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2. La famiglia degli scultori Della Porta
GIOVAN BATTISTA DELLA PORTA E LE OCCASIONI DEGLI SCULTORI
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ritratto del cardinale Enrico, ma non si può escludere che fra gli ancora sconosciuti protagonisti di alcuni suoi dipinti potremo identificare altri componenti della famiglia, magari una delle dame di casa, devote e intraprendenti nell’attività artistica – come indica la cappella della Madonna della Strada alla Vallicella con dipinti di Pulzone e Valeriano. Mentre a Siciolante, ritrattista di un classicismo a composizione mista, potrebbe appartenere il ritratto femminile, già in palazzo Caetani a Botteghe Oscure, purtroppo noto solo da una mediocre fotografia, che Adriano Amendola (2010) riferisce a Pulzone e identifica con Isabella Caetani.
Nel catalogo delle opere di Della Porta, ben costruito anche con nuove acquisizioni da Giovanna Ioele, compaiono lavori per cardinali e signori o per opere papali. Nel gruppo sistino domina il formidabile apparato marmoreo della cappella in Santa Maria Maggiore, trionfo dell’ultimo valoroso manipolo della scultura cinquecentesca a Roma, dove collaborano anche Sormani, Valsoldo, Olivieri, Antichi, Vacca. Ho già scritto (2012), sulle affinità e differenze della sfortuna della pittura e della scultura del tardo Cinquecento, anche collegata alle sfolgoranti presenze di Algardi e Bernini, di Carracci e Caravaggio. In questa occasione mi sembra naturale scegliere il busto di Onorato Caetani, scolpito da Della Porta, come espressivo esempio di quella ricca produzione per decenni messa tra parentesi come opera di bravi scalpellini o poco più. Con la sua ruvida, quasi ferina presenza, esaltata dalla resa tecnica e cromatica, il busto mette sotto gli occhi quanto quegli scultori fossero avanzati nella ricerca di una verità fragrante del ritratto immediatamente coinvolgente. È chiaro che una sempre più approfondita conoscenza della scultura del pieno Cinquecento risulterà certamente utile per fluidificare sempre meglio il passaggio a Algardi e a Bernini, nulla sottraendo alla loro sublime diversa qualità. È anche vero che alcuni ritratti di Giovan Battista, come quello, di fine resa, di Onofrio Camaiani possono apparire ‘ineloquenti’, carattere sottolineato da Ioele, ma credo che l’ineloquenza, così frequente nello statuto della scultura – e di molta pittura – del tempo, debba considerarsi come risultato di una generale tendenza al controllo degli effetti e quindi come una delle forme della ricorrente aspirazione ad uno stile ‘classico’ di ordine e armonia.
Giovan Battista Della Porta era anche un conoscitore di marmi e pietre pregiate e un virtuosistico creatore di commessi marmorei, come mostrano le sue opere e come raccontano i documenti, pubblicati nel libro, nei quali sono precisati dettagliatamente forme, colori e qualità dei materiali (ed anche i prezzi), innanzitutto quelli pertinenti la cappella Caetani a Santa Pudenziana, opera di punta del nuovo gusto polimaterico e politecnico per il rutilante dispiegamento delle arti del marmo, della pietra e dello stucco – e dell’affresco – sotto l’insegna dell’antico classico e paleocristiano (Sapori 2012). È un gusto che si sviluppa particolarmente in questo periodo e ad esso si lega un altro settore della attività e delle abilità degli scultori e dei loro teams, la produzione degli studioli, dei tavoli ed altri arredi commessi di pietre pregiate e anche ornati di statuette e rilievi in metallo. Magnifici esemplari creati a Roma tra Cinquecento e Seicento per le grandi famiglie romane e migrati in numero
xii PREFAZIONE
sorprendente in Inghilterra già all’epoca dei Grand-tourists, sono oggetto di un bel libro di S. S. Jervis e D. Dodd (Roman Splendour. English Arcadia. The English taste for Pietre Dure and the Sixtus Cabinet at Stourhead, Londra 2015). La dice lunga il fatto che un capolavoro come il monumentale, lussuosissimo studiolo di Sisto V (Stourhead, Witshire, National Trust), già nella galleria di villa Peretti Montalto, analizzato a fondo nel libro anche dal punto di vista dei modelli, della costruzione, delle tecniche e dei materiali, sia un’opera senza nomi. Fra gli artisti che sono stati chiamati in campo per le piccole statue in bronzo compaiono personalità, i cui nomi ricorrono nella monografia su Giovan Battista Della Porta, oltre a Guglielmo Della Porta, quelli di Cobaert, i cui modi mi sembra possono effettivamente riconoscersi in una parte dei bronzetti, di Flaminio Vacca e Pietro Paolo Olivieri, che con Giovan Battista Della Porta lavorarono alla mostra della Fontana del Mosé. Mi sembra utile perciò riproporre all’attenzione un tavolo di commessi ancora a Palazzo Caetani (L. Gori, in «Bollettino della Fondazione Camillo Caetani», 2013, pp. 36-38) da aggiungere al consistente gruppo di produzione romana pubblicato da Jervis e Dodd.
La pratica quotidiana, diretta, tattile di Giovan Battista comprendeva anche i materiali antichi, egli esercitava occhi e memoria per scegliere, valutare colori, superfici scabre o polite, venature e difetti, patine, forme e tagli per attacchi e assemblaggi. Era frequente che lo scultore, basta ricordare – restando in famiglia – Gugliemo Della Porta, fosse anche un restauratore e un mercante di sculture antiche e Giovan Battista divenne uno dei più reputati conoscitori antiquari al quale ricorrono anche i Caetani e i Gonzaga. Giovanna Ioele si è dedicata sia alla ricerca sul campo, a cominciare dalle chiese romane e non, sia a quella di archivio riunendo e rivedendo documenti già trascritti o solo segnalati e aggiungendone molti nuovi, documenti che con la loro straordinaria ricchezza di dati formano un bedrock che si allarga da Della Porta ad un’area molto più estesa. Inventari e lettere offrono un ricco contributo alla conoscenza della raccolta di antichità che straripava dalla casa di Giovan Battista e per la quale gli eredi chiedevano una somma enorme. È indicativo che tra gli aspiranti compratori Aldobrandini, Gonzaga e Borghese fu quest’ultimo a prendere il blocco dei pezzi più strepitosi. Altri documenti aiutano ad approfondire la conoscenza del mercato romano. Qui voglio sottolineare come vi emerga anche qualche tratto delle pratiche disinvolte, degli espedienti e dei luoghi comuni di Della Porta mercante (ed evidentemente di altri), talvolta messi allo scoperto. Se al gran cliente Gonzaga nel 1583 egli offriva una Venere «anticha eccetto la testa, un braccio e la metà dell’altro et la punta del fodero», cioè poco più di un torso, c’era chi pensava che sui prezzi da lui richiesti «si può credere che il Cavaliere si tenga molto alto, come è solito in tutte le cose» o ironizzava su alcune sue «figurette rare e da principe, che le stima più di tutte le altre cose insieme e salvarle e goderle per suo diletto e simili altre novelle da ridere» (lettera di Diomede Leoni a Jacopo Serguidi, 1581).
Giovanna Sapori
INTRODUZIONE
Nel ricco e trascurato settore di ricerca della scultura a Roma nella seconda metà del Cinquecento s’inserisce questo studio monografico su Giovanni Battista Della Porta intrapreso su suggerimento di Bruno Toscano, presidente della Fondazione Camillo Caetani. La fiorente attività della bottega Della Porta, strettamente legata alla famiglia Caetani e ad altri autorevoli mecenati, come Ippolito d’Este, Sisto V, Vespasiano Gonzaga, raggiunse un ruolo di assoluta preminenza nel virtuosistico allestimento di apparati decorativi marmorei policromi e nello stesso tempo nel restauro e nel mercato di antichità. I risultati delle mie ricerche mettono in luce quanto il caso Della Porta sia altamente indicativo di un aspetto del panorama romano del secondo Cinquecento. Nel delineare la complessa personalità di Giovanni Battista Della Porta, scultore, restauratore, collezionista, architetto, profondo conoscitore dei materiali lapidei antichi e moderni, il mio lavoro si propone di contribuire alla nuova stagione di studi sul tema più ampio della scultura del secondo Cinquecento romano non ancora oggetto di un repertorio sistematico.
Questo lavoro è il risultato delle ricerche avviate nel triennio dottorale (2006-2009) che ho svolto presso l’Università degli studi Roma Tre grazie al sostegno della Fondazione Camillo Caetani di Roma. La tesi di dottorato ha ricevuto il premio Ornella Francisci Osti che mi ha consentito di proseguire le ricerche. Sono grata innanzitutto al presidente della Fondazione Caetani, professore Bruno Toscano, e alla dottoressa Caterina Fiorani, direttrice dell’Archivio Caetani, per avermi dato l’occasione preziosa di pubblicare il volume inserendolo nella collana Arte, Archeologia e storia urbana curata dalla professoressa Giovanna Sapori, guida sapiente per le mie ricerche, acuta, sollecita e saggia nella revisione delle bozze. Inoltre ringrazio i colleghi e le istituzioni ospitanti che mi hanno aiutato concretamente in questi anni, in particolare Grégoire Extermann, per le intelligenti osservazioni nei lunghi colloqui, e Livia Nocchi, amica attenta e disponibile, per l’entusiasmo nella condivisione reciproca dei risultati. In una nota letta poco tempo fa, il professore Luigi Spezzaferro auspicava una ricerca in tale direzione; a lui dedico questo lavoro nel vivo ricordo dell’ultimo forte abbraccio il giorno dell’ammissione al dottorato.
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Già nel 1954 Valentino Martinelli, in apertura al saggio su Flaminio Vacca (altro protagonista accanto a Della Porta), spiega in breve le radici del deviante giudizio critico che ha declassato in blocco gli scultori della tarda maniera romana osservati «alla luce troppo viva dei capolavori del primo Cinquecento o di quelli ancor più abbaglianti del secolo successivo»1. L’operato di Giovan Antonio Dosio e Camillo Mariani è stato oggetto di studi che ricalcano l’esempio dei due volumi di Sylvia Pressouyre dedicati allo scultore francese Nicolas Cordier e che definiscono la scena romana nella ricostruzione logica del mercato dell’arte, del funzionamento delle numerose botteghe, dell’incidenza dei mecenati2. Segnali, dunque, di un’attenzione recentissima sulla scultura, che indicano un’inversione di tendenza nel diagramma della letteratura sull’arte. Difficile però stare al passo con le numerose pubblicazioni sui pittori, disegnatori e incisori del Cinquecento romano. L’attuale disorganicità degli studi è certo l’esito di un pregiudizio storico: dalla celebre disputa del paragone fra le arti indotta dal Varchi in cui la pittura era ritenuta superiore alla scultura, al ‘vizio’ di valutazione, già della critica seicentesca, di considerare la scultura del Cinquecento all’ombra delle opere di Michelangelo e Gian Lorenzo Bernini. Eppure artisti come Guglielmo Della Porta, Flaminio Vacca, Alessandro Cesati, Leonardo Sormani, Prospero Antichi, Giovanni Antonio Paracca, Giovanni Battista e Tommaso Della Porta seguirono solo in parte le soluzioni formali di Michelangelo, né possono essere considerati precedenti di Bernini se non per ragioni cronologiche. Attorno alle opere e alle biografie di questi scultori e alle problematicità storico-critiche, si è riunito un gruppo di giovani studiosi, dottorandi e dottori di ricerca, afferenti ad istituzioni italiane ed estere messi in dialogo dalla professoressa Giovanna Sapori. Gli studiosi hanno presentato i risultati delle ricerche in una giornata di studio (17 dicembre 2008) appositamente dedicata al tema della scultura del secondo Cinquecento, tenutasi presso il dipartimento degli studi storico-artistici dell’Università degli studi Roma Tre. Risultato concreto di questa iniziativa è il volume recente: Scultura a Roma nella seconda metà del Cinquecento: protagonisti e problemi curato da Walter Cupperi, Grégoire Extermann e da chi scrive3. Dai contributi emerge il dinamismo culturale della città di Roma, meta di scultori di provenienza diversa, abili nelle lavorazioni di metalli, pietre preziose e marmi colorati, in costante dialogo fra milieux professionali differenti. Le ultime pagine del volume sono state dedicate, da Extermann e da chi scrive, alla bibliografia ragionata in cui si profila lo stato
1 martinelli 1954, pp. 154-164: 154. 2 De lotto 2008a, pp. 21-223; Barletti 2011 (in particolare i saggi di Sferrazza, Denunzio, valone, conforti, Spinelli, SilveStri alle pp. 115-146, 155-236); preSSouyre 1984. 3 cupperi - extermann - ioele (a cura di) 2012.
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degli studi sul tema4. Altre simili pubblicazioni, unite a lavori monografici potrebbero supplire la mancanza di un repertorio se non sistematico almeno essenziale. Per avviare una nuova stagione di ricerche, si potrà certamente far leva sul lavoro notevole che è stato fatto per le voci del Dizionario Biografico degli Italiani; sulla raccolta erudita dei documenti d’archivio operata alla fine dell’Ottocento da Antonino Bertolotti; sulle edizioni critiche delle fonti5. Nella monumentale opera di Aldolfo Venturi sulla storia dell’arte italiana anche agli scultori del secondo Cinquecento è riservata una specifica trattazione; brevi pagine sono dedicate allo scultore Giovanni Battista Della Porta, e ancora validissimo risulta il confronto proposto con Tommaso da Lugano6. Werner Gramberg ha dedicato molte energie al tema della scultura di fine Cinquecento e in particolar modo alla produzione di Guglielmo Della Porta pubblicandone il corpus grafico e numerosi articoli sulle committenze farnesiane7 .
Gli importanti contributi di Bergmann, Wittkover, Pope Hennessy, Martinelli, vanno letti parallelamente agli studi più aggiornati di Pressouyre e Petraroia ai quali si uniscono i più recenti risultati di Fratarcangeli, Helfer, Dickerson8 .
La serie di studi su Sisto V ha avvantaggiato la conoscenza degli scultori attivi in quel pontificato: i contributi di Donati strettamente legate all’attività dell’architetto Domenico Fontana, così come quelli di Ostrow sulla cultura artistica sistina, ed il volume curato da Madonna, esito della mostra dedicata alla Roma di Sisto V, rappresentano solide basi sulle quali ancorare ricerche più approfondite9. Per i decenni di snodo fra Cinquecento e Seicento, è preziosa la lettura della
4 Ibidem, pp. 323-336. 5 Sui Della Porta, ad esempio, utili sono le voci curate da Brentano 1989, pp. 143-147, 153-154, 183-199, 209-216; su Taddeo Landini: Doti 2004, pp. 425-428. Bertolotti 1863, pp. 169-212, iD. 1875, pp. 295-322, iD. 1876, iD. 1877, iD. 1881, iD. 1882, iD. 1883, pp. 96-120, iD. 1884, iD. 1885, iD. 1886, iD. 1890. Sulle fonti cfr. il saggio di Elisabetta Neri in cupperi - extermann - ioele (a cura di) 2012, pp. 299-321. Il lungo saggio di Strinati sulla scultura a Roma nel Cinquecento è senza dubbio un lavoro interessante per le letture stilistiche proposte; tuttavia non è un punto fermo nella storiografia forse per la mancanza di apparati documentari. Strinati 1992, pp. 300-552. Indagini preliminari sul tema si desumono da valeri 1998 e ciarDi 2007. 6 venturi 1937, pp. 562-567: 562. 7 GramBerG 1933, pp. 280-281. Gramberg pubblicò alcuni contributi su Guglielmo Della Porta: iD. 1960, pp. 31-52; iD. 1964; iD. 1965, pp. 79-84, iD. 1984, pp. 253-364. 8 BerGmann 1930; wittkower 1958 (1993), pp. 108-116; pope henneSSy 1966, pp. 85-93; martinelli 1979; preSSouyre 1984; petraroia 1993, pp. 371-381; fratarcanGeli 1999a, pp. 85-129; eaD. 1999b, pp. 259-265; eaD. 2000; eaD. 2003, pp. 90-107. helfer 2008, pp. 61-77; DickerSon III 2008, pp. 25-72. Si segnalano inoltre: Durini 1958, pp. 98-104; maniello carDone 1986, pp. 97-114. 9 Donati 1939, pp. 15-17; iD. 1940; iD. 1942; iD. 1957; oStrow 1996; iD. 2002; iD. 2005; iD. 2006, pp. 267-291; hertz 1981, pp. 240-262; Spezzaferro - tittoni 1991; maDonna 1993.
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monografia di Hibbard su Carlo Maderno insieme all’edizione italiana curata da Scotti Tosini10 .
Le conoscenze sullo scultore Giovanni Battista Della Porta si basano principalmente sui numerosi documenti pubblicati da Bertolotti. Lo studioso rende noto ad esempio il documento relativo alla cappella di San Pietro in Santa Pudenziana, indica alcuni atti notarili riguardanti la divisione dell’eredità, pubblica il pagamento ricevuto dallo scultore per la tomba al cardinale Niccolò Caetani, e inoltre trascrive il documento relativo alla tomba di Vespasiano Gonzaga a Sabbioneta (opera taciuta da Giovanni Baglione) risultato concreto del legame avviato dallo scultore, già negli anni sessanta, con la corte Gonzaga11. Il primo spoglio dell’Archivio Caetani di Roma è contenuto nel volume di Gelasio Caetani del 1933 dal quale emergono preziose informazioni sulle committenze assegnate al Della Porta dal nobile casato romano12. Fra le documentazioni archivistiche vanno inoltre citate le raccolte sui verbali delle adunanze della Compagnia di San Giuseppe di Terresanta (in cui Della Porta compare per la prima volta nel 1575) che offrono un quadro puntuale delle presenze artistiche a Roma nell’ultimo scorcio del XVI secolo. Infine, i documenti relativi all’Accademia di San Luca, istituita nel 1593 da Federico Zuccari, sono il riflesso della cultura artistica di quegli anni e fra i membri non mancano i nomi di alcuni scultori (Flaminio Vacca, Giovanni Battista e Tommaso Della Porta, Taddeo Landini, Pietro Paolo Olivieri e Giovanni Antonio Valsoldo)13 .
Per quel che riguarda le fonti fra Cinque e Seicento – argomento trattato di recente da Elisabetta Neri – solo Vasari, nell’edizione giuntina delle Vite (1568), in particolare nelle pagine dedicate a «Lione Lioni aretino e d’altri scultori et architetti», si sofferma su alcuni scultori lombardi attivi negli anni Sessanta14. Dopo aver descritto le opere di Guglielmo Della Porta, Vasari menziona Tommaso Della Porta il Vecchio, zio di Giovanni Battista, come scultore che ha lavorato «di marmo eccellentemente»15. Sull’interesse degli artisti per le antiche rovine e sulle descrizioni delle raccolte di antichità sono celebri gli scritti di Flaminio Vacca e
10 hiBBarD, 1971; iD. 2001. 11 Bertolotti 1881, pp. 180-189; iD. 1885, p. 75. 12 caetani 1933. Le notizie sono riprese da Laura Marcucci nei suoi contributi relativi all’architetto Francesco Capriani da Volterra: marcucci 1989, pp. 265-275, eaD. 1991, eaD., 1999, pp. 501532. L’articolo di cozzi Beccarini 1976, pp. 143-158 è frutto di ricerche effettuate presso l’Archivio Caetani di Roma, e al seguito i risultati presentati da Gori 2007. 13 tiBeria 2000; iD. 2002; zuccaro 1604 (1961), p. 98. 14 vaSari 1568 (1881), vol. 7, pp. 535-556; neri 2012, pp. 299-321. Si vd. inoltre extermann 2013, pp. 91-101. 15 vaSari 1568 (1881), vol. 6, p. 550.
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di Ulisse Aldrovandi16. Bisognerà attendere le Vite di Giovanni Baglione del 1642 per avere la prima raccolta di notizie biografiche sugli scultori attivi a Roma nel secondo Cinquecento ed una pagina è interamente dedicata anche a Giovanni Battista Della Porta17. Le guide settecentesche del Panciroli (1725) e del Titi (1763) offrono solo brevi citazioni sull’operato di Della Porta18. Breve è anche la nota biografica di Giovanni Battista Giovio (1784) nella quale è indicato erroneamente l’anno di morte dello scultore come 154719. Non scoraggiano le parole di Leopoldo Cicognara (1825) che cita velocemente Della Porta nel capitolo sugli artisti lombardi e napoletani in questo modo:
«L’artista che però fra tutti i Lombardi meritò come statuario la preferenza fu Guglielmo della Porta che lavorò nella Certosa di Pavia (…). Furono altri scultori di questa famiglia, l’uno de’ quali per nome Tommaso, citato e conosciuto da Vasari, l’altro Giovan Battista, ma non giunsero all’eccellenza di Guglielmo, e non somministrano materia alle nostre ricerche»20 .
Campori (1873) accenna al Della Porta citando un documento relativo all’ornamento marmoreo della Santa Casa di Loreto pubblicato in forma estesa dal Gualandi (1856)21; inoltre, nella raccolta di lettere artistiche, Campori rende noti alcuni documenti che attestano i legami dello scultore con la corte Gonzaga22. Negli studi di Merzario (1893) che raccolgono notizie sugli artisti comacini, per la biografia dello scultore nulla si aggiunge rispetto alle informazioni date dal Baglione e su
16 vacca 1594; alDrovanDi 1556. Regine Schallert ha in corso una ricerca dedicata allo scultore Flaminio Vacca. Sull’Aldrovandi cfr. Gallo 1992, pp. 479-490, 480. Aldrovandi nel descrivere le più importanti collezioni romane fa riferimento anche ad artisti come: Leonardo Sormani, Giacomo, Guglielmo e Tommaso Della Porta il Vecchio cfr. lo studio di carrara 1998, pp. 31-50: 32 nota 20. 17 BaGlione 1642 (1995), vol. 1, p. 74. In questa edizione critica delle Vite, Röttgen scrive in nota alcune attribuzioni al Della Porta avanzate da Hess e discusse dallo stesso Röttgen; si sofferma inoltre sulla questione relativa ai Dodici Cesari che stando al Baglione lo scultore avrebbe eseguito per il cardinale Alessandro Farnese, senza citare però lo studio aggiornato di Christina Riebesell del 1989 (röttGen 1995, vol. 3, pp. 565-568; rieBeSell 1989, pp. 28-30). 18 panciroli - poSterla 1725, pp. 46, 112, 126; titi 1763, p. 210. 19 «Porta Giambattista da Porlezza parente di Fra Guglielmo fu valente scultore, ed è noto col nome di cavalier Giambattista. Dopo la morte di Guglielmo servì egli moltissimo il cardinale Farnese. Il Porta vivea con gran fasto, e radunava anticaglie. Non sono molte in Roma le opere di lui, perché parte del tempo il passava in comperare, e vendere pezzi antichi, e perché fu scelto per il Santuario di Loreto. Del cavalier Giambattista veggonsi in Roma il San Domenico, nella basilica di Santa Maria, e dentro al chiesa di Santa Pudenziana Nostro Signore, che dà le chiavi all’apostolo Pietro. Morì d’anni cinquantacinque nel 1547. Vive tuttora a Porlezza un discendente di questa famiglia, da cui io presi un Satiretto, ed una piccola statua»: Giovio 1784, p. 190. 20 cicoGnara 1825, p. 337. 21 campori 1873, p. 307; GualanDi, 1856, vol. 3, pp. 70-73. 22 campori 1866, pp. 50, 64-65.
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questa tendenza si allinea il Mambretti (1953)23. La nota biografica assai confusa e imprecisa del Riccoboni (1942) si giustifica già nelle premesse in cui scrive: «ma la matassa deve essere ancora sbrogliata per individuare la personalità di ciascuno di questi minori della Porta e dei Cassignola», eppure gli studi di Bertolotti che apportarono importanti novità su questi scultori erano stati pubblicati sessant’anni prima24 .
Le voci sui Della Porta curate da Brentano per il Dizionario Biografico degli Italiani (1989) rappresentano senza dubbio un considerevole incremento rispetto alle biografie curate da Gramberg (1933)25. Notevole è l’articolo di Panofsky (1993), denso di citazioni archivistiche sullo scultore Tommaso Della Porta (il Giovane), fratello minore di Giovanni Battista26. Nello stesso anno, Brown e Lorenzoni dedicarono un intero volume alla collaborazione fra Cesare Gonzaga e Girolamo Garimberto (entrambi interessati all’acquisto di antichità), inserendo in appendice le biografie dei principali personaggi citati27. In questo testo, così specialistico e più a latere rispetto al tema della scultura cinquecentesca a Roma, troviamo una delle biografie più aggiornate su Giovanni Battista Della Porta pur essendo citato poche volte nei saggi28 .
Il diagramma storiografico è pressoché identico per quel che riguarda il catalogo dello scultore, fatta debita eccezione per quelle opere legate a contesti più diffusamente studiati come le statue di Sibille e Profeti (figg. 13-25) per l’ornamento marmoreo della Santa Casa di Loreto, e i cantieri sistini (la cappella Sistina in Santa Maria Maggiore e la fontana del Mosè in Piazza San Bernardo, figg. 105,
23 merzario 1893, vol. 2, pp. 477-478: «Parente forse di Jacopo, certamente di Fra Guglielmo Della Porta, e dello stesso paese fu Giovan Battista, che pare sia stato allevato alla stessa scuola di Guglielmo, e riescì eccellente. Scolpiva i ritratti a maraviglia: per il cardinale Farnese intagliò i dodici Cesari, e così bene che ne ebbe lauti doni, e la nomina a Cavaliere dello Sperone d’oro. Nella mostra dell’acqua Felice a Termini scolpì a fianco del Mosè la storia del testamento antico in bassorilievo nella nicchia verso la strada Pia. Nella cappella Sista a SMaria Maggiore fece il S. Domenico, maggiore del vero; e delle belle statue nella cappelletta di S. Pietro a Santa Pudenziana. Fra i proventi dell’arte sua, e quella dei restauri, e il traffico ch’egli faceva di statue e cose rare antiche, ragunò molto danaro, e potè vivere molto signorilmente. Morì nel 1597 d’anni 55». Vd. anche mamBretti 1953, p. 208. 24 riccoBoni 1942, pp. 85, 87-88. 25 Brentano 1989, vol. 37, pp. 183-188, 192-199, 209-210, 212-216. Su Giacomo Della Porta: SchwaGer 1975, pp. 111-141; BeDon 1989, vol. 37, pp. 160-170. 26 panofSky 1993, pp. 119-167.
27 Brown - lorenzoni 1993. 28 Ibidem, pp. 228-230. Inaspettata è anche l’attribuzione al Della Porta di alcuni rilievi veneziani proposta da Stefano Tumidei nel catalogo della mostra dedicata ad Alessandro Vittoria e alla scultura veneta (1999): tumiDei 1999, pp. 107-125: 121. L’ambiente scultoreo veneziano ha, infatti, una sua specificità, e sembra essere più autonomo rispetto agli altri linguaggi diffusi nella penisola.
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107). Un’importante opera come la memoria Alciati (1580) in Santa Maria degli Angeli (fig. 84) fu completamente ignorata dalla critica nonostante Matthiae, già nel 1965, citava il documento di allogazione intestato a Della Porta pubblicato da Schiavo nel 195329 .
Infine, la collezione di statue e marmi antichi dello scultore, essendo confluita nel primo nucleo della collezione archeologica di Scipione Borghese, ha suscitato un certo interesse fra gli studiosi. I contributi di Kalveram, Moreno e Viacava, che approfondiscono i risultati delle ricerche di Graeven e De Lachenal, sono fondamentali, ma riferiti in primo luogo al mecenatismo del cardinale Scipione Borghese30. La recente mostra I Borghese e l’antico, allestita nelle sale della Galleria Borghese di Roma (2011-2012) curata da Coliva, Fabréga-Dubert, Martinez, Minozzi che ha visto il ritorno glorioso alla Borghese di alcuni pezzi conservati al Museo del Louvre, è stata un’occasione preziosa per mettere a fuoco vicende e dinamiche del mecenatismo Borghese, ed ha fornito nuovi strumenti di studio che agevolano l’avanzamento delle ricerche, come quella che sto completando sulla collezione di antichità di Giovanni Battista Della Porta31 .
29 matthiae 1965, p. 53; Schiavo 1953, pp. 295-296. BernarDi Salvetti 1965, p. 89 cita erroneamente il monumento Alciati come opera costruita nel 1583 su disegno di Michelangelo. 30 kalveram 1995, pp. 11-16; moreno - viacava 2003; De lachenal 1982, pp. 49-117; Graeven 1893, pp. 236-245.
31 coliva - faBréGa-DuBert - martinez - minozzi 2011.
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Nel ventennio centrale del Cinquecento, Pirro Ligorio (1513-1583), architetto, pittore, antiquario, riuscì a mantenere a Roma una posizione di primo piano nonostante i cambiamenti che ebbero luogo durante i pontificati di Paolo IV, Pio IV e Pio V1. Le due mappe della città di Roma da lui disegnate (1553 e 1561) si fondavano sulla sua formidabile cultura archeologica apprezzata da un appassionato del mondo classico quale fu Pio IV. L’aspirazione ad un ritorno all’aurea aetas significava per Pio IV, come per molti dei suoi predecessori, attuare una politica di pacificazione che ebbe un equivalente propagandistico nelle raffigurazioni della pax, della hilaritas publica, della Roma resurgens impresse nelle medaglie, per lo più a firma del Cesati, del Bonzagni e del de’ Rossi2. Ugualmente l’affresco perduto di Federico Zuccari nel tribunale della Rota celebrava il pontefice fra le immagini della giustizia e dell’equità eternando la sua fama di imparzialità e saggezza3. Il gusto artistico di Pio IV e la cultura archeologica di Ligorio concorsero alla virtuosistica creazione della Casina nei giardini Vaticani, trionfo di decorazioni in stucco, sculture antiche e ‘all’antica’4. In realtà era la trasformazione in ‘delizia’ della dimora fatta costruire da Paolo IV il cui nome, «PAULUS IIII», nell’iscrizione della facciata fu sostituito da quello del nuovo Papa. Una decisione che è stata interpretata come un’esplicita damnatio memoriae, ma che deve essere invece
1 Paolo IV (Gian Pietro Carafa 1555-1559), Pio IV (Giovannagelo Medici, 1559-1565), Pio V (Michele Ghislieri, 1566-1572). winner 1994; SchreurS 2000; coffin 2004. 2 firpo - Biferali 2009, pp. 273-372. Sulle medaglie: toDeri - vannel 2000, vol. 3, tav. 410, scheda 2154, tav. 411, scheda 2166; moDeSti 2004, vol. 3, schede 548-549, 494-500. Sul programma di Pio IV si vedano in particolare i contributi di faGiolo e maDonna (1972a, pp. 383-402) e (1972b, pp. 237-281: 260-264). 3 aciDini luchinat 1998, vol 1, p. 137. 4 Smith 1977; faGiolo - maDonna 1972a, pp. 237-281; loSito 2000; BorGheSe 2010.
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considerata come un ovvio provvedimento di Pio IV5. Al cantiere della Casina lavorarono non solo stuccatori e frescanti, ma anche restauratori e procacciatori di antichità fra i quali i Longhi da Viggiù e lo scultore Tommaso Della Porta il Vecchio6. Nel luglio del 1563, infatti, dalla casa di Tommaso furono inviate alla fabbrica del Boschetto tre statue e undici teste «con li petti di marmo», nel giugno dell’anno successivo otto statue di scavo per settecento scudi, sempre destinate al Vaticano, e il 14 luglio 1565 altre otto statue antiche7 .
Fra i famigliari di Pio IV si annoverano Giovanni Giacomo Medici, soprannominato Medeghino, valente soldato di ventura (immortalato dal bronzo di Leone Leoni), e Carlo Borromeo, nipote del pontefice, che grazie allo zio ottenne presto incarichi ecclesiastici. Al Papa, profondo conoscitore delle lettere classiche, e al nipote Borromeo doveva essere particolarmente caro il tema dell’Accademia e dei cenacoli. Il 20 aprile 1562 Borromeo fondò ufficialmente l’insigne Accademia delle Notti Vaticane chiamata, con più esattezza, Convivium noctium Vaticanarum: un cenacolo teologico-letterario animato dal Borromeo che radunava laici ed ecclesiastici, tutti interessati alla riforma dei costumi e alla vita virtuosa8. Sull’antico esempio delle Notti Attiche di Aulo Gellio, in riunioni notturne si aprivano discussioni su temi letterari e scientifici. Furono membri: Ugo Boncompagni (che divenne Gregorio XIII nel 1572), Silvio Antoniano, Tolomeo Gallio, Francesco Bonomi, Francesco Alciati, Guido Ferrero, Cesare Gonzaga insieme al fratello Francesco9. Questa cultura si riflette nell’iconografia della decorazione del Casino del Belvedere che vide all’opera un’équipe eterogenea di pittori: i due specialisti di grottesche, Pietro Venale e Giovanni dal Carso, e gli urbinati Pierleone Genga e Federico Barocci, il marchigiano Federico Zuccari, il toscano Santi di Tito, il mantovano Lorenzo Costa, il bolognese Orazio Samacchini10 .
Nel fervido clima di erudizione archeologica, le incisioni del fiammingo Hieronymus Cock (fig. 1), le due piante di Roma di Ligorio e le raccolte del francese Étienne Dupérac (fig. 2) presentano l’immagine della città come città delle antiche rovine. Per tutta la prima metà del Cinquecento il suolo romano sembrava fosse divenuto «teatro di una sorta di pagana resurrezione dei morti»11, come testimonia
5 faGiolo - maDonna 1972a, pp. 237-240. 6 lanciani 1902-1912, vol. 3, pp. 241-251. 7 Ibidem, p. 244. 8 Berra 1915. Si vedano le pagine sulle Notti Vaticane in raponi - turchi 1992, pp. 8-16. Fra i provvedimenti di Pio IV è da ricordare anche la pubblicazione della bolla Benedictus Deus (approvata il 26 gennaio 1564), che confermava tutti i decreti tridentini e proponeva una nuova identità pastorale della Chiesa: aleanDri Barletta 1964, p. 140; firpo - Biferali 2009, pp. 288-289. 9 raponi - turchi 1992, p. 10. 10 Smith 1977, pp. 8-19, 64-67; loSito 2000, pp. 29 e sgg. 11 roSSi pinelli 1986, vol. 3, p. 218, nota 2.
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Fig. 1. Hieronymus Cock, Non vullarum antiquarium statuarum reliquiae Romae in horto cuisusdam nobilis Romam, acquaforte, Anversa, 1551.
lo scultore Flaminio Vacca nelle sue Memorie (1594). A Roma si giungeva prestissimo presso le botteghe di tradizione familiare, per ragioni economiche e culturali, per vedere, studiare e copiare l’antico12. Sui vantaggi di un lungo soggiorno a Roma è eloquente quanto scrisse Guglielmo Della Porta, in una lunga lettera, dell’ottobre 1568, indirizzata a Bartolomeo Ammannati:
«Ma per grandi et meravigliose che siano queste qualità di Fiorenza, Roma è pur sempre Roma, qui bisogna venire, qui affaticarsi, qui studiare a chi vuol sapere. Et sicuramente è gran cosa, che la finezza, et l’eccelenza de l’arte non può essere altrove ch’à Roma (…) Quest’aere, questo cielo, queste antiche ruine hanno troppo gran forza e troppo gran privilegio. Né altro luogo si trova, dove gl’ingegni nobili et pellegrini facciano maggior progresso che a Roma»13 .
12 Ibidem, pp. 181-250. 13 GramBerG 1964, p. 122. Si riportano di seguito alcune parti della lettera di Guglielmo in cui si dichiara il primato artistico di Roma: «leonardo da vinci soleva dire, stando esso in Milano, che Roma è ’l vero mastro de l’arte, che cade sotto il dissegno. Il Gobbo, et Gio. Jacopo scultori affermavano, che nel compor d’ina Istoria coloro i quali, hanno studiato in Roma, si riconoscon da
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Fig. 2. Étienne Dupérac, Cosidetto Tempio di Romolo, incisione, in I vestigi dell’antichità di Roma, Roma, 1575, tav. 4.
Guglielmo prometteva di spiegare al collega toscano anche «come fu scolpita la colonna istoriata di Traiano»14. A proposito dell’ambiente degli artisti a Roma nel Cinquecento, Antonino Bertolotti, sul finire del XIX secolo, scrisse: «Roma fu il ventre mondiale che di tutti e di tutto usufruì»15. L’‘esercito’ dei lombardi,
gl’altri. Perino del Vaga trovandosi a Genoa più volte esclamo, che egli voleva tornar a Roma à fine di riaquistar ne l’arte quel che n’haveva perduto standone fuori. Baldassare da Siena rassomigliava il maestro, che sta fuori di Roma, al dottore, che non ha libri. Anton da SanGallo predicava, che più imparano i Giovani a Roma andandosi à spasso, che non fanno altrove studiando gran tempo. Ma che più! Alfonso da Ferrara venuto in questa città sotto ’l pontificato di papa clemente, et conosciutovi la prerogativa, ch’ella ha, diceva che tutti coloro che studiano fuori di Roma son simili a chi suol ber con gl’orrecchi, et non gustar con la bocca. Baccio Bandinelli dicea similmente, che quelli che si tengono buoni maestri altrove, subito che giungono à Roma si riconoscono d’esser a pena principianti. Empirici molti fogli, ch’io finissi di registrarvi quanti grandi huomini concorsero in questa medesima oppenione» (ibidem, pp. 122-123). E citando le parole di Michelangelo ‘Principe di tutta l’arte dissegnatoria’, Guglielmo scrive: «chi l’arte lassa, de l’arte è lassato (…) l’arte è simile a una bella Donna, che di molti, che l’amano, più aggredisce chi più l’accarezza. Or fa conto, che Roma sia la vera innamorata di tutti gl’artefici, et concludi che qual di loro, è più sollecito in amarla, in farli vezzi, in servirla, costui senza dubbio sia più favorito da lei, et che per contrario, chi per poco amore ne sta lontano poco similmente goda de l’amor suo» (ibidem, p. 123). 14 Ibidem, p. 127. Alla fine del settimo decennio iniziò la famosa impresa di edizione a stampa di tutti i rilievi della Colonna traiana pubblicata poi nel 1576 presso Bonifacio Breggi curata dall’erudito spagnolo Alfonso Chacon e dal pittore Girolamo Muziano. Cfr. BaStianetto 2008, pp. 21-32. 15 Bertolotti 1881, vol. 1, p. 3.
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in particolare, fu tale a Roma da dare origine a confraternite, monasteri, chiese, ospedali lasciando dunque vive testimonianze della loro permanenza nella città16 . La presenza di alcune famiglie di scultori, scalpellini e lapicidi quali i Buzzi, Fontana, Maderno, Della Porta, Longhi, Galli, Garzoni, Giudici, dimostra quanto la comunità lombarda a Roma fosse ben rappresentata17 .
Giunto a Roma presso la bottega dello zio Tommaso Della Porta il Vecchio, lo scultore Giovanni Battista Della Porta si ritrovò immerso in questo clima di ‘entusiasmo umanistico’ per le testimonianze di un passato aulico che ebbe appunto in Pirro Ligorio uno dei suoi principali esponenti18. E proprio su progetto del Ligorio, impegnato nella direzione dell’importante cantiere dei giardini di Villa d’Este a Tivoli, Della Porta realizzerà nel 1567 la sua prima opera nota: le dieci Ninfe in stucco per le nicchie della fontana dell’Ovato della stessa Villa (figg. 3-6). Anche sulla scia del modello di Fontainebleau, la decorazione in stucco trionfava nei ponteggi vaticani, sulle pareti della Sala Regia e, come si è visto, della Casina di Pio IV. Già fra il quarto e il quinto decennio del secolo, Giulio Mazzoni, in quanto a stucchi, aveva modellato splendide figure, e proprio nella Sala Regia, intorno al 1561, veniva affiancato a Daniele da Volterra19 .
In quegli stessi anni, Guglielmo Della Porta e Daniele da Volterra ricevevano importanti incarichi: il primo avrebbe dovuto portare a termine il monumento a Paolo III Farnese e quello per Carlo V, il secondo lavorava al monumento equestre a Enrico II20. Erano loro gli scultori più noti, presto rivali, ormai al termine delle carriere, ai quali bisognava affiancarsi per entrare nei favori delle più alte committenze21. Intanto, il celebre cardinale Alessandro Farnese si apprestava a dare fasto alle sue residenze rivolgendosi al Vignola per il completamento del palazzo di Roma e la progettazione di quello di Caprarola. In punta di piedi entrava nella corte Farnese il giovane scultore di San Gimignano: Giovanni Antonio Dosio che intrat-
16 fratarcanGeli 1999a, pp. 85-129, 165-169; eaD. 1999b, pp. 259-265; eaD. 2000; eaD. 2003, pp. 90-107. Giovanni Agosti ha analizzato il fenomeno dell’afflusso di lombardi a Roma fra il XV e il XVI sec.: aGoSti 1990, pp. 69-85. Va sottolineato anche il fatto che lo stesso pontefice Pio IV era di origine lombarda.
17 fratarcanGeli 2000, pp. xii-xiii. 18 Sricchia Santoro 1998, p. 35. I ruderi, pur nel loro stato lacunoso, suggestionavano archeologi e letterati. La filologia apriva nuovi orizzonti fornendo un modello di ricostruzione dei frammenti antichi che poteva essere applicato anche al di fuori del campo letterario. E l’integrazione delle gambe dell’Ercole Farnese eseguita da Guglielmo Della Porta può essere considerata il risultato di un clima attento all’esegesi testuale: roSSi pinelli 1986, vol. 3, p. 210. 19 Strinati 1979, pp. 27-36; puGliatti 1984. 20 Dellantonio 2003, p. 182; extermann 2012, pp. 59-111: 64-67. 21 Celebre è l’invettiva di Della Porta al Ricciarelli che coinvolse anche Michelangelo: Discorso contro Danielle pittore, chi s’arrogava di essere scultore e fonditore estimato, di professioni erroneamente in GramBerG 1964, pp. 16, 117-118; Dellantonio 2003, p. 182.
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tenne un lungo legame con Annibal Caro, segretario dei Farnese, del quale fece, nel 1566-1567, il monumento in San Lorenzo in Damaso22. Mentre invece brevissimo fu il soggiorno a Roma per Leone Leoni, 1560-1561, dove ottenne l’incarico di eseguire la tomba per il fratello del Papa, Giovan Giacomo de’ Medici, a Milano23 . Il 18 febbraio 1564 moriva a Roma Michelangelo e fra i suoi capolavori in marmo rimanevano in città il Cristo alla Minerva, il Mosè di San Pietro in Vincoli e le Pietà: Bandini, Vaticana e Rondanini. Con Pio IV aveva ideato la trasformazione del frigidarium di Diocleziano nella basilica di Santa Maria degli Angeli dove il pontefice volle essere sepolto24. Da una lettera di Carlo Borromeo a Giovanni Battista Della Porta del 1566, ho potuto identificare il ritratto richiesto con quello inserito nella memoria di Pio IV posta nell’abside della basilica, opera di Alessandro Cioli25. Nella successiva produzione scultorea romana le opere di Michelangelo ebbero una forte risonanza percepibile nell’attività dei suoi più stretti collaboratori, ed anche per il loro tramite si diffusero i modelli michelangioleschi. Ad esempio, la tomba di Cecchino Bracci (1545) nella chiesa di Santa Maria in Aracoeli realizzata su progetto di Michelangelo, ma eseguita principalmente dagli allievi Francesco Amadori, detto l’Urbino, e Pietro Urbano, ebbe qualche riflesso nei ritratti dell’ultimo Dosio26. Più incisiva fu l’azione diretta dal modello sansovinesco: le statue allegoriche ai lati dei numerosi monumenti parietali presenti nelle chiese di Roma reiterano il classicismo della Madonna del Parto in Sant’Agostino di Jacopo Sansovino. Per chi ebbe la fortuna di tornare al Nord, nel Veneto la bottega sansovinesca, dalla quale uscirono Danese Cataneo, Tiziano Minio, Francesco Segala e il trentino Alessandro Vittoria, aveva prodotto abbastanza da poter offrire ai lombardi un registro formale cui attingere per le committenze romane27 . Con il sostegno di Filippo II di Spagna e dei cardinali vicini ad Alessandro Farnese, nel 1566 saliva al soglio pontificio Michele Ghislieri (Pio V), celebrato con gli apparati lignei del Ligorio28. Pio V era stato il più fidato collaboratore di Paolo
22 Il rapporto fra Dosio e Annibal Caro è documentato dal carteggio: caro 1573-1575, ad indicem. Per gli studi sull’ambiente romano post-michelangiolesco cfr.: valone 1976, pp. 528-541 e la recente monografia Giovanni Antonio Dosio, a cura di Barletti 2011, pp. 155-167. 23 Sul secondo soggiorno di Leoni a Roma cfr. caSati 1884, pp. 56-62; plon 1887, pp. 150-165. Sul monumento a Giangiacomo de’ Medici: Bonetti 2002, pp. 21-43. 24 firpo - Biferali 2009, p. 324. 25 Ringrazio molto Giulio Dalvit per l’importante segnalazione della lettera. Dalvit ha in corso di pubblicazione un contributo sulla collezione di antichità di Borromeo. matthiae 1965, p. 86; Schiavo 1990, vol. 2, p. 996. peDroli 1981, pp. 664-669. 26 L’opera fu realizzata mentre venivano completate le sculture per la sistemazione definitiva della tomba di Giulio II. Steinmann 1931, pp. 30-59; Schiavo 1990, vol. 1, pp. 483-487.
27 miDDelDorf 1936, pp. 245-263; Boucher 1991; Bacchi - camerlenGo - leithe-jaSper 1999. 28 coffin 2004, pp. 72-73.
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IV, con il cui pontificato si proclamava in continuità, tanto da far incidere due medaglie al Bonzagni recanti sul recto il suo profilo e sul verso quello del Carafa, e da avviare subito i lavori coordinati da Pirro Ligorio per il fastoso monumento in marmi colorati per la sepoltura di Paolo IV nella cappella eretta dal cardinale Oliviero Carafa in Santa Maria sopra Minerva29. Il legame con Carafa è all’origine della commissione di Pio V di altre due memorie: quella dedicata ad Alfonso d’Aragona nel Duomo di Napoli e quella a Rodolfo Pio da Carpi nella chiesa della Santissima Trinità dei Monti (fig. 54)30. Per alcuni suoi provvedimenti emanati, Pio V è passato alla storia come profondo dispregiatore della statuaria. In realtà, come mise in luce già Mercati nel 1927, il pontefice considerava le antichità non convenienti all’ornamento del suo palazzo, ma testimonianze del passato da conservare, e si preoccupò di confermare Commissario delle antichità Pietro Tedellini nel 1571 su richiesta dei tre conservatori: Onofrio Camaiani, Ippolito Salviani e Marcantonio Palosci31 .
Spetta al Papa il merito di aver sancito la Lega Santa unendo le due maggiori potenze navali, la Spagna e Venezia, per costruire la poderosa flotta contro i turchi guidata da Don Giovanni d’Austria. L’episodio della grande impresa a Lepanto fu una vera e propria vittoria ideologica, oltreché militare, della Chiesa che, dopo una lunga crisi morale, tornava a presentarsi come veicolo di salvezza32. Giorgio Vasari avrebbe dedicato alla storia di Lepanto tre affreschi della Sala Regia in Vaticano e, nel 1586, con Sisto V la battaglia fu scolpita in uno dei bassorilievi destinati alla tomba di Pio V nella cappella sistina in Santa Maria Maggiore33. Pio V aveva tentato di imprimere alla Chiesa una compattezza dottrinale; Roma era pronta a riproporsi, ai cittadini e a i pellegrini, come civitas perfecta.
29 Sul monumento Carafa vd. Schallert 2008, pp. 223-294. 30 firpo - Biferali 2009, pp. 331-332. 31 mercati 1927-1929, pp. 113-121. 32 Importanti testimonianze della battaglia di Lepanto sono le lettere del duca Onorato IV Caetani pubblicate da carinci 1893 e da DieDo 1995. Si rimanda inoltre a: DioniSotti 1967 (1999); iD., 1971, pp. 127-151; roDheS, 1995-1996, pp. 9-63; rozzo 2000, pp. 41-69. 33 firpo - Biferali 2009, pp. 352-354; petraroia, in maDonna 1993, pp. 386-390, fig. 11.
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Fig. 3. Curzio Maccarone, Giovanni Battista Della Porta (su disegno di Pirro Ligorio), Fontana dell’Ovato, 1566-1567, Tivoli, Villa d’Este (foto Danilo Renzulli).
Fig. 4. Giovanni Battista Della Porta (su disegno di Pirro Ligorio), Ninfe, 1567, Tivoli, Villa d’Este, fontana dell’Ovato, particolare (foto del 1930).
A ROMA NELL’AMBIENTE ARTISTICO DEGLI ANNI SESSANTA 11
Fig. 5. Giovanni Battista Della Porta (su disegno di Pirro Ligorio), Ninfe, 1567, Tivoli, Villa d’Este, fontana dell’Ovato, particolare (foto Danilo Renzulli).
Fig. 6. Giovanni Battista Della Porta (su disegno di Pirro Ligorio), Ninfe, 1567, Tivoli, Villa d’Este, fontana dell’Ovato, particolare (foto del 1930).
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LA FAMIGLIA DEGLI SCULTORI DELLA PORTA
Valenti scultori e architetti, i Della Porta, provenienti dalla regione dei laghi, furono attivi a Roma per tutto l’arco del Cinquecento. «Di questo gran sangue, e di questa grande scuola»1, come scrisse Baglione, si distinsero in particolar modo Guglielmo (1515-1577), «custode del piombo»2, e Giacomo (1532-1602) «architetto del Popolo Romano»3, poi Tommaso il Vecchio (1520-1567) ed i suoi nipoti: Giovanni Battista (1542-1597), Tommaso il Giovane (1546-1606) e Giovanni Paolo (†1609), figli questi ultimi di Alessio Della Porta4 .
1 BaGlione 1642, vol. 1, p. 152. 2 Brentano 1989, pp. 192-199: 194. 3 BeDon 1989, pp. 160-170: 161. 4 panofSky 1993, pp. 119-167. Ai documenti pubblicati da Panofsky che attestano l’origine lombarda dei Della Porta si aggiungono altre fonti in cui Giovanni Battista è genericamente citato come milanese. Nel documento del 27 novembre 1584 relativo alla costruzione dell’altare della cappella Falconi nella chiesa di Santa Maria ai Monti a Roma si legge: «maestro domino equites Giovanni Baptista della porta laico Mediolanensis Architetto seu sculptore in Urbe» (doc. 77, c. 167r). Nel testamento del 30 aprile 1590 è indicato: «Magnifico Giovanni Battista della Porta, della bona memoria signor Alessio della porta milanese et Cittadino Romano del Rione di Campo marzo scultore in Roma et Cavalier di San Pietro» (doc. 83, c. 20r). Nel testamento del fratello Tommaso il Giovane (7 marzo 1606) si legge: «figliuolo del quondam Alessio della Porta, da Porlezza luogo del Stato de Milano» (trascritto in panofSky 1993, pp. 153-162: 153). Tommaso ebbe molta riconoscenza verso i suoi maestri: lo zio Tommaso Della Porta il Vecchio e il fratello maggiore Giovanni Battista. A loro dedicò il gruppo marmoreo della Deposizione dalla Croce (fig. 26) nella chiesa dei Santi Carlo e Ambrogio al Corso: «Ad honore e gloria di Nostro Signore Gesù Christo Crocifisso Thomasino della Porta scultore in memoria de messer Thomaso suo zio e de messer Giovanni Battista suo fratello fece questa opera. Questi doi furono miei maestri e benefattori, e per segno di gratitudine gli dedico la sopra scritta opera» (ibidem, p. 153). Dagli atti di un processo dell’agosto 1560 risulta che Tommaso il Vecchio aveva quarant’anni ed era figlio di Giovanni: «Dominus Thomas quondam Johannis de Porta mediolanensis scultor in urbe propre ecclesiam S. Ambrosii de Mediolano, etatis sue anno rum 40 et ultra, testis pro informatione curiae etc., qui testis mediante tactis etc. dixit et deposuit ut infra, videlicet» in Bertolotti 1881, vol. 1, p. 156.
14 DELLA PORTA E LA CULTURA ARTISTICA DEL SECONDO CINQUECENTO
Guglielmo, al quale Grégoire Extermann ha dedicato importanti studi, si formò a Milano presso la bottega del padre Gian Giacomo e collaborò con lui a Genova dove probabilmente conobbe Perin del Vaga che lavorava alla decorazione del palazzo di Andrea Doria al Fassolo5. Guglielmo giunse a Roma alla fine degli anni trenta per realizzare gli stucchi della cappella Massimo nella chiesa di Trinità dei Monti e nel corso della sua lunga carriera, spesa al servizio dei Farnese, ebbe molti assistenti e allievi: suo figlio Teodoro (1567-1638), il cognato Niccolò Longhi (doc. 1543-1578), Giovan Antonio Buzzi (doc. 1559-1591), Bastiano Torrigiani (ca. 1542-1596), Jacob Cobaert (doc. 1568-1609), e collaboratori occasionali come Giovanni Antonio Dosio (ca. 1533-1610), Willem Danielsz van Tetrode (ca. 1525-1580)6. L’attività a Roma di Guglielmo è nota soprattutto per il progetto della tomba di Paolo III Farnese a San Pietro, per i ritratti allo stesso pontefice, pervasi da un decorativismo sottile e sinuoso alla maniera di Perin del Vaga, e per i numerosi restauri alle antichità farnesiane fra cui divenne celebre l’episodio delle integrazioni delle gambe dell’Ercole Farnese7 .
Non abbiamo riscontri documentari che attestino legami di parentela fra Guglielmo e Tommaso il Vecchio. Giovanni Baglione nell’incipit della biografia di Giovanni Battista Della Porta (nipote di Tommaso) lo indica come «parente di Fra Guglielmo della porta, in casa del quale egli apparò l’arte della scultura»8; Tommaso, fra il 1564-1565, è inoltre documentato al fianco del cognato di Guglielmo, Nicola Longhi, nel restauro di sculture antiche9. Più certa è la parentela fra Tommaso e Giacomo essendo quest’ultimo figlio di un Bartolomeo scultore fratello di Tommaso, dunque Giacomo è certamente cugino dei nipoti di Tommaso: Giovanni Battista, Tommaso il Giovane e Giovanni Paolo10 .
5 Extermann ha in preparazione una monografia su Guglielmo Della Porta ed ha pubblicato una serie di contributi sullo scultore: extermann 2010, 2011, 2012. Si ricorda inoltre la tesi di helfer 2007. 6 DickerSon III 2008, pp. 25-72. Su Teodoro Della Porta: Brentano 1989, pp. 209-210; Su Nicola Longhi si veda la nota biografica: fratarcanGeli 2003, pp. 90-107, 102 e caGlioti 1997. Su Giovanni Antonio Buzzi vd. aGoSti 1996, pp. 177-182, 179-180; fratarcanGeli 2003, p. 94. Su Bastiano Torrigiani: lamouche 2011, pp. 51-58; iD. 2012, pp. 203-223. Su Jacob Cobaert: white 2005, pp. 49-65. Su Giovanni Antonio Dosio: Barletti 2011. Su Willem Danielsz van Tetrode: Scholten 2003. 7 rieBeSell 2003, pp. 41-51; priSco 2007, pp. 81-133. 8 BaGlione 1642, p. 74. 9 Bertolotti 1881, p. 172. 10 BeDon 1989, p. 160. Secondo panofSky 1993, pp. 163-164 della medesima generazione, ma non discendenti dallo stesso ramo Della Porta, dovettero essere Guglielmo, Tommaso il Vecchio e Alessio. Maria Teresa De Lotto ha rilevato un altro legame di parentela fra il vicentino Camillo Mariani e il figlio di Giacomo Della Porta, Bartolomeo che morì nel 1608. Dall’inventario dei beni di Camillo Mariani redatto il 5 luglio 1611, dopo la sua morte, su istanza di Francesco Mochi e Pasquale Pasqualini, risulta che i beni di Mariani si trovavano in casa degli eredi di Bartolomeo Della Porta. De lotto (2008), 2009, p. 102, nota 264.
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Al di là del quadro genealogico ancora lacunoso, è possibile affermare che, fra i Della Porta, furono certamente Guglielmo e Tommaso il Vecchio ad inaugurare tradizioni di botteghe che si innestarono a Roma accanto a quelle dei Longhi, dei Buzzi, dei Fontana, dove l’esercizio dell’ars scultoria poteva declinarsi nello studio e nelle collezioni di antichità, nella pratica del restauro, nel riuso dell’antico, nel commercio di pietre e marmi colorati.
Fra le notizie di prima mano del Baglione, amico di Tommaso il Giovane, quella della data di nascita di Giovanni Battista Della Porta è stata confermata dalle ricerche archivistiche. Secondo Baglione, Giovanni Battista nacque nel 1542 e morì nel 1597 all’età di cinquantacinque anni; lasciò l’eredità ai fratelli e fu sepolto nella chiesa di Santa Maria del Popolo11. Questi dati sono comprovati dal testamento di Giovanni Battista del 30 aprile 159012. Baglione dovette essere ben informato sulle vicende che seguirono la morte di Della Porta; fu presente alla messa celebratasi circa vent’anni dopo per la commemorazione della morte dello scultore; inoltre Tommaso il Giovane nel novembre 1603 testimoniava al processo intentato da Giovanni Baglione a Onorio Longhi dichiarandosi amico di entrambi13 . Mise in dubbio l’attendibilità di Baglione lo studioso Michelangelo Gualandi che s’interrogò sulla data di nascita di Della Porta pubblicando una lettera (21 luglio 1572) riferita allo scultore. La lettera è scritta dal governatore di Loreto, Roberto Sassatelli, per il Granduca di Toscana sui pezzi di marmo per Loreto che Giovanni Battista avrebbe recuperato da Carrara. Nella lettera lo scultore è citato come «huomo pratico»14; Gualandi discute sul fatto che nel 1572, stando al Baglione, Della Porta avrebbe toccato appena il trentesimo anno, un’età non ancora matura o tale da giustificare l’appellativo di «huomo pratico». Dunque secondo il Gualandi, la data di nascita di Della Porta andava anticipata di qualche anno prima del 154215. L’ipotesi del Gualandi non è persuasiva, d’altra parte non abbiamo altri riscontri documentari sull’anno di nascita dello scultore che reputiamo possa essere il 1542, come scrive Baglione. Sulla data di morte di Giovanni Battista (4 ottobre 1597), disponiamo di più fonti. In quel giorno il segretario della compagnia di San
11 La biografia di Giovanni Battista scritta da Baglione, inserita fra quelle di Flaminio Vacca, Tommaso Laureti, Jacopino del Conte e Pietro Paolo Olivieri, fornisce le seguenti informazioni: «Finalmente da dolori colici assalito, ed estremamente scosso se ne morì, e lasciò il suo alli fratelli; ed in Roma nella Chiesa del Popolo fu sepolto, e la sua fine successe negli anni di sua vita 55 e della nostra salute 1597» (BaGlione 1642, vol. 1, p. 74). 12 Doc. 83, cc. 20r-23v. 13 Bertolotti 1881, vol. 2, p. 66; Brentano 1989, p. 215. 14 In GualanDi 1856, vol. 3, pp. 71-72, n. 326. Gualandi suggerisce che Don Pietro Zani, Enciclopedia metodica delle belle arti, 1794 seguendo il testo di Giovanni Battista Giovio (Gli uomini della comasca diocesi, 1784, p. 190), indicava erroneamente il 1547 come anno di morte dello scultore. 15 GualanDi 1856, p. 72, nota 3.
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Giuseppe di Terrasanta, annotò la morte del confratello Giovanni Battista Della Porta: «Fu seppellito al popolo e vi furono molto fratelli che li fecero compagnia come è consueto sino alla Chiesa, et hà lassato alla Compagnia scudi cento con peso che se li debba dire ogn’anno un Anniversario il giorno della sua morte»16 . Sylvia Pressouyre nei documenti relativi alla parrocchia di San Lorenzo in Lucina dell’Archivio del Vicariato di Roma recuperò la seguente annotazione: «Cavaliere Della Porta marito di Madama Elisabetta Mariotina morse al Corso seppellito in S. Maria del Popolo a di 4 ottobre 1597»17 .
La discesa a Roma dei tre fratelli Giovanni Battista, Tommaso il Giovane e Giovanni Paolo, fu certamente legata alle possibilità di lavoro che la città offriva unitamente alla presenza dello zio Tommaso il Vecchio che fu scultore presso i
16 tiBeria 2002, p. 109. Il Segretario annotò anche l’elemosina fatta al sacrestano Domenico affinché facesse celebrare, secondo la volontà del defunto, dieci messe «per questo anno solamente» per l’anima sua (ibidem). Come accennato, Baglione era presente l’8 ottobre 1614 all’annuale commemorazione di Giovanni Battista Della Porta con una messa officiata dal reverendo arciprete di Santa Maria ad Martyres, durante la quale furono distribuite candele accese ai sei confratelli presenti: il reverendo Andrea Gioccardi, Giovanni Baglione appunto, Giovan Maria Licona, il Camerlengo Francesco Matalani, Orazio Borgianni ed il segretario Giovanni Guerra (ibidem, p. 204). 17 AVR, San Lorenzo in Lucina. Morti I (1588-1601), f. 100v. preSSouyre, 1984, p. 431. Altre fonti: il Necrologio romano compilato da Pier Luigi Galletti intorno alla metà del XVIII secolo: «1597 4 ottobre † Gio. Batta. Ditto il Cavaliere della Porta marito di mad.a Elisabetta Mariottina al Corso. Sepolto al Popolo LXXXV» (BAV, Vat. Lat. 7873, c. 111: GramBerG 1933, p. 281). Il numero romano posto al termine di ogni annotazione indica la parrocchia di appartenenza, secondo la classificazione specificata dal Galletti nell’ultimo foglio del manoscritto. Nel caso specifico si tratta della parrocchia di San Lorenzo in Lucina (LXXXV). Definito «scultore celeberrimo», la sua morte fu annunciata negli Avvisi Sacri e il sabato 8 ottobre 1597 si diede sepoltura: «Di Roma l’8 ottobre 1597. Sabato sera si diede sepoltura al Cav.re della Porta scultore celeberrimo in questa città» (BAV, Urb. Lat., 1065, s.n in cozzi Beccarini 1976, p. 84, nota 139). Dal testamento dello scultore, 30 aprile 1590, apprendiamo che: «Il suo corpo vol sia sepolto nella chiesa di Santa Maria del Popolo appresso l’altare grande verso la sacristia nel loco dove fu sepolta la Barbara sua figliola charissima» (doc. 83, c. 20r.). Purtroppo non è pervenuta alcuna lapide. Dal matrimonio con Elisabetta Mariottini, celebrato nella chiesa di San Giovanni dei fiorentini il 14 novembre 1580, nacquero due figlie: Barbara ed Elena (BAV, Vat. Lat. 8001, b. I, c. 85: Barbara Della Porta fu battezzata l’8 settembre 1581, Elena Della Porta il 17 aprile 1583; panofSky 1993, p. 164, nota 221). Dopo la morte prematura di Barbara, Elisabetta fece scrivere il suo testamento, in data 9 agosto 1591, dove chiese di essere sepolta in Santa Maria del Popolo, vicino l’altare maggiore verso la sagrestia, «dove fu sepolta sua figliola» (panofSky 1993, p. 164, nota 222). Giovanni Battista, nel testamento lasciava i suoi beni mobili alla moglie e la restituzione della sua dote: una vigna a Prati fuori Porta Castel Sant’Angelo, mentre ai fratelli (Tommaso e Giovanni Paolo) l’intera collezione di antichità (doc. 83, c. 21v-r). Elisabetta si risposò presto divenendo la prima moglie del famoso architetto Carlo Maderno e morì il 7 settembre 1602 (panofSky 1993, p. 165, nota 226. Donati 1957, p. 86. Bertolotti 1881, pp. 186-189). La causa civile fra Carlo Maderno e i fratelli Della Porta sull’eredità di Elisabetta si chiuse il 10 giugno 1604 (panofSky 1993, p. 165, nota 227).
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Farnese. Stando al Baglione, nella formazione di Giovanni Battista (fratello maggiore dei tre) dovette incidere Guglielmo, ma è più documentato il rapporto di alunnato con lo zio Tommaso18. Di fatto, l’esordio romano di Giovanni Battista s’intreccia con la carriera, purtroppo poco nota, dello zio Tommaso che nel 1562 era impegnato nella vendita della serie dei Dodici Cesari al cardinale Alessandro Farnese in cambio del cavalierato di San Pietro19. Probabilmente a quella data, Giovanni Battista, appena ventenne, era già sceso a Roma per affiancare lo zio ed è infatti citato come «Cavaliero nipote di Tomasino» in tre documenti, un appellativo con cui Giovanni Battista doveva esser facilmente riconosciuto a Roma anche nella sua età matura, e a distanza di quasi vent’anni dalla morte di Tommaso, il che dà la misura della fama dello zio. Nella lettera del 2 novembre 1567 per Cesare Gonzaga il vescovo di Gallese, Gerolamo Garimberto, raccomandava: «Maestro Giovanbattista scultore, nipote del già Maestro Thomasino»20. Nella minuta di una lettera, non datata, di Giovan Francesco Peranda, allora segretario di casa Caetani, all’architetto Francesco Capriani per il monumento Caetani di Loreto, Della Porta è ancora citato come: «Cavaliero nipote di Tomasino»21. Per entrare nelle grazie del duca Vespasiano Gonzaga egli stesso si presentava in una lettera del 2 febbraio 1583, come nipote di Tommaso, proponendo al duca l’acquisto di «una cosa rara»22. Non sappiamo se Giovanni Battista condivise incarichi con lo zio perché scarse sono le notizie relative all’attività di Tommaso, che tuttavia provano che non fu certo uno scultore di seconda fila. In tal senso indicativo è il passo di Vasari che lo elogia per le sue capacità di perfetto imitatore dell’antico e cita una serie dei dodici busti di imperatori che Giulio III aveva in ‘camera’:
«Ha avuto ancora Milano un altro scultore che è morto quest’anno, chiamato Tommaso Porta, il quale ha lavorato di marmo eccellentemente, e particolarmente ha contraffatto teste antiche di marmo che sono state vendute per antiche, e le maschere l’ha fatte tanto bene, che nessuno l’ha paragonato, et io ne ho una di sua mano di marmo posta nel camino di casa mia d’Arezzo, che ogni uno la crede antica. Costui fece di marmo, quanto in naturale, le dodici teste degli Imperatori, che furono cosa rarissima; le quali papa Giulio Terzo le tolse, e gli fece dono della segnatura d’uno uffizio di scudi cento l’anno, e tenne non so che
18 BaGlione 1642, p. 74. Non sono stati rintracciati sinora dati d’archivio che confermino il grado di parentela fra Tommaso il Vecchio e Alessio Della Porta (fratelli o cugini in primo grado?). Anche dalla ricostruzione di Gerda Panofsky il ramo genealogico rimane incompleto (panofSky 1993, p. 163). 19 Se il titolo si fosse reso vacante durante la sua vita sarebbe passato al nipote: rieBeSell 1989, pp. 28-30. 20 Doc. 8. 21 ACR, Fondo generale, 173684, s.d. Sul Peranda si rimanda allo studio di Gori 2011, pp. 97-106. 22 campori 1866, p. 64.
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mesi le teste in camera sua come cosa rara. Le queli per opera, si crede, di fra’ Guglielmo su detto e d’altri che l’invidiavano, operorono contra di lui di maniera, che, non riguardando alle degnità del dono fattogli da quel Pontefice, gli furono rimandate a casa, dove poi con miglior condizione gli fur pagate da mercanti e mandate in Ispagna. Nessuno di questi imitatori delle cose antiche valse più di costui, del quale m’è parso degno che si faccia memoria di lui tanto più quanto egli è passato a miglior vita, lasciando fama e nome della virtù sua»23 .
La serie dei Dodici Cesari, non identificata, fu proposta all’imperatore Massimiliano II e poi mandata in Spagna sotto Pio IV24. A Tommaso il Vecchio è certamente da riferire il mandato di pagamento in cui si specifica che «Magistro Thomae de Porta» doveva ricevere 200 scudi per le due statue della Fede e della Carità ai lati del monumento a Paolo IV25; e le statue, oggi custodite nel corridoio della sagrestia di Santa Maria sopra Minerva, nelle pieghe ampie del panneggio, nella levigatezza dei volti e nel collo taurino, richiamano la produzione romana di Jacopo Sansovino. Dal 1561 al 1563, Tommaso fu al servizio di Cesare Gonzaga come restauratore ed esperto d’antichità26. Il busto di Ferrante Gonzaga (figg. 8-9), risultato della committenza di Cesare Gonzaga, dimostra l’abilità dello scultore nel genere della ritrattistica. Proprio negli stessi anni in cui Tommaso si trovava a Guastalla, arrivava a corte Francesco Capriani da Volterra (1563-1564) che divenne poi architetto ufficiale di Cesare Gonzaga. Tommaso Della Porta e Francesco Capriani, insieme al vescovo Gerolamo Garimberto e al mercante Giovanni Antonio Stampa, furono consiglieri di fiducia del duca Cesare Gonzaga in materia di antichità. Di loro si avvalse quando, fra il 1560-1562, Cesare giungeva appositamente a Roma per acquistare marmi e statue antiche per arredare la sua nuova residenza mantovana. Non sappiamo se anche Giovanni Battista lavorò per Cesare Gonzaga, ma due lettere consentono di ipotizzarlo. Nella fitta corrispondenza fra il vescovo Garimberto e Cesare Gonzaga, una lettera del 2 novembre 1567 è relativa al Della Porta nella quale lo scultore è presentato come valentuomo nell’arte del restauro; lo stesso documento attesta un primo ritorno dell’artista in Lombardia27. Un’altra lettera
23 vaSari 1568, vol. 7, p. 550. Sulla maschera ad imitazione delle antiche posta sul camino della casa di Arezzo cfr. cecchi, in corti - DaviS 1981, pp. 22, 26-29, n. 4. 24 rieBeSell 1989, p. 29, nota 45. 25 Sul monumento Carafa: Schallert 2006, pp. 223-294. 26 GaSparotto, in BarBieri - olivato 2007, p. 132, n. 83; Brown - lorenzoni 1993, ad indicem. Francesco Capriani lavorò alla corte del duca Cesare Gonzaga fra Roma e Mantova dal 1563-1564 al 1570 ca. cfr. marcucci 1991, pp. 23-45, 353; eaD., 1999, pp. 501-532. Precisazioni biografiche sul Capriani si devono a peDrocchi 2009, pp. 373-422, 377. 27 «(…) non voglio però mancare di scriver questa mia con l’occasione del portatore, che sarà maestro Giovanbattista scultore, nipote del già maestro Thomasino, che col tornarsene a riveder la patria l’ho persuaso venir a basciar le mani di quella, la quale se haverà bisogno dell’opera sua, come
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a Cesare Gonzaga, questa volta scritta da Venezia dal famoso antiquario Jacopo Strada il 16 giugno 1568, fa pensare che lo scultore in quel momento fosse ancora al Nord e che fosse già stato al servizio di Cesare:
«Il presente portator di questa si è Messer Joan Baptista de la Porta, molto servidor di vostra Excellentia Illustrissima il quale per quanto mi dice la supplica di un favore come a bocca intenderà da lui, e perché io desidereria chel suo negozio avesse buon fine, ed anche con quella più prestezza che fosse possibile, l’ariccomando a vostra Excellentia Illustrissima attribuendomi tal favore a me proprio con avercene obbligo infinito. La sua tornata la desidero con hogni sua diligenza. La causa si è che esso lavora alcune cose che attengono a la Maestà del mio padrone, e per tal causa la supplico che la sua espedition gli sia raccomandata, et io dove posso vostra Excellentia Illustrissima servire qui dove di presente mi trovo, overo a la nostra corte che quella si degni di comandarmi, a la quale basio le mani e me gli ariccomando. Il Signor Iddio da mal vi guardi. Di Venetia il 16 Giugno 1568»28 .
Seguendo l’ipotesi di Brown, dalla lettera si desume che Giovanni Battista da Venezia va a Mantova nel 1568 e che sarebbe dovuto rientrare presto a Venezia dovendo portare a termine lavori per Massimiliano II29. Il «negozio» di cui parla Strada è senza dubbio relativo al commercio di marmi antichi e dunque da Mantova lo scultore si sarebbe recato a Vienna, passando per Venezia, per essere a disposizione dell’imperatore. Il fatto che Strada sollecitasse il rientro dello scultore a Venezia perché «esso lavora alcune cose che attengono a la Maestà del mio padrone» non basta, a mio avviso, a garantire la partenza dello scultore verso Vienna alla corte di Massimiliano II. Più semplicemente l’Imperatore avrebbe potuto ricevere direttamente le antichità restaurate dallo scultore inviate da Venezia grazie all’intercessione di Jacopo Strada. Inoltre, se Strada, riferendosi a Cesare Gonzaga, indica lo scultore come «molto servidor di vostra Eccellentia», allora forse Della Porta (raccomandato un anno prima dal vescovo Garimberto, nonché nipote di Maestro Tommasino) aveva effettivamente prestato servizio per Cesare Gonzaga. Un dato è certo: essere il nipote di Tommaso il Vecchio aveva garantito al giovane scultore la raccomandazione del vescovo Garimberto. L’architetto Francesco Capriani, come già accennato, poteva aver conosciuto Tommaso Della Porta a Guastalla e forse anche a Roma in occasione dell’arrivo nell’Urbe di Cesare Gonzaga
credo, nel restaurare et rassetar delle sue anticaglie, la non doverà lassarlo andar più inanci senza fermarlo et servirsene, per esser un valentuomo in quest’arte. Et ella, come ho detto, havendone bisogno, come credo, s’egli è vero, come intendo, che lo sia per far trasportar omia bona della sua Galeria di Mantova in quella di Guastalla (…)» (doc. 8). 28 campori 1866, p. 50, n. LXI. La lettera è pubblicata anche in Brown - lorenzoni 1993, p. 118, n. 110. 29 Ibidem, pp. 228-229.
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nei primi anni sessanta. Vent’anni dopo, con il Capriani, Giovanni Battista condividerà fra Loreto e Roma le committenze Caetani. Pertanto è lecito supporre che proprio tramite lo zio Tommaso, nel contesto dei lavori per Cesare Gonzaga nei primi anni sessanta, Giovanni Battista conobbe il Capriani. Secondo l’ipotesi di Laura Marcucci, il segretario Giovanni Francesco Peranda potrebbe aver favorito l’inserimento dello scultore Giovanni Battista e dell’architetto Capriani nell’ambiente romano dei Caetani30. Peranda, infatti, fu segretario dapprima del cardinale Francesco Gonzaga (1561), fratello di Cesare, e poi, dal maggio del 1566, del cardinale Niccolò Caetani mantenendo il servizio per trent’anni31. Suppongo che il Peranda, nella corte Gonzaga, ebbe occasione di conoscere lo scultore Tommaso se in quella minuta nomina Giovanni Battista come «nipote di Tomasino», inoltre Tommaso aveva anche lavorato proprio per il cardinale Francesco Gonzaga. L’incontro fra Giovanni Francesco Peranda, Francesco Capriani e Tommaso, potrebbe dunque essere avvenuto nella corte Gonzaga e poi, tramite l’intercessione dello zio, sarebbe stato presentato al Peranda il giovane scultore Giovanni Battista. Ricordiamo inoltre che Tommaso, fra il 1564-1565, lavorava accanto a Giovanni Boccalini – cui sarà affidato, dieci anni dopo, il primo progetto per il monumento a Niccolò Caetani, poi concluso dal Capriani e da Giovanni Battista Della Porta – per stimare la collezione del cardinale Rodolfo Pio da Carpi nella vigna al Quirinale32. Laura Gori valuta anche l’ipotesi che la scelta dei due artisti, Capriani e Giovanni Battista Della Porta, da parte di Niccolò Caetani potesse essere avvenuta in seguito agli stretti rapporti stabiliti con il cardinale Ippolito d’Este33. Il Capriani lavorò per Ippolito a Tivoli a partire dal 1570 e pochi anni prima Giovanni Battista aveva realizzato le Ninfe per la fontana dell’Ovato di Villa d’Este (figg. 4-6). Infatti, nel luglio del 1567 fu stilato il contratto per l’esecuzione di dieci Ninfe in peperino
30 marcucci 1991, p. 69. 31 Ibidem; caetani 1933, pp. 103-104. 32 In seguito alla morte del cardinale Rodolfo Pio da Carpi (2 maggio 1564) furono stesi due inventari e due brevi elenchi della sua collezione, divisa tra il palazzo in Campo Marzio e la vigna in Quirinale: Stimma delle anticaglie e pitture heredità del Card. Ridolfo Pio ritrovate in Roma fatta da Boccalino da Carpi, Danielo da Volterra e Messer Tommaso scultore del 2 maggio e uno più tardo del 27 giugno 1565. Come periti vengono chiamati l’architetto carpigiano Giovanni Boccalini e lo scultore Tommaso Della Porta per le sculture della vigna di Monte Cavallo, mentre le antichità e i dipinti conservati nel palazzo di Campo Marzio vengono valutati da Boccalini e da Daniele da Volterra usando «diligentia in considerare la rarità delle cose, et la bellezza et bontà delle antiquità». Come suggerisce Vasari, l’architetto Giovanni Boccalini portò avanti la fabbrica dell’Ornamento della Santa Casa di Loreto proprio sotto il cardinale da Carpi sino al 1563. SvalDuz 2002, pp. 30-48, 40, nota 79. franzoni 2002; mancini 2003, pp. 37-59. È importante segnalare che al Boccalini, alla fine degli anni settanta, fu assegnato il primo progetto per la tomba parietale di Niccolò Caetani nella basilica di Loreto, l’incarico passò poi a Francesco Capriani da Volterra e Giovanni Battista Della Porta. 33 Gori 2007, p. 69.
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coperto di stucco bianco per la fontana dell’Ovato a Villa d’Este a Tivoli34. Delle Ninfe oggi non rimangono che lacerti, corrosi dal continuo fluire di acque calcaree e sepolti dalla proliferazione di muschio. In esse prevale senza dubbio l’impronta di Pirro Ligorio, autore dei disegni delle statue, che nella severità delle pose e nella rigidità dei panneggi si allineano con le altre figure che decorano le fontane della stessa Villa. Per un giovane scultore che tentava di inserirsi nell’ambiente romano, il cantiere di Villa d’Este rappresentava senza dubbio un ottimo punto di partenza, frequentato da maestranze provenienti da ogni dove e diretto per la pittura da maestri celebri come Girolamo Muziano, Federico Zuccari, Livio Agresti. Inoltre per Ippolito d’Este, Della Porta aveva iniziato il restauro di una colossale statua di Tiberio venduta nel 1566 da Mario Ciotto al cardinale, anch’essa destinata ad ornare la Villa di Tivoli35. La statua non fu terminata da Della Porta probabilmente perché nel novembre del 1567 tornò in Lombardia, e fu poi affidata, con un atto del 13 dicembre 1567, ad altri due scultori: Gillio dalla Ulliete (italianizzato Egidio della Riviera) e Agostino Carboni. Sottoscrivono l’atto di obbligazione Cornelio Fochetto e l’antiquario Vincenzo Stampa. La presenza di Giovanni Battista nell’importante cantiere di Villa d’Este presuppone una sua prima produzione romana, non ancora nota, probabilmente in collaborazione con lo zio Tommaso o presso la bottega di Guglielmo come restauratore di antichità. Lo stesso Tommaso, come abbiamo visto, fra il 1564-1565, frequentava la bottega di Guglielmo, lavorando al fianco di Niccolò Longhi (assistente e cognato di Guglielmo) nel restauro di sculture antiche36 .
Oltre alla corte Gonzaga, Tommaso il Vecchio probabilmente tentò di inserire il nipote Giovanni Battista nella cerchia fastosa e ambita dei Farnese. Nel 1562 Tommaso era impegnato nella vendita della serie dei Dodici Cesari al cardinale Alessandro Farnese in cambio del cavalierato di San Pietro; se il titolo si fosse reso vacante durante la sua vita sarebbe passato al nipote37. Nel novembre del 1567 Giovanni Battista rientrava in patria, rimanendo al Nord almeno fino al giugno dell’anno successivo, pertanto doveva essere sceso a Roma già da qualche anno, forse intorno al 1562, mentre suo zio Tommaso negoziava non solo con il cardinale Farnese, ma anche con il vescovo Girolamo Garimberto e Cesare Gonzaga assicurando al nipote importanti mecenati.
Fu dunque in seguito alla morte dello zio, avvenuta negli ultimi mesi del 1567, che Giovanni Battista ricevette l’onorificenza del cavalierato di San Pietro,
34 Doc. 6. Gli interessi antiquari del cardinale Ippolito d’Este sono stati approfonditi da venetucci 2010, pp. 51-75 e cacciotti 2010, pp. 77-111 e più di recente da ferruti 2013, pp. 367-390. 35 Doc. 9. 36 Brentano 1989, pp. 212-213. 37 rieBeSell 1989, pp. 28-30.
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divenendo il «Cavalier Della Porta»38. Secondo il biografo Giovanni Baglione, Giovanni Battista realizzò «li dodici Cesari con li suoi petti, e si portò così eccellentemente che il cardinale Alessandro il regalò, e fecelo Cavaliere dello Speron d’oro»39. Un’imprecisione chiarita prima da Faldi, poi da Riebesell e ulteriormente risolta da Brown40. Il cardinale Alessandro commissionò due serie di busti di imperatori: una per il palazzo di Roma e l’altra per Caprarola. Già Gramberg mise in relazione la serie di Caprarola con la notizia riportata dal Baglione e sulla stessa linea Partridge identificava in Giovanni Battista Della Porta l’autore della serie proveniente dal cortile circolare di Caprarola e poi sistemata nella galleria dei Carracci a Roma41. Gli studi di Riebesell assegnano i busti dei Cesari attualmente nell’ingresso di Palazzo Farnese a Roma a Tommaso Della Porta il Vecchio, un’attribuzione che, pur sostenuta da dati archivistici per l’identificazione dell’autore, rimane problematica per l’incerta provenienza della serie. Sulla vendita dei Dodici Cesari al cardinale Farnese, Riebesell ha indicato il documento, pubblicato da Lanciani, datato 25 febbraio 156242 in cui sono descritti, più nel dettaglio, le condizioni di vendita e di pagamento dei busti; alla banca «eredi di Luigi Rucellai» il cardinale affidava le modalità d’acquisto della serie. Le lettere di Teodoro Rivi al cardinale Farnese, chiariscono ulteriormente la vicenda:
«Dopo che ho avisato Vostra Signoria Illustrissima del cavallerato, è stato da me messer Thomaso, con che lei tien obligo per le statue de imperatori, d’un cavallerato simile, et la prega gli vogli dar questo; l’obligo suo è che Vostra Signoria Illustrissima fra 18 mesi gl’habbia a dare un cavallerato di San Pietro et, se tra tanto vacasse uno di San Paolo, cominciando a genaro prossimo passato, et tra tanto, dandogli quatro scudi di moneta il mese, si può trattenere anchor dieci mesi, ma se gli paga i quatro scudi et si corre il pericolo del cavallerato di San Paolo o che anchor non venghi altra vacantia. Però, essendo dubiosa la resolutione, oltre a qualche altro rispecto, non dirò per hora qual mi giudichi il meglio et aspetterò d’essequire quanto lei prudentissimamente in ciò mi commanderà»43 .
Nel libro dei conti del cardinale, nel dicembre 1562 sono appuntati 900 scudi da pagare a Tommaso che probabilmente non fece in tempo a riscuotere cedendo
38 I servitori di Casa Farnese, tramite alcune lettere scritte nel mese di settembre 1566, annunciavano al cardinale Alessandro che maestro ‘Thomasino’ «è amalato grave, ma ci è ancho qualche speranza di salute»: Brown - lorenzoni 1993, p. 231, nota 3. Tommaso risulta già morto nella lettera del 2 novembre 1567 scritta dal vescovo Garimberto a Cesare Gonzaga (doc. 8). 39 BaGlione 1642, p. 74. 40 falDi 1954, p. 50; rieBeSell 1989, pp. 28-30; Brown - lorenzoni 1993, pp. 230-232. 41 GramBerG 1933, p. 280; partriDGe 1971, pp. 480-481. 42 lanciani 1902-1912, vol. 2, pp. 179-180; rieBeSell 1989, p. 28, nota 38. 43 La lettera è datata 5 settembre 1562, è trascritta in Brown - lorenzoni 1993, p. 231, nota 3 e l’attuale segnatura archivistica è ASP, Carteggio Farnesiano Estero, Roma, b. 447, fasc. 2.
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così il titolo di Cavaliere al nipote Giovanni Battista44. Pertanto si smentisce la notizia di Baglione secondo cui Giovanni Battista fu l’autore dei busti Farnese. Anche la lettura stilistica smentisce le parole del biografo: i busti, attualmente visibili nell’andito del Palazzo Farnese di Roma, sembrano molto più rifiniti, quasi ritratti al ‘naturale’, rispetto allo stile severo della serie borghesiana realizzata da Giovanni Battista (figg. 66-77).
Seguendo Baglione, Della Porta è stato citato più volte come restauratore di antichità al servizio dei Farnese, tenuto in gran considerazione dal cardinale, tanto da essere insignito del titolo di Cavaliere45. Come già precisato, in realtà Giovanni Battista ottiene il titolo solo per la morte dello zio Tommaso al quale l’onorificenza era stata promessa, inoltre gli studi più recenti sulla collezione Farnese di antichità, per la paternità dei restauri, escludono il nome di Giovanni Battista Della Porta citando solo Guglielmo Della Porta e Giovanni Battista Di Bianchi46. Smentire le parole di Baglione non equivale però ad escludere l’ipotesi che Giovanni Battista, giunto a Roma nei primi anni sessanta, si fosse inserito nella corte del cardinale Alessandro Farnese, favorito dal più anziano parente Guglielmo e dallo zio Tommaso. È pur vero che l’assenza del nome di Giovanni Battista nella copiosa documentazione farnesiana lascia pensare che lo scultore non abbia mai lavorato per il ‘Gran Cardinale’47, ma bisogna tener conto del fatto che, a quelle date, lo scultore, essendo ancora troppo giovane, non avrebbe potuto sottoscrivere documenti di allogazione o i pagamenti di un intero lavoro (di restauro, reimpiego od ornamentale). Una conferma, cronologicamente successiva, del legame fra Giovanni Battista e la corte Farnese, può trarsi da una sinora inedita committenza: la realizzazione del monumento funerario al cavaliere Alessandro Guarnelli (fig. 10), segretario del cardinale Alessandro Farnese. Il cavaliere Guarnelli (1531-1591) fu infatti particolarmente legato al cardinale Farnese per tradizione familiare e, da poeta colto, gli dedicò la sua prima opera letteraria pubblicata nel 1554: la traduzione in ottave del primo libro dell’Eneide48. Torquato Tasso scrisse nel 1585 il sonetto Per te, Guarnello, la pietate e l’armi, con l’intento di celebrarne sia la traduzione del poema epico virgiliano sia la protezione farnesiana. Guarnelli venne insignito dell’onorificenza di cavaliere forse per il tramite del Farnese, e poté vantare
44 rieBeSell 1989, p. 29, nota 40. 45 partriDGe 1971, p. 482. 46 Sui tentativi di attribuzione a Giovanni Battista Della Porta dei restauri delle antichità Farnese come il Toro, l’Atlante, la Flora e l’Ercole Röttgen nelle note alla biografia di Baglione cita studi ormai molto datati e ridiscussi (röttGen 1995, vol. 3, p. 566). Per i restauri Farnese cfr. priSco 2007, pp. 81-134.
47 roBertSon 1992. 48 Sul Guarnelli vd.: ruSSo 2003, pp. 405-407.
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questo titolo già nel 1571, quando pubblicava, come «Cavalier Guarnello», due componimenti per la celebrazione della vittoria a Lepanto49. L’attribuzione del monumento al Della Porta, qui discussa per la prima volta, si basa sul documento inedito, datato 14 aprile 1591, in cui si specifica che Lorenzo Fragni, medaglista parmense e amico di Della Porta, avrebbe dovuto riscuotere alcuni denari per conto dello scultore, in particolare: «Dalli heredi del signor Cavalier Guarnello se li ha speso per far l’opera della sua memoria scudi 59 et non si contentando la facciano stimare se ne è havuto scudi 30 a bonconto»50. Si tratta di una lista di crediti che Della Porta consegna al Fragni affinché provveda alla riscossione dei compensi. Il riferimento al pagamento di 59 scudi dagli eredi del Cavaliere Guarnello «per far l’opera della sua memoria» è dunque da ricondurre con molta probabilità alla costruzione del monumento Guarnelli, ora a Santo Spirito in Sassia, che fu commissionato appunto a Della Porta dagli eredi del Guarnelli dopo la sua morte occorsa, come si legge nell’iscrizione, nel 1591 (fig. 10). Inoltre, nel documento si cita il «cavalier Guarnelli»: Alessandro fu l’unico fra i Guarnelli ad essere insignito del titolo di cavaliere dell’ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro, come precisato nell’iscrizione, il che rende univoca l’identificazione della memoria con quella conservata a Santo Spirito in Sassia. Il disegno compositivo della memoria Guarnelli realizzata in marmi colorati segue la tipologia assai diffusa della lastra tombale sormontata da timpano spezzato con al centro lo stemma gentilizio (o il ritratto del defunto), come i casi emblematici dei monumenti in commesso marmoreo a Pio IV (realizzato da Alessandro Cioli nel 1582), e al cardinale Giovanni Antonio Serbelloni (1591) posti nell’abside di Santa Maria degli Angeli51 .
Da recenti studi sulla scultura veneta è emersa poi la presenza di Della Porta nella Serenissima durante gli ultimi mesi dell’anno 157352. A quelle date doveva essere noto a Padova se i Presidenti della Cappella dell’Arca (Basilica del Santo) chiesero informazioni sul suo operato e su quello di Girolamo Campagna (1549post 1617) per completare il rilievo marmoreo con Sant’Antonio che risuscita il giovane di Lisbona, lasciato incompiuto da Danese Cataneo (ca. 1510-1572)53. Lo si deduce da una lettera dei Presidenti dell’Arca, datata 10 novembre 1573, nella quale si fa esplicito riferimento a delle opere fatte da Della Porta per il Cavaliere Mocenigo e l’eccellentissimo Sonica:
49 Ibidem. 50 Doc. 88, cc. 495r-498v: 496r. 51 Vedi qui p. 8. Cfr. Schiavo 1954, pp. 15-42, 35-36, n. 48; Schiavo 1990, pp. 515, 996-997. 52 tumiDei 1999, pp. 107-125, 121. 53 Sartori 1976, p. 37. Su Danese Cataneo e Girolamo Campagna si vedano le pagine aggiornate di Massimiliano Rossi e Andrea Bacchi nel catalogo ‘La bellissima maniera’, a cura di Bacchi - camerlenGo - leithe-jaSper, pp. 237-248, 399-416.
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«Desiderando noi di far finir a qualche eccellente sculptore il quadro che già fu cominciato dal quondam mistro Dainese Cathaneo per fi nir la Caphela del glorioso Sant’Antonio, havendo molti partiti s’habbiano rissolto di voler haver informatione delle opere fatte per il Kavalier Giovanni Battista in casa del carissimo Kavalier Mocenigo et dell’eccellentissimo Sonica et anco di quelle fatte per mistro Gerolimo Campagna arlevo di esso Cathaneo in casa del clarissimo messer Giacomo Contarini»54 .
Nella lettera è citato un certo «Kavalier Mocenigo», che può essere identificato con Leonardo Mocenigo, collezionista veneto di antichità del secondo Cinquecento, l’unico fra i Mocenigo insignito del titolo di Cavaliere da Ferdinando I55. Il Sonica invece potrebbe essere Francesco Assonica avvocato, collezionista e ‘compare’ di Tiziano, che nelle Vite di Giorgio Vasari è citato come Francesco Sonica proprietario di una villa a Padova così come Leonardo Mocenigo56 .
In un documento di poco successivo, datato 27 novembre 1573, sono indicate le proposte di quattro scultori ai presidenti dell’Arca per l’esecuzione del bassorilievo e, accanto a Della Porta e Girolamo Campagna, compaiono i nomi di Antonio Gallini e Francesco Segala57. Il documento conferma, inoltre, che il «Cavalier Giovanni Battista» citato nella prima lettera è senza dubbio il Della Porta:
«Et dum haec tractarentur sermo quoque inter ipsos r.dos et magnificos praesidentes habitus fuit de persona magnifici equitis d. Io Baptistae Porta pariter sculptoris. Et maturam considerationem habuerunt super ipsis quattuor sculptoribus et ablationibus sive partitis per eos factis, contentis in ipsis scripturis tenoris infrascripti videlicet»58 .
La scelta finale cadde poi sul Campagna, che terminò il rilievo nel 1577. Al di là dell’esito della vicenda, occorre domandarsi come mai per quel lavoro si pensò al Della Porta, dato che non sono note opere dello scultore eseguite prima del 1573
54 Sartori 1976, p. 37. 55 Puppi precisa inoltre gli estremi cronologici del cavaliere (22 giugno 1523-1575): cfr. puppi 1987, pp. 337-362, 343, 349; iD. 1990, pp. 65-69, 67, 68; Brown 1999, pp. 55-76. 56 vaSari 1568, vol. 7, p. 456; mancini 1995, pp. 141-142; iD. 2005, pp. 109-117. 57 Sartori 1976, p. 38. 58 Ibidem. Sulla base di questi dati e di affinità stilistiche con le decorazioni di Loreto, Stefano Tumidei propose l’attribuzione al Della Porta per i rilievi al monumento Cornaro nella Chiesa di San Salvador a Venezia (tumiDei 1999, p. 121, note 80-81). La costruzione paratattica dell’episodio presuppone piuttosto la mano di uno scultore che aveva assimilato la lezione di Jacopo Sansovino nei rilievi padovani, rimanendo lontano dalle soluzioni molto più sintetiche di Della Porta. Per la genesi complessa dei monumenti a Caterina Cornaro e ai cardinali Marco (m. 1524), Francesco (m. 1527), Andrea (1551), monumenti per i quali stando a Vasari, già Giovanni Maria Falconetto aveva approntato un progetto e che Francesco Sansovino nel 1663 riferisce, quanto all’architettura, a Bernardo Contino, si rimanda agli studi di hochmann 1992, pp. 97-110, 107, nota 55; Simane 1993, pp. 128-130.
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in Veneto e in Lombardia; per giunta Della Porta non si era ancora cimentato nella scultura in rilievo. Le uniche tracce di un soggiorno veneto dello scultore prima del 1573 si desumono dalla corrispondenza fra Jacopo Strada e Cesare Gonzaga. Nella lettera, già citata, del 16 giugno 1568, da Venezia, l’antiquario raccomandò Della Porta al Gonzaga perché andasse a buon fine il «negozio» (riferendosi al commercio di antichità) dello stesso scultore. A Venezia dunque, oltre alla conoscenza con Jacopo Strada, Della Porta sembra esser stato legato a mecenati quali Mocenigo e Sonica che avrebbero fatto parola di lui nell’ambiente artistico padovano.
Allo scadere del settimo decennio, da Porlezza arrivava a Roma il fratello minore di Giovanni Battista, omonimo dello zio e perciò chiamato Tommaso Della Porta il Giovane che, come scrive Baglione, si dedicò «al medesimo traffico del fratello [Giovanni Battista], onde gran quantità di buone cose antiche ritrovavasi; e professò mercanzia di cambiare anch’esso»59. Tommaso affiancherà il fratello Giovanni Battista nelle realizzazione delle Sibille e dei Profeti (figg. 13-25) destinate all’ornamento marmoreo della Santa Casa nella Basilica di Loreto e all’epilogo della carriera, dimostrerà una sua autonomia stilistica nel celebre gruppo della Deposizione della Croce (fig. 26) sull’altare dell’oratorio della chiesa dei Santi Carlo e Ambrogio al Corso60. Il suo apporto nelle statue lauretane dovette essere considerevole, così impregnate di michelangiolismo e al contempo di quella tendenza «settentrionale e sansovinesca che Aurelio Lombardo (1501-1563) aveva trapiantato a Loreto»61. In questa città, centro artistico piuttosto singolare, isola felice delle committenze religiose, crogiolo di tendenze già ben delineate, Giovanni Battista può aver assaporato encomiabili brani di naturalismo e del linguaggio equilibrato ed armonico, principalmente toscano, ivi inaugurato da Andrea Sansovino (14671529). Roma, e più in generale lo Stato della Chiesa, era dunque in grado di offrire lavoro per scultori che fra i cantieri del Nord, dal Duomo di Milano alla Certosa di Pavia, non avevano trovato posto. La lezione lombarda non fu però mai dimenticata dal nostro. L’anatomia delle sibille lauretane, ad esempio, è resa attraverso la ritmica ‘lombarda’ delle pieghe del panneggio, analogamente alle soluzioni adottate da Cristoforo Lombardo (doc. 1510-1555) e dal Bambaia (1483-1548). Della Porta continuerà a confrontarsi con la cultura di provenienza e forse guarderà con interesse al «classicismo gelato» di Giovanni Antonio Buzzi (doc. 1559-1591).
Dal classicismo composto delle Ninfe di Tivoli lo scultore evolve verso una resa più naturalistica dichiarata nei Profeti. Se da un lato Giovanni Battista rimane più
59 BaGlione 1642, p. 152. 60 panofSky 1993, pp. 120-125. 61 rotonDi 1941, p. 16. Sull’attività di Aurelio Lombardo a Loreto: Giannatiempo lópez 1992, pp. 219-231; arcanGeli 1993, pp. 361-366.
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fedele al modello antico nelle pose rigide, cristallizzate, nei volti inerti, per nulla caratterizzati, dall’altro Tommaso sembra più sensibile alla tensione lineare delle forme dialogando con la produzione di Jacopo del Duca62. Il volto espressivo del Balaam (figg. 23-24) dichiara senza dubbio la mano di Tommaso lontano dall’‘imperturbabile’ Isaia (fig. 25), opera invece di Giovanni Battista. In base agli stessi parametri le Sibille Ellespontica, Tiburtina, Persica, Eritrea, Samia, Cumea e Libica (figg. 13, 15-16, 18-19, 20-21) potrebbero dunque essere attribuite a Giovanni Battista, mentre al solo Tommaso è riferibile la sibilla Cumana (fig. 17). Difficile è invece stabilire la paternità delle sibille Delfica e Frigia. Il volto della Delfica (fig. 22) ricorda molto lo stile di Tommaso ma le gambe inerti ne allontanano l’attribuzione, sarà forse un’opera di collaborazione? E così anche la delicata sibilla Frigia (fig. 14), il cui putto avanza leggerissimo in un’elegante torsione, farebbe pensare a Tommaso, ma le pieghe del panneggio così fitte e regolari richiamano lo scalpello del fratello maggiore e dunque si presuppone la mano di entrambi.
Contemporaneamente al cantiere di Loreto, Giovanni Battista prese parte ai lavori promossi da Gregorio XIII per il rinnovamento dell’altare del Santissimo Sacramento di San Giovanni in Laterano, coordinati dall’architetto Francesco Capriani da Volterra, e nel 1576 veniva pagato per un Cristo risorto e due angeli. Brentano identificò le statue citate nel documento con quelle che ora coronano l’altare del coro d’inverno (o cappella Colonna, figg. 31-32)63. In queste opere lo scultore sembra allinearsi ad una certa produzione romana, che potrebbe essere il lascito romano della bottega di Jacopo Sansovino. Dai due angeli del Laterano, eseguiti intorno al 1576 (fig. 34), affiora la robusta matrice sansovinesca che ritorna nei due fanciulli del rilievo dell’acquedotto Felice accostabili stilisticamente agli energici putti del monumento Michiel-Orso (1520) in San Marcello al Corso e agli angeli della memoria di Ludovico Grati Morganti (1532) in Santa Maria in Aracoeli64 .
Nella bottega Della Porta risulta attivo anche il fratello minore Giovanni Paolo che sebbene «di scultura non s’intendeva»65, compare almeno in tre cantieri: la cappella Caetani in Santa Pudenziana, la cappella di San Pietro nella stessa basilica e, nel 1598, il monumento ad Ercole Estense Tassoni per il coro di San Pietro in Montorio realizzato insieme al fratello Tommaso il Giovane66. Se pur alterato nella composizione per il riassetto nel primo chiostro della chiesa e la ricostruzione subita nel secondo Ottocento, il monumento Tassoni dà l’idea della continuità della bottega e può essere facilmente accostato, per linearità compositiva ed uso sapiente
62 Su Jacopo Del Duca si veda: fraScarelli - teSta 1973. 63 Brentano 1989, p. 185. 64 Strinati 1992, pp. 334-335, nota 1, p. 361, nota 1; Donati 2008, pp. 107-134. 65 Come scrive BaGlione 1642, p. 152. 66 Benocci 2011, pp. 41-56.
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dei marmi colorati, al monumento del cardinale Francesco Alciati in Santa Maria degli Angeli (fig. 84) o al monumento ad Alessandro Guarnelli cui si è fatto cenno.
Giovanni Paolo Della Porta si occupò del commercio di pietre e marmi mischi destinati al pavimento della chiesa della Madonna dei Monti per il quale fu pagato ben 800 scudi (nella stessa chiesa, a partire dal 1581, sono documentati lavori eseguiti da Giacomo Della Porta, e fra il 1584-1585 Giovanni Battista Della Porta progettò l’altare della cappella Falconi)67. Inoltre, al solo Giovanni Paolo, il 13 marzo 1607, venne commissionata la costruzione in marmi colorati del monumento al cardinale Simone Tagliavia d’Aragona, oggi disperso68 .
A partire dal 1578 e sino al 1614, questa bottega a conduzione familiare trovò, il suo assetto in un antico casolare all’angolo fra via dei Pontefici e via del Corso, nel rione Campo Marzio (fig. 7), nei pressi dell’antico Mausoleo di Augusto69 . Dal testamento di Giovanni Battista Della Porta del 1590 apprendiamo anche i nomi di altri componenti della bottega, curiosamente tutti toscani, definiti «familiari» del testatore: gli scalpellini Francesco de’ Rossi (doc. 15771605) da Fiesole e suo figlio Battista, Domenico De Justi da Montepulciano, Emilio da Foiano «lustratore de pietre» e Achille de Furbatis da Carrara70. La provenienza toscana di questi scalpellini contraddice apparentemente il sistema ramificato professionale lombardo, e forse risponde alle dinamiche di bottega per cui si Fig. 7. Via del Corso e via dei Pon- sceglievano collaboratori lombardi o ticinesi e tefici, disegno, 1656, BAV, Chigi P, aiutanti subalterni toscani. VII, 13, c. 28.
67 «E più furono vendute dalo Giovanni Pauolo varie Pietre et marmi mischi per fari il Pavimento della Chiesa della Madonna delli Monti, che con il partito di metter in opera il detto Pavimento importo intorno a scudi ottocento di moneta per accordo et Istrumento rogato per il Notaro della Chiesa cioè dico scudi 800» (doc. 115). Nel giugno 1590 Giacomo Della Porta cominciò la costruzione della chiesa della Madonna dei Monti a Roma, finanziata da Gregorio XIII. Nel 1587 curò la decorazione plastica dell’interno e nel 1588 si pose il lanternino della cupola, suo è anche il disegno della seconda cappella sinistra, i cui lavori iniziarono nel luglio 1581: BeDon 1989, p. 165. Sulla cappella Falconi Guerrieri BorSoi, in maDonna 1993, p. 231, n. 23a. 68 panofSky 1993, pp. 143, 167. 69 Ibidem, p. 165. 70 Doc. 83, c. 23r. Su Francesco de’ Rossi: lomBarDi, in maDonna 1993, p. 556; fratarcanGeli - lerza 2009, pp. 211, 254, 255.
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Fig. 8. Tommaso Della Porta il Vecchio, Ferrante Gonzaga, 1561-1562 ca., Parma, Liceo artistico «Paolo Toschi» (foto Franco Lori).
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Fig. 9. Tommaso Della Porta il Vecchio, Ferrante Gonzaga, 1561-1562 ca., Parma, Liceo artistico «Paolo Toschi», particolare (foto Franco Lori).