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4. «Faceva dei ritratti assai bene»

LA FELICE STAGIONE DELLE COMMITTENZE CAETANI 63

per la cappella Caetani, la lapide è invece la lastra in marmo e bronzo per la sepoltura del duca Onorato Caetani. Il riferimento alla cappella Orsini Caetani non è esplicito sul contributo concreto dello scultore né si fa cenno al ritratto di Cecilia Orsini (fig. 57), per il quale gli studiosi hanno fatto il nome di Leonardo Sormani (doc. 1550-1590), autore del monumento a Rodolfo Pio da Carpi (fig. 56)47. Rodolfo morì a Roma il 2 maggio 1564 e al Sormani, il 21 luglio 1567, veniva dato un anticipo «pro confectione sepolture bone memorie Cardinalis Carpensis»48 . Meno problematica è la datazione dell’intervento di Della Porta nella cappella. All’ipotesi di Röttgen secondo cui i lavori iniziarono subito dopo il 1575, anno di morte di Cecilia Orsini, si aggiungono i dati ricavati dal documento del 22 dicembre 1601. Il fatto che la chiusura dei pagamenti dei Caetani ai fratelli Della Porta sia avvenuta dopo ventisei anni dalla conclusione del lavoro è ammissibile e l’anno 1601 diventa dunque un terminus ante quem per la datazione della cappella. In una lunga stima dei lavori eseguiti dal cavaliere Della Porta per il cardinale Enrico, oltre al «trasporto delle pietre fatte da casa del Cavaliere», sono menzionati venti scudi per «la tavola del atare [sic] della Trinità de li Monti»49. Purtroppo il documento è senza data, di certo però non può essere stato redatto prima del 1589, anno di inizio dei lavori per la cappella Caetani a Santa Pudenziana. I pochi dati a disposizione ci consentono comunque di inquadrare la cappella Orsini-Caetani come episodio di committenza Caetani che probabilmente vide coinvolto il Della Porta nella scelta calibrata dei marmi policromi. Come già intuito da Gori, la cappella Orsini-Caetani è senza dubbio un antefatto importante per la progettazione dell’arredo marmoreo del sacello di Santa Pudenziana e della decorazione della cappella di San Pietro nella stessa Basilica50. Infatti, mentre lavorava al cantiere Caetani, Della Porta fu incaricato dal prelato francese, monsignor Didier Collin (italianizzato Desiderio Collini), di progettare la decorazione della cappella dedicata a San Pietro nella zona absidale di Santa Pudenziana (fig. 58)51 .

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47 riccoBoni 1942, p. 98; Salerno 1968, p. 14; Strinati 1992, p. 409, nota 1; ciarDi 2008, p. 182, n. 4.48. Grisebach notava la diversità di mani tra i due busti, e per quello di Cecilia Orsini proponeva un accostamento alla produzione di Giacomo Cassignola: GriSeBach 1936, p. 102. Per il monumento a Cecilia Orsini, Antony Blunt indica l’anno 1585 senza alcuna argomentazione: Blunt 1982, p. 150. 48 lanciani 1902-1912, vol. 3, p. 200. Lanciani, su base documentaria, specifica che il monumento è probabilmente eseguito su disegno di Ottaviano Schiratto (Ibidem, p. 201). venturi 1937, pp. 540-604: 586; fruhan 1986, p. 263, nota 24; zanot 2004, p. 101. Per la decorazione degli stucchi della cappella Orsini-Caetani, Luigi Salerno indica i nomi di Antonio Paracca, detto il Valsoldo, e di Prospero Bresciano: Salerno 1968, p. 14. 49 Il documento è trascritto in cozzi Beccarini 1976, p. 155, n. A. 50 Gori 2012, pp. 267-268. 51 Scheda 21.

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Con un contratto del 15 giugno 1596 fra monsignor Collini e il «molto virtuoso signor cavalier Gio. Batt. Della Porta scultore» si stabiliva che il lavoro sarebbe iniziato lunedì 17 giugno e concluso in otto mesi secondo un disegno «sottoscritto dall’una e dal altra parte»52. Nel documento sono indicati, con estrema precisione, tutti i marmi che furono impiegati per la cappella sotto la direzione dell’artista: dal bianco dell’altare alle pietre miste: «porte sante, africane, verdi, gialli, alabastri, di varie sorte broccatelli, et treccie pidocchiose», agli stucchi della volta, al marmo per l’arco di entrata. Nella cappella trionfa il gusto tardo-cinquecentesco per la decorazione marmorea policroma, lavoro per il quale il Della Porta doveva essere particolarmente apprezzato dalla committenza romana; lo scultore seppe coniugare le sue doti di esperto di marmi alle esigenze del committente che però non vide il termine dei lavori poiché morì il 12 novembre 159653. L’equilibrio compositivo del sacello si riflette anche sull’impostazione formale del gruppo scultoreo rappresentante Cristo che consegna le chiavi a San Pietro che non ebbe una felice fortuna critica. Un documento notarile, citato da Gerda Panofsky, attesta la partecipazione dei fratelli Tommaso Della Porta il Giovane e Giovanni Paolo che ricevettero 180 scudi per il completamento dell’opera54. Ma solo il nome di Giovanni Battista risulta comunemente associato al gruppo marmoreo di Santa Pudenziana ma non, ad esempio, al busto di Onorato IV Caetani (fig. 41), inserito per la prima volta nel catalogo dell’artista da Gelasio Caetani, che forse avrebbe garantito un miglior giudizio sul suo operato55. L’equivoco sorse probabilmente a causa del succinto catalogo indicato da Baglione nella biografia di Della Porta. Il pittore romano che si trovò, proprio su questo cantiere, accanto allo scultore, elenca nel catalogo dell’artista solo tre opere: i Dodici Cesari eseguiti per Alessandro Farnese (in realtà realizzati dallo zio Tommaso Della Porta il Vecchio), il ritratto di Federico Cornaro e il gruppo di Santa Pudenziana:

«E per la sua virtù da tutti adoperato dentro la chiesa di Santa Pudenziana nella cappelletta di San Pietro, dove è l’Altare privilegiato, e già vi celebrò messa lo stesso San Pietro, formò due statue, cioè Nostro Signore, che dà le chiavi del suo Vicariato all’Apostolo San Pietro, figure di marmo grandi, quanto nel naturale»56 .

52 Doc. 94, c. 660r-v. 53 preSSouyre 1984, p. 83, nota 134. 54 Doc. 102. Nel County Museum of Art di Los Angeles è conservato un busto di Cristo (fig. 62), datato ca. 1590 e attribuito a Della Porta: Schaefer - fuSco - wienS 1987, p. 149. L’attribuzione, a mio avviso, non è sostenibile: alcuni dettagli (come la barba traforata, le linee oculari, le labbra ben definite, le ampie volute della capigliatura) sono troppo ricercati per essere dellaportiani. 55 caetani 1933, p. 270. 56 BaGlione 1642, p. 74.

LA FELICE STAGIONE DELLE COMMITTENZE CAETANI 65

Ulteriori notizie sul committente francese per la cappella di San Pietro si ritrovano negli studi di Pressouyre, in particolare la studiosa ha messo in relazione alcuni dati a sostegno dell’ipotesi che Nicolas Cordier, appena giunto a Roma, si fosse appoggiato alla rinomata bottega di Della Porta inserendosi negli ultimi cantieri fra i quali la cappella Caetani di Santa Pudenziana, per il tramite del patronato di monsignor Collini57. Negli anni 1580-1590 Desidierio Collini (rettore nel 1596 di San Luigi dei Francesi) aveva il suo palazzo in via dei pontefici, vicino dunque alla bottega di Della Porta. Desiderio Collini fu canonico di Santa Pudenziana – la Basilica che il cardinale Enrico Caetani fece restaurare – ed aveva preso a sue spese la decorazione della cappella di San Pietro dove fu sepolto. Morì senza aver visto la fine dei lavori, ma aveva lasciato tutti i suoi beni al capitolo del collegio, con il compito di terminare l’opera intrapresa. Nicolas Cordier venne a Roma, mandato dal duca di Lorena, fra il 1592 e il 1593, perciò Pressouyre suppose che lavorò anche a Santa Pudenziana – di cui monsignor Collini era canonico – accanto a Della Porta58. A sostegno dell’ipotesi che Cordier abbia lavorato con lo scultore favorito dei Caetani, Pressouyre aggiunge un ultimo dato: nel 1612, il modello in terra di un busto-ritratto del Cavaliere Della Porta (Giovanni Battista?) si trovava ancora nel suo atelier. Non sappiamo quando Cordier venne ad abitare in via dei pontefici, i registri degli stati delle anime, che forniscono la lista degli abitanti del palazzo Collini e degli edifici contigui, sono perduti dagli anni anteriori al 1606 perciò è impossibile verificare se, ancora viventi Giovanni Battista e Collini, Cordier abitava accanto a loro, appunto in via dei pontefici.

Insieme al dotto segretario Peranda, Della Porta fu dunque per i Caetani un solido riferimento in materia di antichità. Lo dimostrano, in particolare, alcuni documenti: il 22 giugno 1591 «Carlo de Belhomini» (Carlo Bellomo), maggiordomo di casa Caetani, aveva ottenuto licenza dal camerlengo Enrico Caetani «di far quattro cave fora di porta portese»; le statue in marmo, in bronzo e le colonne rinvenute dovevano essere stimate dal cavaliere Giovanni Battista Della Porta59 . Il 26 febbraio 1596 furono trovate alcune statue nella villa di Livia a Prima Porta ed il cardinale Enrico Caetani dava licenza ad Antonio Fontanelli per continuare a scavare ancora nello stesso luogo e poi consegnare le statue sempre al Cavaliere Giovanni Battista Della Porta «acciò le possa liberamente far condurre in casa nostra ò dove da Noi li sarà ordinato»60 .

57 preSSouyre 1984, p. 83. 58 Ibidem, pp. 83-85. 59 Doc. 85. Nel documento si specifica che la patente era stata registrata negli atti di «Andrea Martino notaro il 19 di giugno 1591» che può riferirsi al notaio della R.C.A. Andrea Martino. Ho consultato i documenti in ASR, R.C.A., notaio Andreas Martino, officio 6, b. 1235, relativi al Camerlengo Enrico Caetani e all’anno 1591, ma non vi è traccia della licenza di cui sopra. Su Carlo Bellomo cfr. caetani 1933, pp. 107-108, 111, 175, 285-286 e furlotti 2003, ad indicem. 60 Doc. 93.

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Fig. 36. Francesco Capriani, Giovanni Battista Della Porta, Monumento a Niccolò Caetani, 1578-1580, Loreto, Basilica, cappella Polacca (foto Bruno Longarini).

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Fig. 37-38. Giovanni Battista Della Porta, Fede e Carità, 1578-1579, Loreto, Basilica, cappella Polacca (foto Bruno Longarini).

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Fig. 39. Antonio Calcagni, Niccolò Caetani, 1580, Loreto, Basilica, cappella Polacca, particolare (foto Bruno Longarini).

Fig. 40. Giovanni Battista Della Porta, Carità, 1578-1579, Basilica, cappella Polacca, particolare (foto Bruno Longarini).

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Fig. 41. Giovanni Battista Della Porta, Busto di Onorato IV Caetani, 1592, Roma, Palazzo Caetani, Fondazione Camillo Caetani.

Fig. 42. Giovanni Battista Della Porta, Busto di Onorato IV Caetani (con il ciondolo del Toson d’Oro), 1592, Roma, Palazzo Caetani, Fondazione Camillo Caetani.

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Fig. 43. Giovanni Battista Della Porta, Busto di Onorato IV Caetani, 1592, Roma, Palazzo Caetani, Fondazione Camillo Caetani (foto Pasquale Rizzi).

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Fig. 44. Giovanni Battista Della Porta, Busto di Onorato IV Caetani, 1592, Roma, Palazzo Caetani, Fondazione Camillo Caetani, particolare.

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Fig. 45. Giovanni Battista Della Porta, Lastra tombale di Onorato IV Caetani, 1592, Roma, Santa Pudenziana.

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Fig. 46. Marcantonio Buzzi (su disegno di Giovanni Battista Della Porta), Stemma Caetani, 1589, Sermoneta, Castello Caetani, sala dei Baroni.

Fig. 47. Giovanni Battista Della Porta (bottega), Stemma Caetani, 1608 ca, Cassano allo Ionio CS, Campanile (foto Giuseppe Martire).

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Fig. 48. Cappella Caetani, ca. 1590-1670, Roma, Santa Pudenziana.

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Fig. 49. Cappella Caetani (parete sinistra), ca. 1590-1670, Roma, Santa Pudenziana.

Fig. 50. Cappella Caetani (parete destra), ca. 1590-1670, Roma, Santa Pudenziana.

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Fig. 51. Giovanni Battista Della Porta, 15931597, Aquila Caetani, Roma, Santa Pudenziana, cappella Caetani, particolare.

Fig. 52. Giovanni Battista Della Porta, 15931597, Urna del sangue dei martiri, Roma, Santa Pudenziana, cappella Caetani, particolare.

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Fig. 53. Cappella Orsini-Caetani, 1567-1580 ca., Roma, Santissima Trinità dei Monti (foto Pierluigi Mulas).

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Fig. 54. Leonardo Sormani, Monumento a Rodolfo Pio da Carpi, 1567, Roma, Santissima Trinità dei Monti, cappella Orsini-Caetani (foto Pierluigi Mulas).

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Fig. 55. Giovanni Battista Della Porta, Decorazione marmorea del monumento a Cecilia Orsini, 1575 ca., Roma, Santissima Trinità dei Monti, cappella Orsini-Caetani (foto Pierluigi Mulas).

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Fig. 56. Leonardo Sormani, Busto di Rodolfo Pio da Carpi, 1567, Roma, Santissima Trinità dei Monti, cappella Orsini-Caetani (foto Pierluigi Mulas).

Fig. 57. Scultore attivo a Roma, Busto di Cecilia Orsini, ca. 1575, Roma, Santissima Trinità dei Monti, cappella Orsini-Caetani (foto Pierluigi Mulas).

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Fig. 58. Giovanni Battista, Tommaso il Giovane, Giovanni Paolo Della Porta, Cappella di San Pietro, 1596-1598, Roma, Santa Pudenziana.

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Fig. 59. Giovanni Battista, Tommaso il Giovane, Giovanni Paolo Della Porta, Cristo consegna le chiavi a San Pietro, 1596-1598, Roma, Santa Pudenziana, cappella di San Pietro.

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Fig. 60. Giovanni Battista Cottignola, Cristo consegna le chiavi a San Pietro, 1569, Roma, Sant’Agostino, cappella di San Pietro.

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Fig. 61. Giovanni Battista, Tommaso il Giovane, Giovanni Paolo Della Porta, Cristo, 15961598, Roma, Santa Pudenziana, cappella di San Pietro, particolare. Fig. 62. Scultore di fine XVI sec., Busto di Cristo, 1590 ca., Los Angeles, County Museum of Art.

Fig. 63. Giovanni Battista, Tommaso il Giovane, Giovanni Paolo Della Porta, San Pietro, 15961598, Roma, Santa Pudenziana, cappella di San Pietro, particolare.

4

«FACEVA DEI RITRATTI ASSAI BENE»

La raffinatezza, la severità e l’attenzione al decoro nel ritratto policromo di Onorato IV Caetani (fig. 41) sono possibili echi della cultura antiquaria romana nonché reiterazioni del gusto imperante spagnolo. Modello figurativo del Caetani, per gli stretti legami familiari e professionali, è certo l’unico ritratto noto ad opera dello zio dello scultore, il busto parmense di Ferrante Gonzaga che Tommaso Della Porta il Vecchio aveva realizzato intorno agli anni 1561-1562 (figg. 8-9)1. Fra i modelli formali occorre guardare anche agli esempi pittorici romani dei primi anni sessanta, come al Francesco II Colonna di Girolamo Siciolante da Sermoneta (artista protetto anch’egli dai Caetani)2. Inoltre, la ricca collezione di antichità offriva allo scultore audaci occasioni di esercizio di emulazione dell’antico: l’intarsio della medusa sul petto del Caetani (fig. 44) quasi coincide con l’uguale dettaglio nel ritratto di Annibale cartaginese ora alla Galleria Borghese (figg. 64-65), e di provenienza Della Porta; parimenti l’austerità della serie moderna dei Dodici Cesari (fig. 66-77), sempre alla Borghese, e le sue perfette integrazioni di teste, gambe, braccia e piedi di alcune statue dichiarano l’abilità dello scultore nella simulazione dell’antico. Non diversamente, aveva saputo mediare modelli scultorei e pittorici, antichi e moderni, Antonio Calcagni che fra il 1566 e il 1572 aveva realizzato in bronzo e marmi colorati l’effige del poeta Annibal Caro ispirandosi ad un dipinto di Jacopino del Conte e forse all’incisiva rugosità del Bruto Capitolino3. Ancor prima un altro altissimo esempio: l’Ercole II (1555) di Prospero Clemente che, insieme all’Ottavio Farnese di Annibale Fontana, non nasconde la tensione verso i modelli

1 GaSparotto, in BarBieri - olivato 2007, p. 132, n. 83. 2 hunter 1996, pp. 142-143, n. 17; Donati 2010, pp. 152-153. Ringrazio Andrea Donati per avermi dato spunti interessanti sul tema della ritrattistica in pittura. 3 pope-henneSSy 1966a, pp. 577-580; iD. 1967, pp. 13-17.

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spagnoli proposti dalla rinomata bottega di Leone e Pompeo Leoni4. Sebbene i linguaggi stilistici della ritrattistica tardo-cinquecentesca, romana in particolare, siano ancora da decifrare, il ritratto Caetani sembra dialogare meno con la produzione coeva di Giovanni Antonio Paracca detto il Valsoldo, di Flaminio Vacca, di Leonardo Sormani, ed accostarsi più felicemente, alla maniera internazionale normalizzata, nell’età degli Asburgo, in pittura da Tiziano, Antonis Mor e Alonso Sànchez Coello, ed in scultura dai Leoni, stemperata però da ricchezza decorativa e purificata dalle citazioni insistenti del repertorio classico.

Accanto al busto Caetani, il catalogo dello scultore comprende un nucleo di ritratti, ad ornamento dei monumenti funerari, accomunati da una levigata severità formale e da un naturalismo asciutto. Tale cifra stilistica rispondeva forse a particolari esigenze dettate dalla destinazione funebre: le chiese di Roma potevano essere adornate dai monumenti sepolcrali di cardinali e prelati con la loro effige, naturalistica e austera al tempo stesso. Non sono pochi i casi di ritratti, stilisticamente affini a quelli dellaportiani, che affollano le pareti delle navate, delle cappelle, delle controfacciate delle chiese e basiliche romane e che, in parallelo alle novità berniniane, oltrepassano i primi decenni del XVII sec. Possibile esito di un processo culturale, l’ineloquenza di questi ritratti è forse anche motivo di quel silenzio storiografico che ne ha compromesso la fortuna a fronte dei più felici risultati fortemente espressivi raggiunti nella ritrattistica successiva5 .

Nel tentativo di recuperare le matrici formali del prorompente stile berniniano, la critica registra la lacuna storiografica e utilizzano il testo del Grisebach del 19366. L’aggiornamento sarebbe quanto più necessario se si pensa al fatto che gli studi di Grisebach, se pur validissimi, sono il risultato di una lettura legata all’idea dell’incidenza del clima controriformato sulla produzione artistica. In realtà bisogna prendere in considerazione molteplici istanze culturali poiché «la teoria del ritratto è ovunque»7, come scrisse giustamente Pommier, e non sarà pertanto insensato supporre che ai committenti interessati all’immagine che di sé avrebbero lasciato ai posteri, quel modo di plasmare la materia in forme chiare e linee regolari potesse essere confacente al loro gusto. Intrisi di dottrina umanistica, i personaggi ritratti, laici ed ecclesiastici, partecipavano ai cenacoli inaugurati a Roma da San Carlo Borromeo8. D’altro canto bisogna considerare la funzione dei ritratti

4 Bacchi 2001, pp. 106-108; aGoSti 1995b, pp. 70-74. 5 Bacchi 2009, pp. 21-69, in particolare si vedano le pagine su Modelli e precedenti: pp. 27-35. 6 GriSeBach 1936. Nel volume Roma di Sisto V un’intera sezione è dedicata alle Memorie e ai Ritratti: cannata, in maDonna 1993, pp. 416-433. Si tratta però solo di quei ritratti realizzati nel quinquennio sistino (1585-1590). Per i busti di primo Seicento vd. ferrari - papalDo 1999. Si vedano inoltre le pagine di ruGGero 2006, pp. 41-52. 7 pommier 1998, p. 3. 8 Vedi qui p. 8; cfr. fraScarelli 2001, vol. 1, pp. 24-37.

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(funeraria, celebrativa, documentaria). Solitamente destinati ad ornare tombe e memorie parietali, i busti venivano realizzati su disposizione di terzi (tranne casi eccezionali) poco dopo la morte dell’effigiato. Quest’ultimo dato potrebbe giustificare ulteriormente l’ineloquenza stilistica del ritratto del defunto e allo stesso tempo però suggerisce interrogativi sull’effettiva incidenza del suo gusto.

Incaute e oscillanti attribuzioni sottolineano ulteriormente l’urgenza di studi approfonditi sull’argomento. È il caso, ad esempio, del busto mantovano di Vespasiano Gonzaga, prima indicato come opera di Leone Leoni e poi passato alla bottega di Alessandro Vittoria9; oppure si osservi quella «primizia» del Vittoria confluita nella breve sezione di sculture della National Gallery di Londra, prima declassata come un falso del XIX secolo e poi riferita ad ambito romano del primo ventennio del Seicento10. E per rimanere in questo ambito, si osservino i ritratti di Paolo Mattei e di Turzia Colonna Mattei all’Aracoeli genericamente riferiti alla cerchia di Tommaso Della Porta il Giovane e posti a confronto con i busti di Lucrezia Pierleoni e Andrea Pellucchi a Santa Maria della Consolazione: ritratti che rivelano una tendenza stilistica più sensibile alla resa fisiognomica rispetto a quelli sistini e che attendono ipotesi più persuasive11. Non è certo questa la sede per dirimere la questione, ma dovendo trattare di Giovanni Battista Della Porta che raggiunse nei ritratti alti risultati, destinato come molti ad un «giudizio senza processo»12, il problema storiografico andava qui quantomeno sollevato.

«(…) e in tutte le occorrenze di statue egli fu sopraintendente si di ristaurare le antiche, come farne delle nuove, ma specialmente faceva de’ ritratti assai bene»13 . Con queste parole il biografo Giovanni Baglione sottolinea l’abilità di Della Porta nel genere del ritratto e ricorda solo la serie dei Dodici Cesari e il ritratto di Federico Cornaro (fig. 97) a San Silvestro al Quirinale, ma probabilmente, per usare quei toni encomiastici, conosceva il corpus dellaportiano. Significativo è il fatto che fra le numerose biografie degli scultori che compongono Le vite, troviamo un elogio simile solo nella descrizione dell’operato di Gianlorenzo Bernini14 .

L’attribuzione a Giovanni Battista Della Porta del ritratto di Onofrio Camaiani (figg. 78-79, Santa Maria sopra Minerva), che qui discuto per la prima volta,

9 L’attribuzione al Leoni è di Leandro Ozzola (1950) respinta da Leandro Ventura (1991), cfr. ferliSi, in BarBieri - olivato 2007, p. 101, n. 69. Nella recente scheda curata da Leandro Ventura si riconferma l’attribuzione alla bottega di Alessandro Vittoria in ventura, in roGGeri - ventura 2008, p. 115, n. 28. 10 ceSSi 1967, pp. 15-21; thomaS 1998; Baker - henry 2001, p. 737. 11 ruSSo - carta 1988, p. 207; Strinati 1992, p. 400; cannata, in maDonna 1993, p. 423, n. 5a. 12 martinelli 1954, p. 154. 13 BaGlione 1642, p. 74. 14 Ibidem, p. 306.

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aggiunge nel catalogo dello scultore un’opera documentata e al contempo fa da apripista ad un altro caso di studio ancora da identificare. Infatti, il dato che sostiene l’attribuzione del Camiani si desume dal documento inedito di allogazione per un’altra opera commissionata allo scultore: il monumento a Giacomo o Jacopo (Jacobus) Scala che doveva essere collocato nella chiesa di Santa Maria del Popolo e realizzato appunto su modello della memoria al Camaiani. L’incarico al Della Porta per il monumento Scala gli viene dato da Luca Gabrielli e Giulio Scala (fratello del defunto Giacomo) con atto notarile del 15 marzo 1592 in cui si specifica che:

«il detto cavalier Giovanni battista della porta faccia a tutte sue spese et posto in opera una sepoltura per la felice memoria del Signor Jacomo Scala fratello di esso signore Giulio posto nella chiesa del Popolo: nel modo, forma, longhezza et larghezza, in qualità di pietre come quella che posto in opera nella Minerva nella felice memoria di monsignor Camaiani posta fatta pur da esso signor Cavaliere»15 .

Nel dare istruzioni allo scultore per la realizzazione del monumento Scala, Luca Gabrielli e Giulio Scala menzionano, come modello, la memoria al Camaiani indicandola come opera già realizzata da Della Porta; il monumento a Giacomo Scala doveva dunque essere identico a quello Camaiani non solo nel disegno, ma anche nelle misure e nella qualità delle pietre. Della Porta avrebbe ricevuto cento trenta scudi e dieci giuli: un compenso quasi pari a quello che lo scultore riceverà nel 1591 per il solo ritratto del cardinale Federico Cornaro a San Silvestro al Quirinale. Nello stesso accordo venivano date a Della Porta puntuali indicazioni in merito all’esecuzione del ritratto di Giacomo Scala che doveva essere realizzato con «un poco di petto fatto di marmo nero assomigliato, Cappa et Casaccha, et la testa sia di marmo bellissimo con il collare fatto a lattuga»16. Il documento consente di ascrivere il ritratto Camaiani al Della Porta e fornisce dati su un’altra opera dello scultore, il monumento Scala, eseguito dopo il 1591, destinato alla chiesa di Santa Maria del Popolo, che potrebbe essere stato successivamente smontato e trasferito altrove17. Il ritratto Camaiani mostra un’alta qualità esecutiva e lo scalpello

15 Doc. 87. 16 Ibidem, c. 482r. 17 Dalle ricerche effettuate presso la chiesa di Santa Maria del Popolo e dallo spoglio della bibliografia sulla chiesa e sulle famiglie Scala e Gabrielli non è emerso alcun dato sul monumento a Giacomo Scala. Il frate agostiniano, Giacomo Alberici, ai primi del Seicento, descrive in dettaglio la chiesa del Popolo con queste parole: «Et per così dire cose assai in poche parole, tutti li muri della chiesa di Santa Maria del popolo, le colonne, e finalmente tutta la chiesa è ornata, e abbellita d’ogni intorno d’arme (sopra tutto di Sisto Quarto s.m.) di eitafii, e altri innumerevoli doni, oltre di ciò, il pavimento è quasi tutto falegato di pietre marmoree d’arme, figure, e epitafi (…)» e per brevità non elenca i

«FACEVA DEI RITRATTI ASSAI BENE» 89

si fa finissimo nella punzonatura dei capelli e della barba. Il doppio foro delle pupille è un espediente che ricorre in tutti i ritratti di Della Porta; come aveva notato anche Grisebach: l’espressività è restituita da una più marcata incisione dell’iride, meno comune fra gli esempi della ritrattistica romana databili intorno al settimo e ottavo decennio del Cinquecento18. La direzione verso destra dello sguardo è sottolineata dalla leggera inclinazione della testa. Gli stessi segni incisi per la resa della capigliatura e delle arcate sopraccigliari, la costruzione doppia dell’iride, la linea ampia del padiglione auricolare si riscontrano nel ritratto dell’avvocato concistoriale Girolamo Gabrielli (figg. 80-81), di cui è ignoto l’autore, sempre alla Minerva e messo in opera dal nipote Carlo Gabrielli dopo il 158719 .

Il ritratto Camaiani fu realizzato probabilmente dopo il 1574, anno di morte dell’effigiato la cui carriera brillante è sintetizzata nella lastra commemorativa: Camaiani, di origine aretina, esercitò la professione di avvocato, fu particolarmente apprezzato da Cosimo I de’ Medici e divenne suo agente a Roma; fece carriera nella corte pontificia come consigliere dell’Inquisizione e della consulta e protonotaro apostolico. Altra carica importante del Camaiani fu quella di conservatore dell’Urbe, a tutela delle antichità, che condivise con Ippolito Salviani e Marcantonio Palosci; grazie a tale carica i loro nomi furono eternati alle basi delle statue semicolossali di Giulio Cesare e d’Augusto al Campidoglio (vestibolo Palazzo dei Conservatori)20. Non sappiamo se il Della Porta realizzò il solo ritratto Camaiani o disegnò l’intera edicola, come fece per il monumento a Francesco Alciati in Santa Maria degli Angeli. Non è superfluo però rilevare che il disegno

personaggi illustri che erano stati sepolti nella chiesa: alBerici 1600; Nel volume di Forcella dedicato alla chiesa di Santa Maria del Popolo non compare alcun riferimento a Giacomo Scala (forcella 1869, vol. 1) e così anche negli studi di BentivoGlio - valtieri 1976 e di picarDi 2009, pp. 347-355.

Su Luca Gabrielli, Giulio Scala e Giacomo Scala si conservano molti documenti degli anni 15811592 fra gli atti del notaio Fabrizio de Gatti: ASR, Collegio dei Notai Capitolini, notaio Fabritius De Gattis, b. 839, in particolare cc. 55v- 58r (testamento di Jacobus Scala in data 18 agosto 1591 in cui chiedeva di essere sepolto nella cappella «Ecclesia Gloriosissima Vergina Santa Maria de Populo»), e cc. 58r-62v (inventario di Jacobus Scala del 2 ottobre 1591 che abitava in via cursus). Altri documenti su Luca Gabrielli e Giulio Scala relativi agli anni 1592-1599 si vedono in ASR, Collegio dei Notai Capitolini, notaio Fabritius De Gattis, b. 840.

È noto un tale Giulio Scala, letterato fiorentino, figlio di Giuliano, e nipote del più famoso cancelliere Bartolomeo, ma che morì già nel 1585, quindi non può essere identificato con Giulio Scala fratello di Giacomo cfr. Bellinazzi 1998, p. 143. Per quel che riguarda la famiglia Gabrielli, nell’articolo di pecchiai 1961, pp. 43-87, in cui sono distinti i due rami: i Gabrielli di Gubbio e i Gabrielli di Roma, non si fa riferimento ad alcun Luca Gabrielli e così anche in Brown 1985b, pp. 50-52, e in fraScarelli - teSta 2004. 18 GriSeBach 1936, pp. 120-121. 19 Ibidem, pp. 138-139; cannata, in maDonna 1993, p. 427, n. 7. 20 mercati 1927-1929, pp. 113-121: 114-115; GianSante 1974, pp. 71-72.

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compositivo dell’intero monumento Camaiani (paraste binate con capitelli ionici decorati con ghirlande ed architrave) è identico, nelle misure e nei marmi impiegati (ad eccezione della lastra commemorativa), all’edicola contenente il ritratto di Pietro Ciacconio nella sagrestia di Santa Maria in Monserrato (figg. 82-83), realizzata probabilmente dopo il 1581 (anno di morte di Ciacconio), di cui è ignoto l’autore21. La stretta aderenza dei due monumenti può far pensare ad un medesimo lavoro di bottega o, più semplicemente, che il monumento Ciacconio sia stato esemplato su quello Camaiani, come sarebbe avvenuto per il monumento a Giacomo Scala. Inoltre, questo disegno architettonico si ripete nella memoria a Girolamo Gabrielli, adattata alla forma semicircolare del pilastro (fig. 80).

Diversa è invece la memoria per il cardinale Francesco Alciati (fig. 84) in Santa Maria degli Angeli della quale è noto l’atto di convenzione, datato 17 ottobre 1580, stipulato fra gli eredi del defunto e Della Porta22. Il documento attesta il fatto che Della Porta si occupò dell’intera memoria, combinando i marmi policromi prescritti dai committenti, oltre che del ritratto in marmo «finissimo e bello». Nel volto dell’Alciati, levigato e regolare, lo scultore poco concede alla caratterizzazione espressiva e gioca su di un modellato sintetico e compatto, suggellando l’effigiato in un fermo e ineloquente ritratto. Egli guardò probabilmente a Giovanni Antonio Dosio (1533-1610), al Dosio però del Marchese di Saluzzo (1575) in Santa Maria in Aracoeli, rigorosamente costruito su piani geometrici che restituiscono un profilo araldico, sintesi di astratta umanità23. La linearità del Saluzzo rivela uno stile diverso, ad esempio, dal più pittorico ritratto di Annibal Caro che dieci anni prima Dosio aveva realizzato per San Lorenzo in Damaso (1566-1567); il cambiamento di rotta si deve probabilmente al soggiorno fiorentino dell’artista, a partire dal 1574. Il busto Alciati, incorniciato in una tonda modanatura e caratterizzato dal rosso antico della mozzetta, dovette avere una certa risonanza nell’ambiente artistico romano, numerosi sono infatti i busti di cardinali, cronologicamente successivi, che si richiamano a quel precedente nella sinteticità dei lineamenti oltre che nelle pieghe rigide della mozzetta rossa24. Evidenti le affinità stilistiche con il busto di Prospe-

21 GriSeBach 1936, pp. 98-99. 22 Doc. 70. Il documento è interamente trascritto in Schiavo 1990, pp. 995-996. 23 aciDini luchinat 1992, pp. 516-523: 517; SilveStri 2011, pp. 223-233. 24 Ritratti che cadono dunque nel decennio dopo la morte di Guglielmo Della Porta ai quali si riferiva Valentino Martinelli con queste parole: «dalle nicchie, dalle tombe delle chiese romane non s’affacciarono che una serie di austeri busti, in cui la policromia dei marmi cercò di sopperire alla monotonia dell’espressione standardizzata. Ve ne sono alcuni, senza verità e senza poesia, inseriti nel Grisebach nella sua piccola antologia di ritratti del periodo della Controriforma, con una scelta e un ordinamento discutibili ma sufficienti a dimostrare, come già accennai, che dopo il ’70, fra tanti scultori e scalpellini senza conto, l’arte del ritratto rimase in vita a Roma, specialmente per opera di Egidio della Riviera, Nicola Pippi e pochi altri». martinelli - pietranGeli 1955, pp. 25-26.

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ro Santacroce (†1589)25 attribuito a Prospero Bresciano, il busto di Francisco de Toledo (fig. 89, 1598)26 eseguito da Egidio della Riviera, il busto di Giovanni Aldobrandini (1611) dovuto ad Ambrogio Buonvicino27, il busto di Mariano Pierbenedetti (†1611) di uno scultore non identificato28. E ancora il pendant dell’Alciati: il busto di Pietro Paolo Parisio (fig. 87)29, che ricorda molto il busto di Arcangelo de’ Bianchi in Santa Sabina (†1580, fig. 88)30 sia nell’impianto del volto sia nelle pupille appena disegnate. Avanzando nel primo Seicento, i busti dei cardinali Girolamo e Fabrizio Veralli (1627-1631) realizzati da Egidio Moretti dimostrano come la linea indicata da Della Porta sembra persistere sebbene in episodi isolati31 .

Su questo comune indirizzo si colloca il busto di Pierfrancesco Ferrero (fig. 90), ora nella controfacciata di Santa Maria Maggiore, per il quale Grisebach giustamente pensò al Della Porta32. Conferma tale attribuzione un dato indiziario: Guido Ferrero, cardinale di Vercelli e nipote di Pier Francesco Ferrero, in occasione della costruzione del monumento Alciati, fece da tramite fra gli eredi e lo scultore e, mentre si trovava nella sua villa di Frascati (oggi Rufinella), si fece portare il progetto da Della Porta, come si legge nel documento:

«(…) Ho veduto li capitoli che mi ha portato il Cavalieri et tutto sta bene, aggiongendovi però che esso cavalieri sia obligato pigliari sopra di lui tutta la spesa si della rottura come conciatura del muro dove si ha da metter l’opra che cossi siamo restati d’accordo et vostra signoria farà fare subito l’Instromento che me ne contento. Dalla mia Villa Ferrera di Frascati il dì XV ottobre 1580. Di Vostra Signoria Come fratello Guido Ferreri cardinale di Vercelli»33 .

25 Roma, Santa Maria Maggiore. cannata, in maDonna 1993, p. 424, n. 6. 26 Roma, Santa Maria Maggiore. oStrow 1983, pp. 86-96: 88-90. 27 Roma, Santa Maria sopra Minerva: De lotto 2008a, pp. 21-223: 176, n. 7. 28 Roma, Santa Maria Maggiore. pietranGeli 1988, pp. 246, 298. 29 La tomba di Pietro Paolo Parisio fu commissionata dai familiari grazie al lascito dal vescovo di Bitonto Flaminio Parisio intorno al 1604: raGGi 1841, p. 240; GriSeBach 1936, pp. 134-135; BernarDi Salvetti 1965, p. 90. 30 Roma, Chiesa di Santa Sabina, controfacciata. Arcangelo de’ Bianchi fu frate domenicano vissuto a Santa Sabina, creato nel 1570 cardinale del titolo di San Cesareo, morì il 18 gennaio 1580 e fu seppellito ai piedi del monumento pensile. forcella 1876, p. 306, n. 618. Di recente il ritratto è stato attribuito a Giovanni Antonio Paracca detto il Valsoldo: Di Giammaria 2012a, pp. 292-317. 31 Roma, Sant’Agostino, navata destra, secondo e terzo pilastro. Guerrieri BorSoi 2007a, pp. 77-98, 89-90. 32 GriSeBach 1936, p. 132. Nella scheda del catalogo curata da Pietro Cannata, in maDonna 1993, pp. 426-427 i busti Ferrero sono dati a ignoto. Unico e importante contributo sulla distrutta cappella Ferrero è quello di Guerrieri BorSoi 2007b, pp. 1-12, 11-12 nella quale la studiosa coglie la differente mano dei due volti Ferrero pur citando in chiusura dell’articolo l’attribuzione di Herwarth Röttgen che li riferiva entrambi a Giovanni Battista Della Porta (röttGen 1995, vol. 3, p. 565). L’attribuzione è stata già discussa in ioele 2012, pp. 151-202: 155-156. 33 Doc. 70.

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È dunque verosimile che il cardinale di Vercelli, già in contatto con lo scultore negli anni ottanta, abbia scelto poi, per sé e suo zio, di affidare a Della Porta il ritratto dello zio. Non è agevole la lettura stilistica dei busti Ferrero ubicati in alto nella controfacciata; sulla base di quanto restituiscono le foto mi limito a sottolineare equivalenze formali fra il ritratto Alciati e il ritratto di Pierfrancesco Ferrero: analoghe le pieghe della mozzetta rossa, l’andamento appena accennato della barba, l’austerità del volto, la fronte alta e senza solchi. Nel trattamento del marmo non c’è alcuna ricercatezza e la terminazione della barba, sia nel Ferrero sia nell’Alciati, completa innaturalmente l’ovale del volto. Il ritratto di Guido Ferrero (fig. 91, pendant del ritratto di Pierfrancesco Ferrero) caratterizzato da un’espressività più accentuata – impropria per la maniera di Giovanni Battista – è forse di altra mano e ricorda quella di Tommaso Della Porta il Giovane, nella Sibilla (fig. 29) che rappresenta l’Antico Testamento, collocata nella nicchia destra della Deposizione (1583 ca. chiesa dei Santi Ambrogio e Carlo al Corso, Roma)34 . La memoria dedicata al cardinale Federico Cornaro (fig. 96), nella controfacciata di San Silvestro al Quirinale, fu interamente realizzata dagli scalpellini ticinesi Murzio Quarta e Melchiorre Cremona sotto la direzione dell’architetto Domenico Fontana; il Della Porta fu pagato, a partire dal gennaio 1591 solo per la «testa di marmo del Cardinale Cornaro», con un compenso di ben 125 scudi35. Il volto ieratico del cardinale, dai lineamenti regolari ottenuti grazie all’uso della gradina, è incorniciato in un ovale su cui si erge un’erma, al di sopra un timpano triangolare spezzato, con al centro lo stemma di Gregorio XIV. La differente mano degli scalpellini così dichiaratamente riconoscibile nell’esuberante decorazione della cornice rispetto alla sinteticità del busto, giustifica il giudizio del Venturi secondo il quale il sepolcro risultava: «complicato da troppe linee, da troppi drappi cadenti, da troppe mensole e volute»36. Per il ritratto del Cornaro Della Porta guardò al modello antico della ritrattistica della seconda metà del III secolo; l’astrazione lineare ritorna anche nel volto ‘snaturato’ del Galba della serie dei Cesari (fig. 67)

34 La datazione del busto di Pierfrancesco Ferrero credo vada anticipata di qualche anno rispetto a quella proposta da Pietro Cannata (post 1585), in maDonna 1993, pp. 426-427, n. 6b. Una fonte biellese degli ultimi anni del Settecento c’informa che il corpo di Guido «venne sepolto (…) nella tomba, che fece costrurre pel cardinale zio Pietro Francesco, e per se in S. Maria magg., e nella cappella della B. V. di jus patronato di sua casa con busto, ed epitaffio a mano manca vicino al sacrario secondo la sua intenzione» (tenivelli 1792, p. 237). Il monumento di Pierfrancesco era stato fatto costruire da Guido pertanto esisteva già prima della sua morte quando poi fu realizzato il secondo busto; ciò giustificherebbe la differente mano dei due ritratti. Realizzato dopo la morte di Pierfrancesco (1566), il busto a lui dedicato credo vada riferito ai primi anni ottanta del Cinquecento. 35 Doc. 86: gli scalpellini, Muzio Quarta e Melchiorre Cremona, ricevono 665 scudi. Per un approfondimento cfr. leonarDo 1997, pp. 269-300: 291-292, 298. 36 venturi 1937, p. 562.

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costruito sulla verticalità dell’asse centrale (la bocca ha quasi la stessa misura delle narici) e l’ovale del mento.

Attento alla resa fisionomica Della Porta sembra astenersi da qualsiasi amplificazione retorica e da qualunque eccesso di virtuosismo materico, basandosi su di un chiaro registro forse anche povero nelle soluzioni formali, ma di certo facilmente riconoscibile. La terminazione arrotondata del petto, tipica dei busti romani, la calligrafica incisione dei grandi bulbi oculari, delle arcate sopraciliari e del mento pronunciato e al contempo una contenuta e ferma espressività, caratterizza i ritratti dei Dodici Cesari, di Francesco Alciati e Federico Cornaro (figg. 66-77, 85, 97).

Mi sembra evidente che a Della Porta non interessa in prima battuta la resa psicologica del personaggio o quegli effetti che trasformano la materia, il marmo, in una figura palpitante e soprattutto rappresentativa di uno stato d’animo. Il suo obiettivo è invece rendere immediatamente riconoscibile lo stato sociale del personaggio ritratto. Vale la pena ricordare che lo scultore era stato a Venezia nel 1568 e che in quella occasione poteva aver visto alcuni esemplari di busti classicizzanti o all’antica realizzati da Alessandro Vittoria (come il Marc’Antonio Grimani, chiesa di San Sebastiano e il Benedetto Manzino, proveniente dalla chiesa di San Giminiano), di certo più convenzionali rispetto ai successivi, ma pur sempre caratterizzati da una vivacità decorativa che però non dovette incuriosire Della Porta. E al di là del contesto in cui operarono, fra Vittoria e Della Porta esiste una chiara differenza che può aver condizionato scelte stilistiche e formali così diametralmente opposte. I mecenati immortalati da Vittoria furono collezionisti di antichità o alti procuratori per i quali la caratterizzazione fisionomica fino alla rappresentazione dei segni del tempo era sempre stata onorifica in virtù della «gerontocrazia»37. Al contrario gli effigiati di Della Porta, ad esclusione del Caetani, furono tutti cardinali gravitanti nell’orbita di Carlo Borromeo. Guido Ferrero e Francesco Alciati furono membri dell’Accademia delle Notti Vaticane, cenacolo teologico-letterario animato dal Borromeo che radunava laici ed ecclesiastici, tutti interessati alla riforma dei costumi e alla vita virtuosa. Vincoli di parentela legavano i Ferrero al Borromeo38. Francesco Alciati fu maestro di Carlo Borromeo e si fece portavoce delle sue direttive, nonché rappresentante più fidato in Curia quando Borromeo nel 1566 lasciò Roma per governare la sua diocesi di Milano39. Alla morte improvvisa di Carlo, Guido Ferrero raccomandò Federico Borromeo alle cure del cardinale

37 Come scrisse martin 1999, p. 275. 38 Vedi qui p. 8. Pierfrancesco Ferrero (1513-1566) fu zio di Guido Ferrero (1537-1585). Guido nacque dal matrimonio fra Maddalena Borromeo (zia di Carlo Borromeo) e Sebastiano Ferrero, pertanto Guido Ferrero e Carlo Borromeo erano cugini. Gnavi 1997, pp. 35-36: 35; roSSelli 1997, pp. 27-29, 27; Guerrieri BorSoi 2008a, pp. 261-274. 39 Su Francesco Alciati (1522-1580): raponi 1960, pp. 65-67.

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Alessandro Farnese con una lettera del novembre 158440. E ancora Federico Cornaro, a partire dal febbraio del 1562, prese parte ai lavori del concilio tridentino e a Bergamo si adoperò nel concretare i decreti, intervenne poi ai primi quattro concili provinciali indetti dall’arcivescovo di Milano41. Lo stesso Cesare Gonzaga, che si avvalse di Della Porta come procacciatore di marmi antichi, sposò Camilla Borromeo, sorella di Carlo42. Infine nota è l’amicizia fra il cardinale Ludovico Madruzzo e Borromeo e, non a caso, i busti Madruzzo di Sant’Onofrio al Gianicolo sono stati attribuiti da Luigi Spezzaferro alla bottega dellaportiana43 .

Se per la scultura di Alessandro Vittoria è stato proposto il confronto con la pittura di Tintoretto, anche sulla base di comuni riflessi michelangioleschi44, nel caso di Della Porta, guardando al busto Caetani (fig. 41), torna utile leggere la famosa pagina su Scipione Pulzone di Federico Zeri per:

«(…) quello speciale tipo di ritrattistica giusta il quale le caratteristiche fisiche della persona effigiata vengono fissate ed esaltate in modi di estrema minuzia, e in una messa in posa rigidamente aulica, quasi ieratica, che sottrae la figura alla mutevole condizione dell’atto momentaneo e all’instabile riflesso dello stato d’animo (…). Il risultato finale è che la persona rappresentata, senza perdere nulla dei suoi tratti fisionomici, ritorna ai nostri occhi sotto una nuova specie, immutabile e fuori dell’azione del tempo, dove gli attributi dello stato sociale e del censo – nitidamente descritti nell’abito e nei suoi ornamenti – non hanno parte

40 «Ill.mo et R.mo S.mio, il caso inaspettato della morte immatura del Cardinale Borromeo ha portato a tutta casa sua, et à me sopratutti quella afflittione che V.S.Ill.ma può imaginarsi poiche non poteva venire evidente nel sangue mio, che più mi aggravasse di questo. Però la maggior consolatione, che possiamo ricever tutti sarà d’intender come teniamo per sicuro che V.S.Ill.ma sia per abbracciar la protezione di quella nobile famiglia, et spezialmente del signor Conte Federico Borromeo fratello del conte Renato mio cugino et amato teneramente dal cardinale per l’innocenza della sua vita, et per haverlo creato sotto la sua disciplina, nella quale ha fatto progresso tale che bene si può sperar da lui ogni gran frutto nella professione ecclesiastica. Et per consolatione di quella famiglia si desideravia di veder rinomata nella persona sua la memoria del Cardinale. Il che si spera con la molta autorità di V.S.Ill.ma la quale ciò mi sforzarei di disporre a favorirlo in questo, se non tenessi per fermo che per se stessa sarà inclinatissima a farlo et per l’affettione ch’ella porta à quella casa, et per questa mia humile intercessione, et potrà assicurarsi, che havrà sempre un soggetto, che ad ogni suo volere lo trovarà prontissimo et alla grandezza di V.S.Ill.ma non dovrà esser difficil cosa à conseguirlo, et la S.tà di N.S.re non può in altro mostrarmi più grato a quella S.ta memoria che in honorare la persona del Conte Federico, et con questo pregandole ogni felicità le basio humilmente le mani. Di Torino il di XI di Novembre 1584. Di V.S.Ill.ma et R.ma. Humil.mo et Devot.mo Cardinale di Vercelli». ASPr, Epistolario Scelto, b. 25, fasc. 18, c. 82r. 41 Su Federico Cornaro (1531-1590): fraSSon 1983, pp. 183-185. 42 Cesare Gonzaga (1536-1575): Brown - lorenzoni 1993, pp. 140-145. 43 Sui cardinali Ludovico e Cristoforo Madruzzo: Dal prà (a cura di) 1993, in particolare sui busti Madruzzo Spezzaferro 1993, pp. 695-703: 699, nota 20. 44 tumiDei 1999, pp. 117.

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minore di quella che tocca al volto o alle altre parti del corpo. Un modulo insomma che negli esemplari di più felice e completa riuscita ha più dello stemma o dell’emblema che del ritratto, della rappresentazione cioè di una persona vivente, tanto rigoroso è il principio di etichetta che lo informa»45 .

Il verismo lenticolare di fonte fiamminga della produzione di Pulzone trova il suo corrispettivo scultoreo forse più nella maniera minuta di Nicolò Piper d’Arras, almeno nei suoi rilievi46 .

Nella redazione delle Vite di Baglione, Röttgen segnala alcune incerte attribuzioni al Della Porta proposte da Hess ma non seguite dalla storiografia per l’evidente difformità stilistica rispetto ai ritratti sinora analizzati47. I busti di Pietro Antonio Bandini e di Cassandra Cavalcanti nel monumento ad essi dedicato in San Silvestro al Quirinale sono opere giustamente ricondotte da Nava Cellini alla prima attività di Giuliano Finelli48. Il ritratto di Prospero Farinaccio anch’esso in San Silvestro al Quirinale pone problemi di datazione perché eseguito prima della morte del giureconsulto (1618) ma, come già accennato da Röttgen, ragioni stilistiche escludono un’eventuale paternità al Della Porta. Il busto di Paolo Emilio Sfondrato nel monumento in Santa Cecilia in Trastevere, già erroneamente attribuito a Carlo Maderno, fu secondo Hibbard eseguito su disegno di Girolamo Rainaldi49, ma di recente attribuito ad Angelo Pellegrino (1623)50. Appena accennata è l’attribuzione, poco convincente, di Strinati ad un artista prossimo al Della Porta per il monumento a Enrico Petra (1591) nella chiesa di San Girolamo della Carità51. Assai problematica è inoltre l’attribuzione del busto di Cecilia Orsini (fig. 57) che, per affinità stilistiche con il busto di Rodolfo Pio da Carpi realizzato da Leonardo Sormani (fig. 56), è stato attribuito allo stesso autore52. Il Sormani mostra nel genere una particolare sensibilità, a lui è stato attribuito anche l’elegante busto del cardinale Paolo Odescalchi (figg. 98-99) in San Girolamo della Carità53 .

45 zeri 1957, pp. 12-13. A Scipione Pulzone è stata dedicata di recente una mostra: acconci -

zuccari 2013. 46 Si veda la biografia: petraroia, in maDonna 1993, pp. 562-563. Molte novità sul Piper sono presentate nel recente volume di economopouloS 2013, pp. 27-111. 47 röttGen 1995, vol. 3, pp. 565-566. 48 pietranGeli 1973, vol. 2, p. 38; nava cellini 1960, pp. 9-30, 11-12. 49 röttGen 1995, vol. 3, p. 566; hiBBarD 1971, p. 237. 50 economopouloS 2001, pp. 23-54, 38. 51 Strinati 1992, p. 471. Nel ritratto (se davvero riferito ad Enrico Petra o a Pietro Bassano e monsignore Cacciaguerra, come indicano le iscrizioni sottostanti il monumento) l’artista dichiara una certa sensibilità per la resa espressiva e per la definizione della muscolatura lontana dalle definizione stilistica dei busti di Della porta. 52 Cfr. scheda 5. 53 preSSouyre 1984, p. 481; petraroia, in maDonna 1993, pp. 420-421, n. 2.

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La frontalità del busto di Cecilia, rispetto invece alla torsione del busto di Rodolfo è il primo elemento dissonante. Nel ritratto di Rodolfo, lo scalpello del Sormani si fa finissimo nella bordatura del piviale, nell’indice proteso della mano destra, nella definizione dei lineamenti. Meno sofisticato è il trattamento delle superfici nel busto di Cecilia Orsini; la lunga collana del rosario fra le mani, la cuffia in testa, la cimosa del vestito sono dettagli resi tramite moduli geometrici e così tutte le rughe solcate nel collo e nel viso sono perfettamente simmetriche. Il ritratto non sembra rispondere al confronto con gli altri ritratti noti di Della Porta. In attesa di ulteriori riscontri documentari, lasciamo aperta quindi l’ipotesi attributiva.

Infine l’attribuzione al Della Porta del busto mantovano di Scipione Gonzaga (fig. 100) conservato nella chiesa dei Santi Fabiano e Sebastiano (San Martino dell’Argine) è stata avanzata da chi scrive sulla base di un documento noto nel quale si precisa che:

«(…) il Cavalier Della Porta, persona molto intendente d’architettura e di statue et quello appunto dal quale io ebbi le due, che l’anno passato presentai a Vostra Altezza se ne viene in Lombardia chiamato dal Signor Principe Stigliano per la sepoltura del Signor Duca di Sabioneta, che sia in cielo, et perché egli ha fatto sempre professione di dipendere dalla casa Gonzaga desidera di esser conosciuto dall’Altezza Vostra per divotissimo servitore et de venire a bacciarle humilissimamente le mani, perciò ha voluto ch’io l’accompagni con la presente si come io fo supplicandole a vederlo volentieri come ella suol fare con tutti gli uomini virtuosi et a gradir quest’affetto dell’animo suo ch’io le ne resterò con particolar obligatione et Dio Nostro Signore conceda a Vostra Altezza perpetuo augumento la grandezza ch’io gliele auguro et con ogni umiltà le bacio le mani»54 .

È una lettera di raccomandazione per lo scultore, datata 19 aprile 1591, di mano proprio del cardinale Scipione Gonzaga, in quel momento a Roma e indirizzata al duca di Mantova Vincenzo I Gonzaga. Nel giugno del 1584 Scipione aveva mandato sempre da Roma antichi marmi a Vespasiano Gonzaga in virtù della licenza di esportazione accordatagli dal cardinale camerario Filippo Guastavillani55. Come risulta dal documento sopra citato, l’anno prima aveva inviato due statue al duca Vincenzo Gonzaga forse acquistate dalla bottega Della Porta e lo scultore, richiamato dal principe di Stigliano Luigi Carafa, rientrava in Lombardia per la costruzione del monumento a Vespasiano Gonzaga56. A questa lettera di

54 Doc. 84. L’attribuzione è stata già discussa in ioele 2012, pp. 151-202: 163-166. Sul ritratto cfr. Bertelli, in roGGeri - ventura 2008, p. 158, n. 48. Sull’attuale collocazione del busto: cfr. tonini 2003, pp. 51-59. 55 Su Scipione Gonzaga cfr. Benzoni 2001, pp. 842-854 e furlotti 2003, p. 45, nota 118. 56 Luigi Carafa sposò, nel novembre 1584, Isabella Gonzaga, unica figlia di Vespasiano Gonzaga: roGGeri - ventura 2008, p. 108.

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