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Il Maestro e i pianisti,amore e odio
Toscanini aveva qualche problema con i pianisti? La curiosità viene spontanea scorrendo la cronologia che accompagna la monumentale biografia di Harvey Sachs, da cui apprendiamo che negli oltre millecento programmi sinfonici diretti dal Maestro nel corso della sua carriera i pianisti chiamati a esibirsi con lui sono stati appena una quindicina. Nel suo vastissimo repertorio, i brani per pianoforte e orchestra sono sorprendentemente pochi: quattro concerti di Beethoven (manca il secondo) oltre al Triplo e alla Fantasia corale, i due di Brahms, il primo di Čajkovskij, tre di Mozart (il 20, 21 e 27), il quarto di Saint-Saëns, la Rapsodia in Blu e il Concerto in fa di Gershwin, il secondo di Martucci, quello di Sgambati, l’Allegro di Franco Da Venezia, le variazioni di Ernest Schelling, una trascrizione schubertiana e una parafrasi di Liszt. Salvo omissioni, poco più d’una ventina di pezzi in tutto. In questo quadro, così modesto se rapportato alla quantità delle partiture eseguite da Toscanini, un ulteriore motivo di sorpresa è la presenza del Concerto in do minore per quattro pianoforti e orchestra di Bach, originariamente scritto per quattro clavicembali e a sua volta derivato dal Concerto per quattro violini solisti e archi di Vivaldi: Toscanini lo diresse il 13 ottobre 1932 alla Carnegie Hall di New York per la stagione della Filarmonica, con tre repliche nei giorni successivi, e i quattro solisti furono Maria Carreras, Zoltan Kurthy, Frank Sheridan e Madeleine Marshall. I primi pianisti a esibirsi sotto la bacchetta di Toscanini furono due compositori, Giuseppe Martucci e Giovanni Sgambati, esecutori dei rispettivi concerti, seguiti da Ernesto Consolo e dall’ucraino Alexander Siloti. Nel 1933 Vladimir Horowitz, già famoso negli Stati Uniti, fu il solista nel Concerto n.5 di Beethoven (unica esecuzione toscaniniana dell’Imperatore) e poi divenne, oltre che genero del Maestro, il pianista a lui più gradito, almeno a giudicare dal numero dei concerti eseguiti insieme: oltre a quello beethoveniano, i due di Brahms e il primo di Čajkovskij. Toscanini non si entusiasmava facilmente, ma dopo il concerto di Čajkovskij volle baciare quelle prodigiose mani; e dopo il secondo di Brahms, confidò alla moglie che Horowitz aveva «suonato da dio». José Iturbi, Robert Casadesus, Rudolf Serkin, Ania Dorfman, Earl Wild, Oscar Levant, Mieczyslaw Horszowski, Arthur Rubinstein, Glauco D’Attili e Myra Hess completano l’elenco dei pianisti toscaniniani. Interessante la testimonianza di Rubinstein sulla preparazione del terzo concerto beethoveniano: la prima prova con l’orchestra, diceva, era stata un disastro, ma la seconda era stata perfetta perché Toscanini aveva memorizzato ogni suo tocco. Nel 1946 il Maestro invitò l’inglese Myra Hess per il Concerto n. 5 di Beethoven alla NBC, come segno di ammirazione per il coraggio da lei dimostrato nell’eseguire recital alla National Gallery di Londra durante la guerra, sfidando i bombardamenti tedeschi sulla città. Alla prima prova, la Hess trovò il tempo del direttore troppo veloce e così fu deciso di sostituire il Concerto n. 5 con il Terzo: a riprova che, quando voleva, Toscanini sapeva essere comprensivo.
Poi c’erano pianisti che ammirava, come Sergej Rachmaninov che definì «artista eletto», ma con i quali non collaborò mai. Singolare il caso di Ferruccio Busoni. Quando il Maestro andò ad ascoltarlo nella sonata Waldstein di Beethoven, fu così sconcertato dalla libertà della sua interpretazione che lasciò furibondo la sala prima della fine. Busoni allora gli scrisse per invitarlo nuovamente, promettendogli che questa volta avrebbe «suonato bene». Toscanini accolse la sfida, andò e applaudì con entusiasmo. Ma molti anni dopo parlò di lui come di «un pagliaccio» che a volte suonava male apposta. «Io avrò diretto male, ma senza saperlo e senza volerlo. Ma non mi sono mai messo per far ridere. Non ho mai scherzato con la mia arte. Mai». Nessuno oserebbe metterlo in dubbio.
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di Mauro Balestrazzi
Toscanini l’inespressibile
Don Giovanni, da Parma a Reggio Emilia
La Filarmonica Arturo Toscanini diretta da Corrado Rovaris inaugura la stagione lirica del Teatro Regio di Parma con Don Giovanni, dramma giocoso in due atti di Mozart (libretto di Lorenzo da Ponte) il 12 gennaio. L’opera va in scena dal 12 al 21 gennaio nell’allestimento del Teatro di San Carlo di Napoli, in coproduzione con As.Li.Co. e Fondazione I Teatri di Reggio Emilia (le recite al Teatro Municipale Valli sono il 24 e 26 febbraio) con la regia di Mario Martone ripresa da Raffaele Di Florio, il Coro del Teatro Regio di Parma, maestro del coro Martino Faggiani. Nel cast: Vito Priante (Don Giovanni), Mariangela Sicilia (Donna Anna), Carmela Remigio (Donna Elvira), Riccardo Fassi (Leporello). «Simbolo di un desiderio di infinito che lo pone in costante relazione con l’Assoluto, Don Giovanni è divenuto un personaggio mitico che ha dato origine a un’imponente letteratura su cui molto si potrebbe dire» dice il direttore Corrado Rovaris. Ciò che forse più colpisce dell’opera mozartiana è la sua ambiguità di fondo, la pluralità dei registri stilistici, il fatto che un’opera buffa sconfini nel tragico, o meglio che buffo e tragico coesistano, divenendo l’uno lo specchio dell’altro. L’opera vede infatti interagire personaggi di diverse ‘tipologie’, e dal punto di vista drammaturgico e musicale vi è uno stretto rapporto fra il loro status sociale e il registro stilistico nel quale si esprimono”.
Torna Pelléas et Mélisande Unico dramma musicale portato a compimento da Claude Debussy, rappresentato nel 1902 e amatissimo da Arturo Toscanini, Pelléas et Mélisande (libretto di Maurice Maeterlinck) ha segnato l’apertura del nuovo secolo e inaugurava, con un profondo mutamento di stile e di linguaggio, il teatro lirico del Novecento. Rappresentato nel 2021 al Teatro Regio di Parma, va in scena il 20 e 22 gennaio al Teatro Comunale Pavarotti-Freni di Modena e il 3 e 5 febbraio al Teatro Municipale di Piacenza. Protagonisti Marco Angius sul podio della Filarmonica Toscanini e del Coro del Teatro Regio di Parma; interpreti Julie Boulianne (Mélisande), Phillip Addis (Pelléas); Michael Bachtadze è nel ruolo di Golaud che a Piacenza sarà interpreto da Dion Mazerolle. La regia, scene e i costumi sono firmati dal team creativo franco-canadese Barbe & Doucet che concepiscono un allestimento circolare, in cui i personaggi sono immersi in un limbo, tra elementi scenici naturali, boschivi e acquatici, marmi che evocano cimiteri monumentali, isole semoventi, pannelli e fondali in continuo movimento. Una realtà a cavallo tra diversi mondi, da cui non sembra esser possibile sfuggire, dove ciascun elemento ha un significato simbolico.
Una Medusa per fagotto e orchestra
Tra l’Ouverture del Manfred di Schumann e la Sinfonia n. 4 in la maggiore “Italiana” di Mendelssohn, il 4 marzo la Filarmonica Toscanini, diretta da Victor Pablo Pérez, esegue il Concerto per fagotto Medusa di Marco Tutino; solista è Paolo Carlini dedicatorio della composizione scritta nel 2019. Questi, dal 1987 primo fagotto dell’Orchestra della Toscana, ha collaborato, nello stesso ruolo, con le orchestre più importanti del panorama nazionale con un’attività rivolta alla musica contemporanea: infatti gli hanno dedicato delle opere, tra gli altri: Ennio Morricone, Luis Bacalov, Azio Corghi, Luis de Pablo, Giorgio Gaslini, Carlo Boccadoro. «Medusa nasce dall’incontro con il virtuosismo di Paolo Carlini e dalla sua gentile sollecitazione – racconta Marco Tutino – che mi hanno distratto dalla mia concentrazione operistica, per immaginare una narrazione diversa. Medusa è un piccolo studio sulla forma musicale che parte dalla convinzione che qualsiasi genere di composizione in musica sia prima di tutto un racconto».
Temmingh il “fenomeno”
Non pochi punti d’interesse riveste il concerto “Fenomeni” del 10 febbraio con la Filarmonica Toscanini e il suo direttore principale Enrico Onofri durante il quale, oltre alla Sinfonia n. 6 Pastorale di Beethoven, il programma prevede il concerto detto “Il Gardellino” di Vivaldi e altri due pezzi di autori contemporanei accomunati dalla presenza di un solista d’eccezione: il flautista sudafricano Stefan Temmingh, da molti considerato l’erede del leggendario Frans Brüggen. I suoi progetti e le sue registrazioni rivelano un artista che non sta semplicemente seguendo percorsi conosciuti, ma sta creando una nuova tradizione per lo strumento. Lo dimostra anche all’Auditorium Paganini in cui ha scelto di eseguire un Concerto scritto nel 2012 dal compatriota Hendrik Pienaar Hofmeyr (formatosi in Italia dove si era rifugiato come obiettore di coscienza) e Außer Atem del tedesco Moritz Eggert, il cui titolo, “senza respiro”, nasce dalla suggestione creata da due flauti suonati contemporaneamente da un solo musicista.
Ha appena raggiunto la soglia dei 50 anni, per l’esattezza lo scorso 13 giugno. Ed è con il dinamismo e l’energia tipica delle bacchette più interessanti che in questi mesi si prepara a nuove avventure con la Filarmonica Arturo Toscanini, di cui regge il timone da quasi due anni in qualità di Direttore Ospite Principale.
Emblema di un clan musicale molto vivace e attivo (papà Neeme è un apprezzatissimo collega del podio come il fratello Paavo, mentre la sorella Marika suona il flauto) l’estone-americano Kristjan Järvi solca con il vento in poppa i cartelloni di svariate orchestre di riferimento, oltre a mantenere legami solidi con la Baltic Sea Philarmonic, di cui è stato fondatore. Ma è a Parma che, memore di alcune performance non certo di routine (la Ritirata per le strade di Madrid di Boccherini/ Berio e Pulcinella di Stravinskij nel 2021, più di recente il Concerto di Sibelius con Mullova e un personale arrangiamento della Fanciulla di Neve di Ciajkovskij) è atteso a primavera. Appuntamento il 7 aprile, sull’agenda la struggente Élégie di Fauré, il Concerto n. 1 di Saint-Saëns con Mischa Maisky e uno sprazzo di luce boreale con la Seconda Sinfonia di Sibelius.
e divertendomi a trasmettere un certo modo di far musica che coinvolga tutti gli ascoltatori, non solo i più giovani. Se si riflette davvero l’essenza di questa filosofia, tante energie verranno fuori con grande spontaneità».