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Uva da tavola, scovare falsi con impronta digitale

COMPAG: ASCOLTARE LE PARTI COINVOLTE PER AVERE UN QUADRO REALISTICO DI PREGI E DIFETTI

ANALISI DELLA STRATEGIA EUROPEA FARM TO FORK

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Ultimamente si fa un gran parlare della strategia europea Farm to Fork (dall’azienda agricola alla tavola), il cui principale obiettivo è coinvolgere l’intera popolazione per raggiungere un sistema produttivo maggiormente sostenibile sia dal punto di vista ambientale che economico-sociale.

Come già segnalato da Compag (la federazione nazionale delle rivendite agrarie) in più occasioni, la strategia si ispira a principi assolutamente condivisibili ed è oltremodo apprezzabile il desiderio della Commissione di soddisfare la sempre crescente sensibilità dei cittadini nei confronti delle tematiche ambientali. Sarebbe, tuttavia, un atteggiamento imperdonabilmente miope trascurare le opinioni e considerazioni espresse dai portatori di interesse i quali, lungi dal bocciarne a priori le proposte, cercano di fornire critiche costruttive, evidenziandone limiti, incoerenze e astrattezze, al fine di evitare inutili dispendi in termini sia economici che di energie.

Le sfide e le difficoltà che si presentano, infatti, sono numerose, ma non certo sufficienti a scoraggiare perché, come è noto, da esse potranno scaturire nuove opportunità se si riuscirà a mantenere una mentalità aperta e una giusta dose di spirito critico. Una sfida di particolare importanza, per esempio, è rappresentata dalla necessità di garantire un equilibrio tra la redditività necessaria a mantenere la produttività agricola, dignitose condizioni di vita nelle zone rurali e tutela ambientale. Inoltre l’analisi sulle possibili soluzioni non può prescindere dall’attenzione che deve essere posta ai rapporti commerciali con i paesi terzi affinché questi non siano di detrimento al modello europeo di agricoltura familiare che è ritenuto l’elemento di salvaguardia degli attuali standard di sicurezza e qualità agroalimentare. La capacità di influenzare la domanda e le richieste alimentari dei cittadini è un’ulteriore sfida che dovrebbe essere approfondita poiché di norma è proprio la domanda a orientare l’evoluzione futura delle agro-produzioni. Una delle principali critiche sollevate dai portatori di interesse nei confronti della strategia ambientale europea riguarda l’aver stabilito degli obiettivi a priori (quali la riduzione dell’impiego di fitosanitari, fertilizzanti e prodotti veterinari o ancora la crescita della produzione biologica al 25% di quella totale entro il 2030) senza procedere prima a un’analisi della fattibilità in termini di tecnologie disponibili e di costi (per la pubblica amministrazione e quindi per i singoli cittadini) e nemmeno delle conseguenze sulla disponibilità di derrate alimentari.

Risultano particolarmente indicativi e degni di nota i risultati di un sondaggio condotto dalla Commissione europea (riportato nella relazione informativa NAT/805 sulla “Valutazione della direttiva sull'utilizzo sostenibile dei pesticidi” e consultabile alla pagina https://www.eesc.europa.eu/it/sections-other-bodies/sections-commission/agriculture-rural-development-and-environment-nat/information-reports) presso i diversi portatori di interesse relativamente alle loro aspettative e timori nei confronti della strategia Farm to Fork. Oltre il 71% dei partecipanti all’indagine ritiene che le misure introdotte dall’European Green Deal e dalla Strategia Farm to Fork in relazione ai prodotti per la difesa delle colture (PPP) potrebbero avere un impatto negativo sulla redditività dei produttori quando già molti fitosanitari sono stati estromessi dal mercato. Alcuni dei PPP revocati negli ultimi anni, infatti, erano relativamente a economici. Essi sono stati sostituiti da prodotti più costosi e spesso meno efficaci. Questo orientamento risulta in forte contrasto rispetto agli obiettivi dei sostegni previsti dalla PAC allo scopo di favorire la produttività e la maggior parte degli intervistati non ha mancato di rilevarlo. I partecipanti all’indagine, inoltre, ritengono che le strategie ambientali possano seriamente (45.63%) o almeno moderatamente (31.55%) compromettere o inficiare il risultato degli obiettivi stabiliti inizialmente dalla PAC, particolarmente in riferimento alla produttività, mentre il 66,5% ritiene che l’applicazione del Green Deal porterà ad una decisa perdita di competitività del sistema agroalimentare, e un ulteriore 19.4% crede in una perdita seppur moderata. Tutti i portatori di interesse sono a favore della riduzione dei fitosanitari più pericolosi e di modalità di coltivazione maggiormente indirizzate al biologico, ma non possono non ritenere irrealistiche le strategie EU che si pongono l’obiettivo di ridurre del -50% l’uso dei fitosanitari e di portare l’agricoltura biologica al 25% della superficie agricola totale entro il 2030. Tali obiettivi, infatti, risultano arbitrari poiché non è stato condotto alcuno studio di impatto sull’applicazione degli stessi, studio che invece avrebbe dovuto essere condotto sulla base di evidenze scientifiche verificate e tenendo conto delle possibili conseguenze sulla redditività delle aziende agricole. Andrebbe anche considerata l’effettiva capienza dei fondi PAC in funzione della riduzione della redditività delle aziende agricole determinata dalle misure ambientali (fondi che andrebbero incrementati in funzione della minore redditività per garantire la sopravvivenza delle aziende agricole stesse). Secondo studio irlandese, per esempio, il raggiungimento dell’obiettivo di riduzione dei fertilizzanti costerebbe alle aziende lattiero-casearie nazionali una perdita di redditività del 10%. Inoltre i portatori di interesse ritengono che gli obiettivi sui fitosanitari andrebbero modulati in base alle caratteristiche agronomico-ambientali dei diversi paesi. Ad esempio la riduzione dell’impiego di fungicidi in ambienti o annate particolarmente piovose potrebbe lasciare le colture esposte all’attacco di malattie fungine, così come in ambienti caldi potrebbero proliferare eccessivamente gli insetti. Un’ulteriore annotazione riguarda la cattiva luce in cui le disposizioni ambientali europee mettono l’impiego dei fitosanitari e, di conseguenza, l’agricoltura rispetto alle attese del consumatore. Infine i portatori di interesse sottolineano il rischio di una crisi di approvvigionamento alimentare, mentre la Commissione ipotizza che anche in presenza di un’eventuale perdita di produttività il sistema delle aziende agricole continuerebbe a garantire quantità sufficienti di cibo per tutti i cittadini. Meglio! ma dov’è la valutazione?

UVA DA TAVOLA: SCOVARE FALSI CON IMPRONTA DIGITALE

BENE SEQUESTRO PRODOTTO BREVETTATO EGIZIANO

Intensificare i controlli e scovare i falsi analizzando l’impronta digitale per salvaguardare l’uva da tavola pugliese che genera un valore di oltre 400milioni di euro con le 602mila ton-nellate di produzione, di cui il 60% destinato alle esportazioni in tutto il mondo. E’ quanto chiede Coldiretti Puglia, in riferimento all’operazione dalla Guardia di Finanza, in collabora-zione con i funzionari dell'Agenzia delle Accise, Dogane e Monopoli, che ha portato al sequestro di 3400 cassette di uva da tavola brevettata proveniente dall’Egitto, destinata al mercato nord europeo, con un danno enorme a carico della produzione pugliese che si fregia anche del marchio IGP Uva da tavola di Puglia, quando non è ancora partita la campagna di raccolta. Per questa ragione Coldiretti Puglia si è impegnata nella divulgazione degli studi del Dipartimento di Ingegneria delle Acque e di Chimica del Politecnico di Bari condotti in campo agroalimentare, riguardanti la definizione dell’impronta digitale dell’uva da tavola pugliese mediante l’analisi metabolomica. I risultati tangibili di tali studi consentono la discriminazione delle uve in base alle varietà, all’origine geografica e alle tecniche agronomiche impiegate per la loro produzione. Ad esempio, l’impronta digitale con la Risonanza Magnetica – aggiun-ge Coldiretti Puglia - è un potente strumento per distinguere un prodotto biologico da uno convenzionale.

“E’ grande lo sforzo profuso dai nostri imprenditori per orientarsi su cultivar che per qualità fisiche e organolettiche riescano a soddisfare il mercato nazionale e internazionale sempre più esigente. Determinante sarebbe attuare iniziative anche pubblicitarie per aumentare il consumo di uva da tavola in Italia, attraverso la presenza capillare in tutti i punti vendita di prodotti ortofrutticoli e per tutto il periodo della produzione tra giugno a dicembre”,

afferma Savino Muraglia, presidente di Coldiretti Puglia. La Puglia è il primo produttore in Italia di uva da tavola, con il 74% della produzione nazionale e, grazie all’enorme contributo pugliese, l’Italia è il primo produttore al mondo – aggiunge Coldiretti Puglia - con il 16% sulla pro-duzione globale e la provincia di Bari fa la parte del leone, con 10500 ettari e 2,2 milioni di quintali di produzione.

“I nostri imprenditori hanno aumentato la qualità delle produzioni e al contempo – insiste il presidente Muraglia - è stato diminuito l’impatto ambientale e la per-centuale di residui, la più bassa al mondo, con pratiche agronomiche mirate, come la potatura invernale agli interruttori di dormienza, la rimozione delle prime infiorescenze e le potature in verde per la formazione di infiorescenze ritardate, la copertura dei filari, la modulazione dell’irrigazione, i trattamenti antisalini e l’inerbimento controllato, con l’impiego di manodopera altamente specializzata”.

Le importazioni di uva da tavola in Italia ammontano a 25.000 tonnellate (circa il 3,2% dei consumi interni), di queste, una fetta consistente – denuncia Coldiretti Puglia - proviene dall'Europa (49%) e dall'America centro meridionale (circa il 25%), ed in particolare dai sue due principali paesi produttori Cile e Perù, la restante parte proviene dall'Africa (13,5%) ed Asia (4,6%).

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