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«Oggi un’orchestra classica ha bisogno di dare un’immagine eccitante e fresca»

Largo, dunque, a poetiche atmosfere francesi e brumose nebbie del nord, per questo direttore dalla vitalità contagiosa che si batte da anni nel rinnovamento del grande repertorio occidentale: organizzando divertenti flash mob musicali e costruendo entusiasmanti laboratori aperti al jazz e persino all’hip-hop come il newyorkese Absolute-Ensemble. L’idea di fondo è sempre stata quella di trasmettere emozioni, con un linguaggio fatto di semplicità e di naturale attaccamento alle leggi della bellezza. «Oggi un’orchestra classica ha bisogno di dare una immagine eccitante e fresca» racconta «e per far questo c’è la necessità di credere profondamente in un progetto, un po’ come sto cercando di fare qui alla Toscanini». In che modo è presto detto: «fuggire dall’ordinario e muovermi liberamente senza ideologie, lavorando a tante iniziative

In realtà è la voglia di mettersi in gioco con nuove sfide (anche con artisti non classici) a risultare uno dei suoi punti di forza. «Nella mia carriera, quelle con Goran Bregović a Joe Zawinul sono state esperienze utilissime, che mi hanno spinto verso tante altre direzioni. Specialmente Zawinul ha avuto davvero un’influenza profonda sul mio pensiero musicale» dice. «Ma già prima ancora, verso la metà degli anni Novanta, mi ero divertito a creare le mie band e alcuni complessi ibridi: ad esempio la Sunbeam Productions di musicisti elettroacustici e l’Absolute Ensemble, la cui filiazione era aperta al senso di creatività, ma anche al senso dell’amicizia». Cosa aveva di interessante quest’ultimo complesso americano? «Vi militavano formidabili musicisti classici, ma anche incredibili jazzisti e fin da allora l’idea di questo meticciato mi è rimasta nel dna» risponde. «Più in generale, se non avessi alle spalle momenti di background eccitanti [fra le sue sinergie si contano tra l’altro anche quelle con Bryce Dessner e la band islandese Múm, oltre a influenti collaborazioni con autori di avanguardia da Steve Reich ad Arvo Pärt, Philip Glass, John Adams e Giya Kancheli] il mio approccio alla musica sarebbe risultato più povero».

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Certo, tanto vigore ed entusiasmo sono venuti dalla cerchia di famiglia. «Oltre a papà e al fratello che sono direttori (e a mia sorella flautista) io ho molti cugini, con relativi figli, che suonano uno strumento: solo la mamma non ha mai suonato nulla, anche se spesso ha ricoperto il ruolo di capitano della nave» continua a raccontare Järvi. «Una volta ci siamo esibiti tutti quanti all’interno di un festival a sud dell’Estonia, sulla piattaforma di un lago, formando una vera e propria Orchestra Järvi. Davvero inimmaginabile che tutta l’energia venisse da una sola, grande famiglia».

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