NICOLA CHIAROMONTE O DEL PENSIERO LIBERO

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Quaderni di

TEMPO PRESENTE N. 1 - 2022

Nicola Chiaromonte o del pensiero libero A cura di: Alberto Aghemo, Aldo Meccariello e Corrado Ocone

Scritti a cinquant’anni dalla morte Atti della giornata di studi tenuta a Roma il 29 aprile 2022 presso la Sala Perin del Vaga di Palazzo Baldassini e presso la Sala Capitolare del Palazzo della Minerva ospiti, rispettivamente, dell’Istituto Luigi Sturzo e del Senato della Repubblica

Saggi e contributi di: Pietro Adamo - Alberto Aghemo - Marco Bresciani Rosaria Catanoso - Dino Cofrancesco - Mirko Grasso Filippo La Porta - Raffaele Manica - Aldo Meccariello Samantha Novello - Corrado Ocone - Cesare Panizza

FONDAZIONE GIACOMO MATTEOTTI


Un particolare sentimento di gratitudine va alla Biblioteca Gino Bianco e alla Fondazione Alfred Lewin di Forlì che hanno consentito la riproduzione in queste pagine di alcuni ritratti fotografici di Nicola Chiaromonte che fanno parte del fondo in loro possesso, donato alla prestigiosa istituzione forlivese da Miriam Rosenthal Chiaromonte.

Questa pubblicazione è stata realizzata anche con il contributo erogato ex art. 1 della legge n. 534/96 dal Ministero dei Beni Culturali, Direzione Generale Educazione, ricerca e istituti culturali.

In copertina: elaborazione grafica da un ritratto fotografico di Nicola Chiaromonte (Bocca di Magra, 1963), dal fondo Miriam Rosenthal Chiaromonte. Courtesy of Fondazione Alfred Lewin e Biblioteca Gino Bianco.


INDICE Alberto Aghemo Appunti per un’introduzione/1 Che cosa rimane? Nota occasionale a cinquant’anni dalla morte di Nicola Chiaromonte

p. 9

Aldo Meccariello Nota introduttiva/2

p. 19

Gianni Marilotti Indirizzo di saluto del Presidente della Commissione per la Biblioteca e per l’Archivio storico del Senato della Repubblica

p. 23

PRIMA PARTE Credere e non credere: il pensiero politico Dino Cofrancesco I due Chiaromonte. Le destre, il fascismo e il mancato incontro con Isaiah Berlin

p. 29

Corrado Ocone Il concetto di malafede in Chiaromonte: fra etica, politica e filosofia

p. 73

Cesare Panizza Nicola Chiaromonte: intellettuale di frontiera

p. 81

Marco Bresciani Tra socialismo e liberalismo: la lezione degli “antimoderni” nel dialogo tra Andrea Caffi e Nicola Chiaromonte

p. 97

Pietro Adamo Nicola Chiaromonte e l’anarchismo post-classico

p. 115


Mirko Grasso Chiaromonte e l’ultimo Salvemini, tra storia e politica

p. 149

SECONDA PARTE Che cosa rimane: l’eredità culturale Raffaele Manica Romanzo e teatro nell’opera di Chiaromonte

p. 169

Filippo La Porta Nessun discorso scioglie l’enigma. Chiaromonte grande filosofo “dilettante” di fronte al mondo infinitamente enigmatico

p. 181

Aldo Meccariello E solo l’ombra dura. Un pensare comune: Nicola Chiaromonte e Simone Weil Samantha Novello Per una filosofia della resistenza al (neo)fascismo: patologie della politica in Nicola Chiaromonte e Albert Camus

p. 207

Rosaria Catanoso Un confronto tra intelettuali. Politica, azione e pensiero in Chiaromonte e Arendt

p. 221

Alberto Aghemo Informare e discutere. Chiaromonte alla direzione di «Tempo Presente», voce della terza forza

p. 239

Ringraziamenti

p. 279

p. 189




APPUNTI PER UN’INTRODUZIONE/1 di Alberto Aghemo CHE COSA RIMANE? Nota occasionale a cinquanta anni dalla morte di Nicola Chiaromonte E alla fine, «quando giunge l’ora […] ma “che cosa rimane?”. Che cosa rimane del seguito di giorni e d’anni vissuto come si poteva e cioè secondo una necessità di cui neppure ora riusciamo a decifrare la legge, ma insieme come capitava, e cioè a caso?»1. La domanda, intrinsecamente ardua e filosoficamente complessa, al tempo stesso ambiziosa e insidiosa, esclude una risposta definitiva che non abbia velleità metafisiche o ambizioni poetiche. Tanto più se applicata alla vicenda – originale e quanto mai rara – di un intellettuale complesso, controverso, asistematico, ellittico come Nicola Chiaromonte, pensatore potente quanto indolente, generoso dispensatore di intelligenza quanto prodigo dissipatore di saperi: un apolide culturale in un contesto, quale quello dell’Italia del Novecento, che esigeva schieramenti, bandiere, appartenenze. Refrattario all’ideologia così come alla sistematicità, Chiaromonte non fu “collocabile” né tra chiese o partiti, né tra generi letterari o speculativi. Pressoché tutti coloro che lo hanno incontrato – e parliamo di alcune tra le più alte figure intellettuali italiane, europee e americane – hanno immediatamente colto questo tratto affatto peculiare della sua personalità e ne sono rimasti immediatamente affascinati (o, più raramente, respinti). Tra le tante testimonianze si può qui ricordare quella di un altro grande protagonista del Novecento che ha con lui condiviso grandi esperienze culturali e ideali negli anni più drammatici dello scorso secolo, Ignazio Silone, che così ricorda l’impressione ricevuta dal primo incontro, avvenuto in Svizzera nel 1934, tra i due giovani esuli: Ricordo ancora la forte impressione che Chiaromonte mi lasciò fin dal 1 Nicola Chiaromonte, Che cosa rimane: taccuini 1955-1971, a cura di Miriam Chiaromonte, il Mulino, Bologna 1995. Ora in Lo spettatore critico. Politica, filosofia e letteratura, con un saggio introduttivo, cronologia e note di Raffaele Manica, I Meridiani, Mondadori, Milano 2021, p. 445 e sgg.


10 primo incontro […] costituiva per me la scoperta di un fenomeno nuovo e imprevisto di autoliberazione. Egli appariva immune dalla retorica dominante senza l’aiuto d’una tradizione politica familiare o di gruppo. Era approdato a idee chiare sulla società leggendo i classici, specialmente greci, e qualche autore recente2.

È il perfetto ritratto di un brillante “cane sciolto”, tale per elezione e per naturale vocazione. Ma se ciò costituisce una delle ragioni più insinuanti e solide del fascino che continua a esercitare, rende al contempo difficile, ancora oggi, portare a sintesi il suo lascito intellettuale e trovargli un posto, riconosciuto e riconoscibile, tra i grandi contemporanei. Si può argomentare che questo sia il prezzo dell’eresia, soprattutto quando essa si sommi alla radicale mancanza di protagonismo e a un elegante senso dell’understatement. Altrettanto facilmente si può ipotizzare che il mancato riconoscimento di monumenti e allori non turbi la sua memoria, così come non ha mai turbato la sua vita. Chiaromonte, tuttavia, era uomo schivo, ma non modesto. Piuttosto, pienamente consapevole del proprio valore intellettuale, così come della fragilità della condizione umana e dell’inanità delle ambizioni destinate a soccombere, prima ancora che alla morte e all’oblio, ai paradossi della storia e ai capricci del caso. … E cioè a caso? Mai domanda fu più retorica e queste pagine stanno a testimoniarlo. Questo Quaderno di «Tempo Presente», dedicato a Nicola Chiaromonte a cinquant’anni dalla sua scomparsa, nasce, infatti, da un evento fortuito e occasionale, che forse merita di essere succintamente narrato. Invitato nello scorso autunno alla presentazione del volume di una cara amica – che peraltro partecipa con un suo pre2 Così Silone nel suo Ricordo di Chiaromonte, Chiaromonte, che accompagna la pubblicazione postuma degli Scritti politici e civili usciti nel 1976 per i tipi di Bompiani, a cura di Miriam Chiaromonte e con un’introduzione di Leo Valiani.


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gevole saggio all’avventura di queste pagine – dedicato ad Hannah Arendt3 sono stato, in qualità di commentatore supplente per l’imprevisto forfait di un relatore, improvvidamente catapultato sul palco dove Aldo Meccariello4, dopo un ampio excursus filosofico, appassionatamente discettava del profondo quanto fecondo rapporto tra la grande pensatrice tedesco-americana e un altrettanto grande intellettuale italiano destinato, a differenza dell’autrice delle Origini del totalitarismo, a un precoce quanto ingiustificato oblio, almeno al di fuori di una ristretta cerchia di happy few: Nicola Chiaromonte. Di entrambi – Arendt e Chiaromonte – mi sono così naturalmente trovato a parlare anch’io, evocando la continuità di una relazione che, nata in America, si sarebbe poi consolidata nel tempo dopo il rientro in Italia dell’esule, in una stretta liaison intellettuale ed epistolare alimentata, non da ultimo, dalla presenza di entrambi sulle colonne di «Tempo Presente», la cui direzione il Nostro ha condiviso con Ignazio Silone nell’arco di dodici anni, dal 1956 al 1968. Dodici anni che hanno scolpito la storia del Novecento e che hanno registrato il trasmutare del rapporto tra i due direttori dall’iniziale affinità elettiva alla mutua insofferenza terminale. Nacque dunque a margine di quell’incontro e in modo affatto casuale il proposito – subito condiviso, anche per la parte ideativa e organizzativa, con Corrado Ocone – di dedicare un’iniziativa culturale5 alla figura di Chiaromonte in occasione dell’al3 Rosaria Catanoso, Hannah Arendt. Imprevisto ed eccezione. Lo stupore della storia, Giappichelli, Torino 2019. 4 L’evento era organizzato dal Centro per la Filosofia Italiana, da lui presieduto. 5 Si convenne nella circostanza il modo più degno più ricordare e promuovere l’eredità chiaromontiana fosse quello di organizzare in suo nome una giornata di studi in una sede istituzionale, sotto i condivisi auspici del Centro per la Filosofia Italiana e della Fondazione Giacomo Matteotti, che edita la seconda serie della rivista «Tempo Presente» ininterrottamente dal 1980. Gli atti di quel convegno sarebbero stati quindi integralmente pubblicati sotto forma di Quaderno di «Tempo Presente», quale doveroso tributo al grande direttore della prima serie della rivista. La pubblicazione sarà poi congiuntamente curata da Alberto Aghemo, Aldo Meccariello e Corrado Ocone.


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lora ormai prossima ricorrenza del cinquantesimo della morte, con l’intento di coinvolgere nell’impresa quei pochi ma autorevoli studiosi chiaromontiani che negli ultimi anni – a dispetto del mainstream e delle voghe culturali – avevano alimentato sull’intellettuale lucano una letteratura critica non vasta ma assai qualificata6. Il progetto ha subìto una repentina accelerazione in occasione della manifestazione romana «Più libri più liberi» nel dicembre 2021, essendo da poco uscito Lo spettatore critico. Politica, filosofia letteratura, il monumentale volume de «I Meridiani» curato da Raffaele Manica7 che ha rappresentato, come di frequente accade per pubblicazioni di tale rilievo, la consacrazione del ritrovato interesse per la straordinaria produzione culturale di Nicola Chiaromonte. La circostanza era poi suggellata dall’incontro, 6 Si ricordano di seguito, in ordine cronologico, i contributi di maggior rilievo dell’ultimo decennio, chiedendo in anticipo venia delle involontarie omissioni: M. Bresciani (a cura di), Cosa sperare?, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 2012; M. Marchesini, Da Pascoli a Busi: Letterati e letteratura in Italia, Quodlibet, Macerata 2014; C. Panizza, Nicola Chiaromonte, «Tempo Presente» e la “crisi” della Francia, in «Chaiers d’études italiennes», Éditions de l’Univeristé, Grenoble 2016: Id., «Tempo Presente», Nicola Chiaromonte, Ignazio Silone e l’Italia, in F. Chiarotto (a cura di), Aspettando il Sessantotto. Continuità e fratture nelle culture politiche italiane dal 1956 al 1968, Accademia University Press, pp. 363-77, Torino 2017; Id., Nicola Chiaromonte. Una biografia, Donzelli, Roma 2018; F. La Porta, Eretico controvoglia. Nicola Chiaromonte, una vita tra giustizia e libertà, Bompiani, Milano 2019; F. Rognoni (a cura di), Italiano errante. Omaggio a Nicola Chiaromonte, in «Paragone-letteratura», agosto-dicembre 2020; A. Piperno, Storie di amici dall’esilio della storia (sempre soli, molto eretici), in «la Lettura», 22 agosto 2021; R. Chenou, In lotta contro le dittature. Il Congresso per la libertà della cultura (1950-1978), conversazioni con Nicolas Stenger, a cura dell’Associazione amici di Nicola Chiaromonte, Una Città, Forlì 2021. Ed. originale En Lutte contre les dictatures, Édition du Félin, Parigi 2018; P. Rovitto, E qualcosa rimane. Nicola Chiaromonte, intellettuale al modo antico, Nolica Edizioni, Forlì 2021; R. Manica, Per il buon uso dell’infelicità, Orwell, Silone, Chiaromonte, in «Nuovi Argomenti», settembre-dicembre 2021, pp. 127-133. 7 Del «Meridiano» chiaromontiano Manica firma progetto editoriale, saggio introduttivo, cronologia e note.


13 sempre presso la nuvola di Fuksas con Miguel Gotor che, interpellato in merito, offriva subito la sua piena adesione all’iniziativa vuoi come storico vuoi nel ruolo, da poco assunto, di assessore alla cultura della Capitale. Prendeva così avvio la macchina organizzativa che avrebbe dato vita alla Giornata di studi in occasione del cinquantesimo della scomparsa «Nicola Chiaromonte o del pensiero libero», che si sarebbe tenuta a Roma il 29 Aprile del 2022 in due sessioni: la prima, quella del mattino, ospitata presso la Sala Perin del Vaga di Palazzo Baldassini, sede dell’Istituto Luigi Sturzo; la seconda, pomeridiana, nella Sala Capitolare del Palazzo della Minerva, ospiti del Senato della Repubblica. All’iniziativa avrebbero aderito, con nostra piena soddisfazione, pressoché tutti gli studiosi invitati, che rappresentano ad oggi la migliore espressione della letteratura storico-critica sull’intellettuale lucano. Ecco, dunque, perché questa Nota si autodefinisce «occasionale»: perché attinge a entrambi i principali significati di questo evocativo aggettivo essendo al contempo scritto “di occasione” (il cinquantenario chiaromontiano), e anche frutto dell’arbitrio della sorte (a caso?) o – come avrebbe preferito l’intellettuale della Magna Grecia Nicola Chiaromonte, che amava i classici e quotidianamente li frequentava in greco antico – della Τύχη. Critico teatrale e letterario, autore di aforismi e brevi saggi che spaziano dei classici greci a teoria e prassi politiche contemporanee, traduttore e giornalista, acuto osservatore e testimone consapevole della stagione più insanguinata del Novecento, indelebilmente segnata da totalitarismi, guerre civili, dal secondo conflitto mondiale e dalla dura stagione della cortina di ferro, Chiaramonte ha lasciato una mole impressionante di scritti: prove saggistiche e letterarie segnate tutte dalla cifra di un’intelligenza inquieta e inquietante e da una rara, fascinosa eleganza di scrittura. E tuttavia, come noto, mai ha voluto o potuto cimentarsi in un’opera organica, pianificata, di vasto respiro preferendo piuttosto il frammento o la pagina breve che più di ogni altra si attagliava alla sua natura irrequieta. Mai si è impegnato – a differenza di quanto hanno fatto, tra gli altri, gli intellettuali amici Moravia, Malraux, Camus, McCarthy, Silone – con la dimensione narrativa e con il romanzo. Una “mancanza” compensato da un bizzarro


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destino che ha fatto di lui un personaggio letterario – a volte lievemente trasfigurato, a volte restituito con la fedeltà di un fotogramma – nell’Espoir di Malraux, in The Oasis di Mary McCarthy, in Lessico familiare di Natalia Ginsburg, in Amari enigmi di Clotilde Marghieri, in Humboldt’s Gift di Saul Bellow8: presente a volte come cameo, più spesso come comparsa, sempre malgré lui. E dunque portare a sintesi la figura di Chiaromonte, pretendere di trarre dalla lettura complessiva dell’opera sua il cemento di un significato univoco o di una costante cifra stilistica ovvero ancora il fil rouge di una solida coerenza di genere e di tema è impresa – anche nella distanza prospettica dei dieci lustri dalla morte – più che ardua, impossibile. Lui stesso, del resto, non si sarebbe cimentato in un simile compito vuoi per la chiara consapevolezza del carattere rapsodico e sparso dell’opera sua vuoi per la riconosciuta impossibilità di proporre, anche post mortem, una lettura unitaria, una visione organica dell’opera di un intellettuale. Esemplare, in questo senso, quanto scrive sul numero di gennaio del 1960 di «Tempo Presente», ricordando con commozione la recente scomparsa nell’amico di una vita, Albert Camus9: Un uomo è morto, e si pensa al suo volto vivo, ai suoi gesti, ai suoi atti, alle occasioni vissute insieme, cercando di ricostituire un’immagine per sempre dissolta. Uno scrittore è morto: si riflette alla sua opera, ai suoi libri uno per uno, al filo che li legava, al movimento verso un significato ulteriore che ne faceva delle azioni vive, e si cerca di formare un giudizio il quale renda ragione dell’impulso intimo da cui scaturivano, e che è spezzato. Ma né l’immagine dell’uomo si ottiene dalla somma dei ricordi, né la figura dello scrittore dal seguito delle opere, né l’uomo attraverso lo scrittore, né lo scrittore attraverso l’uomo10. 8 Vedi in merito, tra le tante fonti, Raffaele Manica, Nicola Chiaromonte e i paradossi della storia, saggio che apre il già citato Meridiano di Mondadori, pag. LXXX. 9 Scomparso in un incidente stradale il 4 gennaio del 1960. Nell’incidente perse la vita anche il suo editore, Michel Gallimard, che era alla guida dell’auto. 10 «Tempo Presente» ANNO V /numero 1 – gennaio 1960, p. 1; ora anche in


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Ben consapevoli della difficoltà dell’impresa e tuttavia desiderosi di tributare a Nicola Chiaromonte – piuttosto che un commosso ricordo o una dotta commemorazione – un doveroso quanto sentito esercizio della memoria intesa come virtù civile, ovvero come riflessione proiettata nel presente, come riconoscimento pubblico e come condiviso impegno di disseminazione dell’eredità culturale di uno degli intellettuali più autorevoli dello scorso secolo, ci siamo accinti a dedicare a lui, come già anticipato, una giornata di studio in occasione del cinquantesimo della scomparsa sotto il titolo Nicola Chiaromonte o del pensiero libero, della quale qui si pubblicano gli atti. Ci piace ricordare che l’evento si è tenuto in sedi prestigiose grazie alla generosa ospitalità dell’Istituto Luigi Sturzo e del Senato della Repubblica e che la manifestazione ha avuto il sostegno – oltre che degli enti organizzatori: il Centro per la Filosofia Italiana e la Fondazione Giacomo Matteotti – della rivista «Tempo Presente», della Fondazione di Studi storici Filippo Turati di Firenze e dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli. Non è questa la sede per anticipare i contenuti delle relazioni che, raccolte ora in volume, si offrono a una lettura complessiva – per quanto possibile, e cioè poco, data la natura del Nostro –dell’universo chiaromontiano: i titoli dei singoli interventi e i profili intellettuali degli autori parlano da sé. Merita tuttavia segnalare in via preliminare che, stante la riconosciuta natura asistematica dell’opera di Chiaromonte e la vastità di temi e di generi entro i quali essa si muove, si è di comune accordo convenuto di suddividere la trattazione in due aree tematiche, distinte quanto complementari, rispettivamente dedicate al pensiero filosofico-politico e all’attività letteraria e giornalistica. Al mattino la prima sessione, che porta l’evocativo titolo «Credere e non credere, il pensiero politico» si è aperta con i saluti

Merid., cit., p. 932.


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istituzionali11 e con gli interventi introduttivi12 e si è quindi sviluppata intorno alle relazioni di Dino Cofrancesco (che ha anche presieduto la sessione), I due Chiaromonte. Le destre, il fascismo e il mancato incontro con Isaiah Berlin; di Corrado Ocone, Il concetto di malafede in Chiaromonte: fra etica, politica e filosofia; di Cesare Panizza, Nicola Chiaromonte: intellettuale di frontiera; di Marco Bresciani, Tra socialismo e liberalismo: la lezione degli “antimoderni” nel dialogo tra Andrea Caffi e Nicola Chiaromonte; di Pietro Adamo, Nicola Chiaromonte e l’anarchismo post-classico; e, in chiusura di sessione, di Mirko Grasso sul tema Chiaromonte e l’ultimo Salvemini, tra storia e politica. La sessione pomeridiana, che qui costituisce la seconda parte del volume, richiama anch’essa l’opera del Nostro sin dal titolo: «Che cosa rimane, l’eredità culturale». Presieduta da Eugenio Capozzi, ha visto succedersi gli interventi di Raffaele Manica, su Romanzo e teatro nell’opera di Chiaromonte; di Filippo La Porta, Nessun discorso scioglie l’enigma. Chiaromonte grande filosofo “dilettante”, di fronte al mondo infinitamente enigmatico; di Aldo Meccariello, E solo l’ombra dura. Il pensiero comune di Nicola Chiaromonte con Simone Weil; di Sara Novello, Per una filosofia della resistenza al (neo)fascismo: patologie della politica in Nicola Chiaromonte e Albert Camus; di Rosaria Catanoso, Un confronto tra intellettuali. Politica, azione e pensiero in Chiaromonte e Arendt; e, da ultimo, di Alberto Aghemo, sul tema “Informare e discutere”: alla direzione di «Tempo Presente», voce della terza forza. …

11 Qui si pubblica, in apertura, l’indirizzo di saluto di Gianni Marilotti, presidente della Commissione per la Biblioteca e per l’Archivio storico del Senato della Repubblica. Particolarmente apprezzati sono stati anche il già menzionato intervento di Miguel Gotor e quello, in apertura della sessione pomeridiana, di Alberto Bagnai. 12 Di Aldo Meccariello, nella sua veste di presidente del Centro per la Filosofia Italiana, e di Alberto Aghemo, quale presidente della Fondazione Giacomo Matteotti.


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Tutto ciò ora si affida a questo volume, come pochi fedele alla missione editoriale dei Quaderni di «Tempo Presente». Non spetta a noi dire quanto sia riuscita l’impresa di riconoscere il giusto lustro a uno degli intellettuali più grandi, raffinati e problematici dello scorso secolo né in che misura avrà esito il nostro intento di contribuire a promuovere la diffusione del pensiero e dell’opera di Nicola Chiaramonte. Rileggendo i brillanti contributi di tanti autorevoli studiosi si riceve l’impressione che qualcosa di non inutile sia stato fatto, che – al di là della commemorazione del cinquantesimo anniversario della morte e oltre ogni “circostanza” – qualcosa rimarrà. E tuttavia «quando giunge l’ora», ovvero «di fronte alle ragioni del tempo» resta, nel chiudere queste pagine, un senso di incompiutezza, di caducità, di inanità che Nicola Chiaromonte ben conosceva e che ha saputo esprimere con l’elegante, asciutta efficacia nel disincanto della sua prosa densa e tesa: Tutto è frammento, tutto è incompiuto, tutto è preda della mortalità […] la storia di un uomo è sempre incompiuta […] l’immortalità è un inganno, anche per l’arte, anche per il pensiero: il muto sopravvivere delle spoglie alle ragioni del tempo e ai disastri della storia, come per i monumenti di pietra13.

13 Il testo è estrapolato dall’articolo di compianto di Camus, già menzionato, in «Tempo Presente» ANNO V /numero 1 – gennaio 1960.



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NOTA INTRODUTTIVA/2 Aldo Meccariello* Sono molto grato ad Alberto Aghemo, alla Fondazione Matteotti e alla rivista «Tempo Presente» per la bella e proficua collaborazione con il Centro per la filosofia italiana nata in occasione della preparazione del convegno su Nicola Chiaromonte a cinquant’anni dalla morte. Un comune sentire ha ispirato la costruzione della intensa giornata di studi del 29 Aprile scorso, e di cui questo fascicolo di Tempo Presente è la viva testimonianza. Scorrendo l’indice del numero è possibile rintracciare la complessa impalcatura della ricerca del pensatore lucano, dagli scritti filosofici a quelli più letterari, da quelli teatrali a quelli squisitamente storico-politici a riprova che la figura di Chiaromonte giganteggia tra le più significative del ’900. La pluralità delle interpretazioni offerte dai singoli autori, alcune storico-ricostruttive, altre analitico-teoretiche coglie l’approccio socratico dello stile di pensiero e di scrittura di Chiaromonte che non si preoccupò di pubblicare libri e che nutrì il suo pensiero attraverso viaggi, incontri, dibattiti, esperienze, lettere, saggi, note di lettura, recensioni, articoli, taccuini cioè il centro propulsivo della sua opera. La scrittrice americana Mary McCarthy in una lettera ad Hannah Arendt del 19 Gennaio 1972, il giorno della morte di Chiaromonte mentre era in ascensore del palazzo della radio italiana, colpito da infarto, scrive: «Non riesco, però, ancora a credere che sia morto. Non ho cominciato a sentirne la mancanza, perché è ancora presente. Immagino che lo credevamo eterno ormai, abituati com’eravamo al suo opporsi alla morte, per così lungo tempo. Lo amavo tanto […]. Penso a tutti coloro che piangeranno Nicola, e vorrebbero fargli sapere che sono presenti. Ma, probabilmente, lui sarebbe in imbarazzo e anche un po’ intimidito»1. Mary Mc* Presidente del Centro per la Filosofia Italiana 1 Tra amiche. La corrispondenza di Hannah Arendt e Mary McCarthy 19491975, Sellerio editore, Palermo 1999, pp. 533-534. Aggiungo che in questo carteggio tra amiche, Chiaromonte è una presenza costante dalle prime alle ultime lettere.


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Carthy, come peraltro Hannah Arendt, stimava Chiaromonte e considerava la sua amicizia un evento decisivo della propria vita, ne fece anche un personaggio del suo romanzo L’oasi. In questa commossa testimonianza della sua morte traccia due tratti decisivi della vita di Chiaromonte: il suo opporsi alla morte e il suo esser timido e schivo. Voler comparire il meno possibile, come la sua scrittura, timida e schiva. Questo è stato il credo della sua vita vissuta sempre al singolare, lontana da quella odiosa prigione dell’io che è l’egomania. Per tutta la sua vita Chiaromonte si è sempre sottratto alla vanagloria narcisistica che è la malattia endemica, ora palese ora tacita, di larga parte del mondo intellettuale che non vede ciò che è nascosto, indicibile, che ignora il mondo stesso. Fedele alla lezione eraclitea del vivi nascosto, egli ha sempre coltivato un cono d’ombra, una sua vocazione d’ombra, per dilatare lo sguardo, per posizionarsi come una specie di ospite ingrato, di apolide, vissuto tra gli USA e l’Europa, impegnato nelle sue lucide e disincantate diagnosi del presente. Il tema dell’oscurità in Chiaromonte assurge a principio di un’ontologia negativa che non lascia spazio alla luce. In una lettera a Muska, la sua amica suora americana, Chiaromonte cita un passo dove Bertrand Russell osserva come la «astratta fisica del nostro tempo» ci chiuda in una prigione «senza splendore», senz’anima. «Ora la prigione è diventata l’universo intero. L’oscurità ci circonda all’esterno, e quando morirò ci sarà buio anche all’interno»2. Il pensatore lucano fa proprie le parole del filosofo empirista più autorevole del pensiero novecentesco e aggiunge che siamo «prigionieri della tenebra. Finché ci rimarremo, si andrà di catastrofe in catastrofe»3. Toni apocalittici, estremi che dannò l’idea di una crisi di civiltà a cui il nostro Autore approda senza appello. Purtroppo gli intellettuali, oggi, anziché essere avanguardie critiche della società, nel mondo contemporaneo tendono a massificarsi, a sacrificare il proprio pensiero ai feticci ideologici se non addirittura al proprio Ego. L’aspetto paradossale è che in tempi di 2 N. Chiaromonte, Fra me e te la verità. Lettere a Muska, a cura di W. Karpiński e C. Panizza, Una città, Forlì 2013, p. 131. 3 Ivi, p. 132.


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pandemia e di guerra, cioè durante il drammatico biennio (20202022) abbiamo assistito purtroppo alla fine del pensiero critico che è diventato un pensiero in minoranza, ridotto quasi alla clandestinità. Per questo motivo la lezione di Chiaromonte col suo rigore filosofico e col suo esempio morale è esemplare, attuale più che mai, scomoda e originale poiché diffidava dei grandi sistemi totalitari, delle generali interpretazioni della storia, degli orpelli ideologici dominanti nei decenni postbellici. «La cultura (il mondo della cultura ufficiale) è in sfacelo completo: aiuta la barbarie e il ritorno al selvaticume, non l’incivilimento e l’ingentilimento. Il male è incurabile, ne sono convinto. Tranne in alcuni “isolotti” sparsi, non c’è resistenza possibile»4. La giornata di studi dell’aprile scorso, avvalendosi della competenza di autorevoli studiosi dell’intellettuale lucano, ha offerto molti spunti in molteplici direzioni per rileggere la sua opera alla luce del felice titolo, Nicola Chiaromonte o del pensiero libero, che sottolinea come la cifra del pensiero sia la pratica della libertà unitamente al coraggio intellettuale di dire sempre la verità. «Era un intellettuale di tipo socratico, cioè con un’autorità basata sulla parola e sulle idee». La definizione è di Alberto Moravia che lo aveva conosciuto a Roma nel 1931. Dialogo sicuramente è la parola chiave per capire Chiaromonte che intrecciò nel corso della sua vita interlocuzioni con Hannah Arendt, Raymond Aron, Andrea Caffi, Albert Camus, Jean-Paul Sartre, Dwight MacDonald, Gaetano Salvemini, Altiero Spinelli, Gustaw Herling, George Orwell, Isaiah Berlin mentre le sue idee circolavano su riviste importanti della cultura italiana, come Il Mondo di Mario Pannunzio e Tempo Presente che egli fondò insieme a Ignazio Silone nel quadro del Movimento internazionale della libertà della cultura. Il Centro per la Filosofia Italiana ha creduto con forte convinzione in questa iniziativa nel proseguire il suo lavoro di ricognizione, di rivisitazione e di rivalorizzazione della nostra tradizione filosofica sia sul piano teoretico sia sul piano storico-critico. Incrociare sul nostro cammino un intellettuale come Chiaromonte ci offre l’opportunità di verificare nuovi paradigmi interpretativi. Chiaromonte è un pensatore italiano a tutto tondo che una volta 4 N. Chiaromonte, Fra me e te la verità. Lettere a Muska, cit., p. 248.


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per tutte va sottratto alla marginalità, è il saggista morale e politico italiano più ignorato in Italia a cui bisogna riconoscere una volta per tutte la sua grandezza. A nome del Centro per la Filosofia Italiana, mi unisco ai ringraziamenti già espressi, a istituzioni, enti, associazioni che hanno dato il patrocinio ai nostri lavori che si sono tenuti in due sedi prestigiose; il Senato della Repubblica e il Palazzo Baldassini, sede dell’Istituto Sturzo. L’auspicio è che questo Quaderno di «Tempo Presente» possa contribuire a una conoscenza non più limitata della figura di Chiaromonte e testimoniare come il suo pensiero sia sempre vivo e al lavoro.


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Gianni Marilotti Indirizzo di saluto del presidente della Commissione per la Biblioteca e per l’Archivio storico del Senato della Repubblica

Sono particolarmente lieto della circostanza che, in occasione della ricorrenza dei cinquant’anni dalla morte, si renda omaggio – sia pur tardivamente e dopo molte colpevoli omissioni – alla memoria di uno dei più autorevoli e brillanti intellettuali del nostro Novecento: Nicola Chiaromonte. Già da qualche tempo, avvicinandosi la data del 17 gennaio del 2022, si sono registrate interessanti e autorevoli iniziative di ricerca ed editoriali che ci hanno restituito lo straordinario spessore intellettuale filosofico, politico e morale di questa figura eccellente, attraverso la pubblicazione di biografie, di studi monografici, di intensi carteggi e, da ultimo, con la riproposta degli interi suoi scritti in edizione critica. La gran parte degli autori di tale imponente produzione culturale partecipa ai lavori di questa giornata di studi, lodevolmente promossa, «in occasione del cinquantesimo della scomparsa», dalla Fondazione Giacomo Matteotti, dal Centro per la Filosofia Italiana e dalla rivista «Tempo Presente», che da Chiaromonte fu fondata e diretta, insieme a Ignazio Silone, tra il 1956 e il 1968. All’iniziativa hanno peraltro aderito altre autorevoli istituzioni tra le quali voglio ricordare l’Istituto Luigi Sturzo, che ospita la sessione antimeridiana dei lavori – che porta il titolo di una delle opere più celebri di Nicola Chiaramonte, Credere e non credere, e ne analizza il pensiero politico e filosofico – e il Senato della Repubblica, che ospita quella pomeridiana, dedicata – sotto il titolo, anch’esso chiaromontiano, Che cosa rimane – all’eredità culturale del Nostro. Gli organizzatori hanno voluto dare a questo incontro di studio il titolo Nicola Chiaromonte o del pensiero libero e reputo che non si potesse trovare espressione migliore per rendere con icastica semplicità l’idea del tratto intellettuale che più di ogni altro ha segnato questa figura poliedrica di pensatore impegnato nelle lettere, nelle arti, nel confronto filosofico, nell’attività di critico teatra-


24 le, sempre mosso da un fortissimo e intransigente impegno civile e politico, sempre presente nel dibattito culturale internazionale, sempre attivo, sempre “militante” in nome di quella concezione assoluta, insofferente, e alquanto ribelle della libertà che gli ha naturalmente impedito di aderire alle grandi consorterie intellettuali e, ancor più, a scuole ideologiche, a “chiese”, a partiti politici organizzati (eccezion fatta per una brevissima adesione all’allora neocostituito Partito Radicale nel 1955). Con un’intera generazione di spiriti ribelli Nicola Chiaromonte ha condiviso il destino di esule: dapprima in Francia – dove conosce Andrea Caffi, cui lo lega un rapporto particolarmente profondo – e dove si fa subito apprezzare per importanti collaborazioni culturali e interventi civili ed entra in contatto con gli ambienti del fuoruscitismo antifascista e con il milieu intellettuale parigino; poi in Spagna, dove partecipa alla guerra civile nella brigata aerea costituita e guidata da André Malraux; poi ancora per un breve periodo in Africa, dove incontra l’amico di una vita, Albert Camus; e infine negli Stati Uniti, dove vivrà a lungo, dal 1941 al ’48, intessendo una stretta rete di relazioni intellettuali con la cultura liberal statunitense (da Dwight Macdonald a Mary McCarthy) e stringerà una stretta relazione ideale con Hannah Arendt e con l’anziano ma sempre battagliero Gaetano Salvemini. Tornerà poi a Parigi alla fine degli anni Quaranta e nuovamente in Italia, definitivamente, nel 1953 ritrovandosi ancora, per alterne e contrastate vicende personali, ideali e politiche “esule in patria”. Negli anni contrastati di un secondo dopoguerra segnato, da un lato, da una nuova speranza di pace e da aneliti libertari e, dall’altro, dalla rigida logica di appartenenza politica e di schieramento imposta dalla «cortina di ferro» e dalla politica dei blocchi, l’autore di Il tempo della malafede, La situazione drammatica e, soprattutto, Credere e non credere non può che proseguire con estrema quanto scomoda coerenza nella sua condizione di “non allineato”, di “terzaforzista” per vocazione: diffidente verso le bandiere, i partiti e le chiese che in quegli anni si spartivano il mondo, anche della cultura. Il suo lungo sodalizio con un altro esule faticosamente affrancato dagli schieramenti dominanti, Ignazio Silone, gli consentì di dar vita, negli anni della maturità, alla straordinaria avventura culturale di «Tempo Presente», rivista prestigiosa e di grande spessore culturale aperta come poche altre, in virtù dell’esperienza e delle relazioni dei suoi direttori, a suggestioni intellettuali di respiro mondiale, totalmente affrancata da quella auto-


25 referenzialità e dal sostanziale provincialismo che hanno spesso contraddistinto la cultura italiana. È probabilmente questa scelta, consapevolmente minoritaria ed eretica, che ha condannato Chiaromonte a una immeritata congiura del silenzio dalla quale si va oggi faticosamente riscattando grazie alla riscoperta di un lascito intellettuale e civile di altissimo livello, di grande consistenza e di perdurante attualità. È in questa consapevolezza che auguro ai promotori e ai relatori di questa giornata di studi intitolata a Nicola Chiaromonte un felice svolgimento dei lavori e la miglior fortuna, nel nome di un “testimone di libertà” la cui grande lezione intendiamo oggi, grati, onorare e tramandare.



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