FOGLIE n.16/2019

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Agricoltura • Agroalimentare • Turismo RURALE

N° 16 • 15 SETTEMBRE 2019

Bellanova o brutta nuova per l’agricoltura ? Nuovi scenari in Italia ed in Europa agricoltura Uso del rame, lo studio

Assoproli Bari: “Buona annata per olio pugliese”

ZOOTECNIA Mobilab, novità per aziende casearie





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ditoriale

15 settembre 2019 - n.16 - Anno 14

Quindicinale di Agricoltura Agroalimentare Turismo RURALE

Iscritto all’Albo Cooperative a Mutualità Prevalente N.A182952 Editrice

G.Ed.A. Giovani Editori Associati Soc. Coop. Via Alcide De Gasperi 11/13 - 70015 - Noci (BA) Direttore responsabile Vito Castellaneta Grafica e impaginazione G.Ed.A. Giovani Editori Associati Hanno collaborato Donato Fanelli, Antonio Resta, Rocco Resta, Nicola Trisolini, Paola Dileo, Nica Ruospo, Rino Pavone, Donatello Fanelli Pubblicità G.Ed.A Rino PAVONE r.pavone@foglie.tv 380 6328672 Stampa Grafica 080 - Modugno (BA) Registrato al Registro Nazionale della Stampa Tribunale di Bari N. 61/06 del 15/11/2006 www.foglie.tv redazione@foglie.tv 347 9040264 Iscritta al Registro Operatori Comunicazione ROC n.26041 TESTATA GIORNALISTICA ACCREDITATA

Bellanova brutta nuova per l’agricoltura?

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enatrice del Pd, renziana, con un passato di sindacalista della Cgil nel settore dei braccianti, Teresa Bellanova (61 anni) approda al ministero dell’Agricoltura. Già deputata per tre legislature (dal 2006 al 2018) è stata sottosegretario al Lavoro nel governo Renzi e poi viceministra allo Sviluppo Economico. Nata a Ceglie Messapica nel 1958, in giovane età è stata bracciante (coordinatrice regionale delle donne Federbraccianti, ha lavorato nel sud–est barese per poi spostarsi a Casarano). Nel 1988 viene nominata Segretaria Generale provinciale della Flai (Federazione Lavoratori AgroIndustria), nella provincia di Lecce. Nel 1996 diviene Segretaria Generale della Filtea (Federazione italiana Tessile Abbigliamento Calzaturiero), incarico che ricopre fino al 2000, quando entra a far parte della Segreteria Nazionale Filtea con delega alle politiche per il Mezzogiorno, politiche industriali, mercato del lavoro, contoterziarismo e formazione professionale per poi svolgere il mestiere di sindacalista nelle fila della Cgil. Teresa Bellanova, neo ministra delle Politiche Agricole, conosce dunque bene la realtà del sud e per un tratto della sua vita professionale si è occupata della piaga del caporalato nei territori pugliesi. Il passaggio definitivo alla politica

risale al 2005 con l’ingresso nel Consiglio Nazionale dei Democratici di Sinistra e l’elezione l’anno successivo alla Camera dei Deputati nella lista dell’Ulivo. È stata eletta deputato una seconda volta nel 2008 e una terza nel 2013. Politicamente vicina a Renzi, nel 2015 fa parte dell’esecutivo guidato dall’ex sindaco di Firenze come sottosegretaria al Lavoro e poi come viceministra dello Sviluppo Economico. Incarico mantenuto nel Governo Gentiloni. Lo scorso anno è stata eletta senatrice nelle fila del Pd. Al ministero delle Politiche Agricole succede al leghista Gian Marco Centinaio. Dunque una sindacalista della Cgil con la licenza media come titolo di studio al posto di un ex direttore commerciale di agenzia viaggi laureato in scienze politiche che aveva avuto come sua email prima di “italianizzarsi” terronsgohome@ yahoo.it (Centinaio): la brindisina dovrà rappresentare l’agricoltura in Italia e con l’Europa. Già fautrice della legge Fornero e del Jobs Act, due provvedimenti di certo poco apprezzati dall’italiano medio, in molte aziende è già scattato “l’allarme” accompagnato dalla celebre battuta berlusconiana su Rosy Bindi: “Speriamo che questa Bellanova non sia più bella che intelligente”. Staremo a vedere, ammesso che 5Stelle e Pd resistano sulla poltrona.



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ommario

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editoriale

BELLANOVA 5 Brutta nuova per l’agricoltura?

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rassegna stampa agroalimentare

18 MIRTILLO DAY

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CSNAa Misteri su criteri di selezione

A Bologna

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AGRICOLTURA COMMISSIONE UE Le priorità per l’agricoltura

10 RAME IN AGRICOLTURA Lo studio

CLIMATICI 14 CAMBIAMENTI Il rapporto con l’agricoltura

17 ASSOPROLI BARI

“Buona annata per olio pugliese”

zootecnia

28 SINDACI AI FORNELLI La VII edizione

MOBILAB 28 Per aziende casearie


Cambi al vertice per la divisione Agricultural Solutions di

BASF Italia

Alberto Ancora nominato Vice President della subregione EMEA South, che include Sud Europa, Turchia, Iran, Africa e Medio Oriente

Eric Bas, che succede ad Ancora, è il nuovo Country Manager per l’Italia della divisione

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uove nomine per la Divisione Agricultural Solutions di BASF: a partire dal 1° settembre Alberto Ancora ha assunto la responsabilità della subregione EMEA South ed Eric Bas gli succede nel ruolo di Country Manager per l’Italia. All’interno della nuova organizzazione EMEA della divisione BASF Agricultural Solutions cresce il ruolo di Alberto Ancora. Dopo 7 anni alla guida della struttura italiana e dell’area Sud Europa, assume l’incarico di Vice President della nuova subregione EMEA South che comprende in aggiunta ai Paesi dell’area mediterranea - Italia, Spagna, Portogallo, Grecia e Israele - anche Turchia, Iran, Africa e Medio Oriente. Contestualmente, Eric Bas succede ad Alberto Ancora quale nuovo Country Manager della Divisione Agricultural Solutions per l’Italia. 40 anni, argentino, ha maturato

una solida esperienza nel settore ricoprendo incarichi internazionali sia in ambito marketing che vendite. Nel nuovo ruolo Bas, forte del solido approccio segnato dal suo predecessore, guiderà il team verso le nuove sfide ed opportunità del mercato, con l’obiettivo di rispondere sempre meglio alle esigenze di distributori e agricoltori italiani. Eric Bas è laureato in ingegneria industriale presso la Universidad Nacional de Rosario (Santa Fe) con

un MBA alla IAE Business School dell’Universidad Austral di Buenos Aires. Da 15 anni in BASF, di cui gli ultimi 10 nella divisione Agricultural Solutions, Bas ha ricoperto ruoli di crescente responsabilità: è stato Senior Key Account Manager per i prodotti agrofarmaci e sementi per i paesi Paraguay, Uruguay e Bolivia e Global Marketing Manager per il segmento degli insetticidi. È in Italia dal 2018, dove prima dell’attuale incarico ha ricoperto il ruolo di Head of Marketing Italy.


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gricoltura

Ursula Von der Leyen

Le priorità del nuovo Presidente della Commissione Europea per il settore agricolo

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metà luglio il Parlamento europeo ha eletto Ursula Von der Leyen come nuovo presidente della Commissione europea. Nel suo discorso di 20 pagine intitolato “La mia agenda per l’Europa” ha espresso la sua visione della prossima Commissione europea 2019-2024. Proprio nel primo capitolo, intitolato “Un patto verde europeo”, ha fatto specificamente riferimento all’interazione tra politica climatica, agricoltura e produzione alimentare sostenibile. “La tutela dell’ambiente naturale europeo è in cima alle priorità e ritiene che cambiamenti climatici, biodiversità, sicurezza alimentare, deforestazione e consumo del suolo siano questioni che richiedono un approccio comune. Dobbiamo cambiare il nostro modo di produrre, consumare e fare affari. La salvaguardia e il ripristino dei nostri ecosistemi devono essere le linee guida alla base di tutte le nostre azioni politiche. Questo significa che nella

politica economica dobbiamo fissare nuovi standard per la biodiversità, che includano tutti i settori del commercio, dell’industria e dell’agricoltura”. Ha inoltre annunciato che entro i primi 100 giorni di mandato presenterà il “Green Deal per l’Europa” e la “Strategia per la biodiversità 2030”. Si deve tutelare l’importante lavoro che svolgono i nostri agricoltori per assicurare ai cittadini europei prodotti alimentari nutrienti, a buon prezzo e sicuri. Questo è possibile solo garantendo alle aziende rurali un reddito adeguato. Il nuovo Presidente ha anche annunciato nel suo programma di lavoro di voler lanciare una nuova strategia alimentare: i nostri agricoltori verranno sostenuti attraverso il programma farm to fork per produrre alimenti sostenibili lungo l’intera catena del valore. Anche per quanto riguarda il sostegno delle aree rurali, che rappresentano il cuore pulsante della nostra economia, si punta a valorizzare il territorio rurale e a

investire nel suo futuro. Un altro tema di interesse è la salute dei cittadini, sul quale Von der Leyen ha dichiarato di volersi impegnare per contenere l’uso di prodotti chimici nella produzione alimentare, così come il problema dell’inquinamento dell’aria, dell’acqua e del suolo. Si propone di adottare una strategia trasversale che consenta di proteggere la salute dei cittadini arginando i danni ambientali, migliorando la qualità dell’aria e dell’acqua e riducendo al minimo l’impiego di sostanze chimiche pericolose, interferenti endocrini e pesticidi nocivi per la salute”.

Del partito nazionalista Diritto e Giustizia

Un polacco commissario europeo all’agricoltura

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l polacco Janusz Wojciechowski (64 anni), membro del partito nazionalista Diritto e Giustizia, ottiene la delega all’Agricoltura. Wojciechowski è stato membro del Parlamento europeo dal 2004 al

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2016, prima di accettare un incarico come revisore alla Corte dei conti europea. Il polacco sarà coadiuvato nel suo lavoro dal nuovo Commissario europeo al Commercio Phil Hogan, che porterà con sé la gran-

de esperienza maturata nella passata legislatura, durante la quale si è occupato del portafoglio agricolo, approfondendo, fra l’altro, numerosi dossier riguardanti i trattati commerciali internazionali.

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FOCUS

Considerazioni sull’uso del rame in agricoltura

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l rame è un oligoelemento biologicamente essenziale per tutti gli esseri viventi: ioni Cu sono componenti insostituibili di enzimi, fattori di trascrizione e altre strutture proteiche. Senza rame non c’è vita (microbica, animale, vegetale), e sono noti disordini fisiologici dovuti, appunto, alla carenza o insufficiente disponibilità di tale minerale. E’ però vero che questo elemento è responsabile di effetti tossici se si ritrova nelle cellule al di sopra di determinati valori soglia. Normale costituente della dotazione minerale dei suoli, con ampia variabilità, a concentrazioni dell’ordine di alcune decine di mg kg-1 (con soglia di attenzione a 100 mg kg-1) e inserito in numerosi e complessi cicli biogeochimici, il rame ha avuto da sempre infinite utilizzazioni industriali in virtù delle sue proprietà. In agricoltura ne sono note diverse applicazioni, in particolare come fertilizzante per le piante coltivate e integratore nella dieta di animali in produzione zootecnica. Ma è soprattutto come anticrittogamico ad azione fungicida antiperonosporica che il rame trova da 140 anni impiego massiccio, specialmente nel vigneto. L’elenco dei patogeni contrastati con successo da interventi con prodotti rameici è comunque molto articolato; oltre agli oomiceti, sono sensibili molti generi fungini; interessante (e pressoché esclusiva) anche l’azione batteriostatica. Efficacia, affidabilità, economicità e facilità di impiego rappresentano i fattori che attribuiscono ai prodotti del rame importanti ruoli nel protocolli della difesa antiparassi-

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Introduzione taria in agricoltura integrata, ma è nei disciplinari biologici che esso riveste un ruolo al momento pressoché insostituibile. Il rame distribuito sulle piante si deposita sulle foglie e sugli altri organi epigei, e non viene assorbito dai tessuti vegetali. Di conseguenza, la totalità del prodotto finisce, nel tempo, per raggiungere gli orizzonti superficiali del suolo, vuoi per fenomeni diretti di deriva al momento dell’applicazione, vuoi per dilavamento dagli organi trattati, vuoi, infine, per la fisiologica caduta a fine stagione delle foglie che presentano ancora residui. In breve, il bilancio di massa vede modeste asportazioni (qualche decina di grammi per ettaro) da parte della vegetazione (si concentra principalmente negli apparati radicali), a fronte di massicci input fitoiatrici antropici (un trattamento normalmente apporta circa 1 kg di rame per ettaro). Merita di essere segnalato il fatto che sono diffusi fertilizzanti a base di rame, consentiti anche dai disciplinari biologici, che, di fatto, servono alla “difesa occulta” (illegale) delle colture, tenuto conto che i terreni italiani di norma non mostrano carenze di questo elemento. La presenza di concentrazioni rilevanti di rame nel terreno innesca una serie di problemi, a cominciare dal rischio della fitotossicità. Da tempo le autorità ambientali comunitarie hanno rivolto attenzione all’impatto ambientale di tale metallo pesante; ciò in virtù del fatto che esso soddisfa due criteri che caratterizzano le sostanze “persistenti, bioaccumulative e tossi-

che”, vale a dire: (a) il tempo di dimezzamento è superiore a 120 giorni (in realtà, essendo un elemento minerale, il concetto di “tempo di dimezzamento” non ha alcun senso); (b) la concentrazione senza effetti osservati a lungo termine per gli organismi acquatici è inferiore a 0,01 mg/l. Perplessità derivano, ad esempio, dall’accertata sensibilità dei lombrichi alla sua azione nociva. In conseguenza di ciò il rame, già dal 2015, è considerato “sostanza attiva candidata alla sostituzione” (è già bandito in numerosi Paesi) e, temporaneamente, sino al 2025 è fissato in 4 kg per ettaro l’apporto annuo consentito (Regolamento di esecuzione 1981/2018). Ciò implica un ‘arricchimento’ dell’ordine di almeno un paio di milligrammi di rame per chilogrammo di suolo (top layer). E’ ammesso, per le colture poliennali, il principio di flessibilità del ‘lissage’, sì da permettere un carico di 28 kg ha-1 ‘spalmato’ in sette anni. Il provvedimento – inevitabilmente frutto di animato dibattito, in considerazione della pletora di soggetti portatori di interesse sul tema – ha un impatto notevolissimo sulla nostra agricoltura. In questo breve documento vengono riassunte le principali criticità sollevate, con particolare riferimento alla viticoltura biologica, che appare come il comparto produttivo maggiormente coinvolto; infatti, per i produttori integrati sono disponibili numerosi principi organici di sintesi, protettivi, citotropici o translaminari, che garantiscono una adeguata protezione.

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Punti di criticità - Quello che non conosciamo nel suolo e nella pianta Il rame è un microelemento nella nutrizione vegetale (come già menzionato) e perciò deve essere assorbito dalla pianta in quantità tali da soddisfare i relativi bisogni fisiologici; se assorbito in quantità superiori può dare dei fenomeni di tossicità. Comunque i fenomeni di carenza come quelli di tossicità dipendono dal tipo di suolo e dal tipo di pianta. Nel suolo è importante la quantità di rame disponibile e non quella totale. La presenza di sostanza organica (il rame ha una forte affinità con i composti organici formando complessi metallo-organici molto stabili), il pH del suolo (il rame precipita a valori di pH alcalini; i valori di pH del suolo nei quali il rame è facilmente assorbito dalla pianta sono quelli sotto 6,5 anche se esso è assimilabile sino a pH 7,5) e le condizioni riducenti (per esempio, nei terreni sommersi può prevalere la forma monova-

lente, più mobile, rispetto a quella ossidata -divalente-) influenzano la disponibilità di questo elemento. Il tipo di pianta è anche importante perché alcune specie presentano meccanismi che impediscono l’accumulo dell’elemento. Le piante in genere presentano un contenuto di rame che varia da 2 a 20 mg per kg di sostanza secca, ma di norma è la radice l’organo che accumula il rame, perché i polisaccaridi del sistema apoplastico formano dei chelati stabili. Dal punto di vista della sicurezza d’uso, l’European Food Safety Authority ha ripetutamente preso in considerazione il rame (EFSA 2013, 2014, 2017, 2018°, 2018). L’ultimo documento disponibile (EFSA Journal 2018;16(3):5212) prende in considerazione i residui massimi ammissibili (MRL) di rame ai fini della valutazione del rischio. I calcoli sull’esposizione cronica hanno consentito di

rivalutare i limiti dei MRL precedentemente fissati diminuendoli considerevolmente per un certo numero di colture/alimenti (broccoli, cavolfiore, mais dolce, endivia belga, albicocche etc) lasciandone alcuni quasi invariati (frutti di bosco) od aumentandoli (mele, pere, ciliegie, pesche, uva da tavola). Purtroppo moltissimi alimenti/colture, che pur vedono diminuire ed in pochi casi aumentare (uva da vino ad esempio) i LMR ammissibili, devono essere nuovamente rivalutati con ulteriori affinamenti di valutazione del rischio ex post dopo gli ulteriori monitoraggi e test di campo identificati dall’EFSA. I singoli Stati Membri hanno il compito di identificare le strategie di mitigazione del rischio, ai rispettivi livelli nazionali, dopo l’acquisizione dei risultati. Negli Allegati del lavoro sopracitato sono presenti i dati e i riferimenti ad ogni singola coltura/alimento.

Come migliorare l’uso del Cu Il bilancio di massa dei trattamenti rameici nel vigneto è decisamente critico. Molto più della metà del prodotto distribuito finisce di norma direttamente fuori bersaglio, per fenomeni di deriva. Azioni di miglioramento riguardano: (a) approcci di “viticoltura di precisione”, con applicazioni tecnologiche capaci di concentrare sul bersaglio la distribuzione degli agrofarmaci (“spot spraying”; “selective targeting”); (b) impiego di “pannelli recuperatori” per ridurre la dispersione ambientale; (c) miglioramento delle prestazioni delle formulazioni, con il ricorso alle nanotecnologie (da verificare però la loro compatibilità con i disciplinari biologici – v. art. 7.c del Regolamento (UE) N° 16 - 15 settembre 2019

848/2018). Altro parametro per il quale si intravedono margini di miglioramento è quello relativo al timing degli interventi. Sistemi di supporto alle decisioni, basati su protocolli di scouting (monitoraggio). Tra le possibili soluzioni per ridurre il potenziale patogeno di Plasmopara possiamo citare l’applicazione di schermi ‘antipioggia’ a copertura del filare. E’ noto che le zoospore dell’oomicete necessitano di un velo di acqua liquida per raggiungere, nuotando, lo stoma e iniziare il processo infettivo. Ovvie considerazioni di ordine economico, paesaggistico e biologico (questi manufatti sembrano creare condizioni microambientali favorevoli agli attacchi di oidio) sembrano ren-

dere scarsamente proponibile questa opzione. Infine, poiché la biodisponibilità e la mobilità del rame nel terreno sono dipendenti da fattori chimici e fisici, in casi specifici è pensabile di intervenire con operazioni di bonifica in situ basate su modificazioni della reazione (es. con calcitazioni; a pH alcalini Cu è immobilizzato) e con apporto di sostanza organica ( come già riportato, il rame forma facilmente complessi organo-metallici con la sostanza organica venendo in questo modo immobilizzato). Improponibili, invece, azioni di mescolamento attivo, laterale o verticale, eventualmente suggeriti dal fatto che il rame si concentra negli orizzonti superficiali.

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Alternative al Cu (a) Altri agrofarmaci ad azione antiperonosporica E’ semplice elencare i requisiti richiesti a un antiperonosporico utilizzabile nel biologico: a) natura chimica non artificiale; b) efficacia, prolungata nel tempo, possibilmente in grado di esplicare azione anche contro altri patogeni, presenti o di temuta introduzione; c) sostenibilità ambientale; d) profilo tossicologico adeguato; e) destino ambientale favorevole; f) assoluta indifferenza nei confronti delle proprietà qualitative dell’uva e del vino da essa prodotto; g) tollerabilità da parte della vite e assenza di rischi di fitotossicità. Ovviamente non può essere ignorato l’aspetto economico. Al momento risultano registrati (e pertanto utilizzabili) soltanto preparati a base di olio essenziale di arancio dolce. In Toscana soltanto una minima frazione delle aziende biologiche fa ricorso a questo formulato, per lo più in associazione/ alternanza ai rameici. La comunità scientifica è attiva da tempo alla ricerca di nuove molecole, attingendo a composti naturali (es. laminarina, chitosano, argille) elicitori di reazioni fisiologiche interessanti; essi non sono al momento registrati come agrofarmaci antiperonosporici, con l’eccezione di cerevisane, induttore di resistenza composto da estratto inerte ottenuto dalle pareti cellulari di Saccharomyces cerevisiae. Inutile ricordare che tali nuovi prodotti dovrebbero essere innanzitutto approvati per l’agricoltura generale, e poi inclusi tra quelli consentiti in biologico. Anche le prospettive legate alla possibile utilizzazione di bioagrofarmaci devono confrontarsi con una serie di requisiti al momento apparentemente insormontabili, che spaziano dalla scarsa sopravvivenza sulla fillosfera/carposfera, alla produzione di metaboliti secondari di interesse ecotossicologico, per non parlare degli elevati costi di produzione. Meritevole di attenzione è il ruolo dei fosfonati (di sodio o potassio), registrati come fertilizzanti fogliari, ma con effetti che in alcuni casi permettono di essere utilizzati in vigneto anche da

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soli, o quantomeno ridurre l’utilizzo del rame, essendo capaci di azione tossica diretta nei confronti del patogeno coniugata all’attivazione della resistenza della pianta; trattandosi di prodotti di sintesi non sono comunque utilizzabili in agricoltura biologica. (b) Materiale vegetale resistente alla peronospora Nessun dubbio che l’allevamento di materiale resistente ai patogeni riduca i costi di produzione e quelli ambientali. Mentre tutti i vitigni di Vitis vinifera (con una unica eccezione) sono altamente suscettibili alla peronospora, importanti fonti di resistenza sono facilmente reperibili in numerose specie americane (e in una asiatica) del genere Vitis. Incroci interspecifici sono stati realizzati da tempo, ma i vini prodotti dagli ibridi che ne derivano di norma sono ben lungi dal soddisfare i requisiti di ordine qualitativo tipici della vinifera in purezza e legittimamente attesi dai consumatori. Recentemente l’argomento ha ricevuto crescente interesse, anche in virtù dei progressi compiuti dalle discipline genetiche, e lo stato dell’arte può essere così riassunto: • interessanti vitigni PIWI (Pilzwiderstandfähige) sono ormai disponibili e, a seguito di successivi reincroci (genetica convenzionale), la frazione di genoma non-vinifera è diventata modesta, riducendo (ma non annullando),

quindi, le perplessità di fondo; alcune regioni del Nord-est italiano hanno già autorizzato la loro coltivazione; la normativa nazionale esclude però che essi possano entrare nei disciplinari di vini DOC/DOCG e rimangono incertezze su alcune irrinunciabili caratteristiche organolettiche dei vini (“identità sensoriale”, ad esempio in relazione a bassi livelli di tannini, colore, acidità, presenza di metanolo), così come su taluni aspetti fisiologici (precocità, risposta fogliare a fillossera); di norma la campagna antiperonosporica su questi vitigni prevede non più di un paio di trattamenti specifici; • moderni approcci biotecnologici (cisgenesi / genome editing) consentirebbero in tempi rapidi di manipolare selettivamente il genoma della vinifera con riferimento al solo materiale genico strategico per il carattere di resistenza; tale procedimento, che la Corte di Giustizia UE ha equiparato agli OGM, è però totalmente estraneo alla filosofia alla base del biologico; • esistono concreti rischi che la pressione esercitata dal materiale resistente nei confronti delle popolazioni di peronospora sfoci nella selezione di popolazioni che ‘rompono’ tale resistenza, soprattutto se essa è basata su singoli geni (come inizialmente nel caso di Bianca), rendendo di fatto vano il lavoro di miglioramento (la resistenza genetica non è mai definitiva).

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Siccome la vite, soprattutto se coltivata con metodo biologico, risulta la specie maggiormente trattata con rame, abbiamo deciso di riportare le seguenti considerazioni:

Conseguenze dell’abbandono del rame nel vigneto a coltivazione biologica Il destino ambientale a lungo termine del rame nel terreno è effettivamente incompatibile con i principi dell’agricoltura biologica in termini di sostenibilità. Difficile, al momento, però immaginare la difesa antiperonosporica nel vigneto biologico senza la disponibilità dei prodotti che hanno come principio attivo lo ione cuprico (Cu2+): solfato nella formulazione commerciale della poltiglia bordolese, solfato tribasico, idrossido, ossido, ossicloruri (essi presentano leggere differenze in termini di persistenza e prontezza d’azione). Ciò alla luce dell’importanza delle infezioni di peronospora (Plasmopara viticola) su tutti i vitigni di Vitis vinifera, in relazione anche ai modelli che lasciano intravedere come i cambia-

menti climatici favoriranno ancor più le infezioni di questo patogeno. Uno dei fattori chiave che hanno determinato il successo del rame è la pressoché totale impossibilità da parte dei patogeni di sviluppare popolazioni resistenti, stante la complessità del meccanismo di azione multisito. Al rame sono attribuiti anche altri importanti ruoli nel vigneto: (a) esercita un indiscusso ruolo nel contrasto ad altri patogeni, generalmente considerati ‘minori’, ma capaci, in determinate situazioni, di assumere rilevanza, per non parlare del rischio di introduzione di ‘nuovi’ agenti al momento non presenti; (b) facilita i processi di lignificazione dei tralci erbacei, a fine estate. Si consideri che l’agente della pero-

nospora è un micidiale aggressivo “patogeno d’attacco”, nei confronti del quale i principi delle “buone pratiche” – peraltro mai messi in discussione – quali la appropriata scelta cultivarietale, interventi finalizzati a favorire la biodiversità e la conservazione della fertilità e a gestire il vigore e il microclima della pianta, sembrano svolgere ruoli marginali, lasciando inevitabilmente all’intervento chimico diretto la responsabilità di difendere il raccolto. E la peronospora si introduce nella foglia molto velocemente e, in assenza di un valido prodotto protettivo (di contatto, efficace e con prontezza d’azione), dopo la penetrazione può essere in qualche modo contrastata soltanto con prodotti ad azione sistemica.

Conclusioni Nonostante l’impressionante mole di progetti che nel recente passato sono stati attivati sul tema delle alternative al rame, questo metallo rappresenta tuttora per la viticoltura biologica un’arma indispensabile per la difesa dalla peronospora e le attuali conoscenze scientifiche non offrono alternative valide ed affidabili. Le altre molecole oggi disponibili necessitano ancora di approfondite sperimentazioni. Si sottolinea la necessità di un data base completo circa l’uso del rame in agricoltura, che sia punto di riferimento per ricercatori e agricoltori e che metta al centro l’ottenimento di piante resistenti alle malattie principali. Se vogliamo continuare a fare l’esempio della vite dobbiamo sottolineare che il patrimonio viticolo nazionale è un bene unico, assolutamente da proteggere; per raggiungere questo obiettivo lo strumento genetico appare fondamentale. Appare di primario interesse anche il recupero del rame utilizzato, finito “fuori bersaglio”; con una agricoltura di precisione o modalità studiate ad hoc, si può tendere ad

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un riuso del rame in modo economico e circolare. Per migliorare l’impiego del Cu, ma soprattutto per mettere a punto metodi alternativi al rame stesso, serve

molta ricerca, possibilmente condivisa dalle aziende agricole, quelle stesse aziende alle quali va riconosciuto che nel corso degli ultimi 20 anni hanno ridotto l’uso del rame fino all’ 80%.

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gricoltura

Cambiamenti climatici e i loro effetti in agricoltura

Qualche punto fermo sul rapporto tra cambiamenti climatici e agricoltura di Luigi CATTIVELLI - direttore CREA Genomica e Bioinformatica

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utti parlano di cambiamenti climatici e dei loro effetti in agricoltura, ma nel pubblico dibattito ognuno enfatizza un aspetto del problema ed è difficile coglierne l’insieme ed il loro impatto. Vediamo di mettere un po’ d’ordine nelle cose. Il primo fattore, ed anche responsabile di tutti i cambiamenti climatici è l’ innalzamento della CO2 atmosferica, una modifica principalmente dovuta all’attività umana, di portata enorme: basti pensare che siamo passati dalle 360 parti per milione di CO2 in atmosfera degli anni 60 ai 415 ppm di oggi, con una previsione ormai certa di raggiungere i 550 ppm alla metà del secolo. L’ aumento della CO2 avviene in modo identico in tutto il pianeta e ha di per sé un effetto fertilizzante sulle piante, molto significativo su specie come frumento o riso, quasi nullo su piante come il mais (una diversità di risposta dovuta alla diversa fisiologia delle specie). Prove sperimentali realizzate in

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speciali sistemi che consentono di crescere le piante in condizioni di pieno campo innalzando la concentrazione di CO2 nell’aria che sta sopra le piante della prova, dimostrano che un frumento coltivato a 550 ppm di CO2 produce circa un 10% in più, ma con una diminuzione del contenuto di proteine e minerali (Ferro, Zinco). Tutto ciò, se non ci sono altri fattori limitanti come situazioni di carenza idrica. Più CO2 porta, di conseguenza, a temperature mediamente più alte con numerose implicazioni sulla produzione agricola: 1. Le piante tendono ad accelerare il loro ciclo produttivo: se l’inverno è mite, il frumento anticipa la fioritura e se l’estate è molto calda, le uve maturano prima. Tradizionalmente, ottobre era il mese della vendemmia, ultimamente si inizia a raccogliere l’uva alla fine di agosto! 2. L’ aumento della temperatura media si esprime anche attraverso ondate di calore che compromettono la crescita e la produzione delle

piante. L’estate del 2003, una delle più calde di sempre, ha provocato enormi perdite produttive per i cereali ed altre colture. 3. L’ innalzamento della temperatura media determina uno spostamento verso latitudini settentrionali delle specie coltivate, ad esempio oggi si coltiva con un certo successo la vite in Gran Bretagna. 4. Il cambiamento dei profili termici influenza l’evoluzione dei patogeni delle piante, e nuove razze di patogeni impongono nuove sfide alla gestione delle colture. L’ innalzamento della temperatura incrementa le necessità idriche delle piante ed in generale l’acqua che evapora dal suolo (e dagli specchi d’acqua). Una maggiore evaporazione è premessa di una maggiore piovosità, ma questo è vero solo su scala globale, così, mentre nell’Europa settentrionale ci si aspetta una maggiore piovosità, nella regione mediterranea, in particolare, i modelli climatici prevedono un aumento della temperatura asso-

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ciato ad una forte riduzione della piovosità. Per contrastare questa situazione è necessario da un lato migliorare i sistemi di gestione dell’acqua in agricoltura (nuovi bacini per accumulare l’acqua durante la stagione invernale, sistemi di irrigazione sempre più efficienti come l’irrigazione a goccia), dall’altro, invece, bisogna cambiare le piante per renderle idonee alle nuove condizioni climatiche. L’ insieme di questi cambiamenti ha già, ed avrà sempre più in futuro, un impatto sulla produzione agricola. Su scala globale, mantenendo inalterate le pratiche agronomiche e le piante coltivate (nessuna azione di miglioramento genetico), l’attesa è di una netta diminuzione della produzione agricola complessiva. Questo risultato tuttavia non sarà geograficamente omogeneo, per quanto detto sopra sono attesi aumenti produttivi delle aree settentrionali del pianeta e forti riduzioni nelle zone temperate o vicine ai tropici, ad esempio la regione del mediterraneo, con forti oscillazioni da anno a anno. Una soluzione? Migliorare l’agricol-

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tura ed adeguare le piante coltivate. Nel prossimo futuro continueremo a coltivare le stesse piante di oggi: frumento, pomodoro, fruttiferi, ecc. ma con varietà diverse. Già oggi si stanno selezionando varietà capaci di sfruttare meglio l’acqua disponibile, in grado di sincronizzare il loro ciclo vitale con i nuovi profili termici, sempre più resilienti, quindi capaci di produrre,

nonostante la presenza di fattori avversi, e dotate di un numero sempre maggiore di resistenze genetiche, per poter essere coltivate con un utilizzo sempre più limitato di fitofarmaci. Una cosa è certa: per mangiare - e mangiare tutti - nel futuro che ci aspetta non potremo usare le varietà “antiche” selezionate un secolo fa per il clima ed i patogeni di quell’ epoca.

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gricoltura

GRAZIE A COSTANTE MONITORAGGIO E PREVENZIONE

ASSOPROLI BARI: “SI PREANNUNCIA UNA BUONA ANNATA PER L’OLIO PUGLIESE”

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poco più di 40 giorni dall’inizio della raccolta delle olive, almeno nelle zone caratterizzate da cultivar di olivo più precoci, il Presidente Assoproli Bari, Pasquale Mastandrea fa il punto sulla nuova produzione “al momento esistono tutti i presupposti per un’ottima campagna olivicolo-olearia, sia dal punto di vista quantitativo per i consistenti incrementi nella produzione (visti gli esiti nefasti delle gelate e delle altre avversità che hanno quasi azzerato quella della trascorsa stagione), sia dal punto di vista qualitativo”. Le attività di assistenza tecnica, espletate dai consulenti Assoproli in favore degli olivicoltori associati, hanno consentito un costante monitoraggio dello stato di salute delle piante e dello sviluppo del frutto. “Attualmente - continua Mastrandrea - sono in fase di completamento le ultime sistemazioni agli impianti di lavorazione delle 15 cooperative associate ad Assoproli”. Assoproli, infatti, con i suoi oltre 20.000 soci non solo si occupa dalla fase dell’assistenza agronomica in campagna ma segue tutta la filiera, fino alla commercializzazione del prodotto. “Al riguardo - continua il Presidente - abbiamo accolto con estremo enN° 16 - 17 settembre 2019

tusiasmo la notizia che nel Salento si stanno ottenendo i primi risultati sui reimpianti effettuati sugli oliveti affetti da Xylella”. La Puglia è unica, specie quella agricola, e la percezione di un problema da parte di un consumatore italiano o europeo nell’ambito dell’olivicoltura regionale rischia di compromettere il costante e lento lavoro condotto negli ultimi anni dai tanti operatori della filiera che hanno fatto apprezzare gli eccellenti oli prodotti nella nostra terra. “L’auspicio di tutti è che l’olivicoltura pugliese, di cui il Salento è parte, si riappropri della sua immagine di paesaggio e patrimonio olivicolo a livello mondiale. Ci siamo resi conto, però, - sottolinea Mastrandrea - che su questa “entusiastica anticipazione” c’è stata una non corretta interpretazione, anche da parte dei media i quali, in molti casi, hanno parlato di apertura della raccolta olivicola in Puglia. Ed Assoproli sente il dovere, per il ruolo e le competenze che ci caratterizzano, di fare chiarezza per evitare di confondere i consumatori con i quali il rapporto di fiducia è fondamentale. “Investiamo tanto nella formazione dei consumatori, per la loro consapevolezza, per offrire loro i mezzi attraverso cui poter riconoscere un olio di

qualità da un altro, li stiamo “educando” a seguire la tracciabilità dell’olio acquistato, a saper leggere l’etichetta, a conoscere tempi e modalità di raccolta… - continua Mastrandrea - e poi leggono che le olive si raccolgono ad agosto e magari pensano di poter già acquistare l’olio nuovo a settembre”. Questo è un messaggio sbagliato che necessita di essere chiarito nel rispetto degli operatori, dei tecnici, degli studiosi e dei consumatori: è importante, pertanto, ribadire che E’ TECNICAMENTE POSSIBILE PRODURRE UN OLIO DI QUALITA’ SOLO QUANDO IL FRUTTO È MATURO E GARANTISCE IDONEE CARATTERISTICHE QUALITATIVE ORGANOLETTICHE E SALUTISTICHE che fanno dell’olio extra vergine di oliva un prodotto di eccellenza del Made in Italy e, quindi dell’intera Puglia (dove si produce circa il 50% di olio con tale classificazione commerciale). “Pertanto, conclude il presidente Mastandrea, vanno bene i messaggi di speranza, ma è necessario che le informazioni vengano diffuse correttamente al fine di evitare di dare il fianco a facili e ambigue speculazioni che vedranno ancora una volta soccombere chi realmente vive da tali attività e investe soldi veri e soprattutto propri”.

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A FICO Eataly World convegno coi massimi esperti internazionali

Lo “storytelling” del mirtillo va in scena a Bologna

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n “superfrutto” come il mirtillo e le sue potenzialità in Italia e nel mondo sono state al centro del convegno internazionale che si è tenuto lo scorso 11 settembre presso il FICO Eataly World di Bologna. Il “Mirtillo Business Day” – questo il titolo dell’evento – è stato organizzato da NCX Drahorad, società specializzata in servizi commerciali per il settore ortofrutticolo, e si è rivolto a produttori, buyer, commercianti, importatori, esportatori, vivaisti e tecnici che operano nella filiera dei piccoli frutti. Durante l’evento sono state portate all’attenzione dei partecipanti di-

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verse case history di successo che, attraverso un’adeguata attività di informazione, hanno recentemente restituito valore lungo tutta la filiera dei piccoli frutti. Per questa particolare tipologia di referenze, infatti, il ruolo della comunicazione è proprio quello di evidenziarne le caratteristiche, creando un’immagine forte e positiva. In questo modo aumenta la conoscenza nel consumatore e, di conseguenza, anche l’intenzione di acquisto. Da un’indagine condotta nel 2017 su 1.400 consumatori è peraltro emerso che in Italia esiste ancora oggi un vuoto informativo su più versanti: il racconto del prodotto, i benefici nutrizionali, le modalità di preparazione e la gestione domestica di frutta e verdura acquistate. I lavori sono stati introdotti da Thomas Drahorad, presidente di NCX Drahorad S.r.l., che ha illustrato i motivi per i quali è stato organizzato questo convegno, a partire da un dato molto significativo: secondo l’International Blueberry Organization, i volumi complessivi di prodotto (fresco e destinato alla

trasformazione industriale) sono passati dalle 864.000 tonnellate del 2016 alle 1.165.000 tonnellate del 2018, con un incremento del 35% in soli due anni. Hans Liekens, Commercial Manager di EMEA – Fall Creek Farm & Nursery Inc. (USA), ha relazionato sul tema: “Il panorama mondiale del mirtillo: produzione e consumi”, mentre Rafael Barona Martinez, Procurement Manager di Berry Gardens (UK), su “Regno Unito: il mercato dei berries e le azioni di supporto al dettaglio”. Si è prose-

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guito con Andrés Armstrong, Executive Director del Chilean Blueberry Committee (Cile) ed un focus su: “Marketing e pubbliche relazioni del Chilean Blueberry Committee”. L’amministratore unico di SG Marketing, Claudio Scalise, ha invece portato all’attenzione del pubblico una interessante case history: “Valorizzare con successo una categoria: il caso della frutta secca in Italia”. E’ poi intervenuta Costanza Nosi, professore associato di Management e Marketing all’Università LUMSA (Roma), con “Scienza, moda, viralità. Quando i cibi diventano celebrities”. Gli ultimi due interventi della giornata sono stati affidati a Marco Repezza, senior business partner di Trade Marketing Studio su: “Il valore dello spazio: i mirtilli come opportunità del trade in Italia”, e ad Andrea Grignaffini, giornalista, scrittore, docente, critico ed enogastronomo, con “Il punto blu del gusto”. “Il comparto italiano del mirtillo – spiega Thomas Drahorad – non ha ancora sviluppato tutte le potenzialità che potrebbe esprimere. Ci sono infatti ampi margini di crescita, sia da un punto di vista produttivo, sia di comunicazione. Del resto, i consumatori italiani sono sempre più attenti e consapevoli sul cibo che consumano: secondo una ricerca di Nielsen condotta su un campione di 30.000 individui in 63 Paesi, tra i quali l’Italia, uno su tre (33%) considera i superfood, come il mirtillo, addirittura dei possibili sostituti dei farmaci. Ora, la sfida per gli operatori del settore è quella di capire l’evoluzione degli stili alimentari e cogliere nuovi trend in anticipo”.

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Comitato nazionale per la sicurezza alimentare

Cnsa: misteri sui criteri di selezione dei 13 eletti e sul conflitto di interessi

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n anno fa circa la ministra della Salute Giulia Grillo nominava i 13 membri del Comitato nazionale per la sicurezza alimentare (Cnsa), pubblicando i nomi sul sito del ministero della Salute. La lista comprende professionisti famosi e anche soggetti che forse non hanno una comprovata esperienza del settore come richiesto dal bando di partecipazione che, senza ricevere compensi, forniscono al ministero pareri scientifici sulle problematiche alimentari. Le responsabilità del Cnsa sono consistenti, ma c’è un grosso problema di funzionamento. Le ricerche e i pareri

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richiesti dal ministro sono pochissimi e, il più delle volte, riguardano tematiche di scarso rilievo. Quello che ci preme sottolineare in questa sede è il criterio “poco trasparente” seguito per la nomina dei 13 membri. Tutto è cominciato con un avviso pubblicato sul sito del ministero l’8 agosto 2018 che chiedeva alle persone interessate di inviare un curriculum specificando le aree di competenza tecnica entro il 22 agosto. A Roma arrivano 320 curricula che, dopo una prima selezione scendono a 95. Tra questi vengono scelti i 13 nomi. Il percorso, definito dal ministero “innovativo” in quanto per la prima volta si utilizza un avviso pubblico, presenta punti poco trasparenti, quantomeno se paragonato alle procedure adottate da altre autorità scientifiche come l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa) con sede a Parma. La prima cosa che desta perplessità è l’assenza dei criteri per la selezione in entrambe le fasi. Questo aspetto è fondamentale perché, avendo emanato un

avviso pubblico che indicava un metodo di selezione “innovativo”, sarebbe stato logico aspettarsi una scelta basata su criteri di trasparenza e meritocrazia, che però non sono mai stati indicati. Dalla consultazione del sito della Presidenza del Consiglio dei ministri, emerge che: di fronte alla richiesta di accesso agli atti fatta da qualcuno degli esclusi per capire meglio i criteri di selezione, il ministero della Salute inizialmente si oppone, dicendo che la scelta è stata fatta “senza alcuna procedura selettiva di tipo comparativo”, e quindi non ritiene di dovere rendere accessibile gli atti amministrativi e le procedure alla base della scelta degli esperti. Un ricorso contro questa posizione presentato nel dicembre 2018 alla Commissione presso la Presidenza del Consiglio dei ministri per il riesame dell’accesso agli atti per la trasparenza delle pubbliche amministrazioni, ribalta la situazione. La Commissione, pur dichiarandosi d’accordo sulla possibilità della ministra della Salute di www.foglie.tv


scegliere i candidati sulla base a criteri discrezionali, invita il ministero a comunicare i parametri e le motivazioni della scelta appellandosi alla necessaria e doverosa “trasparenza istituzionale”. Da allora sono passati circa nove mesi, ma la ministra Giulia Grillo non ha risposto all’invito. Anche Il Fatto Alimentare prima dell’estate ha fatto richiesta di accesso agli atti sulla nomina degli esperti del Cnsa e dopo qualche settimana abbiamo ricevuto un dossier con il decreto di nomina, i curricula degli eletti e solo due dichiarazioni sull’assenza di conflitto di interesse rilasciate dagli interessati. Nessuna indicazione sui criteri di valutazione per la selezione delle 320 domande ricevute. Vale la pena ricordare che sul sito del ministero a fianco dei nomi non compaiono nè i curricula né la dichiarazione di assenza di conflitto di interessi a differenza ad esempio di quanto accade sul sito Efsa per le varie nomine. La mancata pubblicazione dei curricula è comunque una mancanza grave, perché non permette di valutare la “comprovata esperienza” nel campo della sicurezza alimentare delle persone selezionate. Ma la storia non finisce qui. Qualche giorno prima della firma del decreto di nomina, alcuni professori universitari e professionisti che avevano inviato i curricula, ricevono dal ministero l’invito a compilare un’autocertificazione sull’assenza di conflitti di interessi necessaria ai fini dell’elezione, che viene regolarmente compilata e spedita. Il modulo chiede tra le altre cose se negli ultimi

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tre anni ci sono stati “rapporti di collaborazione diretti o indiretti con soggetti privati in qualunque modo retribuibile” o se si fa parte “di associazioni od organizzazioni in cui ambiti di interessi possano interferire con lo svolgimento dell’incarico”. L’aspetto strano della vicenda è che questo modulo sul conflitto di interessi non fa parte della documentazione che abbiamo ricevuto dal ministero e non figura come allegato ai curricula delle 13 persone nominate. A voler essere precisi, esaminando il dossier si nota che solo Claudio Agostoni, uno dei tredici eletti, allega una dichiarazione sul conflitto di interessi (inviata all’Efsa nel 2014), in cui precisa di ricevere finanziamenti dal 2007 da Ferrero e da diverse multinazionali alimentari. Giorgio Calabresi, che è stato nominato presidente del Cnsa, ha inviato al mi-

nistero un curriculum di 15 pagine e una lettera di pochissime righe, datata novembre 2018, in cui dice di “non presentare potenziali conflitti di interesse per quanto riguarda l’eventuale propria nomina al Cnsa”. Anche in questo caso però non c’è traccia del modulo prestampato di tre pagine. E lecito chiedersi perché nella documentazione che abbiamo ricevuto dal ministero non ci siano i moduli sul conflitto di interessi, che a quanto risulta hanno dovuto compilare e sottoscrivere le persone che in un primo momento erano state inserite nella lista dei “potenziali” nominati. L’esito finale è comunque deludente e lascia spazio a legittimi dubbi: – il ministero della Salute non ha assolto all’invito della Commissione per il riesame “di ostentare” i criteri e la documentazione alla base della nomina – i curricula delle persone nominate non compaiono sul sito – non ci sono le dichiarazioni sull’assenza di conflitto di interessi Questa mancanza di trasparenza è maggiormente rilevante laddove in Italia gli esperti sono di nomina ministeriale e non di un’autorità indipendente, come è nel caso delle altre istituzioni europee come Efsa nella Comunità europea, Anses in Francia, Bfr in Germania, dove le autorità dedicate alla sicurezza alimentare sono indipendenti dai ministeri competenti anche finanziariamente. L’ ultima considerazione riguarda la scarsa attività del Cnsa che fino ad ora ha combinato poco o niente, ma questo non per colpa degli eletti.

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In gara dodici sindaci con l’aiuto di dodici cuochi: vince la squadra Francavilla - Parma

La VII edizione di “Sindaci ai Fornelli” di Paola DILEO

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n nome di una Puglia “da mordere e gustare” nelle sue manifestazioni culturali, paesaggistiche - naturali e non ultime, gastronomiche, si è replicata anche quest’anno a Capurso, l’esilarante gara culinaria “Sindaci ai Fornelli” (organizzata dal Comune di Capurso e da Rp Consulting con il patrocinio della Città Metropolitana di Bari, dell’ANCI, con il sostegno della Camera di Commercio di Bari, sotto l’egida del network Mordi la Puglia e dell’Accademia Italiana di Gastronomia e Gastrosofia). Il seguitissimo evento - nato da un’idea di Sandro Romano gastronomo, giornalista enogastronomico, Console per il Sud Italia dell’Accademia italiana di Gastronomia e Gastrosofia - lo scorso 2 settembre ha chiamato a raccolta nella città barese la crème de la crème degli chef pugliesi, ovviamente in aiuto di una schiera di sindaci, complessivamente 12, per cimentarsi in un’arte, quella culinaria che oggi più che mai diventa “responsabile” eh, chi nel mondo politico se non il primo cittadino è lì a metterci la faccia? A Sandro Romano chiediamo: Sindaci ai Fornelli raggiunge la

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VII edizione. Quali le novità di quest’anno? Quest’anno le novità sono state parecchie, a cominciare dal numero dei sindaci e dei cuochi impegnati che sono diventati 12 per ogni categoria, per cui le squadre sono diventate 6, ognuna formata da 2 cuochi e 2 sindaci. Come negli ultimi anni anche in questo abbiamo avuto una squadra fuori gara formata dal sindaco di Capurso Francesco Crudele e dal governatore Michele Emiliano, a loro volta accompagnati da 2 cuochi. Emiliano ha avuto un contrattempo e non è potuto venire, così lo abbiamo sostituito con il sindaco di Bitonto, Michele Abbaticchio. Ma il governatore, che è affezionatissimo a questa manifestazione, ci ha telefonato in diretta per salutarci. Tra i sindaci, oltre alla folta rappresentanza proveniente da ogni parte della Puglia, hanno partecipato anche Giovanni Bontempi, sindaco di Nocera Umbra e quello di Parma, il notissimo Federico Pizzarotti. Tra i 12 bravissimi cuochi abbiamo avuto ben 4 stellati. Anche tra i conduttori, rispetto allo scorso anno c’è una novità e cioè

il bravissimo Mauro Pulpito, che ha condotto insieme ad Antonio Stornaiolo e Claudia Cesaroni, già presenti lo scorso anno. Ho fortemente voluto la presenza di loro 3 perché così – ne ero convinto e così è stato - lo spettacolo ne avrebbe giovato dal punto di vista del ritmo e del divertimento. Hanno caratteristiche diverse che si sono integrate alla perfezione. La strana coppia “gastronomia politica” è sempre avvincente, ma a trainare è la prima o la seconda? In realtà è il connubio fra le due a decretare il successo della manifestazione. Alla gente piace molto vedere i sindaci impegnati in un campo che non compete loro, nel quale si muovono con grande difficoltà. Proprio per questo sono affiancati da cuochi di grande livello che spiegano loro ogni passaggio e intervengono solo in due fasi cruciali dei 30 minuti della gara, in pratica per soli 6 minuti, lasciando i sindaci liberi di “pasticciare” nelle loro padelle. Poi un’altra cosa importante è che, ognuno nel suo ruolo, è protagonista, in pratica è come se si creassero 2 gare molto sen-

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tite, una tra i sindaci e una tra i cuochi. E tutti, pur divertendosi un mondo, vogliono vincere e si impegnano tantissimo per riuscirci. Ma, è importante evidenziarlo, non c’è traccia alcuna di politica nello spettacolo e questa è una cosa a cui tengo tantissimo. Piuttosto è bello vedere la collaborazione che si crea, sarebbe bellissimo riportare tutto ciò per davvero nella politica, senza schieramenti e senza gabbie ideologiche. Dieci sindaci pugliesi in gara, più altri due di fuori regione, Federico Pizzarotti di Parma e Giovanni Bontempi di Nocera Umbra. Chi ha conquistato il podio e con quale piatto? La gara è stata vinta dalla squadra arancio formata dai sindaci Federico Pizzarotti di Parma, da quello di Francavilla Fontana Antonello Denuzzo e dai cuochi Giuseppe Frizzale di Casale San Nicola a Bisceglie e Vinod Sookar del Fornello da Ricci a Ceglie Messapica. Hanno preparato un piatto con capunti, polpettine di salsiccia, peperoni, pesto di pomodoro e chips di patata americana. Bontempi invece era in squadra con il sindaco Antonio Decaro, anche loro hanno preparato un buon piatto ma non ce l’hanno fatta. Al Sindaco di Bari Decaro è stato invece consegnato il premio speciale 2019 “Mario Giorgio Lombardi”. Tra gli chef tutor di questa edizione, una rosa di nomi illustri, stellati, come Domingo Schingaro (I Due Camini – Borgo Egnazia), Teresa Buongiorno (Già Sotto l’Arco – Carovigno), Antonella Ricci e Vinod Sookar (Al Fornello da Ricci – Ceglie Messapica). Al seguito altri professionisti degni di rappresentare la buona cucina pugliese, chi erano? Oltre al già citato Giuseppe Frizzale, hanno partecipato Luca Cappelluti del Caravanserraglio di Terlizzi, Vincenzo Montaruli di Mezza Pagnotta a Ruvo, AlessanN° 16 - 15 settembre 2019

dro Pizzuto di Stammibene a Bari, Giuseppe Boccassini del Felix Lo Basso di Trani, Cosimo Russo dell’omonimo ristorante a Leverano. In altri ruoli, Marco Pascazio di Cibo Academy a Casamassima e i tre “controller” Giuseppe Panebianco, Giuseppe Scarlato e Pietro Del Gaudio. Inoltre abbiamo avuto un’importante presenza femminile, altra cosa da me fortemente voluta dopo aver partecipato ad un convegno indetto a Rutigliano sull’argomento. Infatti oltre alle già nominate Teresa Galeone Buongiorno e Antonella Ricci, hanno partecipato anche Patrizia Girardi di Amastuola a Crispiano, Nicla Longo de Le Rune a Bari Torre a Mare e Angela Fico de La Cicerchia a Gioia del Colle. Anche la giuria di esperti ha espresso nomi di alto profilo del mondo gastronomico pugliese e non. Capurso e Sindaci ai Fornelli si candidano a diventare un riferimento importante per la gastronomia pugliese? Con questa domanda mi offri l’occasione per ringraziare tutti i cari amici che hanno fatto parte della giuria e che, partecipando ogni anno mi dimostrano stima e apprezzamento per la manifestazione. Poi per la candidatura a “riferimento importante”, devo dirti che non credo a questi inutili autoproclami cittadini. Vedi il caso di

una città come Ceglie Messapica, che da anni esprime ottima ristorazione, grazie ad alcune figure che definirei storiche, come Angelo Silibello, Antimo Savese e il compianto Angelo Ricci. A seguire le figlie Rossella e Antonella Ricci con suo marito Vinod Sookar, hanno portato la stella Michelin in città e importanti personaggi della gastronomia mondiale si sono affacciati grazie a loro. Poi è arrivata la politica con chiacchiere e proclami… No, Capurso non diventerà riferimento importante per la gastronomia pugliese, l’apprezzamento deve sempre arrivare dagli altri. Io sono barese e abito orgogliosamente a Capurso, un paese che grazie ad una amministrazione attiva, attenta e soprattutto onesta, è cresciuta tantissimo negli ultimi anni. Inoltre, casa mia ospita tra le più fornite biblioteche gastronomiche private d’Italia. Capurso rimarrà giustamente e semplicemente, la città che ospita la manifestazione; dal punto di vista ristorativo invece, è ancora piuttosto indietro. Da gastronomo e giornalista di settore, quanto è cresciuto l’appeal della cucina pugliese negli ultimi 10 anni? È frutto di scelte politiche lungimiranti o di che? Anche il fatto che la Puglia sia indietro sono convinto sia un mito da sfatare. La cucina pugliese ha

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sempre avuto un grande appeal, soprattutto se parliamo di ciò che riguarda la tradizione che rimane la fetta numericamente più importante. La nostra è una cucina gustosa, salutare, fatta di grandi prodotti della terra e del mare, per questo anche molto varia e importante dal punto di vista delle tracce culturali e storiche che sono dietro ad ogni piatto della nostra tradizione. Poi c’è un’altra cucina, quella che negli ultimi anni riscuote più successo grazie a tv e social, la cosiddetta cucina gourmet o creativa. Bene, anche in quella ha fatto passi da gigante con interpreti bravissimi che sono apprezzati in tutta Italia dalle guide più note. C’è però, purtroppo, l’altra faccia della medaglia e cioè che in troppi pensano di essere in grado di farla, ma non è così. Ritengo sia riservata a pochi interpreti di livello, capaci davvero di creare, perché creare non significa mettere insieme 4 o 5 ingredienti e disporli in un piatto. Presuppone basi di conoscenza e di esperienza, oltre che sensibilità e capacità non comuni. È in campo enologico, invece, che si percepisce una grandissima evoluzione e lì bisogna ammettere che si è fatta una politica lungimirante partita con il grande lavoro svolto da Dario Stefàno quando guidava il settore Agricoltura alla Regione Puglia. Passi da gigante anche nella crescita di qualità dell’olio

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extravergine, ora non siamo più soltanto i maggiori produttori, ma abbiamo davvero aziende che producono oli straordinari. Cosa bolle in pentola? L’appuntamento è a “Sindaci ai Fornelli 2020”? Intanto una novità sarà che non saremo tolleranti con chi tenta maldestramente di scopiazzare la nostra manifestazione, come già accaduto quest’anno proprio in Puglia. Sono tante, invece, le cose belle che bollono in pentola, ma al momento permettimi di non svelarle, anche un po’ per scaramanzia. Ti dico solo che se tutto

va come pensiamo, l’ottava edizione avrà altre novità importanti e un’ulteriore crescita, probabilmente addirittura sviluppi diversi. Inoltre, con Giovanni Ventrelli di RP Consulting, la società che mi supporta nella realizzazione dell’evento, abbiamo un progetto importante per la città di Bari che speriamo di poter realizzare entro la prossima estate. Una cosa bellissima che è la naturale prosecuzione di una cosetta organizzata già un paio di anni fa a costo zero e che se ben supportata dalle istituzioni può rivelarsi un importante investimento anche dal punto di vista turistico. Ma per ora non farmi dire di più.

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Per la prima volta in Puglia e in Grecia

Mobilab, il laboratorio mobile che rivoluziona il lavoro delle aziende casearie

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er la prima volta in Puglia e in Grecia un laboratorio mobile va in allevamento ed effettua gratuitamente esami presso le aziende del territorio. Gli animali sono controllati e la qualità dei prodotti è eccellente. Il progetto Mobilab è stato presentato lo scorso 12 settembre ad Altamura. Due realtà, lo stesso obiettivo: Grecia e Puglia insieme per trasmettere la cultura della qualità. “Mobilab” è il progetto che valorizza le produzioni tipiche locali, dando forza alle aziende del territorio. Un’idea innovativa che mette in campo professionalità, competenza e ricerca, facendo rete e, soprattutto, diffondendo i valori della sicurezza e della qualità. È un progetto Interreg

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Greece Italy che nasce dalla collaborazione tra partner greci (Hellenic agriculture organisation Demeter, la Regione delle isole Ionie, l’Università di Salonicco), l’Università di Bari (Dipartimento di Medicina Veterinaria, DiMev) e la Città metropolitana di Bari. Il progetto, completamente GRATUITO per le aziende, è già in corso, ha una durata biennale (aprile 2018-

aprile 2020) e ha lo scopo di migliorare la qualità delle produzioni ovicaprine, con particolare riferimento al latte e i prodotti caseari. Dopo i saluti del sindaco del Comune di Altamura, Avv. Rosa Melodia e del consigliere Antonio Stragapede delegato alla “Promozione e coordinamento dello Sviluppo Economico della Città Metropolitana di Bari”, i risultati preliminari di Mobilab sono

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stati illustrati dalla Prof.ssa Marialaura Corrente e la Dott.ssa Viviana Mari dell’Università degli studi di Bari “Aldo Moro” - DIMEV. In Puglia è proprio il Dipartimento di Medicina Veterinaria ad agire e lo fa attraverso un questionario, stilato in accordo con l’Università di Salonicco e due laboratori mobili. Un progetto itinerante, quindi, che raggiunge in modo capillare le aziende di ovicaprini dell’Area Metropolitana di Bari e delle Isole Ionie per effettuare esami e analisi microbiologiche che assicurano la salute degli animali e la qualità dei prodotti. I veterinari del Mobilab, percorrono chilometri, raggiungono le aziende coinvolte e, direttamente sul posto, garantiscono assistenza tecnica agli allevatori, offrendo loro le conoscenze opportune per innovare e rafforzare la loro produzione del latte. “L’obiettivo finale del progetto è quello di avvicinare la ricerca e la tecnologia ai piccoli e medi allevatori, – dichiara la dottoressa Loukia Ekateriniadou, Lead Beneficiary del progetto - supportare l’industria lattiero-casearia locale e collaborare in rete con gli imprenditori che decidono di applicare le nuove tecniche e utilizzare prodotti innovativi. Un processo che migliorerà la competitività e l’economia del territorio”. “È importante far comprendere agli allevatori l’opportunità straordinaria di Mobilab, perché sono tanti i vantaggi che uno strumento del genere comporta. - aggiunge Canio Buonavoglia, Dipartimento di Medicina Veterinaria (Università di Bari),

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responsabile del progetto. - Per questo nell’ambito del progetto, oltre agli esami presso le aziende, sono previsti anche meeting che hanno lo scopo di far incontrare gli allevatori, confrontare le loro esperienze, creare una vera e grande rete di contatti e insieme elaborare dati e formulare piani di intervento”.

Verrà inoltre distribuito materiale informativo attraverso un’azione capillare che coinvolgerà anche i veterinari. Mobilab insomma proteggerà un mestiere importante (come quello del pastore), promuovendo sistemi di allevamento che rispettino l’ambiente e il benessere animale e valorizzando i prodotti caseari. È così che la tecnologia e la tradizione s’incontrano e creano vera sinergia.

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