TEMPO PRESENTE
rivista di cultura fondata da Ignazio Silone e Nicola Chiaromonte N. 499-501 luglio-settembre 2022 Anno 43° Nuova Serie
ALBERTO AGHEMO
In questo numero…
Piena e dignitosa occupazione: la sfida ancora aperta p. 5
PIENA E DIGNITOSA OCCUPAZIONE / 2
GIUSEPPE AMARI Call for papers p. 13
JAMES K. GALBRAITH
Piena e dignitosa occupazione: sempre attuale, sempre lontana p. 17
Full and dignified employment: still necessary, still elusive p. 27
PAOLO PASSANITI
Oltre il Novecento. La dignità del lavoro nell’età digitale. Sogni e bisogni nell’occupazione precaria p. 35
SEBASTIANO FADDA Dinamica strutturale, occupazione e bisogni sociali p. 53
FEDERICO CAFFÈ
Lavoro, disoccupazione “tecnica” e Mezzogiorno in due scritti p. 65
Lavoro, occupazione piena e Costituzione La discussione dell’art. 4 in Assemblea Costituente p. 73
LORELLA INGROSSO
Le biblioteche in terra d’Otranto, patrimonio di memoria e scambi culturali tra Tardoantico e Medioevo (seconda parte) p. 81
ESTER CAPUZZO
La nazionalizzazione forzata. La breve storia parlamentare delle minoranze linguistiche dopo la Grande Guerra p. 93
MIRKO GRASSO
Una pagina di storia antica. Nota autobiografica di Gaetano Salvemini (seconda parte) p. 101
LETTURE
ANGELO S. ANGELONI
Simone Weil viva p. 111
Informazione all’epoca dei social p. 115
MIRKO GRASSO
Ragghianti militante di un’Italia nuova p. 117
ANTONIO CASU
Il bosco di Luisa Bussi p. 121
ALDO MECCARIELLO
Vite balbuzienti. Per una filosofia della migrazione p. 125
In copertina: Per una piena e dignitosa occupazione tavola di Riccardo Pescosolido
elaborazione dalle illustrazioni de Il racconto della Costituzione graphic novel di G. Amari e G. Pescosolido edizione Fondazione Giacomo Matteotti Roma 2022
NARRAZIONI E SUGGESTIONI
In questo numero:
PIENA E DIGNITOSA OCCUPAZIONE: LA SFIDA ANCORA APERTA
Alberto Aghemo
Per cambiare il mondo del lavoro bisogna cambiare il mondo. È questo l’assunto – non privo di seduzioni utopistiche e di echi marxiani – da cui muoviamo nel proseguire a trattare il tema del conseguimento della piena e dignitosa occupazione.
Come preannunciato nell’editoriale dello scorso numero, la riflessione sulla piena occupazione, arricchita dai nuovi ed autorevoli contributi che hanno continuato a pervenirci, prosegue su «Tempo Presente» con nuovi stimoli di riflessione, nuove risposte e, soprattutto, nuove domande. Sul precedente fascicolo hanno risposto al call for papers di Giuseppe Amari, che riproduciamo per i Lettori anche in apertura di queste pagine, oltre allo stesso Amari, Stefano Zamagni, Nicola Acocella, Natalia Tosoni, Marina Capparucci, Susanna Camusso e Franco Ferrarotti.
Il tema del lavoro, della sua difesa e della sua dignità, nodale nella definizione – valoriale e politica, non meno che sociale ed economica – di una democrazia compiuta, efficace ed efficiente, torna oggi in tutta la sua centralità per almeno due solidi motivi. Il primo è, in tutta evidenza, la constatazione che il nodo della piena e dignitosa occupazione è tuttora irrisolto vuoi a livello di applicazione generalizzata degli elementi fondativi della Dichiarazione universale dei diritti umani dell’Onu, vuoi a livello nazionale quale piena attuazione dello spirito “lavorista” della Carta costituzionale repubblicana, a partire dall’articolo quattro. Il secondo motivo è legato alla natura affatto spe-
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ciale del “tempo presente”, al quale per naturale vocazione guardiamo: i venti di crisi che spirano anche sulle economie più avanzate a partire dalla grande crisi del 2008 si vanno sommando all’affermazione di nuove tecnologie che impongono una ridefinizione della prestazione alla luce di rapporti di lavoro sempre più liquidi, incontrollati e non tutelati sotto la spinta di una de-regolazione selvaggia da una parte e, d’altra parte, di una progressiva dematerializzazione della produzione, dei rapporti interpersonali, di quelle che un tempo erano le relazioni industriali. Società e lavoro sono cambiati, negli ultimi anni, con un’accelerazione senza precedenti sotto la spinta di innovative tecnologie telematiche, le cui vele sono state ulteriormente gonfiate dal vento della pandemia e dall’incontrastata affermazione di un aggressivo tecno-neoliberismo, che sembra imporsi a livello globale senza alternative e senza incontrare ostacoli, con un’urgenza che ha colto impreparate – e incapaci di elaborare efficaci strategie alternative –istituzioni, organizzazioni sindacali, forza lavoro. Un tema questo – i nostri lettori lo ricorderanno – che abbiamo ampiamente trattato, giusto un anno fa, nel fascicolo di «Tempo Presente» dedicato a Pandeconomy. Politiche economie e culture dell’emergenza: amare ed allarmate considerazioni allora svolte sotto il segno di una congiuntura “emergenziale” che, come inesorabilmente succede, si è andata cronicizzando a livello globale ancor prima che nazionale. Heri dicebamus…
È dunque possibile, in un contesto tanto drammatico quanto ostile ed involutivo, un’occupazione piena, dignitosa e sostenibile? La risposta di James K. Galbraith, qui ampiamente argomentata nel brillante e denso saggio che apre questo numero, Piena e dignitosa occupazione: sempre attuale, sempre lontana, è positiva. Un’annotazione: nel tradurre il titolo originale, Full and Dignified Employment: Still Necessary, Still Elusive, ci siamo presi una piccola libertà, ma la traduzione integrale è rigorosamente fedele al testo; e tuttavia, al fine di offrire al lettore la prosa lucida e incalzante dell’autore nella sua formulazione più efficace, la versione originale è pubblicata di seguito alla nostra traduzione.
La risposta di Galbraith all’interrogativo di partenza è, come si diceva, affermativa. Ma subordinata a numerose condizioni, sintetizzate nella frase che conclude il suo saggio: il perseguimento realistico di questo obiettivo richiede, in primo luogo, una com-
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prensione realistica degli ostacoli, e quindi un grande cambiamento nelle abitudini di pensiero e negli obiettivi politici, soprattutto tra i popoli e i Paesi dell’Occidente.
Nel dettaglio, il grande economista statunitense declina la realizzazione di un’occupazione piena e dignitosa attraverso la definizione di cinque essenziali prerequisiti: il primo, di matrice più marcatamente ideologica, è una decisa «epurazione» (purge) di quelli che definisce gli «architetti del mondo neoliberista»; il secondo requisito è «un nuovo quadro per la pace e la sicurezza reciproca» che comporti – e siamo al terzo item – la smilitarizzazione globale; il quarto requisito è la definanziarizzazione dell’economia; l’ultimo è costituito dalla gestione multilaterale delle catene di approvvigionamento globali.
Vaste programme, si potrebbe pensare. Ma è evidente che la natura della sfida e l’importanza della posta in gioco richiedono una ricetta complessa, che va ben al di là della pura sostanza contrattuale e della gestione di nuove dinamiche nel mondo del lavoro. Come si amava dire un tempo, «la questione è politica». Così come politico-economica è la risposta di Galbraith che, a valle della stabilizzazione della scena internazionale nel quadro sopra sintetizzato, individua nel settore pubblico e nel non profit gli strumenti per il conseguimento dell’obiettivo economico e sociale di una piena e dignitosa occupazione.
Di taglio più marcatamente storico-giuridico è invece l’ampio ed assai documentato saggio di Paolo Passaniti che segue, dal titolo descrittivo non meno che evocativo Oltre il Novecento. La dignità del lavoro nell’età digitale. Sogni e bisogni nell’occupazione precaria.
La ricorrenza dei cinquant’anni dello Statuto dei lavoratori – è la considerazione da cui muove l’autore – ha dato profondità storica al tema della dignità e della libertà nel lavoro alla luce della rivoluzione digitale in atto. Ogni rivoluzione – argomenta Passaniti – ha i suoi vincitori e i suoi vinti e soprattutto le sue narrazioni spesso speculari:
da una parte il lavoro uberizzato, impoverito, globalizzato, delocalizzato, digitalizzato e mortificato sempre a un passo dalla schiavitù, dall’altra il lavoro sempre più liberato dalla fatica in cui sempre più lavoratori sono in grado di scegliere come investire il proprio pacchetto di professionalità.
Essendo tuttavia indubbia la prevalente realtà di precarizzazione e di separazione insita nel lavoro dell’età digitale, non è possibile non cogliere il diffuso senso di solitudine, di aleatorietà, di demansionamento che affligge i «gig workers» in un contesto che per un verso affranca dalla dimensione fisica della prestazione, che un tempo coincideva con il «comune senso del sudore», ma per altro verso abbandona l’individuo in una condizione nella quale alla crescente aleatorietà dell’impiego corrisponde una sempre più bassa tutela dei diritti da far valere sulla trincea mobile di una negoziazione spesso minata dal difetto di interlocuzione. È in questo contesto – conclude Passaniti dopo un’ampia tratta-
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zione che ripercorre criticamente il pensiero lavorista contemporaneo – che alla luce della rivoluzione digitale la domanda complessiva di dignità del lavoro si può aprire a nuove prospettive nel confronto tra cittadino-lavoratore e cittadino-consumatore: un confronto nel quale l’alleanza tra consumatori e lavoratori può trovare una sua dimensione politica che faccia «rinascere un’idea nuova di rappresentanza politica del lavoro».
A seguire, il brillante saggio di Sebastiano Fadda – Dinamica strutturale, occupazione e bisogni sociali – ci restituisce appieno, già dall’ incipit , la problematicità dello stesso concetto di “piena occupazione” a partire dal pensiero economico keynesiano, evidenziando paradossi e squilibri del mercato del lavoro che potrebbero essere corretti attraverso l’impiego della forza lavoro non occupata nel settore della produzione di beni e servizi orientati a bisogni sociali per i quali non esiste una domanda pagante, a partire dalla sfera pubblica. La sua articolata riflessione porta a concludere che l’obiettivo della piena occupazione è conseguibile a condizione che si attui la combinazione appropriata di cinque leve: una politica macroeconomica espansiva, una riduzione degli elementi strutturali della disoccupazione, la riduzione degli orari di lavoro come beneficio della crescita di produttività, una politica di produzione diretta di beni pubblici e, infine, programmi di costituzione di “buffer stocks” di occupazione di ultima istanza. Tutto ciò, conclude Fadda, senza dimenticare né il livello del salario, né il ruolo regolatore delle istituzioni, alle quali spetta il compito di evitare che legittime aspirazioni «siano schiacciate da sfrenati meccanismi impazziti di mercati non governati».
Abbiamo ritenuto opportuno chiudere la discussione sul tema della piena e dignitosa occupazione – che, lo ricordiamo ancora, ha preso avvio nel precedente fascicolo di «Tempo Presente» con il call for papers e con gli autorevoli interventi che abbiamo già menzionato – con due contributi storici di profilo particolarmente alto.
Il testo si compone in realtà di due brevi interventi – qui riuniti sotto il titolo Lavoro, disoccupazione “tecnica” e Mezzogiorno in due scritti – poco noti e
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solo all’apparenza “minori” di Federico Caffè sul tema della piena occupazione, il primo, e del lavoro nel Mezzogiorno, a seguire, risalenti alla seconda metà dello scorso secolo. Il primo, in particolare, riporta le interessanti – e per l’epoca, non meno che per l’autore, assai significative – riflessioni sul tema del lavoro e della disoccupazione “tecnica” in rapporto al progresso tecnologico ed all’evoluzione dei processi produttivi svolte dal fondatore della Fiat, Giovanni Agnelli, negli anni Trenta, in un interessante confronto di idee con Luigi Einaudi. Il secondo testo ripropone la trascrizione di un dattiloscritto del grande economista pescarese sul tema antico e pur sempre attuale del rilancio del Meridione d’Italia attraverso la leva dell’occupazione e si segnala vuoi per la lucidità dell’analisi, vuoi per l’attualità delle argomentazioni.
Si ricorda, d’inciso, che Federico Caffè ha partecipato ai lavori della Commissione economica della Costituente, presieduta da Giovanni De Maria: il giovane economista era all’epoca capo di gabinetto di Meuccio Ruini, presidente della “Commissione dei 75”, incaricata di redigere il testo costituzionale. Anche questa considerazione ci ha suggerito di chiudere questo lungo percorso sul tema del diritto e della dignità del lavoro con una delle pagine più alte della recente nella storia nazionale: vi proponiamo infatti, a mo’ di conclusione, ampi stralci della discussione che sul punto si è tenuta durante i lavori costituenti.
Come ben si sa, il tema della piena, dignitosa e libera occupazione è già ampiamente enunciato nel primo comma dell’articolo 1: «L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro». Ma lo spirito “lavorista” della nostra Carta costituzionale si coglie appieno nella sintesi, che vi riproponiamo, della discussione avvenuta in Assemblea Costituente in vista dell’approvazione dell’articolo 4. Emerge con chiarezza il significato che i nostri costituenti vollero dare al concetto di diritto al lavoro come impegno politico della Repubblica a rimuovere gli ostacoli per una piena occupazione e al concetto di dovere al lavoro come impegno morale nei confronti della società. Si afferma così, in quella discussione, una concezione estensiva del lavoro, inteso come funzione mirata all’arricchimento materiale, morale e spirituale del Paese. Il dibattito svolto in seno alla sottocommissione che si è occupata della stesura dell’articolo 4 è di altissimo livello civile ed ideale prima ancora che politico e mostra appieno quale mirabile sintesi si compì in quel lontano 1947 grazie ad un nobile e condiviso “spirito costituente”. Ci piace qui, a conclusione di un percorso avviato con l’editoriale dello scorso fascicolo proprio a partire dall’articolo 4, mettere un punto alle nostre riflessioni con due frasi di Meuccio Ruini che, nella Relazione al progetto, costituiscono rispettivamente l’incipit e la conclusione di quell’intenso dibattito:
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Federico Caffè
«L’affermazione del diritto al lavoro, e cioè ad una occupazione piena per tutti ha dato luogo a dubbi da un punto di vista strettamente giuridico, in quanto non si tratta di un diritto già assicurato e provvisto di azione giudiziaria; ma la Commissione ha ritenuto, e anche i giuristi più rigorosi hanno ammesso, che, trattandosi di un diritto potenziale, la Costituzione può indicarlo, come avviene in altri casi, perché il legislatore ne promuova l’attuazione, secondo l’impegno che la Repubblica nella Costituzione si assume».
«Ad evitare applicazioni unilaterali, si chiarisce che il lavoro non si esplica soltanto nelle sue forme materiali, ma anche in quelle spirituali e morali che contribuiscono allo sviluppo della società. È lavoratore lo studioso ed il missionario; lo è l’imprendiore, in quanto lavoratore qualificato che organizza la produzione».
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Sotto il titolo «NARRAZIONI E SUGGESTIONI», la seconda sezione di questo fascicolo si apre con la parte conclusiva nell’evocativo itinerario attraverso Le biblioteche in terra d’Otranto, patrimonio di memoria e scambi culturali tra Tardoantico e Medioevo, affascinante viaggio negli scriptoria tardobizantini del Salento, brillantemente narrato da Lorella Ingrosso. La prima parte era apparsa nel fascicolo di gennaio-marzo, monograficamente dedicato al tema della Memoria.
Ester Capuzzo ci propone, nell’originale e assai documentato saggio su La nazionalizzazione forzata. La breve storia parlamentare delle minoranze linguistiche dopo la Grande Guerra, un’accurata ricostruzione di una breve ma intensa stagione politica allorché, all’indomani della fine del primo conflitto mondiale, i governi liberali che si susseguirono sino all’avvento del fascismo dovettero confrontarsi con i problemi derivanti dalle annessioni del Trentino-Alto Adige e della Venezia Giulia, territori denominati nel linguaggio burocratico dell’epoca «nuove province».
A seguire, Mirko Grasso introduce una nuova tappa nel lungo percorso che
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Meuccio Ruini
«Tempo Presente» ha voluto dedicare a Gaetano Salvemini nella prospettiva della prossima ricorrenza del centocinquantesimo anniversario della nascita. Qui si pubblica, sotto il titolo Una pagina di storia antica. Nota autobiografica/2 la seconda ed ultima parte del testo del discorso che il grande intellettuale tenne presso l’Università di Firenze quando, nel novembre del 1949, tornò sulla sua cattedra abbandonata nel 1925 in opposizione al fascismo. Una lezione, la sua, che ancora oggi esercita particolare fascino morale e che nei metodi e nei contenuti rivela tratti di estrema attualità.
È particolarmente ricca, in questo numero, la sezione finale delle «LETTURE», che si apre con due proposte firmate da Angelo S. Angeloni. La prima, riguarda la straordinaria figura di Simone Weil, riproposta in tutto il suo spessore di protagonista del Novecento attraverso la riproposizione di tre brillanti saggi a lei dedicati. La seconda affronta il complesso tema dell’informazione all’epoca dei social network, analizzata attraverso la brillante analisi che ne fa Jacques Attali.
Mirko Grasso evoca l’eredità ideale di Carlo Ludovico Ragghianti, di recente messa a fuoco in un’accurata raccolta di scritti di Andrea Becherucci che ci restituiscono con particolare efficacia il complesso ritratto di una personalità d’eccezione: antifascista, azionista, presidente del Comitato Toscano di Liberazione Nazionale, poi autorevole studioso dell’arte, accademico e organizzatore di cultura.
A seguire, è dedicata alla più recente prova narrativa di Luisa Bussi, Il bosco di Macchione, l’acuta quanto partecipe lettura Di Antonio Casu. Chiude le LETTURE ed il fascicolo la brillante recensione di Aldo Meccariello di uno scritto fondamentale sulla filosofia della migrazione: L’emigrante di Günther Anders, recentemente riproposto in un’edizione critica per i tipi di Donzelli.
Anche in questo numero l’immagine di copertina merita una segnalazione. Si tratta, in continuità con quanto avvento nel fascicolo precedente, di una tavola appositamente realizzata per «Tempo Presente» da Riccardo Pescosolido che trae ispirazione da altre illustrazioni da lui realizzate per la graphic novel Il racconto della Costituzione (il sottotitolo recita: Nei suoi presupposti storici e ideali e nella sua contrastata realizzazione) realizzata sulla sceneggiatura originale di
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Giuseppe Amari e da poco pubblicata dalla Fondazione Giacomo Matteotti nella nuova collana «Formazione Scuola Cittadinanza attiva». Il testo, sul quale avremo modo di tornare, intende realizzare un progetto di formazione, prima ancora che editoriale, e si propone di raccontare la Costituzione e le sue radici ideali più profonde ai ragazzi attraverso le tavole a colori di una graphic novel che affianca alla veste editoriale tradizionale, a stampa, una versione in videoanimazione ed anche una versione teatrale – di Vittorio Pavoncello – studiata per essere rappresentata nelle scuole dagli stessi studenti, sulla base di semplici note di regia.
Per saperne di più e per un’anteprima del Racconto rimandiamo all’apposita sezione del sito Internet dedicato, al link hiips://www.matteotti100nellescuole.org/il-racconto-della-costituzione.
BUONA LETTURA! Il racconto della Costituzione. Nei suoi presupposti storici e ideali e nella sua contrastata realizzazione Graphic novel di Giuseppe Amari e Riccardo Pescosolido con contributi di Alberto Aghemo, Valdo Spini, Giovanna Leone, Giuliano Amato, Saul Meghnagi, Pietro Polito, Pina Impagliazzo e Vittorio Pavoncello
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