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di Lorenzo Fragni
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Fig. 103-104. Giovanni Battista Della Porta, Progetto dell’altare per la cappella Falconi in Santa Maria ai Monti, 1584, in ASVR, Pia Casa dei Catecumeni e Neofiti, Instrumentorum 1584-1585, notaio F. Silla, b. 78, cc. 170-172.
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Fig. 105. Giovanni Battista Della Porta, San Domenico, 1587, Roma, Santa Maria Maggiore, cappella Sistina.
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Fig. 106. Giovanni Battista Della Porta, San Domenico, 1587, Roma, Santa Maria Maggiore, cappella Sistina.
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Fig. 107. Domenico e Giovanni Fontana, Fontana del Mosè, 1587-1588, Roma, Piazza San Bernardo.
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Fig. 108. Giovanni Battista Della Porta, Aronne che conduce il popolo ebreo a dissetarsi, 1588, Roma, Piazza San Bernardo, fontana del Mosè.
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Fig. 109. Cesare Nebbia, Aronne che conduce il popolo ebreo a dissetarsi, 1588, penna, inchiostro bruno acquerellato, matita nera, B 80, 305 x 189 cm, Haarlem, Teylers Museum.
Fig. 110. Flaminio Vacca, Giosuè che fa attraversare agli ebrei il Giordano asciutto, 1588, Roma, Piazza San Bernardo, fontana del Mosè, particolare.
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Fig. 111. Giovanni Battista Della Porta, Flaminio Vacca, Pietro Paolo Olivieri, Angeli reggistemma, 1588, Roma, Piazza San Bernardo, fontana del Mosè.
Fig. 112. Giovanni Battista Della Porta, Angelo reggistemma, 1588, Roma, Piazza San Bernardo, fontana del Mosè, particolare. Fig. 113. Flaminio Vacca, Angelo reggistemma, 1588, Roma, Piazza San Bernardo, fontana del Mosè, particolare.
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CORRISPONDENZE CON I GONZAGA
«Ho fatto fare il peduzzo all’Antonino, che insieme col resto de’ petti finiti, che sono in mano di maestro Thomasino compreso ancora il petto con la testa del Tito, si manderanno fra tre giorni senza fallo che sono Giulia Mamea, Tiberio, Elio et quell’altro senza nome. Trattando attenderà a vuotar bene il petto del Signore felice memoria, col peduzzo di verde che è riuscito bellissimo»1 .
Nella lettera del 4 settembre 1562, il vescovo di Gallese, Girolamo Garimberto, aggiornava il duca di Guastalla, Cesare Gonzaga, circa l’avanzamento dei lavori di maestro Thomasino (Tommaso Della Porta il Vecchio): il peduccio in marmo verde del «bellissimo» busto di Ferrante Gonzaga (padre di Cesare) era stato terminato, ed anche la base dell’Antonino e di altri ritratti antichi. Ma la «poltroneria» del Maino (così viene citato Tommaso Della Porta nella corrispondenza successiva), dovette infastidire il vescovo Garimberto che nel dicembre del 1564, relativamente al lavoro di una tavola in porfido, scriveva sempre al Gonzaga:
«Tuttavia tengo sollecitato quel pezzo d’asino di Maino, perché dia fine alla tavola di porfido et hora, che saranno passate le feste et che ha spedito i suoi imperatori colossacci in Belvedere, non havrà più scusa alcuna, maggiormente havendogli io trovato il verde per far l’ornamento alla detta tavola»2 .
Nel luglio dell’anno successivo il lavoro della tavola di porfido non era stato ancora completato e Tommaso giustificava il suo ritardo con l’assenza di garzoni, tutti occupati «nell’opra di Palazzo e di Belvedere»3 (la Casina di Pio IV in Vaticano).
1 Brown - lorenzoni 1993, p. 73, n. 2. 2 Ibidem, p. 101, n. 73. 3 Il 3 febbraio 1565 Garimberto scriveva al Gonzaga: «Vista la durezza e rusticità di Maino nel dar fine alla tavola, ho pregato il signor Cortese che voglia fargli una bravata mantovana, ancor che questo tristaccio si scusa che non trova lavoranti per segare il verde ch’io gli ho dato, essendo tutti
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«Io non vedo l’hora che questa benedetta tavola di porfido esca di Roma, perché stando incassata nel cortiletto di quel poltrone di Maino, corre pericolo di qualche alterazione causata dall’umido o dal caldo; il che sarebbe a compimento della poltroneria del detto Maino, il quale dopo uno stratio di tanti mesi et anni, l’ha assettata assai disgraziatamente et per pagare della solita sua ingratitudine l’Eccellenza Vostra et Monsignor Illustrissimo suo fratello [cardinale Francesco], in havergli fatto un cavalier di San Piero dal Papa in pagamento d’una dozina di quelle testazze d’imperatori ch’ella si degnà di mirare in casa sua»4 .
La serie dei Dodici Cesari, citata in quest’ultima lettera del Garimberto del luglio 1565, sembra far riferimento ad un acquisto che il duca Cesare Gonzaga aveva fatto insieme al cardinale Francesco, suo fratello, grazie al quale Tommaso ottenne il titolo del cavalierato di San Pietro dal pontefice Pio IV. I documenti per la fabbrica del Boschetto e la menzione vasariana danno prova di una serie di Dodici Cesari realizzata da Tommaso per Giulio III, poi data in dono al re cattolico Filippo II, come da avviso del 24 gennaio 15685. Stando invece ai documenti farnesiani, fu grazie alla vendita fatta da Tommaso al cardinale Alessandro Farnese sempre di una serie di Dodici Cesari, che lo scultore ottenne il cavalierato di San Pietro e che sarebbe passato al nipote Giovanni Battista Della Porta in caso il titolo si fosse reso vacante. La serie degli imperatori segnalata nella lettera di Garimberto al Gonzaga non è menzionata in altre fonti e non sappiamo se sia da identificare con le altre serie realizzate da Tommaso per la fabbrica del boschetto e per il cardinale Farnese6. Ad ogni modo, l’attività documentata di Tommaso per Cesare Gonzaga da l’avvio alle corrispondenze fra la Corte gonzaghesca di
occupati nell’opra di Palazzo e di Belvedere; non dimeno non me gli distacarò d’intorno ch’io gliela farò finire» (ibidem, p. 103, n. 77). 4 Lettera del 7 luglio 1565: ibidem, p. 108, n. 92. 5 lanciani 1902-1912, vol. 3, p. 244; vaSari 1568, vol. 7, p. 550; «li 12 imperatori che con tanta diligentia erano custoditi in Belvedere da Pio IV, sono stati tutti incassati et si mandano per ordine del Papa a donare al re catholico» (von paStor, 1938-1961, vol. 17, p. 111, nota 1). 6 Nel catalogo della mostra su Ferrante Gonzaga sono stati presentati tre busti d’imperatori che attualmente si trovano nei depositi della Galleria Nazionale di Parma (GaSparotto, in BarBieri - olivato 2007, pp. 130-131, n. 80-82). D’indubbia provenienza gonzaghesca, furono probabilmente acquistati da Cesare Gonzaga sul mercato romano. Per l’attribuzione, Gasparotto esclude il nome di Tommaso Della Porta il Vecchio. I busti parmensi di fatto non reggono il confronto con la serie di Palazzo Farnese eseguita da Tommaso e non credo siano paragonabili alle serie della Galleria Borghese eseguiti da Giovanni Battista Della Porta (cfr. scheda 3). L’«angoloso plasticismo» dei ritratti parmensi, come scrive giustamente Gasparotto, credo vada accostato piuttosto ad alcuni esemplari conservati a Mantova nelle sale del Palazzo Ducale (cfr. rauSa 2008, figg. 7, 19, 21, 22) e tutti di ascendenza romana per i quali credo si possa avanzare l’ipotesi della loro provenienza dalla bottega di Della Porta: Publio Scipione Africano, Pseudo Vitellio e due busti di Tito (ibidem, schede 7, 19, 21, 22).
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Mantova e dei rami cadetti di Gustalla e Sabbioneta e la fiorente bottega romana dei Della Porta, i cui esiti concreti ben si ravvisano nella realizzazione del busto di Ferrante Gonzaga, sopra citato, e nella commissione a Giovanni Battista Della Porta nel 1591 del monumento al duca Vespasiano Gonzaga nella chiesa dell’Incoronata a Sabbioneta (fig. 114).
Dopo aver soggiornato a lungo a Mantova, Cesare Gonzaga volle trasportare la sua collezione nella Galleria delle antichità del Palazzo ducale di Guastalla intorno al 1567-1568 avvalendosi in particolar modo delle competenze dell’antiquario Garimberto, che il 2 novembre del 1567 scriveva al duca:
«(…) non voglio però mancare di scriver questa mia con l’occasione del portatore, che sarà maestro Giovanbattista scultore, nipote del già maestro Thomasino, che col tornarsene a riveder la patria l’ho persuaso venir a basciar le mani di quella, la quale se haverà bisogno dell’opera sua, come credo, nel restaurare et rassetar delle sue anticaglie, la non doverà lassarlo andar più inanci senza fermarlo et servirsene, per esser un valentuomo in quest’arte. Et ella, come ho detto, havendone bisogno, come credo, s’egli è vero, come intendo, che lo sia per far trasportar omia bona della sua Galeria di Mantova in quella di Guastalla»7 .
Giovanni Battista Della Porta, presentato come «nipote del già maestro Thomasino» e «valentuomo» nell’arte del restauro, con l’occasione di tornarsene in patria, avrebbe portato questa lettera di Garimberto al Gonzaga. Da Roma Garimberto continuava la raccolta delle statue «le quali mi sono sobrabondate tanto che fra pochi giorni temo non habbino a cacciar fuor di casa», dialogando con altri collezionisti e amatori come Giovanni Antonio Stampa che si sarebbe presentato a corte «carico di molte belle cose»8 .
In una lettera del 16 giugno 1568, questa volta scritta dall’antiquario Jacopo Strada in quel momento a Venezia, Della Porta veniva raccomandato a Cesare Gonzaga perché andasse a buon fine il «negozio» (riferendosi probabilmente sempre al commercio di antichità) e sarebbe poi dovuto rientrare subito a Venezia per portare a termine un lavoro destinato all’Imperatore Massimiliano II9. Circa
7 Doc. 8. 8 «Et tornando alla pratica dell’antigheria, le dirò c’havendo detto a Giovannatonio Stampa l’intentione ch’ella ha di richiamarlo, servirsene et contentarlo, il buon huomo è intrato in tanta dolcezza che dice voler venir carico di molte belle cose, ma soprattutto di un Scipione Africano bellissimo, con tutta la gola e mezzo il petto, per donarlo a Vostra Eccellenza» (ibidem). 9 campori 1866, p. 50. Negli studi di Franchini sul collezionismo mantovano si fa cenno ad un lavoro di «maestro Giovanni Battista che sta a Roma» che Ulisse Aldrovandi vide nel 1571 nella Camera di Nettuno a Mantova. Si trattava, in particolare, di un «serpe lunghissimo con un tridente involto in esso, fatto di marmore veronese». È plausibile che lo scultore citato dall’Aldrovandi potesse essere il Della Porta. Cfr. franchini 1979, pp. 200-201, nota 115.
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un anno dopo il cardinale Michele Bonelli dava licenza di esportazione a Cesare Gonzaga per «duas marmoreas figuras seu statuas»10. Forse le due statue erano state acquistate nella bottega Della porta, e nel febbraio 1573 lo scultore Giovanni Battista ricevette l’ultimo pagamento sempre per due statue, ma questa volta destinate al duca Guglielmo Gonzaga (cugino di Cesare) per la Galleria dei Mesi nel palazzo ducale di Mantova, edificata ad imitazione della Galleria di antichità che Cesare aveva allestito a Guastalla11 .
Per entrare nelle grazie del duca Vespasiano Gonzaga, anch’egli intenzionato a raccogliere antichità per la Galleria degli Antichi nel suo palazzo a Sabbioneta, Giovanni Battista si presentava con una lettera del 2 febbraio 1583, come nipote di Tommaso e proponeva al duca «una cosa rara (…) per l’eccellenza del Maestro, et poesia», ovvero una «Venere qual volendo compiacere a Marte volse armarsi cacciò mano alla spada»; la statua era antica «eccetto la testa, un braccio et la metà dell’altro et la punta del fodero». Nella lettera lo scultore aggiunse:
«quando non sia a suo gusto la si degnerà favorirme farmene scrivere che ne pigliarò recapito appresso a qualche Signore et quella havrà cognosciuto et conoscerà il desiderio mio che ho de servirla offerendomele a ogni gusto di quella provederla di altre statue d’Herculi, Bacchi, Imperatori et Imperatrici belli et di altre statue di grandezza naturali et maggiori quali al presente si trovano appresso di me che con facilità si condurrebbono a Vostra Eccellenza IIlustrissima in carri sino in Ancona, con che humilmente le fo reverenza»12 .
Giovanni Battista faceva omaggio al duca Vespasiano aspirando in realtà al suo clienterato. La statua di Venere era stata proposta qualche anno prima, per il tramite di Giovanni Antonio Dosio, al granduca Francesco I de’ Medici13. Veniva indicata nella licenza di esportazione di marmi antichi da Roma del 31 gennaio 1583 e sarebbe arrivata a Sabbioneta grazie al noto collezionista veronese Mario
10 mercati 1927-1929, pp. 113-121: 117. 11 ASM, b. 910 (Brown 1987, pp. 32-58, 52, n. 19). Sempre nel 1573 il nome di Della Porta compare nelle lettere di Alessandro Grandi nella lista degli uomini d’arte: «Lista di gentil’Huomini come d’huomini dell’arte: Ms. Tomao del Caval: gentiluomo romano. Ms Flaminio galgano Ms Dedalino romani. Ms Fabio antiquario romano. Ms Severo Severi già Segretario dell’Illustrissimo Cardinale Sermoneta. Ms Giovanni Federico Gianzani frate del piombo. Ms Giovanni Battista della Porta che vendé la Tavola del pidocchioso all’Eccellentissimo Signore Duca. Mro Andrea Scoltore. Maestro Flaminio Scoltore. Maestro Leonardo scoltore. Lettere di Alessandro Grandi al conte Scipione Sacrati» (doc. 47). 12 campori 1866, p. 64, n. LXXIII. 13 Cfr. doc. 71: «il Cavaliere Della Porta, scultore in Roma, ha dua figurette antiche di un braccio e mezzo di grandezza, che sono una Venere e un Marte, le quali le vole vendere, che ne ha scritto qua a Messer Giovanni Antonio Dosio, che le manderebbe se Sua Altezza Serenissima se ne contentava».