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AGRICOLTURA

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Automobile tradizionale ed elettrica: due mondi a confronto. L sf m à s s l 17 febbraio, presso l’Accademia Pugliese delle Scienze, si è tenuta una conferenza che ha visto protagoniste l’automobile elettrica e quella tradizionale a combustione interna, un faccia a faccia tra il passato, il presente e il futuro. L’incontro è stato moderato dal presidente dell’Accademia, il Prof. Eugenio Scandale, il quale ha aperto il dibattito con l’interrogativo :”Esiste il vero vantaggio dal punto di vista ambientale a spingere nella direzione della locomozione elettrica?” Il primo a prendere la parola è l’Ing. Sergio Bruno “gli ultimi anni, per quanto riguarda il progresso e l’evoluzione tecnologica sulle auto elettriche hanno visto una serie di cambiamenti; alcuni regolamenti regionali, nazionali, iniziano a favorire la mobilità sostenibile” ha affermato Bruno. Fino a qualche anno fa erano in commercio pochi modelli di automobili elettriche, attualmente ogni casa automobilista offre un’offerta variegata. “L’auto elettrica consuma meno, come viene prodotta quell’energia? Si spera con le energie rinnovabili” esorta l’Ing. Bruno. Si avverte l’esigenza di allontanare l’inquinamento dalle strade, senza dubbio la via del miglioramento risiede nell’utilizzo di macchine elettriche. A questo punto è intervenuto l’Ing. Elia Distaso “La nostra è una dipendenza vera e propria nei confronti dei combustibili di derivazione petrolifera. Serve un piano per uscirne” afferma l’ingegnere. “Quando si vuole fare una rivoluzione è importante avere le istruzioni d’uso. L’idea è di andare in concerto nell’evoluzione dei sistemi elettrici a combustione interna, è troppo rischioso abbandonare uno dei due e la scelta potremmo pagarla cara”. Conclude Distaso. Il Prof. Scandale ha aperto così una sorta di “tavola rotonda” dando la parola ad alcuni accademici di spicco. “Mobilità del futuro, ovvero mobilità sostenibile, dev’essere qualcosa che va’ oltre le singole motorizzazioni; che ha degli obiettivi legati sia all’inquinamento, al traffico e alla sicurezza. Bosch ha supportato diverse città a creare dei modelli di smart city. Nelle città, l’elettrico, giocherà un ruolo fondamentale, però i motori a combustione interna continuano ad essere fondamentali”. Sostiene l’Ing. Arvizzigno (Ceo CVIT-Bosch) “L’idea in questo momento è molto virtuosa nella produzione I di Mara Coppola Ambiente

di energia elettrica, il 40% deriva da gas naturale. Un altro 40% da rinnovabile, per l’Italia può essere conveniente; la Puglia ha avuto un rapidissimo sviluppo delle rinnovabili e dobbiamo utilizzare questo potenziale”. Esorta il Prof. Massimo La Scala. E’ intervenuto il prof. De Palma del Politecnico di Bari affermando : “ Non si può affrontare il problema della mobilità senza considerare quello della transizione energetica. Per cambiare il mix energetico di una nazione occorre una strategia e bisogna agire in modo graduale e con molta attenzione, si vanno a toccare gli equilibri fondamentali. Di qui a trent’anni vedo un mix di propulsioni di diverso tipo: elettrico, ibrido, combustione interna”. Il prof. Riccardo Amirante (Distretto energie rinnovabili Puglia) ha esposto i 3 obiettivi fondamentali che il Distretto si pone in merito. “Il primo obiettivo fondamentale è quello di valorizzare la cultura dell’efficienza energetica in senso lato,come questa energia possa essere convertita il più efficacemente possibilein lavoro utile, questa è una tappa fondamentale. Il secondo obiettivo è promuovere delle politiche per il risparmio energetico; la migliore energia è quella che non viene consumata. Cambiare lo stile di vita delle infrastrutture, della società, in modo tale che l’energia sia sufficiente per tutti”sostiene Amirante. Purtroppo il 60% del patrimonio energetico mondiale è consumato dal 20% della popolazione, questa non è quindi una condizione di equilibrio sostenibile. Il terzo obiettivo è quello di stimolare la produzione di energia da fonti rinnovabili. Ha concluso la conferenza il Presidente della Regione Puglia,

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Michele Emiliano “Se si smette di produrre motori diesel devo attuare la task force dell’occupazione per evitare che Bosch licenzi centinaia di persone; e devo inventare un sistema per fare in modo che il progresso tecnologico non corrisponda ad un eccesso di risparmio di manodopera” esorta il Presidente della Regione. “Nel momento in cui un sistema politico per ragioni di convenienza o di pazzia, decide di affidarsi a scienziati che mettono le firme sotto alcune affermazioni scientifiche, sono caduti nell’abisso dell’orrore e dell’infamia imperitura. Quindi politica e approccio scientifico alla decisione politica, ricerca e società, sono in definitiva la stessa cosa. Se noi siamo un paese considerato da molti civile e apprezzato, è perché siamo riusciti a tenere in equilibrio questi elementi” conclude Emiliano.

G c L c Da Georgofili.info di Dario Casati S tampa

opo gli anni ruggenti della globalizzazione sembrava che la tipica alternanza di fasi di grandi aperture agli scambi commerciali e di altre, all’opposto, caratterizzate da improvvisi ritorni al protezionismo ed a spinte autarchiche si fosse ripresentata improvvisamente. In realtà non è esattamente così, anche se le grandi sfide sui dazi che coinvolgono economia e politica ne sembrano la prova. Chi è contrario al libero scambio, oltre a resuscitare i dazi, propone una serie di alternative che dovrebbero sconfiggerne gli eccessi introducendo forme di scambio basate su volumi più contenuti e modalità più etiche. Una di esse, dotata di un indiscutibile richiamo, è il localismo e cioè la riconduzione degli scambi ad aree e a dimensioni degli affari più ridotti e legati a specifici ambiti territoriali. I prodotti tipici di specifici territori con le denominazioni di origine protette si muovono in questo senso. Ma, come spesso accade, non sempre ciò è vero perché la realtà, specie in economia, è molto più complessa di quanto si creda. Prendiamo il caso dell’aperitivo analcolico in bottiglietta, leader di mercato, il Crodino, riportato alla cronaca in questi giorni. Lo produce il gruppo leader delle bevande alcoliche in Italia e al sesto posto al mondo: Campari, con un fatturato nel 2018 di 1.711 milioni. Fondato nel 1860 è una delle non numerose multinazionali italiane, anche se la sede è in Lussemburgo per ragioni comprensibili. Nella sua crescita avvenuta sia per via interna, con incrementi di produzione e di fatturato, sia attraverso acquisizioni e fusioni, la Campari ha agito in tutti i comparti d

delle bevande sia alcoliche, con superalcolici, aperitivi, vini sia analcoliche, incluse le acque minerali. Una serie di operazioni di recente ne ha delineato meglio la configurazione. Ha acquistato prestigiosi marchi internazionali e nello stesso tempo ha ridotto sia i vini sia le bevande analcoliche, concentrandosi su aperitivi e superalcolici di alta qualità. Fra l’altro ha ceduto nel 2017 alla danese Royal Unibrew, produttrice della birra Ceres, analcolici e acque che nel frattempo aveva acquisito dall’olandese Bols: Crodo Lisiel, Lemonsoda, Oransoda, etc. ottenute sia dalle acque di Crodo sia della Levissima. L’accordo esclude un solo prodotto, appunto il Crodino. Creato nel 1964 è prodotto sin dall’inizio nell’insediamento di Crodo, nell’Ossola, in Valle Antigorio, nonostante diversi tentativi di delocalizzazione poi rientrati. La sua composizione, come per altri prodotti famosissimi ad esempio la Coca Cola, non è coperta da brevetto, ma è una ricetta segreta. Una strategia in apparenza meno protettiva, ma che presenta vantaggi in particolari condizioni. Nell’accordo era previsto che per tre anni rimanesse a Crodo, dove si concentravano le altre bibite, in particolare Oransoda e Lemonsoda. Al termine Campari avrebbe trasferito la lavorazione nel grande stabilimento di Novi Ligure. In vista del termine alla fine del 2020 dal territorio sorgono proteste proprio sulla localizzazione. La questione dei posti di lavoro, si parla di 80 unità, di cui 20 dedicate esclusivamente al Crodino, è risolvibile perché la linea Oransoda/Lemonsoda è in grado di assorbirle. Il punto è il legame del marchio e del prodotto con la località di Crodo. Un prodotto globale ed

esportato, ma un nome che richiama il luogo in cui si attinge l’acqua. La strada scelta non è la denominazione d’origine, ma un marchio industriale evocativo della provenienza. L’esito della vicenda, sia pure con qualche rimpianto, è scontato. Ma il caso non è unico. Lo scorso autunno l’acqua Lurisia è stata ceduta dal gruppo Acque Minerali (al 4° posto in Italia) a Coca-Cola HBC. Lurisia è acqua ufficiale di Slow Food e di Eataly e produce anche bibite. Una è un Chinotto che si dichiara in etichetta “il vero” e “presidio del chinotto di Savona” di Slow Food. Quest’ultima, appresa la notizia, ha dichiarato che intende concludere la collaborazione con Lurisia. Peraltro la bevanda, prodotta con chinotti “della riviera ligure”, dunque non solo savonesi, era imbottigliata in uno stabilimento del gruppo Acque Minerali a Boffalora Ticino (MI) a circa 230 km. Il richiamo al territorio in apparenza è forte, ma non difendibile e sembra prevalere la scelta del marchio acquistato da Coca Cola. Tutto ciò non riguarda solo le acque minerali. Esiste anche in altri settori per i richiami geografici. Basti pensare al liquore Amaretto di Saronno, divenuto “DISARONNO” per poter difendere il marchio o al Calzaturificio di Varese, oggi “DIVARESE” per lo stesso motivo. Entrambe le imprese sono forti esportatrici e dunque preferiscono marchi evocativi della provenienza alla denominazione d’origine. Lo stesso è accaduto per l’Emmental svizzero. La partita fra immagine globale e locale in questi esempi vede vincente la prima, un esito su cui è bene riflettere per le future strategie dell’alimentare.

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