Focus ON 17

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ANNO 4 MAG-GIU 2018

IL RU OLO DEI BR A N D OG G I

Nuovi mittenti in un mercato in continua evoluzione



editoriale

Dario De Lisi

I

brand più importanti, quelli che hanno impattato irrimediabilmente sul nostro modo di consumare e vivere la quotidianità stanno vivendo un innegabile momento di crisi di identità e di fatturato. Da qualche tempo si vedono costretti a ricercare innovazione, nuovi approcci, formule magiche per dare risposta a quei cambiamenti che spesso subiscono. Si sono accorti di non poter più fare affidamento su regole e strumenti che sembravano intramontabili e ormai desueti (suonano familiari le 4P di Kotler?). Da un approccio unidimensionale e parziale si è passati ad uno olistico dove l’esperienza integrata in un consumer journey articolato diventa la chiave di contatto con il consumatore. Un consumatore alla ricerca di un rapporto individuale con il brand che possa essere condiviso sempre e ovunque. Questa nuova complessità ci porta alla costruzione di Significati e Valori capaci di entrare nel profondo delle persone rendendole parte attiva della costruzione del valore di marca. Un dialogo diretto, bilaterale, profondo e che impatta sempre più su relazioni e contesti sociali degli interlocutori a cui si rivolge. Una grande opportunità di fidelizzazione che porta con sé una grande responsabilità. I brand iniziano a riflettere sul reale impatto e sulle possibili ripercussioni sulla società dei prodotti a cui sono associati e dei messaggi che utilizzano per raccontarsi. Un esempio? Ikea, che in occasione del Family Day del 2016 a Roma ha realizzato una campagna schierata apertamente a favore delle unioni civili con lo slogan: “qualunque sia la tua idea di famiglia, se ami qualcuno non c’è bisogno di istruzioni” dimostrando che ormai si è andati molto oltre e che chiare prese di posizione possono avere ripercussioni commerciali ma soprattutto sociali. “Da un grande potere derivano grandi responsabilità.” Zio Ben, Spiderman


o m a r F U LV I O bertoni

F EDER I CA brun in i

fran ces ca caglian i

Nato a Milano ma col cuore spagnolo, è imprenditore dall’età di 20 anni e organizzatore di eventi. Attualmente è il CEO di Centoeventi e di Lievita e insegna Organizzazione eventi e metodi di presentazione in Accademia di Comunicazione. Ama la comunicazione, gli eventi, i libri e le onde più di qualsiasi altra cosa.

Scrittrice, giornalista, blogger e instancabile viaggiatrice. Fondatrice in Italia della Travel Therapy e autrice di manuali e guide di viaggio. Ha scritto per il “Corriere della Sera”, “L’Espresso”, “People”, “Grazia”, “Glamour”, “D Repubblica”, “IO Donna” e molte testate internazionali. Il suo ultimo romanzo è Due sirene in un bicchiere (Feltrinelli).

Dopo una laurea in Architettura, un master in New Entertainment Design e diversi anni in showroom di moda, decide di dedicarsi alla sua vera passione: il giornalismo. Prima in “Ambiente Cucina” del gruppo Il Sole 24 Ore, poi con Condé Nast per sei anni, occupandosi principalmente di moda e bellezza. Oggi è co-founder di LikeMi e Likemimagazine oltre che direttore responsabile di Focus ON.

Dopo aver partecipato a un workshop sul metodo STRONG, Omar ci rivela i segreti per una presentazione vincente che sappia colpire nel segno.

In questo numero ci parla delle ultime tendenze MICE, sempre più vicine al tema della sostenibilità.

m au ro f errar es i

FA B R I Z I O MARVULLI

deb orah n an ia

Professore associato di Sociologia della Comunicazione presso il Dipartimento di Comunicazione, arti e media “Giampaolo Fabris” dell’università IULM. Direttore scientifico del Master in Management e Comunicazione del Made in Italy, del Master in Management e Comunicazione del Beauty and Wellness e co-direttore del Master in Marketing e Comunicazione dello Sport.

Laureato in Scienze dei Beni Culturali e appassionato del mondo digitale, dopo un Master all’Università Cattolica di Milano dal 2007 abbraccia il “lato oscuro” dell’Advertising e del Digital Marketing, prima come PM in FullSix e poi come Digital Account in DDB e BBDO. Da circa un anno, si occupa di Advertising e Comunicazione per i clienti di Deloitte Digital.

Web Marketer e Producer da oltre 10 anni, founder di GialloZafferano, il sito di ricette numero uno in Italia. L’esperienza e la passione per il food la portano a occuparsi di produzioni televisive, libri di cucina e social media. Tra i suoi più recenti progetti la fondazione di Foodiesfaction, con la creazione del sito soniaperonaci.it. Attualmente è consulente per realtà food, editoriali e web.

In questo numero approfondisce le varie sfaccettature della parola “mittente” e ci spiega l’importanza della reputazione nell’era digitale.

Nell’epoca della rivoluzione digitale, Fabrizio ci racconta quanto la creatività, la semplicità e l’utilità siano ancora fondamentali nelle strategie di marketing e comunicazione.

Francesca ha intervistato il fotografo Street Style statunitense Adam Katz Sinding e l’esperto di Social Media Andrea Albanese. Due mondi differenti ma con al centro i medesimi protagonisti: le persone.

In questo numero Deborah condivide l’evoluzione della filiera corta, dai G.A.S. nasce un nuovo trend di consumo che raggiunge un numero sempre maggiore di consumatori e che la GDO cerca di agganciare…


www.focuson.press

AN N O 4

A n to n i o carn e va l e

s a r a d’agati

Nato a Roma, giornalista pubblicista dal 2012, ama la musica e il cinema, così come le nuove tecnologie. Da qui nasce il suo impegno su “StartupItalia!” e “Wired”. Appassionato di sport, ne parla su Radio Centro Suono.

Un PhD a Cambridge in Relazioni Internazionali, un blog (“L’Utopista”) dove racconta il mondo che vorrebbe e un altro sull’“Huffington Post” dove si arrabbia per com’è. Scrive di innovazione per “la Repubblica” e dirige “The New’s Room”: la prima rivista cartacea curata da under 35 in Italia.

Antonio ci parla di come gli antieroi possano diventare la chiave di lettura vincente per le aziende che vogliono raggiungere i Millennials, un target in cerca di realtà, quotidianità e, perché no, di umanità.

In questa uscita Sara affronta il tema degli Influencer e dei testimonial contemporanei sempre più “unconventional”: gli YouTuber.

N UM ERO 1 7

Chiuso in Redazione il 26 giugno 2018 Registrazione presso il Tribunale di Milano n.140

francesca cagliani direttore resp on s abi l e

dario de lisi direttore editoriale

frances ca pass oni cap oredattore

francesca mamotti art direction

LIDIA ROSSI C ON S ULEN TE editoriale

presen za ADv commerciale@focuson.press

r i c card o steb i ni Bustocco di nascita ma milanese per adozione, cresce alla IULM fino a specializzarsi in Psicologia dei Consumi e Food & Wine Communication. Dopo un’esperienza nell’academy internazionaleBusiness Strategies si innamora della formazione, in particolare dei master universitari.

Riccardo ci presenta Jack Ma, il fondatore di Alibaba. Da una sua dichiarazione nasce uno spunto di riflessione in merito alla tecnologia, le macchine e la formazione: è possibile sforzarsi per essere ancora più “umani”?

Reda zion e redazione@focuson.press

segn ala zion i e in fo info@focuson.press

Editore SG Company S.p.A. P. IVA 09005800967

sede Piazzale Giulio Cesare 14 20145 Milano

Stampa Grafiche Bazzi Via Console Flaminio 1 20134 Milano


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BRAND E MILLENNIALS: IL POTERE DEGLI ANTIEROI

BRAND MUSEUM IN ITALIA

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CREATIVITÀ, UTILITÀ E SEMPLICITÀ

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LE PAROLE DELLA COMUNICAZIONE: MITTENTE

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L’INCENTIVE ETICO

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DAI G.A.S. AGLI ALVEARI


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SOCIAL MEDIA MARKETING E DIGITAL COMMUNICATION: LA PAROLA AD ANDREA ALBANESE

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LA PRESENTAZIONE PERFETTA

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IL PARADIGMA UOMO-MACCHINA NELLA FORMAZIONE

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IN CAMERA OSCURA CON MARCELLO FAUCI

LA STREET STYLE PHOTOGRAPHY DI ADAM KATZ SINDING


BRAND MUSEUM IN ITALIA Quando la storia del marchio si trasforma in cultura.

LA REDAZIONE

I

n una società costantemente in evoluzione, dove lo sviluppo tecnologico assume un’importanza crescente nelle strategie di comunicazione dei brand, vi sono realtà imprenditoriali che decidono non solo di dettare il passo dell’innovazione per raggiungere risultati tecnicamente eccezionali, ma anche di distinguersi per ciò che più le caratterizza: la propria storia. È quello che ha fatto Dainese dando vita al suo Brand Museum a Vicenza. Definire il DAR (Dainese ARchivio) un “museo” è decisamente riduttivo. Infatti è sufficiente metterci piede per capire che l’esperienza che si sta per vivere va ben oltre la semplice visita di uno spazio museale. Qui la storia di Dainese è esposta con accuratezza, in un viaggio nel tempo che ha inizio nel 1972, anno di fondazione del brand. Un’eredità custodita come un gioiello dal valore inestimabile e dinamico, dal quale nascono continui spunti e impegni per il futuro.

6

Una scelta strategica, quella del Brand Museum, che indica un’importante storia da raccontare e valorizzare, una storia costruita con passione e dedizione e che ha portato al raggiungimento di traguardi riconosciuti in tutto il mondo. Ne abbiamo parlato con Cristiano Silei, Amministratore Delegato di Dainese Group. Cosa vi ha spinto ad aprire il DAR e impiegare lo strumento del Brand Museum – ad oggi in Italia ancora poco conosciuto – per raccontare la storia del marchio? Prima di rispondere alla sua domanda vorrei fare una premessa che a mio parere è anche il nostro modo di vedere le cose: prima esistono i fatti e poi la comunicazione. Purtroppo nel mondo moderno si comunica molto e con pochissima sostanza, invece la nostra azienda è fondata esattamente sull’opposto: lei dice che il Brand Museum non è molto utilizzato, ma questo dipende dal fatto che moltissimi brand hanno poco da raccontare.


Cristiano Silei, A. D. Dainese Group

Ph. Cortesia di Dainese Group

Non hanno una storia sulla quale fondare un archivio. Sono pochi i brand che possono vantare una storia alle spalle e fortunatamente Dainese è uno di questi. Da 46 anni l’azienda rappresenta un faro di innovazione in un settore che in qualche modo ha anche contribuito a fondare: quello della protezione al servizio di chi ama gli sport dinamici. Tutto ciò che c’era da innovare nel mondo del motociclismo, e se vuole anche nello sci, lo abbiamo costruito noi in termini sia di protezione sia di stile: dal paraschiena alle saponette per strisciare ginocchia e gomiti quando si va in pista, dall’utilizzo di compositi per la protezione di mani e piedi all’airbag indossabile. Tutto questo è stato creato in un contesto nel quale l’azienda ha comunicato molto meno di quello che ha fatto.

dainese presenta dar: l’archivio che racchiude tutta la storia del brand (e molto di più)

Dainese infatti si è spinta in ambiti che vanno oltre quello prettamente sportivo, sempre guidata da due pilastri fondamentali: ricerca e design. Cito a riguardo il lavoro svolto in collaborazione con il MIT per Nasa, sulla tuta per il progetto Marte, oppure quello con l’Ente Spaziale Europeo per la realizzazione di una tuta che simula la gravità per gli astronauti che nello spazio sono esposti per lunghi periodi all’assenza della stessa e ne subiscono dei malefici significativi in termini organici. 7


La “Foresta delle tute” al DAR Ph. Cortesia di Dainese Group



Il DAR sarà aperto al pubblico il 27 luglio

Oltre a questo, l’azienda continua a studiare soluzioni tecnologiche per altri settori, come per esempio un airbag attualmente testato presso le centrali Enel, che permetterà di proteggere i lavoratori in caso di cadute e urti durante i lavori in altezza. O ancora strumenti e sistemi per la protezione di anziani e bambini. C’è davvero tanta storia da raccontare, dal 1972 siamo certi che questo archivio vi darà un gran mano a raccontarvi anche a tutti gli appassionati che vi seguono da sempre. Sì. Tra i miei tanti obiettivi c’è sicuramente quello di rendere questa storia così profonda e affascinante una realtà. Siamo abituati al digitale, è una cosa fantastica, però qui parliamo di una realtà che si può sperimentare, vedere, toccare e che ci permette di creare una relazione con il nostro territorio, con le università e con gli studenti, altro importante obiettivo dell’archivio. Vi invitiamo a visitarlo e a scoprire lo spazio didattico dedicato agli studenti, utile affinché in futuro possano sperimentare alcune delle cose che facciamo e soprattutto il nostro metodo di fare ricerca e sperimentazione. 10

Ph. Cortesia di Dainese Group

La nascita dell’archivio testimonia la volontà di Dainese di lasciare un’impronta positiva non solo per il proprio brand, ma soprattutto per i professionisti del futuro. Parliamo di quei giovani che avranno modo di valorizzare il made in Italy. Assolutamente. Crediamo fermamente che Dainese sia un patrimonio, ovviamente in primis nel mondo della moto, avendo accompagnato per quasi 50 anni lo sviluppo, e la performance se vuole, degli atleti e dei piloti, ma crediamo sia anche un patrimonio nazionale. Il nostro impegno sta nel dimostrare che si può essere un’eccellenza a livello globale stando benissimo in Italia. Negli ultimi tre anni abbiamo assunto più di 150 persone, oltre 100 qui in Italia, e investiamo su tantissimi giovani che entrano nella nostra azienda portando freschezza e ricchezza intellettuale. Credo molto nel trasferimento delle conoscenze per insegnamento e per osmosi, quindi quando qualche volta, per la natura delle cose, qualcuno ci lascia io sono felice che porti ciò che ha imparato in altre realtà.


Abbiamo iniziato questa intervista parlando di storia. Come brand sul mercato da molti anni come approcciate il mondo digital, ad oggi apparentemente sempre più importante per raggiungere i consumatori? E come impiegate i vostri canali di comunicazione online e offline? Siamo attivi nel mondo digitale da tantissimi anni, credo sia uno strumento meraviglioso per mettere in contatto le persone e per trasferire conoscenze, informazioni, messaggi. Abbiamo pagine social attive e un sito web altrettanto ricco, sul quale investiamo molto in termini di sviluppo e di contenuti. Credo fermamente che non esista uno spazio digitale avulso dalla realtà, piuttosto il contrario! Noi comunichiamo online avvenimenti reali nel tentativo di completare la cosiddetta omnichannel experience che proviamo a trasportare anche nella nostra rete di negozi di proprietà, dove offriamo ai clienti un’esperienza che mette in diretta connessione il punto vendita – che rappresenta Dainese fuori da Vicenza – e i canali digitali per dare sempre un’esperienza immersiva e anche più facile, che è ciò che desiderano i consumatori.

“Il nostro impegno sta nel dimostrare in qualche modo che si può essere un’eccellenza a livello globale stando benissimo in Italia”

Potremmo dire che il digitale aiuta a portare il consumatore (o l’utente) all’esperienza concreta? Sì, o almeno, il nostro intento è esattamente questo. Crediamo che il digital sia uno strumento eccezionale e per questo abbiamo costruito un team interno che lavora a questo tipo di progetti. È un’area che continuiamo a potenziare perché si tratta del metodo più intuitivo e più immediato di stabilire una comunicazione significativa con le persone, con i nostri clienti, con i nostri fan. Ciò che però penso sia un grande “amplificatore” di questo canale meraviglioso è il fatto che ci sia una presenza fisica e quindi le due cose si alimentano e si amplificano a vicenda.

Valentino Rossi visita la Foresta delle tute al DAR

Ph. Cortesia di Dainese Group


È chiaro che avere le informazioni, fare acquisti ed essere informati online sia interessante, ma nulla può superare un rapporto diretto con persone con le quali condividi gli stessi interessi e la stessa passione e che possono trasmettere non soltanto conoscenze dirette ma anche esperienze. Nei nostri punti vendita organizziamo eventi, giri in moto per gli appassionati, sciate in compagnia per chi ama lo sci e così via. Cerchiamo di far convivere l’online e l’offline impiegando al meglio la tecnologia che conosciamo. Proprio in quest’ottica abbiamo recentemente rilanciato il progetto Custom Works: un configuratore 3D online che completa perfettamente quello che succede nel punto vendita quando la persona va a provare il prodotto e prende le misure direttamente con i nostri esperti. Parlando di prodotti su misura, di possibilità per il cliente e originalità del brand, secondo lei quanto è sottile la linea tra la sicurezza – che è sempre stato un vostro punto cardine – e l’abbigliamento inteso come trend? Molte aziende strizzano l’occhio alla moda, qual è il punto di vista di Dainese? La moda è un fenomeno passeggero, lo dice la parola stessa, ciò che produciamo è invece stabile nel tempo per natura, si tratta di prodotti che nascono dall’esperienza e dalla ricerca e per questo non sono compatibili con il concetto di moda. Il design è una delle colonne portanti della nostra azienda e certamente i valori che trasmettiamo, così come la nostra capacità di interpretare i bisogni dello sportivo, possono diventare un elemento d’interesse più ampio, ma non sono un punto di partenza. La tecnologia è un’alleata importante di Dainese, così come la ricerca e lo sviluppo. Voi avete deciso di mantenere il reparto di R&D in Italia dando un forte segnale al mercato e all’economia, perché questa scelta? Tanto per cominciare perché in Italia abbiamo degli ingegneri, dei designer, dei tecnici di assoluta eccellenza. Io credo fortemente che l’Italia sia un Paese straordinario che si traduce in esempi, perché no, insuperabili di capacità, di intuizione, di ricerca e sviluppo tecnologico assoluti. Non vedo nessun motivo per andare all’estero a cercare qualcosa che abbiamo già in casa; certo può capitare che un’azienda internazionale come Dainese collabori o assuma persone che non siano necessariamente italiane, ma l’italianità della nostra ricerca, del nostro design, della nostra tecnologia è un vanto. Abbiamo numerosissime realtà tecnologicamente all’avanguardia, ma credo che il passatempo di noi italiani e di tanti nostri politici di parlarci male addosso in qualche modo crei una cappa di negatività attorno al Paese, che non se lo merita perché è la culla di grandi eccellenze. 12

Raccontare una storia ricca di valori significa condividere un’eredità che renderà orgogliosE e partecipi tutte le persone che ogni giorno contribuiscono al successo di un’azienda


Ph. Cortesia di Dainese Group La Biosuit di Dainese

Un evento in negozio

Un evento in negozio

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Una parte del DAR Ph. Cortesia di Dainese Group

Un approccio propositivo e ottimista! Lo trasferisco con vero piacere perché ci credo. Ho viaggiato molto nella mia vita, ho vissuto in America e in svariati Paesi europei, dalla mia esperienza posso dire che l’Italia è un Paese straordinario; gli italiani sono persone straordinarie. Dobbiamo soltanto avere più fiducia in noi stessi e ambizione, perché ce lo meritiamo e perché abbiamo sempre dimostrato di farcela. Torniamo un attimo al DAR. Ci ha detto che il progetto coinvolgerà anche le scuole e alcune realtà pubbliche: come vi state interfacciando con le amministrazioni locali? Siamo ancora agli inizi, ma vogliamo coinvolgere soprattutto chi si occupa dell’insegnamento, quindi le università, le scuole e la pubblica amministrazione in generale, per condividere le nostre conoscenze ed esperienze. Riteniamo che il nostro ruolo all’interno della società non sia solo quello di proteggere le persone attraverso i nostri prodotti, ma anche quello di trasferire una cultura del sapere fare che abbia l’impatto più grande possibile. Certo, limitatamente alle nostre possibilità e dimensioni. 14

Abbiamo parlato di Dainese, della sua storia, della sicurezza e dei suoi progetti. Vi siete già spinti lontano non solo in termini di business, ma anche fisicamente, raggiungendo persino lo spazio! Quali sono le prossime mete per l’azienda? Dainese ha svariate mete, ma mi sento di dire che in questo momento vogliamo migliorare ciò che già facciamo. Stiamo lavorando a diversi progetti come il rilancio importante del settore sci e bici, presto rilanceremo anche il mondo dell’equitazione, un’altra delle aree nelle quali abbiamo iniziato a compiere qualche passo negli anni scorsi. Proseguiremo quindi sui nostri mille progetti con l’impegno di migliorarci sempre. Raccontare una storia ricca di valori significa condividere un’eredità che, tramandata di generazione in generazione, non solo manterrà vivo il brand, ma renderà orgogliose e partecipi tutte le persone che ogni giorno contribuiscono al successo di un’azienda. Il DAR aprirà al pubblico il 27 luglio e noi siamo pronti a vivere le sue grandi emozioni.


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BRAND E MILLENNIALS: IL POTERE DEGLI ANTIEROI La pubblicità nell’epoca degli YouTubers, ovvero l’elogio della normalità.

antonio carnevale e sara d’agati

I

l mondo è cambiato e la rivoluzione digitale ha colpito anche il settore del marketing, modificandolo per sempre. Mentre alcuni marchi faticano ancora a capire come fare per raggiungere i consumatori più giovani con i propri messaggi, per altri è ormai chiaro come la pubblicità canonica sia ormai superata. Ecco perché le aziende stanno sperimentando nuove soluzioni, cercando modi differenti per comunicare i propri prodotti e coinvolgere vari pubblici.

1,5 MILIARDI

100 MILIONI DI ORE

400 ORE

60%

di utenti nel mondo che accedono ogni mese a YouTube

di contenuti guardati ogni giorno (+70% in un anno)

di contenuti caricati su YouTube ogni minuto

visualizzazioni totali da dispositivi mobili

Fonte: evento YouTube Pulse Italia 2017 16


Sempre più realtà, per esempio, decidono di fare pubblicità su YouTube, perché questo mezzo permette di raggiungere direttamente i destinatari del loro messaggio, e per farlo a volte si affidano ai cosiddetti influencer. Nomi magari non notissimi al grande pubblico, ma popolari sui social e conosciuti dai Millennials e dai Gen Z. Del resto, il 40% dei Millennials ritiene che il proprio YouTuber preferito li comprenda meglio dei propri amici, mentre i 50 influencer più seguiti di Instagram vantano un totale di 2,5 miliardi di follower.

Un frame dello spot Sammontana

il 40% dei Millennials ritiene che il proprio YouTuber preferito li comprenda meglio dei propri amici

Ma per essere seguiti, per creare delle storie interessanti, i nuovi influencer devono mostrare il loro lato umano. I pregi (saper cantare o far ridere), ma anche i difetti, le luci e le ombre. Insomma, devono avere una propria complessità, che li renda più umani e “vicini” agli spettatori. Andrea Amato, giornalista e autore insieme a Matteo Maffucci del libro Rivoluzione YouTuber, è entrato in contatto con questi giovani da milioni di follower, da Elisa Maino a Francesco Sole, svelandone sogni e segreti. “Molti di loro, da piccoli, sono stati vittime di bullismo. Raccontarsi su YouTube, come su Instagram, rappresenta una forma di sfogo e di riscatto e il loro successo sta proprio nella vicinanza con i numerosi ragazzini che li seguono”. Ragazzini normali, quindi. Con le loro difficoltà e paure, lontani dall’universo patinato e fashion della Ferragni o della Biasi. 17


I protagonisti veri, ironici e non convenzionali di Sammontana

La personalità di YouTube che è in cima alla maggior parte delle classifiche di settore in tutto il mondo è lo svedese PewDiePie. Si stima che guadagni circa 15 milioni di dollari all’anno grazie ai 54 milioni di abbonati che lo seguono. Cosa fa? Gioca ai videogames e commenta, insieme agli utenti collegati, le proprie partite. Un nerd, si sarebbe detto anni fa in tono dispregiativo, ma oggi questa definizione non è più un minus, anzi, è diventato un aggettivo “cool”. I brand che sembrano aver già colto il cambiamento stanno modificando le proprie campagne comunicative, che diventano delle vere e proprie storie, quasi delle piccole serie TV. 18


Ecco dunque che i contenuti di marca intrattengono lo spettatore con personaggi divertenti, a tratti goffi, ironici e auto-ironici. Ma soprattutto, veri. È il caso di Diesel: “Essere unici è molto più bello che essere perfetti” è il messaggio lanciato dall’azienda, che attraverso i protagonisti della sua campagna pubblicitaria invita a trovare il coraggio di sfoggiare con orgoglio i propri difetti ed errori. Mostrare senza paure le imperfezioni che ci rendono unici è divenuto anche il focus di uno dei casi di brand content più citati degli ultimi anni. 19


Si tratta di Ford, che per l’Europa ha realizzato “The Family”, una campagna che non presenta la classica famiglia felice in stile “Mulino Bianco”, ma mette in scena, invece, un divorzio piuttosto drammatico, diviso in tre episodi. Sulla stessa linea l’ultimo spot del Cinque Stelle Sammontana, che racconta l’estate italiana attraverso personaggi ironici e “veri”. Sono le persone a rendere uniche le nostre estati. Le persone comuni che tutti noi incontriamo in spiaggia o in città: dalla signora con un’evidente scottatura all’uomo col calzino bianco indossato con i sandali, passando per i protagonisti degli amori estivi finiti troppo in fretta.

RIVOLUZIONE YOUTUBER. SOGNI E AFFARI. LE STAR DEL WEB SI RACCONTANO di Matteo Maffucci e Andrea Amato

Un libro che dà voce alla nuova generazione di YouTuber e racconta il business della YouTubEconomy, sul quale manager e produttori dell’entertainment si stanno buttando a capofitto. Gli YouTuber infatti sono le rockstar del terzo millennio, con milioni di seguaci che guardano i loro video. Numeri da far impallidire le prime serate di Rai 1 e Canale 5.

LA PAROLA A

Marco Bagnoli, Vice Presidente Sammontana

La rivoluzione digitale ha colpito anche il marketing: come sta cambiando il modo di comunicare dei brand? In termini di comunicazione può cambiare il mezzo, ma il messaggio rimane lo stesso: il valore dei nostri prodotti, che devono essere capaci di soddisfare gusti e comportamenti diversi sempre più esigenti e frammentato. Certo il digitale mette le persone nella condizione privilegiata di chiedere e ottenere risposte immediate e in qualche modo ritagliate sulle proprie esigenze specifiche e questo rende la sfida più difficile e interessante. La necessità di essere perfettamente trasparenti e di saper essere interessanti nell’infinita quantità di stimoli e opportunità è la vera sfida che il digitale ha posto agli uomini di marketing.

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Nell’ultimo spot estivo di Sammontana, sono le persone comuni i veri protagonisti che “rendono unica la nostra estate”: perché questa scelta? Quanto conta il lato umano nella comunicazione di un brand e soprattutto per la vostra azienda? Abbiamo sempre cercato di uscire dagli stereotipi imposti dagli standard di una pubblicità costruita per un fruitore “convenzionale”. Sammontana è una piccola azienda, guidata dalla famiglia che l’ha fondata e fatta di persone che si conoscono tutte… è facile capire come il lato umano sia per noi una cifra assai presente nella quotidianità e nel nostro modo di pensare e fare business. Da sempre premiamo la creatività, che rappresenta un elemento fondamentale dell’uomo e non può permettersi, per sua natura, di essere ricondotta a formule semplicistiche. La creatività per Sammontana è un impegno costante che guida non solo la pubblicità, ma le nostre scelte e il nostro business. La creatività vive spesso nelle cose e nei gesti più semplici e sono proprie queste cose che attraversano la vita del nostro target, con cui cerchiamo affinità. Tornando allo spot 5 Stelle, i nostri consumatori li pensiamo così e così li incontriamo ogni volta che ne abbiamo occasione: intenti a vivere la quotidianità semplice e straordinaria che solo la vera estate italiana sa regalare. Le “nostre” estati sono fatte di persone e situazioni, che si ripetono gioiosamente anno dopo anno in riti rassicuranti che tessono le trame dell’estate che stiamo vivendo e di tutte quelle dei nostri ricordi. I nuovi riferimenti dei giovani sono i cosiddetti “influencer”: il ruolo del testimonial, il famoso “volto noto”, è dunque ormai superato? Il testimonial più o meno famoso che trascina l’imitazione nel comportamento è ormai superato, anche se è difficile generalizzare perché in realtà ci sono ancora molte aziende che ricorrono con successo al suo impiego. A mio avviso il consumatore è portato a cercare e ritrovare se stesso, per identificarsi in quello che sta vedendo, in quest’ottica il personaggio conosciuto può diventare un ostacolo, creando una distanza invece che accorciandola. Nella parola “influencer” poi, ci sta un po’ di tutto. Nel mondo liquido e vario della rete ognuno può essere influencer in un ambito più o meno ampio e su un determinato argomento. Personalmente trovo affascinanti gli “esercizi” che riescono a scatenare l’“influencer” che è in ognuno di noi generando un movimento diffuso in tanti gruppi fino a decretare il grande successo di alcuni fenomeni.

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SOCIAL MEDIA MARKETING E DIGITAL COMMUNICATION: LA PAROLA AD ANDREA ALBANESE Anno 2018. I social media fanno ormai parte della nostra vita in maniera totale. Chi di noi non ha lo smartphone per “buttare un occhio” su Facebook o Instagram più volte durante la giornata? E le aziende? Ormai è chiaro che i Social siano uno strumento di business di cui non possono più fare a meno.

francesca cagliani

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A

bbiamo deciso di fare due chiacchiere con un esperto: Andrea Albanese, professione Social Media Manager & Digital Communication Advisor. Andrea, ci spieghi di cosa ti occupi? Sono Social Media Marketing e Digital Communication Advisor, Project Manager, Community Manager. All’interno delle mie aree di riferimento conduco attività di ricerca, formazione e consulenza per aziende private e organizzazioni pubbliche italiane. Una volta all’anno organizzo il “Social Media Marketing + Digital Communication Days’ Italia” (#SMMdayIT), evento leader in Italia su Social Media Marketing e Digital Communication, interamente B2B. Insegno in IUSVE (Istituto Universitario Salesiano Venezia e Verona) e sono un docente presso il CUOA la Business School de IlSole24Ore e in altre università e master. Per promuovere la cultura digitale e social, qualche anno fa ho fondato il “Centro di Competenza Permanente Social e Digital” a Milano e, fino ad oggi, sono stati organizzati oltre 30 eventi gratuiti a Milano e Roma. In passato ho condotto alcune ricerche sull’utilizzo dei social media in azienda sia per l’università Bocconi e SNID (Social Network Influence Design) che per POLI.design (per cui sono stato anche docente), struttura fondata dal Politecnico di Milano. I social network e le aziende: qual è il confine tra il “poter chiedere” e la “libertà di parola” sui social quando si toccano argomenti aziendali? Come spiegare ai dipendenti di fare un utilizzo responsabile dei social? Le figure di supporto al management aziendale e di collegamento con i vari stakeholder sono attori importanti nella gestione della brand reputation. Tutto conta, dalla telefonata, all’e-mail inviata, fino allo stile con cui si riceve in ufficio e ci si espone sui social, ogni dipendente rappresenta l’azienda. Un’ottima reputazione genera fiducia verso il brand e certamente anche il business ne viene positivamente influenzato. 24

Andrea Albanese

La gestione della Brand Reputation Online sui social è un’attività complessa che necessita una presenza coerente, attiva, costante e autorevole. Mantenere il dialogo con i propri utenti è uno dei cardini fondamentali sui quali costruire la fiducia. La velocità e le modalità di gestione di una “crisi” sui social devono essere ben ponderate; è un esame difficile da affrontare, ma la risoluzione del problema evita il “contagio”. I potenziali clienti cercano online le informazioni su brand, prodotti e servizi; ne consegue che tutto quello che trovano può influenzare la percezione sulla credibilità e l’affidabilità del business, e determinare le decisioni di acquisto e, di conseguenza, il fatturato. A livello personale, ogni dipendente, anche attraverso i propri canali social, dovrebbe monitorare la propria reputazione online al pari di quella della propria azienda. Si tratta di un’attività necessaria che, se svolta regolarmente, ha l’effetto di un allenamento social-digital per rimanere sempre al passo con i cambiamenti del mondo online. Nei nostri incontri spesso usiamo questa frase per rendere più comprensibile il concetto di Digital Brand Reputation: “Le persone ti incontrano prima sui social, poi decidono se stringerti la mano e fare business con te”.


Come si applica dunque la Social Media Policy? La Social Media Policy è l’insieme delle norme comportamentali che un’azienda ha descritto per regolare l’utilizzo dei social media da parte dei propri dipendenti e il modo di relazionarsi pubblicamente sui social con gli utenti esterni. Si compone di due pratiche distinte, ma connesse tra loro: • l’utilizzo, quando si è sul posto di lavoro, dei propri account privati • l’utilizzo degli account istituzionali dell’azienda È importante regolamentare diversi aspetti, come le modalità di gestione degli account tenendo conto di ruoli aziendali e responsabilità, ma anche il codice di comportamento rispetto alle attività di gestione dei profili aziendali e tutte le dinamiche di approccio con gli utenti. In ultimo vanno monitorati costantemente i contenuti. La Social Media Policy interna è fondamentale perché permette di gestire e monitorare la produttività dei singoli dipendenti, riduce i danni di immagine che l’azienda potrebbe subire a causa di un utilizzo scorretto dei social media ed evita la diffusione di informazioni riservate che riguardano l’azienda.

Usare i social network per un’azienda è un modo per ampliare il business e per sfruttare canali comunicativi di larga scala. Quali sono i punti fermi da tenere sempre presenti affinché questo meccanismo funzioni? Essere “social” e comunicare online è l’unica scelta per fare business oggi, a mio modo di vedere. La comunicazione digitale è la chiave di volta per un’azienda, anche se la percezione che hanno in molti è che sia un labirinto! In realtà serve essere consapevoli di come formazione ed esperienza giochino un ruolo determinante. Per quanto sia vero che ogni strumento di comunicazione è oggi alla portata di tutti, dobbiamo ammettere che l’abilità di conoscerne le potenzialità e applicarle nel piano aziendale per raggiungere gli obiettivi prefissati, non è così diffusa. La Digital & Social Media Transformation permette di comunicare con i clienti ma richiede sistemi informativi e linguaggi appropriati per trasformare il messaggio in “parole digitali” efficaci. La sfida che, con consapevolezza e adeguati investimenti economici, ogni azienda deve intraprendere per fare progetti online si può sintetizzare così: • • • •

scegliere quali strumenti di comunicazione sono ideali per il proprio brand comprendere come usarli definire gli obiettivi da raggiungere misurare i risultati ottenuti

Una figura moderna ma forse ancora poco valorizzata: chi è il Social Media Manager? Avere delle risorse dedicate ai social network non è più una scelta per le organizzazioni e le imprese, ma una necessità. La maggior parte delle aziende non ha avuto vantaggi dalla propria presenza online perché non ha avuto un approccio professionale. Visibilità e popolarità non vogliono dire assolutamente fatturato in tasca. Il Social Media Manager ha una visione d’insieme dell’azienda, è un professionista del settore e non si improvvisa.

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Non si può ricoprire questo ruolo nel “tempo libero” e sbagliano coloro che pensano che questa risorsa si occupi solo di gestire i contenuti da postare: quella è solo una minima parte del lavoro. Ci sono altri passaggi fondamentali che anticipano la creazione dei contenuti da diffondere in rete e sono: • analisi del settore dove opera l’azienda • studio dei potenziali clienti • identificazione dei canali più adatti alla comunicazione aziendale • elaborazione di una strategia che definisca gli obiettivi da raggiungere organizzando il calendario delle attività sulle varie piattaforme (grafiche, fotografiche, video, ecc.) • analisi e interpretazione dei dati (insight) • interazione e creazione di relazioni con gli utenti • monitoraggio e studio continuo della Brand Reputation.

In Europa si sta valutando se e quali misure adottare per tutelare i cittadini e si tratta di un allarme più che giustificato in termini generali: i social sono strumenti eccezionali non solo per comunicare con la propria cerchia di amici, ma soprattutto per fare business e marketing. Il vero problema è che Facebook, come tutti i principali social network, è di origine statunitense e segue regole differenti rispetto a quelle imposte per il trattamento dati in Europa. Credo che tutti i governi europei (e non solo) dovrebbero pretendere di sapere come avviene la gestione delle informazioni di cui Facebook è in possesso e come viene regolata la conversazione tra gli utenti social: perché, per esempio, si viene in contatto con alcune persone? Perché i propri post sono resi visibili a una cerchia di contatti e non ad altri? Sono solo alcuni degli interrogativi che riguardano l’algoritmo di Facebook, del quale non si sa nulla. Penso che l’Unione europea dovrebbe avere propri developer all’interno dei team di sviluppatori statunitensi dei social, per conoscere l’algoritmo con cui vengono fatte relazionare le persone e come vengono gestiti i dati. Solo in questo modo i cittadini potrebbero essere tutelati e si vigilerebbe anche su possibili discriminazioni: chi ci dice, per esempio, che i post di una donna non siano mostrati meno rispetto a quelli di un uomo? O che un’impresa statunitense non sia avvantaggiata rispetto a una europea? Le regole, insomma, dovrebbero essere trasparenti.

Il Social Media Manager è un professionista del settore e non si improvvisa. Gestire i contenuti da pubblicare è solo una minima parte del lavoro.

Ogni azienda dovrebbe avere un Social Media Manager, indipendentemente dalla sua dimensione, perché l’impatto positivo generato da una strategia social soddisfa molti ambiti: aumenta la visibilità del brand ma ancora prima ne crea un’identità. Se ben strutturata l’attività social garantisce, nell’arco di pochi mesi, il raggiungimento dei risultati. Concludiamo parlando di un recente scandalo, quello di Cambridge Analytica e Facebook. In che modo un’azienda può “recuperare” la propria reputazione e la fiducia dei clienti qualora incappasse in un’enorme défaillance? Il caso Facebook-Cambridge Analytica ha creato non poche preoccupazioni tra gli utenti in tutto il mondo. 26

Un altro modo per tutelare i cittadini potrebbe essere quello di nazionalizzare i social. D’altro canto Facebook, così come WhatsApp, Messenger e Instagram, è nato come applicazione, e la rete appartiene a tutti.


Oltre a essere uno strumento di comunicazione, però, è anche un veicolo commerciale privato, governato da una società statunitense, che usa il web, libero e globale. Qualcuno ha ventilato l’ipotesi di creare un social network europeo, da contrapporre a quelli statunitensi. Un sogno a mio parere impossibile perché purtroppo l’Europa non ha spiccate competenze in questo campo, né le risorse economiche per creare un’alternativa. Il gap tecnologico è enorme e gli utenti sono abituati a un certo standard comunicativo, interattivo, di velocità. Se si trovassero di fronte a un prodotto inferiore, non sarebbero interessati ad utilizzarlo.

Realizzare un social network come Facebook, in grado di far comunicare 2,3 miliardi di persone, richiede investimenti immensi. Dopo questa piacevole chiacchierata con Andrea possiamo concludere che, al giorno d’oggi, essere “social” e comunicare online è forse una delle vie principali per fare business. La comunicazione digitale è fondamentale per un’azienda, ma deve essere affidata a professionisti per ottenere i risultati sperati (e pianificati).

Social Media Marketing Days Il Social Media Marketing + Digital Communication Days Italia è da sei anni un punto di riferimento sui temi del Social Media Marketing e della comunicazione digitale. Questo appuntamento si rivolge ad aziende, professionisti, associazioni e alla Pubblica Amministrazione, ma la sua particolarità è quella di evidenziare come business e funzioni aziendali diversi possano allo stesso modo, sfruttare l’enorme potenziale offerto oggi dal mondo dei social.

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LA PRESENTAZIONE PERFETTA Oren Klaff e il metodo STRONG per colpire l’ascoltatore con un solo proiettile in canna.


omar fulvio bertoni

H

ai un solo colpo a disposizione: un appuntamento. Pochi secondi per prendere la mira. Solo 15 minuti per convincere, con le tue parole e la tua presentazione, un possibile finanziatore per un round di svariati milioni di euro. Hai studiato il tuo Keynote alla perfezione e sei nel tuo abito migliore, puntuale come un orologio svizzero. Hai seguito tutti i consigli di Amy Cuddy per essere rilassato e concentrato e hai in testa le migliori tecniche di negoziazione di Jack Cambria per creare una relazione. Ti presenti, lanci il tuo pitch ma ti sembra fin da subito di non avere in pugno gli ascoltatori. Ti destreggi con leggerezza tra una slide e l’altra, finisci la presentazione e vieni superficialmente salutato con un “le faremo sapere”. Torni a casa potenzialmente soddisfatto, con la speranza di aver raggiunto il tuo obiettivo, ma qualcosa nel tuo “retro cranio” ti dice che non è così. Sono sicuro che anche qualcuno di voi ha vissuto una situazione simile. Una presentazione ben preparata che non ha colpito nel segno, un concept strabiliante che non ha fatto innamorare, la sales deck graficamente impeccabile ma non efficace. Sono anni che divoro libri di marketing e di comunicazione, che affinino i modelli di presentazione per gare e meeting, ma solo recentemente mi sono imbattuto nel bestseller Pitch Anything: la presentazione perfetta. Partiamo prima di tutto spiegando che cos’è un pitch: si tratta di una breve presentazione di massimo 20 minuti che viene costruita per raggiungere un obiettivo importante e sfidante: un grosso deal, una cospicua raccolta fondi, un finanziamento ingente, una gara creativa decisiva. E ciò che ci insegna Oren Klaff, l’autore del libro, è dirompente: la maggior parte delle presentazioni fallisce ancora prima di iniziare perché non è strutturata per parlare al nostro cervello rettile. Mi era già capitato di approfondire la teoria dei tre cervelli, ma non mi sono mai certo posto il problema di parlare con quello “rettile”… 29


LA TEORIA DEI TRE CERVELLI Neocorteccia

Strato superiore responsabile di compiti complessi come il processo decisionale, la logica, il pensiero cosciente e il linguaggio

Cervello medio

Qui viene elaborato il significato delle cose e delle interazioni sociali

Cervello rettile

La parte più antica del cervello, pensa in termini di sopravvivenza semplici e lineari

Omar Bertoni e Oren Klaff al Sales Forum

Come si fa a parlare direttamente al cervello rettile? Il nostro dubbio si è finalmente stemperato quando a metà maggio Performance Strategies – società che si occupa di eventi di formazione per il business con i massimi esperti al mondo – ha ospitato Focus ON al workshop tenuto da Oren Klaff per la prima volta in Italia: non potevamo perdercelo! Oren Klaff è un guru delle presentazioni che per mestiere convince banche e venture capitalist a investire soldi in progetti e aziende. È colui che ha ideato il metodo STRONG, basato su anni di sperimentazione e di ricerca nel campo della neurofinanza, con l’ambizione di fornire un sistema infallibile per far capitolare il proprio avversario, colpendolo dritto al cuore con un solo proiettile. STRONG è l’acronimo che sintetizza il metodo in 6 step:

S T R O N G 30

etting the Frame (crea il contesto)

ell the Story (racconta la storia)

eveal the Intrigue (rivela l’intrigo)

ffering the Prize (offri una ricompensa)

ailing the Hookpoint (raggiungi il punto di aggancio)

etting a Decision (convinci l’investitore o il cliente)


Ma torniamo al Croc Brain, il cervello rettile: Oren ci ha raccontato che il cervello rettile è attratto solo da situazioni nuove o di sopravvivenza. Non si attiva facilmente ma è quello che una volta coinvolto ci permetterà di avere la “totale attenzione dell’interlocutore”. Come fare ad agganciarlo? Con presentazioni brevi! Massimo 20 minuti – tempo oltre il quale la soglia di attenzione diventa nulla – con informazioni nuove, veloci e visuali; soprattutto con un modello narrativo che introduce un conflitto e lo risolve. Per natura siamo soliti evitare scontri ma la tensione che si crea in quelle situazioni focalizza tutta la nostra attenzione su di sé. La tensione è fondamentale e dall’attrazione bisogna condurre alla soddisfazione. Durante il workshop, Oren Klaff ha condiviso alcuni assiomi che ci hanno fatto riflettere. “Introduce your big idea”: quante parole servono per introdurre la nostra idea? Non più di 180: sintesi, precisione e struttura narrativa garantiscono che la nostra big idea venga recepita, accettata e metabolizzata con la massima attenzione. “Create and maintain your status”: create il contesto. Il focus all’inizio della presentazione non è creare rapport bensì stabilire uno status. È fondamentale stabilire delle relazioni in cui, all’interno di un contesto, siamo in una posizione dominante. Immaginatevi in una presentazione: voi iniziate con tutta la vostra grinta e gli spettatori guardano il cellulare. Per Oren è inammissibile! È necessario impostare una situazione e alzare il proprio status (“set condition and raise up your status”) prima di iniziare a parlare. Un altro esempio: alla riunione non è presente il decision maker? Si saluta tutti e si va via. Il tempo è sacro, ma ancor di più il nostro status. Ricordate: il buyer non deve avere potere su di voi. Se qualcuno si sente più potente di voi vorrà attenzione e non raggiungerete il vostro obiettivo. “All happens at the beginning”: ciò che davvero impatta sull’interlocutore non è la chiusura della presentazione, bensì la sua apertura! Finito il workshop torno nella mia Centoeventi (agenzia di comunicazione strategica, N.d.R.) con un nuovo bagaglio di conoscenze. Ho riconosciuto l’importanza di essere sintetici, visuali e narrativi per colpire il Croc Brain, ho capito che creare uno status è più importante che stabilire una relazione e che bisogna dare valore alle proprie idee. Ho anche imparato che “all happens at the beginning”, quindi per le gare più importanti punteremo tutto sull’apertura dei nostri pitch!

PITCH ANYTHING La presentazione perfetta

Il metodo innovativo per comunicare, convincere e farsi dire sempre di sì: queste le premesse per il bestseller di Oren Klaff, persuasore di professione. Il libro racconta capitolo dopo capitolo i segreti per essere convincenti sul lavoro come nella vita.

PITCHANYTHING.COM La versione online dell’omonimo romanzo risponde al problema di disallineamento tra messaggio e destinatario attraverso una serie di webinar per tutti coloro che desiderano approcciarsi al metodo STRONG in maniera digitale.

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CREATIVITÀ, UTILITÀ E SEMPLICITÀ I tre cardini da cui passa la nuova ossessione per il consumatore.

FABRIZIO MARVULLI

Uber, the world’s largest taxi company owns no vehicles, Facebook the world’s most popular media owner creates no content, Alibaba, the most valuable retailer has no inventory and Airbnb the world’s largest accommodation provider owns no real estate. Something interesting is happening.

T

ra le tante citazioni che girano sul web, questa è l’unica in grado di ricordarmi, ogni volta che la leggo, quanto sia totalizzante la rivoluzione che stiamo vivendo in questi anni. Mi piace pensare che quando Goodwin la pronunciò – era il 2015… un’era geologica fa –, aggiungendo una chiusa quasi profetica, l’abbia lasciata volutamente aperta dando spazio a diversi livelli di lettura che, dal mio punto di vista, variano dall’industriale, al marketing, fino al rapporto con il consumatore finale. Un intreccio particolarmente denso che con un ulteriore sforzo potremmo sintetizzare in tre parole chiave.

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Tom Goodwin per TechCrunch (marzo 2015)

1. CREATIVITÀ

intesa come processo intellettuale in grado, in termini generali, di distinguere.

2. UTILITÀ

caratteristica di qualcosa che può essere usato o recare giovamento.

3. SEMPLICITÀ

intesa come naturalezza o assenza di complessità.


Proviamo a soffermarci su queste parole cercando di coglierne i concetti funzionali al nostro ragionamento e al nostro business.

CREATIVITÀ

Se il pollice opponibile è la caratteristica che, più di ogni altra, ci distingue dalle scimmie, la creatività è quella che, in chiave contemporanea, ci differenzia dalle macchine e dai sistemi mossi da Intelligenza Artificiale. Quanto incide la creatività nelle nostre strategie di marketing e comunicazione? Quanto è in grado di muovere e di distinguerci all’interno di un’arena competitiva sempre più fluida? Moltissimo. Soprattutto se di matrice evoluta, ovvero ispirata da dati e conseguenti insight che parlano di un bisogno interiore (la cosiddetta tension del nostro consumatore finale). Come misurare la creatività? Il termometro per eccellenza deve essere quello dei risultati che tale creatività è in grado di portare. Che siano risultati in termini di business, social o di puro brand, l’importante è determinare dei KPI a priori e usarli per identificare l’effettivo impatto della creatività stessa. Come a dire: partire dal dato per tornare al dato.

UTILITÀ

In un recente studio, Forrester ci spiega quanto sia importante la costruzione di una brand experience sincera per conquistare e ingaggiare nel tempo un consumatore per natura sempre più distratto ed “empowered” dalle tecnologie e dal digitale. Sincera nel senso che deve essere manifestazione quanto più reale – non importa se tramite un’interfaccia, una social activation o un servizio – della brand proposition: quel messaggio che solo il vostro brand può trasmettere e che è sintesi dell’incontro tra la Brand Belief (la sua ragione d’essere) e la Consumer Tension (il bisogno del consumatore).

la creatività incide Moltissimo nelle strategie di marketing e comunicazione

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SEMPLICITÀ

Note statistiche ci parlano di un consumatore sempre più aggiornato e predisposto a un approccio al mondo del consumo mediato da tecnologia. Basti pensare che oltre il 70% degli italiani ha accesso costante alla rete e più del 50% vede positivamente le tecnologie e preferisce completare “incarichi” in modo digitale. Questo ha di conseguenza settato nuovi standard di esperienza e contatto con i brand, che spingono l’acceleratore su velocità e semplicità d’accesso. Da qui si ricava anche il ruolo della tecnologia stessa, che deve porsi come abilitatore integrato (e non avulso) del messaggio di cui il brand si fa portavoce.

Una semplice interfaccia alimentata da un motore integrato tra API Songkick, Spotify e, per l’appunto, lol.travel, punta a risolvere un annoso problema in un’unica soluzione: molti artisti internazionali non si esibiscono spesso in Italia e quando lo fanno si limitano a passare da poche città. Il servizio, online da qualche settimana, permette la ricerca e l’acquisto del biglietto per il concerto e la contestuale prenotazione del viaggio (volo + aereo) in pochi click e partendo dal nome dell’artista. A fare da colonna sonora, una playlist della durata del viaggio generata automaticamente da Spotify, partner dell’iniziativa. Molto dirette, in questo senso, le parole di Paolo Bergamaschi, Head of Marketing di lol. travel: “Per emergere in un mercato saturo e fortemente competitivo non è più sufficiente comunicare cosa un brand fa o come lo fa, ma il perché lo fa. Il progetto di lol.travel, GoLive, mira a creare un legame indissolubile con il target attraverso una vision potentissima: ogni giorno è quello giusto per viaggiare. In questo contesto, il nostro tool, si pone tra le persone e i loro sogni, abilitandone la realizzazione in pochi, semplici step. Ora non ci sono più scuse per non seguire la propria passione!’’.

OLTRE IL 70% DEGLI ITALIANI HA ACCESSO COSTANTE ALLA RETE

PIÙ DEL 50% VEDE POSITIVAMENTE LE TECNOLOGIE

Da instancabile ottimista, in particolar modo su temi quali la tecnologia, mi piace pensare che la rivoluzione che stiamo vivendo oltre che totalizzante sia anche piuttosto democratica. E a tal proposito un caso che ritengo emblematico e su cui ho personalmente avuto occasione di lavorare nell’ultimo periodo è quello di lol.travel. Una piccola – se confrontata con Trivago, momondo e altri colossi del turismo – ma ambiziosa OTA (Online Travel Agency), che nel processo di dedicare parte delle sue risorse a consolidare la propria brand awareness, dopo un’efficace azione di rebranding, ha lanciato un nuovo e interessante servizio: GoLive. 34

In attesa di valutarne gli impatti reali, l’invito è di continuare ad ambire a essere la prossima cosa interessante auspicata da Tom Goodwin nella sua visionaria citazione.

WWW.LOL.TRAVEL/GOLIVE

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TROVA UN CONCERTO

PRENOTA VOLO E HOTEL

GODITI IL VIAGGIO


M AU RO F ER R A R ES I

mittente Il termine deriva dal latino mittens, il participio presente del verbo “mandare”. Nella teoria della comunicazione si ritrova più spesso nella forma: “emittente”. Si tratta dell’elemento principale della comunicazione, la fonte senza la quale il messaggio non può neppure partire.

Un emittente sufficientemente potente è in grado di diffondere pensiero ascientifico, non provato, oppure può generare menzogne, suggerire complotti inesistenti, instillare l’idea di segreti governatori del mondo. Ma un emittente troppo potente è facilmente individuabile e quindi può essere combattuto.

Nel corso degli anni la teoria dell’emittente ne ha studiato le varie funzioni e l’applicazione nei differenti ambiti (psicologia, sociologia, mass media, teoria della narrazione, storytelling…), ma non ha mai tenuto conto a sufficienza di certe sue prerogative, come la tendenza a diventare ingombrante e anche pericoloso.

In rete invece, l’emittente ricava la sua potenza dall’essere molecolare, frammentato in milioni e milioni di individui che svolgono tale ruolo; per cui esso non risulta facilmente individuabile. E in tale rete molecolare si possono nascondere agevolmente i disinformatori malevoli.

Trasformandosi in attore principale della propaganda, l’emittente può raggiungere un ruolo tanto potente e pervasivo da manipolare l’opinione pubblica, alimentando così la legittimità anche di dittature e regimi. Il secolo scorso con i suoi imperialismi è stato il banco di prova di tale pericolosità. Oggi, l’emittente fintamente democratico dei social e della rete produce nuove forme manipolatrici come le fake news, l’odierno travestimento digitale della disinformatia.

L’unica guarigione da questo delirio narcisistico in cui l’emittente può incorrere consiste nel porre continuamente attenzione alla reputazione, ovvero badare alla considerazione altrui, di coloro che ricevono la comunicazione.

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DAI G.A.S. AGLI ALVEARI Come si compra etico e solidale in Italia.

DEBORAH NANIA

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ati a inizio anni Novanta come contraltare del sempre più attestato modello GDO, i primi gruppi di acquisto solidale hanno segnato un passaggio importante nella consapevolezza del consumatore e si sono affermati diventando una realtà solida – presente ormai in tutta Italia – come valida alternativa agli acquisti mass market. La filosofia che ha decretato la fortuna dei G.A.S. ha come base una critica profonda al modello di consumo odierno, a cui si pone come soluzione un modello costruito su due pilastri fondamentali: l’aggregazione, e quindi una forma più “sociale” di vivere il processo di acquisto, e la selezione ponderata dei produttori da cui rifornirsi, basata su criteri solidali ed etici.

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Chilometro zero, coltivazioni biologiche, basso impatto ambientale, prezzi equi e rispetto delle condizioni di lavoro sono fattori determinanti nella scelta di un fornitore: lo scopo dei G.A.S non è risparmiare (anche se spesso è conseguenza dell’acquisto in grandi quantità), ma mangiare in modo giusto e responsabile. Visto il successo riscosso – solo in Italia si contano più di 2.000 gruppi d’acquisto indipendenti –, sulla falsariga dei G.A.S. sono nate diverse iniziative similari che hanno intercettato e provato a cavalcare il trend del “mangiar sano” rendendolo più accessibile e trasformandolo in un business. È il caso di Cortilia, che dal 2011 porta “la campagna a casa tua”, dando la possibilità ai propri clienti di fare la spesa dai produttori locali, ordinandola sul sito web e ricevendola comodamente a casa. O di “Bella dentro”, la startup avviata da una coppia di trentenni che acquistano dagli agricoltori quella parte di produzione ortofrutticola buona ma che viene scartata dalla grande distribuzione per motivi estetici, e la rivende a privati, ristoranti o G.A.S. stessi, in giro per Milano a bordo di un Ape. In un panorama molto attivo ma sicuramente non ancora saturo e, anzi, decisamente ricettivo, si posizionano gli “alveari”: un progetto che nasce in Francia con La Ruche qui dit Oui!, da lì si diffonde rapidamente anche in Inghilterra con The Food Assembly e arriva in Italia nel 2015 con L’alveare che dice sì!: una piattaforma per la spesa online facile da utilizzare che funziona come un gruppo d’acquisto 2.0: si accede al sito, si cerca l’alveare più vicino, ci si iscrive con un click e si può subito iniziare a fare la spesa scegliendo tra i tanti prodotti proposti. 38

Ogni alveare ha un suo gestore, una persona che si occupa di selezionare i produttori e di organizzare gli incontri settimanali durante i quali i membri dell’alveare hanno modo di incontrare i produttori e ritirare la propria spesa. Così si crea un rapporto diretto, un’occasione per approfondire la conoscenza della materia prima e apprezzare l’artigianalità delle lavorazioni.

l’attenzione è focalizzata sulla qualità del prodotto: il proposito non è risparmiare ma mangiare meglio L’attenzione è focalizzata sulla qualità del prodotto: solo ingredienti freschi di ottima qualità, a filiera corta, provenienti da piccoli produttori che devono percorrere massimo 35 chilometri per approvvigionare gli alveari. E a chi obietta che i prezzi non sono sempre concorrenziali, la risposta è sempre la stessa: il proposito non è risparmiare ma mangiare meglio. Per questo i prezzi di vendita vengono stabiliti direttamente dai produttori, prevedendo una percentuale del 20% divisa equamente tra piattaforma online – per a coprire le spese del servizio – e la remunerazione per il gestore dell’alveare. L’iniziativa in Italia sta riscuotendo un discreto successo, soprattutto in prossimità delle grandi città del Nord, dove è sicuramente più difficile riuscire a venire in contatto con le realtà rurali, tanto che in regioni come Piemonte e Lombardia si contano ormai più di 50 alveari.


CHE COS’È UN ALVEARE? Si tratta di un format nato nel Sud della Francia nel 2011 e arrivato pochi anni dopo in Italia. Un piccolo, ma al t e mp o st esso in espansione, m er c a to digitale a chilometro 0 con lo scopo di rendere la distribuzione dei prodotti locali più ampia e agevole. Permette al consumatore di cercare il produttore più vicino alla propria posizione geografica e di mettercisi in contatto diretto per poter fare una spesa più etica e consapevole.

gli alveari stanno riscuotendo molto successo nel nostro paese, tanto che in regioni come piemonte e lombardia se ne contano più di 50

A seguire la scalata degli alveari ci sono sicuramente anche i big del food, che guardano con interesse a questo fenomeno e, in alcuni casi, danno addirittura il loro avallo aderendo al progetto. È il caso di Slow Food che, in occasione della Milano Food Week, ha inaugurato il suo Alveare della Terra in collaborazione con L’alveare che dice sì! dando così la possibilità di acquistare prodotti provenienti da produttori certificati che aderiscono alla filosofia di Slow Food. La diffusione di queste realtà indica che c’è un segmento significativo di pubblico sempre più interessato a sistemi alternativi di acquisto, che comprendano una visione attenta ed etica. 39


È impossibile, però, tralasciare il fatto che nonostante si tratti di un modello in crescita, rimane comunque contrapposto uno scenario in cui “fare la spesa” è sempre più un concetto frammentato che comprende ormai molteplici modalità; prime fra tutte gli acquisti online che consentono di raggiungere autonomamente gli artigiani e la stessa GDO che punta sempre più su linee a marchio Bio e sulla filiera corta. Potrà questo modello integrarsi o addirittura soppiantare le abitudini di acquisto del consumatore moderno?

LA MAPPA DEGLI ALVEARI IN ITALIA

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IL PARADIGMA UOMO-MACCHINA NELLA FORMAZIONE Se la tecnologia avanza e gli uomini diventano “artisti”.

riccardo stebini

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ell’enorme quantità di stimoli e contenuti da cui mi faccio “bombardare” quotidianamente, sono sempre meno quelli che riescono a colpirmi veramente. Mi sorprendo e resto deluso, sono diventato incredibilmente difficile da stupire! Al tempo stesso però, sono convinto che si tratti di un problema ampiamente diffuso. Potrei citare un paio di produzioni Netflix, qualche libro o intervista particolarmente interessante, al limite qualche video divertente su YouTube. Gli stimoli sono molti, ma in pochi riesco a ritrovare il famoso “effetto WOW”. Qualche settimana fa mi sono imbattuto in un’intervista che a mio parere è davvero life changing e da questa è nata una riflessione. In una lunga chiacchierata, ricchissima di spunti, al World Economic Forum di quest’anno Jack Ma ha sollevato il problema relativo a come si evolverà la formazione per resistere all’incalzare frenetico della tecnologia. Le sue risposte fanno davvero riflettere, ma partiamo dall’inizio.

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IL CONTESTO

Gli investimenti in tecnologia, che fino a qualche anno fa si misuravano in milioni di dollari, oggi si misurano in miliardi. Decine, se non centinaia, e continuano ad aumentare. Gli scenari descritti dai film in cui i robot parlano, pensano e coesistono con l’uomo non sono cosÏ lontani dalla realtà . Quasi senza accorgercene abbiamo imparato a convivere e a contare su un universo di macchine che ci assistono in tutto quello che facciamo; basti pensare agli smartphone che portiamo in tasca, alle industrie senza operai e alle decappottabili che lentamente si dirigono su Marte. Nulla sembra sbagliato, se non fosse che, al fine di servirci meglio, le macchine hanno imparato a fare una moltitudine di cose decisamente meglio di noi. Se inquadriamo questa prospettiva, lo scenario diventa preoccupante: numerosi compiti una volta svolti da umani ormai sono inutili, molti di quelli che attualmente si salvano lo diventeranno. Altro che preoccupante, lo scenario, cosÏ descritto, sembra davvero tragico! 43


Servirebbero trattati da migliaia di pagine per sviscerare sociologicamente questo profondo cambiamento in atto e per analizzarne i possibili sviluppi e controindicazioni; per il momento ci limiteremo a parlare di cosa potrebbe succedere nella formazione. Bisognerebbe boicottare l’avvento tecnologico per provare a conservare il prezioso spazio umano? È una domanda alla quale non mi arrogo la pretesa di saper rispondere. Sono però convinto di una cosa: il progresso è impossibile da fermare! Si può rallentare, provare a fargli cambiare rotta, ma prima o poi arriva. L’ideale sarebbe prepararsi al fine di riuscire a conviverci e fare in modo che la tecnologia sia sempre al nostro servizio e non viceversa. Sembra complesso, come si può fare?

UNA SVOLTA NETTA!

Concentrarsi su quello che si sa fare meglio è da sempre considerato un ottimo consiglio per avere successo. Ma cos’è che tutti sappiamo fare splendidamente, se non “essere” umani? Analizziamo la situazione: tutto quello che impariamo abitualmente è basato su conoscenze. Dati, teorie e metodologie che studiamo e applichiamo. Impossibile competere con le macchine: imparano più in fretta, ricordano di più, elaborano in maniera più precisa e senza il rischio che un’arrabbiatura influisca sul risultato della prestazione. Inquietante forse? Io credo che sia una grande possibilità: se il mondo tecnologico corre come un matto per sviluppare potere e capacità di calcolo maggiori ed una sempre più spiccata indipendenza, noi dobbiamo premere il piede sull’acceleratore e sviluppare ciò in cui difficilmente le macchine potranno eguagliarci: la nostra umanità e la capacità di emozionarci. Facciamo un esempio aziendale: un software ben fatto può targettizzare una campagna pubblicitaria su qualsiasi social con una precisione incredibile. Ci vorrà però sempre un bravo addetto marketing per capire che diverse migliaia di uomini hanno messo “mi piace” a quel famoso brand di lingerie esclusivamente per la prorompente avvenenza della modella e non per un reale interesse per il prodotto. Un immaginario scherzoso che ci porta alla svolta proposta dal fondatore di Alibaba per rivoluzionare il mondo della formazione: “È necessario passare dal mondo della Conoscenza a quello della Saggezza”. Valorizziamo quelle doti esclusivamente umane che ci permetteranno di reinventarci. Perfino un’app gratuita del telefono sarebbe in grado di riprodurre un Raffaello, sarebbe però in grado di crearne (partendo dall’idea) uno da zero? 44

Un robottino qualsiasi potrebbe riprodurre la più complessa delle sinfonie di Chopin al pianoforte, sarebbe però in grado di comporla?


Un robottino qualsiasi programmato ad hoc potrebbe riprodurre la più complessa delle sinfonie di Chopin al pianoforte, sarebbe però in grado di comporla? Sono tutte provocazioni che rendono l’idea del cambiamento di rotta che sarebbe necessario fare. L’esperienza e l’essere “umani”, ci rendono unici e insostituibili. “Valori, empatia, lavoro di squadra, sport, arte, musica e prendersi cura degli altri”. Questi sono alcuni degli elementi che secondo Jack Ma dovrebbero affiancare sempre più un nozionismo che alla lunga diventerà insostenibile.

QUINDI DIVENTEREMO TUTTI ARTISTI?

Per quanto questo scenario possa sembrare affascinante, sembra difficilmente credibile. Il nuovo approccio formativo dell’“Età della Saggezza” non comprende lo studio di determinate materie umanistiche in quanto tali e, sfortunatamente, “essere empatici” non è ancora una professione riconosciuta. Il fine non è diventare degli umanisti che parlano di filosofia e arte davanti a un tè, facendosi beffe delle macchine che lavorano per loro. Con determinate aree di formazione infatti si può potenziare e massimizzare il valore umano che poi sarà necessario riportare in qualunque professione. Le soft skills diventeranno sempre più importanti: sono quelle che permetteranno ad un bravo venditore, per esempio, di surclassare i sempre più numerosi cataloghi online.

spesso capita che i brand che sembrano più umani siano proprio quelli che investono miliardi per creare un androide con le nostre stesse sembianze

Il messaggio di fondo è che se ci si dovesse trovare a competere sulla mera conoscenza, intesa come quantità di nozioni assimilate, alla lunga sarebbe difficile non farsi spodestare dalla tecnologia. Ma la capacità umana di rielaborare dati, informazioni e situazioni con modalità sempre diverse, creative e spesso dettate dell’esperienza personale ci distingue, ci rende unici. Anche per il mondo dei brand questa rivoluzione umano/ tecnologica non passerà inosservata. Già adesso, a parità di prodotti e servizi, quello che vince è la rappresentatività in termini di valori ed emozioni trasmessi: cose incredibilmente umane. Addirittura spesso capita che i brand che sembrano più umani siano proprio quelli che investono miliardi per creare un androide con le nostre stesse sembianze. Sembra anacronistico? Non credo. Queste azienda hanno perfettamente intuito come funziona e come funzionerà. Le teorie dello storytelling insegnano che l’uomo vuole l’essere umano, anche nelle cose che più si discostano da quest’ultimo. Lasciare da parte l’umanità, per qualsiasi prodotto o servizio, è un grosso rischio. 45


In un mercato dove la concorrenza incalza, rischiare di essere associati a valori difficilmente riconoscibili o che risultino poco umani vuol dire cedere il proprio spazio ad altri. Banalizzando scherzosamente: non vedrete mai Apple promuovere una cover in pelliccia di panda. L’argomento è davvero complesso e la dicotomia uomomacchina è al centro di accesi dibattiti. Alcuni parteggiano per l’uomo e pensano che dovrebbe essere la tecnologia a fare un passo indietro, altri hanno donato la propria vita al progresso con l’idea che il mondo possa diventare un posto migliore. Che dire delle emozioni? Un’altra componente non riproducibile dalle macchine, su cui le ricerche stanno facendo passi avanti incredibili. Da amante della tecnologia mi limito a concordare con Jack Ma. Se sapremo cambiare il nostro modo di vivere, formarci e fare business, la convivenza sarà ottima. È un messaggio che vale la pena condividere. Rimane però una sensazione strana, divertente quasi. Avreste mai pensato che un giorno vi sareste soffermati a riflettere su come essere ancora più umani?

GUARDA IL VIDEO “Jack Ma 2018: Breaking your Limits” Se non avete mai guardato un’intervista da 57 minuti abbondanti… è decisamente il caso di cominciare! In una chiacchierata fluida e dall’inglese assolutamente fruibile, il founder di Alibaba tratta alcuni degli elementi più attuali sul mercato del lavoro e dell’economia mondiale. Dalla leadership, alla formazione, passando per sostenibilità e prospettive per il futuro. Vi chiedete cosa abbia da insegnarvi quest’uomo? Vi basti sapere che quando KFC arrivò in Cina lui cercò di farsi assumere. Al colloquio erano 24… e l’azienda ne assunse 23. Attualmente è il 18° uomo più ricco del pianeta!

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SAVE THE DATE

Roma, 12 luglio 2018 Circolo del Tennis Foro Italico

evento di premiazione

www.premioagol.com


LA STREET STYLE PHOTOGRAPHY DI ADAM KATZ SINDING

FRANCESCA CAGLIANI

I

l cambio di millennio ha portato ad una svolta radicale nell’ambito della fotografia di moda. L’analogico ha dovuto fare spazio alla fotografia digitale, diventata in breve tempo l’unico mezzo di comunicazione visiva accettato da case di moda, designer, grafici e tutto il resto del sistema creativo. Questo passaggio ha procurato, fra mille controversie, grandissimi vantaggi, ma ha anche creato problemi a tutti i professionisti che hanno trascorso l’intera vita a studiare l’uso degli strumenti, della luce e di tutto ciò che era necessario a scattare una buona foto. Basti pensare che i software di post produzione non esistevano (ovviamente, visto che le fotografie venivano sviluppate in camera oscura e non scaricate in pochi secondi su un monitor), quindi lo scatto doveva essere studiato nei minimi dettagli prima, senza trucco e senza inganno. Tutto è diventato più veloce, più immediato, tagliando passaggi su passaggi e rendendo il materiale immediatamente (o quasi) pronto all’uso. Ma non è tutto. Parallelamente a questa tendenza hanno iniziato a farsi strada figure professionali che si distinguono dalla “massa” andando in una direzione trasversale: i fotografi di street style, ovvero della moda di strada, amata alla follia dai giornali e dagli stilisti assetati di nuove ispirazioni. E chi meglio della gente comune può offrirle?

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Street style photography: la moda di strada amata alla follia dai giornali e dagli stilisti assetati di nuove ispirazioni


Così sono nate vere e proprie star, osannate e ricercatissime: Scott Schuman, con il suo The sartorialist, uno dei fotografi e blogger di moda più conosciuti e apprezzati al mondo. Lee Oliveira, australiano, altro nome illustre a livello internazionale, e ancora Bill Cunningham – una leggenda del settore che non ha mai smesso di scattare fino alla sua recente scomparsa –, Tommy Ton, Nabile Quenum, Julien Boudet e molti altri. Ma oggi uno dei nomi più in voga è quello di Adam Katz Sinding. Bello, alla mano, sorridente e mosso da grandissima determinazione. Quando si è presentata l’occasione di intervistarlo si è subito accesa la curiosità di capire più a fondo un ramo della fotografia di moda che da sempre affascina tutti ma di cui si conoscono solo alcuni aspetti. Eh sì, perché Adam Katz Sinding fa rima con “street style photography”. Classe 1983, nato a San Francisco, Adam si è fatto largo nel mondo della fotografia “di strada” trasformando la sua passione in un lavoro. E che lavoro.

In molte interviste uscite su testate prestigiose, Adam racconta della sua grande passione, che non si limita alla street style photography fine a se stessa. I volti, i gesti, i movimenti, i dettagli. La continua ricerca di quel micro mondo che si nasconde nella quotidianità e negli sguardi che si incrociano camminando per le vie di ogni città del mondo. Adam ama catturare piccole sfaccettature che imprigiona per sempre nei suoi scatti. Scatti dal sapore street, sicuramente, ma che sembrano animarsi nel momento in cui li si osserva. Parigi, Londra, New York, Milano, l’ambiente urbano diventa un set a cielo aperto in cui dare la caccia a tutto ciò che smuove “qualcosa”: un ricordo, un’emozione, una curiosità. Una continua ricerca di visi, di colori, di movimenti da fermare per sempre, che diventano fonte di grande ispirazione per le case di moda e le testate di tutto il mondo. Ma torniamo a noi e cerchiamo di conoscere più da vicino quest’uomo dalla barba folta che si nasconde dietro l’obiettivo. Lo incontriamo a Firenze, in una calda giornata estiva.

Backstage sfilata di A COLD WALL* P/E 2019 – London Fashion Week Men’s

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Backstage sfilata di Kiko Kostadinov P/E 2019 – London Fashion Week Men’s


Proprio in questi giorni è uscito il suo libro This Is Not A F*cking Street Style Book, una monografia edita da teNeues in collaborazione con MENDO, che raccoglie le immagini più significative di Adam. Fra una foto e l’altra c’è anche un articolo che indaga il fenomeno dello streetwear sotto forma di conversazione tra Adam, Virgil Abloh (fondatore di Off-White e direttore creativo della linea maschile di Louis Vuitton) e MENDO.

Com’è nata l’idea di raccogliere alcuni dei tuoi scatti per dare vita a This Is Not A F*cking Street Style Book? MENDO, l’editore, mi ha contattato per chiedere se fossi interessato a fare un libro. Hanno detto che se mai fossi stato ad Amsterdam avremmo dovuto vederci. In quel periodo vivevo proprio ad Amsterdam e il luogo dell’incontro era a pochi passi dal mio appartamento! Quindi ci siamo incontrati... e due anni dopo abbiamo realizzato il libro.

Chi è Adam Katz Sinding? Un fotografo americano con base a Copenhagen.

Le tue città del cuore? Copenhagen, Tbilisi e Seattle.

Con che macchina fotografica scatti? Scatto con una Nikon D5 e qualche volta con una Leica S o una Mamiya 7 II. Chi sogni di fotografare? Chiunque. Non sono schizzinoso! Ci sono milioni... miliardi di soggetti incredibilmente interessanti in questo mondo.

Quale luogo definisci “casa”? Sia Copenhagen che Seattle. Se non fossi diventato un fotografo oggi cosa faresti? Lavorerei in un hotel come concierge. Ho lavorato negli alberghi per 12 anni parcheggiando macchine, trasportando bagagli, rispondendo al telefono e facendo il concierge. Il complimento più bello mai ricevuto sul tuo lavoro? Una volta Tom Ford mi ha detto che le mie immagini sono belle e sono quasi svenuto. Dove sarà Adam fra 10 anni? Difficile dire dove, ma spero di fare la stessa cosa!

THIS IS NOT A F*CKING STREET STYLE BOOK La prima opera di Adam, che racchiude in un libro il lavoro portato avanti nel suo blog Le 21ème - This is NOT a Street Style Blog (www.le21eme.com).

Backstage sfilata di Kiko Kostadinov P/E 2019 – London Fashion Week Men’s

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Raccolti in più di 200 pagine, i suoi scatti parlano di moda e tendenze attraverso volti, dettagli e foto di backstage.


www.vimeo.com/doublevideo


L’INCENTIVE ETICO Le esperienze MICE si arricchiscono di valore grazie al coinvolgimento di attività sostenibili.

federica brunini

C

’era una volta la marca, che nel tempo si è trasformata adottando la dura legge del branding: identità, coerenza, design, linee, filosofia, storytelling. In tutti i settori, travel compreso, di un semplice nome – in molti casi quello del fondatore o un acronimo più o meno suggestivo – si è fatta prima una case history, poi un concept, una strategy e, infine, una experience. Quest’ultima, in epoca social, è istantanea e condivisibile soprattutto in viaggio, in quei momenti in cui la quotidianità si interrompe per lasciare tempo e spazio all’extra-ordinario. Fuori dall’ufficio, fuori dagli orari, dagli schemi, dai ruoli, dalla competizione. Altrove. Lo scopo di un viaggio incentive è quello di concedere e concedersi una pausa dalle dinamiche più strettamente lavorative per interagire con i componenti di un team o di un’azienda in una nuova prospettiva, nella quale la geografia e la location giocano una parte fondamentale, ma non l’unica. Secondo le ultime tendenze emerse al WEC (World Education Congress di Meeting Professionals International) di Indianapolis, oggi vince quel brand che può mettere in campo, oltre alle competenze e ai servizi organizzativi, ambassador e partnership di rilievo.

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Secondo Elisabetta Caminiti, neopresidente di MPI Italia Chapter, l’associazione italiana che riunisce tutti i professionisti dell’industria degli eventi e dei congressi, del turismo e della comunicazione aggregata, non è più lo speaker o il volto più o meno noto a fare la differenza nel successo e nel ricordo di un’esperienza MICE, bensì la presenza di collaborazioni e operazioni di co-marketing in chiave etica. A Indianapolis, il gruppo Hilton Worldwide – una delle catene alberghiere più grandi al mondo con 4200 proprietà – ha indicato la rotta coinvolgendo Repeat Roses, l’organizzazione eco-sostenibile di “riciclo floreale” fondata negli USA dalla wedding planner Jennifer Grove.

Elisabetta Caminiti, neopresidente di MPI Italia Chapter


Ogni giorno Repeat Roses raccoglie i fiori e le piante degli allestimenti di hotel, ricevimenti, eventi privati o pubblici che finirebbero nella spazzatura e li distribuisce in nuove composizioni e formati a case di riposo, ospedali, associazioni benefiche ed enti che possano beneficiare di questo secondo ciclo fiorito. La stessa MPI Italia ha accolto la sfida delle charity, rispondendo all’appello di Medicinema – la onlus italiana nata nel 2013 ispirandosi all’omonima esperienza attiva nel Regno Unito –, che mira a installare all’interno delle strutture ospedaliere e delle case di cura spazi cinema accessibili anche ai degenti con scarsa mobilità e ai loro familiari. I protagonisti del settore MICE, dai più noti ai più piccoli, stanno trasformando il proprio modo di fare branding. Dal marketing operativo, basato su logiche di mercato, numeri e statistiche, stanno transitando verso un approccio più narrativo, incentrato sulla valorizzazione “relazionale” del brand stesso e sulla sostenibilità delle proprie idee e delle relative interazioni.

Si comincia a mettere sul tavolo non bilanci ma narrazioni strategiche che puntano, sul lungo periodo, a raggiungere nuovi target di clienti e fatturato. Storie che presentano il brand come unico, ineguagliabile, coerente e, come dicono gli americani, “consistent”: efficiente, affidabile, riconoscibile. I tour operator, le catene di hôtellerie, le agenzie di servizi e di organizzazione eventi stanno imparando a raccontare chi sono attraverso social e blog sempre più personalizzati che includono, in certi casi, le esperienze del personale e dello staff. “In Italia lo ha fatto la catena di alberghi FH, con uno storytelling innovativo ed etico al tempo stesso, che mette in risalto il contributo di ogni singolo dipendente al successo di un soggiorno o di un evento di affari, di svago o più probabilmente di bleisure. La personalizzazione è una componente importante”, conclude Elisabetta Caminiti. “I clienti vogliono ‘guardare in faccia’ chi sta lavorando per loro e instaurare uno scambio non solo di servizi, ma di esperienze e, infine, di valori”.

I protagonisti del settore MICE stanno transitando verso un approccio più narrativo

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IN CAMERA OSCURA CON

Marcello Fauci


Auto storiche al Gran premio del Bernina 57


Ho sempre creduto di essermi avvicinato alla fotografia molto tempo prima di aver preso coscienza che sarebbe diventata la mia professione. Di sicuro un illuminato professore calabrese di educazione artistica mi insegnò a caricare pellicole in una vecchia Yashica, conservo ancora quei rullini. Terminati gli anni di formazione a Roma ho preso qualche aereo inseguendo storie e luoghi da cui ero attratto, affascinato da tutto ciò che la fotografia documentaria pone in essere: esperienze in prima persona. L’idea di restituire la percezione di essere presenti, di partecipare all’evento, di guardare da vicino i protagonisti, per me è un importante criterio di selezione, mi piace pensare che attraverso una buona immagine si possa condividere di più che una semplice informazione. Il settore Motori-Automotive mi è capitato un po’ per caso e, venendo dal mondo del fotogiornalismo, ho inizialmente considerato la fotografia commerciale e di eventi in genere come una corsa a cui avrei partecipato da outsider e con non poche difficoltà. Quando ho fotografato il Gran Premio di auto storiche al Passo del Bernina, però, l’aver visto un manufatto umano creato quasi due secoli fa funzionare ancora - e soprattutto correre - mi ha fatto credere che senza dubbio avrei potuto farcela anche io a rendere felice il cliente e soprattutto me stesso.


75° anniversario Ray-Ban, Milano


In alto a sinistra: Presentazione Sony (Milano Fashion Week) In basso a sinistra: Performance di parkour per Renault Twingo a Bolzano In alto a destra: Maserati Levante unveiling ceremony by Filmmaster (Milano Design Week) In basso a destra: Balocco, Club Italia Cup, competizione di auto d’epoca

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Cena di gala all’interno degli stabilimenti Zagato



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