FOGLIE n.13/2019

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Agricoltura • Agroalimentare • Turismo RURALE

BOOM

Frutta esotica italiana: superati i 500 ettari piantati agricoltura

Antitrust boccia Coldiretti

Frutta estiva: susine 70cent al kg, -50% produzione ciliegie in Puglia Antibiotici, una follia a stelle e strisce

N° 13 • 15 luglio 2019





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ditoriale

15 luglio 2019 - n.13 - Anno 14

Quindicinale di Agricoltura Agroalimentare Turismo RURALE

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G.Ed.A. Giovani Editori Associati Soc. Coop. Via Alcide De Gasperi 11/13 - 70015 - Noci (BA) Direttore responsabile Vito Castellaneta Grafica e impaginazione G.Ed.A. Giovani Editori Associati Hanno collaborato Donato Fanelli, Antonio Resta, Rocco Resta, Nicola Trisolini, Paola Dileo, Nica Ruospo, Rino Pavone, Donatello Fanelli Pubblicità G.Ed.A Rino PAVONE r.pavone@foglie.tv 380 6328672 Stampa Grafica 080 - Modugno (BA) Registrato al Registro Nazionale della Stampa Tribunale di Bari N. 61/06 del 15/11/2006 www.foglie.tv redazione@foglie.tv 347 9040264 Iscritta al Registro Operatori Comunicazione ROC n.26041 TESTATA GIORNALISTICA ACCREDITATA

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Emiliano fra poltrone non volute e politicanti di emme

l presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, ha deciso di tenere per sé la delega all’Agricoltura dopo le dimissioni del disastroso assessore Di Gioia. Più che deciso in realtà ha dovuto fare i conti con la realtà che è quella che nessuno ha accettato il pur importante posto per non mettere la faccia su tutti i disastri (Psr in primis) che presenta la situazione odierna dell’assessorato. Tutti hanno declinato l’invito ad accettarla quella poltrona (nonostante sappiamo bene che i politici non si fanno pregare quando possono occuparle), nella sua maggioranza, ma anche fra i consiglieri di opposizione: Emiliano dovrebbe chiedersi come mai nessuno voglia prendersi un così prestigioso incarico (l’Agricoltura è in Puglia fra gli assessorati più determinanti e portatore di voti) e come mai il consigliere regionale Donato Pentassuglia esattamente cinque anni fa (era il primo luglio 2014) all’ex presidente Nichi Vendola disse sì e accettò di occuparsi di Sanità a pochi mesi dal voto e

oggi ad Emiliano ha detto no. Infine come mai fino a qualche mese fa gli era così facile pescare nel centrodestra e oggi tutti gli hanno risposto picche. Ora Emiliano si ritrova da solo a dover gestire in questi ultimi mesi del suo mandato non solo la delega alla Sanità, ma anche quella all’Agricoltura: i due settori che più possono causare perdita di consenso, disservizi, proteste. Purtroppo, a parlare sono i fatti, per il settore primario questi cinque anni di governance sono stati disastrosi con accadimenti che mai si erano verificati in passato e con un Di Gioia che, negli ultimi mesi, invece di porvi rimedio (o almeno cercare di farlo, sottolineando che ne era il principale responsabile) ha cercato un ricollocamento politico attraverso la Lega, le comunali a Foggia, l’Arif e chi più ne ha più ne metta: proprio il genere di comportamenti che fanno gridare al popolo “politicanti di emme” come declamò il grande Bud Spencer nella pellicola stracult “I due superpiedi quasi piatti”.



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ommario

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editoriale EMILIANO

Fra poltrone non volute e politicanti

9 AGRICOLTURA

8 Antibiotici

agroalimentare

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FRUTTA ESOTICA ITALIANA E’ boom: superati i 500 ettari

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filiere Da grano a pane prezzo aumenta 15 volte

rassegna stampa

28 FARFALLE E API La storia

26 MADE IN ITALY

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Per giornata nazionale bacio foodporn

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Una follia a stelle e strisce

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Coop Lotta al glisofato

13 frutta estiva

-50% produzione ciliegie in Puglia

14 antitrust

Boccia Coldiretti

20 ecomafie

Aggiornare norme penali

riceviamo e pubblichiamo

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EURISPES Lotta al contante

eventi FIERA DEL LEVANTE 30 Dal 14 al 22 settembre

2019


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gricoltura

Con Trump sale l’uso degli antimicrobici in agricoltura e allevamento

Antibiotici: una follia a stelle e strisce

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entre l’Oms e tutte le principali autorità sanitarie mondiali lanciano continui appelli per un utilizzo molto più razionale degli antibiotici, verso i quali i batteri stanno diventando sempre più resistenti in tutto il mondo, gli Stati Uniti sembrano andare in direzione opposta con il sostegno dell’amministrazione Trump, che ha nettamente invertito la rotta rispetto a quella di Obama. Per cercare di sensibilizzare l’opinione pubblica, il New York Times sta raccontando alcune delle storie più clamorose, che rivelano quanto grave sia la situazione. Poche settimane fa è stata la volta degli agrumi, colpiti da un parassita arrivato in Florida dalla Cina nel 2005 e diventato una vera e propria piaga, al punto che oggi il 90% degli alberi di agrumi dello stato è malato, e l’infezione si sta diffondendo ovunque. Per contrastarlo, l’Environmental Protection Agency (Epa) ha esteso l’autorizzazione all’utilizzo di due antibiotici fondamentali per l’uso umano, la streptomicina e l’oxitetraciclina, inizialmente concessa solo in Florida, anche al Texas e alla California, per un totale di oltre 309 mila ettari da irrorare. La Fda ha cercato per settimane di impedire che questo avvenisse, ma non è riuscita a

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fermare in alcun modo la decisione. Risultato: nei prossimi anni quasi 300 mila chilogrammi delle due preziose molecole saranno sparse per migliaia di chilometri; per fare un confronto, basti pensare che gli Stati Uniti ogni anno per curare gli uomini ne consumano 6.350 kg. Tutto ciò è motivato dall’esigenza di tutelare un’industria che muove oltre 7,2 miliardi di dollari e impiega 50 mila addetti (40 mila in meno rispetto a vent’anni fa), ma sembra una politica a dir poco miope. Gli americani deceduti in seguito a un’infezione resistente sono ogni anno non meno di 23 mila, e si pensa che anche l’aumento di morti dovute a infezioni da funghi (soprattutto aspergillosi) e la nuova temibile epidemia di Candida auris siano collegati all’uso scriteriato degli antimicrobici. La seconda storia, pubblicata nei giorni scorsi, riguarda gli allevamenti di maiali. Contro l’aumento delle infezioni alcune aziende, come la Elanco, stanno proponendo la loro personalissima terapia preventiva: la somministrazione quotidiana degli antibiotici clorotetraciclina (usata anche nell’uomo) e di tiamulina (farmaco ad uso solo veterinario). Un approccio che non pochi hanno definito semplicemente suicida, per le ricadute sulla salute umana, e che si sta cercando di

fermare prima che sia troppo tardi. In entrambi i casi, i produttori accampano giustificazioni di vario tipo, proclamano di voler somministrare antibiotici solo fino alla fine delle crisi e di lavorare attivamente per trovare alternative. Ma i fatti ci dicono che se con l’amministrazione Obama la somministrazione di antibiotici negli animali, vietata in assenza di malattie conclamate, era scesa del 33% nel solo 2017, sotto Trump sta aumentando. Infatti, le normative sono state allentate e diversi esponenti del governo, in parte ex-dirigenti di aziende che producono antibiotici, affermano che è il momento di pensare più ai posti di lavoro e ai guadagni che all’ambiente. L’80% degli antibiotici prodotti nel mondo è utilizzato per usi diversi da quelli umani. I decessi per infezioni resistenti solo in Italia, stato maglia nera dell’Ue, sono 10 mila ogni anno, mentre in Europa sono 33 mila. Nel 2050, secondo l’Oms, le infezioni non sensibili agli antibiotici uccideranno più di 10 milioni di persone nel mondo, ovvero più del cancro. I batteri viaggiano, e anche se in Europa la somministrazione di antibiotici è molto più ristretta tanto negli animali quanto nelle persone, le notizie che giungono da oltreoceano non sono buone per nessuno.

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Lotta al glisofato

Agricoltura meno inquinante: l’impegno di Coop

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ontinuando nel suo impegno per un’agricoltura meno inquinante, Coop ha da poco avviato l’eliminazione dalla filiera ortofrutticola di quattro pesticidi da tempo sotto attacco per i possibili effetti sulla salute e il loro impatto ambientale, nella lista compare il glifosato. Obiettivo del progetto, che coinvolge oltre 7 mila aziende agricole, è arrivare entro tre anni all’eliminazione completa di questi pesticidi. Già da maggio però sono disponibili nei punti vendita, nonostante le difficoltà dovute al clima, le ciliegie coltivate senza l’uso dei prodotti incriminati (oltre al glifosato, sono in via di eliminazione terbutilazina, S-metolaclor e bentazone). Presto saranno disponibili altri prodotti, tra cui meloni, uva e clementine. Nei successivi tre anni queste pratiche agronomiche dovrebbero essere allargate a tutti i prodotti ortofrutticoli a marchio Coop. Si tratta di un segnale importante da parte di un’azienda attenta all’ambiente, visto che il nostro è tra i primi paesi in Europa per il consumo di pesticidi per ettaro coltivato, con conseguenze pesanti soprattutto per quanto riguarda la contaminazione delle acque superficiali e sotterranee.“Il prodotto a marchio Coop – si legge in una nota diffusa dall’azienda – vanta da tempo un ridotto contenuto di pesticidi, inferiore del 70% rispetto al residuo ammesso dalle leggi”. La lotta al glifosato, in particolare, è da tempo un simbolo dell’impegno per un’agricoltura più sicura. Stiamo parlando dell’erbicida più diffuso al

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mondo, che rappresenta da solo circa il 70% del consumo totale di pesticidi: sintetizzato negli anni ’50 e commercializzato dalla Monsanto negli anni ’70 con il nome Roundup, dal 2001 è in libera vendita, essendo scaduto il brevetto. Il glifosato agisce bloccando l’azione di un enzima essenziale per il metabolismo delle piante, un processo diverso da quello presente negli animali, il che ha indotto a considerarlo scarsamente tossico per l’uomo, anche se questa sicurezza è stata smentita da numerose ricerche e la questione rimane controversa. Nel 2015 il glifosato è stato classificato come probabile cancerogeno per l’uomo dallo IARC, l’Agenzia europea di ricerca sul cancro, mentre altre due agenzie internazionali (il gruppo FAO/OMS sui pesticidi e l’Agenzia europea per le sostanze chimiche, l’ECHA, si sono successivamente espresse per la non cancerogenicità della sostanza. Secondo l’Associazione italiana per la ricerca sul cancro (AIRC), “il caso del glifosato rappresenta, al momento attuale, un buon esempio di sospetta cancerogenicità non sufficientemente dimostrata, nei confronti della quale le istituzioni hanno deciso di mettere in atto il principio di precauzione: non vietarne del tutto l’uso (mossa che potrebbe avere effetti negativi sulla produzione agricola) ma istituire limiti e controlli nell’attesa di ulteriori studi.” Dalla ricerca però continuano ad arrivare segnali di allarme: vari studi collegano il glifosato alla moria di api che sta destando crescente preoccupazione a livello internazionale, mentre

una recente ricerca sui ratti pubblicata sulla rivista Nature mostra che questa sostanza interferisce a livello genetico con il sistema riproduttivo causando pesanti mutazioni transgenerazionali. Anche per gli altri pesticidi eliminati non ci sono notizie rassicuranti: la terbutilazina è un erbicida selettivo simile all’atrazina (oggi vietata) che è stato classificato come sostanza pericolosa per l’uomo e per l’ambiente dall’Agenzia europea per le sostanze chimiche, mentre alcune ricerche segnalano che il bentazone potrebbe causare sterilità. Per eliminare questi pesticidi garantendo la produttività, si punta sull’agricoltura di precisione promuovendo tecnologie che permettano di risparmiare acqua, energia e tempo. Le principali alternative al glifosato sono interventi meccanici o pellicole biodegradabili per liberare il terreno dalle infestanti, l’utilizzo di erbicidi alternativi da verificare nel tempo (molecole che secondo i dati ISPRA non si ritrovano nelle acque superficiali e profonde come isoxaben, oryzalin, cycloxyim, propaquizafop), e una sperimentazione di nuove tecniche come l’elettro-diserbo”. A queste iniziative si aggiungono altre strategie come la lotta integrata. A medio/ lungo termine, intanto, la sorte del glifosato sembra segnata: in alcuni paesi come Germania e Austria si sta parlando di proibirlo secondo notizie recenti la Bayer, che ha acquisito la Monsanto, ha recentemente stanziato 10 miliardi di euro per lo sviluppo di diserbanti alternativi.

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groalimentare

CRESCIUTI DI 60 VOLTE IN 5 ANNI

ESOTICO ITALIANO, È BOOM: SUPERATI I 500 ETTARI

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on i cambiamenti climatici arrivano le prime coltivazioni di mango e avocado Made in Italy insieme a tante altre produzioni esotiche di largo consumo come le banane e specialità meno conosciute come lo zapote nero fino alla sapodilla. E’ quanto emerge dal primo studio “I tropicali italiani” presentato in occasione dell’apertura del Villaggio contadino della Coldiretti a Milano al Castello Sforzesco, da Piazza del Cannone a Piazza Castello con oltre diecimila agricoltori. Quello della frutta tropicale Made in

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Italy – sottolinea la Coldiretti – è un fenomeno esploso per gli effetti del surriscaldamento determinati dalle mutazioni del clima e destinato a modificare in maniera profonda i comportamenti di consumo nei prossimi anni, ma anche le scelte produttive delle stesse aziende agricole. Lo dimostra il fatto che si è passati da pochi ettari piantati con frutti tropicali a oltre 500 ettari con un incremento di 60 volte nel giro di appena cinque anni. A far la parte del leone è la Sicilia con coltivazioni ad avocado e mango di diverse varietà nelle campagne tra Messina, l’Etna e Acireale, ma anche

a frutto della passione, zapote nero (simile al cachi, di origine messicana), sapodilla (dal quale si ottiene anche lattice), litchi, il piccolo frutto cinese che ricorda l’uva moscato. Il tutto grazie all’impegno di giovani agricoltori che hanno scelto questo tipo di coltivazione, spesso recuperando e rivitalizzando terreni abbandonati proprio a causa dei mutamenti climatici, in precedenza destinati alla produzione di arance e limoni. Tropicali italiani anche in Calabria dove alle coltivazioni di mango, avocado e frutto della passione si aggiungono melanzana thay (variante thailandese della no-

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stra melanzana), macadamia (frutta secca a metà tra mandorla e nocciola) e addirittura la canna da zucchero, mentre l’annona, altro frutto tipico dei paesi del Sudamerica è ormai diffuso lungo le coste tanto da essere usato anche per produrre marmellata. Un segmento di mercato che sta crescendo vertiginosamente considerato che oltre sei italiani su 10 (61%) acquisterebbero banane, manghi, avocado italiani se li avessero a disposizione invece di quelli stranieri, secondo un sondaggio Coldiretti-Ixè diffuso per l’occasione. Il 71% dei cittadini sarebbe inoltre disposto a pagare di più per

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avere la garanzia dell’origine nazionale dei tropicali. Una scelta motivata dal maggiore grado freschezza ma anche dal fatto che l’Italia è al vertice della sicurezza alimentare mondiale con il minor numero di prodotti agroalimentari con residui chimici irregolari (0,8%), quota inferiore di 1,6 volte alla media dell’Unione Europea (1,3%) e ben 7 volte a quella dei Paesi extracomunitari (5,5%). “Il fenomeno della frutta esotica italiana, spinto dall’impegno di tanti giovani agricoltori, è un esempio della capacità di innovazione delle imprese agricole italiane nel settore ortofrutticolo che troppo spes-

so viene però ostacolata da un ritardo organizzativo, infrastrutturale e diplomatico che ha impedito all’Italia di agganciare la ripresa della domanda all’estero, con un crollo nell’ortofrutta fresca esportata nel 2018 dell’11% in quantità e del 7% in valore, rispetto all’anno precedente “ ha sottolineato il presidente della Coldiretti Ettore Prandini nel sottolineare l’esigenza di garantire “trasporti efficienti sulla linea ferroviaria e snodi aeroportuali per le merci che ci permettano di portare i nostri prodotti rapidamente da nord a sud del Paese e poi in ogni angolo d’Europa e del mondo”.

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groalimentare

Crisi frutta estiva

Confagricoltura: “Tre chili pagati agli agricoltori quanto un caffè”

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risi pesantissima per la frutta estiva, dovuta all’andamento climatico anomalo, alla contemporanea maturazione nei principali Paesi produttori, al costante calo dei consumi domestici. Ciò – sottolinea Confagricoltura – ha comportato un crollo dei prezzi pagati agli agricoltori, che non riescono a coprire nemmeno i costi di produzione. Per dare l’idea delle enormi difficoltà del settore, uno smartphone top vale quanto il consumo annuale di frutta di 18 italiani, 3.000 chilogrammi». Lo sottolinea Albano Bergami, presidente della Federazione nazionale frutta di Confagricoltura, evidenziando la grave situazione che attraversa il settore. «Piogge, grande freddo e poi temperature roventi- spiega Bergami – hanno fatto sì che si accavallassero i raccolti delle produzioni in serra con quelle a pieno campo. Il freddo ha limitato la crescita dei frutti, mentre il caldo improvviso l’ha poi fermata. In più, è aumentato l’import dalla Spagna, che ha registrato un’annata di sovrapproduzione». La stagione era partita generalmente bene, ma si è arenata strada

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di Rino PAVONE

facendo, tant’è che c’è ancora molta frutta nelle celle frigorifere e, in particolare per le albicocche, il prezzo all’origine intorno ai 30/35 centesimi non compensa neppure i costi di raccolta, costringendo gli agricoltori a lasciarle sugli alberi. Nel dettaglio quest’anno il raccolto di albicocche, pesche e nettarine è positivo in termini di quantità (più 13% rispetto al 2018 e l’aumento ha riguardato in maniera maggiore il centro sud ed è stato più contenuto al nord). Le susine non riescono però a spuntare prezzi superiori ai 70 centesimi al chilo (contro 1,20

euro dello scorso anno). Le ciliegie hanno avuto una stagione disastrosa: si registra un – 50% della produzione in Puglia e – un 20% in Emilia Romagna. Per l’anguria e il melone, invece, la stagione, iniziata male per le primizie e il prodotto sotto serra, ora sta migliorando. La crisi della frutta ha conseguenze pesanti anche sull’occupazione. Confagricoltura ricorda che sono oltre 100 mila le persone che lavorano nel settore, senza considerare l’indotto. «Oggi – conclude Bergami – sono a rischio almeno 10 milioni di giornate di lavoro».

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gricoltura

“NON PUBBLICA BILANCI E DIRIGENTI HANNO INTERESSI IN IMPRESE PRIVATE”

ANTITRUST BOCCIA LA COLDIRETTI

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’ Antitrust ‘boccia’ la Coldiretti. E dice: “dato che l’organizzazione non fornisce i propri bilanci contabili non è possibile avere un quadro informativo sulle sue partecipazioni societarie”. Poi affonda: “strutture territoriali di Coldiretti sono titolari di partecipazioni in importanti imprese nazionali attivi produttivamente sia in Italia che all’estero”. E infine: “negli organi direttivi della Coldiretti siedono persone che hanno interessi diretti in imprese del settore lattiero caseario”. E’ quanto si legge nel bollettino dell’Autorità per la concorrenza del 24 giugno. Tutto è nato da una richiesta della stessa Coldiretti che è tornata indietro come un boomerang diventando un vero e proprio autogol per l’organizzazione guidata da Prandini e Gesmundo. Nel 2017 infatti l’organizzazione che aveva già dato vita alla ‘febbre gialla’, manifesto con il quale voleva diventare l’unica organizzazione agricola nazionale, aveva chiesto al ministero della Salute - tra l’aprile e l’ottobre 2017, tramite un’istanza di accesso civico ai sensi dell’art. 5 del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33 - la comunicazione dei dati sul latte e sui prodotti lattiero caseari per sapere le entrate, le uscite e i depositi delle aziende italiane del settore. Al ‘niet’ del ministero allora guidato da Beatrice Lorenzin segue l’istanza da parte della Coldiretti al Tar prima (che rigetta con sentenza 2994 del 16 marzo 2018) e ricorso al Consiglio di

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Stato poi. Quest’ultimo stabilisce, con sentenza n. 1546 del 6 marzo 2019, “l’obbligo dell’Amministrazione intimata di dare corso, senza alcun indugio, alla seconda domanda di accesso civico dell’Associazione appellante, previa attivazione e conclusione, nei termini di legge, della procedura di confronto con i potenziali controinteressati, i quali, in relazione alla specificità del caso, potranno essere interpellati preliminarmente in via generale secondo modalità telematiche”. ‘L’Amministrazione potrà, se del caso, - si legge ancora nel bollettino Agcm - tenere conto (mediante il parziale oscuramento dei dati) solo di eventuali specifiche ragioni di riservatezza dei controinteressati’ (para. 21)”. Ed ecco l’autogol: al fine di dare seguito alla pronuncia citata, in parallelo allo svolgimento della procedura di confronto con i soggetti controinteressati, il Ministero ha chiesto all’Autorità “se la diffusione dei dati richiesti dalla Coldiretti possa compromettere la concorrenza sul mercato oltreché la credibilità e la produttività delle aziende, tenuto conto che tali dati hanno un ruolo fondamentale nella strategia aziendale e che la loro diffusione ad aziende concorrenti potrebbe essere gravemente lesiva degli interessi economici e commerciali, considerato pure che la Coldiretti non è solo un sindacato agricolo, rappresentante di coltivatori diretti, imprese e società agricole, cooperative di trasformazione e consorzi di imprese, ma è anche azionista,

con propri rappresentanti nei consigli di amministrazione, di numerose aziende di trasformazione private e cooperative ed agisce quindi anche da concorrente delle aziende delle quali chiede dati e informazioni riservate e che, pertanto, esiste il concreto rischio che le informazioni diffuse [dal Ministero] vengano utilizzate in modo strumentale, distorto o parziale da parte di uno o più concorrenti”. L’ Autorità, nella sua adunanza del 5 giugno 2019, rende il seguente parere: “Con riferimento alla possibilità di effetti anticoncorrenziali derivanti dalla comunicazione dei Dati a Coldiretti, occorre considerare, in primo luogo, come quelle richieste siano informazioni commerciali sensibili, non aggregate e pertanto tali da consentire a chi ne entri in possesso di veder ridotte in maniera significativa le naturali incertezze inerenti il confronto competitivo tra imprese; ciò in quanto il loro contenuto attiene, tra l’altro, a fonti di approvvigionamento e relative dipendenze operative, attività produttive e loro programmazione, con la possibilità di desumerne anche le stesse capacità installate di un determinato operatore. Tenuto conto delle caratteristiche del settore economico di riferimento e della predetta natura dei Dati, in linea con una consolidata giurisprudenza di riferimento (cfr., ex multis, Corte di Giustizia UE, C-8/08, sent. 4 giugno 2009, T-Mobile Netherlands), appare dunque certa una rilevanza degli stessi in una prospettiva antitrust nel caso in cui questi fosse-

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ro scambiati tra operatori concorrenti. In ragione della natura e conseguente rilevanza concorrenziale dei Dati, va in secondo luogo considerato se un pregiudizio per la concorrenza possa discendere dalla loro disponibilità da parte di Coldiretti, in ragione delle caratteristiche soggettive e operative di tale organizzazione. A tale proposito, l’Autorità rileva in via preliminare come, a causa dell’indisponibilità di bilanci contabili pubblici relativi a Coldiretti (intesa quale sistema di cui fanno parte sia la confederazione nazionale che le varie diramazioni locali), non sia possibile avere un quadro informativo sulle sue partecipazioni societarie, e più in generale le sue attività economiche rilevanti. Nondimeno, risulta da fonti aperte come quantomeno strutture territoriali di Coldiretti – in specie, una federazione provinciale – siano attualmente titolari di partecipazioni in importanti imprese nazionali operanti nel settore lattiero-caseario, e ciò per di più in partnership con primari operatori del medesimo settore che sono

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attivi produttivamente sia in Italia che all’estero. Risulta altresì che negli organi direttivi e rappresentativi di Coldiretti, sia a livello di confederazione nazionale che di singole federazioni locali, siedano persone fisiche detentrici di interessi diretti in imprese del settore lattiero-caseario. Infine, è notorio come alla Coldiretti siano associate un numero elevato di imprese attive nel settore lattiero-caseario, rispetto alle quali l’organizzazione, oltre a svolgere attività di rappresentanza e difesa degli interessi comuni, fornisce servizi di varia natura, comprese consulenze aziendali, per i quali la disponibilità dei Dati potrebbe costituire sia una primaria risorsa operativa che un elemento di differenziazione rispetto ai servizi eventualmente resi da imprese concorrenti. In assenza di specifiche, rigorose, predeterminate e trasparenti misure volte a circoscrivere e tracciare l’impiego da parte di Coldiretti dei Dati al fine di garantire che questi non siano impiegati da essa in quanto impresa ovvero interlocutrice

e/o facilitatrice di contatti tra imprese terze (siano o meno queste sue associate), non si può pertanto escludere che dalla trasmissione a tale organizzazione dei Dati possano derivare pregiudizi alle corrette dinamiche di mercato. A fronte degli elementi qui sopra rilevati, con riferimento alla richiesta di parere formulata dal Ministero, l’Autorità sottolinea che il Consiglio di Stato, nella citata sentenza n. 1546/2019, ha chiaramente richiamato l’obbligo per l’Amministrazione di avviare, al ricevimento della domanda, il procedimento in contraddittorio con gli eventuali controinteressati al fine di tutelare i loro diritti. Qualora, nel contesto di tale procedura d’interpello, i controinteressati sollevassero la potenziale rilevanza sotto il profilo concorrenziale, nei termini sopra indicati, della comunicazione dei Dati a Coldiretti, siffatta obiezione dovrebbe essere tenuta in considerazione quale specifica ragione di riservatezza, al fine di evitare ogni pregiudizio alle condizioni concorrenziali del settore di riferimento.

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groalimentare

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Nei villaggi del Ghana

Un fagiolo contro il Parkinson

ei villaggi del Ghana si coltiva il legume Mucuna pruriens ed i suoi semi si consumano come farina, che è ricca di levodopa, un amminoacido precursore della dopamina. I ricercatori del Centro Parkinson del Gaetano Pini di Milano si sono interessati a questa specie vegetale che riduce i disturbi del Parkinson e rappresenta in questi villaggi il principale trattamento contro la malattia. Le potenzialità della Mucuna sono ancora inesplorate. Questa specie è diffusa in tutte le regioni tropicali. I suoi semi vengono tostati e la polpa interna macinata e setacciata. La farina mescolata all’acqua è pronta per essere somministrata. I ricercatori italiani lavorano per individuare il dosaggio più adatto. I primi risultati clinici sono soddisfacenti. La Mucuna potrebbe cambiare la qualità della vita di milioni di parkinsoniani nei Paesi in via di sviluppo.

AGROALIAMENTARE, CASSESE (M5S)

“IL GOVERNO IMPEGNATO A FAVORIRE EXPORT UVA DA TAVOLA CON CINA”

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o accolto con soddisfazione la risposta del Sottosegretario al Ministero dello Sviluppo Economico Andrea Cioffi, alla mia interrogazione in merito alle iniziative che possono favorire l’export dell’uva da tavola in Cina. In particolare, il Governo si è impegnato a migliorare gli scambi commerciali e sta valutando l’opportunità di inserire l’uva da tavola nella prossima sessione di negoziazione e cooperazione bilaterale per la promozione di prodotti agroalimentari con la Repubblica Popolare Cinese”, così in una nota Gianpaolo Cassese in Commissione Attività produttive e Agricoltura alla Camera. “Sappiamo quanto ampi siano i divieti e le limitazioni che caratterizzano la legislazione cinese in materia di importazioni nel settore ortofrutticolo e che esistono bar-

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riere di accesso al mercato in quel Paese che sono oggetto di negoziato UE da un paio di anni, ma le maglie degli scambi commerciali si stanno allargando sempre più ed il Governo sta impiegando ogni energia per favorire questo processo. Il rappresentante dell’Esecutivo ci ha ricordato come, considerata la delicatezza della tematica sulla sicurezza alimentare, sia stata richiamata dall’Unione Europea a Ginevra, nell’ambito del Comitato OMC Trade Barrier to Trade, la necessità di una maggiore chiarezza e trasparenza sulle modalità di applicazione della normativa e di attuazione della certificazione, nonché sulla possibilità di utilizzare un certificato unico europeo e una modalità di convalida unica, accessibile per tutti gli operatori UE. Per quanto riguarda, nello specifico, l’uva da tavola, il Sottosegretario ci ha confermato

che al Ministero dello sviluppo economico, ad oggi non sono pervenute segnalazioni di barriere di accesso al mercato da parte delle imprese comunitarie, così come del fatto che presso il Ministero delle politiche agricole è stato istituito un Tavolo ortofrutticolo nazionale, un organo con funzioni consultive. Il tavolo, partecipato da tutti i componenti della filiera, ha tra le sue finalità quella di affrontare le problematiche di settore, con lo scopo di contribuire ad individuare le linee strategiche di indirizzo e programmazione. Tra le priorità vi è quella di concentrare l’attenzione su taluni Paesi e prodotti, tra i quali l’uva da tavola con destinazione Cina, con l’obiettivo di intraprendere negoziati per la definizione di protocolli fitosanitari necessari per instaurare i flussi commerciali continuativi e stabili” – conclude il deputato. www.foglie.tv



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iceviamo e

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ubblichiamo

60 mld di cash nelle cassette di sicurezza in Italia

Lotta al contante: la proposta per far emergere il sommerso ricevuta dal direttore dell’Osservatorio Eurispes sulle Politiche fiscali, avv. Giovambattista Palumbo

Visto che in queste ultime ore si ripresenta (per l’ennesima volta) l’a ssillo di trovare risorse per le nostre finanze pubbliche, è interessante evidenziare come, secondo quanto risulta dalla quarta edizione del report Cashless Revolution

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che punto siamo e cosa resta da fare per l’Italia, elaborato da The European House - Ambrosetti e dalla Community Cashless Society, se in Italia aumentassero i pagamenti digitali e diminuissero le transazioni regolate in contanti si ridurrebbe l’incidenza dell’economia sommersa e dell’Iva evasa rispetto al Pil, fino a toccare valori, rispettivamente, compresi tra l’11,8% e l’8,8% e l’1,6% e lo 0,4%. Grazie a tali riduzioni, si recupererebbero, quindi, tra un minimo di 11,3 miliardi di euro e un massimo di 63,5 miliardi di euro di economia sommersa, e tra 6 miliardi di euro e 28 miliardi di euro di Iva evasa. L’Italia è, del resto, tra le 35 peggiori economie al mondo per incidenza del contante sul valore del Pil. E, a livello geografico, è la Calabria che si posiziona al primo posto per incidenza. Tutte le regioni del Mezzogiorno si contraddistinguono, peraltro, per un’elevata incidenza del

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sommerso e un basso utilizzo dei pagamenti digitali, mentre i primi tre best performer si trovano nel Nord Italia: Provincia autonoma di Bolzano, Lombardia e Provincia autonoma di Trento. Il report prospetta, infine, alcune proposte interessanti per contrastare il sommerso attraverso l’incentivazione dell’utilizzo degli strumenti di pagamento cashless, tra cui sicuramente l’introduzione di una percentuale minima obbligatoria di spese annue da sostenere con strumenti di pagamento elettronici per poter beneficiare della detraibilità dalle tasse, e meccanismi che disincentivino comportamenti cash-based, a partire dall’attuazione del regime sanzionatorio per esercenti e professionisti che non accettano i pagamenti con Pos. In tale contesto si comprende, del resto, anche la recente proposta del Ministro Salvini di una emersione (con tassazione) del contante nelle cassette di sicurezza. Sia

chiaro, la detenzione (in sé e per sé considerata, di contante o altri titoli al portatore nel territorio dello Stato italiano) non è illecita: non vi è infatti alcuna norma a impedire l’accumulo di denaro contante, né a imporre obblighi di segnalazione. Chiunque può decidere di tenere la propria liquidità sotto il materasso, in cassaforte o in una cassetta di sicurezza. Viene dunque a mancare, nella mera detenzione di denaro contante, qualsiasi profilo di illiceità da sanare. Per questa ragione, bisogna dunque trovare una strada per tassare qualcosa (il denaro) che, in teoria, non produce reddito. Ma il metodo esiste già, in realtà, nel nostro ordinamento e si chiama accertamento sintetico. Lo scopo di tale metodologia accertativa è individuare una capacità di spesa (effettiva) superiore rispetto al reddito dichiarato. E avere contanti da parte, magari non in linea con il reddito dichiarato (che in Italia, in media, è di circa www.foglie.tv


20.000 euro lordi, cifra che, se fosse vera, non consentirebbe grandi capacità di risparmio) può ben essere un indice di capacità di spesa rilevante (e anomalo). Dato che il reddito accertabile sinteticamente deve essere superiore, rispetto a quello dichiarato, di almeno 1/5 ossia del 20% (è la cosiddetta soglia di scostamento reddituale), si potrebbe, per esempio, prevedere una regolarizzazione a costo zero per contanti fino al 20% del dichiarato (annuale) e sul resto una tassazione forfettaria, con riduzione (o esenzione) delle sanzioni. La misura dell’esenzione fino a una certa soglia (e magari dell’esenzione dalle sanzioni sul resto) potrebbe essere, così, un incentivo all’emersione, “coprendo” il contribuente (ancor più ora che sono cominciati i controlli dell’Agenzia sui conti correnti) anche dalla possibilità di essere accertato sinteticamente. E la tassazione sul resto potrebbe portare risorse rilevanti sia ai fini fiscali che ai fini di riutilizzo lecito in termini di investimenti, utili per l’economia in generale. Resterebbe il problema di come evitare che, attraverso una tale procedura, si facilitino operazioni di riciclaggio di denaro sporco non collegato a evasione fiscale, ma ad altri reati a maggior tasso criminogeno (droga, corruzione, estorsioni, etc.). La misura di voluntary, in sostanza, dovrebbe avere una rileN° 9 - 15 maggio 2019

vanza solo fiscale. Andrebbe allora pensato un meccanismo di verifica della provenienza e natura dei contanti, magari consentendo la voluntary del contante solo in caso di dimostrazione (con verifica da parte della GdF e dell’Agenzia delle Entrate) da parte del contribuente. In pratica, una sorta di autodenuncia dell’evasione. Chi meglio del contribuente potrebbe fornire la prova certa della sua evasione? A quel punto, gli converrebbe ammetterla, proprio per poter utilizzare, a costo ridotto, proventi altrimenti difficilmente utilizzabili (dato che, laddove decidesse di utilizzare il contante accumulato per togliersi lo “sfizio” di una bella macchina o altro, rischierebbe seriamente di incappare nell’accertamento dell’Agenzia). Proventi però che, al tempo stesso, proprio perché in contanti, si possono ormai considerare sfuggiti al Fisco (con convenienza dunque anche per il Fisco a recuperarne almeno una parte). E non stiamo parlando di “bruscolini”. Secondo quanto riferito alla Camera anche dal procuratore Francesco Greco, ci potrebbero essere circa 150/200 miliardi in contanti chiusi nelle cassette di sicurezza in Italia e all’estero. E di quei 150/200 miliardi di euro, un terzo circa si troverebbe in Italia. Senza voluntary, come detto, in caso di dichiarazioni dei redditi per importi esigui, sarebbe molto difficile usare il cash

per comprare beni di una certa rilevanza, pena la possibilità concreta di essere oggetto di accertamento sintetico e anche il rischio di incorrere nel reato di autoriciclaggio. I numeri possono fare capire meglio la questione. Immaginiamo il seguente scenario: dichiarato 100.000 – contante da fare emergere 200.000 – franchigia 40.000 (20% di 200.000) – 15% su 160.000 – imposta da pagare 24.000 (presunto su 5 anni). Se fosse vera la cifra ipotizzata dal procuratore Greco, di circa 60 miliardi di cash nelle cassette sul territorio nazionale, avremmo quindi un ritorno in termini di entrate di circa 9 miliardi. Anche se, per vari motivi (non ultimo, la diffidenza verso il Fisco, una volta saputo che non ero così “povero” come volevo far credere), non ci sarebbe proprio la corsa all’emersione; però almeno 1/3 potrebbe emergere. E tre miliardi di euro, di questi tempi, non sono pochi. Soprattutto se si considera che, uniti ai circa 17 miliardi di euro, recuperabili (al minimo) con una nuova strategia cashless (rispetto alla quale l’emersione suddetta potrebbe dunque fungere da inizio di una nuova era), fanno 20 miliardi di euro. E ci smontiamo (quasi del tutto) le famigerate clausole Iva di salvaguardia. Direttore dell’Osservatorio Eurispes sulle Politiche fiscali, avv. Giovambattista Palumbo

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6.057 TERRENI SEQUESTRATI ALLE MAFIE

ECOMAFIE: FENOMENO IN ESCALATION AGGIORNARE NORME PENALI di Rino PAVONE

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urti di alberi secolari, di ulivi appena reimpiantati in area infetta da Xylella, di mezzi e prodotti agricoli, campagne trasformate in discariche a cielo aperto, oltre alla sofisticazione e all’italian sounding che danneggiano ortofrutta e olio made in Puglia. Il fenomeno delle ecomafie, delle agromafie e della criminalità in agricoltura è sempre più dilagante in Puglia, dove si assiste anche ad una escalation di furti nelle campagne di mezzi agricoli, prodotti, fili di rame e tutto quanto il sano svolgimento dell’attività agricola nelle aree rurali. La Puglia è – secondo i dati dell’Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare - una regione a forte rischio ed è al terzo posto della

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classifica nazionale, con un livello di infiltrazione criminale pari all’1,31%, preceduta solo da Calabria (2,55%) e Sicilia (2,08%). E’ emerso, tra l’altro, come il fenomeno delle agromafie, nel corso degli ultimi cinque anni, abbia accresciuto la propria intensità in particolar modo in Puglia (Bari: 1,39%; Taranto: 1,30%; Barletta-Andria- Trani: 1,27%). Palma nera alla provincia di Bari, che rientrata a pieno titolo nella top ten della graduatoria che fotografa l’intensità del fenomeno delle agromafie nelle province italiane. Si piazza al decimo posto, seguita a ruota da Taranto al 15esimo, la provincia di Barletta-Andria-Trani al 18esimo posto, Lecce al 28esimo, Brindisi e Foggia rispettivamente al 46esimo e 47esimo

posto. I ruoli si invertono se ad essere fotografato è l’indice di permeabilità delle agromafie che raggiunge 100 a Foggia, 66,80 a Brindisi, 44,75 nella BAT, 34,56 a Taranto, 30,75 a Bari e, infine, 25,94 a Lecce. In Puglia sono 6.057 i terreni sequestrati alle mafie, il 20,4% dei 29.689 sparsi in tutta Italia. La destinazione dei beni di provenienza mafiosa si presenta lunga e confusa. Sono poi numerosi i casi in cui alcuni beni sono di fatto ancora nella disponibilità dei soggetti mafiosi. Così vengono sprecati tra i 20 ed i 25 miliardi di euro per il mancato utilizzo dei beni confiscati ed in Puglia tra l’1,9 e i 2,37 miliardi. “Dopo il furto degli ulivi monumentali, per rivendere legna da ardere per

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pochi spiccioli o per abbellire ville private, l’ultimo baluardo delle bande criminali è costituito – dichiara Muraglia presidente di Coldiretti Puglia - dal furto di piante resistenti di Favolosa (FS17) e Leccino appena piantumate che spariscono durante veri e propri raid notturni. Dopo anni di blocco produttivo a causa della Xylella e della burocrazia gli agricoltori stanno timidamente iniziando a reimpiantare e c’è chi vigliaccamente sta togliendo nuovamente una speranza di futuro alle nostre imprese, rubando le piante appena piantumate. Il danno economico è risibile rispetto all’impatto psicologico su un olivicoltore che, dopo anni di attesa, vede andare in fumo in 1 notte il sogno di poter ricominciare

N° 13 - 15 luglio 2019

a produrre”, conclude Muraglia. Per questo Coldiretti Puglia ha invocato l’intervento diretto del Ministro dell’Interno Salvini, perché le aree rurali sono drammaticamente esposte alla ‘stagionalità’ delle attività criminose in campagna, dove squadre ben organizzate tagliano i ceppi dell’uva da vino a marzo e aprile, rubano l’uva da tavola da agosto ad ottobre, le mandorle a settembre, le ciliegie a maggio, rubano le olive da ottobre a dicembre, gli ortaggi tutto l’anno, dimostrando che alla base dei furti ci sono specifiche richieste di prodotti redditizi perché molto apprezzati dai mercati, rubano gli ulivi monumentali perché qualcuno evidentemente li ricerca. Si tratta di una realtà insidiosa

con l’innovazione tecnologica e i nuovi sistemi di produzione e distribuzione globali rendono sempre più pericolose le frodi agroalimentari che per questo vanno perseguite – continua la Coldiretti – con nuovi sistemi di indagine e un aggiornamento delle norme penali. In questo contesto è importante realizzare la riforma dei reati in materia agroalimentare per aggiornare le norme attuali, risalenti anche agli inizi del 1900. Un obiettivo – conclude la Coldiretti - sostenuto dalla importante decisione del Ministro della Giustizia Alfonso Bonafede di chiedere la collaborazione di Giancarlo Caselli e dell`Osservatorio Agromafie proprio per procedere alla revisione delle leggi in materia.

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AL VILLAGGIO A MILANO IL FESTIVAL DEI GRANI ANTICHI

CONSUMI: DA GRANO A PANE PREZZO AUMENTA 15 VOLTE

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al grano al pane il prezzo aumenta di quindici volte e dal grano alla pasta di 8 volte per effetto delle speculazioni e delle importazioni selvagge di prodotto dall’estero con pagnotte e panini spacciati come italiani all’insaputa dei consumatori e con 1 pacco di pasta su 3 è fatto con grano straniero. La denuncia arriva da Coldiretti Puglia, Coldiretti in occasione della Giornata nazionale del Grano italiano con la prima storica trebbiatura realizzata nel centro della capitale finanziaria d’Italia, al Villaggio contadino della Coldiretti a Milano al Castello Sforzesco, da Piazza del Cannone a Piazza Castello, in occasione della fine della raccolta lungo tutta la Penisola. Oggi – sottolinea la Coldiretti - un chilo di grano tenero è venduto a circa 21 centesimi mentre un chilo di pane è acquistato dai cittadini a valori variabili attorno ai 3,1 euro al chilo, con un rincaro quindi di quindici volte, tenuto conto che per fare

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un chilo di pane occorre circa un chilo di grano, dal quale si ottengono 800 grammi di farina da impastare con l’acqua per ottenere un chilo di prodotto finito. Dal grano alla psta, aggiunge Coldiretti Puglia, il prezzo aumento di almeno di 8 volte, passando dal campo alla tavola dai 21 centesimi al chilo riconosciuti ai produttori, ad 1,5 euro per il pacco di pasta al supermercato. “Le migliori varietà di grano duro selezionate dalla Società Italiana Sementi (SIS) dei Consorzi Agrari d’Italia, da Emilio Lepido a Furio Camillo, da Marco Aurelio a Massimo Meridio fino al Panoramix e al grano Maiorca, sono coltivate dagli agricoltori sul territorio pugliese che produce più di 1/4 di tutto il frumento duro italiano”, spiega Savino Muraglia, presidente di Coldiretti Puglia. Pasta fatta con grano 100% made in Puglia, con il grano ‘Cappelli’, fino ad arrivare alle modaiole alternative a base di farina di legumi, di ceci, di lenticchie e di piselli, tradizione e

innovazione – dice Coldiretti - contraddistinguono la Puglia, il Granaio d’Italia, principale produttore italiano di grano duro con 343.300 ettari coltivati e 9.430.000 quintali prodotto. “Va sfruttato al massimo lo strumento dei contratti di filiera che possono riportare in trasparenza i passaggi dal grano alla pasta, supportati oggidall’etichettatura dell’origine obbligatoria del grano per la pasta. Al contempo sta riscuotendo molto successo in Puglia la coltivazione di grani antichi, come il ‘Cappelli’, che nella campagna 2018 ha quintuplicato le superfici coltivate, passando dai 1000 ettari del 2017 ai 5000 attuali, trainato dal crescente interesse per la pasta 100% italiana e di qualità, grazie al lavoro di selezione e promozione svolto da SIS”, aggiunge Muraglia. “La campagna cerealicola si preannuncia ottima per quantità e qualità e per esaltarne il valore festeggiamo la filiera a Km0 dal grano alla pasta www.foglie.tv


– aggiunge Muraglia - ribadendo che l’origine del grano è elemento obbligatorio sulle etichette della pasta, risultato di una battaglia che abbiamo affrontato con il grande sostegno e incoraggiamento dei consumatori, con l’81% degli italiani che chiedono maggiore trasparenza rispetto a quello che portano in tavola. Fare pasta con grano 100% italiano evidentemente si può. Da pochi centesimi al chilo concessi agli agricoltori dipende la sopravvivenza della filiera più rappresentativa del Made in Italy, mentre dal grano alla pasta i prezzi aumentano di circa del 500% e quelli dal grano al pane addirittura del 1400%”, conclude il presidente Muraglia. L’Italia – continua la Coldiretti – è il principale produttore europeo e secondo mondiale di grano duro, destinato alla pasta con un raccolto previsto di 4 milioni di tonnellate nel 2019 in calo rispetto all’anno scorso su una superficie coltivata – spiega Coldiretti su dati Crea – scesa a 1,2 milioni di ettari concentrati nell’Italia meridionale, soprattutto in Puglia e Sicilia che da sole rappresentano circa il 40% della produzione nazionale. Intanto crescono del 5% le superfici a grano bio. Pur avendo nel complesso 21 molini a grano duro, collocandosi subito dopo la Sicilia, la Puglia presenta una capacità di trasformazione pari al doppio di quella presente nell’Isola. Ciò dimostra che le industrie semoliere presenti in Puglia sono di elevate dimensioni presentando in media una capacità unitaria di trasformazione di oltre 290 t/24h. La Puglia rispetto alle altre regioni sembra avere un maggior livello di organizzazione dal punto di vista della commercializzazione del grano duro in quanto nella regione si localizzano un numero rilevante di molini e pastifici di grandi potenzialità di lavorazione, i quali assorbono volumi elevati di materie prime. “Noi agricoltori per una giusta remunerazione del nostro lavoro – dice Vito Tafuni, cerealicoltore di Altamura che produce grano e pasta 100% made in Puglia - siamo pronti ad aumentare la produzione di grano duro in Puglia dove è vietato l’uso del glifosate in preraccolta, a differenN° 13 - 15 LUGLI0 2019

za di quanto avviene in Canada ed in altri Paesi. Sarebbero improbabili e dannosi per il tessuto economico del territorio percorsi di abbandono e depauperamento dell’attività cerealicola che deve, invece, specializzarsi, puntare sull’aggregazione, essere sostenuta da servizi adeguati e tendere ad una sempre più alta qualità, scommettendo esclusivamente su varietà pregiate, riconosciute ormai a livello mondiale”. Il progetto – evidenzia Coldiretti nasce sotto la spinta del crescente interesse per la pasta 100% di grano italiano grazie all’entrata in vigore dell’obbligo di indicare l’origine in etichetta. Un elemento di trasparenza che ha portato – sottolinea la Coldiretti – ad un profondo cambiamento sullo scaffale dei supermercati

dove si è assistito alla rapida proliferazione di marchi e linee che garantiscono l’origine italiana al 100% del grano impiegato. Da La Molisana ad Agnesi, da Ghigi a De Sortis, da Jolly Sgambaro a Milo e Granoro, da Armando a Felicetti, da Alce Nero a Rummo, dai prodotti certificati FdAI – Firmato dagli agricoltori italiani fino al gruppo Barilla con il marchio “Voiello” e la linea Integrale 100% italiano, sono sempre più numerosi i brand che garantiscono l’origine nazionale del grano. Gli italiani – conclude la Coldiretti – sono i maggiori consumatori mondiali di pasta con una media di 23 chili all’anno procapite ma l’Italia si conferma leader anche nella produzione industriale con 3,2 milioni di tonnellate, davanti a Usa, Turchia e Brasile.

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AL VILLAGGIO COLDIRETTI A MILANO

MADE IN ITALY PER GIORNATA NAZIONALE BACIO FOODPORN

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oodporn al villaggio Coldiretti a Milano per la giornata nazionale del bacio, con i produttori testimonial e custodi del cibo da amare e gustare con gli occhi, con il naso e con il palato. “Al Castello Sforzesco, nella Milano da bere si è presentata la Puglia da mangiare con l’olio extravergine di oliva bio, taralli, mandorle, confetture, conserve, legumi tipici dell’alta Murgia, pasta di grano duro Senatore Cappelli, pasta con farina di legumi al 20%, caciocavallo stagionato e formaggi di grotta, lumache di terra e fichi, capocollo, salsicce, soppressata e pancetta e una selezione magnifica di oli extravergine di oliva all’Evoo School allestita al Villaggio di Milano” rende noto Coldiretti. Grande successo dei prodotti made in Puglia al villaggio di Milano, una conferma della grande attenzione dei consumatori alla tutela della salute e dell’ambiente attraverso scelte agroalimentari consapevoli, testimoniata quotidianamente

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dall’affluenza nei 90 Mercati di Campagna Amica pugliesi che contano 4.500 giornate di apertura, 850 produttori coinvolti, 22mila giornate lavorative (tra lavoro autonomo e dipendente), 2.500 tonnellate di prodotto commercializzato. Il consumatore conosce e apprezza i prodotti fatti dagli agricoltori che rappresentano al meglio l’identità e la distintività territoriale con la Puglia può contare su 623 specie autoctone vegetali a rischio di estinzione, 276 prodotti riconosciuti tradizionali dal MIPAF, 11 prodotti DOP (5 oli extravergini, patata novella di Galatina, Pane di Altamura, canestrato pugliese, mozzarella di bufala e oliva Bella di Cerignola, caciocavallo silano, oltre alla DOP ‘mozzarella di Gioia del Colle’ in via di definizione comunitaria), 8 IGP per la lenticchia di Altamura, la burrata di Andria, la Cipolla Bianca di Margherita, l’Uva di Puglia, il Carciofo Brindisino, l’Arancia del Gargano, il Limone Femminello del Gargano e le Clementine del Golfo di Taran-

to (oltre all’olio IGP Puglia in fase di completamento da parte dell’UE) e 29 vini DOC, oltre a 632 varietà vegetali a rischio estinzione. E’ tra le prime 3 regioni produttrici di cibo biologico con 4.803 produttori e la prima per numero di trasformatori con 1.796 operatori. Per questo è nata la raccolta dei “Sigilli” di Campagna Amica, i prodotti della biodiversità agricola italiana che nel corso dei decenni sono stati strappati all’estinzione o indissolubilmente legati a territori specifici ai quali si aggiunge la lista delle razze animali che gli imprenditori agricoli di Campagna Amica allevano con passione, un apposito atlante grazie ai contributi di accademici e studiosi. Si tratta in totale di 311 prodotti e razze animali raccolti nel corso di un censimento, curato dall’Osservatorio sulla biodiversità istituito dal comitato scientifico di Campagna Amica. Nel corso di questo primo studio sono risultati 369 “agricoltori custodi” del territorio e dell’ambiente, di cui il 25% sotto i 40 anni. www.foglie.tv



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assegna

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FARFALLE E API di Santi Longo

La sparuta minoranza, delle oltre 115.000 specie note, di Lepidotteri, che contraggono rapporti, più o meno diretti, con le api mellifere, possono essere distinte in: nocive, occasionali e in specie i cui nomi scientifici fanno riferimento alle api. E’ utile per l’a picoltore riconoscere le specie dannose per distinguerle da quelle occasionali o del tutto innocue per l’a picoltura.

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iralidi. Le più diffuse, e importanti specie di interesse apistico, sono le “Tarme delle cera e degli alveari” che afferiscono alla famiglia Galleriidae, della superfamiglia Pyraloidea, e che, in relazione alle dimensioni corporee, sono note rispettivamente come Tarma grande della cera (Galleria mellonellaLinnaeus) e Tarma piccola (Achroia grisella Fabricius); in Nord America è nota la“Tarma degli alveari” Vitula edmandsii. L’adulto della Tarma grande, G. mellonella, ha un’apertura alare di 30-40 mm; le ali anteriori sono di colore grigio scuro, con macchie bruno-rossastre nella zona centrale più chiara; il margine distale è incavato. Le posteriori sono bruno grigiastre. L’apparato boccale è atrofizzato. La larva matura ha il corpo, lungo circa 3 cm, di colore grigio chiaro giallastro, con capo e scuto del protorace castano–rossastro. L’adulto della “Tarma piccola”, Achroia grisella, ha un’apertura alare di 15-25 mm; le ali anteriori sono di colore grigio-rossastro uniforme: il capo è giallastro; l’apparato boccale è atrofico. Della Piralide americana della cera,

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Vitula edmandsii sensu auct,nca (Packard, 1865) sono note due sottospecie i cui adulti, hanno un’apertura alare di 20-25 mm; il corpo e le ali anteriori sono di colore grigio con sfumature bluastre, rosa e macchie nere. Le larve hanno il corpo di colore bianco giallastro. La sottospecie Vitula edmandsii edmandsii, è diffusa in Nord America, dove è segnalata come occasionalmente presente negli alveari; mentre, Vitula edmandsii serratilineella (Ragonot, 1887), presente anche nel Nord Europa, infesta la frutta secca e non costituisce un problema per l’apicoltura. Sfingidi. L’adulto della “Sfinge testa di morto”, Acherontia atropos Linnaeus, ha un’apertura alare di 10 cm. Sul pronoto è presente un disegno a forma di teschio che, abbinato al lugubre suono emesso dalla spiritromba, hanno fatto sì che, la specie venisse etichettata come portatrice di disgrazie, carestie e pestilenze Il suono prodotto, scoraggia l’attacco dei predatori ed essendo simile a quello dell’ape regina, servirebbe anche a calmare le api, consentendo al le-

pidottero di introdursi nell’alveare per suggere il miele. Tignole. Gli adulti di alcune Tignole sinantropiche si introducono negli alveari per trovare rifugio, durante il periodo invernale, senza riprodursi e si ritrovano sul fondo dell’arnia insieme a residui vari. Specie il cui nome scientifico fa riferimento alle api. Ad alcuni generi e specie sono stati assegnati nomi che fanno riferimento alle api, ma nessuna delle specie così denominate, che afferiscono alle famiglie Pyralydae, Noctuidae e Nymphalidae, costituisce un problema per le api e l’apicoltura. Piralidi. La specie Aphomia zelleri Joannis, 1932, era stata ascritta al genere Melissoblaptes (mélissa =ape e blàpto = danneggio). Gli adulti hanno un’apertura alare di 19-27 mm e sono attivi da giugno ad agosto. Le larve si nutrono delle foglie di Brachythecium albicans, e di Poaceae del genere Amnofila, Nottuidi. Il nome del genere Mellinia Hübner, 1821, fa riferimento alla delizia del miele; attualmenwww.foglie.tv


te, è ritenuto sinonimo del genere Xanthia Ochsenheimer, 1816, nel quale sono incluse numerose specie di interesse forestale. La specie tipo è Noctua palleago Hübner, 1803, sinonimizzata con Xanthia gilvago (Denis & Schiffermüller, 1775).

hanno un’apertura alare di 70-80 mm. e visitano numerosi fiori nelle radure delle foreste e lungo i fiumi. Molte specie di Lepidotteri, sia notturni che diurni, sono importanti pronubi che, di norma, non competono con le api per la rac-

colta del nettare e del polline; la lunga spiritromba, che caratterizza l’apparato boccale succhiatore di molti Lepidotteri, è adatta a raggiungere i nettari siti in profondità nei fiori dalla struttura tubiforme, non visitabili dalle api.

Ninfalidi. A tale famiglia afferiscono i generi Melitaea, Fabricius, 1087 e Melinaea Hübner, 1821 i cui nomi fanno specifico riferimento al miele. Il nome del genere Melitaea Fabricius, 1087, che include circa 90 specie, deriva da Melitaeus= di Malta. Nell’isola, che venne chiamata Μελίτη (Melitē) dai Greci, è presente l’indigena Apis mellifera ruttneri Sheppard et al. Il genere Melinaea, letteralmente abitante del miele (méli =miele naio=io abito), include 11 specie tropicali. Di esse Melinaea menophilus (Hewitson, 1856), diffusa in tutta la regione Amazzonica, è nota come Tigre di Hewitson, per la colorazione delle ali. Gli adulti N° 13 - 15 luglio 2019

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83esima Campionaria Generale Internazionale all’insegna dell’economia circolare

Nuova Fiera del Levante lavora su una campagna di educazione ambientale

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ispettare il territorio. Pensare al futuro del Pianeta. Guardare un mare pulito e plastic free che abbraccia la sua città: Bari. Sarà all’insegna della sostenibilità ambientale, economica e sociale l’83esima edizione della Campionaria Generale Internazionale, intitolata “Dove pulsano le idee”, organizzata da Nuova Fiera del Levante e che si svolgerà dal 14 al 22 settembre. Anche nel logo, frutto della creatività di Push Studio, c’è il segno dei contenuti su cui Nuova Fiera del Levante sta lavorando per questa nuova edizione. Si tratta di un cuore da cui si propagano fasci di luce che avvolgono e producono energia buona e pulita. Un contesto dove tutti gli ingranaggi sono pronti a generare cambiamenti e a favorire sinergie economiche circolari.

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#nonabbiamounPianetaB. “Gli scioperi del clima degli studenti stanno richiamando i decisori internazionali alle proprie responsabilità e a livello mediatico c’è molta attenzione sul messaggio potente che sta scuotendo le coscienze”, dichiara il Presidente di Nuova Fiera del Levante Alessandro Ambrosi. Nuova Fiera del Levante, avendo colto a pieno le istanze da loro rappresentate, ha deciso di rispondere pubblicamente a questa chiamata globale di corresponsabilità ed ha costruito intorno al suo evento storicamente più rappresentativo – la Campionaria Internazionale di settembre – una serie di opportunità utili a rafforzare questo messaggio e dare il suo contribuito alla realizzazione del cambiamento.

Il tema dell’edizione 2019 sarà quindi incentrato su cambiamento climatico e transizione energetica, innovazione tecnologica e futuro del lavoro, lotta alla povertà e alle disuguaglianze, salute e sicurezza alimentare, educazione e formazione continua, cooperazione internazionale, infrastrutture e mobilità sostenibile, dialogo interreligioso, protezione dell’ambiente e sviluppo economico. Per nove giorni dunque, la Campionaria si occuperà di tematiche di grande attualità che impongono una gestione più responsabile del nostro Pianeta e darà voce a personalità internazionali che attraverso le loro azioni possono aiutarci ad affrontare le sfide di oggi e di domani. Presto vi sveleremo i loro nomi.

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