Focus ON 15

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UN PERC OR S O “SENZA CURVE”

L’evoluzione di Focus ON interpretata dal tape artist NO CURVES

LA C OMUNICA ZIONE AL CENTRO

Ripartire dalle parole per un linguaggio comune e condiviso 1



editoriale Dario De Lisi

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pesso rimproverano a noi italiani riunioni interminabili, meeting e conference call a tutte le ore mentre ci raccontano che i grandi della storia contemporanea (Elon Musk, Warren Buffett, Jeff Bezos…) dedicano a ogni incontro massimo 30 minuti. L’ottimizzazione del tempo pare essere la chiave per costruire grandi imperi finanziari e cambiare il mondo e noi inseguiamo questi modelli con cronometro alla mano, sforzandoci di imparare a fare altrettanto. Forse però la soluzione non sta nella costrizione dei minuti ma nella capacità di comprendere ciò che l’interlocutore vuole trasmettere e fare lo stesso in modo sintetico ed efficace trasformando il tempo da una conseguenza a uno strumento. Per questo dobbiamo ripartire dal linguaggio. Quest’anno rimetteremo al centro del dibattito le parole chiave della comunicazione raccontate attraverso le case history più interessanti del panorama italiano e internazionale. Gli eventi, i nuovi comportamenti e le future opportunità di chi vive il nostro mondo saranno condivisi in sei uscite e decodificati attraverso elementi quali contesto, canale, codice, emittente, destinatario e messaggio. Stimoleremo il confronto tra figure professionali provenienti da ambiti differenti ma spesso complementari e faremo del nostro approccio interdisciplinare il punto di forza di un progetto che vuole essere parte attiva di una conversazione inclusiva su ciò che la comunicazione deve essere ai giorni nostri. Per iniziare abbiamo chiesto all’artista NO CURVES di reinterpretare il percorso di Focus ON: una dichiarazione d’intenti, una promessa che nasconde un ben più complesso e stimolante obiettivo.


CONTRIBUTORS

Silvia Bernardi

STEFANIA BOLESO

Antonio Carnevale

15 anni di esperienza in testate nazionali (come “Il Sole 24 Ore”, Radio 24, Rai), è esperta di temi legati alle politiche culturali nazionali ed europee. È titolare sulla Domenica de “Il Sole 24 Ore” della rubrica Più Europa ed è anche conduttrice per Radio 24 di Euroreportage e del programma Eu-Zone, autrice e co-conduttrice del programma Europa-Europa e conduttrice televisiva per Euronews. Da sempre Silvia si interessa a tematiche sociali e ambientali come reporter in spedizioni scientifiche.

Il marketing è la sua grande passione, oltre che la sua professione. Laureata in economia aziendale all’università Bocconi, da oltre 20 anni si occupa di marketing, prima in multinazionali – dove ha ricoperto ruoli manageriali – e poi come consulente e formatrice. Professore a contratto all’università Cattolica di Milano, ha una grande expertise in vari settori: luxury, food & beverage, retail, banking, manifattura e servizi.

Nato a Roma, giornalista pubblicista dal 2012, ama la musica e il cinema, così come le nuove tecnologie. Da qui nasce il suo impegno su “StartupItalia!” e “Wired” – e anche il trauma cervicale per utilizzo ossessivo di smartphone. Appassionato di sport, in particolare tennis e calcio, “farnetica” di tutto dalle frequenze di Radio Centro Suono in coppia con il collega Massimiliano Augieri pensando di essere simpatico. E gli altri glielo lasciano credere.

federico gordini

jacopo pozzati

Viviana Ilaria Sergio

Founder della Milano Food Week e dal 2008 nel settore del food & beverage, nel 2013 crea il suo primo format di somministrazione con Mica e il progetto The Meatball Family. Nel 2016 fonda Lievita, società che si occupa della creazione e produzione di format legati al mondo del food & wine e di consulenza. Nel novembre scorso produce la prima edizione di Vivite: il primo festival vinicolo dedicato al mondo delle cooperative vinicole italiane.

Nato a Bologna, quasi 40enne ed ex giocatore di basket, dice di avere il lusso di poter fare ciò che gli piace. Figlio d’arte e fondatore di attività come Back-door, La Ferramenta, SOTF (Store Of The Future), Oltre. È consulente e dot connector per varie aziende come il gruppo BasicNet (Kappa, Superga, K-Way, Sebago), Woolrich, Sundek e freelance per manifestazioni e agenzie: Sole DXB, Capsule Show e Nss Magazine.

Project Manager & Innovation Technology Specialist. Quasi 10 anni di conoscenza del mondo digital vissuto attraverso gli occhi di agenzie di comunicazione al servizio di numerosi brand. Una forte passione per la tecnologia nata insieme alle prime partite con Super Mario Bros, ed evoluta con la realtà virtuale.


www.focuson.press

Chiuso in Redazione il 28 febbraio 2018

sara d’agati

mauro ferraresi

Un PhD a Cambridge in Relazioni internazionali, un blog (“L’Utopista”) dove racconta il mondo che vorrebbe e un altro sull’”Huffington Post” dove si arrabbia per com’è. Scrive di innovazione per “La Repubblica” e dirige “The New’s Room”: la prima rivista cartacea curata da under 35 in Italia. Viaggiatrice instancabile, ha deciso di tornare in Italia e ricominciare da qui. Non sopporta chi fa la faccia storta quando dice che ci crede ancora. Innamorata della vita, quasi ogni giorno.

Professore associato di Sociologia della Comunicazione presso il Dipartimento di Comunicazione, arti e media “Giampaolo Fabris” dell’università IULM di Milano. Direttore scientifico del Master in Management e Comunicazione del Made in Italy, del Master in Management e Comunicazione del Beauty and Wellness e co-direttore del Master in Marketing e Comunicazione dello Sport.

Registrazione presso il Tribunale di Milano n.140

francesca cagliani direttore resp on s abile

dario de lisi direttore editoriale

francesca passoni cap oredattore

greta tremolada art direction

presen za ADv commerciale@focuson.press

Reda zion e redazione@focuson.press

riccardo stebini

giuseppe iavicoli beppe treccia

segn ala zion i e in fo

Bustocco di nascita ma milanese per adozione, cresce accademicamente alla IULM fino a specializzarsi in Psicologia dei Consumi e Food & Wine Communication. Dopo un’esperienza lavorativa nell’academy internazionale Business Strategies torna all’ovile e si innamora della formazione, in particolare dei master universitari. Da anni scrive e lavora in questo settore sviluppando e gestendo programmi e moduli formativi. Consulente per professione, ma nerd per affinità elettiva.

Nato a Roma, cresce a Vasto e si trasferisce a Milano, dove si diploma allo IED e fonda uno dei primi Laboratori Creativi multidisciplinari con alcuni ex compagni universitari. Nel 2001 lavora come Art Director nel campo della moda e nel 2012, assieme alla compagna e artista Dana Ondrej, fonda Spazi Possibili: piattaforma che promuove artisti, designer e giovani scrittori in location non convenzionali. Nel 2014, assieme ad Antonio Ponti, fonda Killer Kiccen e poco dopo la Killer Kiccen Production, di cui è anche l’attuale direttore creativo.

Editore

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sede Piazzale Giulio Cesare 14 20145 Milano

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7 L’ERA DELLA COMUNICAZIONE LIQUIDA Quando la tradizione non è (più) sinonimo di certezza

31 ARTE: DELIVERY NOT AVAILABLE

Arte e comunicazione, un legame lungo una storia

11 INTERAZIONE MULTICANALITÀ ESPERIENZIALITÀ Come comunicano i Millennials e quali contenuti cercano?

39 LE CITTÀ VISIBILI Viaggio attraverso le città più promettenti del mondo

45 COMUNICARE IL VINO L’evoluzione del linguaggio e dell’esperienza di territorio


19 FORMARSI PER SCEGLIERE LA FORMAZIONE

25 CAMBIARE RIMANENDO SE STESSI

Consigli e miti da sfatare

Il mercato degli eventi secondo Giancarlo Sarli di ForumNet

23 LE PAROLE DELLA COMUNICAZIONE “Format”

49 BORN AND RAISED Il successo dello streetwear sulle passerelle

57 ATTITUDE: MOBILE FIRST Uno sguardo che punta al futuro

58 IL FOTOGRAFO Amedeo Novelli


L’ERA DELLA COMUNICAZIONE LIQUIDA. QUANDO LA TRADIZIONE NON È (PIÙ) SINONIMO DI CERTEZZA Nuovi investimenti, attività e strumenti per raggiungere i consumatori. Cosa succede se un brand decide di lasciare la strada vecchia per quella nuova?

st e fa n ia b o l es o

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ino a poco più di 10 anni fa, la comunicazione in azienda faceva capo a un reparto specifico, che a sua volta si relazionava solo con selezionati partner esterni specializzati. In altre parole, si seguiva il principio della specializzazione: chi era nelle vendite si occupava di vendere, il reparto HR gestiva tutti i temi che gravitavano attorno al personale e così via. La gran parte degli investimenti riguardanti la comunicazione veniva veicolata su canali tradizionali, TV in primis, e vigeva la regola del “Più spendo, più mi faccio vedere”, quindi tutti – o almeno quelli che se lo potevano

permettere – cercavano la maggior frequenza per diventare (prima e restare poi) top of mind nella testa del potenziale cliente. Piano piano questa cosa ha smesso di funzionare. Il cosiddetto Interruption Marketing, per dirla alla Seth Godin, ha cominciato a mostrare i suoi limiti. Il pubblico si è stancato di venire continuamente interrotto: anziché ottenere attenzione e quindi spingere all’acquisto, le aziende stavano ottenendo l’effetto noia.


L’assioma “Spendere tanto per farsi vedere tanto” funzionava ancora, ma la visibilità non si traduceva più automaticamente in una spesa, al contrario il pubblico mostrava sempre più segni di insofferenza nei confronti di questo bombardamento mediatico. Ha cominciato a prestare meno attenzione alle aziende e ai brand che si facevano vedere troppo e in modo troppo ostentato e ha invece iniziato a notare messaggi e attività che riuscivano a stupire, a catturare l’attenzione grazie alla creatività del contenuto o semplicemente del medium scelto.

l’attenzione del pubblico che desideravano raggiungere. A poco a poco tutto è diventato comunicazione, ecco perché credo che sia giusto definire il periodo attuale come quello della “comunicazione liquida”. I tradizionali spot non sono scomparsi, intendiamoci, ma si stanno trasformando in qualcosa di diverso, in veri e propri cortometraggi dove il prodotto è quasi invisibile, perfettamente inserito nello storytelling quasi fosse un product placement ben riuscito. Sempre più come strumento di comunicazione vengono usate le persone: pensiamo per esempio al boom dell’Influencer Marketing, ma anche all’utilizzo dello User Generated Content e ai progetti di Employee Advocacy.

Il consumatore sembrava non apprezzare più le grandi campagne classiche, così sempre più aziende hanno iniziato a sperimentare una comunicazione di tipo pull

E così le aziende hanno dovuto abbandonare il sentiero certo per l’incerto, spinte anche dalla crisi economica e dalla conseguente riduzione dei budget destinati alla comunicazione. Il consumatore sembrava non apprezzare più le grandi campagne classiche, così sempre più aziende hanno iniziato a sperimentare una comunicazione di tipo pull e a cercare altri modi per catturare

Fastidioso, invadente Senza un target specifico Costoso Basso ROI

Ci sono aziende di alcuni settori (per esempio la moda, ma non solo) nelle quali il budget allocato in attività con influencer è cresciuto in maniera importante negli ultimi anni ed è destinato a crescere ancora.

crea Relazioni a lungo termine Traffico personalizzato economico Alto tasso di conversione

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Sono tutti coloro che hanno un’audience e che quindi possono aiutare l’azienda a moltiplicare la visibilità di un messaggio in tempi molto brevi, garantendo anche una maggiore credibilità.

Si intende il contenuto generato dagli utenti, quindi dal pubblico che, spesso, diventa creatore oltre che destinatario del messaggio.

Usare le proprie risorse come ambassador è uno dei metodi per accrescere la notorietà e il valore di un’azienda in quanto brand. Lavorare sull’Employer Branding attraverso operazioni di Employee Advocacy che coinvolgono i dipendenti è uno degli strumenti più apprezzati perché consente di mostrare tutte le facce di un’azienda.

Un altro trend contemporaneo e in crescita è quello dello User Generated Content: una ricerca Ipsos del 2014 mostra che presso i Millennials, il pubblico di cui tutti oggi sembrano non poter più fare a meno, il contenuto prodotto da altri utenti viene considerato più memorabile per il 35%, mentre il 50% lo ritiene più credibile. I dati si confermano anche nel 2017: come emerge dallo studio del centro statunitense Olapic, i Millennials si concentrano sull’UGC dei propri peers più di quanto non facciano i loro genitori (i cosiddetti Baby Boomers). Ciò che accomuna entrambe le generazioni però è la generale fiducia nei confronti dei contenuti creati dagli altri consumatori rispetto a qualsiasi altro tipo di contenuto. L’UGC è stato alla base del successo planetario di GoPro, ma in quel caso i budget erano ridotti, quindi non si poteva fare altro; Apple invece l’aveva capito bene ed è per questo che già ai tempi dell’iPhone 6 aveva utilizzato per la sua campagna di comunicazione le foto degli utenti. Ma la cosa più interessante che ho visto recentemente in termini di UGC è stata la creatività delle aziende americane durante l’ultimo Super Bowl: Kraft ha addirittura utilizzato immagini e video realizzati dai consumatori per riempire i 30 secondi più costosi (e visti) della TV americana. Anche i dipendenti stanno diventando veicolo di comunicazione: sempre più aziende si stanno rendendo conto che le persone sono attratte dalle storie e dai racconti e cominciano quindi a usare la forza dei

Questione di fiducia

Millennials BABY BOOMERS

Credono nell’UGC Olapic’s “Consumer Trust Survey” 2017

Credono nei contenuti creati dai brand


dipendenti nel fare Employer Branding, nel trasferire cioè l’immagine e i valori aziendali in maniera credibile presso un vasto pubblico attraverso le proprie risorse. La tecnologia è un altro grande strumento di comunicazione: realtà virtuale e aumentata (VR e AR), tecnologia Beacon, AI e chi più ne ha più ne metta. A settembre dello scorso anno Swarovski e Mastercard hanno realizzato una shopping experience basata sulla realtà virtuale: grazie a una app di VR il cliente veniva proiettato all’interno di una casa finemente decorata, dove era possibile acquistare gli articoli presenti con Masterpass, il servizio di pagamento digitale di Mastercard. Ma davvero ogni cosa serve a far parlare di sé: l’ultima trovata di Renzo Rosso, patron di Diesel, è stata vendere in un piccolo negozio di New York jeans e capi di abbigliamento a brand Deisel, nome volutamente storpiato perché gli articoli apparissero contraffatti, quando in realtà si trattava di prodotti autentici. Soddisfazione da parte degli ignari acquirenti, che per pochi dollari si sono

la parola ai consumatori

considera più credibili i contenuti postati dagli altri consumatori rispetto a quelli comunicati dal brand

conferma di affidarsi maggiormente all’UGC anziché all’ADV tradizionale per fare un acquisto

portati a casa capi dalla qualità e dal valore molto più elevato, ed enorme visibilità mediatica per un’operazione che è stata presentata come uno scherzo, un modo per non prendersi troppo sul serio, in perfetto stile irriverente Diesel, ma che in realtà è stata studiata a tavolino da un team di creativi di alto livello. E si potrebbe continuare all’infinito (o quasi…). Ogni volta che vedo operazioni che vanno a liquefare il concetto di comunicazione, tanti sono gli interrogativi che mi pongo: innanzitutto, quanto resterà di ciascuna di queste attività nel medio/lungo periodo? Quanto ci ricorderemo, pur a distanza di pochi mesi, dell’operazione che per un momento è stata sulla bocca di tutti? Quanto l’operazione stessa sarà riconducibile all’azienda che l’ha ideata e quanto invece si perderà ogni legame tra comunicazione e brand, con conseguente perdita di valore dell’investimento effettuato? E poi da ultimo ma non ultimo, in questa bulimia continua il rischio è quello di perdere di vista il consumatore, unico vero destinatario finale di tutti i messaggi e le attività. Se lo scopo di un’azienda è anticipare, comprendere e soddisfare i bisogni dei suoi clienti in maniera profittevole, siamo sicuri che ciascuna delle attività di comunicazione risponda a un bisogno del pubblico, aggiunga valore o gli porti un beneficio, oppure a prevalere è solo il desiderio di sfoggiare l’ultima trovata per cercare di ottenere il cosiddetto Earned Media? Tutte le aziende dovrebbero chiederselo e sarà la loro risposta a determinare il futuro della comunicazione liquida.

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I NTE R A ZIONE M U LTI CANALITÀ ESP E R IE N ZIA LITÀ Come comunicano i Millennials e quali contenuti cercano? I nuovi strumenti per raggiungerli e le parole di chi ha saputo coinvolgerli.

Enel Contemporanea 2011, Carsten Höller, Double Carousel with Zöllner Stripes


Antoni o Carne val e e S a r a D’Agati

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ono stati definiti pigri, bamboccioni, choosy, narcisisti. Eppure, nella scelta dei contenuti – e dei mezzi per veicolarli – così come dei prodotti, non solo sono estremamente proattivi, ma dettano mode e tendenze, forti dei numeri che li vedono come un target di mercato particolarmente desiderato dalle aziende. Sono i Millennials, ossia tutti i nati dall’inizio degli anni Ottanta alla metà degli anni Novanta. 13


Oggi rappresentano il 24% della popolazione mondiale. A tutti gli effetti la prima generazione che, nella propria etĂ adulta, ha dimestichezza con i nuovi strumenti di comunicazione pur non avendo dimenticato i vecchi codici di linguaggio, precedenti alla rivoluzione digitale. Una generazione di ponte tra due mondi insomma, eppure in grado di leggerli entrambi. Negli Stati Uniti i Millennials sono piĂš di 80 milioni e hanno superato in numero gli appartenenti alla Generazione X (quella dei nati tra il 1960 e il 1980). Si stima che nel 2020 il totale della loro spesa annuale possa arrivare a sfiorare la cifra di 1,5 trilioni di dollari. Ecco perchĂŠ le aziende fanno a gara per accaparrarsi questa importante fetta di mercato, sforzandosi di portare il messaggio del proprio brand attraverso i loro canali comunicativi. Ma come comunicano oggi i Millennials? E soprattutto, che contenuti cercano?

Enel Contemporanea 2013, Toshiko Horiuchi MacAdam, Harmonic Motion / Rete dei Draghi

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Fonte dei dati: Nielsen Global Survey 2013-2016


IPERCONNETTIVITÀ E APPROCCIO DIRETTO: UN MUST PER I MILLENNIALS Oggi, e non è certo una novità, il 75% delle interazioni tra gli utenti di questa fascia di età avviene online attraverso smartphone. In Italia, su circa 9 milioni di Millennials, il 76% è connesso a Internet dalla mattina alla sera, nel 93% dei casi dai propri dispositivi mobili. Il 97% poi, ha almeno un profilo personale su un social network. Escludendo WhatsApp, Facebook è ancora il social più usato, seguito da Instagram e Twitter. Instagram, tuttavia, sta velocamente guadagnando terreno soprattutto tra i più giovani ed è un canale sempre più ricercato dalle aziende per sponsorizzare prodotti e contenuti. Le due componenti della personalizzazione e del crescente utilizzo dello smartphone emergono anche nella scelta dei prodotti e nelle modalità di acquisto dei Millennials. Lo smartphone è sempre più utilizzato nella fascia tra i 18 e i 30 anni come mezzo per fare shopping (in linea con lo sviluppo incrementale dell’e-commerce).

Il pubblico della manifestazione piano city

Campione edizione 2017, pianocitymilano.it

In Italia il 42% dei Millennials trova ispirazione su Instagram e Facebook, mentre in America Amazon ha dedicato loro una sezione apposita: Amazon Teens. L’Europa comunque non è da meno: l’Inghilterra è in testa con l’83% di utilizzo dei servizi e-commerce e l’Italia è in continua crescita. Oltre al mezzo, anche i contenuti sono in evoluzione: si comunica tramite immagini e diventano sempre più centrali i video (in particolare live). I Millennials sono tra i più numerosi fruitori di questo genere di contenuti – quelli inaugurati da Twitter Periscope, per capirci – si calcola che nel 2019 i Millennial Digital Video Viewers possano arrivare a 80 milioni. Altra caratteristica della comunicazione tra Millennials è l’approccio collaborativo. Facebook e Instagram in particolare, favoriscono l’emergere di influencer in ciascuna community, dove elementi centrali sono l’interazione e i contenuti. Questo condiziona anche il rapporto con i brand, con i quali i giovani utenti cercano confronto e trasparenza. L’87% infatti preferisce avere una comunicazione proattiva con le aziende e il 62% si dimostra più fedele a un brand che lo abbia coinvolto con messaggi, attraverso i social network.

I l p u b b l i c o c o i n v o lt o nella comunicazione


Inaugurazione Piano City Milano 2014 ph. Marco Pieri


RAGGIUNGERE IL TARGET CON CONTENUTI ECCEZIONALI E ACCESSIBILI La ricerca di coinvolgimento da parte dei brand e delle aziende, per quel che riguarda gli utenti di questa fascia di età, non si esaurisce soltanto nella comunicazione online. Per avvicinarsi a un marchio o a un prodotto, i Millennials prediligono la fruizione di un’esperienza, creatività e contenuti innovativi rispetto al marketing tradizionale. Tra i primi in Italia ad averlo capito alla perfezione troviamo h+, società milanese di consulenza e produzione che già da diversi anni, per promuovere brand e aziende, organizza eventi diffusi ad alto contenuto artistico e culturale e realizza opere d’arte pubblica che coinvolgono l’intera cittadinanza. “Il futuro del marketing dovrà basarsi su nuovi modelli creativi e innovativi che prediligano il significato e le esternalità positive sul territorio” spiega Daniela Cattaneo Diaz, founder di h+. Ne sono un esempio Piano City , un evento organizzato prima a Milano e poi a Palermo, con l’obiettivo di portare la musica del pianoforte in luoghi insoliti e non convenzionali come musei, palazzi storici, librerie e parchi. Strings City, che ha applicato la stessa logica ma con strumenti a corda a Firenze, o ancora il programma di arte pubblica che ha lanciato h+ con Enel Contemporanea . L’esperienza di Piano City Milano dello scorso anno ha registrato un picco di affluenza soprattutto nella fascia 25-35 anni, con ottimi risultati anche per la fascia 18-24. 17


DANIELA CATTANEO DIAZ

Cresciuta tra Milano, Parigi e New York, Daniela ha studiato International Business e Public Health. Scelta dall’Aspen Institute come giovane leader, inizia a lavorare nel mondo della pubblicità seguendo produzioni di grandi campagne per clienti come Enel, Fiat, Coca-Cola, General Motors, Nike e Unilever. Alla giovane età di 27 anni ricopre ruoli di spicco in importanti case di produzione italiane e nel 1999 inizia a lavorare a Londra per RadicalMedia. Nel 2001 torna a Milano e fonda (h)films, con la quale ha partecipato, tra gli altri, al lancio di Fastweb e Sky in Italia. Nel 2006 fonda h+, avviando un dialogo tra il mondo delle imprese e quello della cultura. Il primo risultato è Enel Contemporanea: affascinata dal grande impatto e dal feedback positivo del progetto, Daniela inizia a lavorare e a impegnarsi nell’ambito territoriale delle collaborazioni tra pubblico e privato. Con h+ ha contribuito a gettare le basi per l’apertura del Museo d’Arte Contemporanea di Roma (MACRO), ha programmato l’Estate Fiorentina a Firenze e ha rilanciato GAM - Galleria d’Arte Moderna di Milano, costruendo una partnership con UBS. Ha coinvolto con successo un pubblico vario attraverso l’organizzazione di festival diffusi come Bookcity, Piano City Milano, e Green City Milano, che sono diventati rapidamente parte integrante del paesaggio culturale milanese.


Lo stesso vale per la mostra

YOU - The Digital Fashion Revolution , realizzata da h+ in Triennale per “Grazia” e “The Blonde Salad”, che ha visto una partecipazione sorprendente tra i giovani.

“Il successo delle aziende dipenderà dalla capacità di creare e intrattenere con contenuti di estrema qualità e di restituire sempre qualcosa alla comunità” continua Diaz. “Sono le esperienze offerte al cliente a costituire il fondamento della creazione di valore, un evento memorabile coinvolge e impegna sul piano personale. I Millennials sono più che mai ribelli e consapevoli, non desiderano essere visti solo come consumatori, ma come persone attive e libere di scegliere”.

“Il futuro del marketing dovrà basarsi su nuovi modelli creativi e innovativi che prediligano il significato e le esternalità positive sul territorio”

h+ unisce quindi al modello dell’evento diffuso – che consente ai brand di farsi conoscere riattivando luoghi dismessi o sottoutilizzati, portandoli all’attenzione della cittadinanza e permettendone allo stesso tempo la fruibilità attraverso la musica e l’arte – un’elevata enfasi sulla produzione di contenuti digitali e di video, grazie alla sua casa di produzione in-house h+films.

Come fare allora per coinvolgerli? “La combinazione magica è l’accessibilità più l’eccezionalità”.

In alto: YOU - The Digital Fashion Revolution 2016, La Triennale di Milano

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FORMARSI PER SCEGLIERE LA FORMAZIONE Consigli e miti da sfatare per orientarsi nel paradosso della (troppa) scelta.

RI C CARDO STE B I NI

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er trattare di formazione per la professione, un settore che nel giro di pochi anni ha subito uno sconvolgimento radicale, è necessaria una breve quanto indispensabile precisazione: in questo frangente parleremo di percorsi di apprendimento e istruzione propedeutici allo svolgimento di una professione, o all’acquisizione/ perfezionamento di competenze ad essa legate. La formazione professionale, infatti, è passata dall’essere considerata un pregresso al rappresentare i principali driver di successo all’interno delle realtà più influenti dell’universo business. Si è trasformata in un mercato che sta registrando tassi di crescita 21


incredibili: seminari, workshop, corsi professionalizzanti ed executive master non sono più percepiti come altamente esclusivi, ma come percorsi accessibili e propedeutici per qualsiasi professionista. Con la saturazione del mercato, si è creata la paradossale condizione di essere quasi costretti ad attivare strategie formative di questo tipo per stare al passo con i tempi. Contemporaneamente però, esiste una reale difficoltà nella scelta a causa dell’offerta troppo ampia.

Non del tutto. Anche un ventaglio troppo ristretto di proposte risulta controproducente. Il fine ultimo da perseguire è l’equilibrio, ossia quella condizione che ci permetta di scegliere nella convinzione di avere fatto tutto il possibile per decidere bene. Si tratta della banalizzazione di una teoria psicologica assai più complessa, che però permette di vedere la situazione all’interno di una cornice differente e aiuta a comprendere perché per facilitare il proprio processo decisionale si abbia un costante bisogno di meccanismi di semplificazione. Questi ultimi non sono altro che percorsi cognitivi che il nostro cervello attiva per “orientarsi” con maggiore facilità nel momento della scelta.

La formazione professionale è passata dall’essere considerata un pregresso al rappresentare uno dei principali driver di successo all’interno delle realtà più influenti dell’universo business.

La psicologia dei consumi identifica questa situazione come “Paradosso della (troppa) scelta” (B. Schwartz). Si tratta di una condizione nella quale un eccesso di libertà nella scelta tende a inibire il consumo.

La soluzione quindi potrebbe essere una limitazione delle opzioni a disposizione del consumatore?

Da qui l’individuazione di alcune “regole auree”, o meglio, di alcune “scorciatoie” che permettano di portare ordine nel processo di consumo di un qualsiasi percorso di formazione.

happiness

i l P a r a d o s s o d e l l a ( t r o p p a ) s c e lt a

choices 22


ecco alcune “scorciatoie” per fare ordine nel processo di consumo di un qualsiasi percorso di formazione “THE YOUNGER, THE BETTER” Quando si parla di formazione, “l’età” ha sempre svolto un ruolo determinante nello stabilirne l’affidabilità. L’esperienza fornisce un grado di sicurezza che spesso realtà più giovani non riescono a eguagliare e in determinati settori risulta fondamentale, questo è indiscutibile. Se però si parla di competenze, i giovani hanno decisamente qualcosa da dire: hanno spesso una preparazione invidiabile e si affidano a metodologie recenti e al passo con i tempi. Perché quindi l’età dovrebbe essere un fattore escludente? Tutto si vuole, meno che togliere valore alla seniority conquistata “sul campo”. Il consiglio è però quello di non scartare a priori tutte le realtà giovani in quanto tali. Ci sono contesti in cui un vissuto più ampio paga e altri in cui una soluzione più “fresca” può rivelarsi vincente.

“GO SOFT!” Anche fra due o più offerte che propongono le stesse tematiche di formazione ci possono essere differenze in termini di stile, contenuti, ma soprattutto approccio. Le mere competenze proposte, quando presentate da più realtà, non risultano più essere un fattore differenziante. Nel momento della scelta, il consiglio è di premiare chi attribuisce una forte importanza alle soft skills. Le caratteristiche personali, l’atteggiamento, le modalità relazionali che ci caratterizzano, il “fattore umano”, sono sempre più discriminanti e rilevanti nel mondo della formazione.

“LOW PRICE, HIGH QUALITY” Si tratta di un grande mito da sfatare: tutto ciò che costa poco o è addirittura gratis è di scarsa qualità o non vale nulla. Chi ha forti competenze in un determinato settore, è giusto che le faccia pagare un prezzo corretto. Ciò però non esclude l’esistenza di percorsi di formazione che offrono una preparazione di qualità a costi accessibili. Per chi si chiedesse come questo sia possibile, basti pensare che la differenza principale sta nelle modalità. Alcuni percorsi di formazione sono mutuati dalla legge o godono di forti vantaggi fiscali. Le Regioni, le Province e molte organizzazioni di settore offrono spesso seminari, workshop o corsi di grande valore a prezzi contenuti. Come è possibile? Vi è una grande quantità di fondi di vario tipo a disposizione di chi vuole fare formazione e di chi la fornisce. Enti e organizzazioni spesso ammortizzano le proprie spese puntando sui grandi numeri delle adesioni, sulla minore frequenza o sullo scopo promozionale dell’iniziativa. Concludendo, chi non ha budget a cinque zeri non si disperi: la possibilità di trovare percorsi di formazione di qualità a prezzi accessibili, esiste. 23


Quelli appena illustrati sono solo alcuni dei molti esempi di semplificazioni che possono aiutare a scegliere un percorso di formazione professionale coerente con i propri desiderata. Una volta ridotta la vastità del panorama, non si può però tralasciare una fase di analisi più “razionale” che serve a orientarsi con chiarezza ancora maggiore.

In conclusione, è necessario trovare “un sistema” per portare ordine e in questo la psicologia dei consumi ci aiuta. Una prima soluzione? Formarsi… per scegliere la formazione. Strano, vero?

La complessità del settore non può fare altro che aumentare e la conoscenza, tramite studio, di modelli decisionali vincenti ed efficaci diventerà sempre più importante per orientarsi in questo labirinto di offerte.

THE PARADOX OF CHOICE WHY MORE IS LESS Che ci piaccia o meno, il tema della scelta ci accompagna per tutta la vita. Ce ne possiamo accorgere la sera, quando ragioniamo intensamente su cosa bere all’aperitivo, ma anche nei momenti salienti della vita, quando scegliamo quale università frequentare o quale casa acquistare. La vera domanda è: le scelte sono tutte uguali? Cosa cambia nel percorso d’acquisto di un’automobile di lusso e di uno spazzolino da denti? In questo libro Barry Schwartz affronta e indaga in maniera intuitiva il complesso ma affascinante tema del processo decisionale. Un saggio imperdibile che si declina facilmente sia sulla vita privata, sia su quella professionale. 24


MAURO FE RRARESI

l’identità visiva così come quella concettuale.

Un buon format grafico spiega e sottolinea la personalità di un’impresa poiché esso non

è solo un elemento formale, ma veicola contenuti.

Dal format può scaturire un messaggio che riguarda l’impresa nel suo complesso e i suoi valori più importanti. La mela sbocconcellata di Apple, per esempio, racconta l’approccio user friendly dell’azienda di Cupertino, così come il format grafico di Nike, lo swoosh creato nel 1971 dalla studentessa Carolyn Davidson su richiesta esplicita di Knight, spiega la dinamicità, la velocità e la volontà di migliorarsi che Nike vuole trasmettere ai suoi clienti. Ecco perché, in realtà, il format è un’equilibrata costruzione di messaggi potenti.

c o m u n i c a z i o n e

momento comunicativo ne ribadisce

d e l l a

In informatica indica il tipo di caratteri, la grandezza, la font e in generale il modo in cui, per esempio, si presenta una pagina composta in Word. Il format è altamente identificabile poiché esprime un rapporto certo e unico tra testi e immagini, e quando viene riproposto in ogni

p a r o l e

Il format televisivo è l’idea alla base di un programma strutturato in un modo specifico, replicabile uguale a se stesso in diversi Paesi e culture.

L e

Il termine deriva dall’italiano “formato” che, a sua volta viene dal latino forma. Oggi è utilizzato in tanti modi diversi, anche se le accezioni più importanti rimangono quella televisiva e quella informatica.

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CA M B IAR E R I M AN E N D O S E STES S I. I L TALE N TO DI S APE R SI E VO LVE R E In un mondo che cambia, anche le più importanti realtà del business degli eventi devono sapersi rinnovare e ascoltare il proprio pubblico, proponendo un’offerta altamente qualitativa e attrattiva mantenendo intatta la propria identità.


francesca passoni

Q

uando si parla di contesto, specialmente nel campo della comunicazione, si pensa spesso alle strategie e ai piani applicati per raggiungere un determinato risultato che possa valorizzare un determinato contesto, appunto, o rivoluzionarlo. Altrettanto fondamentale però, è la capacità di riuscire a concretizzare quanto teorizzato e pianificato nel modo più efficiente possibile.

@francescoprandoni

Anche il business dei grandi eventi sente l’influenza del cambio di paradigma che la comunicazione sta portando nei vari mercati. Il contesto in cui si muovono le aziende sta evolvendosi e questo comporta un ulteriore cambio di marcia per rimanere attrattivi e competitivi, raggiungendo un target sempre più eterogeneo attraverso l’armonia di elementi quali strategia, qualità, variabilità e competenza. 27


“per fare in modo che le persone vivano un’esperienza davvero appagante non basta che la performance dell’artista risponda pienamente alle loro aspettative, bisogna concentrarsi su tutto ciò che vivono prima, durante e dopo l’evento”

@francescoprandoni


Abbiamo chiesto a Giancarlo Sarli, Amministratore Delegato di ForumNet, come oggi questa realtà consolidata e di successo riesca ad affrontare il cambiamento in atto nel mondo degli eventi, rivelandosi un vero e proprio case study. Mediolanum Forum di Assago, Teatro della Luna e PalaLottomatica: veri e propri punti di riferimento, aggregatori di persone e contenitori di iniziative esclusive e interessanti: la giusta programmazione deriva da un’analisi dei trend o dalla sperimentazione che porta novità? La programmazione viene fatta a seguito di un’attenta analisi del mercato. L’obiettivo è creare un palinsesto ricco di eventi eterogenei che possano raggiungere un pubblico trasversale. Ospitiamo i più importanti eventi indoor a livello nazionale e internazionale con grande risonanza mediatica, dagli eventi sportivi come il basket di Serie A1 e l’Eurolega ai Mondiali di pattinaggio di figura sul ghiaccio, la boxe e il grande tennis, dai concerti di musica rock e pop a quelli di musica classica, senza tralasciare gli spettacoli per bambini e famiglie. Il PalaLottomatica di Roma e il Mediolanum Forum sono le uniche arene italiane facenti parte dell’European Arenas Association: cosa significa essere membri di un network internazionale? Quali garanzie offre a pubblico e investitori? L’European Arenas Association è un’associazione che riunisce le più prestigiose arene coperte d’Europa. Il Mediolanum Forum ne fa parte dalla sua fondazione, questo perché abbiamo sempre creduto nell’importanza del confronto con le altre realtà che operano nel settore.

ForumNet Leader in Italia nello spettacolo dal vivo e nella gestione di impianti polifunzionali per lo sport, la musica e lo spettacolo

Mediolanum Forum, Milano

Teatro della Luna, Milano

PalaLottomatica, Roma

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La partecipazione all’associazione permette di condividere le esperienze per sviluppare nuove opportunità, analizzare problematiche comuni, essere aggiornati sui temi di attualità e confrontarsi sulle offerte e i servizi. Questo fa sì che le arene che ne fanno parte siano all’avanguardia e forniscano un’esperienza di intrattenimento sicura, di alta qualità e unica per i propri clienti. Quali sono i fattori critici di successo della vostra attività di gestione? Come venire incontro ai bisogni di un pubblico sempre più eterogeneo ed esigente?

Le vostre strutture hanno fatto della loro polifunzionalità il proprio cavallo di battaglia. Come gestite le diverse opportunità per il mercato Consumer e B2B? Grazie alla modularità degli spazi delle nostre strutture e all’esperienza maturata in oltre 25 anni di attività siamo in grado di ospitare e gestire contemporaneamente eventi di diverso genere rivolti a diversi target. Per esempio, il Mediolanum Forum in una giornata tipo ospita l’evento in Arena Centrale (concerto, evento sportivo, spettacolo o convention), altri eventi nelle sale al piano terra e al secondo piano – fiere o eventi privati – e gli allenamenti della squadra di basket di Serie A Olimpia Milano. Il tutto oltre al pubblico dell’Area Sportiva che anima palestre, la pista da bowling, quella di ghiaccio e la piscina.

“l’efficienza dei servizi ‘accessori’ influenza in modo determinante la percezione di qualità dell’intera esperienza che si vive durante un evento”

In un impianto polivalente che ospita eventi con un’affluenza di pubblico che sfiora le 13.000 persone, a mio avviso, risulta determinante la gestione dei servizi “accessori” allo show. Infatti, per fare in modo che le persone vivano un’esperienza davvero appagante non basta che la performance dell’artista risponda pienamente alle loro aspettative, bisogna concentrarsi su tutto ciò che vivono prima, durante e dopo l’evento. Mi riferisco, per esempio, all’efficienza e alla comodità dei parcheggi e della segnaletica, alla gestione dei punti di ristoro, sia rispetto alla qualità dell’offerta, sia rispetto alla velocità del servizio, ma anche alla gestione delle toilette in termini di pulizia e di corretto dimensionamento.

Insomma, ritengo che per fare questo lavoro sia necessario avere una spiccata sensibilità nel cogliere i bisogni del cliente perché l’efficienza dei servizi “accessori” influenza in modo determinante la percezione di qualità dell’intera esperienza che si vive durante un evento. Noi dobbiamo concentrarci su questo, perché tutto il resto lo fa lo show… 30

Con i social network e i diversi canali di comunicazione veicolare un messaggio è diventato facile e veloce. Quali obiettivi vi prefissate di raggiungere con il loro utilizzo? I social media ci consentono di essere più vicini al pubblico e creare engagement con esso. Il nostro scopo è quello di alimentare l’emozione nell’attesa dell’evento e prolungarne il ricordo accompagnando il pubblico nell’intera esperienza. Dall’annuncio dell’evento, alle informazioni pratiche sino alla condivisione del ricordo tramite foto e commenti.



SHE’S A LADY Installazione site specific Ph. Federico Laddaga


A R T E: DELIVERY N OT AVA I L A B L E Dal momento in cui possiamo fare tutto, o quasi, dal divano di casa, l’arte è ciò che ci salverà dallo sprofondarci: gli inaspettati modi di esprimersi attraverso l’arte e l’artista NO CURVES al servizio della comunicazione.

killer kiccen

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C

ertamente la forza dell’arte non è cosa nuova: il suo valore, la sua potenza e le sue infinite declinazioni sono normale conseguenza alla sua nascita. Quello che oggi interessa maggiormente però, soprattutto alla luce di tutti quei cliché purtroppo più reali di quanto dovrebbero, è ciò che l’arte riesce a fare e come riesce a comunicare in un mondo dove sembra essersi persa la voglia di fisicità e di emozioni – anche se poi di fatto non è realmente così.

Oggi la troviamo non più soltanto nei musei ma anche per strada, nelle vetrine dei negozi, sulle pareti dei ristoranti, su oggetti di uso quotidiano. Arte a portata di mano che, oltre a possedere un intrinseco valore in quanto “arte” è a tutti gli effetti un potentissimo strumento di comunicazione.

standardizzate. L’arte nelle sue varie forme riesce a garantire questo risultato: oggetti custom realizzati in maniera esclusiva e spesso in lassi temporali circoscritti, live painting eseguiti durante gli eventi che ne vanno a connotare un messaggio, attività artistiche – i famosi workshop – che coinvolgono il pubblico in modo sempre più diretto.

Perché quindi investire sull’arte? Di certo perché attualmente lavorare nel campo della comunicazione e degli eventi deve in qualche modo prevedere risultati personalizzati, cuciti su misura e irripetibili. Ci si trova sempre più spesso di fronte a clienti la cui richiesta principale è ottenere un prodotto che abbia in sé delle caratteristiche “artigianali”, oltre che innovative, quindi non

Sembra che l’arte sia rimasta qualcosa da vivere da vicino, o meglio, da vivere davvero, quella cosa che ancora oggi è in grado di farci dire non che abbiamo visto una mostra o partecipato a un evento, ma che abbiamo vissuto un’esperienza. Non si può scegliere di comunicare tralasciando ciò che l’arte è in grado di fare; le contaminazioni artistiche sono oggi presenti in tutte le attività che riguardano la comunicazione e decidere di andare contro corrente ignorandole significa rinunciare a quella componente fondamentale che oggi fa la differenza: l’emozione.

Sembra che l’arte sia rimasta qualcosa da vivere da vicino, o meglio, da vivere davvero, quella cosa che ancora oggi è in grado di farci dire che abbiamo vissuto un’esperienza.

Il primo grosso cambiamento degli ultimi decenni è sicuramente quello che vede l’arte uscire dai “luoghi convenzionali” in cui si sentiva, a giusta ragione, troppo stretta.

A destra: SHE’S A LADY Installazione site specific Ph. Federico Laddaga

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A Milano, una delle dimore trasversali in cui l’arte è entrata e si è messa comoda si chiama Killer Kiccen: un loft con due anime, una underground e una avanguardisticamente retrò dove l’arte può essere vista, sentita e toccata in ogni angolo: sulle pareti, negli arredi, tra le luci, nella musica e in cucina. Killer Kiccen ha deciso di diffondere il verbo e di portare in giro tutte le sue forme d’arte con la Killer Kiccen Production, inaugurando già da qualche anno una serie di produzioni ed eventi al di fuori della location di Milano.

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A PROPOSITO DI EMOZIONI Tra gli artisti che colpiscono di certo per tecnica e forte personalità troviamo NO CURVES.

In alto: GOLDEN JUNGE opera live + mostra Killer Kiccen, Milano A destra: STARMAN opera su muro Killer Kiccen, Milano Ph. Giuseppe Iavicoli

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Il nastro adesivo è il suo strumento di elezione, artista tra i massimi esponenti della tape art mondiale (e unico italiano), lo utilizza per creare straordinarie opere d’arte dando vita a un immaginario futuristico fatto di linee spezzate e angoli, a metà tra la street art e l’installazione artistica, che prende ispirazione dall’universo storico dell’arte geometrica e dal mondo vettoriale dei videogiochi. La sua filosofia artistica si concretizza nelle sue opere: il realismo

è visto come il limite e l’astrazione della forma come il tentativo di superarlo... mentre è all’opera le sue linee si intrecciano, si sovrappongono disegnando geometrie che assumono tratti somatici di personaggi immaginari e non, dove la riconoscibilità passa in secondo piano. La frammentazione, l’assenza di curve rassicuranti, l’ingannevole lettura dell’opera sono tratti fondamentali della sua poetica e lo strumento “nastro adesivo” da materia diventa tecnica, portando l’immagine ai minimi termini severi e rigorosi come il suo nome “senza curve”. L’arte di NO CURVES non è qualcosa di scontato né di prevedibile, piuttosto un mezzo in grado di riposizionare contesti, luoghi e scenari nei quali va a collocarsi senza però di fatto cambiarne i connotati. Questa capacità di rispettare e lasciare inalterata la natura di un luogo conferendole però una nuova lettura d’impronta futuristica troverà espressione nel progetto che l’artista realizzerà con Sara Baroni, esperta di business, marketing e comunicazione: Mercabot.



CREARE VALORE CON L’ARTE: LA LEVA PER IL CAMBIAMENTO Sara e NO CURVES, rispettivamente CEO e Creative Director di Mercabot, decidono di raccontare la vita e il saper fare che si nasconde di notte nei mercati generali di Milano attraverso l’arte, in un’esplorazione che dal passato dei mestieri perduti attraversa il presente del lavoro delle persone e sfida il futuro dei robot, disegnando lo scenario di incontro tra uomo, automa e mercato. Arte intesa come leva di un reale cambiamento in grado di generare un valore che va oltre la creatività e arriva diretto al cuore della comunicazione: quindi, l’arte come linguaggio di comunicazione, una scelta verso la quale si orientano le aziende più lungimiranti e creative in un momento in cui sono i contenuti a fare la differenza.

Sara Baroni & NO CURVES Ph. Fabio Podesta

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E di fronte a una rinnovata sensibilità del mercato nascono realtà di comunicazione nuove. È il caso appunto di Mercabot, società di comunicazione che

ha scelto il linguaggio dell’arte per dare vita a un’operazione complessa nei termini e nei contenuti. Per Sara Baroni e NO CURVES l’arte nel mondo della comunicazione rappresenta il modo più efficace per valorizzare un contenuto così da metterlo davvero al centro di tutto, per creare valore e andare oltre il concetto di media e creatività su cui oggi le tradizionali agenzie di comunicazione sembrano essersi arenate. “Riguardo la creatività, oggi la maggior parte delle agenzie si trova in difficoltà e per sopperire compensa con investimenti media. L’arte è creatività pura, va all’essenza e all’emozione. Noi puntiamo su quello.” Nel 2018 a Milano, e poi forse altrove, Mercabot disegna progetti di comunicazione che nascono dal content e arrivano al cliente e non viceversa, emozionando con l’arte prima di impressionare con i media.




LE CITTÀ VISIBILI Viaggio attraverso le città più promettenti del mondo. Modelli di crescita e di sviluppo a confronto.

silvia bernardi

Anche le città credono d’essere opera della mente o del caso, ma né l’una né l’altro bastano a tener su le loro mura. D’una città non godi le sette o settantasette meraviglie, ma la risposta che dà a una tua domanda”. Così Marco Polo si rivolge al sovrano Kublai Khan per raccontargli cosa è rimasto in lui delle 55 città dal nome di donna in cui dice di essersi imbattuto lungo il suo cammino. Invisibili agli occhi degli altri che non le guardano. Aperte a dettagli che gli altri non sanno vedere.

Questo è Italo Calvino e “Le città invisibili”. Ma la capacità di rispondere a una esigenza (personale o collettiva) è un metro di valutazione che vale non solo per le città di Calvino. Funziona anche per le metropoli, per le città, per i Paesi che sono sopravvissuti o nati dopo Marco Polo. Quali sono le città più promettenti? Come si costruisce e come si misura il brand di una città? Quali sono gli indicatori che la promuovono e quali quelli che la fanno scivolare in fondo alle classifiche internazionali? 41


Le riflessioni che nascono attorno al futuro di una città, si pensi a quelle dell’ultimo periodo sorte sulle ambizioni e le potenzialità di Milano per giocare in casa o a quelle su Valencia o addirittura su Shenzhen per guardare lontano, partono da questi interrogativi. Qui torna utile individuare gli indicatori che permettono di “valutare” una città, tenuto conto che entro il 2050 circa i due terzi della popolazione mondiale vivrà nelle aree urbane.

Qui torna utile individuare gli indicatori che permettono di “valutare” una città, tenuto conto che entro il 2050 circa i due terzi della popolazione mondiale vivrà nelle aree urbane

GLOBAL CITIES INDEX 1 2 3 4 5

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New York London Paris Tokyo Hong Kong

63.2 62.9 53.2 47.4 44.7

Questa concentrazione demografica avvalora la necessità di riflettere sulle strategie a lungo termine che sarà più opportuno adottare per i centri abitati. Perché le città sono ecosistemi per le imprese e l’innovazione. La forza della rete di imprese di un centro urbano, il talento dei suoi cittadini, la stabilità delle sue istituzioni politiche e la creatività delle sue organizzazioni culturali contribuiscono a creare un ambiente favorevole a uno sviluppo duraturo nel tempo.


Un nuovo rapporto di A.T. Kearney, società di consulenza di business globale, classifica 125 città in base alle loro prestazioni attuali e ai loro livelli di competitività futura.

ha conquistato il primo posto nel Global Cities Outlook, che valuta il potenziale futuro di una città leader di brevetti pro capite e con un alto livello di investimenti privati e incubatori.

Per determinare le prime città del futuro, A.T. Kearney ha calcolato i punteggi in quattro categorie: benessere personale, economia, innovazione e governance. New York e Londra rivendicano rispettivamente il primo e il secondo posto come città più globali al mondo nell’indice 2017, mentre San Francisco

New York ha ottenuto il primo posto in classifica grazie alla performance nello scambio di informazioni, con una posizione più elevata rispetto a Londra nell’impegno politico e nella leadership per l’economia. Londra, da parte sua, ha registrato invece un calo più significativo delle attività commerciali rispetto al 2016.

Un nuovo rapporto di A.T. Kearney classifica 125 città in base alle loro prestazioni attuali e ai loro livelli di competitività futura

Sempre secondo questo studio, negli ultimi due anni Parigi ha continuato a migliorare la sua posizione in Outlook e ora sta sfidando San Francisco e New York, in gran parte spinta da aumenti significativi degli investimenti esteri diretti (IED) e da un rilevante miglioramento delle infrastrutture. Ma ci sono altri fattori, determinati dalla politica e dalla pressione sociale, che condizionano le classifiche.

GLOBAL CITIES OUTLOOK San Francisco New York Paris London Boston

63.2 62.9 53.2 47.4 44.7

A.T. Kearney Global Cities 2017

1 2 3 4 5

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Mike Hales

Come conferma lo stesso , fondatore della società che ha redatto lo studio (tra i più attendibili in base agli indicatori di ricerca utilizzati), “il 2017 è stato caratterizzato da eventi geopolitici che hanno colpito profondamente le città di tutto il mondo e che contribuiranno a modellare le classifiche future, come la Brexit, le elezioni in Francia e Germania e le elezioni presidenziali e congressuali negli Stati Uniti. Tutti questi fattori messi insieme, sono fattori globali significativi che avranno conseguenze a lungo termine sulle decisioni di investimento da parte delle città e dei leader aziendali”. L’aspetto della governance politica è uno degli indicatori più determinanti nel garantire il successo o l’insuccesso di una città. Lo vediamo molto bene in Italia con Roma e Milano, lo vediamo negli Stati Uniti con San Francisco e Chicago, modelli differenti di gestione che portano a risultati differenti sia nella qualità della vita di chi queste città le vive, sia nella percezione che il resto del mondo ha di questi luoghi.

“Il 2017 è stato caratterizzato da eventi geopolitici che hanno colpito profondamente le città di tutto il mondo e che contribuiranno a modellare le classifiche future”

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“Con numerose elezioni di alto profilo in tutto il mondo nel 2016 e all’inizio del 2017”, dice ancora Hales – e noi potremmo aggiungere anche le elezioni di marzo in Italia – “l’importanza dell’impegno politico rimane elevata nel determinare quali città occupano i gradini alti dell’indicatore. Le città con un governo stabile e una cittadinanza attiva sono pronte per una crescita continua, così come abbiamo anche visto che le istituzioni culturali vivaci vanno di pari passo con una solida comunità imprenditoriale”. Quest’anno, un tema chiave analizzato dal Global Cities Index è stato l’investimento nello sviluppo di ecosistemi di start-up, un fattore la cui importanza aumenterà e sarà valutabile solo in futuro. Le ricerche che hanno contribuito a Global Cities 2017 hanno rivelato che i principali ecosistemi di start-up potrebbero essere meglio identificati attraverso quattro fattori chiave, tra cui la vicinanza ai partner per l’innovazione, l’accesso ai talenti, le normative locali di supporto e infrastrutture di alta qualità.


“Gli ecosistemi di start-up sono stati un elemento determinante per il successo di città come Valencia, Melbourne, Amsterdam, Stoccolma”, si legge nel rapporto. “Anche le grandi organizzazioni considerano la scena di start-up un importante barometro per determinare dove investire e dove posizionare le strutture aziendali centrali”. Lo abbiamo visto di recente con il caso delle agenzie internazionali che lasciano Londra per sbarcare in qualche altra città europea. Nell’economia di scelte di questo tipo, fatto salvo il fattore “caso”, che ha portato l’Agenzia Europea per i Medicinali ad Amsterdam piuttosto che a Milano, avere certe caratteristiche o non averle non è la stessa cosa. Le città che ricoprono la parte alta degli standard considerati hanno opportunità di crescita maggiori e possono entrare in relazione con altri spazi metropolitani che mostrano le medesime caratteristiche.

Per orientare, sull’esempio delle più virtuose, scelte e programmazioni delle pubbliche amministrazioni. Per compararne i modelli e metterne a punto di nuovi che abbiano come obiettivo il raggiungimento degli standard di qualità. Perché la posta in gioco non è solo il futuro di una città, ma di tutto il territorio a essa connesso. Mai come oggi infatti, le grandi città sono punto di riferimento per le tante altre realtà medio-piccole che da esse si sentono rappresentate e alle quali chiedono di promuovere la propria specialità su scala molto più ampia, internazionale. Una volta individuati i parametri, come la capacità di offrire lavoro, la capacità di innovare, la connessione tra le realtà produttive, l’inclusione sociale e un’offerta culturale/formativa di qualità, come nel caso di tutte le città-metropoli considerate nello studio, i modelli di governance dovrebbero formarsi di conseguenza.

“...le grandi organizzazioni considerano la scena di start-up un importante barometro per determinare dove investire, così come dove posizionare le strutture aziendali centrali”

Torniamo quindi a una delle domande iniziali: perché è importante sapere quali sono le città più promettenti del futuro? Per capirne il modello e riflettere sulla sua esportabilità.

Perché di una città non godi le sette o settantasette meraviglie, ma la risposta che dà a una tua domanda.

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C O MUN I CARE IL VINO. L’ EVOLUZ IONE D EL LI NG UAG G IO E DE LL’ES P ERIENZA DI TE R R I TO RIO Dietro importanti etichette si nascondono grandi storie d’amore e di terroir, relazioni uniche che i consumatori vogliono scoprire e conoscere in un viaggio esperienziale nel mondo del vino.


fe de ri c o g ordi ni

I

l dibattito sulla comunicazione del vino è un tema di grande attualità. Tra i prodotti italiani ad alto valore aggiunto il vino è senza dubbio, quello che fatica maggiormente nel trovare una corretta modalità di comunicazione diretta al grande pubblico. Nonostante le ricerche di mercato dimostrino un interesse sempre più forte da parte delle fasce di consumo più giovani, il settore evidenzia una scarsa capacità di evoluzione nella comunicazione, a partire da una mancata comprensione della necessità di abbandonare un lessico tecnico, quanto mai aulico e ridondante, per sposare un linguaggio più vicino alla quotidianità delle persone. 47


Infatti, se da un lato è in notevole crescita il numero degli appassionati che desiderano costruire un percorso di formazione sempre più specializzato – con iscrizioni in aumento per i corsi di sommelier – non si può non notare che gran parte dei consumatori di vino ha il semplice desiderio di essere accompagnata nella fruizione del prodotto da un racconto che si focalizzi di più sulla storia del territorio di provenienza e sugli abbinamenti gastronomici. Alla quasi totalità dei consumatori non interessano infatti le consuete filippiche basate su termini tecnici come “tannino” e “malolattica”: terminologie da addetti ai lavori che rischiano di far sentire esclusa dai giochi la maggior parte degli interlocutori.

Disamine da “gente del mestiere” che devono essere sostituite dallo storytelling del terroir di provenienza del vino, l’unico elemento in grado di coinvolgere anche chi si accosti al vino con un approccio decisamente più informale. Uno racconto che permetta al consumatore di assaporare, attraverso l’assaggio di un calice, l’anteprima di un’esperienza che unisce elementi culturali diversi e che può essere vissuta nella sua completezza solamente attraverso la visita al territorio di provenienza del vino in questione.

Il settore vinicolo evidenzia una scarsa capacità di evoluzione nella comunicazione

i n i ta l i a 5 2 3 e t i c h e t t e

73 332 118 DOCG DOC IGT

Una complessità che nasconde al suo interno una grande opportunità

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Un modo più attuale di raccontare un mondo estremamente variegato, specchio assoluto della biodiversità italiana: un aiuto fondamentale per un consumatore che deve districarsi, parlando solo del mondo vinicolo italiano, in un labirinto composto da ben 523 denominazioni, tra cui 73 Docg, 332 Doc e 118 Igt. Una complessità che nasconde al suo interno una grande opportunità: utilizzare il vino come elemento di traduzione dello straordinario patrimonio del nostro Paese. Da qui nasce l’esigenza di creare una forte connessione tra la comunicazione del vino e quella del territorio. Per avere un’idea di quanto un modello comunicativo basato sullo storytelling e sulla valorizzazione del territorio abbia portato risultati assolutamente straordinari basta guardare ad alcune case histories internazionali e a quanto è accaduto in alcuni (non molti, a dire il vero) territori di produzione che sono divenuti i principali portabandiera dell’eccellenza vinicola italiana.


Ci focalizziamo su due denominazioni storiche, due modelli vincenti che hanno puntato sullo storytelling e sul legame con il territorio fin dalla loro nascita, con risultati che sono sotto gli occhi di tutti: lo Champagne e il Barolo.

Champagne Probabilmente molti consumatori di Champagne non hanno mai pensato, ma sul successo dello Champagne ha pesato notevolmente il territorio di provenienza. Lo Champagne, infatti, non sarebbe probabilmente divenuto il vino per eccellenza dedicato alle grandi celebrazioni se, al di là della vocazione del territorio a ospitare i vitigni con cui viene realizzato (Pinot Noir, Pinot Meunier e Chardonnay), non fosse nato nella zona di Reims, città che fu per quasi un millennio il luogo in cui si celebravano le investiture dei re di Francia. Celebrazioni nelle quali il vino di Champagne aveva sempre un ruolo consistente e che contribuirono alla sua diffusione nelle altre corti del mondo (e, di conseguenza, gli permisero la conquista di altri mercati).

iniziò il suo lavoro in Champagne ed ebbe il merito di inventare un metodo per gestire l’effervescenza naturale di questo vino, che veniva lasciato nelle botti a fermentare. La fermentazione si arrestava in inverno a causa della rigidità delle temperature, salvo riprendere in primavera; il gas generato dalla rifermentazione conferiva l’effervescenza allo Champagne. Dom Pérignon importò dalla Languedoc il concetto della rifermentazione in bottiglia e la scelta dell’impiego del tappo in sughero - e della relativa gabbietta -, comprendendo il ruolo degli zuccheri nella cosiddetta “presa di spuma”. Una storia che si mixa ad alcuni elementi di leggende sulla quale lo Champagne ha costruito una parte del suo successo internazionale.

Il mito champagnistico perderebbe molto senza la storia dell’Abate Dom Pérignon

A proposito di racconti che fanno la differenza e che sono giunti fino ai giorni nostri, il mito champagnistico perderebbe molto senza la storia dell’Abate Dom Pérignon che, nella seconda metà del 1600,

Un territorio straordinario e accogliente quello dello Champagne, che ogni anno viene visitato da quasi due milioni di persone che amano perdersi nella straordinaria varietà dei 320 villaggi (definiti “cru”) suddivisi nei quattro dipartimenti di produzione Marne, Aube, Aisne e Seine-et-Marne. 49


Barolo Tornando dall’altra parte delle Alpi, non possiamo non sottolineare il ruolo assolutamente determinante che una grande storia d’amore, quella tra Juliette Colbert e Carlo Tancredi Falletti di Barolo, ebbe nella costruzione della fama di uno dei più grandi vini italiani: il Barolo. Si conobbero alla corte napoleonica (lei discendente della famiglia dello storico ministro delle finanze del Re Sole, lui di una nobile famiglia piemontese), dove Juliette era una della damigelle dell’imperatrice e Carlo un ciambellano dell’imperatore. Dopo la Restaurazione, la coppia si stabilì tra Torino e Barolo, dove diede una straordinaria svolta alla produzione vinicola della zona. Fu la marchesa Juliette a portare alla conoscenza delle più importanti corti europee il meraviglioso Nebbiolo coltivato a Barolo, rendendosi protagonista di atti ai limiti della leggenda come quando - ricevuta la richiesta del re Carlo Alberto di poter assaggiare il suo vino

- gliene fece recapitare ben 325 carri (uno per ogni giorno dell’anno eccetto i 40 giorni della Quaresima), con un’inedita sfilata che attraversò tutta Torino. Una promozione che permise al vino di Barolo da un lato la diffusione sulle tavole di corte e la visibilità a livello internazionale, dall’altro un accrescimento della fama popolare.

Ricevuta la richiesta del Re Carlo Alberto di poter assaggiare il suo vino, gliene fece recapitare ben 325 carri

Due modelli esemplari che mostrano come le grandi storie e la capacità di sapere costruire e gestire l’accoglienza si possano tradurre in immensi benefici comunicativi sui prodotti. La gran parte dei territori italiani vocati alla produzione vinicola è caratterizzata da uno straordinario potenziale di storie da raccontare, di luoghi da visitare e dai quali ammirare la varietà dell’arte, della cultura e della natura che caratterizza il nostro Paese. Molti di essi, purtroppo, non sono ancora riusciti a raccontare le proprie storie e a connetterle con le proprie produzioni vinicole, arricchendo 50

Anche Barolo ebbe un suo “Dom Pérignon”: si trattò dell’enologo francese Oudart, che iniziò a vinificare il Nebbiolo “alla francese” conferendogli la prima impronta di nobiltà che successivamente ne decretò il successo nei mercati di tutto il mondo. Barolo è un territorio che continua a rinnovare il proprio successo e la propria capacità di promozione grazie a iniziative di grande impatto turistico come il Museo del Vino e a Festival come Collisioni, in cui il mondo del vino incontra alcuni dei più importanti artisti musicali di fama internazionale (da Bob Dylan a Sting, da Elton John ai Deep Purple) in grado di richiamare oltre 100.000 presenze in cinque giorni.

di significati straordinari il consumo del vino e invogliando il consumatore alla scoperta del territorio. Da questo potenziale parte a mio avviso una delle più grandi opportunità per il nostro Paese: quella che porta, attraverso l’ampliamento della comunicazione dei sistemi culturali e produttivi dei territori di produzione vinicola e lo sfruttamento turistico delle zone rurali, alla creazione di un grande valore e di una straordinaria crescita del percepito delle nostre produzioni nei mercati di tutto il mondo.


BORN AND RAISED La nuova moda dello streetwear e delle passerelle underground: Supreme alla guida del ritorno al bello.

jac op o p oz zati

Q

uindici anni fa passavo notti intere a bramare, cercare, biddare, lottare per varie limited edition di Nike, Adidas, Jordan Brand o per pezzi esclusivi di abbigliamento che si trovavano solamente su eBay, Eastbay, Pickyourshoes.com eccetera. Notti intere mangiando junk food con il mio amico Cristiano Rinaldi aka Dj Uovo, aka Memoryman, urlando e lanciando joystick in aria mentre giocavamo alla PlayStation aspettando che le aste finissero o che qualche altro utente da chissà quale parte del globo non superasse o pareggiasse la nostra offerta. Quello che ora chiamiamo social media, e-commerce, reselling, trade and sell, grey market, 20-25 anni fa era la nostra passione per Andre Agassi e i suoi “Nike short 2 in 1” in denim, la Jordan 1 “Banned”, lo Showtime dei Lakers, 51


JACOPO POZZATI Nato a Bologna, quasi 40enne ed ex giocatore di basket, dice di avere il lusso di poter fare ciò che gli piace. Figlio d’arte e fondatore di attività come Back-door, La Ferramenta, SOTF (Store Of The Future), Oltre. È consulente e dots connector per varie aziende come il gruppo BasicNet (Kappa, Superga, K-Way, Sebago), Woolrich, Sundek e freelance per manifestazioni e agenzie: Sole DXB, Capsule Show e Nss Magazine.


Bo Jackson e il suo essere incredibilmente All Star sia nel football sia nel baseball… Per non parlare del più grande di sempre: Marvin Gaye che canta l’inno nazionale americano ubriaco fradicio all’All-Star Game del 1983 al Forum di Los Angeles La Polo Snow Beach indossata da Raekwon e rieditata il mese scorso dal Cavallino o la Coogi di Biggie Smalls aka Notorious Big, la prima Supreme nata in Lafayette Street.

In tutto questo enorme meltin pot di fast fashion però, nei primi anni Novanta sono nate realtà innovative e irripetibili come Supreme. Born and raised nel ‘94 in Lafayette Street a New York – dove ai tempi dopo le 6 di sera non ti azzardavi a camminare con 50 dollari in tasca – nonostante il suo enorme successo è rimasta fedele alle sue origini: lo skate e la sua subculture (Lords of Dogtown insegna).

Oggi, dove tutto è immediato e i telefonini sono le nostre scatole nere, pensate a Michael Jordan, ad Alì, ai Rolling Stones o all’omicidio di Kennedy ampliati dalla rete e dai media. Vi rispondo con una famosissima citazione di John McEnroe: “You cannot be serious!” Vere icone, artisti unici, personaggi e momenti che in America definiscono “larger than life”. Ai giorni nostri avrebbero avuto una risonanza tale da far impallidire la velocità con cui facciamo Bitcoin trading.

Vestiti, grafiche, trick, cannabis, nessuna frontiera, cosmopolitismo e libertà di espressione. Lo skate e i suoi attori protagonisti come Tony Hawk e Mike Vallely e brand della stessa generazione e dall’identico DNA di Supreme (come Parachute, Stüssy, Nowhere, Undefeated, Pervert, Union), hanno esplorato e aperto nuovi orizzonti arrivando ad avere follower moderni di nicchia ma anche di successo come Palace, Fucking Awesome, Bianca Chandon e svariati altri brand nati grazie all’heritage e all’awareness che hanno portato in dote questi anni Novanta.

In tutto questo enorme Meltin pot di fast fashion, nei primi anni Novanta sono nate realtà innovative e irripetibili come Supreme.

Dico questo perché ora è più facile pagare un influencer – termine che aborro – svariate migliaia di euro per postare o indossare a tutto spiano un prodotto per lanciare un brand a discapito della cura dei materiali, della vestibilità, dei tagli, delle sfilate che una volta differenziavano una grande casa di moda da una mediocre.

Paragonare i miei 15-25 anni di allora alla generazione attuale, sarebbe come mettere a confronto i pony express di una volta con Uber.

Supreme era, è e sarà un fenomeno irripetibile, sperando che la parziale vendita al Fondo Carlyle non deturpi le sue origini, anche se ne dubito fortemente perché James Jebbia e il suo team hanno le idee ben chiare. Unico marchio che, in piccolo, ricalca le orme di Supreme è Noah. Capitanato dall’ex direttore creativo di Supreme Brendon Babenzien, segue lo stesso modus operandi di Jebbia con l’aggiunta di una ricerca dei tessuti pazzesca, al limite del maniacale.

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STORIA DI UN SUCCESSO Box Logo

Quando la semplicità di un rettangolo rosso si trasforma in uno dei loghi più riconosciuti al mondo.

Naming

Quasi impossibile da depositare, epica fu la causa con l’artista Barbara Kruger quando provò a lanciare il brand Supreme Bitch.

No wholesale ma solo negozi di proprietà

A parte rarissimi casi, Supreme non è mai stata venduta all’ingrosso.

First come first served

Vendite solo in store e online che generano mark up diversi.

Must have

Felpe e T-shirt Supreme sono diventate capi indispensabili.

Collaborazioni

Jebbia è stato il precursore del settore, con all’attivo uscite annuali con Nike, The North Face, Vans, CdG, Timberland, Levis e svariati altri lanci con Woolrich, Stone Island, Schott, Everlast, Loro Piana e molti altri fino ai mille accessori creati ad hoc come: la mazza da baseball, il motorino, i guanti da giardinaggio, la palla da basket e tante altre cose che appena postate sul web bucano lo schermo!

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Ora ci stupiamo di Supreme, o del brand Off-White (altro grande successo nel settore) e onore per sempre a due geni come Jebbia e Virgil Abloh a tutto il NGG Group (New Guards Group, proprietario del marchio OffWhite, tra gli altri). Tuttavia, se con la macchina del tempo andassimo indietro di 15 anni vedremmo che queste icone di oggi non sono troppo distanti da ciò che sono stati Abercrombie & Fitch (A&F) e Dsquared2.

Ormai lo streetwear e il workwear regnano sovrani anche dentro collezioni di geni senza tempo come Yamamoto, Watanabe, Raf Simons, Lanvin, Prada, ma i veri burattinai del gioco, che dirigono tutto come in un Minority Report “reale” 24 ore su 24 sono i media, i social network, i contenuti organici e la velocità pazzesca con cui ci muoviamo da un argomento all’altro.

I veri burattinai del gioco, che dirigono tutto come in un Minority Report “reale” sono i media, i social network, i contenuti organici e la velocità pazzesca con cui ci muoviamo da un argomento

Per un non americano, ancor di più per un non “Yorker”, A&F possedeva svariate similitudini con Supreme: no distribuzione, layout di negozio innovativo, no vendita online e store fisico sperduto al Pier 17 a New York, dove nemmeno i taxi sapevano arrivare. Eppure vestire Abercrombie significava – per i non residenti – indossare un simbolo della grande mela. Se invece volessimo correlare OffWhite a un altro brand, basterebbe andare online e guardare una sfilata di Dsquared2 di 10-15 anni fa: troveremmo particolari e attenzioni talmente attuali da sembrare futuristiche anche al giorno d’oggi. Mi riferisco a musiche, scenografia, posizioni dei loghi, ospiti, packaging degli inviti, tessuti e pattern; tutto questo correlato a una crescita vertiginosa avuta da un anno all’altro in termini di awareness e fatturato. Ebbene sì, ne sono certo: Off-White è la Dsquared2 3.0.

E lo scrivo con la consapevolezza di essere dipendente da questi mezzi. Se sono in riunione e non tocca a me parlare, pur ascoltando e non perdendo mai il filo del discorso, mi trovo simultaneamente a “scrollare” su Instagram (sono drogato di questo social) con la mano sinistra e a rispondere alle mail con la destra. Se questo non è un enorme Truman Show ditemi cosa lo è. Tutta questa velocità è un bene ma ogni tanto è anche una sorta di maledizione. Si sono persi l’amore per la fisicità del prodotto, la voglia di provare i capi… in generale si è perso il buongusto in favore dell’immediatezza degli smartphone. Purtroppo è un fenomeno dilagante, sia nella fascia 18-28 anni sia ahimè, in quella 12-17, anni durante i quali non si dovrebbe nemmeno pensare a queste cose. Eppure io amo entrambi i lati di questa “medaglia” fatta di dinamismo e artigianalità. Il primo, dove tutto è veloce, frenetico, metodico, capitanato da “Highsnobiety” (i migliori, credo), che da

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Se questo non è un enorme Truman Show ditemi cosa lo è

semplice blog di streetwear nato per caso dalla mente dell’ingegnere svizzero David Fischer, in 10 anni è diventato uno dei leader mondiali della moda raccontata sul web con sedi importanti a Berlino e New York e con svariate joint venture in altre key-cities mondiali. Altro esempio degno di nota è Stadium Goods, negozio di reselling tra Soho e Tribeca che in pochissimi anni ha stretto partnership importanti con Zalando, Alibaba, Amazon e – notizia di pochi giorni fa – riceve fondi per svariati milioni di euro da LVMH Luxury Ventures. Tutto questo è incredibile! L’altro lato della medaglia invece, vede il ritorno di Hedi Slimane alla direzione creativa di Céline e l’avvento di giovani designer che, credendo ancora che ci sia gioia nel disegnare e produrre con qualità, lanciano (o rilanciano) brand nei quali il prodotto parla prima della sua comunicazione. Jil Sander, Arc’teryx Veilance, OAMC, Stone Island sono solo alcuni esempi. Questi due mondi convivono in armonia e rispecchiano tanto me quanto il mondo attuale. Se volessi paragonarli alla mia educazione alimentare, penserei alla mia domenica: un bel piatto di tagliatelle al ragù dopo un match di padel e per cena dei ravioli gyoza, che fino a 10 anni fa nemmeno sapevo cosa fossero. In conclusione sento di aver capito una cosa: alla soglia dei 40 anni sto diventando un “pelino” anziano, ma sono ancora al passo con i tempi perché sto vivendo a cavallo tra due interessantissime generazioni… Non vedo l’ora di vivere quest’epoca di ritorno al bello!

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“Quindici anni fa passavo notti intere a bramare, cercare, biddare , lottare per varie limited edition di Nike, Adidas, Jordan Brand�


ATTITUDE: MOBILE FIRST Azienda e consumatore uniti dallo smartphone.

smartphone principale canale di accesso a Internet

31,1

mln gli italiani che ogni mese accedono alla Rete

+49% ore al mese di navigazione

VIVIANA ILARIA SERGIO

S

entiamo ripetere sempre più spesso la frase “Mobile First”: sul web, nei piani di comunicazione, all’interno di pitch, parlando di Millennials, scoprendo nuovi trend. Diamo per scontato che l’utilizzo dello smartphone sia ormai ben radicato nei nostri comportamenti quotidiani.

ha condiviso lo scorso 14 febbraio una preziosissima ricerca sulla Customer Journey Mobile, evidenziando numerosi aspetti relativi non solo l’esperienza dell’utente, ma anche all’approccio alle principali innovazioni – tecnologiche e di business – e al processo di relazione tra azienda e consumatore.

La verità è che non riusciamo ancora a renderci conto delle potenzialità e dell’impatto che questa Mobile Revolution sta avendo oggi e continuerà ad esercitare sul mercato nei prossimi anni.

Proviamo a scattare una fotografia dell’attuale panorama in Italia per comprendere le dinamiche in atto, identificando anche i nuovi trend da tenere d’occhio.

Per rispondere a questa esigenza,

l’Osservatorio Mobile B2c Strategy


50% ricerche mobile Asset mobile oggi

dematerializzazione di diversi strumenti

46%

wallet, carte fedeltà, carte di imbarco, telecomando dell’auto, ecc.

Mobile Surfer italiani si spostano sul sito di un brand competitor se riscontrano problemi di usability

mobile commerce

azienda

deve pensare in ottica mobile

1/4

+65%

acquisti online

rispetto al 2017

intercettando il consumatore nei micro-moments

1

i big data nel 2018 adeguamento alle nuove regole GDPR

+49% mobile Advertising per un messaggio sempre più targetizzato

Display Advertising Search formati nativi video

1. Momenti in cui l’utente cerca l’aiuto di un brand online 2. Regolamento Generale per la Protezione dei Dati

2

maggiore profilazione = crescita della qualita’

Notiamo come l’attitudine “Mobile First” debba divenire centrale nei processi di digitalizzazione di ogni azienda, migliorando i punti di contatto con il consumatore in ogni fase di approccio. Affrontare in maniera consapevole una “rivoluzione” di tale portata permette di ottenere una visione strategica a lungo termine e un’attenzione costante alle specificità del comportamento dell’utente sul canale mobile. 59


Ha iniziato a girare il mondo quando era ancora uno studente. Zaino in spalla, ha sviluppato il suo interesse per l’informazione viaggiando solamente con la sua macchina fotografica e un blocco per gli appunti che lo ha portato, nel tempo, a diventare giornalista professionista. Lavora intensamente su vari fronti: progetti personali, aziendali e sociali come RiScatti – Onlus che attraverso la fotografia promuove l’integrazione sociale – in qualità di responsabile dei progetti fotografici. La sua carriera si divide tra ricerca, editoria, eventi e attività corporate per importanti brand internazionali. Nel 2007 fonda e dirige il “Witness Journal”, primo mensile di fotogiornalismo online in Italia. Nel 2015 viene scelto per gestire i ritratti ufficiali di Expo 2015 con EXPO People Project, mentre nel 2016 si unisce a Express your Art, iniziativa di “EyesOpen!” poi diventata anche una mostra d’arte esposta al MUMAC. Nello stesso anno diventa uno dei Global Imaging Ambassadors di Sony. 60


Live show durante la convention AIPPI 2016 presso MiCo, Fiera Milano City



10 anni di Toro Rosso: dal quindicesimo piano del grattacielo in piazza Alvar Aalto a Milano


In alto a sinistra: 10.000 palloncini gonfiati a elio presso il Castello Sforzesco: installazione per il brand Motivi In basso a sinistra: Red Bull B-Best Awards Night 2017: Kotaro Tokuda, campione del mondo di freestyle soccer In alto a destra: Design Week 2017: temporary store Google nei pressi di Porta Nuova In basso a destra: Finale di Champions League 2016, Real Madrid VS AtlÊtico Madrid. Scatto ufficiale delle squadre schierate prima dell’inizio di un grande evento internazionale

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FARMACEUTICI


CHIA LAGUNA SARDINIA

FONTEVERDE TUSCANY

BAGNI DI PISA TUSCANY

GROTTA GIUSTI TUSCANY

mice@ihchotels.it tel. +39 070 9239 3475 italianhospitalitycollection.com


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