Rassegna Stampa Dolomiti UNESCO | Aprile 2024

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R A S S E G N A S T A M P A

APRILE 2024

Fondazione Dolomiti Dolomites Dolomiten Dolomitis

MOSTRA FOTOGRAFICA LE DOLOMITI DI FRANZ DANTONE, LA NASCITA DELL’IMMAGINARIO COLLETTIVO

La Usc di Ladins | 26 aprile 2024

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Franz Dantone Pascalin en mostra a Palaz Trentini

TRaiL | 26 aprile 2024

La fotografies de Franz Dantone Pascalin n mostra a Trënt

Cecilia Mazzel

Partesc

Chëla da udëi tl palaz Trentini ie la prima mostra dla fotografies de Franz Dantone a Trënt. L se trata de na documentazion de valor, de na testimonianza dl raion y dla vita dla cumenanza de ntlëuta. Franz Dantone Pascalin ie nasciù a Gries de Cianacei tl 1839. L à lascià de passa 1000 lastres de scipa, na arpejon che ie ruveda nchin a nëus de gra ala pascion y cura dla familia Dezulian. La mostra a Trënt ie frut dla cunlaurazion cun la Fondazion Dolomites Unesco. La ie pert dla scumenciadives per la 72ejima edizion dl film festival de Trent. La mostra resta davierta nchin ai 16 de mei. De juni unirà la fotografies de Franz Dantone Pascalin metudes ora te na mostra te Fascia.

Il T | 26 aprile 2024

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Franz Dantone arriva in mostra a Trento

Val di fassa Le immagini realizzate dal fotografo fassano Franz Dantone (1839 - 1909) sono ora esposte a Trento, ospitate da Palazzo Trentini. L'iniziativa avvia un'inconsueta collaborazione tra Fondazione Dolomiti Unesco, Istitut Cultural Ladin «Majon di fascegn» e Trento film festival.

La mostra, che gode del patrocinio della Presidenza del Consiglio della Provincia Autonoma di Trento, consente di osservare cento stampe fotografiche originali dell'epoca, di cui sei dell'Istitut Cultural Ladin de Fascia e novantaquattro provenienti dal fondo della famiglia Dezulian. Sono esposte anche trenta fotografie stampate a getto d'inchiostro, fedeli riproduzioni digitali ottenute dalle lastre restaurate a cura dell'Istitut Cultural Ladin con il finanziamento della fondazione Caritro. Si tratta di un primo passo per valorizzare un repertorio fotografico che unisce pregio artistico a un alto valore storico e documentale.

Franz Dantone, detto Pascalin, nacque a Gries di Canazei nel 1839. Dopo aver appreso il mestiere in Germania, fece ritorno in valle e iniziò a realizzare ritratti su commissione. Non solo: fu tra i primi fotografi a salire in territori all'epoca ancora sconosciuti con la sua ingombrante macchina di legno e il peso delle lastre. Dantone immortalò paesaggi in gran parte inesplorati, e la sua attività coincise con la frequentazione crescente di viaggiatori, esploratori e alpinisti che nella seconda metà dell'Ottocento lasciarono testimonianze importanti del loro passaggio nelle Dolomiti in opere letterarie e diari di viaggio, accompagnati spesso da schizzi e acquerelli. Le sue foto, con il realismo della tecnica fotografica, contribuirono a mediare l'immaginario quasi fiabesco dei primi visitatori. La mostra resterà aperta tutti i giorni dal 25 aprile al 16 maggio e sarà visitabile in diversi orari. Dal 25 aprile al 5 maggio tutti i giorni dalle 10 alle 13 e dalle 14 alle 19; dal 6 al 16 maggio dal lunedì al venerdì dalle 10 alle 13 e dalle 14 alle 19; mentre il sabato solo al mattino dalle 10 alle 13. G. B.

LA FONDAZIONE AL LAVORO PER UN CODICE DI COMUNICAZIONE

Corriere delle Alpi | 9 aprile 2024 p. 17

Comunicare bene le Dolomiti Unesco Arriva un codice

BELLUNO

Le Dolomiti, al tempo dei social, sono prese d'assalto. Ogni estate di più; anche in primavera e in autunno. E soprattutto nei siti più iconici, dalle Tre Cime alle 5 Torri, passando per il lago Sorapis. Dall'Alta Via 1 alla 2. Col rischio dell'overtourism. Quindi la Fondazione Dolomiti Unesco, presieduta dal friulano Stefano Zannier e diretta dalla trentina Mara Nemela, ha deciso di affidare alla sensibilità della provincia di Belluno la sfida di individuare un «Codice di comunicazione responsabile delle Dolomiti Patrimonio Mondiale». La solita Carta che resta nella carta? No, ma la condivisione fra tutti gli enti che promuovono il turismo e specificatamente le Dolomiti, grandi o piccole che siano, di una strategia comunicativa che favorisca la distribuzione delle presenze, in modo da evitare lo stress massivo, da una parte, e di dare qualità, soprattutto esperienziale ed emozionale, al soggiorno e ai cammini in valle ed in quota.

Una scommessa, quella affidata a Palazzo Piloni, perché non tutti gli enti che promuovono il territorio alpino del Nordest accetteranno la condivisione che può comportare anche delle rinunce di mercato.

«Però è quanto mai evidente che in un territorio fragile come quello dolomitico si rende più che mai necessario valutare attentamente l'impatto di presenze massive sull'integrità del Bene e l'autenticità dell'esperienza che ne fanno i visitatori», avverte la direttrice Nemela. Per questo, la Rete della Promozione del Turismo Sostenibile, coordinata dalla Provincia di Belluno, ha avviato un tavolo di lavoro Con il coordinamento del professor Umberto Martini, docente di Economia e Management all'Università degli Studi di Trento. I membri del tavolo si stanno riunendo periodicamente per approfondire diverse tematiche e per arrivare quindi, entro il prossimo autunno, alla stesura del Codice.

«Risulta estremamente importante che le istituzioni, le agenzie di promozione e dove possibile anche gli stessi content creators interessati, propongano messaggi coerenti, per favorire un'esperienza del Patrimonio rispettosa della sua integrità», suggerisce Roberto Padrin, vicepresidente della Fondazione Dolomiti Unesco.

Le domande del lavoro sono intriganti. Quanto incide la viralità di certe immagini sulla frequentazione di luoghi estremamente fragili? Come comunicare l'autenticità di un luogo e non solo l'estetica del paesaggio che lo caratterizza? Come favorire una frequentazione attenta ai valori del riconoscimento Unesco? Come rendere i visitatori e i residenti sempre più consapevoli del proprio impatto sul Patrimonio, della prudenza e della preparazione necessarie a frequentarlo? Come trasmettere l'importanza di adattarsi alle trasformazioni imposte dalla crisi climatica, cambiando anche i propri comportamenti in quota? «Il confronto, per ora, mira a coordinare gli intenti di chi, a livello istituzionale, detiene iniziativa e responsabilità nel settore della comunicazione e della promozione e sta quindi trattando i valori del Patrimonio Mondiale e il senso del limite (integrità, autenticità), la gestione dei flussi e il fenomeno dell'overtourism, la crisi climatica e il suo impatto sulla fruizione del territorio, la prudenza e la consapevolezza del visitatore», continua Nemela. «Trovare dei principi comuni per comunicare le Dolomiti tenendo conto di questi aspetti rappresenterà un ottimo punto di partenza per allargare la condivisione del Codice anche ad altri soggetti».

FDM

Corriere delle Alpi | 22 aprile 2024

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«Sicurezza in montagna, regole chiare per i turisti»

Mara Nemela, segretaria della Fondazione Dolomiti Unesco: «Serve un vademecum per i turisti» Dal Mas / PAGina 13

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La Fondazione pubblicherà un vademecum con gli altri enti della montagna. Previsti anche incontri nei rifugi e convegni Dolomiti Unesco, patto sicurezza «Daremo regole chiare ai turisti»

L'intervista

Francesco Dal Mas

Un turismo "consapevole". Quindi, camminatori ed escursionisti che anzitutto rispettino i limiti della sicurezza. E che magari scelgano la sostenibilità, diversificando i percorsi, cioè distribuendosi su itinerari alternativi alle grandi vie alpinistiche. In modo da evitare l'overtourism. È l'impegno che la Fondazione Dolomiti Unesco si è data per l'estate prossima, come conferma Mara Nemela, direttrice dell'ente.

Si continua a salire in montagna talvolta senza la necessaria consapevolezza dei rischi. Il problema si fa pesante perché grazie al sito Unesco e al richiamo olimpico. Numerosi sono anche gli stranieri che si presentano sulle terre più alte da tutto il mondo. «Quando parliamo di montagna e di turismo sostenibili ci riferiamo anche all'aspetto, imprescindibile, della sicurezza. Bene, abbiamo messo a punto – tra Provincia, Dmo, Fondazione Unesco, Cai, Soccorso Alpino, Ulss1 – un vademecum per chi frequenta la montagna, in particolare per gli escursionisti. Spieghiamo ogni buona regola di comportamento, a cominciare dalla raccolta delle info essenziali, ma forniremo anche consigli pratici sulla preparazione a questa attività e sulla gradualità nell'approccio con le quote diverse. Constatiamo, infatti, ancora troppa approssimazione».

La partecipazione della Dmo è una novità in questo tipo di problematica. «Una novità positiva, direi strategica. È importante che gli stessi operatori turistici si mettano a disposizione per implementare la sicurezza. Si pensi solo ai consigli che possono dare albergatori piuttosto che baristi e altre figure. Si tratta di ridare orientamento all'improvvisazione».

In questo senso siete ripartiti con la Dolomiti Mountain School che promuove la cultura del paesaggio ma, volendo, intercetta anche il tema della sicurezza.

«La Dolomiti Mountain School è nata nel 2017 con lo scopo, di riflettere sulla cultura del paesaggio e sugli strumenti per la sua gestione. Il percorso si propone di formare e aggiornare prima di tutto coloro che nella pubblica amministrazione e nel settore privato operano direttamente nel paesaggio e con il paesaggio, al fine di approfondirne i cambiamenti, non solo alla luce della crisi climatica, ma anche di tutti quei cambiamenti che lo sviluppo, l'abbandono, lo sfruttamento o la tutela del paesaggio hanno comportato negli

anni. Le difficoltà in montagna sono comuni, ma non esiste una soluzione unica che si possa applicare ovunque. La questione aperta è riuscire a comprendere le necessità di chi vive e lavora in questi territori per avviare azioni concrete e utili».

È la grande sfida, anche in questi tempi di grandi contrapposizioni tra città e montagna. Lo testimoniano le vivaci contestazioni agli impianti da sci

«Ecco perché la Fondazione ha in corso progetti trasversali proprio nel solco della condivisione: con le istituzioni, con i gestori dei rifugi, con i produttori, con associazioni che si occupano di sicurezza come il Soccorso Alpino».

Nella stessa logica si muovono gli incontri promossi dalla Fondazione con i Gestori di Rifugio del Patrimonio Mondiale. Una decina di appuntamenti tra le Dolomiti per accompagnare i frequentatori della montagna a capire che il senso della loro esperienza in quota è già tutto lì: sotto i loro piedi, davanti ai loro occhi.

«Ci proponiamo di sensibilizzare gli ospiti dei rifugi sulla difficoltà della vita in quota e sull'importanza di condividere la responsabilità di un approccio sostenibile. In che modo? Aggiungendo al format video vivereinrifugio, una serie di incontri dal vivo, durante i quali rifletteremo su alcune tematiche importanti e impattanti per la montagna, come la crisi climatica, e mostreremo direttamente alcuni aspetti poco noti del lavoro di gestore, come i rifornimenti idrici ed energetici, lo smaltimento dei rifiuti, il rapporto con la clientela per renderla responsabile in termini di prudenza e rispetto per l'ambiente». Come dire che la gita in montagna e l'escursione non deve avere come finalità esclusivamente l'ammirazione del paesaggio. «Non solo. Va considerata anche la problematicità della vita sulle terre alte. Le fatiche che si fanno per contrastare le conseguenze dello spopolamento. Abbiamo messo a punto una decina di appuntamenti, di cui tre dedicati ad altrettanti geotrekking nelle aree protette. Gli altri seguiranno una formula estremamente semplice: raggiungere il rifugio autonomamente, pranzare, riflettere insieme ad alcuni ospiti qualificati su come stanno cambiando l'ambiente e la frequentazione della montagna, ascoltare dalle parole dei gestori di rifugio come si vive e si lavora, alla luce di quegli stessi cambiamenti, in questi fondamentali presidi d'alta quota». La Provincia di Belluno coordina la Rete della Promozione del Turismo Sostenibile e in questa veste ha avviato un tavolo di lavoro che definirà un "Codice di comunicazione responsabile delle Dolomiti Patrimonio Mondiale". Di che cosa si tratta? «È estremamente importante che le istituzioni, le agenzie di promozione e dove possibile anche gli stessi content creators interessati, propongano messaggi coerenti, per favorire un'esperienza del Patrimonio rispettosa della sua integrità. Ci siamo mai chiesti quanto incide la viralità di certe immagini sulla frequentazione di luoghi estremamente fragili? Come comunicare l'autenticità di un luogo e non solo l'estetica del paesaggio che lo caratterizza? Come favorire una frequentazione attenta ai valori del riconoscimento Unesco? Come rendere i visitatori e i residenti sempre più consapevoli del proprio impatto sul Patrimonio, della prudenza e della preparazione necessarie a frequentarlo? Come trasmettere l'importanza di adattarsi alle trasformazioni imposte dalla crisi climatica, cambiando anche i propri comportamenti in quota?».

Non ce lo siamo mai chiesti?

«Sono temi intorno ai quali si sono generati ampi dibattiti nell'opinione pubblica. Il confronto, per ora, mira a coordinare gli intenti di chi, a livello istituzionale, detiene iniziativa e responsabilità nel settore della comunicazione e della promozione e sta quindi trattando i valori del Patrimonio Mondiale e il senso del limite (integrità, autenticità), la gestione dei flussi e il fenomeno dell'overtourism, la crisi climatica e il suo impatto sulla fruizione del territorio, la prudenza e la consapevolezza del visitatore. Trovare dei principi comuni per comunicare le Dolomiti tenendo conto di questi aspetti, rappresenterà un ottimo punto di partenza per allargare la condivisione del Codice anche ad altri soggetti. Ed è quello che faremo la prossima estate».

INIZIATIVE FORMATIVE

Alto Adige | 3 aprile 2024

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Dolomiti in classe, i ladini tra le best practice

DOLOMITI

Sono molti i progetti che ogni anno portano nelle classi delle scuole di ogni ordine e grado le Dolomiti Patrimonio Mondiale. Da Belluno a Bolzano, dal Trentino al Friuli Venezia Giulia, ecco una breve carrellata sulle ultime occasioni di promozione, tra bambini e ragazzi, dei valori che hanno determinato l'iscrizione delle «loro» montagne nell'Elenco del Patrimonio Mondiale.Alto Adige modello virtuoso: il patrimonio mondiale dell'Unesco per insegnare il ladino.Interessante quanto sta avvenendo nell'area altoatesina, dove l'Intendenza Ladina della Provincia Autonoma di Bolzano - Alto Adige sta predisponendo un volume che fungerà anche da libro di testo per coloro che richiedono l'abilitazione all'insegnamento in ladino. Tra i vari contributi sulla storia, la cultura, la geografia, la geologia, l'arte del territorio, è previsto anche un intero capitolo dedicato al Patrimonio Mondiale, con particolare riferimento alle opportunità formative che possono scaturire dalla volontà di avvicinare gli studenti alla consapevolezza dei valori del riconoscimento. Anche questo è un esempio di come il Patrimonio Mondiale si possa affiancare agli altri valori che le comunità riconoscono nel proprio territorio.In Trentino protagonisti i ragazzi delle medie.Ha fatto tappa nella sala civica di Andalo, grazie al Comune di Andalo in collaborazione con il Parco Naturale Adamello Brenta Global Geopark e la Biblioteca dell'Altopiano della Paganella, la mostra didattica itinerante «Le Dolomiti Patrimonio Mondiale Unesco - fenomeni geologici e paesaggi umani». Gli studenti della Scuola Secondaria di Primo Grado

presenteranno il lavoro didattico svolto a partire dalla mostra che, lo ricordiamo, è frutto del lavoro della Rete della Formazione e della Ricerca Scientifica della Fondazione Dolomiti Unesco attraverso Tsm|step Scuola per il Governo del Territorio e del Paesaggio, con la curatela scientifica del professor Bruno Zanon. Come affermano gli studenti della 3A e 3B Chiara, Valentino, Martino e Sofia, nell'invito che hanno predisposto: «Sarà l'occasione per mostrare il paesaggio nel quale viviamo e che vogliamo continuare a tutelare, per un futuro migliore».I riconoscimenti Unesco approdano al Liceo nel Bellunese.Il Liceo Classico e Scientifico paritario «Alvise Lollino» di Belluno, nell'ambito della settimana dell'Educazione Civica, ha deciso di dedicare un'approfondita riflessione su due riconoscimenti Unesco che interessano il territorio e che sono uniti tra loro dal tema della responsabilità nei confronti dell'ambiente: l'iscrizione delle Dolomiti nell'elenco del Patrimonio Mondiale e l'inserimento dell'Archivio del Processo Vajont nel registro «Memory of the World». Irma Visalli, consulente della Rete del Patrimonio Paesaggistico e delle Aree Protette della Fondazione Dolomiti Unesco e vicepresidente dell'Associazione culturale Tina Merlin, ha approfondito con gli studenti della classe quarta il valore dei due programmi Unesco che si incontrano idealmente sulla diga del Vajont, testimonianza di uno sfruttamento irresponsabile della natura da parte dell'uomo.«Io vivo qui», 350 studenti coinvolti.Continua anche quest'anno, in Friuli Venezia Giulia, il progetto «Io vivo qui nelle Dolomiti Friulane Patrimonio dell'Unesco», che si rivolge a docenti e studenti degli Istituti Comprensivi dei territori interessati dal Sistema 4 delle Dolomiti Patrimonio Mondiale. Dopo gli incontri con i dirigenti scolastici e gli insegnanti, la parte operativa sta coinvolgendo di ben 27 classi, per un totale di 350 alunni (di cui 240 nelle Primarie e 110 nelle Secondarie di Primo Grado), degli Istituti Comprensivi di Maniago, Montereale Valcellina, Valli del Meduna, Cosa e Arzino, e della Val Tagliamento. Il progetto, promosso dalla Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, vede come Agenzia formativa il Parco Naturale Dolomiti Friulane, con coordinamento generale del prof. Andrea Guaran dell'Università di Udine.

GLI EFFETTI DELLA CRISI CLIMATICA SULLE DOLOMITI

Corriere delle Alpi | 3 aprile 2024

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Le Dolomiti franano «A venire meno è il permafrost collante naturale»

Francesco Dal Mas / AGORDO «Ma lei sa quanta acqua è caduta a Pasqua? Il pluviometro di casa mia, qui ad Agordo, ha raccolto 110 millimetri. In tutto il mese di marzo, 250 millimetri. Che cosa pretende? Che le frane in essere, magari da anni, se ne stiano ancora ferme». Così ci risponde il geologo ed ex alpinista Vittorio Fenti, che conosce le Dolomiti come le sue tasche. «L'ultima frana caduta recentemente a Listolade io l'avevo prevista, e quindi studiata, ancora 15 anni fa. Come dire», aggiunge, «che sotto il cielo dolomitico non splende nulla di nuovo». Due frane sulla Strada Provinciale 3, in zona Rivamonte Agordino, massi in movimento a Rocca Pietore, uno smottamento a Tambre e una leggera colata a Venas di Cadore (località Borgata Giau): questa la mappa delle conseguenze del maltempo in provincia, tra la fine di marzo e l'inizio di aprile.

«No, nessun pesce d'aprile», sorride Fenti. «Tutto era ed è previsto. L'inverno appena trascorso ha contribuito, con le temperature più alte del solito, a "sghiacciare" il permafrost, ad allentare questo collante che si trova alle quote più alte. Un processo che dura da anni. Quando arrampicavo, nelle spaccature trovavo ghiaccio, un tempo, oggi ci sono solo sassi ed, eventualmente, terra. È evidente che con le precipitazioni abbondanti di questi tempi, come a Pasqua, queste piccole o grandi masse si muovono e vengono giù. Analogo precesso avviene sulle colate detritiche, magari ferme da anni, e che adesso si rimettono in movimento sotto l'imperversare di una bomba d'acqua».

Movimenti che, spiega Fenti, dipendono poi dal tipo di versante e, soprattutto, dal tipo di roccia; quella calcarea, ad esempio, sta ben ferma. «Ma le frane in generale», sottolinea l'esperto, «rappresentano una normale evoluzione geologica della nostra morfologia. Se andiamo indietro nel tempo, scopriamo che dopo la grande alluvione del 1748 è accaduto un po' di tutto. E, si badi, non è che una colata, una volta verificatasi, si stabilizzi. Può sempre rimettersi in movimento. In taluni casi è accaduto anche dieci, addirittura venti volte».

Le analisi, per la verità, continuano a sprecarsi e anche un uomo di scienza come Fenti preferisce ritornare sul «che cosa fare di concreto». E dove, naturalmente. «Sono di Agordo e quindi non posso che individuare come prioritaria la messa in sicurezza della nostra, unica strada di accesso, la 203. Non è tutta da rifare, è solo da allontanare dalla montagna. Ci sono dei tratti, collocati sotto la roccia spiovente, che vanno allontanati e c'è lo spazio per farlo. Il letto del Cordevole è largo anche 600-700 metri. Si possono alzare degli argini e far correre questi pochi chilometri di strada a rischio».

Fenti ricorda che a suo tempo è riuscito a convincere le istituzioni a realizzare la galleria di Listolade, che – precisa – «non ha dato problemi finora come altre, ebbene, con questo tunnel abbiamo evitato parecchie volte l'isolamento dell'Alto Agordino e, probabilmente, anche il sacrificio di vite umane sotto le frane di quella montagna in continuo movimento».

Un'altra situazione che merita la priorità massima di intervento è la provinciale 251 della Val di Zoldo. «L'ho studiata per anni. Intorno al 2000 ha contato fino a cinquanta tra frane e smottamenti. Deviazioni sul posto non sono possibili, ma è doveroso», insiste Fenti, «metter mano a opere di difesa che siano definitive, quali le gallerie paramassi». Ma dove trovare 100 milioni per un cantiere così complesso? «Dobbiamo assolutamente trovarli, se vogliamo garantire un futuro alla Val Zoldana».

Dai versanti di Rivamonte-Gosaldo a quelli della Val Comelico, la struttura della roccia è tale che, secondo il geologo, non c'è da stupirsi di eventuali accadimenti franosi. «Cortina stessa giace su depositi di frane storiche», ricorda ancora Fenti. «Quindi nessuna meraviglia se adesso il parlamento chiede studi sulla sicurezza idrogeologica delle piste da sci, compresa la stessa Olympia. La strada che scende dal passo Falzarego, in località Pocol, è come un serpente che si snoda attraverso un corpo di frana. Studi approfonditi del geologo Giambattista Pellegrini certificano che nemmeno la Valbelluna è sicura, basti considerare tutta una serie di eventi avvenuti, anche di recente, in Alpago». Quindi? «È da anni che colleghi ancora più autorevoli di me vanno invitando i sindaci a desistere dalle facili autorizzazioni alla residenzialità sulle frane, sulle colate detritiche seppur storiche: vicende come quelle di Borca, ai piedi dell'Antelao, non possono ripetersi. E non solo per le case, anche per le opere pubbliche, le strade comprese».

Corriere delle Alpi | 4 aprile 2024

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«Non siamo più abituati ad avere tanta neve Scegliere di fermarsi non è un fallimento»

L'Intervista

«Il bollettino è veramente utile per cercare di organizzare al meglio la propria gita, perché da una serie di informazioni, oltre alla scala dei gradi di pericolo. Questi strumenti non ci mettono al sicuro dal pericolo delle valanghe e questo viene un po' frainteso».

Chi parla è Hervé Barmasse, alpinista tra i più accreditati, che fa parte della storica società delle Guide Alpine del Cervino. È anche tecnico di elisoccorso e maestro di sci/snowboard.

Come si attrezza per fare un'uscita di sci alpinismo?

«Io sono sempre stato una persona che ha cercato di muoversi con le massime precauzioni, quindi con gli strumenti per affrontare una gita, che sono Artva, pala e sonda. Ma la mia precauzione è anche programmare qualsiasi gita che non mi porti vicino a un possibile incidente».

Quindi col rischio 4 non uscirebbe neppure di casa?

«Quando si arriva al 4 probabilmente quel giorno si può anche cercare di stare a casa. Oppure si potrebbe andare a sciare in pista o godersi la montagna in qualche altro modo».

Le nevicate degli ultimi giorni non erano ‘innocenti'?

«No. E le spiego subito il perché. Nell'ultimo weekend c'è stata questa nevicata con delle precipitazioni che sono state nevose e acquose. Venivano dal Sahara e hanno reso il manto nevoso ancora più instabile. È una situazione che ci ha posto tutti sotto un pericolo maggiore».

Cinquanta scialpinisti sui Cadini di Misurina. Persone anche esperte, attrezzate al meglio, eppure…

«Ognuno deve avere la testa sulle spalle: dobbiamo pensare che, se partiamo per una gita e abbiamo delle persone davanti, non vuol dire che quelle persone siano esperte: magari stiamo seguendo delle persone che stanno azzardando qualcosa. Ecco, dovremmo sempre cercare di usare la nostra testa. Ovviamente non voglio puntare il dito contro nessuno, ma sollevare un problema». In determinate situazioni è indispensabile l'esperienza, non basta l'informazione. «Proprio così. La differenza tra uno scialpinista esperto e uno scialpinista che si improvvisa la fa la grande esperienza, che te la dà la possibilità di passare giornate e giornate in montagna. Usare un po' più di precauzione non è un fallimento, non è un gesto di codardia, soprattutto quando un bollettino di valanghe ti indica che un pericolo serio c'è. E poi mi lasci dire un'altra cosa. Io se vado in un posto dove ci sono altre 50 persone che salgono, penso di aver sbagliato gita, però è un giudizio prettamente personale. La massa mi disturba in determinati contesti».

Il Cai prepara 700 scialpinisti l'anno in Veneto. Sono davvero tanti. Eppure qualche imprudenza si palesa ad ogni stagione.

«La formazione, anche se è corretta, è teorica. Quando ci si trova sul campo e si è soli, per quanto possiamo essere stati formati bene, siamo noi che dobbiamo intraprendere un percorso che è un po' di verso. Tra una formazione, un apprendistato ed essere sul campo senza una guida alpina o un istruttore del Cai c'è comunque un cambiamento».

Qual è l'errore più madornale che di solito si compie in un'escursione?

«Spesso un grave errore è che noi guardiamo all'itinerario e non a cosa c'è attorno a noi; tante volte le valanghe cadono vicino a noi e rischiano di travolgerci. È ovvio, tutti noi non andiamo in montagna perché disprezziamo la vita o cerchiamo grane, ma perché coltiviamo una passione grande e cerchiamo di affrontare una gita al meglio per divertirci. E poi c'è una cosa che a mio avviso influisce, cioè il fatto che non siamo più abituati ad avere tanta neve. Rispetto a 20-30 anni fa ora non nevica quasi mai. O comunque poco. Quando nevica siamo troppo abituati ad andare sempre, invece bisognerebbe aspettare che la neve si assesti. Ieri c'era una scala di pericolo a 4, probabilmente tra 2 giorni darà una scala di pericolo 2. Passa poco tempo e il terreno si stabilizza».

In questi giorni c'è chi risale le piste da sci chiuse.

«Nelle stazioni sciistiche spesso alcuni pendii vengono bonificati quando gli impianti sono aperti. Ma là dove sono chiuse, le piste non sono bonificate. Dobbiamo quindi portare la massima attenzione».

Fdm

Corriere delle Alpi | 6 aprile 2024

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Il marzo più piovoso degli ultimi dieci anni Fiumi, laghi e falde vicini ai record storici

I DATI

Enrico Pucci

Ora c'è la conferma ufficiale: è stato il terzo marzo più piovoso degli ultimi trent'anni. Di più: se guardiamo solo alla prima decade del mese, quando è piovuto tutti i giorni, siamo al record assoluto per il periodo, dal 1994. Morale: i bacini idrografici sono stracarichi di acqua (+201% sul Piave, record dal 1994; +146% sul Sile) e lo spettro della siccità dovrebbe essere scongiurato, almeno per quest'anno.

Lo si evince dall'ultimo Rapporto sulla risorsa idrica in Veneto, pubblicato dall'Arpav e aggiornato alla data del 31 marzo. Nel mese scorso sono caduti mediamente in Veneto 163 millimetri di precipitazioni. La media del periodo 1994-2023 è di 64 mm. Gli apporti meteorici mensili sul territorio regionale sono molto superiori alla media (+156%) e sono stimabili in circa 3006 milioni di metri cubi di acqua. Come piovosità si erano raggiunti valori superiori solo nel 2013 (219 mm) e nel 2001 (174 mm).

Le massime precipitazioni sono state registrate dalle stazioni di: Valpore Monte Grappa (Seren del Grappa) con 508 mm, Turcati (Recoaro Terme) con 493 mm, Rifugio la Guardia (Recoaro Terme) con 482 mm, Valli del Pasubio con 453 mm e Cansiglio-Tramedere con 449 mm. Le minime precipitazioni sono state rilevate per contro dalle stazioni di Pellizzare (Bagnolo di Po) con 59 mm, San Bellino con 63 mm e Vangadizza con 64 mm.

A livello di bacino idrografico, rispetto alla media 1994-2023, sono stati registrati ovunque notevoli surplus: +201% sul Piave (massimi apporti mensili dal 1994), +186% sul Livenza, +174% sul Brenta, +163% sull'Adige, +146% sul Sile, +128% sul Bacino Scolante, +105% sul Tagliamento, +104% sul Po, +92% sulla Pianura tra Livenza e Piave, +78% sul Fissero-Tartaro-Canal-Bianco e +71% sul Lemene.

Le precipitazioni da ottobre 2023 a marzo 2024 sono state mediamente di 770 mm; la media del periodo 1994-2023 è di 507 mm (mediana 466 mm). Gli apporti del periodo sono superiori alla media (+52%) e sono stimati in circa 14.169 milioni di metri cubi di acqua.

Temperature

Marzo è stato mite (+1.3°) ma nella norma. Solo la seconda decade del mese è stata oltre, con +2° rispetto alla media climatica 19912020. Il mese è stato caratterizzato da una elevata umidità, risultando il terzo mese di marzo con il valore medio più elevato dal 1991, dopo il 2018 e il 1991, con un valore del 78% rispetto ad una media del 62%. Le precipitazioni sono state principalmente nella prima e nella terza decade con un limite neve/pioggia spesso oltre i 2.000 metri ma con episodi di rapido abbassamento al di sotto dei 1000 metri. La pioggia è stata battente e ha finito per imputridire la neve fino in alta quota a fine marzo.

La neve

Complessivamente nel mese sono caduti 150-180 cm di neve fresca a 2200 metri nelle Dolomiti e 60-80 cm a 1600 metri nelle Prealpi. Con questa neve fresca, la sommatoria dal 1° di ottobre al 31 marzo è superiore alla media degli ultimi 15 anni in tutte le stazioni delle Dolomiti, mentre nelle Prealpi rimane un deficit del 12% (40 cm circa) eccetto nella zona di Recoaro e di Arsiero.

Laghi e fiumi

Il livello del Garda, in lieve crescita nell'ultima decade, alla data del 31 marzo si manteneva quasi coincidente con il livello medio mensile. Il susseguirsi anche a marzo di diverse perturbazioni ha dato continuità alla generale fase di ricarica portando i livelli su valori ben superiori a quelli attesi per il periodo, su valori prossimi o pari ai massimi storici.

Alla data del 31 marzo le portate dei maggiori fiumi veneti, molto sostenute e in decisa crescita negli ultimi giorni, si mantengono significativamente superiori alle medie storiche. Il deflusso medio mensile risulta essere superiore al 95° percentile su Po, Adige, Brenta e Bacchiglione (questi ultimi due al massimo storico). Rispetto alla media storica mensile i deflussi sono risultati: +168% sul Bacchiglione a Montegalda, +160% sul Brenta a Barziza, +113% sull'Adige a Boara Pisani e +108% sul Po a Pontelagoscuro. Le previsioni meteo restano buone per i prossimi giorni, resta lo stato di attenzione per la piena del Po.

Corriere delle Alpi | 13 aprile 2024

p. 17

L'allarme di Mercalli «Entro fine secolo cinque gradi in più e umanità a rischio»

Marcella Corrà / Longarone

L'umanità è a rischio di estinzione? Ci potrebbero riuscire le migliaia di bombe atomiche stipate ai quattro angoli del mondo (ne bastano 50 per distruggere tutto) ma siamo su quella "buona" strada anche dal punto di vista del cambiamento climatico. È un quadro allarmante quello presentato da Luca Mercalli, meteorologo e divulgatore, che dalla sua casa in Val di Susa è intervenuto al corso di formazione per giornalisti, organizzato dal Sindacato dei giornalisti del Veneto, dalla Provincia e da Assostampa Beluno e ospitato a Longarone Fiere nel primo giorno di apertura della rassegna "Caccia, Pesca & Natura". Il convegno era centrato sugli effetti del cambiamento climatico sulla fauna selvatica delle Dolomiti Bellunesi.

Ma di questo si sono occupate le relazioni di Michele Cassol e Oscar Da Rold, mentre Cesare Lasen ha presentato la rivista cultura Frammenti e Marco Olivi si è soffermato sulle implicazioni giuridico normative della tutela della fauna. A Mercalli il compito invece di rappresentare la cornice entro cui sviluppare i temi legati alla fauna bellunese. E la cornice mette i brividi. «Gli allarmi sul cambiamento climatico sono dati da persone autorevoli e accompagnate da dati certi, ma le azioni della politica sono poche e spostate sempre più in avanti. Abbiamo perso quattro anni, prima per il Covid poi per le guerre, e nel frattempo la situazione è peggiorata». Siccità e caldo sono ormai la norma anche se «le piogge e le nevicate di questa primavera hanno compensato il deficit, ma abbassare la guardia è sbagliato. Negli ultimi due anni ci sono state importanti alluvioni in Italia, da Ischia, alle Marche, all'Emilia Romagna, alla Toscana, con molti morti e miliardi di danni».

Eventi estremi sempre più frequenti, il Mediterraneo che nel 2022 ha raggiunto temperature record di 5 gradi più alte del passato, i ghiacciai che hanno perso in un secolo il 60 per cento della superficie. Per non parlare degli 11 morti sulla Marmolada che Mercalli ha definito "martiri del riscaldamento globale". «Se si continua così a fine secolo la temperatura mondiale sarà in media di 5 gradi in più. Ci saranno specie che ce la faranno, ad esempio scarafaggi o zanzare. Ma gli animali? E l'uomo? L'accordo di Parigi dice che occorre arrivare a emissioni zero di CO2 nel 2050, in questo modo l'aumento delle temperature sarebbe attorno ai 2 gradi». E forse ce la caveremo. Ma se non si tagliano le emissioni di anidride carbonica in atmosfera, bloccando l'aumento dell'effetto serra, allora i 5 gradi in più verranno raggiunti e forse saranno solo gli scarafaggi a rendersene conto. Che cosa fare? Le indicazioni ci sono, magari la tecnologia ancora no.

Ad esempio più energie rinnovabili, ma occorre pensare allo stoccaggio dell'energia, ha spiegato Mercalli. Si stanno facendo esperimenti con l'idrogeno che però tende ad esplodere. E poi auto elettriche, meglio se per ricaricarle si usano le rinnovabili, perché: «Se l'energia elettrica che serve per farle funzionare viene prodotta da una centrale a combustibili fossili, allora non ha senso». Me no voli in aereo, che producono tantissima CO2, e poi servirebbe qualche sistema per arginare l'effetto serra prodotto dal bestiame, che vale il 15 per cento a livello mondiale. «Non sono ottimista», ha ammesso Mercalli. Le pandemie e le guerre hanno spostato l'asse dell'interesse mondiale. Crescono gli armamenti e si producono meno pannelli solari.

Corriere delle Alpi | 14 aprile 2024

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Caldo record sulle Dolomiti

Negli ultimi trent'anni non si erano mai registrate temperature così alte nella prima metà di aprile forzin / PAGina 21 p.21

Un caldo estivo anche in montagna: record ad Arabba, sfiorati i 20 gradi

Alessia Forzin / Belluno

Ventisette i gradi registrati ieri dalla centralina dell'Arpav all'aeroporto di Belluno alle 16. Quasi 20 ad Arabba e sfiorava i 23 gradi il termometro a Cortina. Un caldo anomalo, per la metà di aprile, che ha portato gli escursionisti a incamminarsi sui sentieri in montagna e a raggiungere i rifugi aperti. Passeggiata, per iniziare la stagione e testare gli scarponi, pranzo e poi magari un po' di relax al sole. Montagna, ma anche laghi, fumi e torrenti sono stati presi d'assalto ieri, complici temperature che solitamente si registrano nel mese di giugno. E che sono fuori media per la prima metà di aprile.

Mese caratterizzato, storicamente, da un'alternanza climatica, come dimostrano i primi quindici giorni. Prima l'anticiclone a portare temperature miti, poi una perturbazione, poi il rinforzo dell'anticiclone che ha portato all'ondata di caldo che, oggi, comporterà un ulteriore aumento delle temperature. Ma non destinato a durare.

Già domani il cielo si farà nuvoloso, e martedì le temperature crolleranno di dieci gradi: attorno ai 1500 metri, spiega il dirigente dell'ufficio previsioni di Arpav Francesco Domenichini, «oggi (ieri per chi legge, ndr ) le temperature sono di 12 gradi sopra lo zero. Martedì scenderanno fra zero e tre gradi».

CALDO ANOMALO

Come detto, è stato il rinforzo dell'anticiclone a portare le temperature a salire ben oltre la media del periodo in tutta la provincia. «Ha riavvolto l'Italia settentrionale, richiamando l'aria calda che dall'Africa si era stabilizzata sulla penisola Iberica», continua Domenichini. Dando uno sguardo alle temperature, ieri alle 16 le strumentazioni di Arpav hanno rilevato 27.4 gradi a Feltre, 27 a Belluno, 23.3 a San Martino d'Alpago, 24.7 a Campo di Val di Zoldo, 25.6 ad Agordo, 24.1 a Falcade a 1.150 metri, ben 19.8 ai 1.642 metri di Arabba. Un record, per il periodo, nel paese dove ha sede il centro valanghe di Arpav, negli ultimi trent'anni. In pratica, è stato il sabato più caldo della prima metà di aprile nelle ultime tre decadi. I 18 gradi erano stati raggiunti anche in altre annate, ma mai si era arrivati a sfiorare i 20 gradi.

Caldo anche a Cortina Gilardon, dove ieri la massima è arrivata a 22.8, a Domegge (23.9) e Santo Stefano di Cadore (25.8).

Anche nel 2012 aprile era stato particolarmente caldo, ma le temperature erano inferiori a quelle registrate ieri e domenica scorsa, quando i bellunesi vissero un altro week end dal clima più estivo che primaverile. E, soprattutto, nel 2012 i picchi vennero raggiunti a fine mese. Del resto, illustra Domenichini, Arpav sta rilevando una deriva termica - ovvero un aumento delle temperature - di 0.6 gradi ogni dieci anni.

PREVISIONI

Ma non è ancora tempo di riporre le giacche negli armadi. La prossima settimana, da martedì, le temperature crolleranno di dieci gradi, finendo al di sotto della media del periodo. Pioverà e potrebbe anche nevicare, attorno ai 1000 metri sulle Dolomiti. Il bollettino emesso ieri da Arpav, infatti, prevede per oggi sole e temperature in leggero/moderato aumento, con minime che sulle Prealpi saranno attorno ai 12/17 gradi a 1500 metri e a 10/13 gradi a 2000 metri; sulle Dolomiti 10/13 gradi a 2000 metri. Domani aumenterà la nuvolosità e nel pomeriggio potrebbe piovere sulle Prealpi e sulle Dolomiti (precipitazioni anche a carattere di rovescio e temporale). Le temperature inizieranno a scendere, ma il calo sarà marcato martedì: giornata di temporali, con quota neve che dai 2000 metri si abbasserà fino a 1000 a tratti sulle Dolomiti. Mercoledì alternanza di nuvole e rasserenamenti, con precipitazioni a tratti, nevoso sopra i 1100/1400 metri. Le temperature sono date in ulteriore calo.

Corriere delle Alpi | 29 aprile 2024

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Il bostrico avanza nonostante la neve Il caldo di marzo ha schiuso le uova

Francesco Dal Mas / belluno

Le basse temperature dei giorni scorsi hanno rallentato il nuovo assalto primaverile del bostrico? Macché, risponde il presidente dell'Unione Montana del Comelico, Giancarlo Janese: si era ripresentato con i primi caldi di febbraio, è rimasto sotto corteccia e fra poco riapparirà; noi, quassù, abbiamo già perso il 50% del bosco.

Federico Vianello è un dirigente di Veneto Agricoltura e coordina le squadre regionali di operai forestali con il compito di portar via le piante prima che l'infestazione dilaghi. «Vuol sapere dove siamo già al lavoro? A Cortina e in Val Boite, nell'Alto Agordino, sul Grappa, lato Seren, in Valbelluna, perfino in Cansiglio. Se nei primi tempi dell'aggressione la Regione ci chiedeva l'asporto degli alberi prima della primavera, quindi una sola volta l'anno, adesso le uscite sono almeno tre, perché la diffusione del bostrico si moltiplica a seguito delle temperature sempre più alte determinate dai cambiamenti climatici».

A Cortina L'allarme più pressante arriva da Cortina, dalla conca olimpica, dove i forestali della Regione stanno operando da settimane per asportare le piante a rischio: per prevenire un'infestazione che modifichi il contesto naturale delle Olimpiadi e delle Paralimpiadi. Ecco, dunque, che la Polizia locale di Cortina ha ordinato la chiusura al traffico veicolare e pedonale della strada "Laghi Ghedina", che da località Fiames, intersezione Camping Olimpia, porta al lago Ghedina, dal 22 aprile fino al 31 maggio e comunque fino a fine lavori: quelli, appunto, del taglio delle piante bostricate da parte di Veneto Agricoltura. Piante che sono quasi esclusivamente gli abeti rossi, non i larici, come precisa lo stesso Vianello.

Sul monte Grappa

Bostrico, l'emergenza post Vaia sta distruggendo i boschi del Bellunese. Un'altra squadra di Forestali sta operando sul versante nord del Monte Grappa, dove sono a rischio oltre 20 chilometri quadrati di patrimonio boschivo. Dario Scopel, sindaco di Seren, ricorda che recentemente sono arrivati dal Ministero dell'Ambiente 450 mila euro, destinati al contrasto del parassita. Seren è infatti uno dei 25 Comuni della Riserva della biosfera Mab/Unesco del Monte Grappa. La somma verrà in parte impegnata per far ripartire la vegetazione nei luoghi in cui Vaia ha devastato il territorio. Il Comune, come spiega il sindaco, si è attrezzato, da una parte, con le trappole "a feromoni" (sostanze chimiche che attirano gli esemplari di bostrico), e, dall'altra, per il taglio boschivo e la rimozione delle ceppaie che stanno creando problemi dal punto di vista idrogeologico non facilitando la ripartenza del bosco. Falcade

Mauro Salvaterra, sindaco di Falcade, ha dato il via, nei giorni scorsi, al taglio di un lotto di abeti rossi, in località Caverson, lungo l'impianto di risalita. «Abbiamo constatato che il bostrico ha indebolito tutta una serie di alberi e per motivi precauzionali abbiamo deciso l'estirpo. Qui la primavera non è ancor arrivata – dice –, però l'autunno ci aveva segnalato che l'infestazione progrediva al più alto livello, quindi non ci nascondiamo sorprese per le prossime settimane».

Salvaterra conferma un secondo trattamento con il repellente degli abeti al centro della piana di Falcade dove sarà realizzato il nuovo parco. «Gli studiosi dell'Università di Padova, confermano che la temperatura media che consente al bostrico di volare è di 18 °C e quella ottimale tra i 22 e i 26 °C». Ricordate che questi valori li abbiamo già raggiunti prima delle recenti nevicate, con temperature basse? Anche a febbraio c'era stato caldo. Gli insetti hanno cominciato a volare ancora a fine inverno, i tecnici dicono con un mese d'anticipo. Adesso sono protetti sotto la corteccia delle piante attaccate e in piena fase riproduttiva. Massimo Faccoli, ordinario di entomologia forestale all'Università di Padova, ha avuto modo di specificare che la prima ondata ha già volato a inizio aprile e colonizzato i nuovi abeti quasi ovunque, almeno fino ai 1.200-1.300 metri di quota. Il freddo li ha fermati, ma la loro riproduzione sarà probabilmente ancora maggiore. Si tratterebbe, secondo gli esperti, della conseguenza data dalla terza generazione di bostrico avviata lo scorso anno a fine estate che nel 2023 non è riuscita a completare del tutto il suo sviluppo. Quest'anno un gruppo ha già attaccato i primi abeti, tant'è che gli operai forestali della Regione sono già dovuti scendere in campo. Un altro lo farà a breve, indipendentemente dal freddo relativo di questi giorni. Ma, assicurano dall'ateneo patavino con Faccoli, la densità media delle popolazioni svernanti di quest'anno pare sia in leggero calo rispetto al 2023 su tutto l'arco alpino, un indizio che induce a pensare che stia per iniziare la fase calante della curva di infestazione.

Corriere delle Alpi | 29 aprile 2024

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«Infestazione favorita dal clima Fino a tre generazioni all'anno»

L'intervista

«Immaginiamo una grande nave con tante falle. Dopo 5-6 anni, le più grandi sono state turate. Ma di stagione in stagione se ne presentano di nuove, più piccole. Per cui noi operai forestali della Regione corriamo a tapparle, di cantiere in cantiere».

Chi parla è Federico Vianello, che coordina le squadre forestali di pronto intervento dell'agenzia Veneto Agricoltura. Ci sono stati ritardi, dice qualche sindaco che riscontra ancora parecchie piante bostricate sul proprio territorio. ..

«La verità è un'altra. Nel Nord Europa questi insetti di solito fanno una generazione l'anno, da noi, dove fa più caldo, arrivano a farne due, ma negli ultimi anni, grazie ai cambiamenti climatici, ne spuntano addirittura tre. Quest'anno, ad esempio, abbiamo già completato il primo ciclo di uscite, stiamo partendo col secondo».

L'emergenza non doveva concludersi in cinque anni?

«Ma il bostrico è sempre esistito. Anzi, è considerato lo spazzino del bosco, perché lo pulisce delle piante malate, fragili. Oggi ce n'è ancora tanto perché non cresce la popolazione di insetti antagonisti, i predatori».

Le vostre squadre dove intervengono?

«Di solito dove non intervengono le ditte private, su incarico dei Comuni, delle Regole, magari dei privati stessi. I quali operano là dove c'è la convenienza. Noi, quindi, scendiamo in campo nelle situazioni più complesse, magari sui versanti pericolosi. E, quindi, dobbiamo avere professionisti all'altezza, preparati, tali da prestare la massima attenzione, perché abbattere un albero grande ma indebolito non è assolutamente facile».

Il legno resta deprezzato come lo era qualche anno fa, quando lo si comprava anche a 20-30 euro al metro cubo?

«No, il prezzo si è rialzato. Oggi viene pagato anche a 70-80 euro al metro cubo».

Dove va a finire? Ancora in Cina o ritorna in Austria?

«In Cina non più, piuttosto nella vicina Austria. Appena al di là del confine con l'Italia ci sono due grandi segherie che lavorano ogni anno una quantità di metri cubi maggiore a quella prodotta da tutto il Veneto. Noi, invece, non siamo ancora attrezzati al riguardo». Il sindaco di Livinallongo ha manifestato la preoccupazione che dopo l'abete rosso venga attaccato anche il larice.

«Non ci sono riscontri che facciano temere questa deriva. E, d'altra parte, l'abete rosso è stato colpito perché piantato a quote molto basse, dove non dovrebbe; è una pianta che dovrebbe insistere dai 1.500, anzi dai 1.800 metri in su».

Il Comelico sta perdendo metà del suo patrimonio forestale.

«Purtroppo. L'abete rosso ha rappresentato per decenni la sua fonte di ricchezza. Ma Villa Poli, del 1700, testimonia, nei suoi affreschi, che allora il Comelico era popolato da faggi.

Il Veneto ha fatto tutto il possibile per affrontare e risolvere questa emergenza?

«Io sono solo un tecnico, un operativo. Dovreste chiederlo ai politici. Da tecnico riscontro, però, che la Regione ha investito parecchie risorse, sia proprie che statali. E i risultati si sono visti. Una volta i nostri cantieri forestali si dividevano in due categorie: boschivi e di sicurezza idraulica-forestale. Erano prevalenti, fino a qualche anno fa, questi ultimi. Oggi lo sono quelli boschivi». fdm

OLIMPIADI: GLI AGGIORNAMENTI

Corriere dell’Alto Adige | 5 aprile 2024

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Abd, obiettivo Olimpiadi 2026 Gostner: triplicare i passeggeri Lo scalo è gli aeroporti dei Giochi. Skyalps studia i collegamenti con Roma e Milano

Silvia M. C. Senette

BOLZANO

L’aeroporto di Bolzano è stato inserito, accanto a Milano e Venezia, nella lista degli scali ufficiali che serviranno le Olimpiadi MilanoCortina 2026. Dall’aerostazione Abd transiteranno decine di migliaia di visitatori, tifosi, atleti, giornalisti e addetti all’immensa macchina dei Giochi. La conferma arriva da Josef Gostner, presidente di SkyAkps e patron dell’aeroporto di Bolzano, che riferisce con estrema naturalezza una notizia niente affatto scontata.

«Siamo l’aeroporto più vicino alle aree protagoniste delle Olimpiadi e per questo ci hanno inserito nella lista nazionale spiega Trento non è un aeroporto commerciale, non ha uno scalo, un avvicinamento. Solo Bolzano, in regione, è funzionale e utile da questo punto di vista». La decisione, da Roma, è stata comunicata direttamente a Gostner qualche settimana fa. «Sono stato contattato dal presidente dell’Enac (l’Ente nazionale per l’Aviazione civile, presieduta da Pierluigi Di Palma, ndr) e sicuramente Bolzano avrà un

semplicissima, ancora siamo lontani da una soluzione definitiva. Sarà un percorso lungo, ma è un primo traguardo. Però l’importante è che se ne parli anche a livello normativo in Parlamento».

Alfreider conclude ammettendo un pizzico di delusione per l’impossibilità di prevedere un pagamento: «Dispiace molto che sia escluso il tema del pedaggio, quindi diventerà difficile applicarlo». Non solo: «Attualmente manca anche la possibilità di andare oltre l’Unesco». Applicando possibili limitazioni anche ad aree non tutelate: «Abbiamo tanti territori in Alto Adige, come il passo dello Stelvio e altri, che avrebbero altrettanto bisogno di misure per il contingentamento e la gestione del traffico».

Ma intanto il richiamo al Trentino di partecipare concretamente alla costruzione di un piano di misure legate al traffico sui passi attorno al gruppo del Sella non cade nel vuoto. «Il tema della mobilità sui passi dolomitici, in particolare nelle zone Unesco tende la mano l’assessore provinciale ai trasporti e alla mobilità Mattia Gottardi è oggetto da tempo di cooperazione tra i tre territori trentino, altoatesino e veneto». Collaborazione che, assicura l’esponente della giunta guidata da Maurizio Fugatti, continuerà anche nei prossimi mesi: «Lavoreremo in modo coordinato per attivare politiche comuni ai tre territori. Per quanto mi riguarda, coinvolgerò anche gli assessori Roberto Failoni, che ha la delega al turismo, e Giulia Zanotelli, che si occupa di ambiente, parchi e Unesco».

Alto Adige | 10 aprile 2024

p. 29

Passi dolomitici, un'altra estate senza limitazioni al traffico

massimiliano bona GARDENA/badia

Si profila un'altra estate senza limitazioni al traffico estivo sui Passi dolomitici. Il nuovo Codice della strada approvato alla Camera prevede, in prospettiva, per le aree Unesco delle «Ztlt» (Zone a traffico limitato temporanee) che sono viste di buon occhio anche dai Comuni gardenesi, ma per il 2024 non ci sono i tempi tecnici per intervenire e soprattutto per informare gli ospiti con un'adeguata campagna di marketing. Le novità entreranno in vigore dopo il passaggio in Senato e prevedono che - con l'assenso del Commissario del Governo - le decisioni siano prese dai Comuni. Ma per l'assessore alla mobilità Daniel Alfreider, il problema non può comunque considerarsi risolto. È fondamentale, infatti, per l'assessore badiota un coordinamento a livello più alto. Non possono essere i Comuni, da soli, a farsi carico della questione. Tra l'altro il problema traffico in Alto Adige - con 36 milioni di pernottamenti - ha implicazioni significative anche lontano dai siti Unesco (che sono parecchi). Ne abbiamo parlato con Roland Demetz, primo cittadino di Selva Gardena, tra i diretti interessati alla questione.Sindaco, per l'estate 2024 resterà, dunque, tutto inviariato?Cambierà qualcosina solo a livello informativo, ma non ci saranno novità sostanziali. Si riferisce alle insegne luminose per i parcheggi visibili già a Selva?Esattamente. In passato c'erano quelle per i 500 posti a Passo Sella e quest'estate la società Dantercepies ci ha informato di voler indicare i posti liberi, in tempo reale, anche a Passo Gardena. Che sono meno della metà, in ogni caso. Sarebbe utile che si facesse lo stesso anche sul versante badiota.Ha già discusso con l'assessore Alfreider delle Ztlt (Zone a traffico limitato temporanee)?L'incontro tra i sindaci e i responsabili delle Apt e del Consorzio gardenese è slittato a maggio. In quella sede tratteremo anche le questioni normative che non sono ancora definitivamente risolte. Quindi, per quest'estate, non cambierà molto.Ma lei vedrebbe di buon occhio il modello Braies con il contingentamento del traffico privato?Sì, potrebbe essere la strada giusta. Poi toccherebbe a noi fissare il numero delle auto in transito per i passi. Prima di fare tutto questo deve essere chiaro il quadro normativo e giuridico. E per l'estate 2024 non sarà sicuramente così.©RIPRODUZIONE RISERVATA

FLUSSI TURISTICI

Corriere della Sera | 2 aprile 2024

p. 20

Gli Usa pazzi per le Dolomiti E lo sci ritorna a Occidente «Già rimpiazzati tutti i russi»

di Francesco Chiamulera

La lunga e fruttuosa stagione dello sci nelle Alpi orientali, cominciata a fine novembre, si avvia verso la conclusione. Ed è già tempo di bilanci. Quello di Dolomiti Superski, maggiore comprensorio italiano, sistema di skipass che riunisce dodici aree con 1.246 chilometri di piste per uno dei più grandi caroselli sciistici al mondo, rivela cose interessanti, anche al di fuori della tribù dei fanatici. Perché se nel mondo globale ogni segmento è rifrazione del tutto, va ricordato che lo sci è ad oggi l’attività economica primaria della montagna italiana, «contribuendo a circa il 75% dell’economia delle valli turistiche montane», dice Stefano Illing degli impianti del Lagazuoi, Cortina.

Basandosi sul milione e settecentomila utenti della app MyDolomiti buon campione, se si conta che il volume complessivo di utenti skipass a stagione si aggira sui 3,5 milioni Dolomiti Superski regala dunque la seguente classifica delle nazionalità: gli sciatori

italiani fanno la parte del leone, con poco meno del 43% del totale; seguono tedeschi (19%), polacchi (6%), cechi (5%), olandesi (4%), e poi ancora britannici, americani, belgi, svizzeri, svedesi, slovacchi. Fino ai bulgari. Insomma l’Est Europa, scrollatosi di dosso le tristezze postcomuniste, è cresciuto stabilmente in questi anni.

Le nazionalità

In testa gli italiani, poi tedeschi e cechi L’Est Europa cresce stabilmente da anni

Ma la vera notizia di questo inverno riguarda gli sciatori anglosassoni. L’accordo stretto nel 2021 dal consorzio Dolomitico con «Ikon Pass», uno dei due grandi sistemi sciistici e di skipass del Nordamerica (l’altro è «Epic Pass»), ha proiettato migliaia di americani sulle piste. Per dire, i soli utenti di «Ikon Pass» sono passati da duemila nella stagione 2021/2022 a 20 mila l’inverno scorso, «per toccare i 30 mila quest’anno», dicono i responsabili del consorzio. Ma sono appunto dati che non tengono conto di tutti gli altri statunitensi, anche non affiliati ad «Ikon Pass», i quali ovviamente sono molti di più. «Ci aspettiamo un +50% di sciatori americani sull’anno scorso, e un +30% dei britannici», dice Diego Clara di Dolomiti Superski Sono numeri importanti. I turisti inglesi sono quelli che per primi scoprirono il turismo da queste parti, a metà Ottocento, presto seguiti dagli statunitensi, che oggi praticano moltissimo gli hotel di Cortina e delle vallate vicine, soprattutto di fascia lusso, con più attenzione per l’outdoor rispetto al consueto villeggiante italiano e qualche estrosa richiesta, come sciate in notturna, partenze nottetempo per vedere l’alba dal passo, e così via. La notizia nella notizia è che il volume del turismo anglosassone rimpiazza largamente, «anzi, possiamo proprio dire che straccia, senza paragone», gli skipass mancanti dei russi, che qualche anno fa spopolavano, e la cui assenza aveva acceso qualche preoccupazione sui mancati introiti. Insomma il turismo delle Dolomiti si è riconvertito a Occidente, in modo più marcato da quando la guerra di aggressione all’Ucraina è scoppiata. Purtroppo sulle piste si registrano anche meno ucraini. Invece, qualche russo c’è ancora: sono soprattutto espatriati dal regime «con passaporto cipriota o spagnolo». Triste dato, se si ricorda che è dai tempi di Nabokov, passando per le ondate della dissidenza antisovietica, cioè un secolo intero, che chi vuole vivere (e sciare) in modo libero se ne va, spesso definitivamente, da quel Paese.

Alto Adige | 4 aprile 2024 p. 12

«Oggi il turismo di massa è al massimo consentito»

Le Alpi facevano paura. Troppo alte, troppo fredde e irraggiungibili. Paura non solo ai viandanti ma pure a chi aveva la ventura di abitarci. Altrimenti non si spiega l'affollarsi, insieme agli animali veri, di quelli partoriti dall'immaginario nelle sere di vento e di bufera, stretti nelle case al limitare dei boschi mentre ogni rumore o cigolio del legno evocava elfi e streghe, gnomi e "uomini neri", alti come orsi bruni. È dentro questo magma indistinto, dove i pericoli reali di fondevano a quelli evocati. che le Alpi e le montagne se ne sono rimaste sole e pensose per secoli, mentre il resto del mondo viaggiava che era un piacere. Questo finchè gli inglesi - sempre loro!sono giunti ai loro piedi e non solo hanno iniziato a scalarle, le montagne, immettendole nell'Olimpo della loro scoperta sociale e culturale più famosa , lo sport, ma anche a raccontarle. Uno di questi esploratori del mistero alpestre, tornatosene a Londra, le ha pure proiettate. Per il piacere dei nipotini del Grand Tour settecentesco e di quelli che pensavano che anche le Alpi potessero diventare terra di conquista. È da qui, da questo scarto culturale e immaginifico, che le Alpi sono passate da essere luoghi di leggende a spazio sportivo e, altro passaggio inevitabile, turistico. Con le conseguenze del caso: overtourism, monocultura sciistica. Fino alle Olimpiadi. Con tutto il loro portato di investimenti finanziari, rilancio di località, piacere delle aziende di soggiorno, felicità dei politici dei territori interessati, ma anche polemiche per lo sfruttamento intensivo di un bene non eterno come i boschi e i prati, per l'intensificarsi della cementificazione delle vallate, già abbondante nelle principali ma ancora con margini di intervento speculativo nelle altre. Insomma, che fare? Magari tornare, non si dice al mistero, ma almeno alle favole. Quando la montagna attirava per il fatto stesso di esistere in quanto tale e non solo come contenitore di skilift. È dentro questi passaggi che si muove da domani (dalle ore 10 alle 18) a Unibz, l'Università di Bolzano, il convegno "Maudit - Immagini e immaginari delle Alpi". C'è l'esplorazione delle narrazioni visuali legate al territorio alpino. Ma lo fa attraverso la presenza di ricercatori e anche attivisti, progettiste e associazioni molto presenti nelle località montane. E che l'approccio non sia solo legato all'immaginario - ma che da questo parta - lo rivela la connessione, dentro la struttura organizzativa, sia della facoltà di Design che di quella di Economia dell'università bolzanina, accanto a quella di Bologna. La curatrice, docente a Economia, è Serena Volo; la co-curatrice, docente a Design, è Letizia Bollini. Il tutto sta ben dentro il progetto Care (Climate crisis in Alpine tourism).Letizia Bollini, perchè "Maudit"?«Perchè la montagna è potente, paurosa, maledetta. Spesso incontrollabile».Era o è?«In passato di più. Domani, infatti, si partirà dalla costruzione di uno scenario. Dall'immagine portata dalle prime esplorazioni. Penso al Monte Bianco. E alle scalate di inizio secolo. Alle spedizioni, prima inglesi, e alla successiva spettacolarizzazione delle montagne».Uno spettacolo che si fa partire subito?«Subito dopo le iniziali esplorazioni".Come quando gli archeologi tornavano dall'Egitto?«Più o meno. Con la differenza che qui ci sono le fotografie e i filmati. E la conquista delle Alpi diventa mito».E dal mito, la mitologia?«Mitologiche diventano le alte montagne perchè sono anche portatrici di leggende. L'immaginario degli alpinisti-esploratori si fonde con quello delle popolazioni alpine. Dove le tradizioni locali e la leggenda orale viene sublimata e simbolizzata».Fatte da cosa, queste tradizioni?«Dalle forze naturali che diventano simboli leggendari, come gnomi e streghe. E così il mondo "civile" entra nella dimensione del selvatico».Che ha il vantaggio di non essere lontano, come quello esotico, ma vicino?«È così. E proprio da qui giungiamo al successivo passaggio, dove le narrazioni e le prime imprese, la spettacolarizzazione delle scalate e dei luoghi stessi diventano il motore per il fenomeno che segue tutto questo, vale a dire il turismo».La facilità di raggiungere le Alpi

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viene ampliata dalle facilitazioni nei trasporti, altro problema oggi. Qual è lo scenario adesso?«L'overtourism, il turismo di massa che sta raggiungendo livelli che molti ormai giudicano invalicabili. Come se si fosse raggiunto il massimo livello consentito dal contenitore alpino».Ma non pare che ci si fermi, visti i progetti...«Ecco il punto. Dobbiamo chiederci fino a quando l'intero sistema ecologico e paesaggistico potrà assorbire questo assalto. E fino a che punto potrà rispondere come ha fatto finora con la monocultura sciistica».Intende lo sci come unica attività possibile in quota, inteso attività di massa?«Già adesso abbiamo registrato i cimiteri degli skilift, cioè impianti che non rispondono più alle esigenze, che registrano la loro inadeguatezza. E sopra tutto questo, si pone il cambiamento climatico».Cambiamento che richiama alla realtà il sistema-Alpi?«Che dovrebbe. I segnali ci sono tutti. Ecco perchè serve indagare la narrazione dell'immaginario alpino: per provare a costruire una nuova, possibile, narrazione delle Alpi di oggi».Partendo da dove?«Dal recupero delle identità. Sia di chi ci vive, con i suoi usi e costumi. Ma soprattutto della montagna. La sua fascinazione ancestrale è un patrimonio da non gettare ma da riciclare attraverso nuove realtà, anche culturali».Insomma non si può vivere di solo sci e di turismo massificato perchè poi sarà la montagna a non vivere più?«Già ora gli operatori stanno aprendo a nuove forme di uso della montagna, non solo sciistico. Perchè siamo tutti consapevoli che le Alpi e il loro turismo sono una risorsa che tiene in piedi economie di interi territori».Qual è dunque la possibile risposta che arriva anche dal vostro convegno?«Da un lato la consapevolezza. Aver chiare le conseguenze delle scelte. Che siano quelle attuate in passato che di quelle di domani. E dall'altro, l'esperienza. Fare esperienza, non rimanere sulla superficie della montagna, esplorare i territori, guardare agli spazi non artificializzati, capire che depauperando boschi e prati, rocce e realtà umane si depaupera la materia prima, cioè le Alpi stesse».E allora addio anche all'economia?«Addio. Perchè le Alpi attirano se le manteniamo il più possibile dotate di quel fascino che aveva ammaliato i suoi primi scalatori e visitatori. Non lo stesso. Ma almeno quasi...».©RIPRODUZIONE RISERVATA

Corriere delle Alpi | 6 aprile 2024

p. 17

Destagionalizzazione, qualità e sport a 360° Dmo: «Non vogliamo un turismo di massa»

L'intervista

Paola Dall'Anese

Nuovi prodotti turistici che rispondano alle reali richieste di chi frequenta la montagna bellunese in tutte le stagioni. «Quindi, la montagna dovrà diventare luogo privilegiato per fare attività fisica di ogni genere, sfilandosi dall'immagine legata solo allo sci». Lo ha auspicato la direttrice della Fondazione Dmo, Valentina Colleselli, presentando al convegno organizzato da Confartigianato il piano a cui sta lavorando l'ente e che dovrà garantire gli strumenti per superare la sfida del cambiamento climatico. Per fare ciò è necessario un cambio di mentalità da parte di chi fa turismo, offrendo «prodotti turistici che dovranno diventare sempre più flessibili per adeguarsi alle esigenze dei visitatori che saranno studiate anche in base a come e dove spendono i loro soldi durante la vacanza».

Direttrice Colleselli, su cosa deve puntare il turismo montano bellunese per superare la sfida del cambiamento climatico ?

«Come Dmo ci stiamo impegnando per favorire la nascita di nuovi prodotti turistici tramite il dialogo con il territorio. Dobbiamo realizzare una economia del turismo innovativa, sostenibile, pensata per il territorio, un'economia che potrà offrire molte opportunità. Penso alla destagionalizzazione, alla possibilità di beneficiare di attività sportive outdoor anche nel periodo invernale e per la parte alta della provincia alla necessità di avviare un'offerta diversa da quella sciistica».

A cosa state pensando?

« Tenendo conto delle identità turistiche delle singole aree, stiamo pensando a macroprodotti di destinazione come il cicloturismo e il settore dell'outdoor e dello sport come esperienza di valorizzazione del territorio, incrementando anche sport di nicchia come la pesca sportiva. Stiamo aprendo un dialogo con il Cai per il settore dei cammini Alte vie».

Per rendere il territorio attrattivo, però, servono strutture ricettive adeguate che in provincia scarseggiano...

«La sfida è adeguarci a tutto questo. La qualità dei servizi è una criticità e va superata. Vi sono diversi contributi pubblici da utilizzare per aumentare la qualità ricettiva e per la nascita di nuove strutture: tutto questo farà parte del processo per la creazione della cultura imprenditoriale legata al turismo. Come Dmo vorremo aumentare la capacità e la qualità del servizio e dell'indotto economico non solo in riferimento ad arrivi e presenze, ma anche alla catena del valore del turismo quali i prodotti artigianali tipici della nostra provincia». Le ondate di calore porteranno le persone in montagna. Dove le metteremo?

«Teniamo conto che non vogliamo diventare una destinazione over tourism, di turismo di massa, ma vogliamo governare il flusso per capire quale turista arriva e quale offerta garantirgli tenendo conto delle strutture e delle infrastrutture che abbiamo. Vogliamo un turismo di qualità: serve un cambio di paradigma, dove prevale l'approccio qualitativo e non quantitativo».

In che senso?

«L'esperienza turistica non è solo di pernottamento ed enograstronomia, ma anche servizi tematici. Se sono un turista che vuole un'esperienza outdoor, devo trovare gli accessori per questo, vale a dire il noleggio del materiale sportivo. Dobbiamo anche puntare a una concezione di accoglienza identitaria, legata al prodotto. Questo approccio ancora non è presente in provincia, e su questo dovremo lavorare».

Quindi alla fine per affrontare il cambiamento climatico cosa serve?

«Il nostro territorio è vivo e pertanto dobbiamo modificarne la fruizione in base agli eventi atmosferici, alla capacità di adattamento e alla flessibilità di gestione dell'offerta, tramite i dati e il confronto con i Consorzi turistici e i territori. Dobbiamo adattarci al cambiamento. Questo territorio per la sua varietà permette molte opportunità che dovremo saper cogliere. Importante su questo sarà anche il lavoro

che abbiamo in mente, perchè il territorio diventi un'area vivibile per residenti e turisti, per i cosiddetti nomadi digitali, garantendo loro le infrastrutture così che possano lavorare per alcuni periodi dell'anno da quassù».

DIGA DEL VANOI: GLI AGGIORNAMENTI

Corriere delle Alpi | 10 aprile 2024

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Bocciata la mozione contro il Vanoi Il Veneto non ritirerà il progetto

«Quando si fa una grande opera c'è sempre qualcuno che ne soffre. Verrà risarcito». Sta tutta nelle parole di Nazzareno Gerolimetto (lista Zaia) la visione dei consiglieri regionali di maggioranza sul rapporto di forza tra i territori veneti: da una parte la pianura assetata che mette sulla bilancia milioni di abitanti e di voti, dall'altra la montagna, che non trova difensori nemmeno tra i consiglieri regionali che ha eletto, Silvia Cestaro e Giovanni Puppato. Il progetto della diga del Vanoi va avanti e rimarrà in cima alla lista delle opere prioritarie per il Veneto. A deciderlo, ieri pomeriggio, è stato il voto (9 a 26) del consiglio regionale alla mozione presentata da Cristina Guarda (Europa Verde) che per settimane ha cercato un compromesso che potesse portare a un voto favorevole. Un tentativo inutile, visto l'esito del dibattito e tutto fa pensare che la disponibilità della maggioranza mirasse a prendere tempo in attesa che il presidente Zaia (ieri assente in aula) dettasse la linea. La mozione riassumeva gli elementi tecnici attualmente a disposizione, le preoccupazioni dei territori coinvolti e la contrarietà già espressa dalla Provincia autonoma di Trento, dove si realizzerà l'invaso, e della Provincia di Belluno, dove si farà la diga. Il preventivo dell'opera è di 150 milioni di euro per un bacino da 33 milioni di metri cubi d'acqua da realizzarsi in 980 giorni di lavori con la Regione Veneto quale soggetto attuatore. Il progetto è stato affidato dal ministero dell'Agricoltura al Consorzio di Bonifica del Brenta ed è già costato almeno un milione di euro, ma lo studio del 1989 già parlava di una diga che sarebbe stata "molto positiva per la pianura e molto negativa per la montagna". I precedenti progetti avviati negli anni 1922, 1959, 1985 e 1998 si sono tutti arenati per irrisolvibili problemi geologici della zona in questione, che Trento ha classificato con rischio idrogeologico P4. «Elementi insufficienti per fare una valutazione», secondo la consigliera leghista ex sindaco di Selva di Cadore, Cestaro, secondo la quale, al momento, non ci sono le condizioni per abbandonare il progetto: «Ho parlato molto con i residenti che esprimono grande timore e preoccupazione, ma spesso quello che si percepisce non è la realtà e la colpa è della stampa che diffonde notizie errate in campagna elettorale». Affermazioni che viste da chi è cresciuto all'ombra del Vajont suonano come un déjà vu. Non una parola, invece, dal limanese Puppato.

Del resto la Lega ha abbondantemente sostenuto la necessità di una nuova diga nel Bellunese. «È un'opera importante in un momento di crisi climatica», ha affermato Pan, «aumenterà la sicurezza idraulica in pianura e consentirà di accumulare risorsa idrica per dare da bere a 5 milioni di veneti». Gerolimetto ha tagliato corto: «Se un'opera serve, prima si fa meglio è» e come esempi virtuosi cita le dighe dei cinesi «che per l'interesse superiore del Paese hanno fatto sparire una popolazione» e quella lungo il Nilo. Per Elisa Venturini (Forza Italia): «Il cambiamento climatico è inn egabile, servono interventi di mitigazione. Il Vanoi coinvolge due territori con interessi diversi e questa mozione ci chiede un atto di fiducia e attiva le tifoserie».

«Se i nostri predecessori avessero fatto come noi saremmo senza acqua, né energia», ha aggiunto Stefano Valdegamberi (gruppo misto). «Bisogna avere il coraggio di fare scelte difficili, questo progetto deve andare avanti. Basta parlarne!». Per Valdegamberi il Vanoi sarà utile anche alla produzione idroelettrica: «Che è l'unica fonte pulita, non come il fotovoltaico. L'altro giorno ho visto un tetto andare a fuoco per colpa di un pannello».

In realtà la diga del Vanoi non prevede, prioritariamente, uno sfruttamento idroelettrico delle acque perché questo andrebbe in contrasto con le necessità idriche, ma la citazione di Valdegamberi è stata ripresa da Arturo Lorenzoni (misto): «Mi vergognerei a dire certe cose negli stessi minuti in cui in una centrale idroelettrica bolognese si è verificato un grave incidente. Il Vanoi non basterà a colmare le carenze idriche venete. Con un centesimo di quei costi e in tempi assai più rapidi abbiamo soluzioni migliori. Portiamole avanti, poi se saremo così disperati da dover mettere a repentaglio la sicurezza dei territori di montagna ci ripenseremo». Le soluzioni alternative sono quelle ricordate dalla consigliera Guarda che ha ripreso gli studi di Veneto Agricoltura, braccio operativo della Regione Veneto, sullo stoccaggio delle acque con quantità maggiori e costi ampiamente inferiori: 0,01 euro per metro cubo d'acqua contro i 4,55 euro del Vanoi. A favore della mozione e quindi contro il Vanoi sono interventi anche Andrea Zanoni, Vanessa Camani, Jonatan Montanariello (tutti del Partito Democratico) e Elena Ostanel (il Veneto che Vogliamo) ricordando come l'opera sbilanci il rapporto di poteri tra i territori: ad avere le risorse è la montagna che è fragile e va difesa, ma conta di più la pianura.

Corriere delle Alpi | 11 aprile 2024

p. 18

Le comunità locali sono sotto shock «Uno schiaffo a noi bellunesi»

Marcella Corrà / BELLUNO

«Quelle parole sono uno choc, uno schiaffo in pieno viso per i bellunesi, per chi vive in montagna». «Uno spettacolo poco dignitoso, irrispettoso per i territori montani». Il sindaco di Lamon, Loris Maccagnan, e quello di Sovramonte, Federico Dalla Corte, sono stupiti e arrabbiati di fronte alla discussione dell'altro ieri in consiglio regionale sulla diga del Vanoi. La discussione ci sta, le prese di posizione diverse pure, meglio ancora se vengono argomentate. Ma dire (come ha fatto il consigliere della Lista Zaia Gerolimetto) che "quando si fa una grande opera c'è sempre qualcuno che ne soffre. Verrà risarcito" o lodare quello che è accaduto in Cina, considerata virtuosa perché per "l'interesse superiore del Paese ha fatto sparire una popolazione" costruendo le dighe, è sembrato davvero troppo a due tra gli amministratori più interessati dal progetto della diga sul torrente Vanoi. «Vogliono fare un'opera pubblica impattante dal punto di vista ambientale, come riconosciuto da tutti, molto costosa, mal giustificata, senza che ci sia uno straccio di bilancio idrico regionale, senza conoscere approvvigionamenti, perdite e consumi. E ne parlano con una leggerezza che sbalordisce», argomenta il sindaco Maccagnan. «Ma a tutto questo si aggiunge una completa mancanza di pudore. Come si può dire che la Cina è un modello virtuoso perché ha fatto sparire intere popolazioni? O quel consigliere non sa quello che dice o per lui le comunità locali non hanno alcun valore. E poi come si fa ad affermare che o i montanari se ne fanno una ragione, oppure vanno a vivere altrove? Che in consiglio regionale questo linguaggio sia considerato quasi normale, ci fa dire che il nostro referendum a Lamon per lasciare il Veneto non era legato a campanilismi o a convenienza momentanea, ma era una istanza di autodifesa».

I due sindaci sono ben consapevoli che la mozione presentata dalla consigliera Guarda (che siede tra i banchi della minoranza) aveva poche possibilità di essere accolta senza un accordo con la maggioranza. La consigliera bellunese Silvia Cestaro aveva cercato la strada della conciliazione ma senza effetti concreti, tanto da far dire a Maccagnan che non è stato fatto un lavoro adeguato per arrivare ad un accordo o forse si è solo preso tempo. «Il suo intervento in consiglio regionale è stato poco costruttivo, poco denso di contenuti e poi ha votato contro la mozione e quindi a favore della diga. E il consigliere Puppato non è neppure intervenuto».

Alla discussione in aula mancava anche l'assessore Bottacin. Federico Dalla Torre, sindaco di Sovramonte, ricorda di aver cominciato un anno fa, quando il progetto della diga è tornato di attualità, a dire che non si doveva fare: «Non è che Sovramonte sia contrario o favorevole alle dighe, ne abbiamo due sulla testa, quella di Pontet e quella della Val Noana e abbiamo delle centrali. Ma il modo con cui si sta andando avanti nel caso del Vanoi è completamente sbagliato. Tutto viene deciso sopra la testa delle popolazioni locali, non si lavora così in un Paese civile, in una democrazia: prima ci si confronta. Invece quello che sta succedendo ci fa capire ancora di più che noi non contiamo niente». Sono decenni che si parla della necessità di dissetare la pianura veneta, in questo caso quella bassanese, vicentina e padovana, dove gli sprechi di acqua sono enormi e dove le soluzioni alternative non si sono cercate, o lo si è fatto in minima parte. «Molto prima», aggiunge Dalla Torre, «che fossero comparsi sulla scena gli ambientalisti, avevamo proposto di svuotare i laghi pieni di ghiaia, quello di Ponte Serra è l'esempio più lampante». Un progetto esiste ma non è andato avanti: tra le perplessità maggiori c'erano il costo dei lavori, dove portare la ghiaia, come gestire le centinaia di camion che servono. Di fronte ai dati della costruzione della diga del Vanoi, queste obiezioni allo svuotamento di Ponte Serra sono poca cosa. «Ad agosto 2023 ho incontrato il presidente del Consorzio del Brenta: mi ha assicurato che nel giro di pochi mesi, in autunno, ci avrebbero convocato per mostrarci i dati del progetto, coinvolgendo le comunità locali. Siamo ad aprile e non si è ancora sentito nessuno: secondo me manca proprio la volontà di coinvolgere i territori». Della futura diga del Vanoi si sa poco o nulla, solo un progetto di massima ormai datato: alta 116 metri, con un bacino di una quarantina di milioni di metri cubi. Verrebbero costruite gallerie, viadotti, terrazzamenti con l'uso di 24mila metri cubi di calcestruzzo e migliaia di camion. Costo previsto, ovvero i soldi chiesti al ministero da Zaia: 150 milioni di euro.

Se la pista di bob di Cortina costa 120 milioni di euro e per restare in zona la galleria della Pala Rossa una trentina di milioni, è difficile ipotizzare che 150 milioni bastino per un simile mega progetto. In Trentino si parla addirittura di una spesa di 900 milioni.

Corriere delle Alpi | 12 aprile 2024

p. 17

Emergenza idrica: nell'elenco dei lavori priorità al Corlo Il Vanoi non c'è

Alessia Forzin / belluno

Mentre il progetto della diga del Vanoi è ad oggi confinato a dibattito politico, sono gli interventi sulla diga del Corlo a mettere la freccia. Questi ultimi sono inseriti fra i quindici prioritari, nel Distretto di Bacino Alpi orientali, nella relazione del Commissario straordinario nazionale, Nicola Dell'Acqua, per l'adozione di interventi urgenti connessi al fenomeno della scarsità idrica.

Si tratta della seconda relazione, che il Commissario ha prodotto il 27 febbraio e che è stata presentata nella terza seduta della cabina di regia per la crisi idrica che si è tenuta il 19 marzo. Si trova pubblicata sul sito dedicato all'attività del Commissario e conferma le criticità nella gestione degli invasi, in parte già evidenziate nella prima relazione, e in generale, delle infrastrutture dell'approvvigionamento idrico primario, ovvero quelle a monte dei settori di impiego dell'acqua (civile, irriguo, industriale). Le criticità gestionali in parola determinano una maggiore vulnerabilità del paese rispetto ai cambiamenti climatici.

Nella relazione sono state individuate tre principali attività per il contrasto al cambiamento climatico: il finanziamento delle opere prioritarie, l'elaborazione di bilanci idrici aggiornati e di dettaglio (a livello di distretto o sub distretto) e la proposta di estensione di una governance regolatoria per l'approvvigionamento idrico primario.

LE OPERE NEL BELLUNESE

Le opere prioritarie sono quindici, nel Distretto Alpi Orientali, per poco meno di 644 milioni di euro. Non c'è la diga sul Vanoi, opera che era stata definita "urgente" nel piano che la Regione aveva inviato circa un anno fa (era maggio 2023) al ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti per fronteggiare la siccità, e che prevedeva interventi da oltre due miliardi di euro. La diga sul Vanoi sarebbe costata 150 milioni, secondo le stime di allora.

Fra le opere prioritarie non c'è nemmeno la galleria scolmatrice presso la diga di Bastia, per il recupero della limitazione di invaso dovuta a rischio esondazione a valle, per 20 milioni di euro. È rimasto nel piano, invece, l'intervento sulla diga del Corlo (Arsiè), che prevede la modifica degli scarichi per il recupero della limitazione di invaso. Opera che un anno fa si stimava sarebbe costata 88 milioni di euro, mentre nell'allegato alla seconda relazione del Commissario è salita a quasi 108 (107.360.000). Il soggetto attuatore è la Direzione Difesa del Suolo e della Costa.

LE OPERE PRIORITARIE

Nel Bellunese non sono ritenute prioritarie, in questa relazione del Commissario Dell'Acqua, altre opere. Ci sono invece l'impianto pluvirriguo di Bassano del Grappa (5,3 milioni di euro), quello di Maragnole in comune di Breganze (Vicenza, 5.250.000 euro) e quello di Medoaco – 2° lotto funzionale (Vicenza, 5,6 milioni).

C'è poi la trasformazione irrigua di 780 ettari della zona di Vamporazze, comuni di Bressanvido e Sandrigo (Vicenza, 8,4 milioni). Di questo opere soggetto attuatore è il Consorzio di bonifica Brenta.

Il Consorzio di bonifica di secondo grado Lessinio Euganeo Berico è invece soggetto attuatore di due opere: i lavori di ripristino della funzionalità della condotta irrigua Lebbino afferente l'area termale e dei nodi di regolazione e distribuzione idraulica minori (8,5 milioni); lavori di ripristino della funzionalità idraulica del canale irriguo sotterraneo Guà – Bacchiglione (8 milioni).

In Friuli Venezia Giulia è ritenuto invece prioritario costruire una condotta di collegamento fra il canale Sade e il sistema derivatorio Ledra-Tagliamento, per il recupero parziale della portata di scarico della centrale di Somplago (Udine, 105 milioni), ma anche realizzare una galleria scolmatrice fra gli invasi di Cà Zul e Cà Selva (75,7 milioni) ed effettuare lo sghiaiamento del serbatoio di Barcis e di Ravedis (113,7 milioni).

Il Consorzio di bonifica Piave si occuperà di interventi di impermeabilizzazione dei canali principali, installazione di misuratori di portata lungo la rete e regolazione dei consumi (25,7 milioni) e della riconversione del sistema irriguo da scorrimento a pluvirrigazione degli impianti Vedelago nord e sud (due interventi per complessivi 129.690.000 euro).

Altri interventi prioritari, sempre in base all'allegato alla relazione del Commissario, sono quelli sul bacino Brian (20.150.000) e sulla dorsale Albano-Loncon (25 milioni).

Corriere delle Alpi | 12 aprile 2024

p. 17

L’Adige | 14 aprile 2024

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Il Pd sulla Diga: «Nessuno sconto al Veneto»

VANOI - Sono passati alcuni giorni dal voto del Consiglio regionale Veneto, che ha deciso di non abbandonare il progetto di sbarramento sul torrente Vanoi, e il silenzio della Provincia di Trento (il cui consiglio, il 6 febbraio 2024, ha approvato all'unanimità la netta contrarietà alla costruzione dell'opera) "agita" il Pd trentino. «Questo silenzio rischia di minare la nostra credibilità e la serietà delle nostre posizioni - ha scritto il partito in un comunicato - Sulla contrarietà al progetto della diga sul Vanoi la Provincia deve essere ferma e non fare sconti alla Regione Veneto perché, come abbiamo più volte ribadito, la costruzione dell'opera interesserebbe per buona parte il territorio trentino e andrebbe ad avere delle ricadute estremamente negative sul lato ambientale non solo dopo la realizzazione dell'invaso, bensì anche nella fase di costruzione che vedrebbe la messa a terra di un enorme cantiere nella zona della Val Cortella. La giunta rispetti gli impegni che si è presa, facendo pesare la contrarietà trentina all'opera in tutte le sedi». Fugatti intende subire i diktat di Zaia? Si chiede il Pd. «Non vorremmo che la vicinanza politica tra i due governi portasse ad una sottostima della vicenda: lo stile della pacca sulla spalla non è certo adeguato a queste tematiche, dove servono atti formali e netti». Il consigliere provinciale del Pd Alessio Manica ha depositato un'interrogazione per chiedere alla giunta se ci siano state delle comunicazioni con la giunta Veneta dopo l'approvazione della mozione nel consiglio provinciale, se in attuazione della mozione sia stata trasmessa al Veneto la mozione del consiglio e, nel caso non sia avvenuto, se non ritenga necessario trasmettere formalmente la mozione e, infine, se la giunta non ritenga necessaria una presa di posizione formale. A.O.

Corriere delle Alpi | 14 aprile 2024

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I geologi sul Vanoi «La diga non serve»

Un no deciso. È quello dei geologi bellunesi, che non ritengono essenziale la diga del Vajont. Luigi D'Alpaos, il più critico, si scaglia contro l'ignoranza dei politici e gli interessi delle organizzazioni degli agricoltori. I dubbi anche di Vittorio Fenti. Aliprandi / PAgina 17

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D'Alpaos sul Vanoi: «La diga non serve L'acqua c'è, smettiamo di sprecarla»

l'Intervista

Irene Aliprandi

«I politici dovrebbero studiare di più e smetterla di fare danni». Luigi D'Alpaos, professore emerito dell'Università di Padova, ingegnere bellunese tra i massimi esperti di idraulica, non usa mezzi termini per dire ciò che pensa del progetto Vanoi e più in generale dell'uso della risorsa idrica in Veneto.

Professore, cosa pensa del Vanoi?

«Possiamo parlare a lungo dell'inopportunità tecnica di quel progetto, ma c'è una premessa che tutti si ostinano a ignorare: la Provincia autonoma di Trento si oppone già dai tempi della Commissione De Marchi, che tra le varie soluzioni alla carenza idrica della pianura indicò anche la possibilità di fare un serbatoio sul Vanoi. Il no di Trento fece cadere quella ipotesi e rispetto ad allora non credo che sia cambiato niente. Se non si rimuove quell'opposizione, ribadita anche di recente, stiamo discutendo del niente. Non basta l'idea di un Consorzio di Bonifica, che poi non dice fino in fondo la verità, perché lo deve dire che quel serbatoio serve anche ad altre cose, non soltanto per l'irrigazione».

Pensa che il Consorzio di Bonifica del Brenta punti anche ad uno sfruttamento idroelettrico delle acque del Vanoi?

«Sì, mi riferisco all'idroelettrico, al fatto che useranno le acque del Vanoi non soltanto per l'irrigazione, come d'altra parte avviene anche nel sistema del Piave, perché in alcune stagioni l'acqua non serve affatto all'irrigazione e viene usata solo per produrre energia idroelettrica. Le vittime di tutto questo sono i fiumi. C'è una questione politica a monte. Questi personaggi sono a pranzo e a cena con la politica, ma sul profilo tecnico siamo di fronte a dei dilettanti allo sbaraglio».

Martedì un consigliere regionale ha dichiarato che l'energia idroelettrica è l'unica pulita e veramente rinnovabile.

«Perché non pensa a tutte le conseguenze. Secondo voi il Piave è ancora un fiume? Quando passate sopra un ponte del medio corso del Piave, ma anche dalle parti nostre, avete la sensazione che quello sia un fiume? È un sistema in cui la vegetazione si è espansa in modo assolutamente anomalo come conseguenza di un'utilizzazione troppo spinta delle acque. Io credo che sia giusto usare le acque, ma vanno usate con ragionevolezza, avendo la capacità di vedere un po' più lontano del proprio naso».

Un'altra consigliera regionale, una bellunese, ha affermato che la gente ha paura del Vanoi solo per colpa della stampa.

«Quella consigliera regionale dovrebbe studiare un po', se vuole le do io ripetizioni gratis. La stampa invece dovrebbe andare ancora in maggiore profondità nella questione, perché sulla necessità di acqua per l'agricoltura c'è molto che non torna».

A cosa si riferisce?

«È possibile che nell'era dell'intelligenza artificiale in Veneto si usino ancora sistemi di irrigazione che non sono del nonno, ma del bisnonno? Se Israele usasse metodi e criteri di irrigazione come quelli che usiamo qui nel Veneto, dove siamo stati mal educati perché abbiamo abbondanza d'acqua, l'agricoltura israeliana non esisterebbe nemmeno. Allora, prima di togliere altra acqua ai fiumi perché non si usa meglio la risorsa usando metodi irrigui che non la sprecano? ».

Lei ritiene che ci sia un problema nel sistema agricolo italiano?

«Nel 2022 le piogge non furono abbondanti e subito si scatenarono i cosiddetti esperti di agricoltura dicendo che eravamo di fronte a una siccità spaventosa. Ma la verità è che non c'è neanche la pazienza di fermarsi un momento per riflettere. Subito dopo che un solone dei vertici delle organizzazioni agricole – che dicono di rappresentare gli agricoltori ma in realtà rappresentano solo se stesse, la loro vanità e la loro ignoranza – disse che due miliardi di euro per la difesa idraulica e geologica del territorio erano sprecati e andavano dati all'agricoltura, subito dopo è capitata l'alluvione dell'Emilia Romagna».

Risale a quel periodo l'elenco delle opere prioritarie contro la siccità, dove il Vanoi è al primo posto.

«Non hanno inserito solo il Vanoi: al secondo posto c'è un'idea di usare diversamente le acque del lago di Santa Croce. Non capita mai nella mente di questi personaggi di capire che il lago di Santa Croce dovrebbe essere utilizzato diversamente sì, ma per difendere dal punto di vista idraulico una zona industriale che dopo quella di Longarone è la più importante della provincia di Belluno e che va sott'acqua molto spesso. Fatto che si potrebbe evitare con una semplice soluzione, che non toglie niente agli utilizzatori d'acqua che la fanno da padrone, e che invece potrebbe garantire la sicurezza idraulica di questo territorio».

Va detto però che i problemi e gli interessi in gioco sono talmente tanti che non è facile districarsi.

«Sicuramente siamo in una situazione in cui c'è da riflettere, le soluzioni non si improvvisano: vanno proposte dopo che si è ponderato su tutti gli aspetti e questo è il vizio di partenza, perché quelli che parlano hanno in mente solo il loro interesse. Se poi per soddisfare quell'interesse altri ci rimettono non ha nessuna importanza».

L'altro giorno un altro consigliere regionale ha detto esattamente questo: qualcuno soffrirà ma verrà risarcito, come se tutto si possa ridurre a una questione di soldi.

«Ho sempre detto che chi fa politica avrebbe bisogno di essere rieducato. Potremmo organizzare dei corsi, quantomeno per farli acculturare sugli argomenti fondamentali. E visto che citiamo il consiglio regionale di martedì, se fossero in Cina, nota per essere la maggiore democrazia al Mondo, li manderebbero ai campi di rieducazione».

Ora c'è un nuovo elenco di opere prioritarie contro la siccità, ma non si è ben capito se il Vanoi è stato eliminato dai piani o se ci sono due elenchi che viaggiano parallelamente.

«Non lo so, ma torno al progetto del lago di Santa Croce che non dovrebbe più scaricare le piene attraverso il Rai ma con una galleria per portare l'acqua direttamente al Piave. Chi l'ha pensato non ha capito che servirebbe una galleria grande il doppio dell'autostrada del Brennero e anche con quella soluzione sarebbe necessario regolamentare l'utilizzazione dei volumi d'acqua del lago. Ma come li aumenti i volumi? La verità è che molti, troppi dovrebbero stare a casa e studiare. Non tutti, per carità, ma l'unica persona con la testa sulle spalle di quelli che governano la Regione Veneto è l'assessore Bottacin, che però mi pare sia sempre al centro di polemiche pazzesche».

Lei sembra molto scoraggiato.

«Il mondo va così, speriamo che qualcuno li fermi. Basterebbe un po' più di ragionevolezza e soprattutto, parlando di uso delle acque, dovrebbero smetterla di pensare che i montanari sono la servitù della gleba al servizio di chi abita nella pianura ricca e gonfia».

Corriere delle Alpi | 14 aprile 2024

p. 17

«Quella valle è problematica io direi no al nuovo serbatoio»

belluno

Vittorio Fenti è un geologo bellunese con lunghissima esperienza e tra i 2559 studi da lui realizzati, c'è anche una perizia sulla valle del Vanoi fatta per uno studio di fattibilità che risale ormai a una quarantina di anni fa. «La situazione della valle del Vanoi è abbastanza complessa», spiega Fenti, «perché è molto stretta e abbastanza franosa. Ci sono frane e rischi di altre frane in entrambi i versanti e sulla destra idrografica il versante è prima roccioso, poi detritico con la presenza di un alveo sepolto. Si tratta di una paleo valle dove il torrente passava prima di essere deviato dai detriti di una frana. In quel punto hanno fatto anche una galleria che io ho ispezionato». Insomma, secondo Fenti: «Fare una diga sul Vanoi sarebbe certamente impegnativo dal punto di vista tecnico, tanto per cominciare per realizzare l'impermeabilizzazione». Detto questo Fenti non esclude a priori la fattibilità dell'opera: «Il mio sentimento personale è negativo perché la zona è difficile dal punto di vista della stabilità dei versanti, ma capisco che ci sono anche delle logiche e delle necessità di acqua per la pianura, per gli agricoltori. Le scelte vanno fatte in funzione di compromessi guardando ai costi, alla pericolosità, al rischio e anche al bene che un'opera può portare. Non voglio dare un giudizio politico, però non ho molta simpatia per quell'impianto. Ecco, se mi chiedessero a freddo "lo facciamo sì o no" io direi di no, ma è un giudizio più che una valutazione tecnica». Tornando al paleo alveo, Fenti aggiunge: «Il vecchio alveo del torrente è stato completamente sepolto dalle glaciazioni e dalle alluvioni successive, quindi per fare una diga bisogna fare l'impermeabilizzazione di tutto il fianco in destra orografica ed è una cosa complicata, ma bisogna dire che oggi come oggi tutto si può fare, anche costruire l'Empire State Building in cima alla Gusela del Vescovà. Ma a quali costi e con quali rischi? Pensiamo al Vajont, ma io conosco bene anche la Val di Stava: lì ci hanno lavorato i migliori tecnici di

levatura nazionale, ma hanno fatto un bacino che non stava in piedi. Anche la valle del Vanoi non regge: si può fare un consolidamento, ma ne vale la pena? Occorre considerare attentamente costi e benefici e fare le cose in modo serio, con la coscienza pulita»

Il T | 14 aprile 2024

p. 30

«Il Veneto manca di rispetto»

CANAL SAN BOVO «Come mai, di fronte al no deciso della Provincia di Belluno e di quella di Trento, dei comuni di Sovramonte, Lamon, Fonzaso, e la crescente preoccupazione manifestata da Comitati e cittadini, la Regione Veneto avanza spedita sul progetto della diga per scopi idroelettrici lungo il torrente Vanoi?». Campobase di Primiero lancia l'allarme, di fronte alla risolutezza della regione Veneto a procedere in questa direzione, con un progetto per dare acqua alle coltivazioni della Pianura veneta che andrebbe a intaccare l'ecosistema in territorio trentino e solleva perplessità anche per la tenuta dei versanti nella valle del torrente Vanoi, ancora in territorio Trentino. Prosegue Campobase: «Non sarà, che qualche presidente, stia pensando di togliere queste spine nel fianco, rendendo l'opera di interesse nazionale, bypassando gli enti locali, arrogandosi il diritto di devastare impunemente un territorio fragile, ma con una biodiversità ricchissima, provocando un disastro ambientale in termini di microclima, incuranti della sicurezza del territorio e delle persone, pronti a dilapidare una quantità immensa di denaro pubblico, per la realizzazione di un'opera che non sarà mai ammortizzata?». Conclude la nota di Campobase: «Con un colpo di spugna si è spazzata via una lunga storia fatta di scambi, di relazioni, di finanziamenti sulle aree di confine, sulla condivisione di servizi col Bellunese: pensiamo solo alla convenzione per i servizi sanitari garantiti dall'Ospedale di Feltre, struttura indispensabile per il Primiero e appena sottoscritta. Una relazione fatta di rispetto reciproco e di spirito di collaborazione e solidarietà».

COLLEGAMENTO MONTE PANA - SALTRIA

Alto Adige | 12 aprile 2024

p. 30

Monte Pana - Saltria, sul piatto almeno quattro progetti

val gardena

Si parla da decenni di un progetto per il collegamento sciistico tra Monte Pana e Saltria, tra Val Gardena e Alpe di Siusi. Se ne parlerà ancora, con gli schieramenti arroccati sul sì e sul no e il dibattito animerà il lavoro della Commissione consultiva da poco costituita riunendo i rappresentanti dei tre Comuni gardenesi, Santa Cristina, Ortisei e Selva, di Castelrotto e Laion e membri di gruppi ambientalisti locali. Una ventina di persone, che già si sono confrontate e che si ritroveranno in maggio. È il gruppo di lavoro sovracomunale a sua volta a lungo auspicato e ora finalmente varato, il gruppo che in un'agenda di lavoro già fitta ha all'ordine del giorno due questioni fondamentali: valutare se il collegamento Saltria - Monte Pana è fattibile, sostenibile, opportuno e, nel caso, scegliere come realizzarlo sfogliando i progetti che in una quarantina di anni si sono sovrapposti con alterne valutazioni, i progetti del collegamento su binario, il "trenino" da inserire eventualmente con relativo tracciato nel piano di settore piste da sci e nel piano urbanistico, dell'impianto a cremagliera, della funicolare con i classici piloni e della cabinovia. Santa Cristina e Castelrotto, negli ultimi anni, hanno provato ad accelerare verso una definizione più nitida e sicura dell'intervento, nel resto della Gardena, invece, sono prevalse resistenze e perplessità legate all'impatto effettivo e visivo di una qualsiasi struttura. Il dibattito riparte da qui, con i Comuni divisi e con gli ambientalisti compatti nel nome della salvaguardia del territorio, chiamando in causa "i prati umidi, unici nel loro genere", e le fonti di acqua potabile al servizio del Comune di Ortisei sui Piani di Cunfin e l'integrità naturalistica della Valle Jender, due territori eventualmente toccati o sfiorati dal collegamento, due dei pochi territori, sottolineano gli ambientalisti, che nell'area sono ancora preservati dai segni della crescita urbanistica e dello sviluppo turistico. Su questo, sul "carico antropico già eccessivo" insistono i contrari al collegamento Monte Pana - Saltria, che ripropongono l'esigenza di una tutela "ufficiale", come parco o area protetta, per Alpe di Siusi e Sassolungo. Sull'altro fronte, la possibilità di collegare Castelrotto al circuito del Sellaronda, un collegamento funzionante tutto l'anno (attualmente gli skibus circolano in inverno su una strada non asfaltata), apre prospettive ulteriori alle stagioni dello sci. La Commissione nata per dar voce a tutti i "portatori d'interesse" locali e rispettare la promessa (anche questa di lunga data) di ascoltare la popolazione sulla strada di una decisione operativa ha un ruolo consultivo e potrà inserire il dibattuto collegamento nel Masterplan della vallata, azionando in quel caso un iter con una serie di passaggi ancora da scandire.Intanto, sul tavolo ci sono le quasi quarantamila sottoscrizioni raccolte lo scorso ottobre in un paio di settimane dal gruppo di iniziativa Nosc Cunfin insieme a Cai, Avs, Mountain Wilderness, Lia per Natura y Usanzes, Lia da Mont, Heimatpflegeverband, Dachverband, Climate Action, Associazione provinciale biologi, Lega italiana protezione uccelli, Wwf, Oldies for future, Lia uciei e Arbeitsgemeinschaft für Vogelkunde und

Vogelschutz. Con la petizione online Save the Dolomites hanno chiesto lo stop al collegamento fra Alpe di Siusi e Sellaronda e hanno detto no alla nuova cabinovia per forcella Sassolungo.

Alto Adige | 17 aprile 2024

p. 30

Sassolungo, già 70 mila firme «Monte Pana-Saltria fa paura»

massimiliano bonaVAL GARDENA/BOLZANO. Sono 14 le associazioni ambientaliste (Lia da Mont, Climate Action, Avs, Cai, Wwf, Lia per Natura y Usanzes, Dachverband, Mountain Wilderness, Lipu, Ass.biologi dell'Alto Adige, Heimatpflege, Oldies for Future, Awk eo, Lia Uciei) in campo per salvare il Sassolungo (ma non solo) da nuovi impianti e progetti. Sono 70 mila le firme raccolte con la petizione lanciata nel settembre scorso su change.org, una fetta rilevante delle quali da parte di turisti, desiderosi (lo si legge nei commenti) di preservare le Dolomiti nello stato attuale. «Il collegamento più temuto è di gran lunga quello tra Monte Pana, a Santa Cristina, e Saltria, sull'Alpe di Siusi», sottolinea Georg Simeoni dell'Avs. Sul tavolo ci sono 5 progetti, ma i Comuni interessati (Selva, Santa Cristina, Ortisei, Laion e Castelrotto) hanno idee diverse. Ortisei (per la sorgenti idriche di Plan de Cunfin) ma anche Selva sono fortemente contrari a inserire il collegamento nel Masterplan. «Facciamo parte della commissione che ne sta discutendo - ha sottolineato ieri Heidi Stuffer - e sebbene ci sia stato intimato il silenzio noi andiamo avanti nella nostra battaglia a tutela dell'ambiente. Vogliamo che a decidere sia la popolazione, con un referendum. È paradossale che il presidente della giunta provinciale Arno Kompatscher non ci abbia ancora ricevuto per la consegna delle 70 mila firme raccolte».Simeoni (Avs): «C'è chi non ne ha mai abbastanza: adesso bisogna frenare».Simeoni si sofferma, poi, proprio sul (temuto) collegamento Monte Pana-Saltria: «Siamo fortemente contrari al trenino o alla funivia che vogliono fare tra Monte Pana e Saltria, perché attraversa una zona ancora intatta, priva di turismo, di piste e impianti di risalita. Lì bisogna cercare assolutamente di frenare. Purtroppo c'è gente che non ne ha mai abbastanza. Dobbiamo cercare di convincere anche la politica a fare le cose in modo serio e tutelare l'ambiente per noi e per le generazioni future». Previsti da 7 a 22 piloni, alti da 8 a 25 metri.La petizione per il Sassolungo: «Fermiamo chi vuole cementificare e trarre profitto».Gli ambientalisti, nella petizione per il Sassolungo, se la prendono con chi specula e cerca di trarre vantaggio dallo sfruttamento di zone ancora intatte.«Il gruppo del Sassolungo è una meraviglia della natura - un atollo fossile unico nel suo genere - ed è uno straordinario bene collettivo che purtroppo sta seriamente rischiando di finire nelle mani di alcuni investitori privati con l'unico obiettivo di cementificare e trarre profitto. L'incubo sta diventando realtà: l'avvio dei lavori che sconvolgeranno quest'area è imminente e stiamo parlando dei Piani di Cunfin, ai piedi del Sassolungo, una zona che garantisce acqua potabile per 7 mila abitanti, con zone umide ad alta biodiversità e che rappresenta un habitat per flora e fauna sotto tutela. Ciò che lascia allibiti è la costruzione di un nuovo impianto di collegamento in questa natura unica e incontaminata, che impatterebbe negativamente su quest'area. Il progetto Val Gardena - Alpe di Siusi - Ronda attirerebbe ancora più turisti. Basti pensare che nel 2022 queste aree sciistiche, con 4 milioni di pernottamenti, rientravano già tra le mete turistiche più frequentate dell'Alto Adige. Dopo 3 anni di lotta da parte del gruppo Nosc Cunfin, è arrivato un piccolo segnale da parte del governo altoatesino. A settembre la Provincia ha deciso di sostenere un processo partecipativo per la tutela dell'area, il che non significa che il Sassolungo sarà davvero protetto. Pertanto, chiediamo un sì definitivo alla tutela del Sassolungo in un parco naturale - una decisione attesa da tempo - e un no deciso alla costruzione di nuove opere infrastrutturali in quest'area, unica nel suo genere insieme al paesaggio alpino circostante».©RIPRODUZIONE RISERVATA

COLLEGAMENTO CASTELROTTO - MARINZEN

Alto Adige | 20 aprile 2024

p. 17

Marinzen, bloccato il prolungamento della cabinovia fino all'Alpe di Siusi davide pasquali

BOLZANO. Il Tar ha accolto il ricorso di Dachverband e Avs contro il prolungamento della nuova cabinovia Castelrotto-Marinzen fino alla Bullaccia, sull'Alpe di Siusi. Rilevata l'assenza della valutazione ambientale strategica, considerata dai giudici amministrativi come necessaria in questi casi. Soddisfatte le due associazioni, ma la Marinzen Srl non si dà per vinta e annuncia di avere già presentato istanza di appello al Consiglio di Stato. In autunno partiranno i lavori del primo troncone, il cui impianto è stato progettato per proseguire verso la Bullaccia. Lavori finanziati per oltre 2,8 milioni dalla Provincia.Ragioni a confrontoUn collegamento funiviario dal fondovalle all'Alpe esiste già da Ortisei, un altro parte da Siusi. A Castelrotto si chiedono da molti anni come mai gli altri sì e loro no. Attorno all'attuale stazione a valle della seggiovia Marinzen ci sono tremila posti letto turistici. Se da qui partisse un impianto per l'Alpe, le auto rimarrebbero parcheggiate, con vantaggi evidenti per l'ambiente. Questa, da tempo, la linea difensiva degli impiantisti. Avs e Dachverband però osteggiano il progetto per altri motivi, sempre ambientali, e hanno così deciso di impugnare la delibera della giunta

provinciale del 2020, la quale aveva dato il via libera al prolungamento dell'impianto a monte di Marinzen. I protezionistiOra, dopo che il Tar ha dato loro ragione, le due associazioni replicano con sollievo: «Lo sviluppo della Bullaccia sul versante di Castelrotto per il momento è accantonato».Il Tar, spiega il presidente del Dachverband für Natur und Umwelt, Josef Oberhofer, «ha seguito la nostra argomentazione, secondo cui un progetto con conseguenze di tale portata per l'ambiente e il paesaggio richiede sempre una valutazione ambientale strategica». Il significato della sentenza, «va quindi oltre il progetto della Marinzen Srl».Anche il presidente dell'Avs Georg Simeoni si sente rinfrancato dalla sentenza del tribunale amministrativo: «Come Avs ci battiamo dal 1984 per impedire l'ulteriore sviluppo dell'Alpe di Siusi: è l'alpeggio più grande e più ricco di fiori d'Europa e la sua biodiversità deve essere preservata ad ogni costo». Un'eccezione è attualmente rappresentata proprio dalla parte settentrionale della Bullaccia, finora in gran parte risparmiata dal turismo intensivo: «Se venisse costruita una funivia da Castelrotto alla Bullaccia, quest'ultima parte dell'Alpe di Siusi, finora per lo più indisturbata, verrebbe sacrificata e con essa un'area di grande valore paesaggistico ed ecologico», afferma Hanspeter Staffler, direttore generale del Dachverband..La sentenza del tribunale amministrativo, «con il suo riferimento alla necessità di una valutazione ambientale strategica e, come logica conseguenza, di una valutazione di impatto ambientale, offre ora importanti punti di riferimento. Ora possiamo portare la questione da un livello politico a un livello fattuale, dove non solo gli argomenti economici ma anche e soprattutto quelli paesaggistici ed ecologici devono essere finalmente presi in considerazione», afferma Josef Oberhofer.«Non ci fermeremo»«Non sono un avvocato, ma trovo tutto ciò molto strano, che il Tar di Bolzano, forse per fare un piacere agli ambientalisti, si sia pronunciato così, in modo opposto alla sentenza del Consiglio di Stato della scorsa estate», commenta il presidente della Marinzen Srl, l'albergatore di Castelrotto Gottfried Schgaguler. «Non pensano a tutti i soldi che si dovranno spendere». Comunque sia, si è già presentata istanza di appello e, terminata l'estate, subito dopo la mega festa annuale dei Kastelruther Spatzen, si parte con i lavori per la nuova cabinovia, da Castelrotto a Marinzen, che andrà a sostituire la vecchia seggiovia due posti ad ammorsamento automatico. «Sarà a misura di passeggino e consentirà l'accesso pure ai disabili». Si partirà in autunno con la demolizione, per riaprire per maggio-giugno 2025, in modo da non perdere la stagione estiva. Per ora, come da programma, si realizzerà il primo troncone. Ma non ci si arrenderà facilmente: «Non solo la stazione a monte, a Marinzen, bensì l'intero impianto è stato impostato in modo da proseguire fino alla Bullaccia. Secondo i nostri studi, la cabinovia fino all'Alpe di Siusi consentirebbe di diminuire il traffico del 40%».

COLLEGAMENTO COMELICO – SESTO

Corriere delle Alpi | 20 aprile 2024

p. 28

Collegamento sciistico tra Padola e Pusteria: progetto da 50 milioni

COMELICO SUPERIORE

Chi si rivede? Il collegamento impiantistico tra Padola e l'Alta Valle Pusteria. È chiamato, in verità, "Progetto Stacco" (che sta per "Strategia Accessibilità del Sito Unesco e per uno sviluppo equilibrato del Comelico). Il sindaco Marco Staunovo Polacco lo presenterà, insieme a Dario Bond, coordinatore del Comitato per il fondo dei Comuni di confine, lunedì alle 14.30, in Provincia. Saranno presenti tutti i soggetti istituzionali coinvolti. La Soprintendenza di Venezia ha dato l'ok alla costruzione dell'impianto di collegamento ma ha voluto che il Comune lo contestualizzasse nella valorizzazione non solo turistica, bensì anche storica e quindi culturale dell'ambiente che, fra l'altro, ospita in quota anche il Patrimonio Unesco. L'investimento arriva a 48.999.000 euro e 30 di questi milioni sono pubblici, in particolare del fondo Comune di confine. La compartecipazione è suddivisa tra l'operatore privato che ci mette 15 milioni e la Regione che ne investe 4. "Stacco", a sentire il sindaco, integra «ambiente, cultura, storia, sviluppo con una visione verso il futuro, inserendo anche elementi di studio riferibili alle peculiarità del sito Unesco e alla neutralizzazione delle emissioni di carbonio». Il progetto consiste nella realizzazione degli impianti di risalita, piste da sci e opere collegate; nel restauro e nella messa in sicurezza delle opere del Vallo Alpino (5 e 7 dello sbarramento Alto Padola, 10 e 13 dello sbarramento Monte Croce), compresa la strada militare che collega Forcella Pian della Biscia all'Opera 10; nella realizzazione di un "balcone panoramico" Dolomiti Unesco al Colesei. E ancora: interventi di tutela attiva delle aree umide e la realizzazione di un infopoint mobile dedicato alla divulgazione del patrimonio Dolomiti Unesco. L'opera, nel suo complesso, dovrà essere conclusa entro il 31 dicembre 2026, salvo proroghe. Il sindaco Staunovo Polacco ha accelerato la presentazione del progetto anche perché ormai prossime sono le elezioni amministrative.

Gazzettino | 22 aprile 2024

p. 32, edizione Belluno

Collegamento con Sesto: firma in Provincia, poi avanti tutta

COMELICO SUPERIORE

Confini che uniscono. La lunga marcia del collegamento tra il Comelico e l'Alta Pusteria compie un passo importante con la presentazione, oggi alle 14.30 nella sede della Provincia di Belluno, del progetto Stacco, Strategia accessibilità del Sito Unesco e per

uno sviluppo equilibrato del Comelico. L'elaborazione del progetto vede protagonisti il Comitato per i Fondi dei Comuni di Confine e il Comune di Comelico Superiore e la linea seguita, dopo oltre due decenni di tentativi di costruire un collegamento sciistico tra Padola e Passo Monte Croce Comelico, è stata quella di arrivare ad una serie di interventi che valorizzino l'ambiente sia in inverno che nei mesi di estate e autunno. Perciò quella zona che è stata per secoli il confine tra la Repubblica di Venezia e l'impero austroungarico, con la delimitazione dei confini attraverso cippi datati 1753, e che da molti anni ha coinvolto le amministrazioni comunali di Comelico Superiore, Sesto Pusteria e l'austriaca Kartisch in diversi scambi turistici e culturali, avrà una più definita valorizzazione attraverso questo progetto Stacco, che prevede, oltre alla realizzazione degli impianti di risalita da Valgrande verso la zona Campo di Padola e verso Colesei sopra Passo Monte Croce, anche opere di restauro e messa in sicurezza del Vallo alpino dello sbarramento Alto Padola e di Passo Monte Croce, della linea di difesa della Guerra 1915-18, con sistemazione della strada ex militare che collega Forcella Pian della Biscia all'Opera n.10.

In accordo con la Soprintendenza di Venezia, che aveva sempre espresso parere negativo per l'impatto ambientale che avrebbe avuto la costruzione della stazione d'arrivo dell'impianto di risalita sulla sommità di Colesei, si è arrivati alla progettazione di un "balcone panoramico" proprio su questa altura, definendolo "luogo di fruizione visiva strategico, prevedendo anche uno studio mirato per la comunicazione e valorizzazione del Whs Dolomiti Unesco". La Giunta comunale di Comelico Superiore ha approvato definitivamente gli elaborati dello Studio Plintos associati di Alano di Piave.

GLI ATTI

Nella documentazione presentata, sono specificati gli interventi e le località dove questi verranno realizzati. L'incontro di oggi in Provincia di Belluno darà modo ai responsabili del Comitato per i Fondi dei Comuni di Confine e del Comune di Comelico Superiore di entrare nei dettagli del progetto Stacco, sottolinenado come esso sia indirizzato allo sviluppo turistico, culturale e socioeconomico di tutta la Val Comelico. Il collegamento di Comelico Superiore con Sesto Pusteria, è stato uno dei progetti ideati nei primi anni Duemila, quando, oltre al collegamento sciistico con gli impianti che da Padola- Valgrande avrebbero portato a Passo Monte Croce e poi al comprensorio del Monte Elmo, si era aperta la possibilità che il proprietario del Caravan Park di Sesto, avrebbe costruito un camping analogo in località Valgrande, sul terreno di proprietà della Regola di Dosoledo. E a poche centinaia di metri la struttura delle Terme avrebbe avuto una utenza di migliaia di clienti del nuovo camping.

LO STOP

Questo progetto integrato però fallì con la bocciatura da parte del Consiglio di Stato della realizzazione del camping e la successiva chiusura delle Terme di Valgrande. Decenni persi per lo sviluppo turistico di Comelico Superiore e dell'intera economia turistica del Comelico. Ora questa prospettiva di unire impianti sciistici e valorizzazione di siti storico-culturali sembra andare incontro ad una nuova sensibilità ambientale che promuova il Comelico come areea privilegiata del patrimonio dolomitico tutelato dall'Unesco. Resta sempre l'incognita di come risponderanno gli abitanti della vallata, sui quali ricadrà l'impegno di attuare il supporto organizzativo per lo sviluppo turistico e ambientale.

Lucio Eicher Clere

Corriere delle Alpi | 23 aprile 2024

p. 27

Collegamento con la Pusteria, ecco i soldi Firmato l'accordo con i Fondi di confine

Marcella Corrà comelico superiore

Con la firma della convenzione tra il Comune di Comelico Superiore e il Fondo dei Comuni di confine, avvenuto ieri nella sede della Provincia a Belluno, si è posta una pietra miliare alla costruzione dell'anello sciistico tra Padola e il confine con la Pusteria, collegato poi con il carosello altoatesino.

A porre la firma c'erano il sindaco Marco Staunovo Polacco e il presidente del Fcc Dario Bond. La convenzione firmata ieri fa seguito a quella siglata con la Regione Veneto, cioè con i due attori della partita che mettono i soldi pubblici, 4 milioni la Regione e 30 milioni i Fondi di confine.

A solennizzare l'evento, la presenza del senatore Luca De Carlo e dell'assessore regionale Gianpaolo Bottacin.

A cosa servono le due convenzioni? A mettere a disposizione del Comune i fondi stanziati. Ma non è ancora il momento di utilizzarli. Come ha spiegato il sindaco c'è una parte burocratica da perfezionare, serve cioè la Valutazione di impatto ambientale che spetta alla Regione: di solito si tratta di un passaggio di non poco conto, ma in questo caso gli ostacoli da superare erano altri, la Valutazione dell'incidenza ambientale regionale e la Valutazione paesaggistica.

Il progetto definitivo c'è e ha avuto il via libera della Sovrintendenza. «La Via regionale è la somma di tutte le autorizzazioni», ha spiegato il sindaco, «passando ad esempio per gli aspetti valanghivi che devono essere affrontati, o per la parte idraulica». Dalla valutazione di impatto ambientale si esce in pratica con il permesso di costruire. Si stima che ci vorranno dai sei agli otto mesi per completare l'iter.

IL COSTO DELL'OPERA

Sul piatto ci sono al momento quasi cinquanta milioni di euro: 30 dai Fondi di confine, 4 dalla Regione, 15 milioni dagli imprenditori privati.

Quest'ultima partecipazione però ha bisogno di una gara pubblica. C'è da sempre la disponibilità della società 3 Zinnen Dolomites e del suo presidente Franz Senfter a investire molti soldi per collegare i due comprensori sciistici, ma ci sono delle leggi da seguire che prevedono appunto una gara pubblica per cercare l'investitore privato.

Finita la parte burocratica e dopo aver spiegato all'Europa il ruolo dei soldi pubblici in una impresa commerciale (e qui la parte culturale, storica e ambientale ha sicuramente un peso), si passerà finalmente ai lavori. L'ipotesi più favorevole è quella di aprire gli impianti per la stagione invernale 2026/2027.

«Ci servono due stagioni per fare l'opera», ha assicurato il sindaco.

UNA STORIA LUNGA E COMPLICATA

Il progetto di collegamento sciistico con la Pusteria ha una storia lunga e travagliata. Dodici anni fa, nel 2012 i Fondi di confine (allora si chiamavano Fondi Brancher, poi diventati Fondi Odi) hanno cominciato a stanziare i primi milioni di euro, dieci, che non erano sufficienti. È stato Dario Bond a raccontare ieri come nella programmazione 2013 - 2018 fossero stati trovati altri 15 milioni, con un milione messo dal Comune di Comelico Superiore.

I soldi quindi c'erano, anche se i costi continuano a lievitare e vanno aggiornati anche adesso, ma mancavano le autorizzazioni, in particolare della Sovrintendenza. Tutti hanno ricordato una riunione al ministero «da cui siamo usciti morti», come ha detto Bottacin, con un no della Sovrintendenza che sembrava un ostacolo insormontabile.

Cosa è cambiato? Il sovrintendente prima di tutto, Fabrizio Magagni, «che ci ha dato gli input giusti, cioè la valorizzazione dell'ambiente e del patrimonio culturale e storico», ha spiegato Bond. «Lui è andato a scarpinare in Comelico, a conoscere il territorio, a vedere quali ricchezze l'ambiente poteva darci».

E poi ci sono stati i comeliani, che non si sono arresi di fronte al no romano, ma «hanno dimostrato concretamente», ha aggiunto Bottacin, «che i montanari sono perfettamente capaci di fare progetti di sviluppo del territorio. D'altra parte la tempesta Vaia ci ha insegnato molto: grazie ai soldi e alle deroghe abbiamo avviato 2500 cantieri e sfido chiunque a dire che è stato devastato il territorio». Un riconoscimento alla tenacia di chi vive in montagna è arrivato anche da De Carlo: «Siamo partiti da un no e siamo riusciti a farci dire sì, trasformando un vincolo in una opportunità: il supporto popolare è stato grandissimo». E a chi dice che si danneggia l'ambiente del gallo forcello «dico che è più importante salvare l'uomo che poi sarà in grado di tutelare anche il gallo forcello».

Corriere delle Alpi | 23 aprile 2024

p. 27

Soprintendenza convinta dal piano di valorizzazione

il punto

Cosa ha convinto la Sovrintendenza a dare il via libera al progetto del collegamento sciistico tra il Comelico e la Pusteria? Il fatto che non è più solo una questione di infrastrutture, stazioni di partenza e di arrivo degli impianti e piste di sci, ma che ha una valenza complessiva di tutela ambientale e di sviluppo turistico, storico e culturale di tutta l'area comelicense. Anche il nome è cambiato, ora si chiama Progetto Stacco, un acronimo che sta per Strategia per l'accessibilità del sito Unesco e per uno sviluppo equilibrato del Comelico.

Solo in questo modo si è passati dal no ad un sì.

GLI IMPIANTI

Non sono secondari poi i cambiamenti del progetto per quanto riguarda gli impianti, resi meno impattanti, e adeguando il tracciato delle piste all'andamento del terreno per limitare gli spostamenti di terra. «I tracciati sono in generale gli stessi del primo progetto», spiega il sindaco di Comelico Superiore, Marco Staunovo Polacco, «ma sono stati modificati dal punto di vista dell'impatto sull'ambiente».

La stazione di partenza verrà quasi completamente interrata, mentre la stazione a monte è stata spostata di alcune decine di metri più a valle rispetto alla cima del Col Colesei, abbassata ed integrata all'interno della forma del paesaggio. Sono due i tratti di funivia che condividono la stessa stazione a valle (nella radura di Campotrondo di Valgrande): la prima Popera che va a Cima Colesei e divisa in due tronconi, Popera 1 da Cima Colesei al Lago dell'Orso al confine con Bolzano e Popera 2 che dal Lago dell'Orso permette il rientro verso la stazione di valle; la seconda funivia Valgrande verso il Col d'la Tenda, con la costruzione della nuova pista Valgrande che consente il rientro alla stazione di valle.

I due impianti hanno una lunghezza simile, di 2.5 km. Sarà costruito anche un bacino idrico artificiale per l'innevamento vicino alla stazione di valle, su una superficie di 2 ettari.

GLI ALTRI INTERVENTI

Ecomuseo, balcone panoramico a Colesei, Vallo alpino, info point, aree umide: sono questi i settori su cui si concentra la parte culturale, ambientale e storica del progetto Stacco. Impianti di risalita che non servono solo per gli sciatori o per la stagione invernale ma per rendere accessibili a tutti i siti in quota, la sentieristica, un nuovo balcone panoramico Unesco. Il balcone panoramico troverà posto a Cima Colesei, liberata dalla stazione di arrivo dell'impianto di risalita, spostata più in basso. Il balcone sarà interrato, diventando una specie di "trincea culturale".

Ci sarà poi l'ecomuseo che intende sfruttare la presenza in Comelico di sette piccoli musei (altri due sono in vista), di spazi espositivi, di percorsi artistici all'aperto. All'interno di questa ricchezza culturale, c'è il progetto di valorizzare il Vallo alpino, l'antica linea di confine che ha mille anni di storia. Ci sono poi le aree umide, laghetti, torbiere, stagni, da recuperare e valorizzare.

TRENTO FILM FESTIVAL:

PREMIO SPECIALE DOLOMITI PATRIMONIO MONDIALE UNESCO

L’Adige | 28 aprile 2024

p. 1

I primi premi al FilmFestival montagna

A Contadini di confine

Al FilmFestival di Trento è già tempo dei primi premi: il film di Michele Trentini «Contadini di confine» ha vinto il Premio Dolomiti Patrimonio Mondiale, istituito da Fondazione Dolomiti Unesco e Sat.

p. 7

Premio Unesco a Contadini di Confine

Il film di Michele Trentini, Contadini di Confine/Grenzbauern ha vinto il Premio Dolomiti Patrimonio Mondiale, istituito dalla Fondazione Dolomiti Unesco e dalla Sat al miglior film che documenti la consapevolezza delle comunità rispetto agli eccezionali valori universali riconosciuti da Unesco e la capacità di una conservazione attiva del territorio,Secondo la giuria indipendente, composta da Maria Carla Failo, Mauro Pascolini e Massimiliano Corradini, «Il filmato ripropone il tema della "resistenza" sulle terre alte, in questo caso basata su un allevamento portato avanti con sistemi tradizionali e una meccanizzazione ancora "a misura d'uomo", che, grazie anche alla ricchezza del pascolo di montagna, consentono la produzione di un formaggio di pregio come il Trentingrana. Apprezzabile la scelta delle interviste fatte quasi sempre alla coppia. Da sottolineare infine il tema del confine che esiste politicamente, ma non nel sentire delle persone».Una menzione speciale è stata attribuita a Bergfahrt di Dominique Margot (Svizzera/2023/97'). Il Premio Solidarietà Banca per il Trentino - Alto Adige, istituito dalla Banca per il Trentino - Alto Adige all'opera che meglio sappia interpretare le situazioni di povertà, ingiustizia, emarginazione ed isolamento sociale che, nella solidarietà e nell'aiuto reciproco, possano trovare il loro riscatto, va invece a The Ice Builders di Francesco Clerici e Tommaso Barbaro (Italia/2024 /15'): «L'impegno degli abitanti del territorio dello Zanskar, assoggettati ai ghiacciai che forniscono loro acqua per coltivazioni ed allevamento, affrontano il cambiamento climatico e le esternalità negative della ricorrente siccità unendo le forze per costruire, con ingegno e paziente solidarietà, piccoli ghiacciai artificiali ad alimentare le falde acquifere, manifestando concretamente che cose ed esistenze sono interdipendenti e collegate», hanno scritto i giurati Ermanno Villotti, Michele Goller e Franco Dapor. Lo stesso film si aggiudica anche il Premio Green Film, istituito dall'Agenzia provinciale per la protezione dell'ambiente e dalla Trentino Film Commission per il film che esprima in maniera più efficace i valori e le pratiche della protezione e della sostenibilità ambientale, con particolare attenzione all'ambiente montano e ai cambiamenti climatici.«Raccontato in modo efficace e coinvolgente, sensibilizza su una particolare strategia di adattamento climatico dal basso, basata sulla conoscenza locale di una comunità montana che ha pienamente compreso la necessità di cambiare paradigma per aver vissuto le conseguenze della crisi climatica sulla propria pelle», si legge nella motivazione della giuria, composta da Marco Niro, Lavinia Laiti e Linnea Marzagora.La giuria del Premio Green Film ha assegnato anche una menzione speciale a Bergfahrt di Dominique Margot. Nella stessa occasione e stato consegnato anche il Premio Antropocene Muse, assegnato all'opera che meglio racconta il rapporto tra l'umanità e il resto del mondo naturale nell'epoca 1 dell'Antropocene. La giuria indipendente - composta da Stefano Zecchi, Massimo Bernardi, Davide Dalpiaz, Luca Scoz, Alice Labor e Fabio Pupin - ha assegnato il premio a Death of a mountain di Nuno Escudeiro (Portogallo, Francia/2023/37'): «Mescolando filmati d'epoca e di attualità si crea una narrazione tra realtà e metafora che mostra il disincanto verso la montagna da parte della protagonista.Da idilliaco luogo dei ricordi d'infanzia, la montagna diventa terra di confine e di conflitto, dove i problemi apparentemente lontani della globalità diventano drammaticamente vicini e tangibili, coinvolgendo inevitabilmente gli abitanti di questi luoghi».

Il T | 28 aprile 2024

p.39

A Michele Trentini il premio Dolomiti patrimonio mondiale

Sono stati assegnati ieri i primi riconoscimenti speciali del Trento Film Festival. Il Premio Dolomiti Patrimonio Mondiale della Fondazione Dolomiti Unesco e della Sat al miglior film che documenti la consapevolezza delle comunità rispetto ai valori universali riconosciuti da Unesco è stato attribuito a «Contadini di Confine / Grenzbauern» di Michele Trentini (Italia, 2024). Il Premio Solidarietà Banca per il Trentino-Alto Adige all'opera che meglio sappia interpretare le situazioni di povertà, ingiustizia, emarginazione e isolamento sociale che, nella solidarietà e nell'aiuto reciproco, possano trovare il loro riscatto, è andato a «The Ice Builders» di Francesco Clerici e Tommaso Barbaro (Italia, 2024). Lo stesso film si è aggiudicato anche il Premio Green Film, istituito dall'Appa e

dalla Trentino Film Commission. La giuria del Premio Green Film ha assegnato inoltre una menzione speciale a «Bergfahrt» di Dominique Margot. Si è aggiudicato il Premio Antropocene Muse, dedicato all'opera che meglio racconta il rapporto tra l'umanità e il resto del mondo naturale, «Death of a mountain» di Nuno Escudeiro (Portogallo, Francia, 2023).

NOTIZIE DAI RIFUGI

Corriere delle Alpi | 2 aprile 2024

p. 28

Controllo automatico dell'Artva: il rifugio Città di

Gianluca De Rosa / BORCA

Fiume fa scuola

Il rifugio Città di Fiume si attrezza con il primo checkpoint del territorio dolomitico bellunese dove poter controllare il regolare funzionamento di un Artva, l'apparecchio per la ricerca dei travolti in valanga fondamentale per la sicurezza di chi frequenta la montagna d'inverno.

L'iniziativa è stata messa in piedi in collaborazione con l'azienda bavarese leader del settore, la Ortovox. Una collaborazione tramutatasi in concreto, nei giorni scorsi, con l'installazione del primo Ortovox checkpoint della montagna bellunese. Si tratta di un impianto permanente, progettato specificatamente per il controllo dei dispositivi di sicurezza Artva, a servizio degli escursionisti e scialpinisti che scelgono l'area del Pelmo per un'uscita invernale. Artva, pala e sonda sono gli strumenti fondamentali per la sicurezza in montagna, ancor di più quando il rischio valanghe si presenta elevato.

L'area tra il Pelmo e la Croda da Lago, dunque, d'ora in avanti sarà più sicura grazie alla dotazione del rifugio Città di Fiume. «La nostra è un'area che, anche d'inverno, offre un vasto terreno per esplorare e praticare svariate attività all'aria aperta», sottolinea lo storico gestore Mario Fiorentini, presidente di Agrav, l'associazione che accoglie sotto la propria bandiera i gestori di rifugi alpini di tutto il Veneto, «le presenze durante l'inverno sono cresciute notevolmente a conferma che il turismo della neve non è fatto solo di piste da sci ed impianti di risalita. In quest'ottica si colloca l'iniziativa di installare l'Ortovox checkpoint».

Grazie all'iniziativa, gli escursionisti, ma anche scialpinisti ed amanti del freeride, possono godere con maggiore sicurezza di un'ampia rete di percorsi, praticando ciaspolate e passeggiate ma anche semplicemente ammirare il paesaggio all'ombra del Pelmo L'utilizzo del punto di controllo dell'apparecchio Artva è semplice. L'Ortovox checkpoint, al semplice passaggio, verifica il regolare funzionamento dell'Artva. Controlla se lo strumento è acceso e ne verifica contestualmente i parametri di trasmissione. Un segnale visivo ed acustico conferma in modo rapido e molto semplice la regolare funzionalità dei dispositivi. Il dispositivo installato nell'area esterna del rifugio Città di Fiume, proprio nelle vicinanze di uno dei pannelli turistici recanti tutte le informazioni necessarie sui sentieri della zona, è in grado di riconoscere tutti i dispositivi Artva più diffusi.

«Ortovox, azienda pioniera nel settore della sicurezza in caso di valanghe, conferma il suo impegno nel garantire la sicurezza degli sportivi appassionati di montagna e contribuisce così a migliorare gli standard di sicurezza nell'ambito delle attività di montagna», sottolinea l'azienda tedesca a margine dell'installazione dello strumento tecnologico ai piedi del Pelmo. «Abbiamo pensato», rimarca Mario Fiorentini, di mettere in pista un progetto che porti a sensibilizzare l'attenzione al discorso "prudenza e fruizione consapevole" della montagna».

«Questo è solo il primo tassello», sottolinea, «di un progetto più ampio che prenderà forma con l'autunno in vista della prossima stagione invernale. Tutto sempre a supporto del costante aumento di fruitori della montagna "lenta" (come si usa dire) di questi ultimi anni e per sensibilizzare le istituzioni ad un approccio più attento a questo tipo di turismo».

L’Adige | 3 aprile 2024 p. 32

All'Alimonta nuova vasca di accumulo

GIULIANO BELTRAMITRE VILLE

Realizzare in deroga alle norme d'attuazione del Piano del Parco Adamello-Brenta. Se c'è una frase che infastidisce, anzi, di più, indispettisce proprio i rappresentanti degli ambientalisti in seno al Comitato di gestione del Parco Adamello Brenta, ecco, è questa. Detestano le deroghe, perché se ci sono le regole... «andrebbero rispettate e basta». Invece ogni tanto arrivano.L'ultima in ordine di tempo è quella del rifugio Alimonta, in località Busa degli Sfulmini (poco più di un'ora di cammino sopra il Brentèi, sul Brenta), Comune catastale Ragoli seconda parte, Comune amministrativo di Tre Ville, per la realizzazione di «una nuova vasca di accumulo per l'acqua, l'apertura di un timpano sul tetto e un nuovo impianto fotovoltaico».La richiesta di rilascio di nulla osta è del 7 febbraio e prevede la realizzazione di una nuova vasca per l'accumulo idrico nella valletta retrostante il rifugio, che sarà poi interrata con il materiale di scavo; di un deposito interrato per i reflui nel momento di presenza di neve ed al servizio del rifugio nel restante periodo; di un abbaino

sulla falda sud con posa dell'impianto fotovoltaico per apportare luce ed aerazione alle nuove camere da letto con la riduzione dei posti letto da 94 a 90; del rifacimento dei bagni al secondo piano con nuovi lavabi e rettifica delle pareti del rifugio.I lavori, stando al testo della delibera della Giunta provinciale, «sono in contrasto con le norme di attuazione del Piano del Parco», perché il rifugio è «in area classificata in base alla cartografia del Piano del Parco a 'Zona A: Riserve integrali'... Sussiste un contrasto con quanto prescritto dalla norma, visto l'intervento in esame, dato che l'edificio ha già usufruito dell'aumento volumetrico ammesso. L'articolo 44 delle norme d'attuazione del Piano del Parco prevede, peraltro, che si può eccezionalmente derogare alle indicazioni del Pdp solo per interventi relativi ad opere pubbliche o d'interesse pubblico nei casi e con le modalità di legge».Domanda inevitabile: è di interesse pubblico la richiesta di ulteriori strutture? Ecco le risposte della Giunta provinciale: «L'intervento proposto apporta un miglioramento alla struttura, consentendo di aumentare il deposito di acqua al fine di avere un'autonomia pari a 40 giorni di uso, sfruttando lo scioglimento estivo della neve; la riduzione dei posti letto consentirà di fornire un servizio migliore con particolare attenzione al paesaggio godibile dalle camere, migliorando gli spazi a disposizione del cliente; la tipologia dell'intervento per cui si richiede il rilascio del nulla osta in deroga rientra fra gli interventi individuati dalla Giunta provinciale quali opere di interesse pubblico». E ancora: «L'economia locale si basa essenzialmente sul turismo e la riqualificazione dei rifugi contribuisce a riqualificare l'offerta turistica della Val Rendena; il rilascio del permesso di costruire in deroga è espressione, per l'Ente parco, dell'esercizio di un potere altamente discrezionale, seppur eccezionale, che consente di realizzare opere ed interventi edilizi in contrasto con le previsioni del piano del parco e delle norme di attuazione relative alla destinazione di Zona, agli indici edilizi o alla tipologia edilizia».Ergo, stabilito che l'opera è di interesse pubblico, via libera. Tutti d'accordo?

Corriere delle Alpi | 9 aprile 2024

p. 17

Rifugi, c'è chi tiene aperto nei weekend «La voglia di montagna è ancora tanta»

Francesco Dal Mas / BELLUNO Davvero tutto chiuso in alta quota? Macchè, ci sono rifugi ancora aperti, quanto meno nel fine settimana, prima di riprendere l'attività a pieno regime dall'inizio di giugno.

Michaela Del Favero conduce da sette anni il Rifugio Talamini, a 1600 metri, presso la Forcella del Col Botei, 7 chilometri e mezzo da Vodo di Cadore, poco più di 3 da Zoppè di Cadore. «In questi anni non ho mai chiuso, risiedendo in rifugio. Ora, ma in via temporanea, devo staccare, ma ci sono nei fine settimana. Quassù», ci racconta, «abbiamo ancora mezzo metro di neve. Mi sono comprata il gatto delle nevi, per cui io stessa provvedo a battere la strada per poter salire comodamente a piedi, con i ramponi o le pelli di foca». Michaela è soddisfatta perché la domanda corrisponde all'offerta. «Devo ammettere che c'è tanta voglia di montagna. E devo io stessa invitare alla prudenza: in questi giorni di alte temperature, ad esempio, bisogna stare attenti allo scioglimento dell'ultima neve e ai sassi che vi si possono trovare».

Dall'altra parte della montagna c'è il monte Rite, sopra Cibiana. Lassù continua a risiedere, come in un nido d'aquila, Giorgio Scola. Siamo a 2180 metri. La coltre bianca, che ha raggiunto il metro e mezzo, sta scendendo di quota. Anche Giorgio apre il rifugio dal venerdì alla domenica, ma quando resta così in alto, lungo la settimana, non lesina a offrire una pastasciutta o un caffè se sale qualche appassionato. Scola si è munito di un battistrada e provvede lui stesso a battere la pista forestale che scende a passo Cibiana, per oltre 7 chilometri.

Il Rifugio Aquileia non si è mai concesso lunghe chiusure. Il gestore Omar Canzan, teneva aperto quasi tutto l'anno quando conduceva il Chiggiato, sopra Calalzo. L'Aquileia è situato nel comune di Selva di Cadore, in val Fiorentina, a quota 1.583 metri. Si trova alla base del Mont del Fen, in prossimità del Passo Staulanza. «Siamo rimasti aperti per buona parte dell'inverno, adesso ci concediamo una pausa di riposo; si fa per dire, perché in verità le richieste di ospitalità sono tali che siamo attivamente presenti nei fine settimana. E da metà maggio, quindi in anticipo sulla tradizionale stagione attiva, ritorneremo ad orario pieno, sette giorni su sette». L'Aquileia si trova lungo l'Alta Via nr1. È frequentatissimo anche dagli stranieri: «Le prenotazioni per la tarda primavera e l'estate sono ottime. Perfino da Israele. Temevamo un crollo a seguito della guerra. In verità le presenze si sono dimezzate, ma ne abbiamo ancora parecchie» ammette Canzan. «Il fascino delle Dolomiti è irresistibile», conclude. Il percorso a piedi è breve per salire al rifugio Città di Fiume, in faccia al Pelmo. Il gestore Mario Fiorentini ha smesso il lunedì di Pasquetta. Ma è ancora presente in rifugio per seguire dei lavori in preparazione dell'estate. «Siamo chiusi, ma sabato e domenica scorsa la valle è stata comunque invasa dagli escursionisti, che si sono sdraiati a prendere il sole sui fazzoletti d'erba lasciati dalla neve». Fiorentini si augura di finire presto i lavori per riprendere a ma ggio.

Dall'altra parte del Pelmo e del Civetta, sopra il passo Duran, ha da poco sospeso l'attività invernale il rifugio Carestiato. Diego Favero ne è il gestore da 15 anni. «Usciamo da una stagione positiva. Abbiamo bisogno di un po' di riposo. Riprenderemo a metà maggio, quindi con un mese di anticipo. E questo perché le prenotazioni in Alta Via (siamo sulla nr.1) sono davvero confortanti». Un passo indietro e saliamo ai 2413 metri del rifugio Averau. È chiuso solo da poche ore. E rifugisti hanno lasciato un messaggio. «È stata una stagione invernale indimenticabile». Rimane aperto, invece, il rifugio Col Gallina. «Però solo di domenica» precisa Remigio Campigotto, il conduttore, «a servizio degli sciatori che si allenano sulla pista del colle». Con una festa ha terminato la stagione, lo Scoiattoli, alle 5 Torri. Così pure il Laresei, sopra Falcade, con un evento musicale che ha richiamato mezzo migliaio di giovani. «Avremmo desiderato protrarre l'attività, ma abbiamo lavori da fare», confida il gestore Max Manfroi, «come ce li hanno anche gli impianti di risalita».

In Cadore continuerà la presenza, nei fine settimana, il rifugio Chiggiato, mentre il dirimpettaio Antelao ha dovuto sospendere l'ospitalità per alcuni lavori interni. Livio Zanardo, l'entusiasta gestore, assicura però che «quando sarò presente, appunto per lavoro, non mancherò di offrire un caffè e al limite anche una pastasciutta, se sarò nelle condizioni di farlo». Anche l'Antelao riaprirà comunque a maggio. E il Rifugio Padova, sopra Domegge, dà appuntamento agli amici che vorranno essere suoi ospiti già dal 25 aprile.

Corriere delle Alpi | 11 aprile 2024

p. 27, segue dalla prima

Debutto martedì 30 aprile in anteprima assoluta in concorso alla 72ª edizione del Trento Film Festival per "Marmolada. Madre roccia", suggestivo documentario Sky Original, realizzato da Coldfocus di Matteo Maggi e Cristiana Pecci, in esclusiva nell'autunno 2024 su Sky Nature e in streaming solo su Now, Sulle maestose vette delle Dolomiti, più precisamente sulla parete sud della Marmolada, la leggendaria Regina delle Dolomiti, inizia uno straordinario viaggio alpinistico. Con spettacolari riprese all'avanguardia tecnologica, tre audaci scalatori, coadiuvati da una giovane aspirante alpinista, si preparano a intraprendere un'impresa epica: aprire una nuova via sulla parete sud. La via Madre roccia. Alla guida della cordata c'è Matteo Della Bordella, alpinista professionista noto per il suo spirito d'avventura e la sua passione per l'esplorazione. Con il suo coraggio e la sua determinazione, Della Bordella è un vero pioniere in cerca di nuovi traguardi. Nel documentario sulla apertura della nuova via Madre roccia nell'autunno scorso trova spazio anche il racconto della famiglia Del Bon che gestisce da oltre 60 anni il rifugio Falier di Rocca Pietore, struttura alpina situata a 2.074 metri di altitudine nella splendida valle di Ombretta, ai piedi della famosa Parete d'argento nella parte sud della Marmolada. Il rifugio è di proprietà del Cai di Venezia e, oltre a essere una meta popolare per piacevoli e tranquille escursioni, è anche una base di partenza per alpinisti esperti che desiderano affrontare una delle oltre 200 vie presenti sulla parete sud. Parete che, nel corso degli anni, ha attirato i migliori arrampicatori del mondo.

In questo luogo speciale, Franca e Dante Dal Bon ricevono generazioni di escursionisti e scalatori dispensando consigli. Memoria storica e testimonianza diretta di chi la montagna la vive ogni anno. "Marmolada. Madre roccia" racconta dunque anche la loro esperienza.

La produzione di Sky Original in concorso al Trento Film Festival torna dunque ad accendere i riflettori sulla Marmolada, a due anni dalla tragedia del 3 luglio 2022, quando un grosso seracco si è staccato dal versante nord causando la morte di 11 persone. Un incidente che ha suscitato un ulteriore dibattito sulle conseguenze del cambiamento climatico e sulla sicurezza degli scalatori in montagna.

I ghiacciai sono da tempo monitorati da esperti come Alessandro Fellin, ingegnere ambientale che collabora, da anni, con la commissione glaciologica della sezione trentina del Cai.

Attraverso l'obiettivo della telecamera, con "Marmolada. Madre roccia" saranno testimoniate le sfide e i pericoli che gli alpinisti affrontano mentre cercano di superare i loro limiti.

Corriere delle Alpi | 13 aprile 2024

p. 30

Rifugio Berti in mano al capo della stazione del soccorso alpino

Gianluca De Rosa / COMELICO SUPERIORE

Il capo della stazione del soccorso alpino di Auronzo sarà il nuovo gestore del rifugio Berti. Franco Zandegiacomo Mistrotione eredita la struttura ricettiva situata all'ombra del Popera, fino all'estate scorsa "casa" di Bruno Martini. Dopo 47 anni di gestione comeliana, il Cai di Padova (proprietario del rifugio) ha assegnato la struttura all'auronzano Zandegiacomo Mistrotione che vanta già una lunga esperienza come rifugista. Per sette anni, agli inizi degli anni Duemila, ha infatti gestito il rifugio Carducci. La firma sul contratto non è ancora stata apposta. Avverrà nei prossimi giorni, a suggellare l'effettivo passaggio di consegne. Già stabilita nel frattempo la data di apertura: sarà il 15 giugno.

« Abbiamo colto un'opportunità», sottolinea Franco Zandegiacomo Mistrotione, «insieme alla mia famiglia, ci siamo confrontati sulla possibilità di intraprendere questa strada. Abbiamo deciso di tornare un po' alle origini. Siamo molto felici di questo. Abbiamo gestito il rifugio Carducci per sette anni ma ormai di tempo ne è passato. Oggi il turismo di montagna è cambiato molto. Diciamo che anche le tipologie di strutture sono diverse. Il Carducci è un rifugio alpinistico a tutti gli effetti, il Berti per la sua collocazione geografica vanta una fruizione molto più ampia e variegata. Di sicuro l'approccio turistico alla montagna negli ultimi anni è stato rivoluzionato ma ci sentiamo pronti ad intraprendere questo nuovo percorso».

Come detto, la famiglia auronzana Zandegiacomo erediterà il rifugio da un'autentica istituzione della montagna comeliana: Bruno Martini ha salutato al termine della stagione estiva scorsa il rifugio Berti dopo ben 47 anni. Una vita da rifugista di nome e di fatto. In Comelico in questi giorni ci si interroga sul perché nessun residente abbia partecipato al bando avanzato dalla sezione Cai di Padova proprietaria del sito (insieme ad un altrettanto storico rifugio, il Locatelli situato alle Tre Cime di Lavaredo. Curiosità: anch'esso passato nelle mani di un auronzano). Stando a quanto trapela, le domande pervenute al Cai di Padova per l'affidamento della gestione del rifugio Berti sono state soltanto due. Una delle quali firmata da Franco Zandegiacomo Mistrotione, che continuerà anche a rivestire il ruolo di capo della stazione Cnsas di Auronzo. I dettagli dell'offerta che proporrà la nuova gestione del rifugio Berti sono stati rinviati al momento della firma. Nel frattempo, da parte di Zandegiacomo, è arrivato un messaggio di saluto al suo predecessore Bruno Martini. «L'auspicio è poter fare bene in modo da non far rimpiangere ai fruitori del Berti la gestione di Bruno, che tra le mura del rifugio ha lasciato un segno tangibile del suo amore profondo per le nostre montagne».

Corriere delle Alpi | 13 aprile 2024

p. 30

Rifugio Lavaredo, slitta l'apertura delle buste Cinque le candidature

AURONZO

È stata rinviata a mercoledì 17 aprile l'apertura delle buste per l'assegnazione della nuova gestione del rifugio Lavaredo. La struttura, di proprietà del Comune di Auronzo, resta nel limbo. Tutta "colpa" di un inghippo di natura burocratica, da rimandare alla mancata presentazione di un documento da parte di uno dei cinque candidati alla gestione della struttura.

« I tempi tecnici ci permettono di poter fare integrare all'interessato la documentazione necessaria per aderire al bando, e questo ha indotto allo slittamento dell'apertura delle buste», ha reso noto il vicesindaco Daniela Larese Filon, «la nuova apertura delle buste è stata fissata pwertanto a mercoledì». Nel frattempo, poco è dato sapere circa gli interessati alla gestione di uno dei rifugi di riferimento dell'area, quotidianamente presa d'assalto durante la stagione estiva da migliaia di persone. Di sicuro le domande pervenute al Comune di Auronzo sono cinque. Da quel che emerge è che tre dei cinque interessati sono cadorini.

Numeri comunque al ribasso rispetto a quello che era ipotizzabile solo a gennaio, quando il Comune di Auronzo si è mosso tempestivamente per garantire la regolare apertura estiva di uno dei rifugi più importanti e strategici del proprio territorio. Il bando è arrivato dopo l'apertura in modalità "straordinaria" garantita dal gestore uscente, l'auronzano Daniele Vecellio Taiarezze, la scorsa estate. Al termine della quale lo stesso Vecellio Taiarezze ha deciso di salutare le Tre Cime di Lavaredo e riconsegnare le chiavi del rifugio al Comune di Auronzo. La prossima settimana se ne saprà di più. L'obiettivo è, una volta sbrogliata la matassa burocratica, quello di riuscire ad aprire il rifugio in tempo per l'inaugurazione della stagione estiva, fissata alla metà di giugno.

Alto Adige | 26 aprile 2024

p. 17

L'Hgv: rifugi alpini dalla Provincia troppa burocrazia

bolzano. Gli albergatori Hgv criticano la decisione della giunta provinciale in tema di rifugi alpini. Nella sua riunione di martedì scorso, 23 aprile, l'esecutivo altoatesino ha deciso di rivedere la normativa relativa ai progetti di ampliamento dei rifugi alpini. Per gli ampliamenti che comportano un aumento della volumetria superiore al 30 per cento, sarà necessaria in futuro una dichiarazione di nulla osta da parte della giunta provinciale.L'Unione albergatori e pubblici esercenti (Hgv) critica la decisione della giunta: «Tale scelta comporterebbe un ulteriore onere burocratico per i rifugi alpini. Già oggi, i progetti di costruzione dei rifugi alpini sono sottoposti a diverse valutazioni. Con la dichiarazione di nulla osta prevista, sarebbe ora necessaria anche i pareri della Consulta per le attività alpinistiche e della Commissione per la tutela del paesaggio». «In un periodo in cui si parla costantemente di semplificazione burocratica, una tale decisione è incomprensibile. Soprattutto considerando che nel 2015 si era riusciti ad eliminare queste valutazioni aggiuntive a favore della semplificazione», evidenzia il presidente dell'Hgv, Manfred Pinzger. «La decisione della giunta provinciale non solo comporta un aumento della burocrazia, ma anche tempi di attesa più lunghi e incertezze nella pianificazione», ancora Pinzger. Inoltre, l'argomento secondo cui si eviterebbero rifugi sovradimensionati non è valido, secondo l'associazione che raggruppa gli albergatori ed i pubblici esercenti . Le nuove norme penalizzano soprattutto i rifugi più piccoli. «In proporzione, un ampliamento del 30 per cento è raggiunto più rapidamente nelle aziende a struttura più piccola rispetto a quelle con una volumetria già maggiore», sottolinea il direttore dell'Hgv, Raffael Mooswalder.

Corriere delle Alpi | 27 aprile 2024

p. 29

Rifugio Lavaredo: la gestione affidata a Corte Pause e Quinz

Gianluca De Rosa / AURONZO Il rifugio Lavaredo ha un nuovo gestore. Anzi due. Entrambi auronzani, conosciuti e particolarmente avvezzi alla vita ad alta quota. Il Comune ha assegnato la gestione della struttura ricettiva ai piedi delle Tre Cime, proprio lungo il sentiero che dal rifugio Auronzo conduce a forcella Lavaredo, a Simone Corte Pause, conosciuto in paese col soprannome di "Scossa" , ed a Lorenzo Quinz. Il primo apprezzata guida alpina, il secondo proprietario del ristorante ed affittacamere Locanda Quinz situata sulle rive del lago di Misurina, molto frequentato sia d'inverno e sia d'estate da turisti provenienti da ogni angolo del mondo. Non solo. Perché Locanda Quinz è considerata, storicamente, la seconda casa di Mauro Corona sin dai tempi in cui lo scrittore ed alpinista di Erto scoprì le bellezze di Misurina grazie all'amicizia che lo legava a Valerio Quinz a cui ha dedicato anche uno dei suoi libri, "I misteri della montagna" , scritto nel 2015. La candidatura per la gestione del rifugio Lavaredo avanzata dalla coppia Simone Corte Pause-Lorenzo Quinz ha rispettato tutti i requisiti richiesti dal Comune di Auronzo. Sbaragliata dunque la pur agguerrita concorrenza, anche se a conti fatti rivelatasi lacunosa dal punto di vista burocratico al punto che tutte le altre candidature (5) avanzate sono state rispedite al mittente perché mancanti di alcuni dei requisiti richiesti. Assegnata la gestione, ora inizierà per Corte Pause e Quinz la corsa contro il tempo per garantire l'apertura del rifugio Lavaredo in linea con l'inizio della stagione turistica estiva delle Tre Cime prevista per il 20 giugno. I nuovi gestori, una volta completate le ultime procedure richieste sul fronte burocratico, avranno circa un mese e mezzo di tempo a disposizione per riuscire ad aprire le porte del rifugio in concomitanza con il ritorno in massa dei turisti alle Tre Cime. Il contratto di gestione firmato da Simone Corte Pause e Lorenzo Quinz è di sei anni, con possibilità di rinnovo per altri sei anni. Si chiude così una lunga e complessa vicenda, più burocratica che turistico ricettiva, che ha visto il Comune di Auronzo assumere la proprietà del prestigioso rifugio con l'obiettivo di garantirne continuità d'esercizio, anche alla luce dell'addio avvenuto al termine dell'estate scorsa dello storico gestore, anch'esso auronzano, Daniele Vecellio Taiarezze.

Alto Adige | 30 aprile 2024

p. 7

I dati della ricerca efettuata da Tsm-Accademia della Montagna

MONICA MALFATTIIl 70% dei rifugisti trentini gestisce il proprio rifugio da almeno 10 anni e, di questi, il 50% porta avanti un'attività definita "famigliare", ovvero praticamente dalla nascita. L'età media è di 40 anni, mentre quella più rappresentata oscilla fra i 50 e i 59 anni, nonostante la recente presenza di nuovi giovanissimi gestori. Sono soltanto alcuni dei dati contenuti nella ricerca promossa dal Servizio turismo e sport della provincia autonoma di Trento, in collaborazione con TSM|ADM Accademia della Montagna e l'Associazione gestori dei rifugi del Trentino, che verrà presentata stamattina nella cornice del Trento Film Festival.«La ricerca esplora l'evoluzione della figura professionale del rifugista. - afferma Gianluca Cepollaro di TSM|ADM Accademia della Montagna - Una figura chiamata a gestire un compito complesso, che impegna a tempo pieno e richiede una professionalità evoluta, spesso costruita in molti anni di esperienza. I rifugisti trentini manifestano un significativo senso di appartenenza alla professione e al territorio, la disponibilità ad affrontare i cambiamenti in atto mettendosi in gioco in prima persona e collaborando con gli altri attori del sistema. Un punto di riferimento fondamentale anche per i nuovi frequentatori della montagna».In questo senso, a contare, non sono dunque soltanto i numeri: se da un lato il questionario più quantitativo ha coinvolto infatti 42 gestori iscritti all'associazione, dall'altro sono stati previsti

anche incontri ed interviste con ben 11 gestori, per indagare con profondità temi e questioni. I dati raccolti coprono in maniera omogenea l'intero territorio provinciale, toccando tutte le quote altimetriche, dai 600 ai 3.000 metri di quota, e presentando sia l'opinione di rifugisti che gestiscono strutture private che quelle dei gestori di rifugi CAI-SAT, strutture quindi di proprietà pubblica.Di quanto emerso dalla ricerca, colpisce molto come 2 rifugisti su 3 lavorino presso il rifugio e per il rifugio - in attività dunque di manutenzione, controllo, promozione e cura generale - per tutto l'arco dell'anno e non solamente durante il periodo di apertura, estiva od invernale che sia. Quella insomma che tendiamo tradizionalmente a considerare una professione vieppiù stagionale è diventata nel tempo, o lo è sempre stata, un impiego totalizzante ed esclusivo.«Anche per questo motivo, i rifugi con i loro gestori si configurano come i custodi per eccellenza del territorio montano in cui vivono. - commenta Roberta Silva, presidentessa dell'Associazione gestori dei rifugi del Trentino - Si tratta di veri e proprio avamposti, osservatori privilegiati del cambiamento climatico e culturale che li circonda, a partire anche da chi li frequenta».Ecco allora che, proprio per quanto riguarda frequentatori e clientela, i gestori intervistati dichiarano di incontrare sempre più "nuovi turisti", dei quali soprattutto trekker occasionali, biker e runner, i cui numeri in forte crescita sono stati forse determinati dalle chiusure pandemiche e dalla forte spinta all'outdoor che ne è derivata successivamente. A portare nuova clientela verso i rifugi è infatti in prevalenza l'interesse verso il paesaggio, il cibo e la possibilità di pernottare in un contesto unico, anche se non mancano la curiosità verso gli aspetti ambientali, geologici, naturalistici - oltre il 60% dei frequentatori - e quelli storicoculturali del territorio - oltre il 50%. È di fronte a questa molteplicità d'interessi e di aspettative che il rifugista si trova chiamato a dover essere, al contempo, interlocutore esperto dell'universo alpinistico (almeno secondo il 92% dei questionari sottoposti ai gestori), testimone della cultura del territorio (per il 90%) e profondo conoscitore del luogo (ancora il 90%). Nonché operatore turistico (83%) e persona affidabile in grado di fungere da possibile riferimento per la sicurezza (66%).La complessità della professione del rifugista che emerge dall'indagine si riflette inevitabilmente sul rifugio, inteso come edificio e spazio circostante, il quale si trova a svolgere funzioni ristorative, di prima informazione, di alloggio e di soccorso. «I cambiamenti che possiamo osservare, sia nella frequentazione che quelli di natura ambientale, - prosegue infatti Silva - portano necessariamente a dover trovare delle soluzioni per adattare strutture e gestione a nuove esigenze, nei limiti di ciò che è possibile e realizzabile».Si tratta di una questione che i rifugi trentini sembrano ammortizzare molto bene: solo il 31% dei gestori intervistati dichiara infatti che il rifugio in cui lavora ha bisogno di modifiche significative, laddove il 60% necessita di piccoli aggiustamenti e il 9% dichiara di non averne affatto bisogno.«I rifugi rappresentano un osservatorio privilegiato delle dinamiche e dei cambiamenti che interessano la montagna e tutti coloro che la frequentano - dichiara Alessio Bertò, del Servizio turismo e sport della provincia - L'ascolto delle loro voci aiuta a interpretare in chiave attuale la funzione di presidio del territorio montano che da sempre, e per legge, riconosciamo a queste strutture».Gli aspetti su cui bisogna maggiormente investire pertanto, affermano i rifugisti trentini, riguardano soprattutto l'educazione alla frequentazione della montagna, che necessita anche di una corretta comunicazione. Solo in questo modo i rifugi possono continuare ad essere uno straordinario patrimonio culturale, oltre che un presidio prezioso per il territorio.

NOTIZIE DAL SOCCORSO ALPINO

Corriere delle Alpi | 6 aprile 2024

p. 16

Quattro mesi di soccorsi sulle Dolomiti Bellunesi: 1.700 interventi per incidenti sugli sci i l punto

Aumento del 5 per cento di accessi nei pronto soccorso, un migliaio di interventi in più per il Suem, con l'elisoccorso che nel 60 per cento dei casi vola sulle piste o per incidenti in montagna.

Sono stati quattro mesi di fuoco sulle montagne bellunesi per operatori sanitari, volontari delle Croci e tutta la rete del soccorso in montagna, che comprende i corpi di polizia, la finanza, i carabinieri, il soccorso alpino e l'esercito.

«Siamo tornati ai livelli pre Covid», spiega il commissario straordinario dell'Ulss 1 Dolomiti Giuseppe Dal Ben, presentando i dati sanitari degli interventi in montagna – tipologie di interventi e loro quantità – insieme al coordinatore dei pronti soccorso Edoardo Rossi e a Cristina Barberino, facente funzione primario al Suem.

Al Suem la musica non cambia con 22.108 chiamate in Centrale (sempre nei quattro mesi invernali): oltre la metà di queste, il 54%, arriva nella fascia oraria tra le 8 e le 16. Le missioni del Suem sono state 6.418 di cui 1.735 in pista; gli interventi primari 221 di cui 135 in pista, pari al 60,1%. Solo l'elisoccorso a gennaio 2024 si è alzato 100 volte per interventi primari. accessi di pronto soccorso

La media giornaliera in questi quattro mesi da dicembre 2023 al primo aprile 2024 è stata di 284 accessi al giorno. In totale ce ne sono stati 33.480, il 5% in più sullo stesso periodo del 2023. I picchi ci sono stati a cavallo tra Natale e l'Epifania. Dal 23 dicembre 2023 al 7 gennaio 2024 la media di accessi si è alzata a 325 al giorno per 5.197 totali. Si registra, in particolare, l'aumento di accessi di persone straniere (+18%). In quattro mesi l'aumento percentuale più alto si è registrato ad Auronzo con il 35% in più. Aumenti anche a Belluno 13.098 (+3%), Agordo (+6%) con quasi 4 mila accessi, Pieve di Cadore (+1%) e Feltre (+6%). Il primario, Rossi ha spiegato che dal 2022 al 2024 si è tornati a livelli di pre Covid. Quanto al triage, il 48% è di codici bianchi e il 28% di codici verdi (in sofferenza ma non a rischio), con i traumi minori in aumento rispetto ai codici rossi effettivi (2%). Il 22% di accessi è per codici gialli o arancioni, dunque più pesantini.

Attività del suem

Le chiamate al Suem sono state oltre 22 mila, con 6.418 missioni di cui oltre 1.700 in pista (+5% rispetto allo scorso anno).

Oltre la metà delle chiamate, il 54%, arriva nella fascia oraria tra le 8 e le 16, «cioè in attività sciistica», ha sottolineato Cristina Barberino. E il 41% circa è per traumi. Gli interventi primari sono stati 221 di cui 135 in pista, pari al 60,1%. Solo l'elisoccorso a gennaio di quest'anno si è alzato 100 volte per questo genere di interventi.

L'uscita dei mezzi di soccorso è in maggioranza per codici rossi, dunque persone a rischio. Le mission di rientro per il 65% sono poi con codici di media gravità: i pazienti molto gravi fortunatamente sono intorno all'8%.

Il focus Suem sui comprensori più "caldi" è presto detto: Arabba è il più gettonato per i soccorsi con il 34% di interventi di soccorso. Scavalcata Cortina che si ferma al 30% della torta dei soccorsi.

gli altri enti

Dieci missioni al giorno, pari a 1.135 interventi in quattro mesi: questi i dati relativi al supporto messo in campo dai volontari alle missioni di soccorso in montagna. È il lavoro dei volontari che salgono sulle ambulanze.

Ad accendere un faro sui volontari che lavorano nel settore sanitario è il coordinatore agordino delle Croci, Gaiardo. Sedici associazioni che agiscono con 45/50 mezzi per oltre 800 operatori: un «battaglione», lo ha definito che in quattro mesi ha percorso 70 mila chilometri e affrontato 70 codici rossi. «Siamo soddisfatti dell'attività di aiuto fornita».

Serve attenzione

Di prevenzione e "bollettini da seguire" ha parlato Rodolfo Selenati, responsabile regionale del Cnsas (presente con il delegato bellunese Alex Barattin e altri tecnici): non ha fatto riferimento esplicito al mancato dramma di Misurina, ma tutti hanno pensato a quell'evento quando ha accennato ai bollettini meteo: «Consiglio di guardarli attentamente prima di un'sucita».

Per l'Esercito, Mondin del Settimo Alpini ha ricordato l'impegno delle squadre in pista e rimarcato l'importanza della prevenzione e del miglioramento dei soccorsi, «per cambiare colore dei codici».

Per il Sagf di Cortina era presente il luogotenente Simoni, che ha spiegato l'attività, sottolineata anche dallo splendido quattro zampe Moro, cane antivalanga e unità cinofila.

L’Adige | 17 aprile 2024

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Aumenta l'impreparazione in quota

leonardo pontaltiSempre più persone in quota e non sempre con la giusta preparazione, con più di una persona (1,2) su dieci soccorsa e portata a valle dopo essersi resa conto di non poter portare a termine un'escursione.È il dato che maggiormente balza agli occhi nel bilancio dell'attività 2023 del Soccorso alpino trentino, che anche lo scorso anno ha visto confermarsi il trend che ormai da anni vede il prezioso lavoro degli oltre 700 tra operatrici e operatori crescere anno dopo anno.Tra il 2022 e il 2023, l'aumento del numero di interventi è cresciuto dell'11,2%, passando da 1.392 a 1.549 e il numero di persone soccorse o assistite del 12,8%, salendo da 1.451 a 1.637. Ma a spiccare, come si diceva, è la crescita - tra tutte le voci caratterizzate indistintamente dal segno "più" - degli interventi effettuati a seguito di richieste di soccorso per l'incapacità di portare a termine un'escursione. Una fattispecie che raccoglie tutti i casi di sfinimento fisico, di stallo per incapacità di superare ostacoli o di (saggia, per carità) presa di coscienza di essersi avventurati lungo percorsi non adatti alle proprie capacità. Nel 2023 il Soccorso alpino ha dovuto mobilitarsi 196 volte per casi del genere, il 12% del totale. Sono 54 casi più del 2022. Come sempre, è l'ambito escursionistico quello in cui sono richiesti i maggiori interventi 845 le persone soccorse, pari al 51,6% del totale, a fronte delle 749 del 2022), ma crescono anche i soccorsi per incidenti in mountain bike (244 infortunati, pari al 14,9% del totale, 23 in più del 2022). Sono stati poi 112 gli alpinisti soccorsi in quota (6,8%), a fronte dei 105 di dodici mesi prima, 59 i climber (3,6%) assistiti in ferrata o parete. 51 gli interventi a favore di scialpinisti ( 3,1%), di parapendisti (33 casi, il 3% del totale), di cercatori di funghi (31, 1,9%). Importante l'attività di supporto anche in caso di incidenti sul lavoro in quota (33 le persone soccorse). Le unità cinofile, poi, sono state allertate 41 volte ed hanno effettuato 14 interventi di ricerca, mentre la stazione speleologica è stata impiegata in 3 operazione di soccorso, di cui una anche in Lombardia, prendendo parte poi anche alla spedizione nazionale per prestare soccorso a uno speleologo americano nella grotta Morka in Turchia. Il gruppo tecnico forre ha portato soccorso a 6 persone in 4 diversi interventi, inoltre ha preso parte ad altri 5 interventi in cui era necessaria una specifica competenza tecnica, tra cui l'operazione di Protezione civile a favore della popolazione colpita dall'alluvione in Emilia-Romagna. Per quel che riguarda la distribuzione temporale degli interventi, a farla da padrone è stato il mese di agosto, con 408 interventi (56 in più rispetto al 2022), a seguire luglio (335), settembre (199) e giugno (163). (L'infografica con i dati qui a destra è impreziosita dalla foto di Gianluca Vanzetta)

Il T | 17 aprile 2024

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Montagna, raffica di soccorsi nel 2023

Davide Orsato

Il mese in cui servono più soccorritori reperibili è quello in cui la «gente normale» fa le ferie. Ad agosto, i volontari delle montagne trentine lavorano più che nei primi cinque mesi dell'anno, con oltre quattrocento interventi, quasi tredici al giorno. È il mese delle escursioni «di massa», sui sentieri, sulle ferrate, in mountain bike. È anche il mese in cui spuntano i primi funghi e con essi i primi fungaroli. Rimangono queste, più che le attività invernali, anche per una semplice questione di «volumi»: i numeri dell'escursionismo estivo non sono paragonabili a quelli dello scialpinismo. I dati

A fare i conti, come ogni anno, è il Soccorso alpino e speleologico del Trentino: sono stati 1.549 gli interventi effettuati nel corso dell'anno 2023 (oltre quattro al giorno), per un totale di 1.637 persone soccorse. Quarantacinque di loro non ce l'hanno fatta: in Trentino si muore di più in montagna che in strada (i morti per incidenti stradali, nello stesso anno, sono stati 33). Risultano poi 925 feriti, mentre in 659 casi le persone sono risultate illese. Le richieste di soccorso risultano, inoltre, in aumento: 186 persone in più (pari al 12%) hanno chiesto aiuto in montagna. È un trend che tocca tutti gli ambiti di attività dei soccorritori. A partire dall'escursionismo che copre, da solo, metà dell'attività di soccorso (il 51,6% degli interventi, con 845, quasi cento in più rispetto alle 749 nel 2022). Ma così è andata anche con la mountain bike, che «pesa» per il 14,9% degli interventi (244 persone soccorso, erano state 221 nel 2022). L'elenco prosegue con l'alpinismo (6,8% degli interventi: 122 persone soccorse, 105 nel 2022) gli incidenti sulle ferrate (3,6% del lavoro del soccorso alpino, con 59 persone aiutate rispetto alle 55 del 2022). Arrivano solo dopo lo scialpinismo con il 3,1% (51 persone soccorse rispetto alle 35 del 2022) e il parapendio con il 3% (33 persone soccorse rispetto alle 25 del 2022). Ma il soccorso alpino interviene anche sugli incidenti sul lavoro (il 3% degli interventi, 33 persone soccorse; 31 nel 2022) e, per l'appunto, a sostegno di persone che erano andate alla ricerca di funghi (31 quelle soccorse, 20 nel 2022). C'è, infine, l'arrampicata sportiva con l'1,8% degli interventi(29 persone soccorse rispetto alle 23 del 2022). In aiuto ai soccorritori, in più occasioni, anche le unità cinofile, allertate 41 volte in 14 interventi di ricerca, mentre la stazione speleologica è stata impiegata in tre operazioni, ma solo una in territorio trentino. Quattro le operazioni in forra, in soccorso a sei persone. Sono stati realizzat, inoltre, 81 interventi per persone disperse, di cui una mai ritrovata. I cittadini italiani rappresentano la stragrande maggioranza dei soccorsi, l'82% del totale. Il secondo gruppo è rappresentato da cittadini tedeschi (8,1%, pari a 132 persone soccorse).

Tante disattenzioni

Se si va ad analizzare le singole cause di incidente, quasi la metà (il 47,5%) sono dovute a scivolate e il 10,8% a malori. Possono capitare a tutti. Ma una buona fetta di soccorsi sono evitabili: 196 interventi (il 12%) sono riferiti a persone incapaci di proseguire nell'escursione, mentre 111 sono andati in salvo a escursionisti che avevano perduto l'orientamento. Entrambe le circostanze vedono un aumento delle richieste d'aiuto. E, sì, anche in questi casi, può «succedere a tutti», ma molto spesso i soccorritori rilevano una mancata preparazione degli escursionisti, che tendono a sottostimare la difficoltà delle uscite. «Mancano le accortezze che si dovrebbero prendere prima di partire sintetizza il presidente del Soccorso alpino trentino, Walter Cainelli la pianificazione. Spesso chi va in montagna non ha l'attrezzatura adatta, oppure si trova in difficoltà perché ha scelto un percorso troppo impegnativo. Poi ci sono gli incidenti in bicicletta, anche quelli sono in costante aumento da anni». In quest'ultimo caso, c'entra anche la facilità con cui si possono seguire itinerari impegnativi grazie ai nuovi modelli elettrici. Da anni i soccorritori si sgolano nella speranza che pochi, semplici, accorgimenti, possano essere recepiti e salvare delle vite. E invece l'impressione è che si sia sempre allo stesso punto: dopo il calo «fisiologico» dovuto alla pandemia, la montagna è tornata, fortunatamente, a essere frequentata. Ma con essi sono tornati gli incidenti. Gli interventi impegnativi, per Cainelli, sono stati molti, ma nessuno paragonabile al disperato tentativo di recupero della base jumper canadese, Haley Precious, morta sul Brento dieci giorni fa. «Sono state necessarie sei ore per raggiungere quel punto spiega Cainelli la parete è completamente scoscesa, è stato necessario arrampicarsi dal basso». Un'impresa in cui le competenze dei soccorritori trentini non hanno potuto sconfiggere un fato avverso.

NOTIZIE DAI CLUB ALPINI DELLA REGIONE DOLOMITICA

Corriere delle Alpi | 5 aprile 2024

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Segnaletica unica sui sentieri italiani Cai e Federcammini stringono il patto

Francesco Dal Mas / BELLUNO

Quasi un nuovo codice per i sentieri e i cammini che – numerosi – attraversano anche le nostre montagne. Si parte della tabellazione. Che, in divenire, verrà uniformata a quella del Cai, dai colori rosso e bianco, rigorosamente abbinati. Club alpino italiano e Federcammini (Federazione delle vie, itinerari e cammini italiani) hanno infatti stipulato un protocollo d'intesa triennale che ha come obiettivo l'uniformità della segnaletica dei percorsi escursionistici, la manutenzione della rete sentieristica, lo sviluppo di progetti che favoriscano e incrementino l'escursionismo su sentieri, vie e cammini come pratica sostenibile e rispettosa degli ambienti che vengono frequentati.

Le montagne venete sono solcate da una rete di 904 sentieri alpini del Cai per una lunghezza di 4200 chilometri. E tutti questi sono catalogati secondo il Codice Cai, a cominciare appunto dai colori riportati sulle tabelle, sulle rocce, sui muri dei rifugi e dei bivacchi. Poi ci sono i cammini. Un'infinità, anch'essi. Basti dire del Cammino delle Dolomiti, un giro ad anello in 30 tappe per oltre 500 chilometri di trekking tra i luoghi più significativi del Bellunese dal punto di vista storico, religioso e paesaggistico.

Il Cammino delle Dolomiti è segnalato da placchette metalliche bianche con il logo del Cammino delle Dolomiti e dalla doppia banda giallo-rossa lungo i sentieri e le strade. Quindi è distinto da tutti gli altri. Come lo è "La Via dei Papi" che da Lorenzago (Wojtyla) raggiunge Canale d'Agordo (Luciani) e che, solo in parte, è stata tabellata. Da Canale raggiunge Riese Pio X (Giuseppe Sarto) Cai e Federcammini hanno deciso di collaborare per completare e mantenere la rete delle vie e dei cammini italiani utilizzando gli standard del Cai per la segnaletica orizzontale e verticale. Il segnavia rosso-bianco, già adottato come riferimento nelle normative di molte regioni, consente infatti di superare la babele di simboli geometrici di vario colore presenti localmente.

Antonio Montani, presidente nazionale del Cai, evidenzia che «una segnaletica chiara e uniforme su tutti i sentieri e i cammini italiani è determinante per facilitare la frequentazione dei camminatori, sia italiani che stranieri. Per questo motivo il Cai mette a disposizione la sua pluridecennale esperienza per formare tutti i volontari che si occupano della segnatura e della manutenzione della rete sentieristica».

Montani assicura che «con Federcammini, a cui ci lega una grande sintonia d'intenti, intendiamo poi lavorare insieme su un altro aspetto che ci sta a molto a cuore: il supporto e la facilitazione dell'accoglienza nelle strutture ricettive presenti lungo i percorsi escursionistici».

Il protocollo prevede, inoltre, l'elaborazione di un progetto congiunto per recuperare e valorizzare vie, itinerari storico-culturali e cammini, con particolare riferimento a quelli cosiddetti "minori", e la possibilità di organizzare incontri e attività con le scuole, sia in aula che in ambiente, attraverso le realtà locali delle due associazioni.

In provincia di Belluno insi stono metà dei sentieri regionali del Club Alpino. La sezione del Cai di Belluno gestisce 100 chilometri, quella di Feltre il doppio. Belluno anche 27 km di sfalci.

«Ho una squadra di almeno 30 uomini, sempre in uscita, ma in preparazione della stagione, cioè nelle prossime settimane, scendiamo in campo un po' tutti, perché è una fatica immane provvedere alla manutenzione ordinaria e straordinaria», ammette paolo Barp, presidente della sezione di Belluno. «Dobbiamo ammettere che sarebbe una fatica supplementare farci carico anche di altra rete sentieristica. Ogni anno ci competono almeno 800 ore».

In taluni casi l'intervento è davvero complesso, come è accaduto per il percorso in Val di Piero, il cui ripristino da solo è costato 400 ore. «L'itinerario era chiuso ormai da quattro anni, vi passavano solo gli animali. Immaginarsi come l'abbiamo trovato». Ma a questo punto – chiediamo – val la pena aprire sempre nuovi tracciati? «Assolutamente no. È già uno sforzo immane garantire una condizione dignitosa per i sentieri storici, magari», osserva Barp, «frequentati per secoli, e quindi d'importanza effettiva, appunto secolare. Le forze, si sa, sono quelle che sono . Accontentiamoci di quelli che già esistono, sono sufficienti».

Corriere delle Alpi | 5 aprile 2024

p. 20

Frigo però è preoccupato «La manutenzione poi non sia affidata a noi»

il punto

Il Senato ha approvato all'unanimità, nei giorni scorsi, il disegno di legge sui Cammini d'Italia, che mira a "promuovere e valorizzare" i Cammini presenti in Italia come itinerari culturali. Il provvedimento di iniziativa parlamentare passa alla Camera. Il testo stanzia un milione di euro e organizza, tra l'altro, una banca dati condivisa a tutti i livelli. Prevede l'istituzione di una cabina di regia presso il Ministero del Turismo con il compito di definire le linee guida e i criteri per l'inserimento dei vari itinerari. Mentre la cabina di regia sarà composta dai rappresentanti delle istituzioni e avrà un ruolo più operativo, a fare da supporto saranno le voci del vasto mondo associativo che sarà rappresentato nel Tavolo Permanente dei Cammini d'Italia.

Il Cai osserva con interesse, ma anche con qualche interrogativo a queste nuove opportunità. «I nostri 904 sentieri alpini, certificati in catasto, rientrano nella tutela prevista da una specifica legge regionale, che li disciplina e in parte contribuisce alle spese di manutenzione, di qualche centinaio di migliaia di euro», ricorda Renato Frigo, presidente regionale del Cai. «Fatichiamo non poco a gestire la nostra sentieristica. Non vorremmo un giorno essere destinatari anche della manutenzione di quella lanciata magari da qualche associazione volenterosa che poi abbandona la sua creatura, in modo che se ne faccia carico il Comune o l'Unione Montana. I quali, privi di personale, lo affidano ai volontari della montagna, cioè al Cai». Ma, secondo Frigo, le antenne vanno sollevate anche per un altro motivo.

«Il tema dell'accessibilità nei Cammini richiede molta attenzione alle interpretazioni in ambito regionale e locale. C'è infatti il rischio di dover mettere in conto possibili autorizzazioni per mezzi motorizzati usati dai disabili, ad esempio (e ci mancherebbe) ad altre con maglie più larghe». Capiterebbe, così, che le moto vietate sui sentieri alpini del Cai verrebbero concesse su altri, magari a poca distanza, con gestori diversi dal Cai. «Lo specifico non solo per i Cammini ma anche per tanti altri sentieri aperti negli ultimi anni. Come, ad esempio, in Val Belluna».

Un'altra preoccupazione ancora: la tentazione di installazioni permanenti per rendere più piacevole l'itinerario, come è avvenuto in qualche caso. Il Ddl sui Cammini lo esclude. Ma lungo taluni itinerari, anche in provincia, si vede di tutto. «Invece – obietta Frigo – è l'essenzialità che troviamo negli elementi naturali, storico-culturali e del paesaggio a dare un valore originale al singolo percorso». fdm

L’Adige | 6 aprile 2024

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Sat, la lunga corsa per le elezioni

barbara goio

Il mondo della Sat è in movimento: l'altra sera presso la Sala Polivalente di Mattarello dalle 20.30 alle 23 tutti i 32 candidati al Consiglio centrale hanno avuto tre minuti a testa per presentarsi e guadagnare consensi in attesa delle elezioni del prossimo 20 aprile. Tanti i temi sul tappeto, dall'ambiente all'alpinismo, dal volontariato alla gestione dei rifugi, alla crisi climatica, con una presidenza per forza diversa visto che Anna Facchini ha raggiunto il limite massimo dei due mandati (sei anni). Per gli altri consiglieri invece il limite è di tre mandati.Le elezioni. L'assemblea dei delegati, composta dai presidenti di Sezione, più un delegato per sezione ogni 500 soci, è stata fissata per il prossimo 20 aprile presso il Centro Congressi Erickson a Trento. Il Consiglio centrale, nel corso della prima riunione, eleggerà presidente, due vicepresidenti, segretario. I candidati. Circa la metà dell'attuale consiglio vuole riproporsi: tra questi Carlo Ancona (segretario), Massimiliano Corradini, Licia Favè, Giovanni Galatà, Iole Manica (vicepresidente), Mauro Mazzola, Paolo Querio, Alessandro Rossi, Franco Tessadri. Cinzia Fedrizzi e Giovanni Ghezzer fanno parte dell'attuale organo di controllo. Ecco chi invece si propone per la prima volta: Roberto Anselmo, Mauro Baldessari Gianmario Baldi, Nicola Dall'Oglio, Alessandro de Guelmi, Luciano Ferrari, Cristian Ferrari, Stefano Gaio, Riccardo Giacomelli, Lorenzo Kessler, Corrado Mazzocchi, Matteo Motter, Bruna Penasa, Roberta Rosi, Domenico Sighel, Valentino Trainotti, Paolo Pezzedi, Alessio Trentini, Mauro Viesi, Paolo Visconti Johnny Zagonel.Il bilancio A fronte di una formula che vede la Sat come Aps, Associazione di promozione sociale, quello degli alpinisti tridentini è un patrimonio di tutto rispetto, basti pensare che al 31 dicembre 2023, il totale attivo e passivo è stato di quasi 14 milioni di euro (13.954.827). D'altra parte il compendio immobiliare comprende 35 rifugi, 17 capanne sociali e bivacchi. Lo "scollamento". Tra i temi che la nuova Sat dovrà affrontare, almeno da quello che si dice nel mondo della montagna, c'è il distacco tra la base delle oltre ottanta sezioni e la gestione centrale, con le periferie che si sentono poco rappresentate. Da qui parte la "Mozione S. Lorenzo in Banale" per modificare il meccanismo per cui i delegati derivano da un calcolo numerico dei soci, e che non tiene conto della provenienza. Se ne discuterà il 20 aprile.Volontariato. Ecco un altro argomento caldo: con una gestione di tipo sempre più "imprenditoriale" diventa più complicato mantenere aperti i canali del volontariato, anche se è proprio questa la forza della Sat.Complessità. Fino a qualche decennio fa la Sat si occupava soprattutto di alpinismo, rifugi e cultura della montagna. Ora le sfide sono molte di più: ambiente, grandi carnivori, riscaldamento globale, turismo e overtourism, sicurezza, social media, burocrazia, appalti, normative del terzo settore, mutamenti sociali. Rifugi. Tema divisivo, a partire dai bandi ormai milionari per le ristrutturazioni in programma, dal Pedrotti sulla Tosa al Graffer sul Grostè: la posta in gioco è alta, anche per capire cosa si vuole fare veramente, tra alberghi in quota e architettura d'impatto. In questa polemica, aveva fatto storia la presa di posizione del gestore del Pradidali, che vuole tornare a «un rifugio di altri tempi», dove «quello che c'è, c'è!» e non c'è spazio per il «gourmet».Sempre in tema di rifugi, non mancano le critiche all'affidamento su base principalmente economica, una prassi che ha posto fine a storiche gestioni e ha creato non pochi malumori tra i soci.I nomi che girano. Anche se buona parte del vecchio consiglio si ricandida, c'è parecchia voglia di novità. Tra i candidati forti, emerge Luciano Ferrari, presidente Sosat da 13 anni, ottimo alpinista e scialpinista, che più volte ha espresso una sua idea coerente e chiara sui valori fondanti della Sat. Al presidente della Commissione glaciologica Cristian Ferrari, vengono riconosciute forti competenze scientifiche, mentre Johnny Zagonel della Sezione di Primiero punta alla valorizzazione delle periferie. Con una vita dedicata all'architettura di montagna, Riccardo Giacomelli ha firmato moltissimi progetti (bivacco Vigolana, rifugio Brentei, rifugio Casati, rifugio Tonini rifugio Erdemolo, rifugi Mandron, Pedrotti, Ciampedie). Legata alle tematiche ambientaliste, ma attenta alla complessità, è la candidatura di Franco Tessadri, già presidente nazionale di Mountain Wildernes, mentre Matteo Motter, della sezione di Carè Alto ha mosso osservazioni critiche.Molto legati all'attuale consiglio Carlo Ancona, Iole Manica e Paolo Querio, mentre viene segnalato l'attivismo di Franco Battisti, di Cles..

Alto Adige | 7 aprile 2024

p. 20

Il Cai cresce e punta a 7.000 soci «Le sentinelle dell'alta quota»

davide pasquali bolzano

Il Cai Alto Adige è proiettato verso i settemila soci, un numero che si spera di raggiungere nel corso del 2024, visti i lusinghieri dati dell'anno scorso. Un auspicio più che concreto, che poggia sull'unanime riconoscimento dell'instancabile attività di moltissimi volontari, impegnati nelle più svariate attività istituzionali, ma anche e forse soprattutto, specie negli ultimi anni dell'attuale gestione Zanella, nell'impegno a difesa, a spada tratta, dell'ambiente montano. Senza integralismi, ma con un obiettivo preciso: tenere alta l'attenzione e segnalare all'opinione pubblica tutto ciò che accade in quota, per arginare gli eccessi dietro cui si celano troppo spesso «i soli interessi delle potenti lobby economiche».Lo si è ribadito nella mattinata di ieri, nel corso dell'assemblea annuale dei delegati della sezione altoatesina del Club alpino italiano, organizzata nel quartier generale della Salewa.Saluti e minuto di silenzioL'usuale

assemblea primaverile è iniziata, ieri, con il ricordo di chi non c'è più, in particolare la storica e compianta socia del Cai Bolzano Laura Ghirardini, tragicamente scomparsa a seguito di un incidente accaduto durante una gita di scialpinismo, in ricordo della quale si è celebrato un minuto di silenzio. Dopo i saluti di rito, in particolare da parte della presidenza nazionale del Cai, del vicepresidente della giunta provinciale Marco Galateo, delle Truppe alpine, dell'Ana, del soccorso alpino della Finanza e della consigliera provinciale dei Verdi Madeleine Rohrer in rappresentanza delle associazioni protezionistiche, è intervenuto l'assessore provinciale Christian Bianchi, il quale ha annunciato l'avvio di un progetto condiviso dalle associazioni alpinistiche provinciali, che da troppi anni giaceva nei cassetti provinciali: in tutti i rifugi di Cai, Avs e Provincia, verranno affissi dei cartelli esplicativi, con grafica omogenea, per illustrare la storia e le peculiarità di ciascuna capanna alpina, allo scopo di rendere più consapevoli escursionisti e turisti nei confronti di un patrimonio più unico che raro, da conoscere e rispettare.Ambiente in primo pianoPresidente dell'assemblea, ieri, è stato nominato il senatore Gigi Spagnolli, socio di lungo corso, il quale ha tenuto a rimarcare il ruolo dell'associazione nella tutela dell'ambiente. «L'ente pubblico - ha spiegato - non è in grado, da solo, di tenere d'occhio l'intero e assai esteso territorio montuoso altoatesino. In questo senso, il ruolo del Cai è fondamentale». Insomma, i soci come sentinelle del territorio, per segnalare le criticità all'ente pubblico, che potrà così intervenire.Lontani dall'integralismoUn concetto ribadito con estrema chiarezza anche dal presidente altoatesino del Cai Carlo Alberto Zanella, nella sua relazione annuale: «In tema di ambiente, una delle priorità del Cai, abbiamo continuato la nostra collaborazione con l'Avs e con le associazioni ambientaliste. Siamo stati invitati spesso a convegni, tavole rotonde, manifestazioni anche fuori provincia, nelle quali ci siamo sempre distinti per coerenza e diplomazia, senza cadere nell'integralismo. Su questo argomento ringrazio ancora la nostra commissione Tutela ambiente montano, nella figura del presidente Ivano Rodighiero e di tutti i validi collaboratori per la gran mole di lavoro svolto e per la collaborazione con le associazioni ambientaliste». Ci si augura vivamente, ha tenuto a rimarcare, «che anche la Provincia mantenga un profilo ambientalista e non ceda alle lusinghe di varie lobby economiche». La querelle con i rifugisti privatiZanella, a latere del suo intervento, ha in particolare stigmatizzato una recente presa di posizione dei rifugisti privati dell'Hgv, i quali hanno sostanzialmente chiesto alla giunta provinciale di revocare alle associazioni alpinistiche l'incarico di sovraintendere ai progetti di nuove opere in quota. «Evidentemente - così Zanella - la sola idea che ci sia un controllo non piace. Noi invece chiediamo che i controlli proseguano, anzi, che vengano estesi a livello generale. Fra il resto, come associazioni alpinistiche troviamo assurdo che i rifugi privati da una parte e i rifugi di Cai, Avs e Provincia dall'altra, vengano gestiti da due assessorati diversi. C'è anche un problema di contributi, a pesare, ma ormai lo sappiamo: è la lobby degli albergatori che comanda».Al Cai fa specie soprattutto questo: «Noi non facciamo concorrenza ai privati. Come dice il nome stesso, nel rifugio ci si rifugia in caso di bisogno, si dà qualcosa da mangiare, giustamente, perché anche i gestori devono guadagnarci. Ma gli affitti che chiediamo non sono un capestro e tutto ciò che incassiamo viene investito nel ripristino delle strutture. Non riusciamo a capire come possano, i privati, fare certi investimenti, per realizzare certe strutture. Noi facciamo fatica, loro si sono votati al lusso, alla mezza pensione. Ormai non hanno più molto a che fare con i rifugi». Stop anche a nuovi impiantiAnche agli impianti, sarebbe il caso di dare una stoppata, dice. «E invece, saltano fuori sempre nuovi progetti, come l'ex skilift Franzin a Carezza, un nuovo impianto che raggiungerà quasi il rifugio Paolina. Si parte dal piccolo e poi si finisce sempre in grande. Come per le Olimpiadi. Si potrebbero fare varianti leggere, si preferiscono sempre quelle pesanti, costose, dove si guadagna di più».

L’Adige | 21 aprile 2024

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Sat: Ferrari, Ghezzer e Manica i più votati

LUISA MARIA PATRUNOLa Sat sceglie la continuità, pur avendo rinnovato la maggioranza del suo consiglio direttivo (11 volti nuovi e 8 conferme), visto che nell'assemblea dei delegati che si è tenuta ieri a Trento a prevalere è stata la linea della presidente uscente Anna Facchini, rispetto a chi chiedeva un cambiamento profondo, lamentando un appiattimento sulla dimensione aziendale, come il presidente della Sosat, Luciano Ferrari, che ieri mattina se n'è andato sbattendo la porta, ovvero ritirando la sua candidatura prima del voto. E proprio il gesto plateale di Ferrari, che ha annunciato il suo ritiro davanti all'assemblea riunita, ha lasciato l'amaro in bocca a molti in un sodalizio, che fa della retorica della montagna la sua essenza, per cui in una «cordata» quando l'«io» prevale sul «noi» fa male a tutti e non lo si può accettare.Tant'è, ieri Ferrari aveva semplicemente chiesto che fosse invertito l'ordine del giorno per fare precedere la relazione della presidente e la discussione alla votazione. Una richiesta ragionevole, ma la sua mozione è stata messa ai voti ed è stata respinta per una manciata di voti. La presidente uscente Anna Facchini sul ritiro della candidatura di Luciano Ferrari ha commentato: «Una decisione che mi ha colto di sorpresa e me ne dispiaccio perché non ne conosco la motivazione, mentre sarebbe stata una occasione di confronto». Facchini si mostra invece soddisfatta per questi sei anni della sua presidenza e dice: «Lascio con il sorriso sulle labbra, sono serena per il lavoro fatto non da sola ma insieme ai consiglieri e alle vicepresidenti. Credo che ci siamo impegnati a fondo e questo mi dà grande serenità. Sotto un profilo sociale lascio una Sat capace di stare dentro la società trentina a tutto tondo occupandosi di temi cari a tutti».I 128 delegati, comunque, hanno scelto fra i 31 candidati rimasti i 19 nuovi consiglieri del direttivo e il più votato è stato Cristian Ferrari (62 voti), ingegnere ambientale e operatore glaciologico, residente a Valsorda, attuale presidente della commissione glaciologica della Sat. Iscritto all'associazione da 24 anni, dal 2001 ha avuto incarichi nella sede centrale. E nella sua presentazione dice: «Credo che la Sat, senza mai dimenticare da dove viene, debba guardare avanti diventando il precursore dei cambiamenti in montagna, prevedendoli, anticipandoli e governandoli». Al secondo posto, con 60 voti si è piazzato Giovanni Ghezzer di Mezzocorona, presidente dei revisori dei conti Sat dal 2018. La sua idea di Sat: «Un'associazione attenta alla salvaguardia del territorio montano, che valorizzi il lavoro dei tanti volontari e soci».Sul podio è salita anche, con 59 voti, Iole Manica,

vicepresidente uscente e candidata alla successione di Facchini, sostenuta da chi punta a non cambiare la linea e anche a mantenere una donna al timone. La prassi vuole che la scelta del nuovo presidente si concentri fra i tre più votati, ma sarà una decisione del nuovo direttivo che potrebbe riunirsi già la settimana prossima. Gli altri eletti sono: Cinzia Fedrizzi (57 voti), Giovanni Galatà (55 voti) riconfermato, Johnny Zagonel (53 voti), Riccardo Giacomelli (voti 50), Bruna Penasa (50 voti), Matteo Motter (49 voti), Roberta Rosi (48 voti), Licia Favè (46 voti) riconfermata, Franco Tessadri (44 voti) riconfermato. Seguono il veterinario Alessandro De Guelmi (43 voti), Carlo Ancona (42 voti) riconfermato, Alessandro Rossi (40 voti) riconfermato, Mauro Viesi (35 voti), Mauro Mazzola (34 voti) riconfermato, Lorenzo Kessler (34 voti), Massimiliano Corradini (29 voti) riconfermato.

Corriere delle Alpi | 21 aprile 2024 p. 18

Sentieri, manutenzioni in stand by Verifiche iniziate, ma c'è troppa neve

Francesco Dal Mas / BELLUNO

Ancora troppa neve in quota. Soprattutto oltre i 1800 metri, specie sui versanti a nord. Con i canaloni ancora pericolosi, per cui è prudente non attraversarli. Fra l'altro, l'Arpav avverte che continuerà a fioccare nei prossimi giorni. «In questa fase di inizio della primavera, le 18 Sezioni Cai della Provincia di Belluno con i propri volontari, hanno comunque iniziato», informa Gianluigi Topran d'Agata, coordinatore provinciale delle sezioni e fino a pochi giorni fa presidente del Cai Comelico, «le verifiche sulla percorribilità dei sentieri, a cominciare da quelli a valle».

Sono oltre 4 mila i chilometri di percorsi gestiti dal Cai sulla montagna veneta, 2.200 di questi chilometri si trovano in provincia di Belluno. «Su 65 sezioni del Cai in regione», puntualizza il presidente regionale Renato Frigo, «almeno 35 hanno percorsi da gestire, quindi da manutentare a fine inverno. I volontari attrezzati per questo compito delicato sono almeno 500, sui 58 mila tesserati del Cai regionale. Le sezioni e i volontari della provincia di Belluno rappresentano la punta di diamante».

Ma come avviene quest'opera di vera e propria bonifica? «Le sezioni procedono a rilevare eventuali schianti o franamenti», spiega il coordinatore Topran d'Agata, «per programmare subito dopo l'inizio degli interventi. Data la situazione questi potrebbero iniziare già nelle prossime settimane, non appena le temperature si alzeranno e il sole contribuirà a sciogliere la neve, che su determinate quote è ancora molto alta».

Rifugi come l'Aquileia (Val Fiorentina, a Selva di Cadore) aprono nei fine settimana e da metà maggio sette giorni su sette. Il Rifugio Padova, sulle alture di Domegge, inizierà la stagione col 25 aprile. «Sono casi particolari. Riguardo ai rifugi non si parla di aperture fino a maggio inoltrato, quasi tutti prevedono l'avvio almeno dai primi di giugno», chiarisce il coordinatore. Ad oggi, comunque – precisa Topran d'Agata, dopo una rapida ricognizione – alcune sezioni hanno già iniziato i sopralluoghi e anche qualche intervento, come in Centro Cadore le Sezioni di Lorenzago, Domegge, Pieve, e quelle del Comelico, San Vito e Cortina. In Centro Cadore sono già sistemati alcuni sentieri, come il 347 Romiti-Col Buffon-Biv. Montanel, resta invece di difficile attraversamento il sentiero 343 per Vedorcia. Lo stesso per le sezioni dell'Agordino, Agordo, Caprile e Livinallongo e anche Val di Zoldo. Purtroppo –afferma il coordinatore provinciale - sono stati rilevati importanti smottamenti sui sentieri Cai 705 da Val di S.Lucano verso la Forcella del Miel e sul sentiero 764 che porta alla Casera di Malgonera. La Sezione di Belluno nei prossimi giorni parte con lavori straordinari al monte Coro a quota 1800 metri, per i quali sono già stati portati in quota i materiali necessari con l'elicottero. La sezione di Feltre, invece, provvederà alla rimozione di alberi schiantati lungo il sentiero per il rifugio Dal Piaz. «Se il tempo non sarà inclemente, tutte le sezioni si attiveranno», assicura il coordinatore, «approfittando del ponte del 25 ap rile per i sopralluoghi e per i primi interventi. Sono folti i programmi per le nuove tabellazioni, sui quali potremo ritornare più avanti». Sempre il coordinatore provinciale si pone, a questo punto, un interrogativo. «Chi altro, oltre al Cai, è in grado di garantire una manutenzione costante dei sentieri di montagna e sente propria questa costante incombenza anno dopo anno? Le nostre sezioni sono fondamentali per il turismo escursionistico dei territori montani, ben al di là di quanto venga percepito nel quotidiano».

La stagione dell'escursionismo è merito, insomma, di questi volontari, per cui il coordinatore delle 18 sezioni bellunesi si concede una conclusione di riconoscimento, rivolgendosi ai colleghi. «Bravissimi tutti, presidenti e volontari. Lo si fa prima di tutto per passione del territorio e rispetto per la montagna e per chi lo ha fatto prima di noi».

LUIGI CASANOVA PRESIDENTE DI MOUNTAIN WILDERNESS ITALIA

Corriere delle Alpi | 18 aprile 2024

p. 16

Mountain Wilderness: Casanova presidente BELLUNO

Luigi Casanova è il nuovo Presidente di Mountain Wilderness Italia. Il consiglio direttivo uscito dall'assemblea del 6 aprile si è riunito l'altra sera e ha eletto all'unanimità Casanova, Nicola Pech come vice presidente e Fabio Valentini segretario. Casanova è nato nel 1955, bellunese d'origine, già custode forestale nelle Valli di Fiemme e Fassa e ora in pensione, è una voce storica dell'ambientalismo. Il suo impegno sociale è nato nell'antimilitarismo e nel Movimento Nonviolento. È già stato presidente di Mountain Wilderness. Per quasi due decenni, fino a maggio 2020, è stato vicepresidente di Cipra (Commissione internazionale per la protezione delle Alpi), è membro del consiglio direttivo di Italia Nostra Trentino e rappresenta le associazioni ambientaliste nella cabina di regia delle aree protette e dei ghiacciai del Trentino. Ha scritto "Avere cura della montagna" (Altreconomia, 2020) e "Ombre sulla neve" (Altreconomia 2022). Nota è la sua battaglia contro la pista di bob, a Cortina, e prima ancora contro i collegamenti dell'alta Val Comelico con la val Pusteria e di Cortina col Civetta e con la Val Badia. Sua anche l'iniziativa del Patto per la Marmolada con Mario Vascellari, della società funivie che da Malga Ciapela sale a Punta Rocca. «Una grandissima battaglia. Abbiamo vinto tre processi, fino in Cassazione. E alla fine siamo arrivati a un accordo».

DOLOMITI IN TV

Corriere delle Alpi | 26 aprile 2024

p. 29

«Se Un passo dal cielo non cita le località come possono esserci ritorni promozionali?»

La polemica

Gianluca De Rosa / SAN VITO

Il ritorno del set di "Un passo dal cielo" sul territorio cadorino è stato accolto da unanime consenso. Un veicolo di promozione turistica unico. Ma il presidente del consorzio Cadore Dolomiti, Gildo Trevisan, torna a sottolineare quell'aspetto che manca, ritenuto peraltro determinante, per rendere l'iniziativa concretamente produttiva in termini di ritorno di presenze. «Le nostre montagne, così come i nostri paesi, non vengono mai citati espressamente all'interno delle puntate. Questo è un limite non indifferente in ottica di promozione: i paesaggi sono sì incantevoli, ma alzi la mano chi riesce a capire dove sono quei posti. Noi conosciamo benissimo il nostro territorio, ma in giro per l'Italia quanti, al semplice passaggio televisivo, sono in grado di individuare le Dolomiti bellunesi, il lago di Mosigo oppure il Marcora o l'Antelao? Stesso discorso, per quanto leggermente diverso, vale per le 5 Torri di Cortina».

Tutto vero. Perché, all'interno delle riprese, per volontà della produzione e su specifici accordi vigenti tra le parti, i luoghi scelti non hanno mai un'automenzione: potrebbero essere in Austria o in Svizzera, o chissà dove. «Basterebbe una mezza inquadratura di un cartello stradale, vero o falso che sia, a ricordarci che quella scena è stata girata tra le Dolomiti bellunesi; ma questo non succede», aggiunge Trevisan, «e l'auspicio è che, già a partire dalle prossime riprese, le parti in causa, i vertici provinciali del turismo e la produzione possano trovare un accordo tale da favorire in maniera più diretta e concreta la comprensione di quale sia il teatro di scena. Come presidente del Consorzio turistico Cadore Dolomiti, aggiungo che, se fosse nelle nostre possibilità, ci muoveremmo senza indugi, convinti della bontà dell'operazione. La visibilità passa da messaggi chiari, in grado di catturare l'attenzione di tutti. Ogni puntata di "Un passo dal cielo" arriva a milioni di persone, dislocate su tutto il territorio nazionale. Ma, se non nascono accordi con la produzione, risulta difficile pensare che tanto al nord quanto al centro ed al sud tutti siano in grado di riconoscere il paesaggio incantato del lago di Mosigo e sapere che si trova a San Vito, in modo da scegliere quella località per le proprie vacanze, estive o invernali che siano». Quanto sottolineato da Gildo Trevisan riporta alla mente una vicenda del passato che chiama in causa Cortina. Scelta come location d'eccezione per le riprese di Cliffhanger con Silvester Stallone, la pellicola poi andata in onda al cinema diventando campione d'incassi trasformò le Dolomiti nelle più generiche "montagne rocciose", localizzate idealmente negli Stati Uniti.

EDITORIALI E INTERVISTE

Corriere delle Alpi | 30 aprile 2024

p. 1

Messner: «Cortina come Venezia. Serve il ticket»

L'alpinista altoatesino Reinhold Messner: per lui va posto un limite al sovraffollamento della montagna dal mas / PAGina 17

Messner punta il dito sul sovraffollamento «Cortina è come Venezia, serve un ticket»

L'intervista

Francesco Dal Mas / CIBIANA

«Le Dolomiti sono o no le montagne più belle al mondo? Sono o no patrimonio Unesco dell'Umanità? E allora chi sta organizzando le Olimpiadi perché non vi fa nessun riferimento? Quasi non esistessero: non fossero un bene da preservare». Se lo chiede Reinhold Messner, il primo alpinista a scalare gli 8 mila della terra, esploratore, fondatore di musei, compreso quello "fra le nuvole" di Cibiana. Un Messner che rispetto alle conseguenze dall'overtourism invasivo, anche sulle terre alte, chiede il ticket d'ingresso nelle località o lungo i sentieri più iconici delle nostre montagne. Cortina compresa. Cortina come Venezia?

«Perché no? Almeno nei giorni di traffico più intenso, un ticket per disciplinare gli accessi». Lei, dunque, ritiene che le Dolomiti siano trascurate dall'organizzazione olimpica?

«Le Dolomiti sono un patrimonio naturale dagli equilibri molto delicati. Non mi sembra che se ne tenga conto in modo dovuto nel dibattito olimpico. Si parla solo di sport. E di infrastrutture».

Se si riferisce alla pista di bob, la Regione ricorda che in realtà l'investimento statale va a sanare la ferita ambientale lasciata dalla vecchia e inutilizzata "Eugenio Monti".

«A Cortina per il bob si investono ben più di 100 milioni, rovinando il paesaggio, non sanandolo. Sia chiaro, ai Giochi auguro tutto il successo possibile. Però se siamo onesti bisogna ammettere che l'ecologia non viene rispettata, come invece si garantiva. Per nemmeno due mesi di gare si spendono 3 miliardi e 600 milioni, di cui un miliardo circa a Cortina. E la pista di bob, skeleton e slittino per nemmeno un centinaio di atleti? Ne valeva davvero la pena? Non capisco perché non si sia andati qui vicino, ad Innsbruck. Sa quale sarà il rischio?».

Quale sarà?

«Lo ha presente il trampolino di Zuel? Che cosa rimane oggi del simbolo Delle Olimpiadi del 1956? Un rudere».

Per la verità, verrà recuperato come sede, come arena di futuri eventi.

«Speriamo davvero che non resti nessuna piccola o grande cattedrale nel deserto. Mi consenta di ripetere ancora che non riesco a capire perché per le Olimpiadi di Cortina si impieghino così ingenti risorse, fino a rovinare ambienti così straordinari che meriterebbero la protezione più severa, mentre non si riescono a trovare una manciata di milioni per una piccola telecabina che arriva in cima al monte Rite, uno dei musei più frequentati delle Alpi».

Si riferisce all'accesso al Museo fra le nuvole del monte Rite, sopra Cibiana. Fra un mese ci sarà la tradizionale riapertura estiva?

«Per la verità non sono più presente nella società che gestisce il Museo del Monte Rite. Se ne occuperà mia figlia, direttamente. È ovvio, però, che essendo il padre di questa creatura, continuerò ad avere un occhio di riguardo».

Ma come? Lascia il Museo e Cibiana?

«Ho 80 anni. Ho il diritto di riposarmi, di ritirarmi lentamente. E lo sto facendo. Lascio progressivamente la presenza attiva. Ma il Museo sul Rite continuerà. Verrò per incontrare il contadino che alleva gli yak, su questa montagna. Verificherò anche come eventualmente si potranno collegare, intrecciare le due strutture».

Non vi verrà l'intenzione di chiudere quest'esperienza ormai più che ventennale?

«Non fino adesso. L'ho inventato io, il museo, e purtroppo non ho trovato il gradimento necessario. Non si è trovato il modo di realizzare un'iniziativa ecologica, come quella di una funivia o telecabina di collegamento, per evitare l'uso delle navette in salita sul Rite».

Lei lo ha chiesto più volte alla Regione. È rammaricato di non essere stato ascoltato?

«Non sono più disposto a venire a Venezia, a chiedere l'elemosina al presidente Zaia. Questo del Rite è un museo simbolico, iconico. Tutte le batterie utilizzate nella prima guerra mondiale di quello che era un forte strategico vengono utilizzate per un tema di pace. Oggi assume pertanto un grandissimo significato. Ma pare che non sia compreso a sufficienza». Se rimanete, avete intenzione di potenziarlo?

«Oggi il Museo è pieno, non potrebbe contenere altre opere. In futuro potremmo portar via alcuni quadri e sostituirli con opere che magari richiamino l'ecologia, i cambiamenti climatici, i rischi che corrono le quote più alte».

Ritorniamo al tema dell'overtourism che tanto preoccupa anche la Fondazione Dolomiti Unesco. I passi dolomitici stracarichi di auto in coda, in determinati periodi dell'anno, continuano ad essere un problema irrisolto.

«A chi lo dice? Le tre Province di Belluno, Bolzano e Trento debbono rimettersi intorno a un tavolo e discuterne, per trovare finalmente una soluzione. Ci convinciamo o no che se il traffico automobilistico continuerà a svilupparsi in questa misura i turisti sulle Dolomiti non ci verranno più? Non parliamo, però, di overtourism, fenomeno tipico delle grandi città. Sulle Dolomiti ci sono influencer che promuovono siti particolari, sentieri iconici; una propaganda davvero pericolosa per l'ecosistema».

Come si può rimediare? Ritiene che sarebbe utile una specie di ticket per entrare a Cortina, almeno in determinati giorni dell'anno, oppure per salire ai passi?

«Qualcosa di simile per disciplinare gli accessi va senz'altro promosso, organizzato. Sì, una specie di ticket. Per la verità c'è, sulla strada delle Tre Cime. Quello è l'esempio più grave di overtourism. Il Comune di Auronzo deve necessariamente inventarsi qualcosa per ridurre quell'assalto, poiché alla lunga non ci tornerà più nessuno».

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