare il software necessario a essere integrato al sistema gestionale dell’organizzazione. La realtà delle smart city è ogni giorno più concreta e, nonostante i suoi innumerevoli vantaggi, vi sono ancora numerosi dubbi da chiarire in merito alla condivisione totale di dati, alla realtà virtuale così pervasiva che pare voler sostituire il nostro quotidiano. Ma quando un cambiamento è così radicale possiamo fare due cose: opporci ad esso pur sapendo che arriverà inesorabilmente, o prenderne atto e prepararci nel modo migliore, comprendendone in toto pro e contro e rendendolo il più possibile affine a ciò che vogliamo senza esserne travolti e fagocitati passivamente. Arrivati a questo punto tocca decisamente a noi essere...”smart”.

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Incrocio tra le antiche strade San Donato, San Vitale, Maggiore e Castiglione


VOCE ALLE P.A.

SMART CITY MADE IN ITALY IL TALENTO DI SAPER CAMBIARE La Redazione

Negli ultimi anni la tematica della sostenibilità ha assunto un’importanza globale, divenendo argomento centrale di una discussione mediatica che, in un modo o nell’altro, tocca tutti molto da vicino. I cambiamenti climatici che stanno trasformando il nostro pianeta hanno un forte impatto sulla vita, sul business e sull’organizzazione delle città del mondo.

eventi sostenibili: diminuire l’impatto ambientale e sensibilizzare i cittadini L’intero humus sociale e culturale sta cambiando e oggi, fortunatamente, stanno aumentando le grandi realtà imprenditoriali e governative che si stanno muovendo per dare il proprio contributo ad un progresso sempre più attento all’ambiente. Tra le Amministrazioni più impegnate sotto questo punto di vista troviamo il Comune di Bologna. Il capoluogo emiliano infatti, oltre ad essere stato sede dell’ultimo G7 Ambiente, si trova al primo posto nel rapporto “Smart City Index 2016” che ha definito la città come la più intelligente e innovativa d’Italia. Un riconoscimento ottenuto anche grazie a numerose azioni “di sistema” che hanno dato vita a best practice da condividere con il resto del Paese.

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Abbiamo approfondito il tema con il Sindaco Virginio Merola che ha condiviso con noi alcuni dei progetti volti a migliorare ed innovare questa città metropolitana (e non solo). Quest’anno Bologna è stata la capitale mondiale dell’Ambiente con #ALL4THEGREEN: il programma di 70 eventi aperti al pubblico che ha anticipato il G7 svoltosi l’11 e 12 giugno. A distanza di qualche mese, come valutate questa esperienza e qual è stato il feedback di cittadini e istituzioni?

VIRGINIO MEROLA PROFESSIONE Sindaco di Bologna FORMAZIONE Laureato in Filosofia,

inizia il suo impegno nell’amministrazione pubblica nel 1995 con l’elezione a Presidente del Quartiere Savena, incarico che svolge per due mandati fino al 2004. Nel giugno di quell’anno viene eletto Assessore all’Urbanistica, alla Pianificazione Territoriale e alla Casa nel Consiglio Comunale. In questa veste, ha proposto e ottenuto l’approvazione del nuovo Piano Strutturale Comunale (PSC). In cinque anni di mandato, ha curato un programma urbano complesso, dedicato alla riqualificazione della città. Dal 2011 è Sindaco di Bologna.

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Avere organizzato tanti eventi con altri partner è stato molto importante. Gli appuntamenti sono stati di alto livello e tutti partecipati. Ricordo anche che abbiamo sottoscritto assieme ai Sindaci metropolitani la “Carta di Bologna per l’Ambiente. Le Città metropolitane per lo sviluppo sostenibile”, un documento che impegna le maggiori città del nostro Paese nel raggiungimento di importanti obiettivi di qualità ambientale. C’è stata molta attenzione e siamo riusciti a creare interesse attorno ai temi legati all’ambiente. Anche grazie a progetti come #ALL4THEGREEN Bologna si è guadagnata l’appellativo di città più intelligente d’Italia, comparendo al primo posto dello Smart City Index. Cosa fare per esportare questo modello virtuoso nelle altre città italiane e far crescere il Paese? Occorre sempre di più capire che il fattore tempo, per i cittadini, è fondamentale. Una buona Amministrazione deve ridare tempo alle persone, questo vuole dire offrire sempre di più servizi online e possibilità di condivisione dei beni comuni. Da parte nostra abbiamo fatto tanto: molti servizi comunali sono disponibili sul nostro sito internet, così come – prima città in Italia – abbiamo creato un regolamento sui beni comuni e aperto la sezione “Comunità” su Iperbole, la nostra rete civica (uno spazio online per partecipare alla vita pubblica, promuovere la collaborazione e la cura dei beni comuni). Il consiglio che mi sento di dare è prendere


VOCE ALLE P.A.

bolognaoggi.com

quanto di buono ogni Amministrazione fa e condividerlo, per crescere come Paese. L’utilizzo consapevole di tecnologie innovative e a basso impatto ambientale può diventare elemento cardine dell’organizzazione di eventi? Secondo voi, aziende e agenzie sono attente e responsabili sotto questo punto di vista? Sicuramente sì. Basti pensare che il palco dell’evento più partecipato di #ALL4THEGREEN - il concerto in Piazza Maggiore del Maestro Ezio Bosso - è stato alimentato con un impianto fotovoltaico. Sarebbe molto importante andare in questa direzione, realizzare eventi sostenibili così da diminuire l’impatto sull’ambiente e, al tempo stesso, sensibilizzare i cittadini in tal senso. Per l’evento natalizio “Christmas Lights Show”, il Comune di Milano ha deciso di rivolgersi alle grandi realtà del mondo dell’eventistica, promuovendo così una forte partnership tra la Pubblica Amministrazione e le agenzie di eventi, con l’obiettivo comune di valorizzare la città. Come definite il vostro rapporto con il mondo della Live Communication? Cosa chiedete ai suoi interlocutori per migliorare una relazione che possa portare benefici anche in termini di evoluzione “smart”?

Nel corso degli anni a Bologna si sono svolti diversi eventi di Live Communication, grazie alla presenza di agenzie specializzate che hanno evidenziato la grande efficacia di iniziative di questo genere nel veicolare messaggi e, nello stesso tempo, intrattenere il pubblico. La tendenza per il futuro è quella di valorizzare progetti che associno sempre più la sostenibilità alle finalità di questo tipo di comunicazione. Per essere Smart una città non necessita esclusivamente di tecnologie all’avanguardia e strumenti di gestione innovativi. Essere una metropoli “intelligente” significa intendere l’importanza di percorrere una strada verso l’efficienza (energetica e procedurale) insieme ai cittadini, alle istituzioni, e perché no anche alle aziende e agenzie. La presa di responsabilità degli organi pubblici è un primo passo che sperabilmente raggiungerà anche settori privati in un sviluppo virtuoso e rispettoso dell’ambiente e della società. Bologna sta inserendosi in un ecosistema tutto italiano ancora in fase di sviluppo. La sfida che la attende è quella di valorizzare i suoi successi intelligenti e trasmetterli ad altre città affinché possano portare avanti un più grande progetto di sostenibilità nazionale per i cittadini di oggi e di domani.

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MOBILITÀ SOSTENIBILE

QUANDO UN’UTOPIA DIVENTA REALTÀ Francesca Passoni

Abbiamo voluto rendere la smart city il centro di questo numero perché è una realtà che viviamo sempre di più. Numerosi sono i city users che si trovano a sperimentare nuove dinamiche, nuovi progetti e nuovi sistemi “intelligenti” che, più o meno rapidamente, stanno influenzando la loro quotidianità. A fronte dell’aumento dei servizi di car sharing, di monitoraggio dei consumi e di nuovi modelli di autovetture, abbiamo voluto approfondire uno degli elementi più caratterizzanti del moderno concetto di smart city: la mobilità sostenibile. Gianalfredo Furini ci ha presentato la filosofia ed i progetti eco sostenibili del suo Gruppo Acquisto Ibrido (GAI). Eco sostenibilità e mobilità green sono temi di cui si parla molto in questi ultimi anni e voi lo fate in modo entusiasmante e appassionato. Da cosa è nato GAI e da quanto siete attivi?

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Io e Luca (Dal Sillaro, co-fondatore n.d.r.) proveniamo dall’ambiente dei Gruppi di Acquisto Solidale. Nel 2012 avevamo l’esigenza di cambiare auto e, forti del nostro interesse e passione per la sostenibilità ambientale, abbiamo pensato di acquistarne una ibrida. Da questa occasione abbiamo scelto di mutuare il modello d’acquisto dei GAS e di portarlo nel settore della mobilità, ma non come la si intende comunemente; non volevamo SUV o macchine inquinanti, volevamo impiegare solo autoveicoli a basso impatto ambientale. Nel 2012 abbiamo acquistato le nostre prime 16 vetture con uno sconto che non sarebbe stato raggiungibile da una persona singola, ma ciò che ci ha aiutato molto ad emergere nel settore è stato - oltre al seguito di persone sin dal primo anno - un articolo pubblicato sul Corriere della Sera, che ci ha davvero aperto le porte di questo mercato. Quando abbiamo iniziato non avevamo in mente di creare un Gruppo d’Acquisto; volevamo semplicemente condividere ciò che sapevamo, per fare in modo che quante più persone avessero tutte


VOCE ALLE AZIENDE

le informazioni necessarie per creare i propri Gruppi autonomi. Non avevamo idea che questo sarebbe diventato il nostro lavoro, l’articolo ha cambiato lo scenario e quindi abbiamo pensato di costituirci come associazione. Ad oggi abbiamo fatto acquistare più di mille vetture, accompagnando i consumatori verso una scelta “filosofica” e aiutandoli a superare uno degli ostacoli comunemente associati all’acquisto di un’auto ibrida: il prezzo. Da un’esigenza personale avete dato vita ad un progetto che promuove un modo sostenibile di muoversi in città. A questo proposito, come trovate l’Italia a livello di innovazione tecnologica? Il nostro Paese è pronto per “convertirsi” ad una mobilità green? La tecnologia c’è e credo che l’ibrido al momento rappresenti il miglior modo per consumare e inquinare meno. Se oggi tutte le vetture fossero ibride, avremmo metà dell’inquinamento e del consumo, quindi è una soluzione raggiungibile.

Utilizzando l’immagine di un faro di luce, che credo sia rappresentativa, mi sento di dire che adesso c’è un “faro acceso” sul tema ibrido e lentamente questo si sta allargando anche verso la mobilità elettrica. Dobbiamo eliminare le auto di vecchia generazione, specialmente se come alternativa abbiamo auto ibride che in città mediamente fanno 100km con 4 litri. Già oggi c’è la possibilità di ridurre l’inquinamento, ma penso che si debba fare di più, come ad esempio aumentare la circolazione di auto elettriche. In questo caso però si entra nel tema delle infrastrutture che credo siano ancora carenti: in città si circola tranquillamente ma mancano colonnine di ricarica in periferia e nel resto del territorio. Credo comunque che iniziare a muoversi con l’ibrido sia già un gran passo avanti per il Paese, spero che questa tendenza si sviluppi anche sull’elettrico. Tra le varie attività di cui vi occupate, organizzate anche corsi per guidare auto ibride: da cosa è nata questa idea alternativa? E qual è il feedback dei partecipanti?

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In GAI l’aspetto sociale è molto importante, per questo motivo ci occupiamo di fornire ai nostri associati e non, dei corsi di guida ibrida dove spieghiamo alcuni accorgimenti e tecniche per guidare un’auto ibrida consumando ancora meno di quanto viene dichiarato dalle case produttrici. L’idea è nata anche per rispondere ai dubbi dei consumatori che ci chiamano quando vedono che i propri consumi non corrispondono a quelli comunicati. Il corso quindi nasce come occasione per trovarsi, alimentare il dialogo sul tema e perché no, anche per condividere qualche trucco.

Oltre ai corsi di guida organizziamo le GAI Economy Run, durante le quali facciamo gareggiare auto ibride di diverse marche e premiamo quelle che consumano di meno. In una scorsa edizione c’è stato chi è riuscito a fare 43km con un litro! Sono belle occasioni, perché ci divertiamo molto tutti insieme. In questa ottica sociale, e in quanto gruppo, cercate di instaurare rapporti con le Pubbliche Amministrazioni? Come valutate la loro risposta all’esigenza sempre più presente di muoversi in modo sostenibile?

Quando organizziamo le gare chiediacondividere ciò che mo sempre il patrocinio della località sapevamo, non avevamo idea che che ci ospita. Nella mia opinione c’è un interesse per quello che questo sarebbe diventato il nostro lavoro

Volevamo

Con i nostri formatori organizziamo corsi della durata di una giornata, costituiti da una parte di teoria in aula e una di pratica su terreno pianeggiante e in collina. Chi partecipa torna a casa decisamente contento, perché riesce a sfruttare al meglio la propria auto. Da quando abbiamo dato inizio alle classi abbiamo formato più di 350 persone e la nostra pagina Facebook è piena di commenti entusiasti. Questo ci rende molto felici e mi fa pensare che siamo riusciti a creare un’occasione di incontro che unisce le persone, persone che devo dire hanno voglia di imparare, di capire, di conoscere e approfondire quello che possono fare con questo tipo di tecnologia che spesso non viene spiegata.

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si comunica, però non si va oltre…abbiamo parlato con diverse realtà per introdurre questo sistema del Gruppo d’Acquisto per le auto del comune o dei vigili ad esempio, ma siamo ancora fermi. D’altra parte promuovere la mobilità sostenibile è ancora un po’ difficile, perché a livello governativo non ci sono incentivi all’acquisto, al contrario di molti paesi esteri dove sono sostanziosi. Sappiamo che in alcune province, come Trento e Bolzano c’è più sensibilità, ma è ancora poco. Bisognerebbe fare di più, spesso dare un incentivo in un lasso di tempo limitato può rivelarsi controproducente e credo che sarebbe meglio fornirne uno continuo, anche se siamo tutti a conoscenza dei costi ancora alti di queste autovetture.


VOCE ALLE AZIENDE

Un gesto che trovo positivo è quello della Puglia, dove se si acquista un’auto ibrida si è esenti dal bollo per 5 anni, non sono pochi! A Roma si p a rc h e g g i a gratuitamente sulle strisce blu, a Milano si entra gratuitamente nelle ZTL: alcune azioni vengono compiute, ma in modo sparso a parer mio. In definitiva, credo che le idee innovative non manchino, la mia speranza è che vengano seguite di più anche in modo centralizzato. Condivisione e confronto sono due aspetti fondamentali per il progresso. Qual è il target che si avvicina alla mobilità sostenibile? Credete si sia creata una comunità tale che porterà avanti il messaggio di una mobilità più “verde“ nelle generazioni future? Il pubblico che ci segue è eterogeneo al massimo. Andiamo dal pensionato alle famiglie, fino ai più giovani… l’interesse sicuramente non manca. Negli ultimi tempi abbiamo notato che le auto ibride hanno componenti sempre più tecnologici e questo influisce sul potenziale acquisto. Le nuove generazioni sono molto incuriosite da questo tipo di vettura, anche se l’estetica credo che sia ancora da migliorare; lavorare su forme più eleganti e colori accattivanti certamente farebbe più presa sul pubblico, che va attirato anche con la forma, per poi conquistarlo con la sostanza.

All’estero la chiamano “congestion charge” e la pagano anche le persone che guidano auto elettriche e ibride. Una città intelligente sa capire in quali zone può esserci una circolazione di auto e in quali no, è provvista di una rete di trasporti pubblici funzionante, fa molto affidamento al car sharing e utilizza tutte le tecnologie più innovative. Sempre più aziende automobilistiche si stanno attrezzando per approcciare il mercato della mobilità sostenibile, un passo che si rivela ancora più importante quando è supportato da intere comunità che vogliono realmente contribuire alla cura e al progresso del nostro Pianeta.

GIANALFREDO FURINI Nato il ventiquattro febbraio millenovecentosessantasette. Formazione amministrativa, amo definirmi il “contabile che scarica i camion”. Appassionato di automobili e di tecnologia, amico degli animali. Ricercatore e collaudatore di tutto ciò che sostiene l’ambiente e risparmia energia. Il GAI mi ha coinvolto fin dal principio per l’apporto di estrema innovazione oltre che per il grande coinvolgimento personale dei partecipanti.

Un’ultima domanda: come deve essere secondo lei una “città intelligente”? La smart city è quella città che sa sfruttare la tecnologia per poter vivere meglio e, perché no, che sa mettere d’accordo le persone. Mi viene in mente il discorso sull’accesso in centro città: anche se guido un’auto che inquina la metà, forse non dovrei comunque avere l’autorizzazione all’ingresso in centro, perché comunque contribuisco alla creazione di traffico.

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THE GREEN CARPET FASHION AWARDS ITALIA 2017

MATEJA BENEDETTI E TIZIANO GUARDINI, DUE TALENTI “GREEN” Francesca Cagliani

Milano, settembre 2017. Si apre un nuovo scenario nel panorama della moda italiana con il Green Carpet Fashion Awards Italia, evento organizzato dalla Camera Nazionale della Moda Italiana in collaborazione con Eco-Age, con il supporto del Ministero dello Sviluppo Economico e di ICE Agenzia. Il tutto patrocinato dal Comune di Milano. L’evento mira a valorizzare e a portare l’attenzione sul concetto di sostenibilità, per promuovere e diffondere i valori di una moda “bella e buona”. Bella perché enfatizza il grande valore del Made in Italy e buona perché è fortemente legata ad un concetto green, attorno al quale è nato l’intero progetto. La richiesta nei confronti dei designer partecipanti al contest è stata quella di realizzare dei capi che avessero come comune denominatore quello di essere ecosostenibili e rigorosamente Made in Italy.

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Lo scorso 3 luglio a Parigi, una giuria internazionale ha selezionato i cinque finalisti. Le linee guida per la realizzazione dei capi sono state dettate da Eco-Age di Livia Firth, Founder and Creative Director di questa realtà che ha come principi cardine quelli legati ai tanti impatti sociali ed ambientali generati dall’industria della moda. L’evento di chiusura avrà luogo al Teatro alla Scala di Milano, cuore pulsante della cultura e del “bello”, il 24 settembre durante la settimana di Milano Moda Donna. Ad affiancare i nuovi talenti ci saranno nomi importanti come Fendi, Giorgio Armani, Prada, Gucci, Valentino, Ermenegildo Zegna e Agnona. Il vincitore riceverà il premio “The Franca Sozzani GCC

Award for Best Emerging Designer” e si aggiudicherà l’opportunità di presentare la propria collezione durante la Milano Fashion Week di febbraio 2018. Chi sono i finalisti? Matea Benedetti, Calcaterra, Co|Te, Leo Studio Design e Tiziano Guardini. Noi abbiamo incontrato Mateja Benedetti e Tiziano Guardini e ci siamo fatti raccontare le loro storie e qualche curiosità sul loro approccio al concetto di sostenibilità legato al tema moda.


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Chi sono Mateja e Tiziano? Mateja: Una stilista e costumista slovena. Tiziano: Un sognatore, un curioso, un ricercatore, un “compagnone” e tante altre cose, ma credo che questa volta sia il caso di focalizzarsi sul mio lavoro: sono un fashion designer che ha deciso di fare la sua parte nell’amare questo mondo e quindi sentire e tutelare la sacralità della vita.

que “distante”. Io amo la natura e la rispetto quotidianamente nella mia vita: dalla semplice raccolta differenziata allo scegliere detersivi che siano ecocompatibili, quindi anche nel mio lavoro di designer metto “me”. Secondo te il trend della moda eco diventerà un denominatore comune a molti brand?

Per questo ho voluto provare a creare un marchio che rappresentasse i più alti valori possibili nel settore della moda, rispettando però l’ecosistema e i lavoratori, dando vita ad un prodotto “sano”. Da allora abbiamo sviluppato un brand con un forte legame con il mondo del lusso e dell’ecosostenibilità.

Mateja: La gente è sempre più consapevole che non è solo la natura la causa delle catastrofi che succedono in tutti i paesi del mondo, ma gioca un ruolo importantissimo anche il comportamento umano. Se vogliamo vivere in armonia con la natura, saremo costretti a fare concreti cambiamenti nell’industria, non solo di moda, ma anche del bestiame (che è la causa numero uno del surriscaldamento terrestre), automobilistica, nell’architettura... e non stare solo ad attendere che qualcun’altro faccia tutto per noi. Credo infatti che lo sviluppo dei valori sostenibili sarà essenziale in tutti i settori nei prossimi decenni, altrimenti la natura stessa ci cancellerà dal pianeta. Per questo è necessario che si parli meno e si faccia di più. Non è abbastanza avere una t-shirt con lo slogan ambientale. Si deve agire responsabilmente.

Tiziano: Nasce dall’ascoltare me stesso. Quando si affronta un lavoro creativo credo che non si possa essere “avari” nell’esprimerlo, altrimenti facilmente arriverà un lavoro sterile o comun-

Tiziano: Fortunatamente credo di sì, anche se bisogna avere molta tenacia. Ancora adesso è difficile avere tutto quello che possa esprimere la tua creatività con una connotazione ecososte-

Come nasce l’idea di creare un prodotto sostenibile e perché? Mateja: L’idea è nata alcuni anni fa chiacchierando con la mia migliore amica sugli avvenimenti nell’industria della moda. Abbiamo purtroppo scoperto quanto sia inquinante la produzione degli abiti per il nostro ambiente e come sia crudele il sistema per gli operai che lavorano nelle grandi produzioni.

nibile. Comunque stiamo facendo grandissimi passi avanti: la domanda sta aumentando e la legge del mercato sta imponendo all’offerta di essere “trendy” e quindi di produrre materiali, tessuti e lavorazioni ecocompatibili. Quali valori vuoi trasmettere attraverso i tuoi capi? Mateja: I nostri capi sono rispettosi del mondo animale e dell’ambiente e, paradossalmente, si prendono cura della salute, perché i materiali che scegliamo sono fra i più “sani” che esistono. Ciascun prodotto è realizzato utilizzando i migliori tessuti naturali, organici, colorati con estratti botanici o coloranti ecologici. Ogni pezzo è connotato da un forte potere emotivo, legato ad un’idea di natura romantica, ma al contempo decisamente contemporanea. L’obiettivo è far parte di un quadro più grande, che pone l’umanità ad un livello più elevato di coscienza e rispetto verso ogni forma di creazione. Le collezioni possiedono il giusto mix tra elementi forti come lusso e sostenibilità, tradizione e modernità, fragilità e forza. Tiziano: Il valore della vita... in realtà l’ecostenibilità per me è un allenamento a mantenere il cuore aperto nei confronti di chi sta lontano: persone, piante, animali che magari non incontrerò mai ma so che con un mio gesto attento posso “armonizzarmici”. Non scorderò mai le parole di un collega durante una sfilata fatta insieme: dopo il fitting che

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Mateja Benedetti

MATEJA BENEDETTI La sua carriera ha inizio come costumista per i teatri d’Opera in Italia, Slovenia e Germania, e presso tanti altri teatri in tutto il mondo. Da sempre appassionata di moda e ambiente, Mateja decide di accettare una delle sfide più ardue dei nostri giorni: creare un marchio luxury che rappresenti i grandi valori ambientali. Un obiettivo che persegue sin dalla prima esposizione del marchio Matea BENEDETTI, presso un noto multi-brand di Lubiana e con il primo showroom di Milano in Via Montenapoleone. Dopodiché sono usciti i primi articoli sulle testate più prestigiose del settore - Vogue, BOOK Sposa, Rendez-Vous de la Mode, Elle, fino alla sfilata di Lubiana per la Settimana della Moda Mercedes-Benz nell’aprile 2017. Mateja, con il suo team, continua a crescere in campo stilistico e d’innovazione, dedicandosi anche a diffondere un impegno morale a favore del benessere dell’ecosistema.

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avevo fatto mi si è avvicinato e mi ha chiesto: “Che cosa gli hai fatto? Dopo la prova con te, le modelle sono tornate più luminose.”. Quindi tutta questa attenzione alla celebrazione della vita arriva alle persone. Cos’ha significato per te partecipare al concorso? Mateja: Per me è una grande opportunità per farci conoscere al pubblico. Green Carpet è uno fra i più importanti eventi a cui ho partecipato nella mia vita, perché conferma che siamo sulla via giusta. Siamo stati supportati da tutto il team di Livia Firth di Eco-Age e CNMI, che ha fatto un incredibile lavoro non solo per noi ma per l’umanità. È un team da rispettare con tutto il cuore ed io sono più che orgogliosa di essere fra i cinque finalisti. Sono senza parole ed è veramente difficile descrivere quello che rappresenta per noi questo concorso. È molto di più di un evento e di un eventuale premio.

Tiziano: Il coronamento di un sogno. La sostenibilità è stata la mia strada da quando ho deciso di fare questo lavoro; quindi appena è stato pubblicato il concorso mi sono arrivate diverse mail di amici che mi dicevano: “Questo è il concorso per te devi farlo”. Ed eccomi qui. L’organizzazione Eco-Age è da sempre portatrice di questo messaggio di sostenibilità e ha permesso di dimostrare concretamente la possibilità di vivere la moda in maniera diversa. Noi siamo quello che pensiamo, come agiamo, e quindi perché non agire con il cuore

rivolto al pianeta? Il concorso è essenzialmente l’occasione di fare ancora meglio il mio lavoro. Il tuo stilista preferito? Mateja: Ce ne sono tanti… stimo Antonio Marras per i pattern e per come combina differenti materiali, mi piace Gucci per la creatività e l’espressività - anche io sono un po’ teatrale! - poi Iris Van Herpen perché ha sviluppato nuove tecniche nell’Haute Couture ed è molto organico nelle forme. Ultimo ma non ultimo, Martin Margiela per come ha inserito la moda in un concetto totalmente nuovo. Tiziano: È difficile a dirsi. Ne scelgo tre che hanno fatto la storia della moda e che sono molto diversi tra loro:

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Alexander McQueen, Valentino Garavani e Martin Margiela. Rivedere le loro creazioni mi emoziona enormemente. Da cosa trai ispirazione? Mateja: Per creare una nuova collezione comincio sempre con una ricerca nel settore dei tessuti sostenibili. Mi interessano tanto le innovazioni e i materiali naturali o riciclati. Parallelamente mi occupo, insieme al mio team, di ricerca sul mondo animale, come ad esempio quali specie sono in estinzione e perché. Normalmente contattiamo anche scienziati ed ecologisti che ci danno una mano nel capire in quale situazione si trova la nostra Terra. Tutte le informazioni raccolte cerco poi di rielaborarle, dando vita agli abiti e strutturando una buona e coerente comunicazione del brand. Perché non vogliamo solo creare, ma anche istruire e fare capire che cosa succede nel nostro ecosistema attraverso la bellezza. Perché la bellezza “che toglie” non è la vera bellezza. Tiziano: Da tutto! Sono un curioso, quindi sono sempre pronto ad accogliere nuovi spunti. Quando ho insegnato in Accademia dicevo continuamente ai ragazzi di alzarsi dal letto già con la voglia di fare ricerca. In un mondo dove oggi la moda sposta sempre di più le produzioni all’estero, cosa significa secondo te cercare di mantenere vivo il vero Made in Italy?

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Mateja: Se guardiamo la moda di 100 anni fa diciamo che era solo per “ricchi”. Oggi tutti vogliono dare l’impressione di esserlo e per questo motivo è nato il “fast fashion” come risposta alla massa. Capi trendy ma senza qualità. Economicamente la via più facile è quella di produrre all’estero per pochi soldi, senza responsabilità, senza controllo e massivamente. Il Made in Italy è l’opposto. Per me vuol dire qualità, artigianato, lungo termine. I lavoratori sono pagati come si deve e, senza dubbio, il Made in Italy rappresenta il lusso nel mondo. È più che mai la risposta giusta al “fast fashion” e sempre di più si deve mantenere

e costruire attorno al concetto di rispetto ambientale. Tiziano: Questa è una domanda molto difficile per me, in quanto non posso dimenticare il racconto dell’astronauta italiano Luca Parmitano. Andò nello spazio e, guardando da quella prospettiva, si accorse che non ci sono confini reali e che questi sono solo nella nostra mente. Ancora oggi tengo questo ricordo fisso nella mia mente. D’altra parte dobbiamo domandarci: perché le produzioni vengono spostate all’estero, anche se in Italia abbiamo un potenziale enorme nell’industria del fashion? La mia domanda è un po’ provo-


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TIZIANO GUARDINI Tiziano Guardini è stato più volte recensito dalla stampa specialistica come il NY Times, Vogue e Interview. Il Corriere della Sera lo ha definito “lo stilista della natura”. Nasce negli anni ‘80 a Roma, fin da bambino è affascinato dal mondo della moda e in età adulta decide di intraprendere il suo percorso di studio all’Accademia Koefia di Roma. Sulla sinistra: Tiziano Guardini © Nathalie Malric

catoria, ma dovremmo sentirci più consapevoli e renderci conto che tutto questo consumismo - soprattutto nel fashion - non porta né benessere né ricchezza. Tre valori del Made in Italy. Mateja: Qualità, artigianalità e lusso. Tiziano: Saper fare, ricercare, emozionare. Dove sarai fra 10 anni? Mateja: Spero che nei prossimi 10 anni svilupperemo Matea BENEDETTI ad un livello tale

da garantire una moda sana, cosciente e di alta qualità. Per me il premio più grande sarebbe vedere il nostro Pianeta collegato con la natura attraverso una tecnologia green, cioè senza l’inquinamento causato dalle nostre esigenze quotidiane. Tutti i giorni penso a come crearlo, perché ne vale davvero la pena. Tiziano: Spero a sognare nuove sfide, accumulando più fiducia in me stesso, coinvolgendo più persone in questa mia visione di vivere in armonia con la Vita. #EarthneedsHeart

Dopo aver conseguito il titolo di stilista di moda e il master in Responsabile di Prodotto, inizia varie collaborazioni in uffici stile di alcuni atelier romani. Tiziano disegna una donna in perfetta armonia con la Madre Terra, quella Terra che l’ha generata e vestita, impreziosendola con tessuti e accessori meravigliosi proprio perché mantenuti nella loro origine, ma sapientemente adattati ad enfatizzare la bellezza e l’armonia femminile. Una donna saggia e naturale che si proietta nel contesto urbano conservando quello sguardo genuino e disincantato.

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A SPASSO CON HYUNDAI IONIQ

GIANLUCA PIROLI: UN’ANIMA ECO-GREEN DELLA MODA ITALIANA Francesca Cagliani

Con il tema Smart City al centro del nostro numero, abbiamo trovato in Hyundai il partner ideale per essere noi stessi i primi ad utilizzare e promuovere una mobilità più sostenibile. In un grigio pomeriggio settembrino infatti, ci siamo messi alla guida della nuovissima Hyundai IONIQ - connubio perfetto fra tecnologia ed ecosostenibilità - e abbiamo accompagnato il nostro ospite in un tour ad “emissioni zero” della città di Milano. La nuova nata in casa Hyundai è ideale per chi ama i motori e la natura. È progettata per regalare il comfort della guida convenzionale con tutti i plus della guida elettrica, garantendo massima efficienza unita ad alte prestazioni. A bordo insieme a noi, Gianluca Piroli ci ha raccontato la sua storia e l’impegno quotidiano nell’unire la moda al concetto di ecosostenibilità.

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GIANLUCA PIROLI Sono sempre stato un creativo, fin da piccolo. Ho cominciato facendo il musicista, a tredici anni, e ho avuto una band per molto tempo. Ho studiato all’Istituto d’Arte Paolo Toschi di Parma e poi, a vent’anni, ho iniziato a lavorare nell’ambito dell’abbigliamento. Mi sono “inventato” un lavoro, cioè quello di creare degli oggetti che pubblicizzassero i prodotti all’interno dei punti vendita. Ai tempi era davvero un progetto innovativo e ho iniziato a collaborare con molte aziende come Levi’s, Lee, Wrangler, Best Company e altre. Tutti i materiali che utilizzavamo erano rigorosamente italiani e legati al mondo dell’artigianato. Mi sono fatto una vera e propria cultura in questo ambito. A ventitré anni ho iniziato a lavorare per Replay con grande entusiasmo e sono rimasto con loro per sei anni. Eravamo un gruppo creativo straordinario! Dopo altre esperienze lavorative ho aperto, nel 1993, Acme la mia agenzia creativa proprietaria del brand Toodog. Due anni dopo nasce Man Made, azienda che si occupa della produzione di materiali per i punti vendita. Parallelamente ho lavorato come Direttore creativo di Mason’s, dal ’98 al 2016. E qui mi fermo, perché i progetti sono tantissimi e non riuscirei a riassumerli in poche parole!

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© LikeMi

Parliamo di Toodog. Come è nata e perché si chiama così? Gianluca: Toodog è abbigliamento, arredamento e calzature. L’azienda nasce da una mia esigenza, volevo fare delle cose che avevo in mente ma non trovavo il cliente giusto per realizzarle. Quindi mi sono costruito ciò che volevo. Perché Toodog (letteralmente “troppo cane”)? Perché il cane è un animale libero di natura, che vive gioie e tristezze senza fondo. È libero di manifestare le proprie emozioni. Come ti è venuta l’idea di creare un prodotto sostenibile e perché? Gianluca: Sostenibile perché le strutture, gli strumenti, i ma-

teriali e le attrezzature per fare qualcosa di sostenibile ci sono. Mi sembra veramente poco intelligente non utilizzarle. Il trend della moda ecosostenibile è una tendenza del momento o una necessità? Gianluca: È assolutamente una necessità. Purtroppo in questo momento ci sono talmente tante criticità legate all’ecologia che dovremmo essere terrorizzati! Quando si pensa che nell’Oceano Pacifico c’è un’isola immensa di plastica, il Pacific Trash Vortex, dalle dimensioni imprecisate ma stimate fino a 10 milioni di chilometri (gli interi Stati Uniti per capirci)…beh bisognerebbe rifletterci e darsi come obiettivo quello di cercare delle soluzioni. Non è una tendenza del momen-


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to, nonostante qualcuno utilizzi l’ecologia come forma di vendita. È una reale necessità! Il tema eco, commercialmente, è ancora molto poco valorizzato nell’ambito della moda (e non solo). Ti faccio un esempio: ho lavorato per un’azienda che ha realizzato lo stesso identico prodotto in due versioni: eco e non eco. Risultato? È stato venduto in percentuale nettamente maggiore il prodotto non eco. Purtroppo la vendita non è ancora forte sul prodotto green. Quali sono le tue fonti di ispirazione per creare nuovi prodotti? Gianluca: La musica sopra a tutto! Come dicevo, avevo una band punk quindi non posso che rispondere così… fa parte della mia storia, della mia vita. Oltre alla musica ho ovviamente anche altri input esterni che mi ispirano. Ad esempio, recentemente ho avuto modo di conoscere dei ragazzi pakistani che realizzano prodotti per tingere con semi e foglie. Stavamo quindi pensando, in azienda, di realizzare dei colori totalmente naturali per i nostri capi e per le calzature. Quali sono i valori cardine del Made in Italy secondo te? Gianluca: Il Made in Italy in sé ha una capacità e una competenza che non esistono in nessun altra parte del mondo. Questo perché la storia che abbiamo in Italia non ce l’ha nessuno! Noi siamo cresciuti nella storia, vendendo “il bello” fin da piccoli.

È nella nostra cultura, che assorbiamo anche senza volerlo. All’Istituto d’Arte di Parma giravo ogni giorno in mezzo ai quadri del Parmigianino: è ovvio che i miei occhi e la mia mente si siano riempiti di immagini di una bellezza sconvolgente. Secondo me noi italiani abbiamo nell’indole un gusto estremo per i colori, per gli abbinamenti, per il gusto nel creare qualcosa di unico e irripetibile. L’artigianato italiano non ha eguali. Ogni singola scarpa, ecologica al 100% e artigianale, è un pezzo unico. Credi che l’esclusività associata ad un prodotto che rispetti l’ambiente sia una nuova fron-

logico e artigianale. Un lusso che proprio non possiamo permetterci è lo spreco! L’utilizzo di materiali e tecnologie ecosostenibili influisce sui costi di produzione in modo consistente? Gianluca: Assolutamente sì. La lavorazione è differente e i macchinari costano di più. La produzione in Italia è molto più costosa rispetto ad altri paesi, per mille motivi che tutti conosciamo; ma sono stra convinto che ne valga la pena perché, tornando al discorso di prima, è una questione di punti di vista. Salvaguardare il pianeta e investire nel futuro vale la spesa?

lusso che proprio non permetterci è lo spreco! Un

possiamo

tiera di lusso, inteso come prodotto creato ad hoc? Gianluca: Sicuramente sì. E ti spiego perché: se il lusso è “il bello” ed è artigianato, un prodotto come il mio è di lusso. Vorrei fare una riflessione secondo me fondamentale: è meglio comperare 10 pezzi di bassa qualità, oppure un pezzo di lusso e di altissima qualità che dura nel tempo? È anche questa una forma di ecologia! Meno roba si compra meno roba ci sarà da smaltire. La moda usa e getta non solo dura poco, ma torna a noi in modo sbagliato, ossia sotto forma di inquinamento. Quindi meglio un prodotto di alta qualità, eco-

Un materiale (eco ovviamente) che ami particolarmente e perché. Gianluca: Ne ho due: il cotone e il legno. Con il cotone realizzi moltissime cose e il legno è un materiale meraviglioso, plasmabile, caldo. Mio papà ha iniziato a fare il falegname a sette anni, raddrizzando i chiodi, e ancora oggi non smette di creare.

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M.I.C.E. L’HIGH TECH NELL’OSPITALITÀ Mario Saccenti

“Innovazione significa immaginare nuovi modi di produrre le stesse cose a minor costo, oppure inventare nuovi prodotti, dai più complessi ai più semplici, che in qualche maniera facilitino la nostra vita quotidiana in casa o sul lavoro, o macchine o utensili più facili da usare di quelli esistenti, o creare marchingegni e renderli indispensabili”

Margherita Hack

L’innovazione in ambito alberghiero riprende il concetto citato di Margherita Hack: tutti gli sforzi degli hotels - dagli alberghi indipendenti alle più grandi catene internazionali - sono concentrati principalmente sull’aspetto “prodotto”, sul sistema organizzativo, sul rinnovamento delle attrezzature e sull’equazione risparmio = minor costo. Si sono occupati meno del “fattore umano”, del servizio al cliente che di norma un hotel deve avere come massima priorità, insieme alla pulizia e all’immediatezza nelle risposte alle esigenze dell’ospite. L’industria alberghiera sta abbracciando la tecnologia e si sta dando battaglia attrezzandosi con prodotti innovativi come robot, chatbot e applicazioni eterogenee che aggiungano elementi wow e che possano colpire la fanta-

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Yobot: Yotel, New York


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sia degli ospiti, orientandone la scelta di pernottamento. Il tutto con grandi aspettative da parte dei vari stakeholder. Per gestire un grande numero di prenotazioni o richieste di informazioni è necessaria un’automatizzazione dei processi; per simulare quindi la conversazione con un interlocutore in carne e ossa intervengono i chatbot. Il loro campo di applicazione è concentrato sulle principali app di messaggistica testuale come Facebook Messenger, Viber, Telegram, WeChat. Ma i chatbot sono disponibili anche via sms o attraverso siti web.

Tra i punti di forza di questa tecnologia c’è la possibilità di utilizzare esclusivamente la messaggistica per effettuare check-in, richiedere un’auto o prenotare un ristorante. Per fare qualche esempio di innovazione nell’ospitalità abbiamo scelto alcuni hotel che nel mondo sono il perfetto punto d’incontro tra industria dell’ospitalità e tecnologia.

yotel.com

Yotel, New York Lo Yotel possiede un robot, giustamente chiamato Yobot, che si occupa di depositare e ritirare i bagagli all’interno di uno dei suoi 150 armadietti. Per interagire con Yobot, vi basterà semplicemente fornire il vostro cognome e numero pin che riceverete una volta arrivati. Altri extra tecnologici? La possibilità di fare il check-in presso un chiosco e letti motorizzati che possono ripiegarsi per fornire più spazio.

room5.trivago.it

Loews Hotel 1000, Seattle Questo hotel di lusso presenta un campo da golf virtuale che consente di giocare in uno dei 50 migliori campi del mondo. Un sistema di monitoraggio a infrarossi e più di 680 sensori aiutano a registrare la velocità, la rotazione e la traiettoria della pallina, per fornirvi la sensazione reale di una partita a golf. Nelle stanze sono presenti dei sensori che rilevano il calore corporeo; in questo modo il personale sa quando non può entrare. Sempre all’interno delle stanze ci sono dei parametri di climatizzazione intelligenti, in modo che la temperatura venga continuamente adattata per ottenere quella ideale per voi. Il mini bar intelligente avverte la reception nel caso in cui ci sia bisogno di rifornimento.

uniqhotels.com

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o il battito delle ciglia. Al termine del soggiorno, il materiale digitale viene salvato su una chiavetta USB e dato agli ospiti come ricordo.

uber-well.com

CityHub, Amsterdam Il CityHub offre posti letto capsula low cost e futuristici. 50 capsule minimaliste dotate di WiFi, audio in streaming e luci d’atmosfera che possono essere controllate tramite app. Agli ospiti viene fornito un braccialetto che consente loro di chiudere le porte.

mapcarta.com

Henn na Hotel Maihama, Tokyo L’hotel giapponese viene gestito in parte da robot. Ad accogliervi alla reception troverete il dinosauro robot che parla inglese e un robot umanoide che invece parla giapponese. In ogni stanza è presente una bambola concierge robotica che aiuta gli ospiti a trovare i ristoranti vicini e consiglia loro gli eventi a cui partecipare. Altri robot si occupano di portare le valigie fino alle stanze, mentre il servizio di pulizia viene invece svolto da esseri umani.

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Aria Resort & Casino, Las Vegas L’albergo possiede camere intelligenti che rilevano quando si entra e innescano funzioni automatiche quali l’apertura delle tende, l’attivazione della musica, l’accensione della tv e la modifica della temperatura a seconda della preferenza. Le stanze sono dotate di un touchscreen che permette di controllare le funzioni automatiche e di attivare il segnale “non disturbare” sulla porta. Gli ospiti aprono le porte delle camere utilizzando il loro smartphone, sul quale possono scegliere di ricevere notifiche informative (ad esempio quando viene aperto un tavolo di Black Jack nelle vicinanze).

hospitalitynet.org

Sol Wave House, Maiorca Chi opta per la lussuosa #tweetpartysuite può chiedere qualsiasi servizio al personale dell’hotel semplicemente twittando, mentre, per tutti, all’esterno sono collocate speciali piscine con tanto di onde dove si può addirittura surfare, farsi riprendere, e condividere il video sui social.

booking.com

pursuitist.com

Abadia Retuerta Le Domaine, Spagna Qui vengono organizzati gratuitamente per gli ospiti alcuni tour con i Google Glass, occhiali che permettono di compiere diverse attività - scattare foto e fare video, ad esempio - solo con la voce

iRooms, Roma La tecnologia si allarga all’ospitalità in Guesthouses o Bed&Breakfast. Un esempio è iRooms, 4 splendide Guesthouses a Roma. Camere che guardano al futuro, con un design geometrico, luci led, docce a cascata; sempre a disposizione un iPad e la possibilità di streaming di film illimitato.


M.I.C.E.

CityHub, Amsterdam

globetrendermagazine.com

In conclusione, i robot entrano di diritto nella “forza lavoro” del turismo per aiutarci: per affiancare il personale dell’Hotel e non per sostituirlo. La tecnologia e, più in generale, qualsiasi sistema innovativo, sono fantastici per creare curiosità o raggiungere l’effetto wow desiderato, ma nell’ospitalità al­berghiera il fattore umano è fondamentale: per offrire un servizio impeccabile, una risposta veloce e adeguata, per anticipare i desideri, per far apprezzare i dettagli delle

strutture, per ca­pire i bisogni dell’ospite e creare fedeltà nel tempo. Il tutto fatto con un sorriso... magari. Un proverbio cinese dice: Se non ti piace sor­ ridere, non aprire un nego­zio. Credo che esprima al meglio l’importanza della comunicazione e delle rela­ zioni, a maggior ragione per quanto riguar­ da il business del servizio al cliente. Ogni qualvol­ta si entra in un negozio, in un bar o in un ristorante, la nostra esperienza di acquisto viene influenzata positivamente o

negativamente in base all’at­ teggiamento di tutto lo staff; dal titolare, al commesso, dal barista al cameriere. Si sa, il cliente non è razionale nelle sue scelte di acquisto, ma è alla ricerca di esperienze coinvol­ genti e piacevoli. In un’eco­ nomia sempre più emoziona­le ed esperienziale, anche un sorriso può fare la differenza e creare un vantaggio compe­titivo. Ed un sorriso su un bel viso rassicurante e “umano” è sicuramente più apprezzato di quello stereotipato impresso su un robot.

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CONTROCORRENTE

DICESI BUON MARINAIO… ANALOGIA TRA DUE MONDI Davide Verdesca

Agosto 2017, un altro mese in barca in giro per il Mediterraneo… quante riflessioni si fanno al timone o in rada sotto le stelle! Conduco una barca a vela con equipaggio ridotto un mese all’anno e un gruppo di aziende ultra strutturato per gli altri undici - potrei aggiungerci anche il dodicesimo, ma non tornerebbero i conti! - però mi chiedo: è poi tanto diverso? A pensarci bene, da sempre i migliori nel business vengono chiamati “capitani d’impresa” …ma non voglio esagerare, qui rimarrò il “marinaio”. Una barca a vela è un microcosmo, così come lo può essere un’impresa o una città. Possiamo quindi facilmente immaginare il marinaio come l’imprenditore di un’azienda o il manager di una smart city. Perché di una smart city? Perché quest’ultima, a parer mio, a differenza di una città “normale” è più simile ad una barca a vela: non divora energia, vuole sfruttare tutte le risorse e deve essere in grado di cogliere ogni singola opportunità. Da velista, trovo le città di oggi molto più simili a quei grandi motoscafi con 5000 litri di carburante e che sfrecciano a 25/30 nodi! Quindi marinaio è l’imprenditore (o il manager) e il mare è il suo mercato. I migliori marinai si distinguono per alcune qualità innate. La prima è l’intuito, grazie al quale sembra che sappiano sempre dove trovare il vento, o da dove arriverà; e così, quando decidono quale bordo prendere, lo fanno d’istinto e raramente sbagliano. La barca va più veloce quando loro sono al timone, hanno una non comune facoltà di prevedere ciò che sta per accadere, riuscendo spesso a prevenire inconvenienti e a porvi rimedio. Si tratta certamente in gran parte di esperienza, ma l’intuito che possiedono, con il quale si nasce, è qualcosa di magico che influisce non poco sulle loro capacità.

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Un’altra qualità che li accomuna è la profonda comprensione dei principi essenziali che regolano la vita di bordo e del funzionamento dell’equipaggiamento. È naturale che debba essere così - anche se molti marinai hanno diverse manchevolezze al riguardo - e lo si vede da come fanno i nodi, dalla chiarezza e precisione di terminologia con cui si esprimono, dalla conoscenza dell’evoluzione del tempo meteorologico e di ogni altro argomento importante per la loro attività. Sono inoltre abili nel saper fare di tutto, perché in barca le cose accadono spesso in maniera particolare, diversa che a terra, e in alto mare non c’è nessuno che possa spiegare come sbrigarsela nel sistemare, regolare, navigare, aggiustare, cucinare, cucire, recuperare, curare, etc. Non si può dire poi quanto una giornata di burrasca possa cambiare la vita a bordo. Perciò l’abilità di continuare a pensare al da farsi, a improvvisare, a rimediare, è una qualità importante per un buon marinaio che, quando si trova di fronte a un problema, lavora subito per risolverlo con i mezzi a sua disposizione. Le barche non possono portare ricambi per ogni attrezzatura, così l’arte di arrangiarsi nel migliore dei modi è tipica del buon marinaio. Altra sua qualità essenziale è la calma che esercita anche quando deve sottostare a qualcuno che urla (e che perciò ha molto da imparare), ma in genere, oltre a questi casi, la mantiene sempre. Si tratta di una virtù che vale in ogni situazione, sia nella vita a terra che a bordo, e il buon marinaio lo sa bene.

J. M. William Turner, Snow Storm

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CONTROCORRENTE

Essere calmi è la dimostrazione di avere la mente chiara, pronta a ragionare rapidamente e questo è di fondamentale importanza nel prendere immediatamente decisioni corrette in navigazione, anche e soprattutto in situazioni critiche. Il marinaio che conosce bene la sua arte può salire su il è qualsiasi imbarcazione e nel giro di pochi mie il il suo nuti si renderà conto dei suoi particolari sistemi e attrezzature, integrandosi fattivamente all’equipaggio rivestendo qualunque ruolo, incluso quello dello skipper.

marinaio l’imprenditore mare mercato

Come in ogni altra attività però, nulla può sostituire le competenze frutto della conoscenza. Per diventare un buon marinaio bisogna essere in grado di acquisirne di nuove e continuare a migliorarsi. Le varie esperienze sono vere e proprie qualità necessarie per svolgere correttamente un’attività, a patto che vengano vissute sempre con una gran voglia di imparare. Sebbene l’esperienza non possa fornire l’intuito dei grandi marinai (i famosi grandi capitani), si potrà comunque navigare in sicurezza, senza mai dimenticare che la barca va sistemata, pulita e riordinata al termine di ogni viaggio; questo per amore e dedizione per la prossima crociera o regata, nostra o di altri. Buon vento… Buon lavoro!

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Registrazione presso il Tribunale di Milano n.140

ANNO 3 NUMERO 13 SETTEMBRE 2017

DIRETTORE EDITORIALE DIRETTORE RESPONSABILE CAPOREDATTORE HANNO COLLABORATO A QUESTO NUMERO

Chiuso in Redazione il 22 settembre

Dario De Lisi Francesca Cagliani Francesca Passoni Antonio Carnevale, Sara D’Agati, Monica De Vivo, Sara Esposito, Deborah Nania, Mario Saccenti, Riccardo Stebini, Davide Verdesca

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Greta Tremolada

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