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APERTURA STAGIONE SCIISTICA: PROSPETTIVE E ALTERNATIVE
montagna è viva se non è abitata. È lo stesso principio che seguimmo noi, con Sergio Reolon, durante la candidatura. E la montagna è abitata se è produttiva. Oggi si è capito che essere patrimonio non comporta controindicazioni. Forse dovremmo invece capire che è utile in situazioni conflittuali, cioè: non ti dico cosa devi fare, ma ti aiuto a capire come farlo. Come nel caso delle Olimpiadi, colte come opportunità positiva anche dalla Fondazione».Adesso si tratta di guardare avanti. «Spero che le radici siano così profonde che non ci possa essere nessuna Vaia», afferma Visalli. «Il cda deciderà se e come fare un bando per la selezione del nuovo direttore, ma anche qui la Morandini viene in aiuto perché con il suo lavoro ha tracciato un identikit e la scelta del successore sarà più facile ».
L’Adige | 1 Dicembre 2020
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Sci a Natale, si gioca un'ultima carta
Il presidente trentino Maurizio Fugatti non ci spera molto ma, a differenza del collega altoatesino Arno Kompatscher, secondo il quale non ci sono i presupposti (vedi articolo sopra), e dell'orientamento che si sta rafforzando, oltre che in Germania ora anche in Austria, insiste nel sostenere la necessità di riaprire gli impianti di risalita prima di Natale, pur schermandosi dietro la postilla «solo se le condizioni sanitarie lo consentono». Eppure ormai sembra molto probabile che con lo sci da discesa ci si rivedrà solo dopo l'Epifania, secondo la linea già emersa nel Governo. Ieri lo stesso Fugatti ha dovuto ammettere che la posizione di Roma è «abbastanza chiara», ma comunque ha sostenuto l'ultimo tentativo rappresentato dal documento firmato dagli assessori al turismo delle regioni dell'arco alpino - Trentino, Alto Adige, Piemonte, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Lombardia e Valle d'Aosta a cui si è aggiunto anche l'Abruzzo - che propongono al Governo come mediazione «vacanze di Natale diverse, con la possibilità di sciare solo per chi pernotta almeno una notte nelle diverse destinazioni o per chi possiede o affitta una seconda casa nelle zone sciistiche». Gli assessori, tra cui il trentino Roberto Failoni, sottolineano che in questo modo «si sarà in grado di sapere con precisione il numero degli avventori per ogni giorno e in questo modo potremo gestire al meglio l'afflusso e il deflusso agli impianti di risalita. Si tratta di una soluzione ragionevole, da adattare alle esigenze di ciascun territorio». Naturalmente, la proposta viene accompagnata dalla richiesta di consentire a chi ha una prenotazione in albergo o si reca in una seconda casa di proprietà o in affitto di potersi spostare da regione a regione nel periodo natalizio, spostamenti che come si sa invece il Governo è orientato a vietare in particolare sotto le feste persino tra regioni gialle. L'Oms ha ribadito che «il rischio non è lo sci in sé, ma gli aeroporti, i bus, i resort, i rifugi dove le persone si riuniscono in grandi numeri. Non dovremo ridurre il problema allo sci: i governi devono considerare che ogni attività che implica grosse masse di persone che si muovono deve essere gestita con cura e con un approccio di riduzione del rischio», ha detto il capo delle emergenze dell'Oms Mike Ryan. E persino in Austria non sono più tutti così convinti che sia un bene aprire le piste a Natale. Il presidente del Consorzio dei comuni tirolesi e sindaco del centro sciistico Sölden, Ernst Schoepf ieri si è mostrato prudente: «L'inverno è lungo. Siamo solo all'inizio. Anche se partissimo solo a gennaio, avremmo ancora parecchio da fare. Per il momento né in Austria né in Germania i numeri consentono una riapertura». Ma in Trentino i focolai nelle località sciistiche e i morti del marzo scorso sembrano essere ormai un lontano ricordo, la priorità è riuscire a riaprire gli impianti, troppo importanti per l'economia provinciale, e non rassegnarsi a chiedere solo adeguati ristori. «Non è vero - ha precisato ieri infatti il presidente Fugatti - che le regioni sono d'accordo a riaprire dopo il 7 gennaio. Se c'è la possibilità sanitaria noi chiediamo di aprire prima. Qualora poi non si possa aprire allora è chiaro che chiederemo i ristori in base al fatturato della stagione invernale dell'anno scorso». Ieri i governatori hanno avuto un confronto sullo sci e su altri contenuti del prossimo Dpcm e oggi la proposta delle regioni alpine sugli impianti di risalita sarà discussa in un confronto con il ministro della Salute, Roberto Speranza, e il ministro agli affari regionali, Francesco Boccia, dai quali è attesa una risposta definitiva.
L’Adige | 1 Dicembre 2020
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Gli albergatori contro il Governo
Il presidente degli albergatori trentini all'attacco del governo nazionale. A scatenare le critiche contro l'esecutivo guidato da Giuseppe Conte è stato Gianni Battaiola, presidente di Asat, nel suo intervento durante l'assemblea annuale dei rifugisti. Battaiola si è soffermato sull'inverno ormai prossimo. «Sono infastidito - ha detto - dagli attacchi del Governo nazionale nei confronti della vacanza in montagna. Quasi come se solo nei rifugi, in hotel o sulle piste ci si contagiasse. E non a fare shopping assembrati nei centri storici. Sembra che il turismo della montagna invernale sia uno sfizio di alcuni pochi turisti. E che ci si possa rinunciare. Ma ricordo che sono migliaia le assunzioni invernali ed altrettante le famiglie e le persone che vivono di turismo invernale. Non scordiamo che, poi, come accaduto per la stagione estiva, il Trentino e i suoi attori mettono la sicurezza sanitaria davanti a tutto. Nel caso di un blocco del turismo invernale, come Asat stiamo lavorando per avere ristori certi e congrui per le nostre strutture e per i dipendenti che devono essere correttamente retribuiti».Intanto il sindacato attacca l'assessore al turismo della Provincia Roberto Failoni. «L'ennesima estemporanea proposta dell'assessore al Turismo di permettere lo sci solo a chi pernotta per eliminare gli affollamenti sulle piste ha il pregio di far sorridere, magari amaramente, ma pur sempre sorridere. Al di là che con ogni probabilità i confini delle regioni resteranno chiusi, una proposta simile non aiuterebbe nessuno, tanto meno gli impiantisti ed i lavoratori che rischierebbero, in caso di aggravarsi della situazione sanitaria, di essere ingiustamente accusati di essere coloro che aumentano la diffusione del contagio. Le società funiviarie hanno annusato l'aria ed alcune hanno iniziato a richiedere l'apertura del Fondo di Solidarietà per i propri dipendenti, sapendo che di apertura se ne riparlerà a feste passate - sottolinea il segretario della Fit Cgil Stefano Montani - A gennaio si ripartirà con meno turisti e si potranno testare i protocolli sulla sicurezza, tra l'altro al riguardo vi è un avviso comune siglato dalle organizzazioni sindacali di categoria ed Anef che risale allo scorso giugno e che ha permesso di gestire in sicurezza la ripresa estiva. L'assessore in cerca di facile pubblicità la smetta di ragionare da albergatore e inizi a farlo da assessore».
Corriere delle Alpi | 1 Dicembre 2020
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Le regioni alpine: «Piste aperte a Natale per chi ha casa o soggiorna in montagna»
Francesco Dal Mas BELLUNO Vacanze di Natale in pista per i residenti, per chi pernotta almeno una notte nelle diverse destinazioni o per chi possiede o affitta una seconda casa. Evitando, quindi, gli spostamenti tanto temuti dal Comitato tecnico scientifico a dal Governo. È la proposta degli assessori delle regioni alpine per salvare una parte importante della stagione invernale, quella delle festività, che a Cortina rappresenta il 30% del fatturato, altrove il 50% se non il 70. Tra i firmatari della proposta anche il veneto Federico Caner. «Concedere lo skipass a chi ha pernottato in una struttura ricettiva e a chi possiede o prende in affitto una seconda casa consente di controllare al meglio l'afflusso all'impianto sciistico. Il pendolarismo può infatti essere un problema in certe giornate», spiega Caner, specificando che la soluzione proposta permetterebbe di avviare la stagione invernale con gradualità. «In questo modo si potranno applicare i protocolli di sicurezza che abbiamo approvato lunedì scorso e metterli alla prova. Se infatti consentissimo l'acquisto degli skipass solo a chi ha pernottato in una struttura ricettiva o in una seconda casa saremmo in grado di sapere con precisione il numero degli avventori per ogni giorno e in questo modo potremmo gestire al meglio l'afflusso e il deflusso agli impianti di risalita».Caner e colleghi fanno riferimento alle linee guida proposte dalle Regioni e che in questi giorni sono all'esame del Cts. Ancora ieri il coordinatore del Comitato, Agostino Miozzo, ha precisato: «Siamo preoccupati dai grandi spostamenti, la fine dell'anno tradizionalmente ha una marcata mobilità. I grandi numeri facilitano la trasmissione del virus. Il prossimo non può essere un Natale tradizionale, purtroppo».Siccome gli alberghi possono rimanere aperti e le seconde case sono raggiungibili, almeno fino al 18 dicembre (se il nuovo Dpcm non regolerà ulteriormente questo aspetto), ecco la proposta di Caner e degli altri assessori. «Si tratta di una soluzione ragionevole, da adattare alle esigenze di ciascun territorio. Il Governo ci ascolti, consenta l'apertura degli impianti di risalita con questo criterio e permetta la mobilità regionale. Permettere la mobilità regionale durante le festività è infatti un requisito necessario per il settore. Se il Comitato Tecnico Scientifico e il Governo intendono vietarla per evitare feste e momenti di aggregazione, consentano perlomeno la mobilità tra regioni per chi ha prenotato in una struttura ricettiva almeno una notte». Il presidente della Regione, Luca Zaia, che sa come a Roma e nelle altre capitali europee, Vienna compresa, si voglia rinviare l'apertura dello sci a dopo l'Epifania, definisce quella degli assessori «una clausola di salvaguardia». O, se vogliamo, il minimo sindacale. «Ben venga questo documento perché c'è interesse, ma non è la proposta della Regione Veneto per gli impianti di sci, per i quali ho avanzato un parere e aspetto ora che ci dicano cosa vogliono fare con gli assembramenti», insiste il presidente. «Non vado a parlare con il Governo», spiega Zaia, «dicendo "la misura è da qua in giù". Io la definirei come una clausola di salvaguardia. È giusto aver presentato il documento, tanto è vero che l'ho condiviso, ma non rappresenta la base dei ragionamenti della trattativa. È solo la volontà di dire "oltre questo livello non si può andare", perché ci sono anche gli alberghi, una residenzialità turistica che non può essere spenta del tutto».Il presidente di Confturismo e di Federalberghi Veneto Marco Michielli appoggia la scelta delle Regioni: «Per l'ennesima volta si dimostra che la vicinanza delle regioni alle esigenze della popolazione e dell'economia marciano a una velocità diversa da quella a cui viaggiano le istituzioni romane», afferma. «Bene hanno fatto gli assessorati di tutte le regioni alpine a unirsi per formulare una proposta che riteniamo seria e praticabile, che dia garanzie sotto il profilo sanitario consentendo contemporaneamente la sopravvivenza delle imprese». In nessun altro territorio come in quello
della montagna, «oggi come oggi, il turismo è l'unica fonte di reddito delle comunità», osserva. «Ogni sforzo per cercare di salvaguardare questo fondamentale settore dell'economia va nella direzione da noi auspicata». --© RIPRODUZIONE RISERVATA
Corriere del Veneto | 2 Dicembre 2020
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«Ciaspole, sentieri e silenzi danno più di piste e folla. Può essere un’occasione»
Francesca Visentin
PADOVA La montagna da vivere (e riscoprire) oltre lo sci. La conosce bene lo scrittore Matteo Righetto, che vive tra Padova e Colle Santa Lucia sulle Dolomiti e in tanti libri ha raccontato splendore e magia di boschi, vallate e vette. Una penna raffinata, che ha messo al centro la natura, il rispetto per l’ambiente e l’ecosistema da proteggere, come nel suo recente romanzo I prati dopo di noi (Feltrinelli). In questo momento di pandemia, va fermata la stagione dello sci? «La montagna non è solo sci. Io sono da sempre uno sciatore, ma non un fanatico. E in questa situazione di pandemia è giusto chiudere gli impianti. Può diventare una grande opportunità per ripensare il turismo della montagna e tutto l’indotto, puntando a un’economia diversa, a un turismo non di massa, non aggressivo verso territorio e paesaggio. Dobbiamo uscire dallo sci-centrismo, dalla mentalità playground , di montagna come parco giochi». Quali alternative allo sci offre la montagna? «C’è molto altro. Le affollate piste da sci non sono certo la parte migliore delle nostre Dolomiti. In montagna si può camminare in mezzo alla natura, ammirando il paesaggio, apprezzando il silenzio, respirando. Si può ciaspolare e ogni località offre percorsi con le ciaspole adatti a tutti, c’è lo sci da fondo, uno sport da riscoprire che porta in luoghi incantati, in solitudine, in un autentico contatto con la natura. O lo sci alpinismo, una pratica individuale meravigliosa, emozionante, per cui però bisogna essere preparati e esperti. Ci sono le passeggiate nei boschi, il forest bathing e tante vallate poco conosciute da scoprire attraverso escursioni. La flora e la fauna di montagna possono essere lo stimolo per imparare a conoscerle. Il silenzio, i rumori della natura, l’aria pulita, la lentezza e la calma: tutti aspetti da ritrovare». C’è qualche itinerario per passeggiate invernali in montagna nel Veneto che consiglia? «L’Alta Via dell’Orso a Colle Santa Lucia (Belluno) è un’escursione tra natura e letteratura, ispirata al mio romanzo La pelle dell’orso , da cui è stato tratto il film con Marco Paolini. Si snoda sulle pendici del Monte Pore, prende spunto dal viaggio che i protagonisti hanno fatto sulle tracce dell’orso, El Diàol . Il sentiero si inerpica sui paesaggi del massiccio del Pore (gruppo Nuvolau-Averau), per poi scollinare sul versante di Livinallongo del Col di Lana (Fodóm) e ricongiungersi all’antica Strada de la Vena. Poi ci sono le bellissime passeggiate tra Livinallongo e Selva di Cadore, fino al Rifugio Città di Fiume partendo dal passo Staulanza e fino a Forcella Ambizzola, uno dei luoghi più belli del mondo». Cosa deve cambiare nel concetto di «vacanza»? «Il turismo deve diventare più lento, esperienziale, curioso, cercare originalità, percorsi e sentieri unici. Deve iniziare ad esserci rispetto per l’ambiente e per la sostenibilità. Gli sciatori spesso riversano nel caos e nell’affollamento delle piste da sci gran parte dello stress accumulato in città e sul lavoro. Tanto che le liti su piste, impianti e rifugi sono all’ordine del giorno. Tutto il contrario del relax. Il turismo di massa è un problema enorme, quest’estate abbiamo visto quali sono state le conseguenze dell’assalto a mare e montagna. Credo che il turista vada rieducato. Se le persone non ci arrivano culturalmente, deve pensarci la politica, le istituzioni, il sistema turistico: serve un cambiamento strutturale e quindi anche nell’offerta. Ad esempio le Dolomiti hanno luoghi meravigliosi e incontaminati, dove si può andare nel rispetto della natura facendo un’esperienza unica. Perchè allora tutti si ammassano sempre negli stessi posti? Bellissimo il lago di Braies, ma non ha senso convogliare solo lì tutto il turismo». I suoi romanzi guidano i lettori a sviluppare conoscenza, sensibilità e passione verso la natura, il territorio, la montagna. I libri possono aiutare a cambiare abitudini e salvare il pianeta in cui viviamo? «La narrativa certo può sensibilizzare a migliorare il rapporto con l’ambiente. La difesa dell’ecosistema richiede però un’azione culturale che coinvolge più aspetti, educazione civica e ambientale, progetti didattici e culturali mirati».
Trentino | 3 Dicembre 2020
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Maturi: «Si deve riflettere sulla monocultura-sci»
elena baiguera beltrami
madonna di campiglio Il Carlo Magno Hotel Spa Resort appare robusto e imponente dietro una curva della statale 239 che da Madonna di Campiglio sale verso Campo Carlo Magno. Una storica residenza alberghiera acquistata negli anni 50 dalla famiglia di Franco Maturi al rientro in patria dopo un lungo periodo di emigrazione negli USA. Oggi la struttura è quel che si definisce un "hotel di destinazione internazionale", dotato di un comparto servizi tra i più completi dell'offerta turistica provinciale, una delle poche strutture dell'arco alpino di queste dimensioni a essere rimasta saldamente in mano alla famiglia dei proprietari. Anche dal punto di vista delle dimensioni il Carlo Magno rappresenta un colosso: 145 camere, con molte suite e camere familiari a fronte di oltre 70 dipendenti. A condurlo, dopo la prematura scomparsa del marito, è Liliana Maturi, alla quale in questa situazione difficile per il turismo invernale abbiamo voluto rivolgere qualche domanda.Innanzitutto, come ha accolto la notizia di questa cancellazione totale della vacanza natalizia?«Non c'è altro da fare, dispiace per il blocco anche della mobilità tra regioni, sarebbe stata un'occasione per far conoscere una montagna diversa, senza code, assalti ai rifugi, agli impianti, meno caotica, a mio avviso, più apprezzabile, c'è moltissima gente che non scia. In ogni caso con la salute non si scherza, sono stata forse l'unica albergatrice durante la prima ondata in febbraio a telefonare all'assessore Failoni perché fermasse la stagione. Gli alberghi si sono attrezzati con investimenti per garantire la sicurezza, ma se qualcuno si contagia fuori, potrebbe portare il virus all'interno dell'albergo e allora sarebbe davvero un disastro».L'assessore Failoni ha proposto l'accesso a strutture ricettive e impianti sciistici solo con una prenotazione in albergo, o in appartamento: era una buona mediazione?«A mio avviso no, era una soluzione che si prestava a essere facilmente aggirata, ci voleva una task force di controllo imponente, forze dell'ordine a bloccare gli ingressi giorno e notte. Inoltre il furbo che tenta di aggirare i divieti c'è sempre. E poi ci sono altri problemi in questo momento, legati agli infortuni sugli sci: avremo ancora per un po' di tempo gli ospedali occupati dai pazienti Covid, se qualcuno si fa male come facciamo a garantire cure adeguate?»Saranno ingenti i danni per la sua azienda a causa di questi provvedimenti?«I danni saranno molto ingenti per tutti, ma una situazione come questa deve far riflettere sulla monocultura dello sci. Alzando lo sguardo a Madonna di Campiglio non c'è un angolo di cielo senza, funi, cavi, ponti, cantieri, le nostre montagne hanno subìto troppe aggressioni. Le emergenze ormai sono la normalità: climatiche, ambientali, economiche e la politica turistica va declinata diversificano e ampliando le stagioni della vacanza. Altrimenti sarà tutto il comparto della montagna a trovarsi in difficoltà in futuro. Pensiamoci ora, perché forse è già troppo tardi».©RIPRODUZIONE RISERVATA
Corriere delle Alpi | 3 Dicembre 2020
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L'alto rischio del "de profundis" dei monti «Data certa e indennizzi modello tedesco»
Francesco Dal Mas ARABBA «Prepariamoci a recitare, domani (oggi per chi legge, ndr), il "de profundis". Di neve ne è caduta poca, speriamo nei 40 centimetri previsti domani e il resto tra sabato e domenica. Ma se fino al 10 gennaio non potremo aprire le piste e se resteranno chiusi anche gli alberghi e i ristoranti, la montagna può prepararsi davvero a celebrare il suo funerale». A raccogliere l'allarme della sua gente è Leandro Grones, sindaco di Livinallongo, oltre che albergatore. Anche ieri, peraltro, i gatti delle nevi si sono arrampicati lungo le piste deserte per battere la coltre bianca caduta. E proprio Arabba annuncia che a partire dalla vigilia dell'Immacolata, il 7 dicembre, Dpcm permettendo aprirà la seggiovia tra Campolongo e Bec de Roces, con la pista Campolongo e Rutort, ma, ben s'intende, soltanto per gli atleti e gli sciclub Fisi, ovviamente previa prenotazione. Ciò che sta facendo anche il Col Gallina, sopra Cortina: E che nei prossimi giorni farà la skiarea Falcade Pellegrino, mettendo a disposizione la "Violata" da Col Margherita.Tutti, sulle Dolomiti, sono in attesa del Dpcm che varrà dal 4 dicembre. E di quanto potranno ottenere i governatori regionali nella trattativa dell'ultimo minuto. «Non chiediamo di aprire domani mattina con 600 morti al giorno, come tanti dicono in questi giorni. Però» ha detto la presidente nazionale dell'Anef (Associazione Nazionale Esercenti Funiviari), Valeria Ghezzi in un incontro promosso a Roma dalla stampa estera «la nostra attività, per le caratteristiche intrinseche degli impianti, non si apre girando una chiave e necessita di programmazione. Se ci dicono di aprire il 15 gennaio, dobbiamo saperlo almeno un mese prima per avviare la parte tecnica. Abbiamo capito che non si apre a Natale, ma abbiamo bisogno di una data certa per aprire a gennaio o di una certezza sulla non apertura, per evitare di affrontare a vuoto ulteriori spese». «Siamo in contatto con gli altri paesi europei attraverso la Fianet, la nostra associazione europea. I problemi sono gli stessi per tutti in ogni paese: la sopravvivenza delle comunità, il lavoro e gli stagionali», ha aggiunto. Renzo Minella, presidente regionale degli impiantisti, anche ieri è stato sul Pellegrino, dove i suoi sono già al lavoro. «Prepariamo le piste con la neve che il buon Dio ci manda, ancora poca per la verità. Sappiamo che non apriremo fino ai primi di gennaio. Ma ciò che ancora non sappiamo - insiste - è la certezza del ristoro, degli indennizzi».Il fatturato degli 80 impianti della regione è di 60 milioni, quello dell'indotto cuba almeno mezzo miliardo. «Perdere il primo mese di attività, comprensivo del ponte di Sant'Ambrogio e delle festività, significa vedersi tagliare un terzo del fatturato, intorno ai 170 milioni di euro. Ma in alcune località la perdita può arrivare al 50%, addirittura superarla». Quindi? «Quindi ristori a manetta, come in Germania, dove lo stato garantisce la copertura del 75% delle perdite rispetto agli introiti del
corrispondente mese dell'anno passato».Ghezzi, dal canto suo, ha ribadito a Roma, ancora una volta, i numeri che rendono questo comparto così importante per l'economia del nostro paese e di alcune regioni in particolare. «Il nostro settore fattura 1, 2 miliardi all'anno, di cui 400 milioni arrivano dal periodo natalizio. Abbiamo 15mila dipendenti, di cui 5mila a tempo indeterminato e 10mila stagionali. Per i primi ci può essere la cassa integrazione, per i secondi non c'è alcuna tutela», ha ricordato la presidente Anef. «Con l'indotto si arriva a un fatturato di 11 miliardi, con oltre 120mila dipendenti e la percentuale di stagionali aumenta fino all'80%. Parliamo di famiglie intere che lavorano nel settore e rischiano di restare senza reddito. Questo conta più dell'aspetto sportivo. Sono rimasta sbalordita dall'idea di chiudere gli alberghi, anche perché finora non sono mai stati chiusi, neanche a marzo. Non capisco perché ci sia tanto accanimento, la coda per entrare nel centro commerciale è uguale a quella che si fa per la cabinovia. Anzi, in questo caso viene fatta in maggior sicurezza, all'aria aperta. Forse» ha sottolineato Ghezzi «manca una conoscenza dell'economia della montagna, che invece le Regioni hanno mostrato di comprendere e le ringrazio per l'aiuto che ci stanno dando». Ma i ristori non sono sufficienti. L'Anef fa parte di Confustria Dolomiti e Minella rilancia le richieste presentate nei giorni scorsi dalla presidente Lorraine Berton. Dalla parziale compensazione delle riduzioni di fatturato - da calcolare sui mesi di effettiva chiusura o di limitazione dell'attività (es. novembre, dicembre, ecc.) alla moratoria sui mutui e sui leasing. Dalla riduzione del cuneo fiscale (costo del lavoro) in caso di apertura in condizioni di limitata attività (blocco dei turisti stranieri, limitazione agli spostamenti tra regioni dei turisti italiani) alla sospensione o riduzione degli adempimenti fiscali, alla garanzia del trattamento di cassa integrazione per i lavoratori fissi e l'introduzione di ammortizzatori sociali e misure di sostegno al reddito per gli stagionali. «Sono ipotesi di lavoro che però vanno subito messe in campo, se vogliamo tutelare e dare un futuro all'industria turistica delle nostre montagne» chiosa Berton. --Francesco Dal Mas
Corriere delle Alpi | 4 Dicembre 2020
p. 9
Sulle piste dal 7 gennaio: ma occorre approvare le linee guida per aprire
FALCADE Si potrà tornare a sciare dal 7 gennaio. È quanto prevede il Dpcm che entrerà in vigore da oggi e sarà valido fino al 15 gennaio. «Sono chiusi gli impianti nei comprensori sciistici - vi si legge -; gli stessi possono essere utilizzati solo da parte di atleti professionisti e non professionisti, riconosciuti di interesse nazionale... per permettere la preparazione finalizzata allo svolgimento di competizioni sportive nazionali e internazionali o lo svolgimento di tali competizioni. Dal 7 gennaio, gli impianti sono aperti, agli sciatori amatoriali», con l'adozione delle linee guida di Regioni e Province autonome validate dal Cts. I giovani che devono allenarsi possono usufruire, al momento, delle piste del Col Gallina e Monte Croce Comelico, da domani anche di quelle sul Campolongo (Funivie Arabba), dalla fine della prossima settimana sarà attiva pure la "Volata" sul Col Margherita. Per quanto riguarda l'apertura degli impianti agli sciatori amatoriali, i presidenti di regione hanno chiesto ieri pomeriggio al presidente del Consiglio, rassicurazioni circa la tempestiva valutazione e approvazione delle linee guida da parte del Cts, (di cui alla bozza già trasmessa dalle Regioni lo scorso 23 novembre). «Lo sollecitano gli stessi impiantisti - conferma il presidente regionale dell'Anef, Renzo Minella - perché facciamo sì il sacrificio di saltare le festività e di aprire il 7 gennaio, ma vorremmo sapere a quali condizioni. Se, infatti, continueranno ad imporci il dimezzamento del trasporto negli impianti, il numero chiuso e il tracciamento nei comprensori, ciascun operatore dovrà valutare puntualmente la convenienza della riapertura». Minella si dice fiducioso, perché riscontra una sempre maggior voglia di ritornare in montagna. L'Anef, in ogni caso, fa sapere di aver tirato ieri un sospiro di sollievo, perché con la data fissata al 7 gennaio si dà quantomeno un inizio certo alla stagione sciistica e si permetterà a tutti gli operatori del settore, dagli impiantisti, ai ristoratori, agli albergatori di organizzare gli investimenti e le assunzioni per l'inverno. Ieri al passo san Pellegrino gli albergatori hanno tenuto una riunione con i responsabili degli impianti. La preoccupazione manifestata è stata notevole, anche se nell'area saranno possibili lo scialpinismi, le ciaspole, le lunghe camminate. Tra l'altro gli operatori sono preoccupati della chiusura dei confini tra regioni. --F.D.M.
Alto Adige | 6 Dicembre 2020
p. 34
«È impensabile un inverno senza lo sci»
Ripartirà lo sci? Quando? Come? Si parla di far cominciare la stagione dopo le feste di Natale e l'epifania, ma questo rinvio o la temuta cancellazione dell'inverno turistico quali danni comporteranno o comporterebbero per operatori, albergatori e per tutti i lavoratori che intorno al mondo dello sci e dello sci vivono? E ancora: ha senso una proposta come quella fatta da Messner, della montagna senza lo sci? A queste e altre domande hanno cercato di dare una risposta con una diretta Facebook l'onorevole Mauro Della Barba, Stefania Gander, coordinatrice provinciale di Italia Viva, ed Ennio Chiodi nella duplice veste di giornalista e albergatore. I dati emersi in circa
un'ora di conversazione e le domande di alcuni spettatori sono allarmanti, partendo dal fatto che il turismo in Alto Adige produce il 16% del prodotto interno e che ci sono circa 10.000 imprese turistiche che danno lavoro a 27-30.000 persone. Solo durante la stagione invernale si registrano 12,5 milioni di pernottamenti, con un fatturato che si aggira sui 2 miliardi. "Sciare è sicuro, non è come andare in discoteca - ha detto Chiodi - Per salire sugli impianti con gli sci ai piedi, il distanziamento è ovvio, senza sci si entra uno alla volta. Le corse sono brevi, si possono effettuare con la metà della capienza abituale. Inoltre tutti avranno la mascherina e le finestre resteranno aperte". Al blog ha preso parte anche Paolo Cappadozzi, presidente degli impiantisti del comprensorio Val Gardena-Alpe di Siusi. "È impensabile e irrealizzabile - hanno sostenuto tutti - una stagione invernale senza impianti di risalita". Per poter sopravvivere, gli impianti ("Ormai sul filo del rasoio", è stato detto) devono poter registrare almeno la metà dei passaggi. Meno non avrebbe senso: i costi fissi sono enormi, a cominciare dall'innevamento già partito su tutte le piste, e poi il personale addetto al funzionamento, la gestione, la sicurezza. E poi c'è l'indotto: ogni euro speso in impianti si moltiplica per 8-10. Solo il Superski Dolomiti fattura 360 milioni di euro. A questo va aggiunto tutto l'indotto che va dal commercio all'edilizia, dai servizi alle persone all'artigianato. E poi le riparazioni, le assicurazioni, le officine meccaniche, i servizi alle persone, dalle cliniche ai massaggiatori e via dicendo. Come ha sottolineato Della Barba, "bisogna aprire in assoluta sicurezza. Il Governo ha a cuore la situazione di tutte le zone alpine che vivono sul turismo". Adesso non resta che attendere cosa deciderà appunto il governo.
Trentino | 10 Dicembre 2020
p. 19
Delladio agli impiantisti: un patto sullo scialpinismo
andrea selva trento «Troviamo un accordo tra scialpinisti e impiantisti per l'utilizzo delle piste, a particolari condizioni, anche per la risalita con le pelli di foca». L'appello arriva da Lorenzo Delladio, titolare de La Sportiva, già protagonista del dibattito su ambiente e turismo quando tre anni fa lanciò l'idea di un "parco per l'outdoor" a passo Rolle. E ora, leggendo sui giornali, l'ennesimo capitolo che vede contrapposti i due mondi (ne abbiamo dato conto sul Trentino di ieri), rilancia un tema che gli sta a cuore: «Lo scialpinismo è un fenomeno in crescita, si tratta di una tendenza che va oltre l'emergenza sanitaria attuale e che emerge chiaramente anche dai nostri dati aziendali. C'è una domanda in crescita per questo genere di esperienza e - soprattutto in caso di assenza di neve - non vedo perché non consentire agli scialpinisti di frequentare le piste da sci, naturalmente in sicurezza, negli orari previsti dalle funivie e ovviamente pagando anche un prezzo, perché è giusto garantire una remunerazione per chi pensa all'innevamento».Quanto al fatto di aprire le piste agli scialpinisti anche ora, in emergenza Covid, con abbondante neve naturale e con i bollettini valanghe che indicano un rischio elevato di distacchi nevosi, Delladio frena: «La sicurezza prima di tutto - spiega - gli impiantisti hanno le loro ragioni, i gatti delle nevi in azione rappresentano un pericolo. Quello a cui penso io va oltre l'emergenza attuale: mi immagino piste aperte agli scialpinisti la sera, magari a turno, un giorno in un comprensorio e un giorno in un altro, con gli sciatori che salgono facendosi luce con le lampade frontali e poi - perché no? - possono essere un'occasione di reddito per i rifugi che credono in questo progetto. Una sorta di "palestra" a cielo aperto dove gli appassionati potrebbero allenarsi in sicurezza». Insomma una sorta di prodotto turistico-sportivo alternativo, sicuramente a basso costo, che anche le Apt potrebbero pubblicizzare. Anche perché - come insegnano gli esperti di marketing - l'effetto novità premia chi agisce per primo.Quanto ai puristi dello scialpinismo nessun problema: «Ognuno fa le sue scelte» continua Delladio. «L'altro giorno sono salito a Bellamonte e ho visto gente salire in pista, mentre io sono andato nel bosco. Poi è chiaro che al momento di scendere può essere più comoda la pista. L'importante è che ci sia un sistema di regole e che ci sia chi le fa rispettare. Sono convinto che molti scialpinisti - ripeto: soprattutto quando non c'è neve naturale - sarebbero disposti a mettere mano al portafogli per questo, a vantaggio di chi sostiene i costi per la produzione di neve artificiale». E Delladio lancia un appello anche alla politica: «Penso che siamo di fronte a un fenomeno nuovo, le persone che chiedono questo sono in aumento, servono norme nuove e la politica non può chiamarsi fuori. Agli imprenditori delle funivie (che magari considerano gli scialpinisti solamente una scocciatura) suggerisco invece di vederli come un'opportunità».
Corriere delle Alpi | 12 Dicembre 2020
p. 8
«Un hotel su due non aprirà per le feste»
BELLUNO
Più di un albergo su due rimarrà chiuso a Natale e a Capodanno. A meno che non si liberalizzino i confini tra i Comuni il 26 dicembre, giornata solitamente di arrivi, e il 1° gennaio, data dei primi rientri. Lo fa sapere il presidente provinciale di Federalberghi, Walter De Cassan.«Se passiamo il Natale indenni, a mio avviso progressivamente potranno essere riaperte alcune attività, la strada sarà in discesa e potremo allentare la morsa. Ad esempio i ristoranti, i campi da sci potranno riaprire», ha aperto ieri uno spiraglio Pierpaolo Sileri, viceministro della Salute.«Ma noi albergatori», obietta un altro De Cassan, Maurizio, da Malga Ciapela, ai piedi della Marmolada, «non possiamo aprire il giorno dopo l'eventuale annuncio: dobbiamo riscaldare e far venire il personale». Intanto gli albergatori cominciano a ricevere le ultime disdette, quelle dei resistenti. Oppure, in tanti casi, sono loro stessi ad avvertire i clienti che non sono nelle condizioni di aprire. La maggior parte delle attività sarà pronta all'accoglienza subito dopo il primo dell'anno - attesta De Cassan - a cavallo del 7, la fatidica data dell'avvio dello sci. Luca Dal Poz, direttore di Confcommercio, fa sapere che l'associazione si è attivata da settimane a tutti i livelli. «Siamo attivi sul fronte politico, coinvolgendo in prima istanza il ministro D'Incà e poi gli altri parlamentari. C'è incertezza estrema», afferma, «su cosa potranno o meno fare gli alberghi a Natale: dal cenone di Capodanno alle indicazioni ai propri clienti sugli spostamenti, dalla confusione sui servizi accessori alla ricettività all'impossibilità per le strutture prive di servizio di ristorazione di poter far cenare i propri ospiti nei locali dei paesi che devono dal canto loro chiudere alle 18. Registriamo quotidianamente decine di telefonate da associati giustamente esasperati».«Ma vi pare mai ipotizzabile», interviene Walter De Cassan, «che la clientela possa scegliere strutture presso le quali sono poi costrette a consumare la cena del 31 dicembre in camera o a recuperare un trancio di pizza da asporto?».Altra chiarezza viene sollecitata al governo per capire quale sarà da gennaio il regime di ingressi in Italia.«Noi, qui ad Alleghe, quindi sul Civetta e nello Zoldano, abbiamo le settimane bianche garantite solitamente dagli amici dell'est europeo», rileva l'abergatore Sergio Pra, «vorremmo essere messi nelle condizioni di poter programmare. Ci preoccupa, in ottica settimane bianche, e quindi in modo particolare per i mesi di febbraio e marzo, il regime di ingresso in Italia ; ad oggi nulla è dato a sapersi rispetto agli scenari che ci attendono da metà gennaio». Aggiunge De Cassan: «Se si pensa di mantenere l'obbligo di quarantena per chi entrerà in Italia per turismo possiamo metterci il cuore in pace... Scenario che non voglio neppure immaginare. Chi decide a livello governativo non si rende conto di cosa significhi programmare una stagione, organizzare assunzioni, aprire prenotazioni, pensare a strategie di accoglienza; non si rende conto di cosa significa rapportarsi con un mercato sovralocale, sovranazionale».Proprio il ministro D'Incà una certezza l'ha anticipata: a gennaio arriveranno i ristori. «Rivendichiamo supporti importanti sul fronte di una necessaria e "pesante" defiscalizzazione», sottolinea il presidente di Federalberghi, «per dare ossigeno al settore e permettergli di ripartire quando vi saranno le condizioni». --francesco dal mas
Corriere delle Alpi | 13 Dicembre 2020
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Impianti di sci: «Vogliamo le linee guida»
Francesco Dal Mas ARABBA «Prima di Natale il Governo o il Comitato tecnico scientifico dovranno darci le linee guida per la prossima stagione, altrimenti non riusciamo a partire il 7 gennaio». Andy Varallo è il presidente del Dolomiti Superski, che intercettiamo durante il sopralluogo alla pista della Coppa del Mondo in Val Badia. In questi giorni nel mondo dello sci si comincia a temere che non tutto vada per il verso giusto per la riapertura.Intanto è così sicuro che il 7 si riapra? «Perché me lo chiede? Lo prevede il Dpcm». Ma se i contagi non si riducono drasticamente...«In effetti questa è la grande paura di noi impiantisti. Non vorremmo che la tanta voglia di tornare in montagna rovinasse tutto. Ricordo che fino al 7 gennaio le ski area sono chiuse». Evidentemente il Comitato tecnico scientifico, prima di prendere in esame e di pronunciarsi sulle linee guida che avete proposto vuol verificare che cosa succederà nei prossimi giorni.«Noi siamo doppiamente preoccupati. Sia per i contagi in aumento che per il silenzio che... ascoltiamo da Roma. La stagione sulla neve va programmata. Dobbiamo sapere se si parte o no. E come si parte. Ma dobbiamo saperlo per tempo. Le nostre società devono procedere all'assunzione degli stagionali, debbono fare anche determinati ordini e le aziende tra Natale e Capodanno non lavorano». Insomma non possono dettarvi le norme di comportamento il 2 gennaio o, peggio ancora, la sera della Befana? «No, evidentemente. Pretendiamo di essere rispettati nel nostro lavoro. Proprio noi che non abbiamo fatto nessun problema a farci carico della chiusura per un mese della stagione. Non abbiamo sollevato nessuna eccezione. Abbiamo chiesto soltanto due cose: che ci avvertano per tempo e che quanto prima ci facciano sapere dei ristori. Anzi, le dirò di più...»Che la vostra responsabilità è andata oltre? «Appunto. Abbiamo detto che non siamo d'accordo, anche perché ci deriverebbe un danno, aprire le piste solo per i residenti, oppure per i residenti e di villeggianti, o ancora per gli iscritti agli sci club. So che da più parti vengono avanzate proposte come queste, ma non si possono fare deroghe. Di nessun tipo, altrimenti di deroga in deroga non si sa dove si va a finire». Ma aprire le piste agli sciatori che si preparano alle gare? «È evidente che si può, anzi si deve fare. Ma il controllo deve essere massimo. Chi scia va certificato».Ieri sono state aperte numerose piste di sci da fondo. «Bene, immagino però che anche queste siano sottoposte a vigilanza, in modo che siano rispettate tutte le norme comportamentali. Insomma, se il sistema è chiuso, deve rimanere inattivo, salvo le eccezioni che si è detto, ma anch'esse sono da certificare. Altrimenti non se ne esce più. E noi vogliamo uscirne».C'è chi vorrebbe poter utilizzare le
piste per salire con le ciaspole o con lo sci alpinismo. «Che nessuna si permetta di entrare nei nostri cantieri di lavoro. È pericolosissimo. Sia, appunto, perché i nostri collaboratori sono al lavoro e stanno letteralmente faticando. Sia perché trattandosi di cantieri aperti possono avere elementi di insicurezza, per esempio le reti sono in sostituzione, là dove sono rotte. E poi si sta spalando neve sugli impianti, nelle stazioni. In ogni caso vorrei aggiungere una considerazione: attenzione che le valanghe sono in agguato». La neve abbondante è stata una grazia, perché altrimenti le vostre società si sarebbero dovute "spennare". Avete calcolato quanto state perdendo con la chiusura del ponte all'inizio della settimana appena trascorsa.«Come ho dichiarato in questi giorni, la perdita degli stagionali e del pubblico tra Sant'Ambrogio, l'Immacolata e Natale significa che per le nostre società è andato in fumo il 25/30 per cento del fatturato, a fronte di spese già sostenute per il primo innevamento (35 milioni considerando la spesa aggregata di Superski). Questo ci farà male, ma la salute è una priorità per tutti».Lei ha anche auspicato che per lo sci vengano adottati protocolli europei.«Fin dal marzo scorso noi siamo al lavoro per garantire la massima sicurezza. Ma dal 7 gennaio vorremmo ripartire su scala europea con protocolli chiari e snelli. Vogliamo pertanto conoscere le regole del gioco. Ma, sia chiaro, regole che non vengano rimesse in discussione tra un mese». --© RIPRODUZIONE RISERVATA
Gazzettino | 13 Dicembre 2020
p. 2, edizione Belluno
«Temiamo il Far West su una montagna non governata»
BELLUNO In attesa della vera riapertura, i comprensori bellunesi hanno iniziato ad rendere le piste disponibili agli atleti. Si tratta ovviamente di pochi tracciati, quelli omologati per allenamenti e competizioni, rigorosamente off limits per il grande pubblico. I semplici appassionati dovranno attendere il 7 gennaio, nuovi dpcm permettendo. «Grazie alle copiose nevicate di questi giorni riusciamo a dar seguito alle richieste della Fisi conferma Renzo Minella, presidente di Anef Veneto, l'associazione degli esercenti funiviari -. Nei vari comprensori bellunesi ci si è attrezzati per dare la possibilità a tutte le categorie di agonisti, dai baby ai master, di svolgere gli allenamenti. Il tutto seguendo i rigidi protocolli ideati da noi e dalla Fisi stessa: non è una cosa particolarmente complessa da mettere in atto perché si tratta di gestire gruppetti di 40 50 persone. È un impegno che tutte le aree sciistiche bellunesi vogliono onorare e non certo per una questione di ritorno economico. Anzi, lo si fa con spirito di collaborazione, per sostenere l'attività sciistica soprattutto dei ragazzi. Se dovessimo guardare i conti sarebbe subito palese che il bilancio è in rosso, che ci rimettiamo perché così non copriamo nemmeno le spese».
LINEE GUIDA
In attesa della grande apertura del 7 gennaio, gli impiantisti stanno ancora attendendo che il Comitato tecnico scientifico validi le linee guida da adottare per evitare aggregazioni di persone e, in genere, assembramenti nelle stazioni invernali. «Sarebbe importante che il protocollo validato arrivasse prima di Natale in modo da avere il tempo per analizzarlo e per organizzarci», dice Minella. In questo periodo interlocutorio, non mancano le preoccupazioni che riguardano il possibile assalto alla montagna da parte di tanti turisti attratti dal paesaggio innevato: «Temiamo il far west su una montagna non governata. Ciò potrebbe avvenire già questo weekend e soprattutto a Natale. In tanti si improvviseranno scialpinisti, ciaspolatori o escursionisti d'alta quota, magari causando incidenti e appesantendo ancor di più la macchina dei soccorsi e gli ospedali già allo stremo», dice Minella. I rischi sono correlati in particolare al pericolo di valanghe e al fatto che sulle piste si sta lavorando per avviare la stagione, con i mezzi in azione. Per questi motivi Dolomiti Superski il consorzio che raggruppa i principali comprensori delle Dolomiti, tra cui Cortina, Ski Civetta, Arabba, Marmolada, Falcade/San Pellegrino e Ski Area Colemico/Tre Cime» - ha diffuso sui suoi canali social un accorato appello ai turisti: «A causa delle abbondanti nevicate dei giorni scorsi, il pericolo di valanghe è particolarmente alto! Ricordiamo agli scialpinisti e agli escursionisti che tutti i comprensori sciistici del Dolomiti Superski sono chiusi fino al 6 gennaio 2021. Ciò significa che le piste da sci sono chiuse e quindi non percorribili. Sulle piste da sci sono in corso lavori di preparazione con i gatti delle nevi con verricelli e argani, che rappresentano un elevato rischio. Le aree sciistiche sono da considerare alla stessa stregua del territorio alpino incontaminato. Il soccorso alpino sconsiglia escursioni scialpinistiche in questi giorni, in cui il grado di pericolo è molto alto a causa dell'enorme quantità di neve fresca». Andrea Ciprian
Corriere delle Alpi | 14 Dicembre 2020
p. 18
La stagione dello sci è ancora in forse Minella preoccupato ma resta ottimista
Francesco Dal Mas FALCADE L'Anef lancia l'allarme. «Ho la sensazione che le piste da sci non ce le fanno aprire neppure il 7 gennaio. Ancora troppi i contagi e i comportamenti pre-natalizi nelle città non depongono a nostro favore». Renzo Minella, presidente regionale dell'Associazione degli impiantisti, è ottimista di natura, ma questa volta si lascia catturare da qualche dose di pessimismo. «Riscontro, come ha anticipato il presidente di Superki Dolomiti, Andy Varallo, che c'è qualche ritardo di troppo nel licenziare le linee guida da parte del Comitato tecnico scientifico. Non vorrei che si stiano facendo l'idea che la montagna non è pronta». Minella ha trascorso un fine settimana all'insegna della preoccupazione. Temeva per sabato, tanto più per ieri. Era allarmato del possibile assalto "disordinato" alle piste da sci, ai sentieri, ai rifugi, alla montagna incustodita, perché, tutto sommato, gli 80 impianti del veneto sono anche un presidio di sicurezza, essendo vigilati quando sono attivi. Ieri sera ha tirato mezzo sospiro di sollievo. «Tutto sommato non ci sono stati incidenti, non abbiamo contribuito ad intasare gli ospedali. Mi dispiace, però, che da tante parti i villeggianti non abbiano trovato esercizi aperti». A Falcade, ad esempio, i ristoranti aperti ieri erano pochissimi e tutti con le prenotazioni. Il caso più singolare è di un rifugio al passo Duran, i cui gestori hanno chiuso per il timore di assembramenti. Tra sabato ieri hanno ricevuto più di 50 prenotazioni. «In queste ore mi sto chiedendo, ad esempio, se è saggio consentire la mobilità, ma non favorire al tempo stesso la disponibilità dei necessari servizi» ammette Minella, che ha impegnato il pomeriggio di ieri per avere riscontri delle presenze nelle diverse località della provincia. «Ho saputo della massiccia frequentazione a ridosso della pianura, dal Cansiglio al Nevegal, dal monte Avena a Croce d'Aune. Mai vista tanta gente, mi hanno detto. Speriamo, adesso, che non ci siano riscontri sul piano dei contagi. Mi hanno detto, peraltro, che dappertutto sono state rispettate le norme, dalla mascherina al distanziamento, passando per l'igienizzazione. Con qualche fatica, è vero, soprattutto nei rifugi d'alta montagna, dove magari la gente si sente più libera. Però adesso aspettiamo con ansia che il Cts, il Governo, le Regioni, battano un colpo». Già ieri il presidente Anef ha scritto all'assessore regionale Caner. Tra oggi e domani, insieme ai vertici dell'Associazione, sentirà Roma. «Vogliamo anzitutto capire se sono intenzionati o no ad aprire la stagione invernale. E se lo sono a passarci le linee guida». Mancano poco più di tre settimane, attraversate dalle feste. «Non ci possono far assumere gli stagionali all'ultimo momento. Se apriamo, abbiamo delle commesse da fare, dei rifornimenti da procurare. Non basta che in qualche modo battiamo le piste e sgomberiamola neve dagli impianti. C'è un capitolo complesso e delicato che richiede molto tempo. Area ski per area bisognerà contrattare con l'Usl di riferimento il numero di sciatori che sarà possibile accogliere. Ci vogliono due settimane solo per definire questo piano. Di tempo, dunque, ce n'è poco».La sensazione è che la risposta del Cts sulla proposta inoltrata non arriverà nemmeno entro questa settimana, proprio perché la situazione dei contagi lascia a desiderare. E l'Anef con Minella, per la verità, non ha mai contestato che la priorità sia la salute.
L’Adige | 15 Dicembre 2020
p. 32
«Nuova strada per il turismo»
MARIO FELICETTI VALLE DI FIEMME Si è tenuta venerdì scorso, in videoconferenza, l'assemblea annuale gli albergatori della valle di Fiemme, alla vigilia di una stagione invernale sicuramente problematica e con molti interrogativi. Ne ha parlato nella sua relazione il presidente Diego Zorzi , ricordando quanto successo alla fine della scorsa stagione invernale conclusa in anticipo, e durante l'estate, andata meglio dei previsto, anche se non del tutto soddisfacente, mentre ora si guarda all'inverno con tutte le incognite che si conoscono. «Tuttavia - ha detto Zorzi - non dobbiamo abbatterci, ma prendere la situazione di petto e andare avanti. Ci aspettano settimane difficili, ma questo è il tempo di investire nella progettazione di un turismo rivolto al futuro. Stiamo vivendo - ha puntualizzato - grandi momenti di cambiamento, a partire da quelli climatici e dal tipo di clientela. Lo sci resterà il nostro punto di riferimento ma da qui dobbiamo iniziare ad intraprendere anche un nuovo tipo di turismo, diversificando i servizi, andando alla ricerca del cliente adatto a noi, imparando a comunicare in modo diverso e continuando a formarci, punto fondamentale per il nostro arricchimento». Il presidente ha poi richiamato i recenti cambiamenti al vertice dell'Apt, dicendosi «orgoglioso che, per la prima volta, ci sia alla guida, come presidente, una persona (Paolo Gilmozzi, ndr) che è diretta espressione della nostra associazione e che abbiamo voluto fortemente. Grazie alla collaborazione con tutti i consorziati dell'Apt, dai Comuni fino ai soci privati, ci siamo fatti trovare pronti alle sfide del futuro, a partire dall'emergenza Covid, alla legge provinciale sul turismo, alle Olimpiadi del 2026». Ribadendo come «la nostra associazione vuole creare una rete sempre più forte fra tutti i comparti economici della valle, con la regia dell'Apt, anche in vista dell'appuntamento con le Olimpiadi che devono essere il nostro punto di partenza e non d'arrivo». Zorzi ha richiamato la necessità, in questo momento difficile, di poter contare sul sostegno della Provincia e di avere «protocolli celeri
e certi dai nostri governanti», oltre a poter contare «su finanziamenti a lungo termine e a bassi costi per uscire dalla crisi e su norme congrue e sicure per l'aiuto ai collaboratori, a casa che aspettano l'evolversi della situazione». Per ribadire infine come «le normative anche a livello nazionale non ci consentano di dare un vero sostentamento a tutti noi e devono essere chiare, non cambiare oggi mese. E comunque - ha concluso - restiamo ottimisti e vediamo di lavorare insieme, in vista di tempi migliori». Nel successivo dibattito, sono intervenuti il presidente dell'Asat provinciale Giovanni Battaiola («il modello dello sci ha portato benessere e non bastano ciaspole, sci di fondo e cavalli; stiamo lavorando per chiedere mutui ventennali, ristori che affianchino quelli statali, un sistema di sostegno ai collaboratori che sono a casa senza lavoro, iniziative per attenuare il peso fiscale, la cancellazione dell'Imis e della Tari, guardando alle sfide del dopo Covid»), il direttore Roberto Pallanch («importante evitare la perdita patrimoniale delle aziende alberghiere e garantire interventi a favore dei dipendenti»), il presidente ed il direttore dell'Apt di Fiemme Paolo Gilmozzi e Giancarlo Cescatti , con un appello al coinvolgimento di tutti gli attori economici per lavorare in modo forte e coeso. All'incontro hanno partecipato anche Riccardo Turri , titolare della ditta Starpool, accompagnato da Francesca Eccel , per parlare del valore dei centri benessere negli alberghi, da vivere in sicurezza e relax.
Corriere del Trentino | 17 Dicembre 2020
p. 7, segue dalla prima
Piste da sci, ecco come cambiare Editoriale di Michele Andreaus
Senza i grandi numeri, i conti alla fine dell’anno non tornano, non potranno mai tornare. A questo punto abbiamo due alternative. La prima è basata sulla speranza che tutto torni bello come prima. Soffriamo un anno, poi il prossimo anno passa tutto. È una speranza che molti accarezzano perché, sperando, non siamo costretti a metterci in discussione e possiamo cullarci nella nostra comfort-zone, che è peraltro sempre più angusta. La seconda è che possiamo utilizzare questa crisi per plasmare il nuovo modello di sviluppo turistico del Trentino. Questo nuovo sviluppo deve partire dai punti di forza che siamo riusciti a raggiungere, con il coraggio di introdurre quelle discontinuità che, se non parte da noi, sarà l’evoluzione del contesto a farlo. Noi dobbiamo «vendere» le nostre unicità con l’obiettivo di massimizzare il nostro valore aggiunto, usare il turismo per valorizzare i prodotti del nostro territorio, in un’ottica di sistema. Se noi proseguiamo nel privilegiare la quantità alla qualità, non abbiamo molto spazio per valorizzare i nostri prodotti. Dobbiamo poi riuscire a valorizzare le nicchie: il turismo invernale non è solo Campiglio o la val di Fassa, ma anche molti posti incantevoli, magari non serviti da impianti di risalita. Certamente molti turisti vorranno sempre i grandi caroselli, ma la scorsa domenica, di sole e neve perfetta, ha visto le valli trentine letteralmente invase da ciaspole e pelli di foca. È vero, con gli impianti chiusi ci si butta su quello che si può fare. Non trascuriamo però questo fenomeno. Io mi aspetto che in futuro ci sarà una crescente fetta di turisti che apprezzeranno sciare su neve naturale, fuori dai grandi caroselli. Ecco quindi ad esempio, che da stazione marginale, Pejo 3000 potrebbe rappresentare una nicchia importante di attrattività. Nel mondo ci sono sciatori che cercano il fuori pista, le gobbe, che altro non sono se non le piste non battute. Perché non immaginare alcune stazioni con questa vocazione? Non si tratta di un turismo povero, perché sono sciatori che arrivano dal Canada o dalla Nuova Zelanda, quindi di un mercato ricco. Proviamo poi a recuperare il progetto Rolle di Delladio, non solo come progetto in sé, ma anche e soprattutto come filosofia. Non è infatti con la telecabina che sale da San Martino che si risolvono i problemi del Rolle: si tratta di alcune decine di milioni di euro di investimento e alcuni milioni di euro ogni anno di costi, che non si recupereranno mai con lo sci alpino. Oltretutto questo è un prodotto maturo, dove il numero di sciatori non aumenta e nuovi impianti e nuovi caroselli possono, semmai, solo spostare sciatori. Lasciamo allora lo sci dove questo ha una sostenibilità, anche e soprattutto economica, ma poi cerchiamo di concentrarci su quelle nicchie che possono consentirci di lavorare sia sulla qualità, sia sulla capacità di attrarre quei turisti che non sono e non saranno più attratti dai grandi caroselli. Il monoprodotto invernale non potrà più essere contemplato: troppo costoso, troppo rischioso, non sostenibile, né dal punto di vista economico, né tantomeno da quello ambientale. Se noi immaginiamo nei prossimi dieci anni lo sci in stazioni a quote inferiori ai 1400 metri, tanto varrebbe pensare subito agli ski-dome, in stile Dubai. Ecco, forse nelle tante prese di posizione che abbiamo letto in questi giorni, manca una visione di prospettiva. Si lavora sempre con lo sguardo sullo specchietto retrovisore, come se questa maledetta pandemia ci consentisse di riavvolgere il nastro. Non sarà così, temo, e risolta la pandemia sanitaria, ci sarà quella economica, con disoccupazione e debiti da pagare. Non diamo per scontato che l’Europa ci conceda i fondi Next Generation per fare funivie e campi sportivi: usiamo questi fondi per investimenti in grado di creare valore, non di distruggerlo .
Corriere dell’Alto Adige | 17 Dicembre 2020
p. 5
Sci, obiettivo 7 gennaio I paletti di Varallo «Cabinovie all’80% della capienza»
Lorenzo Fabiano BOLZANO Trentacinque anni, sempre più affascinante, desiderio di molti, conquista di pochi. È la pista Gran Risa, première dame all’Academy Awards dello slalom gigante. A La Villa è tutto pronto: domenica si parte con il tradizionale appuntamento delle porte larghe (prima manche alle 10 seconda alle 13.30), il giorno dopo tocca alle strette (prima manche alle 10 seconda alle 13). Una trentacinquesima edizione della classicissima, inevitabilmente diversa per le ben note ragioni. Senza pubblico, saranno le immagini in diretta televisiva a garantire lo spettacolo agli appassionati di tutto il mondo. L’arrivo della Coppa del Mondo di sci sulle Dolomiti, ci si augura possa essere da volano al via della stagione turistica con l’apertura degli impianti fissata al 7 gennaio. «In quota ci sono due metri di neve, la valle è pronta all’imminente apertura della stagione. Mai come quest‘anno lo scopo delle due gare di Coppa del Mondo è volto a sostenere la causa turistica invernale della valle. In una prossima stagione colma di incertezze, non possono mancare segnali di ritorno alla normalità — commenta Andy Varallo, presidente del comitato organizzatore, nonché di Superski Dolomiti —. Noi continuiamo a investire perché crediamo nel futuro dello sci. La montagna è viva». Varallo ha colto l’occasione per puntualizzare la posizione degli operatori in vista dell’apertura: «Abbiamo trovato disponibilità nei ministri, nel Cts e nella Fisi. L’apertura era prevista il 18 dicembre, con un protocollo approvato dalla Conferenza delle Regioni; abbiamo accettato di partire il 7 gennaio, la nostra parte di sacrificio l’abbiamo fatta. Il carico al 50% della capacità degli impianti non è però più sostenibile; chiediamo che per le cabinovie sia all’80%. Guanti, occhiali, mascherine: gli sciatori sono protetti, le cabine sanificate. Lo sci è sport che si pratica all’aria aperta, non siamo untori. Ribadisco che non è pericoloso, già in estate si è visto come gli impianti di risalita non siano focolai». Quanto a un possibile allungamento della stagione, Varallo tiene la porta aperta: «L’argomento è sul tavolo e ci stiamo ragionando, ma è impossibile anticipare una risposta prima di marzo». Il presidente di Superski Dolomiti lancia un appello: «È ingiusto basarsi sui dati dello scorso marzo. Fateci aprire, facciamo i test e poi saranno i numeri a dire se la montagna è pericolosa o meno».
L’Adige | 18 Dicembre 2020
p. 8
«L'avventura è anche a due passi da casa»
flavia pedrini f.pedrini@ladige.it Hervé Barmasse , forte alpinista valdostano e celebre guida alpina del Cervino, vive la montagna con lo spirito di un novello D'Artagnan. «L'uomo resta un ospite e gli alpinisti - dice - devono difenderla». L'approccio alla scalata è lo stesso dei grandi alpinisti del passato. Il 42enne di Valtournenche segue le orme tracciate da Walter Bonatti e Reinhold Messner, il re degli Ottomila, che parlando di lui ha osservato: «Tempo fa ho detto che l'alpinismo era fallito, ma oggi dico no, non è vero, perché ci sono giovani come Hervé Barmasse». Ecco perché, seppure dietro la spinta di un evento terribile come la pandemia, Barmasse si dice convinto che questa possa essere l'occasione per riscoprire un modo più autentico di vivere la montagna, ma anche di ripensare un modello turistico che non punti solo sui caroselli e abbia come bussola rispetto per l'ambiente e sostenibilità. L'alpinismo e, più in generale la montagna, da sempre, sono sinonimo di libertà. Come si possono vivere in questo momento, con i limiti e i divieti legati alla necessità di contenere l'epidemia? «I limiti che ci vengono imposti in montagna sono gli stessi imposti a tutti sul territorio italiano. Ma si è visto questa estate e lo dimostra anche la possibilità di ciò che sarà la stagione futura invernale: la montagna, secondo me, ci predispone a rispettare le regole, senza indurre le persone agli assembramenti. I grandi spazi, la natura incontaminata, danno la possibilità di vivere in modo autentico la montagna, purtroppo anche lontano dalle piste da sci. Dico purtroppo, perché sappiamo benissimo che ci sono località che hanno improntato tutto sullo sci su pista e se questa attività viene tolta, ne subiscono gravi danni economici. Ma ricordo che gravi danni economici si stanno vivendo in tutti i settori in Italia». La montagna, insomma, non sono solo le piste da sci. «Possiamo vivere la montagna come i nostri antenati, i miei nonni, i bisnonni, che lo facevano in un modo che definirei più "sobrio", frequentandola con passeggiate, con lo scialpinismo, con le ciaspole, le racchette da neve, prendendosi il tempo per godersi il
panorama e il sole. C'è un altro modo di muoversi in montagna. E questa estate ne abbiamo avuto la prova. Chi ama la montagna non la lega solo agli impianti da sci. E questo, aggiungo, potrebbe essere anche un momento di riflessione». Su un modello diverso di turismo montano? «Le località in montagna, con l'eccezione di quest'anno, che quasi vuole farsi beffa di questa situazione, non vivono più inverni con tanta neve. Dunque si dovranno comunque ripensare la montagna e il turismo. Non possiamo credere di continuare a vivere nei prossimi anni offrendo solo, come portata principale, lo sci su pista. E c'è un altro aspetto». Quale? «Come ho detto in una recente riunione fatta per i soci del Cai, noi - parlo dei professionisti della montagna e di chi gestisce le località turiste di montagna - abbiamo perso una grande occasione. Da una parte, con chi governa, è giusto porre l'accento sui problemi del settore, ma dall'altra si sarebbe dovuto sottolineare ciò che di positivo c'era. Nel momento in cui tutta la comunicazione raccontava come la montagna avrebbe accolto le scelte del governo, si doveva veicolare un messaggio diverso, dicendo: "Certo, con la chiusura degli impianti da sci subiamo un danno importante, ma per fortuna la montagna non è solo lo sci. Speriamo che tutto questo finisca presto, ma nel frattempo invitiamo le persone a venire in montagna perché abbiamo molto altro da offrire"». Nei racconti delle sue scalate, spesso in solitaria, ricorre il termine avventura. È possibile vivere questa dimensione anche a due passi da casa? «Secondo me questa è l'occasione per scoprire i nostri territori. Facciamo mente locale, conosciamo bene il nostro territorio? Io avrei tantissime montagne da esplorare. E, a proposito di avventura, vorrei dire che questa dimensione la creiamo noi, semplicemente andando su un sentiero che non abbiamo percorso, provando lo scialpinismo se siamo abituati allo sci su pista, cambiando vallata. Ci sono mille modi per esplorare, ma dobbiamo volerlo. E per volerlo non dobbiamo lamentarci, ma creare opportunità. Siamo tutti consci che le cose non vanno come vorremmo, ma cosa dobbiamo fare? Non credo che il governo "voglia" attuare norme cosi restrittive, perché nessuno ci guadagna. Dunque, rispondendo a questa domanda molto semplice, forse dobbiamo prendere atto che il problema è serio e porci noi l'idea che la nostra quotidianità si debba vivere in modo diverso. Anche rispetto alla frequentazione della montagna». Nel suo dizionario la parola montagna non è mai disgiunta dalla parola sostenibilità. «La montagna più autentica, che possiamo vivere anche nelle nostre valli, ti obbliga ad avere rispetto per il territorio. Lo sci su pista, ad esempio, e lo scialpinismo, sono due mondi diversi. Il silenzio, la quiete e la natura più selvaggia, il passo lento della salita e una discesa che non sarà veloce come quella su pista, già ti fanno entrare in un'altra dimensione, che ha bisogno di rispetto. L'uomo, comunque, rimane ospite della montagna. Ormai l'obiettivo non è più la sfida sportiva. Oggi l'obiettivo è cercare di mantenere intatto questo ambiente, che noi valorizziamo anche con le gesta di scalatori, ma che per me rimane il nostro più grande giardino». Il mondo è alle prese con una pandemia, ma il pianeta non sta meglio e i ghiacciai sono in agonia. Un problema che riguarda tutti, non solo chi frequenta la montagna. «L'ho ricordato in occasione della Giornata internazionale della montagna (l'11 dicembre): in realtà non è che noi dobbiamo salvare il pianeta, noi dobbiamo salvare noi stessi da quello che stiamo facendo al pianeta. La catastrofe riguarderà l'uomo, mentre la vita continuerà ad esistere. Se pensiamo che il il 60-80% delle acque dolci arriva dai territori di montagna, significa che una volta che i ghiacciai si saranno sciolti, il problema non sarà fare o meno lo sci estivo, ma che non ci sarà più acqua da bere. L'alpinismo è un bel gioco, ma deve restare tale. Per questo l'alpinista dovrebbe puntare a qualcosa di più che scalare le montagne. L'alpinista dovrebbe essere il D'Artagnan delle montagne, quello che le difende». Un'immagine molto poetica. «Sì, molto romantica, ma se ci guardiamo in giro, sembra di vivere un medioevo della montagna. Basta pensare a cosa succede oggi sul K2, l'ultimo Ottomila a non essere stato salito di inverno. Tutti pronti a partire, ma non interessa se poi andranno a imbrigliare di corde fisse la montagna. La plastica verrà abbandonata, si userà l'ossigeno, dunque sulla cima del K2 non si sarà ad una quota reale, eppure questo non importa. L'ego è cosi grande che l'idea è che l'uomo possa fare tutto. Ma questo me per è il messaggio più sbagliato». In questi giorni fa discutere l'ordinanza del governatore della Valle d'Aosta che, fino al 20 dicembre, prevede la possibilità di fare scialpinismo solo se accompagnati da una guida alpina o da un maestro. Cosa ne pensa? «Ho ascoltato anche le ragioni del presidente della Regione, che poneva l'accento sull'interessamento delle terapie intensive e dell'ospedalizzazione legato agli incidenti in montagna. Un aspetto da ricordare anche in relazione alla chiusura degli impianti da sci: sull'arco alpino, durante le vacanze di Natale, si contano in media 20-25 mila incidenti. Dunque c'è un problema. Però su questa scelta della Regione non sono d'accordo: o dai la possibilità a tutti o la togli a tutti. Queste distinzioni stonano a mio parere». Il rischio zero in montagna non esiste. Vista la sofferenza del sistema sanitario, il richiamo alla prudenza è d'obbligo, soprattutto per i neofiti. Cosa consiglia? «Il consiglio per chi non conosce un certo tipo di montagna è di avvalersi dei professionisti. Ma oggi consiglierei a tutti più prudenza, per questo senso di responsabilità che abbiamo dimostrato nel primo lockdown e che oggi stiamo patendo. Ma ci sono dei dati inconfutabili: non possiamo non pensare a chi sta peggio, alle persone che muoiono ogni giorno. Questo, lo preciso, non significa non muoversi, ma facciamolo con la testa e con dei professionisti, se abbiamo paura di rischiare troppo». Lei è stato spesso in Trentino. Il Cervino è la sua montagna del cuore, ma se dovesse sceglierne una qui. «C'è il Cervino delle Dolomiti, il Cimon della Pala, la Marmolada, ce ne sono molte. Penso che tutte le montagne siano belle, tanto che
con la famiglia, quando tutto questo sarà finito, stavo pensando di trasferirmi e vivere un anno in Trentino, nelle Dolomiti». Per il 2021 ha dei progetti? «All'inizio della pandemia dovevo andare sull'Everest, perché mi piacerebbe dimostrare che si può scalare la cima più alta del mondo in modo "pulito", senza corde fisse, senza sherpa e ossigeno. Poi è saltato tutto. In estate avevo programmato di partire in gennaio: avrei dovuto provare a salire un Ottomila in inverno in Pakistan. Vista la situazione, prima come padre, avendo due figlie piccole, ho preferito restare. E nel momento in cui tutti chiedono di evitare spostamenti, mi pareva ipocrita difendere questi messaggi lanciati da chi affronta l'emergenza in prima linea e poi partire. È una questione di coerenza. Mi porrò dei progetti sulle montagne di casa».
L’Adige | 18 Dicembre 2020
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L'occasione per ripensare il turismo Di DUCCIO CANESTRINI
Sciare è entusiasmante. Chiusi gli impianti, finita la pacchia? Neanche per sogno. In questi giorni il boom del fuoripista e di altre attività all'aria aperta, ma "sganciate", è stata una sorpresa che fa volare col pensiero ai tempi e ai luoghi di una volta. All'epoca delle gambe in spalla. In Trentino, pochi non l'hanno fatto. Ci siamo divertiti come i pazzi, siamo caduti felici con la faccia nelle neve (meno contenti quelli finiti al pronto soccorso). Ci siamo innamorati sulle piste, e piantati in neve fresca. Da ragazzi, c'era chi partiva a piedi alle cinque del mattino, chi prendeva la corriera, chi saliva perfino con la Vespa, gli sci legati in qualche modo alla sella. Stregati non soltanto dal brivido della velocità, ma anche dalla grande metafora dello sci, la ricerca di un equilibrio dinamico, scivolando sulla vita. Poi sono arrivati gli anni della folla, delle giacche a vento alla moda, delle canzonette gracchiate dagli altoparlanti sui tralicci dello skilift. Di più, sempre di più. Abbonamenti cari come biglietti della Scala di Milano. Impianti, caroselli, raccordi, passerelle, cannoni, ristoranti in quota, baracchini della grappa a metà pista, tornelli elettronici, rifugi con le ballerine brasiliane. Un modello di sviluppo voluto o sfuggito di mano? Dunque nei primi anni del Duemila alla Trento School of Management discutevamo sul futuro della montagna: immaginavamo un turismo invernale più sostenibile, flussi e strutture meno inquinanti, un'ospitalità alpina più sincera. Quelle idee implicavano anche riflessioni sul significato dell'appartenenza, anagrafica o adottiva, al mondo della montagna. Che cosa vuol dire essere del posto, amare una località, gestire un servizio su quel bene comune che è il territorio. Negoziare ragionevoli limiti. Sentire la responsabilità della bellezza. Perché l'offerta di una destinazione turistica non è come quella di una qualsiasi merce; oltre al valore economico di ciò che viene offerto si basa sul rispetto, su una complicità che genera reciproca soddisfazione. Ma quanta resistenza al cambiamento, sul territorio. Perché i "decisori" sembravano parlare con lingua biforcuta, come dicono gli indiani: tanti proclami sulla qualità del turismo, ma poi gli investimenti sulla quantità. Più gente, più strutture, più soldi. Fine del discorso. Il grande ripensamento non ha attecchito perché è prevalso l'approccio industriale, con lo sbandieramento di fatturati (e sovvenzioni) da capogiro. Il linguaggio dei numeri che non lascia possibilità di replica, anche se diversi costi, intanto, venivano ignorati. Costi sociali e ambientali. Vette meccanizzate, abetaie scalpate, risorse idriche saccheggiate, problemi di parcheggio, ressa davanti agli impianti, cibo spazzatura, sculettate in tutine modaiole, e un totale disinteresse per la vita dei residenti. Con reciproci rapporti d'uso, a scapito dell'ambiente. Quanto alla ricettività alberghiera, è rimasta sempre più legata dal cordone ombelicale alle funivie, un cordone che con gli anni è diventato un cappio. Quest'anno, giocoforza, siamo passati dal cosiddetto overtourism all'undertourism, per dirla in dialetto trentino dal masa al miga. Tanta neve e impianti fermi. Ma le cronache di questi giorni registrano una tendenza a trovare altri modi. Non soltanto scialpinismo, fondo e snowboard. La cosa curiosa è che si tratta di alternative nate dal basso, senza tanti marketing e management. Iniziative spontanee da parte di escursionisti che nonostante la chiusura degli impianti vanno sulla neve. Salgono con gli sci in spalla, battono pistarelle a scaletta (come facevamo da ragazzini), tirano la slitta, surfano in neve fresca, ciaspolano in allegria, fanno pupazzi. Tutte persone per le quali lo sci non è soltanto la giostra, su e giù. Certo salire in funivia e poi scendere sul bianco tappeto spianato la sera prima dal gatto delle nevi è meno faticoso. Certo i numeri non sono quelli di un turismo invernale industrializzato. Certo i ricavi economici non saranno quelli degli anni scorsi. Ma non per questo i trentini dovranno tornare a imbarcarsi sulle navi per il Sudamerica, in cerca di fortuna. Perlomeno, non solo per colpa degli impianti chiusi fino alla Befana, giacché tutta l'economia italiana, a forza di misure restrittive, rischia il collasso, ahinoi. Toccherà cambiare qualcosa, ripensare l'ospitalità, reinventarsi. Da una parte recuperando lo spirito del passato, dall'altra aperti al futuro. Cioè attenti alla qualità del nostro patrimonio ambientale e ai rapporti umani. Duccio Canestrini Antropologo, giornalista, scrittore