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3. La bottega Della Porta nel mercato delle antichità
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le «teste di metallo»49, spera nello stesso mese di poter far visita al duca di Parma e conclude ricordando di salutare «il virtuoso horefice et altri amorevoli dell’arte disegnatoria». A quale orefice Guglielmo si riferisse dandogli anche l’appellativo di «virtuoso» non è noto. Di certo dovette trattarsi di un artista che in quel momento lavorava a Parma per Ottavio Farnese e che Guglielmo può aver conosciuto a Roma. Il più lodato fra gli orefici dal Della Porta fu Antonio Gentili da Faenza suo allievo, ma non abbiamo notizie di lavori di oreficeria o numismatica eseguite per il duca di Parma e Piacenza50. Alessandro Cesati detto il Grechetto condivise con Giovan Giacomo Bonzagni la carica di incisore della zecca papale e a partire dal 1554 ebbe accanto Federico Bonzagni51. Riaperta la zecca di Parma da Ottavio Farnese per i coni delle monete fu chiamato il Cesati52. A lui prodigarono lodi nomi autorevoli come Vasari e Michelangelo53 ma non può essere quel «virtuoso orefice» citato dal Della Porta poiché nel giugno del 1574, in una lettera, già si parla del Cesati al passato54. Sappiamo che Federico Bonzagni fu spesso a Parma per incidere i conii delle medaglie di Pier Luigi e Ottavio Farnese richiamato anche da Margherita d’Austria moglie di Ottavio e che morì a Parma (e non a Roma) nel maggio 158855. Una lettera inedita di Federico del 27 marzo 1573 indirizzata al duca Ottavio ci conferma il suo legame con la corte di Parma, nella lettera è citato anche un certo «Andrea orefice» già al servizio del duca:
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49 Sulla vendita di statue in bronzo di Guglielmo Della Porta al duca di Parma: jeStaz 1995, pp. 49-67. 50 Sui medaglisti che lavorarono per Ottavio Farnese uno studio specifico è quello di marini 1913, pp. 145-159. Più in generale sugli artisti che lavorarono per Ottavio Farnese cfr. De Grazia 1992, pp. 265-275; meijer 1988. Su Antonio Gentili da Faenza: GramBerG 1960, pp. 31-52; GriGioni 1988, pp. 84-118; cipriani 1999, pp. 180-182; DickerSon III 2008, pp. 25-72: 37-39; kuBerSkypireDDa 2013, pp. 103-127. 51 BalBi De caro 1980, vol. 24, pp. 229-231 e bibliografia; piGorini 1872, pp. 8-13; armanD 1879, pp. 102-103. Cesati lavorò fra il 1530 e il 1564 per Paolo III, Pier Luigi Farnese, Alessandro e Ottavio Farnese. calveri 2000, pp. 349-354. 52 BalBi De caro 1980, vol. 24, p. 230. 53 vaSari 1568 (1967), vol. 5, pp. 385-386. Da una minuta non datata del cardinal Farnese al Commendator Cornaro in Cipro si legge: «Tra gli miei più cari servitori, et de’ quali io mi vaglio maggiormente et con più soddisfattione è M. Alessandro Cesati, un giovane molto virtuoso et molto intendente di gioie et di disegno». ronchini 1864, p. 4. L’attuale collocazione archivistica è ASP, Epistolario scelto, b. 23, fasc. 11. 54 La lettera, datata 5 giugno 1574, fu scritta da un certo Scaramuccia ad Ottavio Farnese ed è citata in ronchini 1864, p. 10, nota 5. 55 Come si apprende dal compromesso stipulato dai tre nipoti in data 22 ottobre 1588: ASR, Trenta Notai Capitolini, uff. 19, b. 19, cc. 458-460 cfr. pollarD 1970, p. 481; SpinoSa 1996, p. 284; marini 1913, p. 161, nota 1.
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«Ill.o et Ecc.ll.o Signor mio, ho avuto per grandissimo favore che V. Eccellentia si sia degnata di commandarmi come ad amorevole et fedele vassallo che io gli sono, V. Eccellentia mi commanda che io sia con m. Andrea suo orefice per mostrargli della professione mia qualche cosa, veramente m’incresce pur assai, che io non sappia quanto vorrei per far utili a lui et servir a V. Ecc.ta. Imperò di quel poco che io so a lui et a ogni altro suo servitor, sero sempre pronto ad operarmi in ogni guise, pregandola che di continuo si degni commandarmi, con che io bascio humilmente le mani di V. Ecc. augurandoli lunga e felice vita. Roma il di 27 marzo 1573. Di V. Ecc. Fidel, Servitore Federico Bonzagno frati del Piombo»56 .
Se riconosciamo un legame fra Guglielmo Della Porta e Federico Bonzagni allora l’asserzione del Baglione nella biografia di Giovanni Battista Della Porta che lo vuole servitore del cardinale Alessandro Farnese e della sua casa, dopo esser morto Fra Guglielmo, induce a pensare che Giovanni Battista conobbe i Bonzagni nel contesto dei lavori per la corte Farnese a Roma57. Dubbia, ma non da escludere, è l’ipotesi che la frequentazione fra il medaglista Federico Bonzagni e Giovanni Battista Della Porta possa essere avvenuta nel contesto di casa Farnese; documentata è invece la loro partecipazione alle congregazioni della Compagnia di San Giuseppe di Terrasanta, com’era nominata l’attuale Pontificia Insigne Accademia di Belle Arti e Lettere dei Virtuosi del Pantheon, dove i due compaiono per la prima volta nello stesso anno 1575. Un circolo di pittori, scultori, architetti, ma anche maestri «dell’arte metallaria, lignaria e fusoria e delle diverse arti»58 che, se pur legato a cerimonie religiose, garantiva puntuali occasioni d’incontro. Solo «huominj excellentissimi tanto in architettura, scoltura, et pittura, quanto in ogni altro exercitio degno di alti ingegni»59 avrebbero potuto riunirsi in sodalizio nel Pantheon. Nel 1549 risulta membro Gu-
56 ASP, Epistolario scelto, b. 23, fasc. 4, c. 4. Ringrazio Grégoire Extermann per avermi anticipatamente segnalato il documento. Presso l’Archivio di Stato di Parma ho consultato il Carteggio Farnesiano estero per gli anni 1574-75-76 ma non ho trovato traccia di Federico Bonzagni. Nel 1577 è a Roma e scrive ai signori Anciani di Parma come risulta da questa lettera inedita: «Molti Mag.ci S.ri et Patroni Hon. | Aviso le s.rie vostre come io havuto una sua per conto di quelle R.da madre dela campana et mi sieno anco una suplica da presentar al Papa, circa, il presentar detta suplica, io non me ne voglio, in piaciare per che so che io non naverei honor S.S.ta mi diria, che io andasi ala congragationi dili vescovi, dove già mi son travagliato altre volte per questa R.da madre, et ancora M.Giovanni Domenico Amitta, dottor parmigiano et mio nipote hanno solicitato più di sei mesi con ogni diligenza et favore et non hanno mai potuto ottenere più di quello che essi scrisero a dette monache, si che per tanto, a me pare che non vi sia la miglior via che andar dal nostro Ill.mo vescovo di Parma; vie qui in Roma uno frate Valerio guardiano di S.to Apostolo, ordine franceschino che mi a solicitato. Io sarò con lui et tutto quel io potuto far dal conto mio non mancherò et con questo farò fine basando le mani per infiniti ale S.V.re | Di Roma ali 18 di dicembre 1577 | Dallo S. V.re servitor | Giovanni Federico Bonzagno frati del piombo». ASP, Antica Comunità, Autografi illustri, b. 4394, s.n. 57 BaGlione 1642, vol. 1, p. 74. 58 tiBeria 2000, p. 25. 59 Ibidem, p. 20.
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glielmo Della Porta e l’anno successivo Tommaso Della Porta il Vecchio, chiamato «scultore milanese»60. Il 14 agosto 1575 parteciparono alla congregazione tredici confratelli fra cui Marcello Venusti, Flaminio Vacca, Giovanni Battista e Tommaso Della Porta il Giovane e «Giovanni Federico del Piombo», reggente nel 157661. La presenza di Lorenzo Fragni è registrata la prima volta l’8 febbraio 1579 e fra i ventitre confratelli compaiono lo zio Federico e Giovanni Battista Della Porta62 .
Insieme a diverse teste e busti in marmo, nell’inventario del Fragni sono ricordate ventitre medaglie «fatte all’antica» probabilmente provenienti dall’eredità dello zio Federico. L’Aldini nelle Istituzioni glittografiche (1785), Zaccaria nell’Istituzione antiquario-numismatica (1793), Vermiglioli nelle Lezioni di archeologia (1823) citano Lorenzo Fragni tra i più abili contraffattori di medaglie antiche63 . Leopoldo Cicognara, nel capitolo sulla numismatica ed i lavori in metallo, fra gli artefici parmensi ricorda Giovan Giacomo e Federico Bonzagni come «famosissimi» falsari citando le lodi che ne fece il contemporaneo Enea Vico:
«Ma Giovan Jacopo di costui fratello, che oggi per merito della sua virtù tiene in Roma l’ufficio del segnare il piombo, ha superati tutti i moderni in così fatte arti: della cui maniera chi grandemente non è pratico, resterà facilmente ingannato, e le sue medaglie prenderà per antiche»64 .
Sembrano risuonare le parole di Vasari nel breve cenno a Tommaso il Vecchio inserito nella biografia di Leone Leoni:
«particolarmente ha contraffatto teste antiche di marmo che sono state vendute per antiche, e le maschere l’ha fatte tanto bene, che nessuno l’ha paragonato, (…) Nessuno di questi imitatori delle cose antiche valse più di costui, del quale m’è parso degno che si faccia memoria di lui tanto più quanto egli è passato a miglior vita, lasciando fama e nome della virtù sua»65 .
60 Ibidem, pp. 96, 104, nota 57. Lo scultore è erroneamente confuso con Tommaso Della Porta il Giovane per l’esecuzione della statua bronzea di San Pietro sulla colonna Traiana. 61 Ibidem, pp. 129-131, nota 82. I tredici confratelli sono: «Battista battirolo, Giambattista Raimondi, Giovanni Federico del Piombo, Marcello Venusti, Lucio da Todi, Cesare Tarcone, Giambattista Della Porta, Flaminio Vacca, Antonio Batacchioli, Tommaso Della Porta, Durante Alberti, Lorenzo De Ferrari, Mario Labacco» (ASVPR, I libro delle congregazioni 1547-1597, f. 34v). Ibidem, p. 25. 62 Ibidem, p. 144. Dal 1597 al 1602 Lorenzo Fragni viene richiamato più volte dai membri della Compagnia per la restituzione di una dote lasciata dallo zio Giovan Federico (ibidem, pp. 107-139). 63 Le fonti sono citate da ronchini 1874, pp. 327-328. 64 vico 1555, la citazione è in cicoGnara 1825, vol. 5, cap. 7, p. 453. Nell’epigrafe sepolcrale eretta a Roma nella chiesa di San Rocco per Giovan Giacomo Bonzagni gli si attribuisce il titolo di «antiquorum numismatum imitator excellentissimus». ronchini 1874, p. 328. 65 vaSari 1568, vol. 7, pp. 550-551.
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L’abilità nel simulare l’antico si riflette anche nella rigidità stilistica dei ritratti realizzati da Giovanni Battista Della Porta, e ugualmente nelle medaglie di Federico Bonzagni e Lorenzo Fragni: i tratti fisionomici degli effigiati sono piuttosto attenuati da uno stile «freddo e accademico»66 .
Uniti da interessi comuni, dalla raccolta di marmi e medaglie antiche alla riproduzione degli stessi, l’attività di Giovanni Battista Della Porta e quella di Lorenzo Fragni vanno dunque lette nel contesto delle rispettive tradizioni familiari innestate a Roma già negli anni quaranta del Cinquecento.
66 Come scrive panvini roSati 1996, vol. 4, p. 340.
2
Nel Trattato dell’erudito e teologo cremonese Pietro Martire Felini (1610) sono elencate le più note collezioni private al tempo del pontificato di Paolo V Borghese fra le quali quella del Cavaliere Della Porta:
«In casa poi de molti Cardinali, e altri signori Titolati, e particolari sono de belle cose, come statue, Antichità, e altre cose degne d’essere viste, come un Cavallo di bronzo molto nobile nel palazzo del Rucellai su’l Corso, belle statue, e altro nel palazzo del Duca Altemps, in casa del Cavalliere della Porta pur nel Corso, in casa di Monsignor Verospi, in quella di Monsignor Strozzi, e d’altri infiniti, quali per brevità si lasciano»1 .
Situata all’angolo fra via del Corso e via dei Pontefici (fig. 7), la bottega della Porta, gremita di statue, busti, marmi antichi, era ormai considerata, ai primi del Seicento, fra i luoghi a Roma che una guida doveva citare, dove poter ammirare antichità «degne d’essere viste»2 .
Il primo fra i Della Porta a raccogliere statue antiche fu probabilmente Giovanni Battista. Ne dà prova la lunga «Nota delle statue del Cavalier Giovanni battista della Porta scultore» registrata negli atti del notaio Alessandro De Grassi alla data 14 aprile 15923. Si tratta di una lista di statue «antiche et alcune restaurate
1 felini 1610, p. 221; per ulteriori notizie sulla fonte: cereSa 1996, pp. 92-94. 2 Riferimenti bibliografici per la storia della collezione Della Porta sono: Graeven 1893, pp. 236245; De lachenal 1982, pp. 49-117; kalveram 1995, pp. 11-16; moreno - viacava 2003; in ultimo il catalogo della mostra I Borghese e l’antico, curato da coliva - faBréGa-DuBert - martinez - minozzi 2011 in particolare il saggio di GaSparri 2011, pp. 75-87 e bibliografia. Inoltre l’argomento è stato trattato da chi scrive in occasione del convegno sui Marmi policromi. Il gusto del colore nella scultura dal XVI al XIX secolo (Roma 2012), a cura di Grégoire Extermann - Ariane Varela Braga, Istituto Svizzero, Roma, di cui gli atti sono in corso di pubblicazione. 3 Doc. 88.
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in qualche parte» che Giovanni Battista compilò per Lorenzo Fragni4. L’elenco è preceduto dal mandato al Fragni per la riscossione dei compensi per dei lavori realizzati da Della Porta: trenta scudi da Giulio Scala (dieci scudi al mese da aprilegiugno)5, cinquantanove scudi dagli eredi del Cavaliere Alessandro Guarnello per la memoria in Santo Spirito in Sassia (fig. 10), venti scudi dal collezionista Riccardo Riccardi per «le doi teste de philosophi et li tre episcophi», e altri conti sospesi:
«Rescoter anco scudi 3 b. 25 da mr. Paulo emilio Vigevano quale dice pagarli alli 18 del presente. Pagarete scudi 20 al figliolo de m.o francescho devosi p. pagar p. ordine del suo pro. ratore essene fara far quietanza al detto figliolo bastano. A m.o Polito lascio a lavoro et li do cinque guilij d’argento il di A. Pompeo il Medesimo lavorava et li do Julij 3 1/2 il dì; de quali basta darne la metà di quello lavoreranno che così si contentano. Li lasso Ampia et missione che venendo occasione di vendere tutto o in parte delle mie antiquità conforme a una lista et suoi prezzi. Mi contento si di […] 15 o 20 per cento la qual lista è sottoscritta di mia mano. Pagarete il numero delle migliaia delle Canne per la Vigna a 14 Giulij al migliaio de argento al nepote che fu de Gio: Paulo orefice del quale haveva le canne al mio servitore»6 .
Nella lista di antichità, che sarebbe servita al Fragni in occasioni di vendite, vengono descritte più di quaranta statue antiche, frammenti, tavole, colonne e vasi con precisazioni sul soggetto, le dimensioni (in palmi) e il valore (in scudi). Grazie a questo documento da me rinvenuto, cronologicamente il primo sulla storia della collezione, è possibile farsi un’idea concreta delle antichità citate nel testamento di Giovanni Battista del 1590 che egli destina interamente ai fratelli, Tommaso e Giovanni Paolo7. Poiché gli stessi pezzi ricompaiono negli elenchi successivi si
4 «Ricordo a messer Lorenzo Frangi mi facci appiacere di riscotere l’infrascritti denari». Ibidem, c. 496r. 5 «Dal S.r Giulio Scala scudi trenta in questo modo cioè. Alla fine del presente mese d’aprile scudi dieci alla fine maggio scudi dieci e alla fine de giugno scudi 10 et tutto sia in un mandato qualsiasi diretto a m.r Fabrizio Gatti nostro notaro de Ripetta» (ibidem). Negli atti di Fabrizio Gatto consultati in ASR non è stato rinvenuto il mandato di cui si fa menzione: ASR, Collegio dei Notai Capitolini, notaio Fabritius De Gattis, b. 839 (documenti dal 1581-1592) e 840 (1592-1599). 6 Doc. 88, cc. 496r-v. Su Riccardo Riccardi (1558-1612) cfr. SalaDino - Buccino 2000, pp. 7-27. 7 Nel testamento Giovanni Battista specifica la parte di eredità lasciata alla moglie Elisabetta Mariottina ad eccezione delle «figure et statue di pietra, marmo, metallo, o altra sorte, qualità quantità genere et spetie se siano et loro fragmenti stigli Marmi, Pietre, ferri, Medaglie di qualunque sorte, e tutte altre et singole cose concernente et pertinente alla scoltura, oro et argento monetato, e crediti da riscotersi, quali tutti sempre se intendano reservati et non compresi in conto alcuno nel sopradetto legato de mobili, quale legato essa madonnaa Elisabetta, sel possa pigliar da se stessa e de sua propria autorità senza altra licenza delli heredi infrascritti» (doc. 83, cc. 20v-21r). Più avanti è scritto: «[Giovanni Battista] instituisce fa et vole che siano suoi heredi universali li Magnifici Signori Giovan Paolo et Thomasso della porta suoi fratelli carnali». Ibidem, c. 22r.
LA COLLEZIONE DELLA PORTA E LE SUE VICENDE FINO A VILLA BORGHESE 163
deduce che nessun’opera fu venduta fino al 1609. Poco dopo la morte di Giovanni Battista, occorsa nel 1597, fu probabilmente Tommaso ad incrementare la collezione proponendola all’attenzione del duca di Mantova, Vincenzo Gonzaga, e di Carlo Emanuele di Savoia8. Presto arrivarono proposte di acquisto, ma di fatto quel gruppo di antichità in cui spiccava, per pregio e qualità, l’Orante del Louvre (fig. 118), non andò oltre i confini del rione di casa Della Porta, Campo Marzio, poiché fu poi venduto nel 1609 dal fratello minore di Tommaso, Giovanni Paolo, ai Borghese che lì avevano il proprio Palazzo9. L’operazione commerciale fu assolutamente illegittima poiché Tommaso aveva disposto nel suo testamento del 1606 che la collezione, destinata al fratello Giovanni Paolo, non poteva essere alienata10. Nello stesso testamento ne aveva indicato il valore: due milioni d’oro, ma riconosceva che, essendo i tempi «miserabili», poteva essere battuta sul mercato a cinquantamila scudi11. Dopo la morte di Tommaso (24 novembre 1606), la collezione venne nuovamente inventariata: più di 700 pezzi, quasi esclusivamente opere in marmo, tra cui molte lastre colorate12; ma la lista non è completa poiché alcune pagine dell’inventario del 3 marzo 1607 sono state brutalmente strappate. Qualche anno più avanti, Giovanni Paolo, spinto dall’esigenza di trasformare la sua eredità in denaro, riuscì a vendere la collezione, tramite alcuni intermediari, al
8 furlotti 2003, pp. 309-311, doc. 390; pp. 316-317, doc. 399; waźBińSki 1994, vol. 1, p. 544. 9 Il cardinale Pietro Aldobrandini, ad esempio, si mostrò subito interessato all’acquisto della raccolta, come racconta Giulio Cesare Foresto, agente del duca di Mantova a Roma, in una lettera del 4 novembre 1600 indirizzata al consigliere Annibale Chieppio: «Queste statue so che con la volontà sono, si può dir, impegnate all’Illustrissimo Aldobrandino il quale l’ha considerate già et vi disegna sopra grandemente ma non è mai venuto a risoluzione alcuna, perché ancora non ha comprato il pallazzo» (furlotti 2003, p. 310). Giulio Cesare Foresto già nel luglio del 1600 inviava al consigliere Annibale Chieppio la lista delle sculture antiche che componevano lo studio di Giovanni Francesco Peranda (segretario di Casa Caetani) poiché il duca Vincenzo Gonzaga desiderava ornare la sua galleria di antichità, e intanto raccoglieva altre proposte di acquisto, come la collezione della bottega Della Porta. Vincenzo I Gonzaga fu però dissuaso dall’acquisto della collezione perché l’ingente numero di pezzi, non tutti di buona qualità, avrebbe comportato seri problemi di trasporto. Ibidem, p. 67, nota 218. 10 «(…) ordino e voglio che sia herede Universale, e succeda in tutta la mia heredità messer Giovanni Pauolo della Porta, mio fratello carnale, con espressa prohibitione di poter vendere, overo alienare, ancor in qualsi voglia minima parte di essa mia heredità se non ad effetto de reinvestirla come si è detto di sopra, e de frutti dedutti però li legati sopradetti, esso messer Giovan Pauolo ne sia libero et assoluto padrone et de quelli ne possa disporre ad ogni suo volere, e cosi li suoi figliuoli legitimi però e naturali, e descendenti per linea retta masculina legitima e naturale, ma non legitimati dal Prencipe, overo altra persona, overo per subsequente matrimonio né meno adottati mà descendenti e nati, ex proprio corpore dì detto messer Giovanni Pauolo mio fratello» (panofSky 1993, p. 155). 11 Ibidem. 12 Doc. 114 (trascrizione integrale). La segnatura archivistica è indicata in panofSky 1993, p. 142, nota 154, il documento è analizzato alle pp. 142-143.
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pontefice Paolo V al prezzo sicuramente sottostimato di 6.000 scudi e il contratto si chiuse il 2 ottobre 160913. Un esito che indusse Baglione a scrivere:
«ond’esso [Tommaso] avendo nelle mani tanta quantità di statue e d’anticaglie, tennesi il maggior uomo del mondo, e cominciò (come si suol dire) a far castelli in aria; e valutava quelle statue più di 60 mila scudi, e con questo presupposto fece testamento, e a diversi luoghi pii, e per fondar Seminarii e simil cose lasciò di legati più di 60 mila scudi. Ma essendo morto il fratello Tommaso, Giovanni Paolo volendo far esito delle statue, non ne trovò se non sei mila scudi a fatica; e il gran testamento andossene in fumo»14 .
Vicende simili sono testimoniate dai molti documenti noti sui collezionisti di antichità che cercavano di vendere al miglior prezzo. Come raccontano gli avvisi, l’acquisto della collezione Della Porta da parte dei Borghese generò una lunga controversia che coinvolse, oltre tutti gli eredi, anche la Reverenda Fabbrica di San Pietro che sin dal tempo di Leone X era chiamata a vegliare sui Legati Pii15. In quell’occasione la collezione fu inventariata a due riprese per un totale di circa quattrocento statue, antiche e moderne, e una ricca campionatura di marmi colorati16 .
Certamente la collezione Della Porta per la varietà e preziosità dei materiali si segnala da più punti di vista. L’importanza e la ricchezza della collezione sono percepibili dagli inventari che vennero compilati nell’arco di vent’anni, fra il 1592 e il 1613. Nella prima lista dell’aprile 1592 sono elencati molte statue a grandezza naturale o maggiori del naturale di imperatori o figure mitologiche; ritratti, frammenti di fontane, quattro colonne gialle, due tavole di alabastro, un vaso istoriato, ed, in tutta la sua grandiosità, la statua in porfido, così descritta:
«Una statua di Porfido vestita di Grandezza maggior del naturale cioè di palmi 10 qual può servire per Vergine Maria in tre modi cioè Annunziata, Ammirativa et il figlio in braccio, et Assunta. Può servire anco per una Santa Vergine facendoli la sua impresa in mano per Città o per Provincia scudi 2000»17 .
13 Il Papa, cinque giorni dopo, la cedette al fratello, Giovanni Battista Borghese: kalveram 1995, p. 12, nota 34. L’epilogo francese si deve a Camillo Borghese, marito di Paolina Bonaparte, allorché il 27 settembre 1807, consegnò molte antichità alla Francia, e l’anno dopo furono trasportate a Parigi. panofSky 1993, pp. 149-152, in part. 152. 14 BaGlione 1642, vol. 1, p. 152. 15 L’intera controversia giuridica è analizzata in dettaglio da panofSky 1993, p. 155. 16 ASV, Archivio Borghese, 346, n. 32, 1609, s.n. «Compra fatta da Gio. Batta Borghese di molte statue, et pietre provenienti da Giovanni Paolo Della Porta e Suo Breve di conferma di Paolo V»: De lachenal 1982, pp. 92-94, appendice Vb. ASV, Archivio Borghese, 456, Mazzo 17, n. 2 «Statue e marmi dell’Ecc.ma Casa Borghese. Doi Inventarii delle statue e pietre di Giovanni Paolo Della Porta»: ibidem, pp. 87-92, appendice Va; kalveram 1995, pp. 147-151. 17 Doc. 88, c. 497v, n. 21.