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Euterpe, Talia e Melpomene l’ indissolubile rapporto fra teatro e musica
di Francesco Bianchi
Teatro e Musica. Muse diverse, secondo la mitologia: Euterpe, Talia e Melpomene. Eppure l’arte scenica fin dai suoi albori ha previsto e incorporato al suo interno l’elemento musicale, e viceversa.
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La domanda che, tanto per chi fa teatro che per chi fa musica, rimane impellente è: cosa spinge due delle arti più coinvolgenti, sincrone, viscerali mai inventate dall’Uomo, due delle forme più alte e al contempo più intime di espressione dell’umano sentire, a cercarsi continuamente alla volta di un sodalizio inscindibile quanto enigmatico, non raramente erotico?
In questo giocoso volo d’uccello sull’argomento le risposte sono molteplici e, lungi da me esaurire il tema, può essere interessante esplorarlo attraverso alcune parole.
La prima parola che vorrei “rubare” è necessità. Nel rito collettivo che è il teatro, specialmente secondo Aristotele, il tempo e lo spazio in cui noi spettatori assistiamo alle vicende rappresentate sono limitati, e per questo preziosissimi. In quest’ottica, lo statuto di straordinarietà dell’atto drammatico trova il suo compimento nell’esprimersi in contemporaneità e in dialogo con la musica. Il portato emozionale, oltre che letterario, che i potentissimi versi di Eschilo o di Euripide comunicano allo spettatore viene arricchito e dotato di senso ulteriore, mentre l’azione drammatica si svolge su tessiture ritmiche e armoniche impossibili da dimenticare per gli spettatori presenti.
E che dire del “recitar cantando”? Come definire questa intuizione che diede, di fatto, inizio al teatro musicale che è arrivato fino a noi? Il canto, sintesi perfetta di interpretazione teatrale ed esecuzione musicale, por- ta con sé la più alta forma di comunicazione, e di questo sicuramente si erano accorti i cortigiani di cui sopra, tanto da spianare la strada a Jacopo Peri con la Camerata Fiorentina e a Claudio Monteverdi che hanno creato nella cultura occidentale il gusto di un dramma in cui musica e teatro sono un tutt’uno, un amalgama sublime in cui ogni spettatore/ascoltatore può lasciarsi trascinare nel turbine della vicenda (amorosa e mitica, nel caso del modernissimo e immaginifico Orfeo) attraverso le straripanti note di una musica che, nel raggiungere livelli di complessità e di stratificazione (anche) narrativa, può essere fruita in se stessa pur se concepita per il teatro.
Da qui la seconda parola: meraviglia. È fondamentale riconoscere come nelle città che tra il XVI e il XVIII secolo furono crogiolo di avanguardia culturale, in particolare Napoli e Venezia, sia nata la forma d’arte performativa ad oggi più seguita in tutto il mondo: l’Opera. Se è vero che ai nostri giorni, ad esempio, la lingua italiana viene studiata in tutto il mondo prima di tutto per accedere ai tesori custoditi dal grande Melodramma, è altresì interessante come tutte le figure di spicco della grande musica degli ultimi secoli si siano cimentate nella composizione di musica per drammi: basti citare Georg Friedrich Händel, Gioachino Rossini, Giuseppe Verdi, Wolfgang Amadeus Mozart, tra gli altri. Da grandi uomini di teatro, perché di questo si tratta, ognuno di loro ha esplorato le modalità per cui una grande musica è prima di tutto una grande narrazione, una caleidoscopica sequenza di immagini, un’opera d’arte assoluta. E proprio dal Barocco di Händel, ma anche di Lully e Charpentier (che collaborarono con Molière, troppo spesso rappresentato ai giorni nostri senza queste splendide musiche), viene l’idea di un’arte che prima di tutto vuole scatenare nel fruitore un sentimento di stupore e di sconvolgimento. Una pratica teatral-musicale come questa, che investe tutti i sensi del pubblico nella direzione di un’esperienza totalizzante, punta precisamente a questo: a indagare la complessità dell’essere umano occupando ogni spazio, ogni interstizio possibile.
Scherzosamente si potrebbe arguire che bastano un nome e un cognome per avvalorare l’affermazione secondo cui teatro e musica vivono di un rapporto impossibile da sciogliere. Ma se si cita Richard Wagner, che volle supervisionare di persona la costruzione del teatro in cui far vivere le sue Gesamtkunstwerken, “Opere d’Arte Totale”, e che di certo non ha bisogno di presentazione, allora è altrettanto importante ricordare come uno dei più grandi uomini di teatro dell’ultimo secolo, Bertolt Brecht, abbia incorporato nella sua ricerca sul teatro epico l’elemento musicale a un livello tale che alcune delle sue opere più importanti esulano dalla prosa pura e approdano, audaci, nell’Opera propriamente detta (con la partecipazione, eccelsa, di Kurt Weill).
Un rapporto, insomma, quello tra teatro e musica, che sarebbe sbagliato e insufficiente cercare di definire quanto di limitare a una semplice “collaborazione”. In una tradizione come quella occidentale, l’unica a essere indagata in questa sede ma non di certo l’unica rilevante, queste due arti si compenetrano da quando il primo essere umano ha deciso di esibirsi di fronte a un suo simile. Perché? Probabilmente perché se è vero che siamo umani in quanto siamo capaci di raccontare storie, allora è altrettanto vero che vogliamo farlo esplorando più linguaggi possibili, utilizzando al meglio la capacità tutta umana di creare bellezza con la parola e con la musica. Le tre muse non ce ne vogliano, ma a volte sono tre nomi per la stessa emozione.