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Come orchestrare un popolo Des Knaben Wunderhorn di Gustav Mahler
di Riccardo Orsolini
Des Knaben Wunderhorn è innanzitutto un atto politico. Lo è già nel 1805, quasi un secolo prima che Mahler ci mettesse le mani. In quegli anni le guerre napoleoniche stavano sistemando gli ultimi cocci di una Germania piuttosto fragile, troppo frammentata sul piano politico-culturale per resistere agli attacchi del piccolo grande Bonaparte. Sarebbe bastato un soffio a buttarla giù.
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Con il fallimento degli eserciti tedeschi, il duo letterario Arnim/Brentano, consapevole della situazione in cui versa il paese e in pieno impeto romantico, si arma di carta e penna, mette lo zainetto in spalla e va in giro – si fa per dire – a racimolare poesie e canzoni popolari attraverso il variegato territorio germanofono. L’intento è quello di creare le basi per una nuova cultura nazionale di cui ogni persona possa sentirsi parte, un nazionalismo pangermanico che mira a unificare gli stati nazionali di lingua tedesca in un uni- co grande paese – un secolo dopo, i baffetti a spazzolino prenderanno il sopravvento.
Il problema di fondo è stato individuato e per risolverlo c’è bisogno di un atto concreto: ricostruire le fondamenta di una tradizione culturale comunitaria – che i fratelli sotterrino l’ascia di guerra e tornino ad abbracciarsi. Beh… almeno le buone intenzioni c’erano. Mahler questo lo aveva capito, d’altronde come poteva “il corno magico del fanciullo” indurre a conseguenze catastrofiche? E poi il compositore era giovane, pieno di spirito rivoluzionario – chi non ne aveva in quegli anni? – membro di un gruppo di ferventi pangermanici con cui ogni tanto cantare Deutschland, Deutschland über Alles! Si può capire che mettere in musica i testi del Wunderhorn era d’obbligo in un tale contesto. Se non lui, chi altri? Forse chi poteva metterci le mani era Wagner, ma sicuramente ne avrebbe fatto un dramma –musicale. Quindi ci pensa Gustav: aggiunge questo, toglie quest’altro e i testi per i suoi Lieder sono pronti. Un pizzico di orchestrazione e la pillola va giù – anzi, non proprio un pizzico vista la strumentazione per le grandi occasioni.
Ma per i recensori viennesi la pillola non è andata giù nel migliore dei modi. Non che il ciclo non fosse piaciuto; non aveva convinto fino in fondo. Dopotutto Mahler se lo aspettava: “Oh cielo, che faccia farà il pubblico di fronte a questo caos”. Il problema non erano i testi, ma proprio la musica.
Per il critico musicale Eduard Hanslick, l’accompagnamento orchestrale era sovrabbondante rispetto al carattere ingenuo delle liriche popolari utilizzate. Theodor Helm, suo collega, ammette di non andare matto per quel “grottesco umore musicale”. Paul Schuch, altro recensore, lamenta “un’attività senza motivazione, effetti senza cause” provenienti da uno stereotipo operistico. Calunnie infondate? Forse la critica non ha tutti i torti.
La contraddizione ravvisabile tra il sinfonismo e il popolare, tra l’umorismo e la drammaticità, tra la ponderatezza e la leggerezza sono proprio i derivati peculiari dell’esperienza mahleriana: “un boemo tra gli austriaci, un austriaco tra i tedeschi e un ebreo tra i popoli”. Nella sua musica riecheggiano i concerti da lui diretti, le influenze wagneriane, gli ideali romantici, i misurati dibattiti dai salotti altolocati e le urla ubriache dalle peggiori taverne bavaresi. A risuonare è una tensione priva di compromessi. Il Lied viene trapiantato dalla camera alla sala da concerto perché non basta più un pianoforte a far emergere le realtà narrate da quelle liriche (nove altri brani erano apparsi nel 1890 per voce e pianoforte); il compositore deve ricorrere alla tavolozza dei colori orchestrali per rendere alla perfezione ogni minima sfumatura dell’essere umano. Il popolare nel colto, un Lied tra le sinfonie, l’individuo nel mondo, appunto, un ebreo tra i popoli – la contraddizione mahleriana.
Guida all’ascolto (s)ragionata e (in)consapevole
Cercare una direzione, una meta definita, è essenziale camminando per i sentieri di montagna, e se non siamo sicuri è inutile appellarci a Mahler, perché l’amore del compositore boemo per la montagna ha le caratteristiche tipiche del wanderer (avventuriero dello spirito) che per definizione non ha una meta anche se conosce a memoria tutti i sentieri! La sua musica non ha un centro e anche se i Lieder sembrano raccontare delle storie precise, i connotati non sono ben definiti, perché è sempre il flusso della sua coscienza che parla all’esterno. Pensate gli esseri umani come contenitori di sogni, fantasmi, slanci, desideri, paure, amori, abissi di dolore e infelicità…