Rassegna stampa Dolomiti UNESCO | Dicembre 2019

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RASSEGNA STAMPA DICEMBRE 2019

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PRINCIPALI ARGOMENTI DEL MESE DI DICEMBRE: CORSO RIFUGISTI: TERZA EDIZIONE 2019 ........................................................................................................................................3 STUDIO SUL TURISMO NELLE DOLOMITI UNESCO: I PRIMI RISULTATI .....................................................................................5 RETE DEGLI EVENTI PER I 10 ANNI DI DOLOMITI UNESCO .........................................................................................................7 NOTIZIE DAL CAI ................................................................................................................................................................................ 11 NOTIZIE DAI COMUNI ........................................................................................................................................................................12 NOTIZIE DAI PARCHI ..........................................................................................................................................................................12 NOTIZIE DAI SOSTENITORI ..............................................................................................................................................................14 GIORNATA INTERNAZIONALE DELLA MONTAGNA: 11 DICEMBRE ............................................................................................15 CAMBIAMENTI CLIMATICI: COP 25 ..................................................................................................................................................17 TRANSUMANZA E ALPINISMO: PATRIMONI IMMATERIALI UNESCO .........................................................................................19

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CORSO RIFUGISTI: TERZA EDIZIONE 2019 Trentino | 1 Dicembre 2019

p. 16 “Rifugisti delle Dolomiti ambasciatori del marchio UNESCO” trento «Siete gli ambasciatori del riconoscimento Unesco perché vivete nel cuore delle Dolomiti e ne toccate con mano le sfide». Così il vicepresidente della Provincia, Mario Tonina, intervenuto due giorni fa a Val di Zoldo nel bellunese, dove si è conclusa la terza edizione del corso di formazione che ogni anno la Fondazione Dolomiti Unesco dedica ai gestori dei 66 rifugi che operano all'interno del Patrimonio Mondiale e che rappresentano un punto di riferimento fondamentale per comprendere come stia cambiando la fruizione del territorio e di conseguenza il loro stesso ruolo.L'edizione 2019 del corso di formazione si è incentrata sull'interazione tra i soggetti coinvolti, con 4 tavoli tematici di confronto, moderati da esperti del settore. L'obiettivo finale è un documento d'intenti condiviso, una sorta di bussola per orientarsi nell'immediato futuro verso una strategia comune, lanciando a quanti frequentano la montagna messaggi coerenti sulla peculiarità dell'esperienza in rifugio, il rispetto verso il lavoro del gestore, quello verso il territorio e suoi valori paesaggistici, la promozione di comportamenti corretti e consapevoli, oltre, naturalmente, alle richieste per facilitare il lavoro in quota. Tonina, da alcuni mesi è presidente della Fondazione, nel salutare il Presidente del Cai Veneto, Renato Frigo, instancabile animatore della collaborazione tra le associazioni alpinistiche ed Enrico Vicenti, segretario generale della Commissione Nazionale per l'Unesco oltre al sindaco del comune di Val di Zoldo, Camillo de Pellegrin, ha ringraziato i gestori dei rifugi per l'impegno con cui portano avanti il proprio lavoro.

Gazzettino | 1 Dicembre 2019

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p. 3 segue dalla prima Appello dai rifugi: «Dateci acqua» La risorsa idrica. La gestione dei reflui. Il punto interrogativo sulle condizioni meteo del futuro. I rifugisti delle Dolomiti si ritrovano per fare la quadra. Dal marketing alla gestione dei piccoli eventi e incidenti quotidani, gli oste dell'alta quota hanno condiviso una due giorni di confronto e idee con la Fondazione Dolomiti Unesco. Perché Vaia e il meteo che fa le bizze non fiaccano l'amore di queste persone per le montagne e il senso di ospitalità che danno e vogliono continuare ad assicurare alle migliaia di turisti che ogni anno raggiungono i loro presidi. IL RADUNO L'occasione è stato il corso che ogni anno la Fondazione Dolomiti Unesco dedica ai 66 gestori di rifugi che operano all'interno del patrimonio mondiale. Quest'anno l'incontro si è svolto tra giovedì e venerdì in Val di Zoldo e ha visto la partecipazione della metà dei gestori dell' area cuore delle Dolomiti. L'obiettivo era, ancora una volta, la formazione dei primi ambasciatori dei valori Unesco, ma anche affrontare la discussione sulle problematiche comuni e sulle possibili soluzioni. «Quest'anno il corso, oltre che formare i gestori di rifugio ai valori del Patrimonio in cui operano, ha avuto una declinazione molto operativa spiega Mario Fiorentini, presidente dell'Associazione Gestori Rifugi Alpini del Veneto e gestore del Rifugio Città di Fiume -. Tra le tematiche concrete che abbiamo discusso credo sia particolarmente urgente quella della risorsa idrica, senza la quale non è possibile tenere aperte le nostre strutture. L'altro problema è quello dei reflui la cui gestione, con l'aumento considerevole dei flussi turistici, non può più essere lasciata alla libera distribuzione nell'ambiente ma deve essere il più possibile regolata». UNITI Fare squadra è l'imperativo necessario, perché se già vivere nelle terre alte non è facile, vivere nei rifugi è quasi eroico. «La solidarietà reciproca, tra gestori di rifugio, è fondamentale parole di Duilio Boninsegna, gestore del Rifugio Pradidali -. Ne è un esempio l'incontro di questi giorni in Val di Zoldo. La nostra esperienza tra le Pale di San Martino è molto positiva da questo punto di vista: anche il marketing viene gestito congiuntamente e i risultati si vedono, ma la collaborazione può benissimo avvenire anche tra i gestori di rifugio dell'intero arco dolomitico». LE BUONE PRATICHE L'inizio del programma non poteva che essere in quota: al rifugio Città di Fiume l'architetto e paesaggista Cesare Micheletti e il geologo Emiliano Oddone, hanno accompagnato i gestori ad apprendere un metodo di lettura del paesaggio dolomitico, per rispondere alla sempre più frequente necessità di dar conto, ai turisti provenienti da tutto il mondo, delle ragioni che hanno portato al riconoscimento Unesco. La seconda giornata è stata interamente dedicata al confronto tra rifugisti, facilitato dalla moderazione di esperti, su quattro tematiche particolarmente sentite: la risorsa acqua, le prenotazioni online, le interazioni fra la rete dei produttori di qualità e la rete dei rifugi e la gestione dei flussi turistici, per il miglioramento dell'ospitalità. L'UNESCO In conclusione della due giorni è arrivato anche il presidente della Fondazione Dolomiti Unesco Mario Tonina. «Siete gli ambasciatori

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del riconoscimento Unesco ha detto ai gestori -, perché vivete nel cuore delle Dolomiti e ne toccate con mano le sfide. Grazie alla vostra attività contribuite a mantenere la montagna abitata. Non abbiamo altra scelta che fare sempre più rete, sia a livello locale che internazionale. Sono infatti qui in vostro ascolto al fine di farmi portavoce delle vostre necessità all'interno del Consiglio di Amministrazione della Fondazione». Alessia Trentin Gazzettino | 1 Dicembre 2019 p. 3 «Una montagna senza sci? Dubito, ma pensiamo al piano b» Nel primo giorno di lavori la convention ha fatto tappa alla sala polifunzionale del Comune di Val di Zoldo, a Fusine. Il confronto è iniziato proprio qui, introdotto dai saluti del sindaco Camillo De Pellegrin che ha posto l’accento sulla necessità, ora più che mai, di instaurare un filo diretto di dialogo tra amministrazione e rifugisti per affrontare insieme, uniti, le sfide del futuro. Climatiche e non solo. “Tra rifugisti e amministrazioni il rapporto deve essere stretto, costante e sopratutto deve essere animato dall’idea di fondo che il Patrimono Unesco è una base di partenza ma non l’arrivo – le parole del primo cittadino -. Abbiamo molte sfide che ci attendono nei prossimi trent’anni, con un cambio climatico che ci impone di prendere in considerazione l’idea di una montagna anche senza lo sci. Non è quello che noi ci auguriamo, noi che viviamo la montagna viviamo sopratutto dell’attività e dell’afflusso turistico portato dagli impianti, ma dobbiamo anche pensare al piano b qualora lo sci non potesse piu essere sostenibile. Ben venga il dialogo con i rifugisti sui temi che sono caldi, sull’identità del territorio, sulle manutenzione esulla scelta di politche condivise perchè non ci siano piani di discussione che portano, in futuro, a dividere anzichè unire”. E con il Comune, dunque, i rifugisti affronteranno i problemi messi sul piatto il 28 e il 29, tra i quali la disponibilità di acqua e la gestione dei reflui.

STUDIO SUL TURISMO NELLE DOLOMITI UNESCO: I PRIMI RISULTATI Corriere delle Alpi | 13 dicembre 2019 p. 29 Un'indagine della Fondazione Unesco svela la disponibilità a dare una mano concreta per la manutenzione del territorio Sentieri, ferrate, rifugi: i turisti pronti a tassarsi di Francesco Dal Mas AURONZO L'escursionista o l'alpinista, piuttosto che il turista, si autotasserebbe per garantire la manutenzione dei sentieri di montagna, delle ferrate, dei bivacchi e, al limite, anche dei rifugi? «È una prospettiva molto concreta», risponde Marcella Morandini, segretaria generale della Fondazione Dolomiti Unesco, «presto potremmo avere nei rifugi dei punti di raccolta di contributi per questo scopo. Lo decideremo non appena avremo concluso, l'estate prossima, l'indagine sul turista Unesco che frequenta le alte quote». In occasione della giornata internazionale della montagna, si è tenuta a Bolzano la presentazione dei primi risultati provvisori del rilevamento dedicato ai visitatori che la Fondazione Dolomiti Unesco (con la rete funzionale "Turismo, sviluppo e mobilità", coordinata per tutte le Dolomiti dalla Provincia autonoma di Bolzano) ha commissionato a Eurac Research, in sinergia con l'Università Ca Foscari di Venezia. «Abbiamo intervistato oltre 3600 persone in 23 punti di rilievo da luglio a ottobre», spiega Andrea Omizzolo, ricercatore di Eurac, « dai primi risultati "grezzi" presentati emerge che il 55% sono turisti che pernottano nell'area, il 45% sono visitatori giornalieri. La maggior parte degli intervistati italiani viaggia con la famiglia, mentre circa l'80% - italiani e stranieri - fanno sosta nelle malghe e nei rifugi». Una domanda del questionario è dedicata al mezzo con cui il turista/visitatore ha raggiunto le Dolomiti: l'82% ha risposto con l'auto privata. Si sottolinea come il turista, una volta raggiunta la località del soggiorno, prediliga gli spostamenti con mezzi alternativi come bicicletta e bus navette. Più del 40% degli intervistati prenota direttamente in struttura, mentre il 20% attraverso piattaforme online. Si evidenzia poi come il turista preferisca prevalentemente soggiornare in albergo. «Si conclude poi questa prima analisi dei dati, che saranno resi pubblici in primavera, con la constatazione che oltre il 70% degli intervistati siano potenzialmente disponibili», afferma Morandini, «a dare un contributo volontario a favore di progetti volti alla manutenzione del territorio (come ad esempio miglioramento della rete sentieristica, vie ferrati e rifugi, ndr). In generale si delinea un profilo di turista decisamente soddisfatto della propria esperienza di visita con un punteggio pari a 4. 5 su 5». Una valutazione che il team di ricerca analizzerà nel dettaglio entro la primavera, con la pubblicazione poi dei risultati da parte della Fondazione Dolomiti Unesco.

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Corriere del Trentino | 13 dicembre 2019 p.11 Dolomiti Unesco, ospiti soddisfatti I dati in un’indagine Eurac. Hochgruber Kuenzer: «Puntare sulla qualità» BOLZANO Le vacanze nelle Dolomiti patrimonio Unesco? Praticamente quasi perfette: i turisti che hanno provato questa esperienza le assegnano, infatti, una valutazione di 4,5 punti su una scala di 5. A testimoniarlo sono i primi risultati provvisori dello studio sul turismo nelle Dolomiti patrimonio Unesco realizzato da Eurac research in collaborazione con l’università Ca’ Foscari di Venezia. Si tratta della seconda indagine sul tema dopo quella del 2014 (i dati completi saranno pronti nella primavera del 2020), ed è realizzata anche con l’utilizzo di big data, raccolti in forma anonima, provenienti da dispositivi mobili. Le due aree pilota analizzate attraverso i big data sono la val di Braies e la zona delle Tre Cime di Lavaredo. «Abbiamo intervistato oltre 3.600 persone in 23 punti di rilievo da luglio a ottobre» fa sapere il coordinatore della ricerca Andrea Omizzolo di Eurac. Dai primi risultati «grezzi» emerge, dunque, la soddisfazione dei turisti. Il 55% degli intervistati è rappresentato da turisti che pernottano nell’area, il 45% sono visitatori giornalieri e circa l’80% fa sosta presso malghe e nei rifugi. Capitolo mobilità: se è vero che l’82% degli intervistati raggiunge le Dolomiti con l’auto privata, è altrettanto vero che una volta arrivato il turista preferisce spostarsi con mezzi alternativi come biciclette e bus navetta. Oltre il 70% degli intervistati, inoltre, si dichiara disponibile a dare un contributo volontario a favore di progetti volti alla manutenzione del territorio (come ad esempio il miglioramento della rete sentieristica, vie ferrati e rifugi). Più del 40% degli intervistati, infine, prenota direttamente in struttura, mentre il 20% attraverso piattaforme online. «Natura, paesaggio, ma anche la popolazione che vive nelle vallate dolomitiche — spiega l’assessora provinciale e consigliera della Fondazione Dolomiti Maria Hochgruber Kuenzer — sono sottoposti a nuove pressioni derivate dalla crescita dei flussi di turismo. L’obiettivo del monitoraggio è conoscere i motivi di tale pressione per riuscire a governarli. Come amministratori dobbiamo concentrare i nostri sforzi sul valore del paesaggio e avere il coraggio di fare delle scelte. Non tutti i progetti possibili sono realizzabili, dobbiamo puntare sulla qualità e non sulla quantità, preservando ciò che rende uniche le Dolomiti».

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RETE DEGLI EVENTI PER I 10 ANNI DI DOLOMITI UNESCO Corriere delle Alpi | 14 Dicembre 2019

p. 31 Le immagini di Alessandra Masi per il decennale dell'Unesco LA MOSTRA Il decennale del riconoscimento delle Dolomiti come patrimonio dell'Umanità sarà solennizzato a Pieve di Cadore con una mostra fotografica che aprirà alle ore 11. 30 del 22 dicembre nella sala del Gran caffè Tiziano: "Dolomiti tra illusioni e realtà" il titolo dell'esposizione delle opere di Alessandra Masi (visitabile fino all'Epifania). La mostra è stata promossa dal Comune di Pieve, dalla Magnifica, dalla locale sezione del Cai, dal Soccorso alpino e dal gruppo Ragni di Pieve (con il patrocinio dell'Unesco) nell'ambito delle manifestazioni "Dolomiti di Tiziano". «Il comune denominatore della mostra», spiega la Masi, « è il nostro ambiente dolomitico con le sue acque, i suoi boschi, le sue montagne. Si articola attraverso alcune visioni pittoriche date dai riflessi nell'acqua che, mossa della brezza, mescola i colori ottenendo degli effetti irripetibili. Una sezione è riservata ad alcune foto dei piccoli fiori che impreziosiscono il nostro territorio per passare poi ad immagini più realistiche delle nostre montagne nei momenti più belli e suggestivi: quando le luci dell'alba e del tramonto esaltano le pareti rocciose, producendo quei colori caldi e in continua evoluzione caratteristici delle Dolomiti. Completano l'esposizione», aggiunge Masi, «le foto notturne che immortalano i cieli stellati ed alcuni eventi astronomici significativi ripresi al cospetto delle nostre montagne. Inoltre alcuni video con immagini e suoni saranno proiettati con l'intento di accompagnare il visitatore in un percorso emozionale e coinvolgente attraverso le bellezze del territorio. Non solo: la frequentazione dell'Associazione astronomica di Cortina è stata per me un passo importante che mi ha portato ad appassionarmi della conoscenza del cielo stellato. Una scoperta che mi ha portata anche ad inseguire e riprendere eventi astronomici quali le eclissi solari in Indonesia e in Oregon».Alessandra Masi è nata a Pieve di Cadore e si dedica alla fotografia da una decina d'anni. Ha iniziato dedicandosi alla ricerca dei fiori spontanei e, allo stesso tempo, girovagando per le vallate dolomitiche si è innamorata del territorio dal quale si è ispirata per la ricerca della fotografia paesaggistica. --V.D. Alto Adige | 8 Dicembre 2019 p. 8 Le Dolomiti di tela e di colore fabio zamboni BOLZANO Parlando del Cai e di montagna potremmo dire che la mostra su Bonatti e sulla sua impresa del 1958 al Gasherbrum 2 in corso al Centro Trevi di Bolzano propone una "valanga" di eventi, fra incontri con gli autori, approfondimenti e mostre d'arte. In quest'ultimo settore, quello appunto delle mostre d'arte, ce n'è una in programma da oggi 8 dicembre fino al 31 gennaio, tutta dedicata alla montagna: la pittrice Riccarda de Eccher esporrà infatti una dozzina di acquerelli di grande formato con un tema monografico, quello delle Dolomiti. Un evento che gode del patrocinio della Fondazione Dolomiti Unesco e che rientra fra gli eventi che celebrano in questo periodo i primi dieci anni di quel prezioso riconoscimento.Riccarda de Eccher gioca in casa, essendo nata a Bolzano e cresciuta ad Egna fino all'adolescenza, ma qui non ha mai esposto. Eppure in questi ultimi dieci anni i suoi dipinti sono stati ospitati in varie gallerie americane, da New York a Charleston, a Telluride (Colorado), ma anche a Milano, a Lubiana, all'Alpine Club di

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Londra, e in varie personali a Trieste, Udine, Gorizia e in altre gallerie del Nordest italiano.Ora l'occasione per farsi conoscere nella sua città natale, dove sarà presente all'inaugurazione lunedì 9 dicembre alle ore 18 al Centro Trevi di Bolzano.Dentro una manifestazione curata dal Cai, la persona giusta al posto giusto: Riccarda de Eccher è stata alpinista a tempo pieno per una dozzina d'anni a partire da quando ne aveva 18, e dipinge soltanto montagne. E solo Dolomiti. Che cos'hanno di cosi speciale ed esclusivo?Dal punto di vista della pittura, la pulizia delle forme così stagliate, geometriche, il cambio di luce alle varie ore del giorno che culmina nell'enrosadira, quel colore indefinibile che - diceva Dino Buzzati- nessun pittore riesce a cogliere, le rendono uniche. Ma non credo sia questo il vero motivo per cui le dipingo con tanta passione. Per me, sono luoghi del cuore e le immagini che ritraggo hanno molti significati. Da ragazza ho arrampicato e la mia conoscenza delle Dolomiti non è solo estetica. Se guardo il Campanil Basso del Brenta, per fare un esempio, non vedo solo una guglia svettante, penso anche alla solidità della sua roccia, a quegli appigli perfetti. Penso a Paul Preuss e alla sua salita che ho ripetuto... E poi ogni parete e ogni montagna che dipingo, per me sono la storia della loro conquista e dell'evoluzione dell'alpinismo, e talvolta anche la mia personale. Raccontano di un compagno, di un'amicizia. Mi ritrovo, con il pennello, a salire e scendere per delle vie...Alpinista e donna, quarant'anni fa: non era facile.Più che non facile, direi che non era usuale. Donne che andassero sopra il quarto grado, negli anni Settanta, ce n'erano veramente poche. Questo però dava anche dei vantaggi. Ho sempre avuto compagni molto forti e trovare con chi legarmi, per me, era facilissimo. Tutti avrebbero voluto arrampicare con una ragazza.Sulle Dolomiti, i posti del cuore.Amo tutte le montagne. Ho avuto la fortuna di partecipare a due spedizioni in Himalaya, all'Annapurna III nel 1977 e all'Everest nel 1980. La bellezza di quei luoghi, le dimensioni, la nitidezza data da quell'aria croccante, sono difficili da descrivere. Visivamente sono spettacoli di bellezza ineguagliabili. Ho salito il Kilimangiaro, ho percorso le valli della Cordillera Blanca, in Perù... Ma nessuna montagna muove delle emozioni, nel mio cuore, come le Dolomiti. Se dovessi scegliere un unico luogo dolomitico, forse direi il Passo Sella. Ma penso anche al Catinaccio, al Brenta... al Pelmo, alle Tre Cime, ... L'elenco sarebbe lungo.E i pittori del cuore?Quando ho capito che la montagna sarebbe stato il tema attorno a cui avrei sviluppato la mia ricerca pittorica, è anche nata la curiosità di indagare come fosse stata rappresentate nel corso dei secoli. Un percorso molto interessante che fa capire quanto non esista un modo oggettivo di ritrarla. Winkelmann diceva che il pittore intinge il pennello nel cervello. E, aggiungerei io, nel suo tempo. Per quanto riguarda l'acquerello di montagna il più grande tra tutti è Edward Theodor Compton (1848-1921), pittore di origine Inglese, poi trasferito in Germania. Ma ho anche molta attenzione ai grandi maestri, che sono fonte di insegnamento, indipendentemente dal soggetto. Goya, Cezanne, Edward Manet, o Giorgio Morandi... Ma anche i contemporanei: Jasper Johns, Bob Rauschenberg, Jim Rosenquist...Dei suoi acquerelli, ama dire che non e una pittura di paesaggio ma piuttosto una natura morta. In che senso? Con qualche rara eccezione (lo svizzero Ferdinand Hodler, una di queste), la pittura di montagna finisce con il romanticismo. O meglio, con le sue espressioni più decadenti. Se pensiamo a un dipinto di montagna vediamo un monte innevato, in primo piano una baita, un pastore. Sullo sfondo una nuvola gonfia e scura che indica un temporale in arrivo. Questa è esattamente l'iconografia da cui rifuggo e da cui prendo la distanza. Io vedo e dipingo una montagna nuda, in cui l'uomo sta di fronte al dipinto in veste di osservatore. Non desidero suggerirgli dei sentimenti narrando una situazione. Se la mia pittura è efficace, l'emozione nasce solamente dall'atto di guardare. Nasce dal come, non dal cosa, dalla pittura in sé, non da quello che rappresenta.Il passaggio dalla piccozza al pennello? Una passione scoppiata tardi, quella per la pittura.Ho smesso di arrampicare attorno ai trent'anni. Ho iniziato un percorso lavorativo che mi assorbiva molto, mi sono sposata e ho avuto due figli. C'era poco spazio per altro. Poi, per pura coincidenza, ho iniziato a dipingere. Volevo imparare i nomi dei fiori di montagna e, per osservarli con attenzione, ho acquistato una scatola di acquerelli. È stato un vero e proprio colpo di fulmine. Unire il mio amore per la montagna a quello per la pittura è stata poi una scelta del tutto naturale.E perche proprio l'acquerello?Ho iniziato con l'acquerello per puro caso. È la tecnica più difficile, dove non c'è margine d'errore. L'acquerello è trasparente e quando si appoggia il pennello sulla carta, crea un segno che resta e che non si può cancellare. Un tocco sbagliato ed è tutto rovinato. Ma la luminosità del bianco della carta con la trasparenza del colore crea degli effetti di luce che non hanno uguali. Senza poi parlare di quanto sia adatto ad essere trasportato nello zaino. Un foglio, una piccola scatola di acquerelli e una bottiglietta d'acqua è tutto quello che serve. E senza i tempi di asciugatura che impone la pittura ad olio.Dolomiti che nella loro imponenza e bellezza mostrano pero anche la loro fragilita geologica e quella legata ai nuovi fenomeni meteo. Dipingerle significa anche un po' conservarle, fare un'opera di tutela?Tocca un tasto dolente. Quando guardo la Marmolada, con quel suo ghiacciaio striminzito, mi piange veramente il cuore. Quando penso che nell'arco della mia vita (non sono giovane, ma geologicamente parlando, la mia vita è meno di un grano di polvere) ho calpestato ghiacciai che non esistono più... quello della Fradusta, per citarne solamente uno. Ogni tanto penso che il mio lavoro dovrebbe essere più politico e che questo dolore lo dovrei strillare. Spero comunque che la mia pittura aiuti a vedere la bellezza di quei luoghi e quindi faccia riflettere sulla necessità e l'urgenza di fare qualche cosa per evitarne la distruzione.Da trent'anni vive a New York. Dove l'arte contemporanea e di casa. Che cosa le dicono quando mostra i suoi quadri figurativi senza tempo e senza riferimenti a nuove tendenze? Contesto: nessun dipinto e senza tempo, ogni forma di pittura risente di un momento. Penso che chiunque, vedendo un mio acquerello, lo daterebbe nel presente. Quando espongo negli Stati Uniti, mi chiedono spesso se le montagne che dipingo me le invento. E allora mi trasformo in un'ambasciatrice delle Dolomiti, e ne descrivo la loro superba bellezza.©RIPRODUZIONE RISERVATA©RIPRODUZIONE RISERVATA

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Corriere delle Alpi | 1 Dicembre 2019 p. 16 Il video delle Dolomiti accende il Natale nel cuore del capoluogo belluno Le Dolomiti patrimonio Unesco accendono il Natale di Belluno. Il video di alcuni minuti proiettato sulla facciata dell'ex tribunale in piazza Duomo ha riscosso un notevole successo tra i tanti cittadini presenti che hanno riservato un grande applauso all'evento.Le Dolomiti e la natura bellunese nello splendore abbagliante della neve e nell'incanto dei tramonti infuocati e la città di Belluno con le tradizioni di questa terra sono stati i protagonisti del videomapping che ha suggellato il via alle iniziative per le festività natalizie. Iniziative organizzate da Consorzio Centro storico, Comune, Provincia, Ascom, ma anche dalle tantissime attività economiche e industriali che hanno voluto aderire al progetto. Un progetto "Belluno Natale delle Dolomiti" voluto fortemente dal Consorzio presieduto da Stefano Bristot, che ha cercato qualcosa di diverso «per animare e rendere più dinamica, brillante e accogliente la nostra città nel periodo più importante dell'anno», ha detto Bristot, che ha ricordato tutti i collaboratori che hanno reso possibile l'iniziativa. «Un'iniziativa di livello che fa ritrovare a questa città e a questa piazza lo spirito del Natale», ha sottolineato il sindaco Jacopo Massaro. Uno spirito che sarà alimentato dalla pista di pattinaggio, dal mercatino dei prodotti tipici in piazza dei Martiri, dagli alberi parlanti, dalle statue enormi che campeggeranno sulle piazze della città, dalla luna gigante che sorgerà sopra la fontana della piazza, dai percorsi culturali e musicali previsti e dalle lanterne di legno che, «pur ricordando il disastro di Vaia, sono anche il simbolo di un territorio che ha saputo rialzarsi», ha spiegato Roberto Padrin che ha ringraziato tutti gli uffici di palazzo Piloni e in particolare il dirigente Pierantonio Zanchetta per aver portato qui i tronchi di alberi schiantati. Un progetto che, come ha ricordato Giorgia Segato, chiamata a presentare l'evento, «vuole portare gli stessi bellunesi ad essere turisti della loro città».Non è mancata nemmeno la polemica a scaldare l'atmosfera. Il consigliere regionale Franco Gidoni, nel ringraziare tutti coloro che hanno creduto all'iniziativa e nel ricordare i grandi eventi che attendono il territorio da qui al 2026, si è soffermato sulle critiche avanzate da Italia Nostra per l'intervento di spianatura di parte dei giardini di piazza dei Martiri per lasciare posto alle casette di Natale. «Spiace che di fronte a queste sfide importanti che ci attendono, qualche associazione faccia polemica. Dobbiamo stringere un patto: se facciamo turismo dobbiamo accettare il cambiamento, se vogliamo vivere in montagna dobbiamo creare le condizioni e dobbiamo farlo partendo da questo piazza. Questa provincia sarà più attraente degli anni passati, quindi venite in piazza e divertiamoci». Un invito a conoscere le bellezze del territorio è venuta da Giuliano Vantaggi, direttore della Dmo, che ha sottolineato l'impegno della struttura turistica provinciale nel portare anche all'estero le meraviglie bellunesi. Per questa settimana, alle 17 e alle 19 in piazza Duomo sarà riproiettato il videomapping sulle Dolomiti, la settimana prossima protagonista sarà la Valbelluna. --P.D.A. Trentino | 14 Dicembre 2019 p. 10 Trentino: ci vuole un fiore ieri, oggi e domani MADDALENADI TOLLA DEFLORIAN ROVERETO È una mostra ricca, appassionante, necessaria, che fa venire voglia di salire ai monti ed esplorarne la parte botanica, l'allestimento della Fondazione Museo Civico di Rovereto, dal titolo "Ci vuole un fiore. La flora del Trentino: ieri, oggi,domani". La mostra, inserita fra le celebrazioni del decennale delle Dolomiti Patrimonio Mondiale Unesco è stata inaugurata ieri sera, e resterà aperta nel palazzo del Civico in Borgo Santa Caterina, fino ad agosto 2020.L'allestimento è uno scrigno ben confezionato di informazioni, emozioni (con una panoramica di video immersiva mozzafiato), giochi interattivi, fotografie, reperti materiali, come erbari antichi e modernissimi (quello del Civico conta 75.000 campioni), torchietti per tinture vegetali, bottigliette di tinture famose, strumenti per sfalcio e lavori boschivi. Racconta la Storia e il presente, con la perdita di specie in ambienti fragili, come zone umide o torbiere, e l'ingresso, spesso in ambiti disturbati dall'uomo, di specie un tempo qui aliene, meno rare, meno specializzate. Vi si ricorda che oggi il 40% della flora dei prati aridi, per citare un ambiente in pericolo, tra cui rarissime orchidee spontanee, è in pericolo.Racconta di specie urbane, e delle curiose specie che vivono o sopravvivono intorno alle ferrovie, come le autoctone Eryngium campestre e il Papaver argemone. Racconta storie esemplari e tristi, come quella di Schoenoplectus triqueter, estintasi nel 2000 quando l'ultimo suo rifugio paludoso, a Roncafort (Trento nord) fu trasformato in interporto.La mostra rappresenta un importante passaggio di consegne professionali e disciplinari in corso, fra il guru della botanica trentina e non solo, il conservatore della Sezione Botanica Filippo Prosser (attivissimo sul campo), il vicedirettore del museo, a sua volta botanico di rango, più giovane di Prosser e suo compagno in tante avventure di scoperta e monitoraggio, Alessio Bertolli, e la giovane Giulia Tomasi, botanica assunta nel 2015 con l'ultimo concorso. Tomasi è brillante, appassionata, decisa come i suoi maestri e colleghi più maturi, ed è la speranza manifesta per un museo che dello studio di fiori e piante ha fatto un vanto su scala alpina. La curatela della mostra è stata assegnata proprio a lei, a Giulia Tomasi, con la revisione scientifica di Prosser, la consulenza di Bertolli e altri. Il progetto dell' allestimento è di Andrea Frisinghelli. Tanti sono gli enti prestatori di reperti esposti.«Siamo partiti dall'Atlante della flora trentina pubblicato quest'anno -

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racconta Tomasi - con l'esigenza di portare quelle conoscenze a un pubblico più largo dei fruitori del volume». Per altro l'atlante, costoso e corposo, ha già venduto oltre mille copie, in pochi mesi, come ci informa Bertolli, e soprattutto a privati cittadini. «L'auspicio che abbiamo con la mostra - commenta Bertolli - è che le persone comprendano di vivere immerse in un mondo vegetale, e quanto sia importante rispettare di più le piante».La mostra riassume ed espande la corposa conoscenza maturata con il lavoro scientifico degli atlanti e delle ricerche e racconta gli albori della botanica, per arrivare ai cambiamenti antropici dell'ambiente in Trentino, con i suoi effetti sulle piante (sono perse ben cinquanta specie), e al cambiamento climatico, con fotografie ri-scattate a distanza di anni negli stessi luoghi degli originali, da Guido Gutterer, in vari ambiti del territorio. Per citare un esempio di cambiamento forte e significativo, diciamo che le rilevazioni ripetute dai ricercatori del Museo a cadenza di 15 anni, mostrano che sulla Lobbia Alta, a quota 3196 metri sul livello del mare, nel 2006 sono state registrate addirittura le prime specie legnose.Vi si racconta come la botanica sia nata dall'interesse per la farmacopea, portando in sala reperti di pregio e grande valore, come il celeberrimo volumetto di Francesco Calzolari, noto studioso di Verona che esplorò nel 1566 il Monte Baldo. Le prime segnalazioni di specie floristiche per il Trentino risalgono al Sedicesimo secolo e si devono proprio a speziali e medici, come il senese Pietro Andrea Mattioli, alla corte del Principe vescovo Bernardo Clesio. Oggi si contano circa 400 specie officinali in Trentino (fra cui la famosa Arnica montana o Gentiana lutea). Si passa quindi alla fase più scientifica, con esplorazioni di veri botanici, legata all' innovazione della classificazione di Linneo, dove spiccava fra gli esploratori floristici trentini il fassano Francesco Facchini., e si cita "La flora del Trentino" di Francesco Ambrosi. Si arriva quindi al Novecento e all'epoca moderna, che potremmo definire, come fa con ironia piena di rispetto Giulia Tomasi, "l'era prosseriana", con l'attivismo e la centralità per la ricerca, con la scoperta di tante specie, di Filippo Prosser e del gruppo di contributori, professionisti e appassionati, che rendono così speciale questa Sezione di Botanica museale. Dopo il 1991 sono state descritte dal Museo ben 23 nuove specie o sottospecie, che interessano il Trentino e poche zone limitrofe. La mostra dedica spazio anche al bosco, alla tempesta Vaia, al famoso Avez del Prinzep morto poco tempo fa.La bellezza e la voglia di tornare a esplorare arriva quando si legge di Carex maritima, una specie artico-alpina (a dispetto del nome) particolare, che è stata scoperta in Trentino (Gruppo di Sella) in settembre 2019, ovvero dopo la stampa dell'Atlante.

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NOTIZIE DAL CAI Corriere delle Alpi | 5 Dicembre 2019 p. 28 La dura estate post Vaia: oltre 1.200 ore di lavoro per ripristinare sentieri AURONZO Il 2019 è stato un anno particolarmente impegnativo per la sezione Cai di Auronzo. Ripristino dei sentieri e rinnovo delle rispettive segnaletiche: oltre 1.200 ore di lavoro, messe insieme a una quarantina di volontari. Sono questi i "numeri" che testimoniano un'attività intensa, sottolineata così dal presidente Stefano Muzzi: «Vaia ha influenzato quasi totalmente l'attività relativa alla sentieristica che era stata programmata per il 2019. Attività che andava avanti da un paio di anni e che era tesa al rifacimento della segnaletica, sia orizzontale che verticale. All'indomani della tempesta abbiamo sospeso l'attività programmata e iniziato il monitoraggio dei sentieri di nostra competenza».I sentieri maggiormente colpiti sono risultati il 119 della Val d'Onge, il 1104 del vallon Lavaredo e il 1107 della val di Cengia in alta val Marzon. Non solo l'area delle Tre Cime di Lavaredo, quella maggiormente frequentata dai turisti. Sotto la lente di ingrandimento sono finiti i sentieri 270, 272 e 273 della val da Rin, il 268 e il 1262 nella zona di monte Agudo; il 120 e il 120c nella zona di malga Maraia ed il 226 e il 260 in area Marmarole. «Su questi sentieri hanno lavorato una ventina di persona per oltre duecento ore, provvedendo al tagli di piante schiantate di non grandi dimensioni e in zone non particolarmente a rischio alla rimozione di piccoli smottamenti o allo spostamento di modeste quantità di materiale», dice ancora Muzzi. «Risolta l'emergenza, ci siamo adoperati, in sinergia con diversi volontari, per il ripristino della val Giralba chiusa da tre anni. È stato realizzato un percorso alternativo a quello originario che si sviluppa lungo dei vecchi sentieri preesistenti, in zone geologicamente più stabili che dovrebbero garantire una sicura fruibilità nel tempo. Il tracciato è stato completamente risegnalato con segnavia regolamentari, fino a pian de la Salere. Per la sola val Giralba le ore di lavoro sono state settecento. Altre trecento ore di lavoro sono state impiegate poi per il ripristino della segnaletica, orizzontale e verticale, su diversi sentieri di competenza della sezione. L'impegno è consistito anche nell'acquisto di tabelle in metallo, piantane in legno e vernice. Si è trattato di un lavoro che definire enorme non è esagerato e per il quale sono da ringraziare i tanti volontari che, nell'anonimato e con abnegazione, si sono adoperati. Un grazie anche alla sezione auronzana del soccorso alpino con la quale da sempre collaboriamo in maniera proficua ed ai componenti della stazione dei Carabinieri Forestali».Ma l'impegno del Cai di Auronzo nel 2019 si è rivolto anche ad altri ambiti, in particolare giovanile e sportivo. «A tutto ciò va aggiunto il lavoro svolto per tutta l'estate da parte dei rifugi di proprietà della nostra sezione, Auronzo e Carducci», ha concluso Muzzi che ha poi annunciato: «Per l'estate del 2020 ci sarà l'apertura del nuovo bivacco Fanton sulle Marmarole per il quale tante energie abbiamo dedicato negli ultimi cinque anni». --Gianluca De Rosa Corriere delle Alpi | 10 Dicembre 2019 p. 18 Rifugi, ferrate, bivacchi «Investa anche Venezia» BELLUNO «Non solo i Comuni, anche la Regione può aiutare concretamente il turismo montano prevedendo stanziamenti mirati».Lo afferma il deputato del Partito demicratico Roger De Menech che, da presidente del Comitato per la gestione del Fondo Comuni di Confine, ha incontrato sabato scorso il presidente regionale del Cai, Renato Frigo. Il progetto per i sentieri e le ferrate, nonché per alcuni interventi nei rifugi e nei bivacchi, è finanziato con 1,5 milioni di euro stanziati prima che la tempesta Vaia si abbattesse sul Bellunese. Prevede la pulizia, la sistemazione e messa in sicurezza e la tabellazione della fitta rete di sentieri del Cai, oltre ad avviare l'implementazione tecnologica di bivacchi e rifugi, in particolare garantendo la connessione a Internet di queste strutture. È attesa una partecipazione, seppur minima, della Regione: 100 mila euro. «La tempesta Vaia», sottolinea ancora De Menech, «ha reso ancora più urgenti questi lavori. I sentieri, così come i rifugi e i bivacchi, costituiscono un'infrastruttura fondamentale per il turismo in montagna. Bisogna prevedere, oltre alla manutenzione ordinaria, investimenti continui per l'ammodernamento e la sicurezza. Il progetto previsto dal Fondo vede la Regione Veneto come soggetto pianificatore e attuatore ma da solo non è sufficiente. Se, come auspicato, il turismo deve diventare uno dei settori trainanti dell'economia provinciale sono necessari investimenti pluriennali e costanti».Le escursioni in montagna attraggono decine di migliaia di visitatori dall'Italia e da molti Paesi europei e contribuiscono a diversificare l'offerta turistica e ad allungare la stagionalità delle Alpi. La sicurezza delle infrastrutture è la precondizione per la crescita di questo settore. --F.D.M.

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NOTIZIE DAI COMUNI Corriere delle Alpi | 6 Dicembre 2019 p. 20 Un progetto del Comune per valorizzare l'area ai piedi del Pelmetto Val di Zoldo Un progetto per il Pelmetto. Il Comune di Val di Zoldo intende presentare un progetto di valorizzazione e riqualificazione dell'area e del sentiero ai piedi del Pelmetto. «L'intervento», spiega il sindaco Camillo De Pellegrin, «consiste nel migliorare il sentiero che porta alle orme dei dinosauri anche e soprattutto per garantire maggiore sicurezza agli escursionisti. Successivamente ci saranno le valutazioni riguardo gli interventi tecnologici che potranno essere apportati per essere al passo con i tempi». «Per fare ciò», spiega il sindaco Camillo De Pellegrin, «sfrutteremo il bando del Piano di sviluppo rurale a regia Gal Alto Bellunese. La misura è quella relativa al sostegno degli interventi nell'ambito della strategia di sviluppo locale di tipo partecipativo e per i servizi di base e rinnovamento dei villaggi nelle zone rurali. Questa misura va nella direzione di sostenere gli investimenti in infrastrutture ricreative rivolte allo sviluppo del turismo sostenibile nelle aree rurali». «Il Comune», sottolinea il primo cittadino, «ha sostenuto le spese per la progettazione e ha poi ottenuto un contributo di 150 mila euro. Un ringraziamento va al nostro Gal, che è sempre attento a far cogliere le occasioni ai comuni del suo ambito, fornendo anche un sostegno tecnico. Questo progetto è il terzo nell'ultimo anno. Gli altri due sono: quello denominato "MMM-Muoversi meglio in montagna" e l'altro riguardante il "Mas de Sabe", un favoloso tabià storico». Grazie al progetto del Pelmetto, potrebbe nascere un'importante sinergia con il Comune di Selva di Cadore. «La progettazione dell'area del Pelmetto», conclude Camillo De Pellegrin, «ci serve per valorizzare un'area unica nelle Dolomiti e sono convinto che possa sorgere una sinergia con il Comune di Selva di Cadore per la ricerca di nuove forme e modalità per far crescere tutta l'area del Pelmo, avendo come faro la sostenibilità ambientale». - Mario Agostini

NOTIZIE DAI PARCHI Gazzettino | 6 Dicembre 2019 p. 8 edizione Belluno Parco Dolomiti: nominati presidente e direttivo Dopo quattro anni e mezzo di attesa, il Parco Nazionale delle Dolomiti bellunesi ha il suo presidente: Ennio Vigne. L'ex sindaco di Santa Giustina è infatti stato nominato commissario straordinario dell'Ente in estate e, con questo ruolo, ha operato in questi mesi per cercare di riavviare l'Ente ma soprattutto di iniziare a riallacciare rapporti e aprire tavoli. Il ruolo di commissario era però legato alla formazione del consiglio direttivo (assente dopo le dimissioni in blocco della scorsa primavera). Ora che l'organismo è stato formato, Vigne è diventato ufficialmente presidente. Il Parco ora diventa pienamente operativo e può lavorare a quello che è il primo obiettivo: la nomina del direttore. IL CONSIGLIO DIRETTIVO «Siamo vicini». Erano queste le parole pronunciate dal commissario straordinario Vigne la scorsa settimana quando, in occasione della comunità del Parco, aveva parlato delle tempistiche legate alla formazione del consiglio direttivo. E così è stato. Il Ministro dell'Ambiente, Sergio Costa, ha firmato ieri il decreto di nomina del nuovo Consiglio Direttivo del Parco Nazionale Dolomiti Bellunesi. In rappresentanza delle amministrazioni locali, su designazione della Comunità del Parco, siederanno in Consiglio: Camillo De Pellegrin, sindaco di Val di Zoldo; Stefano Deon, sindaco di Sedico; Alessandro Maguolo, assessore del Comune di Rivamonte Agordino, e Giampietro Frescura, vicesindaco di San Gregorio nelle Alpi. A rappresentare il Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio è stato chiamato Angelo De Simoi, presidente della sezione CAI di Feltre; mentre Augusto De Nato rappresenterà in Consiglio le associazioni di protezione ambientale. Con la nomina del Consiglio Direttivo Ennio Vigne, già Commissario Straordinario, assume quindi il ruolo di Presidente del Parco. All'appello mancano ora solo due Consiglieri, i cui nominativi devono essere indicati dal Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali e dall'ISPRA, l'Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale. In attesa di queste ultime due nomine il Consiglio è comunque già operativo, poiché è assicurato il numero legale di componenti. «Sono molto soddisfatto delle nomine del Ministro, che pongono fine alla fase di gestione commissariale dell'Ente ha dichiarato il neo Presidente Ennio Vigne . I nuovi Consiglieri designati dai diversi soggetti istituzionali competenti sono tutti preparati e motivati, sono sicuro che con loro potremmo iniziare subito un ottimo lavoro, nell'attesa che si definisca al più presto

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la nomina dei due mancanti. Uno dei nostri primi impegni sarà certamente la nomina del nuovo direttore». Eleonora Scarton Il Gazzettino di Belluno | 13 dicembre 2019 p.8 Tra le proposte emerse nel dibattito c'è l'istituzione del biglietto d'ingresso ai Cadini del Brenton» di Giuditta Bolzonello FELTRE Da commissario a presidente del Parco Nazionale delle Dolomiti Bellunesi Ennio Vigne in pochi mesi ha messo a punto tutta una serie di azioni per ridare piena operatività e il giusto riconoscimento all'ente. Ieri la prima a Villa Binotto che l'elezione del vice che è Alessandro Maguolo assessore a Rivamonte. A cominciare dalla cartellonistica che manca o è danneggiata: va sistemata e messa in punti strategici così da informare il turista che si trova in un territorio tanto bello quanto unico, allo scopo sono stati messi a bilancio 50 mila euro. E per stare ancora nel concreto ecco pronto il programma triennale 2020, 2022 delle opere pubbliche. Il prossimo anno sarà riqualificato lo stabile di Col dei Mich per 620 mila euro, «alla fine dei lavori il Parco ha investito oltre un milione di euro in quella struttura, il vero problema sarà la gestione» ha detto Vigne. 50 mila euro a Museo naturalistico delle Dolomiti, stessa cifra per il rustico di Pian Falcina e per il Centro visitatori della Valle Imperina: si tratta per tutti di adeguamenti e riqualificazione energetica. Ci sono poi 230 mila euro per la sistemazione della sede dopo i danni subiti da Vaia, il presidente ha detto che a breve saranno tagliate le piante che incombono sulla villa e che anche durante l'ultimo episodio di maltempo hanno manifestato tutta la loro pericolosità. Fra le opere da fare all'edificio è prevista la sistemazione della scala d'accesso e la realizzazione dell'ascensore. Anche il giardino andrà sistemato e reso l'insieme consono a rappresentare al meglio la sede del Parco, questi lavori sono programmati per il 2021 per 115 mila euro. I PROGETTI In tre anni saranno completate opere per quasi 5 milioni di euro, «ma oltre ai soldi ci sono i contenuti» ha puntualizzato Vigne. Il consiglio direttivo ha scelto il vice presidente, si tratta di Alessandro Maguolo, assessore del comune di Rivamonte Agordino. Il consiglio direttivo ha visto anche l'approvazione della convenzione, per tre anni, per la gestione del Museo di Serravella, «che sia un'eccellenza è fuori discussione ma bisogna valorizzarlo» ha detto Ennio Vigne. Gli ha fatto eco Gianpietro Frescura, vice sindaco di San Gregorio, che ha definito il museo: «Un vero patrimonio che va mantenuto, difeso. È lo specchio della nostra cultura, è la nostra storia, tutte le amministrazioni vanno sensibilizzate, se tutti mettessero un contributo non ci sarebbero problemi». Ed invece i problemi continuano cominciando dalla mancanza del direttore, Vigne auspica «bisogna che si capisca che è un museo provinciale». La prossima settimana il presidente Vigne sarà a Roma assieme ai colleghi di tutta Italia convocati dal Ministero, «vedremo di snellire le procedure»; c'è da risolvere la questione del direttore. Da Vigne anche la soddisfazione di aver riaperto i rapporti con la Regione Veneto e dopo le elezioni di primavera ci sarà modo di aprire un passaggio politico, «abbinerei la gestione del Parco al turismo». Nel frattempo Vigne ha stretto contatti con tutti, ha formulato una pre richiesta di ingresso in Dmo, «anche nella Fondazione Dolomiti Unesco saremo presenti». Insomma dopo il periodo difficile ora il Parco Nazionale stringe accordi e propone azioni, davanti ci sono cinque anni di lavoro e tante idee da concretizzare a cominciare dalla possibilità di mettere un biglietto d'ingresso ai Cadini del Brenton, per dare valore al sito, fermo restando la realizzazione al più presto dei bagni pubblici visto che quest'anno si sono superate le 35 mila visite. L'Adige | 20 Dicembre 2019 p. 40 Parco senza plastica Approvato l'accordo CAMPIGLIO È scivolato veloce su tutti i punti all'ordine del giorno il consiglio comunale di Pinzolo convocato lunedì scorso nella sala riunioni del Centro Rainalter. Sono state infatti votate all'unanimità le convenzioni per il progetto del Parco Naturale Adamello Brenta plastic free, per la realizzazione di un Parco avventura e per il recupero del sentiero Patascoss-Nambino. Un progetto quest'ultimo «ambizioso» come lo ha definito l'assessore Luca Vidi «che permetterà di realizzare un sentiero sbarrierato di un km tra Nambino e Patascoss accessibile anche per persone con disabilità». Sull'edizione di ieri abbiamo illustrato nei dettagli il progetto. Via libera unanime anche alla «messa in sicurezza dell'attraversamento centro abitato di Pinzolo». «Un accordo - ha sottolineato il sindaco, Michele Cereghini - portato avanti con la Comunità di Valle delle Giudicarie che prevede la demolizione dell'edificio vicino all'hotel Garden e che potrebbe concretizzarsi già nel mese di maggio andando così a risolvere, almeno in parte, i problemi legati al

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traffico nel paese di Pinzolo». I consiglieri hanno dato il loro assenso anche allo schema di convenzione volto alla creazione di un Punto lettura Geopark. «Il Parco - ha aggiunto Cereghini - ci ha chiesto di poter fare una biblioteca tematica dedicata all'ente e i prestiti verranno gestiti dai nostri bibliotecari». L'onere e l'onore di chiudere la serata - intervallata dalla presentazione dei progetti che nei prossimi anni interesseranno Madonna di Campiglio - è andato all'assessore provinciale Roberto Failoni che si è soffermato in particolare sulla riforma legata all'ambito turistico. Una novità di cui, ha anticipato l'assessore, si riparlerà nella perla delle Dolomiti di Brenta nel mese di gennaio. «Oggi - ha sottolineato l'assessore - siamo ancora legati alla legge Malossini che ha ormai 34 anni. Stiamo lavorando sulla necessità di spingere di più sulla stagione invernale e vi anticipo che da ottobre sarà pronta la nuova piattaforma web». Non sono mancate poi alcune considerazioni sulle Apt. «Credo che uno dei problemi più grandi oggi - ha proseguito - stia nella difficoltà di capire «chi fa cosa». In questi anni i soldi per sport e turismo non sono stati toccati, ma dal 2022 i tagli arriveranno anche a questi settori. È fondamentale quindi che la struttura sia chiara con consigli di amministrazione più snelli».

NOTIZIE DAI SOSTENITORI Corriere delle Alpi | 17 Dicembre 2019

p. 33 Gli scatti d'autore delle Dolomiti sul calendario 2020 della “ABM” Lina Beltrame BELLUNO «Allegare ad ogni numero di dicembre del mensile "Bellunesi nel Mondo" il calendario», ha esordito Oscar De Bona, presidente dell'omonima associazione, «è sempre stato un impegno irrinunciabile del nostro direttore "storico" Patrizio De Martin Modolado, scomparso da poco». Ed è proprio per onorare la sua memoria che quest'anno si è voluto offrire agli affezionati lettori in Italia e all'estero, qualcosa di innovativo: un calendario che parla del nostro territorio, in particolare delle Dolomiti, patrimonio Unesco, di cui l'Abm è socio sostenitore.Per realizzarlo, si è voluto coinvolgere dei giovani fotografi che da tempo prediligono le montagne, vuoi perché vi sono nati e cresciuti, vuoi perché le frequentano spesso e con piacere. Vive a Santa Giustina Diana Dal Mas, in una casetta in mezzo a un bosco dove ha sviluppato un forte legame con la natura, fin da bambina. Sogna di diventare una scalatrice

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alpinista per poter guardare da vicino quelle cime che ora si limita a fotografare da lontano. Viene da Bologna Elia Lazzari, ma si è innamorato delle montagne dolomitiche, cadorine e zoldane, dove ha trascorso e trascorre lunghi periodi di vacanza. Dall'anno scorso collabora come fotografo con la Fondazione Dolomiti Unesco, di cui è membro sostenitore. E infine, il veneziano Riccardo Bernardi che dall'età di quattro anni si muove sulle Dolomiti, eleggendo a "luogo del cuore", quelle Agordine. È giovane anche Paolo Bardin, che rappresenta l'Immobiliare "Pb" con sede a Belluno, Cortina e Venezia: è la ditta che fa da sponsor nel sostenere le spese di stampa del calendario. La sua partecipazione, spiega, è qualcosa che va al di là del semplice scambio pubblicitario: «È stato un onore per me», ha spiegato, «accogliere l'invito di Oscar De Bona, in quanto mio nonno materno è stato uno dei primi segretari provinciali di Abm, inoltre la mia famiglia conta diversi emigranti, fra i quali il nonno paterno e, attualmente, mio fratello». E conclude con la soddisfazione di poter regalare ai bellunesi che vivono all'estero le immagini più belle e suggestive della nostra Provincia, «quei panorami che noi, che viviamo qui, abbiamo la fortuna di ammirare ogni giorno».Nelle pagine dedicate ai diversi mesi, si leggono, detti e proverbi in dialetto che riprendono un po'lo stile di alcune vecchie edizioni di calendari concentrati sulle tradizioni locali. -Gazzettino | 17 Dicembre 2019 p. 13 edizione Belluno Un 2020 con le foto dei monti Ogni anno il calendario allegato al mensile Bellunesi nel mondo è una sorta di Operazione nostalgia perché porta nelle dimore dei nostri conterranei sparsi in tutti i continenti una piacevole aria di casa da appendere al muro per 365 giorni e poi conservare gelosamente nel cassetto dei ricordi. L'edizione 2020 è stata recapitata ai soci dell'Abm in allegato al numero di dicembre della propria testata mensile che è in distribuzione in questi giorni. Il calendario si intitola proprio 365 giorni con le Dolomiti Bellunesi e la sua pubblicazione, nell'agile formato cm 21x21, è stata resa possibile, ricorda il presidente Oscar De Bona, grazie al sostegno della Décolletages-Rolmec del socio Abm Mario Roldo e con la sponsorizzazione della Pb Immobiliare. Poiché l'Abm è socia della Fondazione Unesco, per la scelta degli autori delle splendide foto riproducenti le Dolomiti la stessa Fondazione ha collaborato in modo determinante al fine di acquisire le immagini che si susseguono nella pagina di ciascun mese. E che sono eleganti, a colori e firmate da tre fotografi: Elia Lazzari, bolognese, appassionato di montagna e di musica, viaggiatore sempre munito della fedele fotocamera e legato sin da bambino alle montagne di Cadore, Zoldo e Bellunese; Diana Dal Mas, giovane bellunese, metà veneta e metà lombarda, da sempre affascinata dalla natura che ama fotografare in attesa di poter scalare le montagne che ritrae; Riccardo Bernardi, veneziano, a soli 4 anni già ai primi passi sulle Dolomiti Agordine e cacciatore di scorci mozzafiato. UNA MASSIMA AL MESE Nello specifico, ogni mese è stata riportata una massima in dialetto bellunese sotto la foto di un angolo suggestivo delle nostre Dolomiti: Col de la Puina, Monte Civetta, Tre Cime di Lavaredo, Spiz di Mezzodì, Vette Feltrine, laghetto di Coldai, Monte Pelmo, Marmolada e passo Giau. Sono tutti soggetti ritratti in vari momenti delle stagioni e delle ore quotidiane in un caleidoscopio di sogno per chi è lontano e che con tali visioni avrà di che emozionarsi. Nei 365 giorni con le Dolomiti Bellunesi, però, manca un giorno, poiché il 2020 è bisestile. Ciascun lettore potrà così aggiungere l'immagine e il ricordo della sua montagna del cuore, perché, come sosteneva il noto direttore del Coro Cortina e valente alpinista Giancarlo Bregani, «c'è sempre per ognuno una montagna». Dino Bridda

GIORNATA INTERNAZIONALE DELLA MONTAGNA: 11 DICEMBRE L'Adige | 11 Dicembre 2019 p. 47 segue dalla prima Una montagna di retorica, di Annibale Salsa Ogni anno, l'11 dicembre, si celebra la Giornata della Montagna. A partire dal 2002, infatti, l'Assemblea generale delle Nazioni Unite ha fissato questa data per ricordare l'importanza delle montagne del mondo, per richiamare l'urgenza della tutela e preservazione del loro ambiente naturale riservando anche la giusta attenzione alle comunità che vivono in questi territori difficili. Il compito di promuoverne i contenuti era stato affidato all'Agenzia FAO. Per chi ama la montagna e i suoi abitanti ed ha a cuore i suoi destini, questa scelta era stata salutata con grande entusiasmo. Ricordo il Congresso organizzato in quell'anno e che vide la partecipazione di esperti di tutti i Paesi. Anche a livello nazionale, data la conformazione fisica dell'Italia a prevalenza montuosa con quasi tutto il versante sud delle Alpi e l'intera dorsale appenninica,

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erano state intraprese iniziative al riguardo. Vi erano, allora, molte aspettative di riscatto per le terre alte. Nel corso degli anni gli anniversari si sono susseguiti secondo la scansione del calendario. Ma, come in tutte le celebrazioni, vi è sempre il rischio che gli aspetti celebrativi e formali finiscano per prevalere su quelli sostanziali. Anche quest'anno 2019 si ripeterà l'evento all'insegna del tema proposto dal titolo: «I giovani hanno a cuore la montagna». Un aspetto di grande rilevanza se vogliamo che le giovani generazioni assumano il testimone per portare avanti una battaglia di civiltà e di etica ambientale e sociale. Le montagne, si sa, sono territori fragili che, per effetto dei cambiamenti naturali o di quelli indotti dalle attività umane, sono i più esposti ad azioni di degrado e di rischio ambientale. Se vogliamo fare il punto sulla situazione italiana, dove l'importanza della montagna è richiamata all'art. 44 della Costituzione della Repubblica, la situazione non appare del tutto rosea. Riguardo all'interesse per la montagna dobbiamo certamente registrare il crescere di un bisogno di «montanità» nell'opinione pubblica e fra i giovani. Significativo è il dato statisticamente documentato dal CENSIS - secondo cui, ad iniziare dall'anno 2005, si è registrata una certa voglia di ritorno alle terre alte. Essa si può riscontrare nella volontà di operare produttivamente in montagna facendone luogo di una nuova residenzialità e di nuove attività sia di tipo tradizionale agro-pastorale rivisitate in chiave innovativa, sia di quelle legate al terziario avanzato reso possibile dalle tecnologie digitali. Tuttavia permane sullo sfondo una percezione ed una rappresentazione della montagna che risente ancora di un'impostazione culturale cittadina legata a forme di idealizzazione che con la montagna reale hanno ben poco da spartire. Giustamente l'Assemblea delle Nazioni Unite e la FAO fanno riferimento alle comunità che vivono, in forma sempre più residuale, nelle terre alte. Ma in questi anni che cosa si è fatto veramente per le genti della montagna? Anche in Italia vi sono stati interventi legislativi nella direzione di un rilancio dell'economia del monte. Con il pretesto della inutilità di qualche Comunità montana situata in località che di montano non aveva pressoché nulla o di contribuire illusoriamente alla revisione della spesa pubblica, si sono cancellate le Comunità montane che, meglio di niente e a basso costo, avevano un ruolo in alcune valli alpine ed appenniniche. I risultati non sono stati affatto incoraggianti. Spesso si pensa alla montagna come spazio ludico da frequentare nei fine settimana e durante le vacanze estive e/o invernali oppure ad un ambiente naturale che si vorrebbe ricondurre alla selvaticità. Da un lato la ricerca del «divertissement» consumistico senza limite, dall'altro l'apologia del «deserto verde». Chi sa leggere fra le righe ha talvolta l'impressione che, dietro a certe politiche - più "ecologiste" (ideologiche) che "ecologiche" (scientifiche) - si nasconda una qualche volontà, non esplicitamente dichiarata, di liberare la montagna dalle comunità che la abitano per fare spazio ad una presunta "natura incontaminata". Certamente, per talune lobby, una montagna disabitata farebbe molto comodo. Eliminerebbe i contenziosi con le comunità locali, favorirebbe il controllo e lo sfruttamento delle risorse strategiche come l'acqua o il legame. I punti cardine per il rilancio della vita in montagna e di contrasto allo spopolamento sono, infatti, il rafforzamento dei presidi scolastici, di quelli sanitari ed il potenziamento della mobilità alternativa mediante il rilancio del trasporto pubblico. Gli abitanti della montagna, che ogni giorno devono fare i conti con la "montagna reale" - non con quella enfatizzata da alcune realtà associazionistiche (non tutte, ovviamente!) si trovano a svolgere funzioni che oserei definire "eroiche". Come i contadini e gli allevatori/alpicoltori che devono confrontarsi con le difficoltà create loro dall'incremento dei grandi predatori nella stagione dell'alpeggio, spesso rassicurati da chi dell'alpeggio e della cultura della malga ha un'idea fantasiosa sul modello del «mito di Heidi». Se non si affrontano questi problemi si fa soltanto della facile "retorica della montagna" che, come ogni esercizio retorico, nasconde i problemi reali del vissuto quotidiano. Per avviare una vera cultura della montagna, occorre liberare l'immaginario da logori stereotipi e lavorare per la montagna sia sotto il profilo della difesa dell'ambiente naturale, in ottica realistica e non idealistica, sia per una riqualificazione del paesaggio culturale dove le comunità hanno costruito il loro «spazio di vita».

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CAMBIAMENTI CLIMATICI: COP 25 Corriere delle Alpi | 12 dicembre 2019 p. 11 segue dalla prima Il rapporto presentato da Cnr di Trieste e Arpa Veneto a Madrid dov'è in corso la Cop 25 sui cambiamenti climatici I ghiacciai del pianeta hanno la febbre alta Marmolada con il destino segnato fra 30 anni ROMA I ghiacciai di tutto il mondo hanno la "febbre" e nel giro di pochi decenni la Terra rischia di perdere buona parte del suo antico manto bianco. In Italia si prevede che tra 25-30 anni il ghiacciaio della Marmolada possa scomparire del tutto. Lo stesso potrebbe accadere a tutti i ghiacciai del pianeta, tranne Himalaya e Poli, se l'aumento delle temperature dovesse superare i 2. Una sorte toccata ai ghiacciai che si trovavano negli attuali Tropici, scioltisi 20.000 anni fa, dunque prima di quanto pensato finora. Le speranze per la Marmolada non sembrano essere molte. Secondo lo scenario delineato dai ricercatori del Cnr-Ismar, delle Università di Trieste, Genova e Aberystwith e di Arpa Veneto, "anche se la temperatura restasse com'è, il suo destino appare segnato". Tra il 2004 e 2015 ha subito una riduzione di volume del 30% e di area del 22%. Se un tempo era massa glaciale unica, ora frammentato e suddiviso in varie unità, dove in diversi punti affiorano masse rocciose sottostanti, rilevano i ricercatori. Se il tasso di riduzione continuerà come nel passato decennio, tra 25-30 anni il ghiacciaio sarà praticamente scomparso. Per la fine del secolo sarà fondamentale contenere l'aumento della temperatura globale entro 1,5 gradi. Se si dovessero superare i 2 gradi di aumento i ghiacci in tutto il mondo scompariranno, al di fuori dell'Himalaya e dei Poli. A cui si aggiunge la perdita di neve che danneggerebbe l'approvvigionamento idrico. A dirlo il rapporto "Cryosphere 1. 5 gradi" , presentato a Madrid dove è in corso la Cop25, firmato da un gruppo di 40 ricercatori che lanciano un appello ai governi. Il limite di 1, 5 di aumento della temperatura globale rispetto a quella preindustriale viene definito "un guardrail" per il pianeta. C'è un rischio maggiore di aumento irreversibile e massiccio del livello dei mari a 2 gradi, con conseguenze per la pesca negli oceani polari a causa dell'acidificazione. Lo scioglimento dei ghiacciai non è però una novità per il nostro pianeta. Uno studio dell'università di Dartmouth, pubblicato sulla rivista Sciences Advances, ha infatti rilevato come i ghiacciai che si trovavano in Sud America e nell'Africa orientale, nella zona che oggi corrisponde ai Tropici, avessero iniziato a sciogliersi circa 20 mila anni fa, ciò prima di quanto si pensasse. La loro ipotesi è che questo scioglimento anticipato possa essere stato innescato dall'aumento delle temperature ai poli, che a sua volta avrebbe ridotto il ciclo della circolazione atmosferica e oceanica, rallentando il movimento del calore fuori dai Tropici. Secondo i ricercatori, i ghiacciai dell'Africa tropicale e del Sud America avrebbero raggiunto la massima estensione fra 29 e 21 mila anni fa, per poi iniziare a sciogliersi. Il ritiro sarebbe avvenuto quindi prima dell'aumento di anidride carbonica avvenuto 18.200 anni fa. Ci mostrerebbe che le temperature tropicali aumentarono in tutto il pianeta e che il riscaldamento potrebbe essere stato causato da una riduzione delle differenze di temperatura tra le regioni polari e quelle tropicali. A differenza di 20 mila anni fa, in questo caso il principale imputato per lo scioglimento dei ghiacciai è l'uomo. Corriere delle Alpi | 16 Dicembre 2019 p. 8 Il segretario dell'Onu: «Sul clima perdiamo la sfida più importante» l'intervista dall'inviato a New York Paolo Mastrolilli «Sono deluso dai risultati della conferenza COP25. La crisi climatica è una corsa contro il tempo per la sopravvivenza della nostra civiltà. Purtroppo è una gara che stiamo perdendo». L'avvertimento viene dal segretario generale dell'Onu Antonio Guterres, in questa intervista concessa in esclusiva al nostro giornale, in occasione della sua visita in Italia e in Vaticano, che comincerà domani sera. Il capo del Palazzo di Vetro lancia anche un appello affinché tutte le forze mercenarie lascino la Libia. Il prossimo anno segnerà il 75° anniversario dell'Onu, ma le organizzazioni multilaterali sono sotto attacco da parte di governi e movimenti sovranisti. Qual è la sua risposta ai critici del multilateralismo e cosa chiede all'Italia? «L'Italia è la patria di molte istituzioni dell'Onu, tra le altre visiterò la base di Brindisi, e continua a dimostrare impegno e sostegno ai nostri ideali. Contrariamente a quanto si dice, abbiamo bisogno di maggiore solidarietà internazionale e più multilateralismo, per affrontare le questioni di pace e sicurezza, promuovere lo sviluppo sostenibile, i diritti umani, ridurre le disuguaglianze ed evitare una catastrofe climatica. Ma questo multilateralismo deve adattarsi alle sfide di oggi e di domani». Ritiene che il Consiglio di sicurezza debba essere riformato? «Concordo pienamente con Kofi Annan quando aveva affermato che non ci sarà una riforma completa delle Nazioni Unite senza una riforma del Consiglio di sicurezza. Il presente Consiglio riflette ancora il mondo del 1945. Detto questo, la Carta delle Nazioni Unite è chiara: spetta agli Stati membri determinare in che modo verrà riformato il Consiglio di sicurezza e spero che lo facciano». Italia e Usa hanno espresso preoccupazione per la presenza di forze russe irregolari in Libia, che sostengono le operazioni militari del generale Haftar, a cui è

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seguita una risposta della Turchia. Condivide questi timori, e cosa bisognerebbe fare? «È deplorevole che un embargo sulle armi determinato dal Consiglio di sicurezza riguardo la Libia sia violato da così tanti Stati membri, così come è deplorevole il numero di mercenari che operano nel Paese, qualunque sia la loro origine. Continuo a chiedere la fine dell'escalation e il sostegno attivo di tutti i libici e gli attori internazionali per trovare una soluzione pacifica e politica. Il processo di Berlino è un'occasione unica per riunire tutti coloro che hanno un'influenza sul conflitto in Libia, e cercare di ottenere le condizioni per un cessate il fuoco e il ritorno di un processo politico, e per un dialogo intra-libico. La comunità internazionale dovrebbe unirsi a noi per esortare tutti ad evitare misure che potrebbero causare escalation e a fermare la consegna di armi e altre forniture militari ad entrambe le parti». Il nuovo governo italiano ha cambiato la linea sugli sbarchi dei migranti. Come la giudica e cosa dovrebbe fare la Ue? «Dobbiamo rispettare le promesse di condivisione delle responsabilità del Global Compact on Refugees e ristabilire l'integrità del regime internazionale di protezione dei rifugiati. E dobbiamo collaborare per contrastare i trafficanti e i criminali che si arricchiscono sulle spalle di persone vulnerabili. I naufragi mortali non possono diventare la nuova normalità. Le soluzioni dovrebbero affrontare le cause profonde che portano a questi viaggi pericolosi. Abbiamo bisogno di un reale impegno a condividere le responsabilità tra gli Stati membri. In questo contesto, accolgo con favore le nuove politiche di Roma e ribadisco ciò che ho detto nella mia passata capacità di Alto Commissario per i rifugiati: deve esserci un'efficace solidarietà europea con i Paesi in prima linea come Italia e Grecia». Alla vigilia della COP25 di Madrid lei ha detto che siamo vicini al «punto di non ritorno», ma la conferenza è fallita. Qual è il suo piano ora per convincere tutti i Paesi a fare di più? «Accolgo con favore l'impegno della Ue a raggiungere la neutralità delle emissioni di carbonio entro il 2050 ed esorto tutti i paesi a seguire questo esempio. Mi dispiace molto che a Madrid la comunità internazionale non sia stata in grado di corrispondere al livello di impegno richiesto dal mondo. La crisi climatica è una corsa contro il tempo per la sopravvivenza della nostra civiltà. Purtroppo è una gara che stiamo perdendo. Mentre molte persone già affrontano le terribili conseguenze della crisi climatica, la realtà di un ambiente che sta diventando inabitabile non è ancora ovvia per tutti. Ma possiamo ancora invertire la tendenza. Esistono soluzioni. Abbiamo la scienza dalla nostra parte, nuovi modelli di cooperazione, e un crescente slancio per il cambiamento. Il prossimo anno dobbiamo fornire ciò che la comunità scientifica ha definito un obbligo. Tutti i Paesi devono impegnarsi a ridurre le emissioni di gas a effetto serra del 45% rispetto ai livelli del 2010 entro il 2030, e raggiungere zero emissioni di CO2 entro il 2050. Nei prossimi cruciali 12 mesi sarà essenziale garantire impegni nazionali più ambiziosi, in particolare da parte dei principali inquinatori». A Roma incontrerà Papa Francesco. Cosa discuterà con lui? «Volevo esprimere il mio apprezzamento per il suo lavoro. È una voce forte su crisi climatica, povertà e disuguaglianza, multilateralismo, protezione di rifugiati e migranti, disarmo e molte altre questioni importanti. Il Papa sta contribuendo al raggiungimento di molti dei nostri obiettivi, inclusi quelli per lo sviluppo sostenibile, la lotta ai cambiamenti climatici e la promozione di una cultura di pace. Costruire ponti è una buona analogia. Spero di esplorare come aumentare la nostra collaborazione per fare proprio questo: costruire ponti per ottenere più risultati per le persone che ne hanno più bisogno». La libertà di religione è minacciata in tutto il mondo. «È un altro argomento che spero di discutere con Papa Francesco. Sono profondamente preoccupato per un aumento dell'intolleranza che include attacchi diretti alle persone basati su nient'altro che le loro fedi religiose o affiliazioni. Negli ultimi mesi ho lanciato due iniziative: un piano d'azione per salvaguardare i siti religiosi e difendere il diritto alla libertà religiosa; e una strategia a livello di sistema Onu per affrontare la questione dell'odio. Abbiamo bisogno di forti investimenti nella coesione sociale per garantire che le diverse comunità sentano rispettate le loro identità, e facciano lo stesso per gli altri. Intendo convocare una conferenza sul ruolo dell'educazione nell'affrontare e costruire la resilienza contro la diffusione dell'odio». Teme una Seconda Guerra Fredda tra Usa e Cina? «Sono preoccupato per la possibilità di quella che chiamo "la grande frattura". Se le due maggiori economie del mondo si dividono su settori come il commercio e la tecnologia, ad esempio, ci troviamo davanti al rischio di creare due sotto mondi separati. Ognuno con le proprie regole commerciali e finanziarie, la propria Internet, la propria strategia di intelligenza artificiale e i propri sviluppi geostrategici e militari. Ciò è qualcosa che dobbiamo evitare. Per garantire pace e sicurezza, dobbiamo lavorare verso un mondo con un unico insieme di regole globali, che tutti accettano e garantiscono. Abbiamo bisogno di un forte mondo multipolare con forti istituzioni multilaterali». Vede il rischio di una nuova corsa agli armamenti? «Sono molto preoccupato perché i meccanismi creati per limitare il rischio di uno scontro nucleare stanno facendo passi all'indietro. È assolutamente essenziale riportare il disarmo nucleare nel cuore dell'agenda internazionale. Intensificherò i miei sforzi per aiutare gli Stati membri a tornare ad un percorso comune che conduca all'eliminazione totale delle armi nucleari. Anche gli sviluppi tecnologici sono preoccupanti. Temo che gli attacchi informatici possano innescare nuovi conflitti. Le armi autonome, che potrebbero avere il potere di uccidere senza l'intervento umano, sono politicamente inaccettabili e moralmente spregevoli. Credo fermamente che dovrebbero essere vietate, ma al momento non esiste un consenso al mondo su come regolare questi nuovi sviluppi tecnologici. È una sfida che dobbiamo affrontare con urgenza». --© RIPRODUZIONE RISERVATA

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TRANSUMANZA E ALPINISMO: PATRIMONI IMMATERIALI UNESCO Corriere delle Alpi | 12 dicembre 2019 p. 18 segue dalla prima La transumanza patrimonio Unesco: «Attività ad elevato valore ecologico» BELLUNO Patrimonio culturale e immateriale dell'Umanità. È in questa lista che ieri a Bogotà è stata inserita la transumanza, la tradizionale pratica pastorale di migrazione stagionale del bestiame lungo i sentieri e le strade di montagna, verso condizioni climatiche migliori. Una delle più antiche pratiche dell'allevamento diventa dunque un patrimonio condiviso del mondo, da tutelare. Lo ha deciso il comitato intergovernativo riunito a Bogotà. Con questa decisione l'Italia acquisisce il primato di iscrizioni in ambito rurale e agroalimentare, superando Turchia e Belgio. I luoghi simbolo della transumanza sono in tutta Italia: dal Trentino, ad Amatrice, dall'Irpinia alla Puglia. La pratica della pastorizia e della transumanza è stata fonte di sostentamento anche nel Bellunese, per centinaia di anni, un mestiere che è andato estinguendosi, salvo tornare negli ultimi anni con i tentativi (riusciti) di recuperare delle razze di ovini quasi scomparse per farne una fonte di reddito, magari come integrazione all'attività agricola. Grande la soddisfazione per la decisione presa a Bogotà è stata espressa dai ministri delle Politiche agricole Teresa Bellanova e dell'Ambiente, Sergio Costa: ad esprimere il parere favorevole sono stati 24 Paesi riuniti in Colombia. Il riconoscimento riguarda tutta l'Italia, dalle Alpi al Tavoliere: le comunità emblematiche indicate nel dossier come luoghi simbolici della transumanza sono diverse, tra cui i comuni di Amatrice (Rieti) da cui è partita la candidatura subito dopo il devastante terremoto, Frosolone (Isernia), Pescocostanzo e Anversa degli Abruzzi in provincia dell'Aquila, Lacedonia in Alta Irpinia in Campania, San Marco in Lamis e Volturara Appula (il paese del premier Conte) in provincia di Foggia, insieme a territori della Lombardia, la Val Senales in Trentino Alto-Adige, e la Basilicata. I pastori transumanti, come sottolinea il dossier di candidatura presentato dall'Italia insieme a Grecia e Austria all'Unesco, hanno una conoscenza approfondita dell'ambiente, dell'equilibrio ecologico tra uomo e natura e dei cambiamenti climatici: si tratta infatti di uno dei metodi di allevamento più sostenibili ed efficienti. Oggi la transumanza è praticata soprattutto tra Molise, Abruzzo e Puglia, Lazio, Campania, e al Nord tra Italia e Austria nell'Alto Adige, in Lombardia, Valle d'Aosta, Sardegna e Veneto. «Un riconoscimento importante - sottolinea la Coldiretti - che conferma il valore sociale, economico, storico e ambientale della pastorizia che coinvolge in Italia ancora 60mila allevamenti nonostante il fatto che nell'ultimo decennio il numero dei capi sia passato da 7,2 milioni di pecore a 6,2 milioni perdendo un milione di animali. Il riconoscimento tutela un'attività ad elevato valore ecologico e sociale poiché - continua la Coldiretti - si concentra nelle zone svantaggiate e garantisce la salvaguardia di ben 38 razze a vantaggio della biodiversità del territorio». «Il Veneto ora può far valere le "Vie dei pascoli" previste da un progetto di legge depositato in Consiglio regionale», dice Coldiretti bellunese. «Dobbiamo pensare ai bassi prezzi pagati ai pastori, al moltiplicarsi degli attacchi degli animali selvatici, alla concorrenza sleale dei prodotti stranieri spacciati per nazionali e ai ridotti spazi per la transumanza con ripercussioni sull'assetto ambientale del territorio perché quando un allevamento chiude si perde un sistema di animali, di prati, di formaggi tipici e di persone che combattono lo spopolamento». Alto Adige | 12 dicembre 2019 p.5 La transumanza diventa patrimonio dell'umanità Riconoscimento dell'Unesco ROMA Marcia trionfale ai lavori del Comitato intergovernativo Unesco, a Bogotà, per la Transumanza che da ieri è stata iscritta, con volontà unanime dei 24 Paesi votanti, nella Lista rappresentativa degli elementi dichiarati Patrimonio culturale immateriale dell'Unesco. Un ingresso che segna anche un nuovo primato mondiale per l'Italia per la quota-record di iscrizioni in ambito rurale e agroalimentare, e il sorpasso su Turchia e Belgio. Ma il riconoscimento premia soprattutto il lavoro di squadra per la candidatura della pratica pastorale tra Italia, Austria e Grecia. «Siamo fieri di questo riconoscimento per la tradizione rurale italiana» commenta la ministra delle Politiche agricole alimentari e forestali Teresa Bellanova. Mentre il ministro dell'Ambiente Sergio Costa si dichiara «particolarmente contento di questo risultato che riconosce e premia il lavoro svolto dal mio capo di gabinetto, Pier Luigi Petrillo, autore del dossier, e dall'ambasciatore d'Italia all'Unesco Massimo Riccardo, che ringrazio per l'impegno profuso nel negoziato internazionale. Come ha evidenziato l'Unesco nella sua motivazione - ricorda Costa - la pratica della transumanza, rispettosa del benessere animale e dei ritmi delle stagioni, è un esempio straordinario di approccio sostenibile. Con il decreto legge clima, approvato in via definitiva, abbiamo istituito - sottolinea ancora - i 'caschi verdi per l'ambiente, una task force di esperti mondiali con il compito di salvaguardare e promuovere proprio i valori naturalistici dei siti riconosciuti dall'Unesco patrimonio dell'umanità, stanziando 6 milioni di euro in tre

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anni per supportare le comunità e i territori chiamati a gestirli». Nel dettaglio, la candidatura della «Transumanza» quale movimento stagionale del bestiame lungo gli antichi tratturi nel Mediterraneo e nelle Alpi«, avanzata nel marzo 2018 dall'Italia insieme alla Grecia e all'Austria ha visto il coinvolgimento diretto delle comunità italiane nelle Regioni di Puglia, Basilicata, Campania, Molise, Lazio, Abruzzo, Lombardia e province di Trento e Bolzano. Trentino | 12 dicembre 2019 p.18 La transumanza diventa patrimonio Unesco TRENTO La transumanza, la tradizionale pratica pastorale di migrazione stagionale del bestiame lungo i tratturi e verso condizioni climatiche migliori, è stata iscritta, all'unanimità, nella Lista Rappresentativa del Patrimonio culturale immateriale dell'Unesco. Lo ha deciso il Comitato intergovernativo a Bogotà. I pastori transumanti, come sottolinea il dossier di candidatura presentato dall'Italia insieme a Grecia e Austria all'Unesco, hanno una conoscenza approfondita dell'ambiente, dell'equilibrio ecologico tra uomo e natura e dei cambiamenti climatici: si tratta infatti di uno dei metodi di allevamento più sostenibili ed efficienti. Oggi la transumanza è praticata soprattutto tra Molise, Abruzzo e Puglia, Lazio, Campania, e al Nord tra Italia e Austria, in Trentino Alto Adige, in Lombardia, Valle d'Aosta, Sardegna e Veneto. Particolarmente soddisfatto Alberto Pattini, consigliere comunale di Trento e da anni osservatore e documentatore della pastorizia transumante dal Lagorai all'Adriatico attraverso foto, mostre e libri: «Il coronamento di un lavoro durato quattro anni per valorizzare questa pratica che in Trentino riguarda una settantina di pastori. È una tradizione millenaria sulle Alpi che risale al neolitico, 8 mila anni avanti Cristo. Oggi abbiamo un movimento giovanile che merita aiuti economici, che arriveranno, ma soprattutto rispetto perché oggi in certi Comuni i pastori non possono neppure passare». Trentino | 13 dicembre 2019 p.16 L’arte di scalare montagne E da ieri anche l’”alpinismo” ha ricevuto il riconoscimento dell’Unesco Dopo la transumanza, la Commissione speciale dell'organizzazione dell'Onu ha iscritto nella lista dei beni immateriali dell'Unesco anche l'alpinismo, definito come «l'arte di scalare le montagne e le pareti rocciose, grazie a capacità fisiche, tecniche e intellettuali». Il riconoscimento è avvenuto in occasione della Giornata internazionale della Montagna. Iniziato nove anni fa, il percorso di candidatura è stato sostenuto in maniera sinergica da Italia, Francia e Svizzera (con il coordinamento dei Comuni di Courmayeur e di Chamonix). «Sono molto contento - ha commentato il re degli Ottomila Reinhold Messner - ma occorre definire di quale alpinismo si tratta. Di quello che sarà presente alle Olimpiadi di Tokyo attraverso le gare di arrampicata? Questo è sport. Delle salite su piste già preparate da altri per arrivare sulla cima dell'Everest o del Monte Bianco? Questo è turismo. Ecco, nella mia vita io ho fatto qualcosa di diverso. Secondo me va considerato l'alpinismo tradizionale, quello che va dal 1786 con la prima salita del Monte Bianco ad oggi, che è un fatto culturale, un approccio con la montagna». «Personalmente - ha aggiunto Messner - sento la responsabilità di salvare la narrativa dell'alpinismo tradizionale, di raccontarlo affinché non si perda. Nei prossimi anni della mia vita ho deciso di prendere quest'impegno». Entusiasmo e soddisfazione sono stati espressi anche dal Trento Film Festival per l'iscrizione dell'alpinismo nella lista dei beni immateriali dell'Unesco. «Questa notizia ci riempie di gioia e di orgoglio», afferma il presidente del Festival, Mauro Leveghi. «L'alpinismo, infatti - aggiunge - fa parte del Dna del Trento Film Festival e sin dal 1952 abbiamo raccontato, attraverso l'arte del cinema, del teatro, della letteratura, della pittura, la diretta voce dei protagonisti di questa straordinaria e coinvolgente espressione culturale dell'uomo, fatta di grandi imprese, di drammi, rinunce, vittorie, ma anche di amicizia, solidarietà e umanità». Messaggero Veneto | 13 dicembre 2019 p.13 Alpinismo bene immateriale con le radici anche in Friuli di Alessandra Beltrame Prima sono venuti quelli che hanno scalato le montagne con barometro e abiti da città, spinti da inarrestabile febbre di conoscenza. Era l'Ottocento e Giovanni Marinelli e altri, assieme alla Società alpina friulana, hanno lasciato il segno nell'esplorazione delle

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montagne. Poi sono arrivati i rocciatori, che hanno scalato lo scalabile. Celso Gilberti fra tutti, udinese e accademico del Cai a vent'anni, che lascia una schiera di adepti. Seguono i campioni delle spedizioni mondiali: Ardito Desio nel 1954 guida la conquista italiana del K2. Gli ultimi 50 anni di arrampicata sono densi di nomi eccellenti: Ursella, De Infanti, Bulfoni, Lomasti, Mazzilis, Simonetti, De Rovere, Di Gallo. Le donne, eccezionali scalatrici, la nostra regione ne conta di eccellenti: Bianca Di Beaco, Silvia Metzeltin e, prima, Annina e Minetta Grassi, Livia Cesare, Jolanda de Basadonna, Olga Bois de Chesne, Tiziana Weiss, che aprono la strada alle accademiche Silvia Stefanelli, Ariella Sain e Nives Meroi, insuperabile con il marito Romano Benet sugli Ottomila della Terra. Qui l'alpinismo è storia, cultura ed emancipazione. Perciò il riconoscimento Unesco, arrivato ieri 12 dicembre con il voto umanime dei 178 delegati riuniti a Bogotá in Colombia, che lo ha inserito fra i beni immateriali dell'umanità da conservare e proteggere, non è che la conferma di una magnifica tradizione. L'Unesco ha riconosciuto di fatto nella pratica alpinistica una forma di arte, rispettosa dell'ambiente e ispirata ai principi di solidarietà e libertà. «L'arte di scalare le montagne e le pareti rocciose, grazie a capacità fisiche, tecniche e intellettuali, evidenzia lo stretto rapporto tra patrimonio culturale immateriale, ambiente e sviluppo sostenibile, rafforza il senso di responsabilità condivisa per il mantenimento e il recupero di luoghi di notevole valore sociale, come i rifugi di alta montagna», si legge nelle motivazioni. A concorrere alla candidatura hanno contribuito il Club alpino italiano, il Club alpino svizzero e la Federazione francese dei club alpini e di montagna, le associazioni nazionali delle guide alpine e il Mibact. Dell'alpinismo sono stati evidenziati gli aspetti sociali e culturali e il suo spirito internazionale. Si spera ora che il riconoscimento Unesco apra la strada, come promette, ad azioni concrete, sull'impatto dei cambiamenti climatici, su strategie comuni su responsabilità e assunzione del rischio, sul rinnovamento dei rifugi (preziosi punti di partenza per raggiungere le cime) verso sostenibilità ed efficienza energetica, sulla trasmissione della pratica alle nuove generazioni, sul rispetto della natura in luoghi, che a volte sono invece trasformati in luna park in quota. Vincenzo Torti, presidente generale del Cai, osserva: «Ferma la libertà di accesso alle montagne, l'avvicinamento alla loro frequentazione richiede fasi di apprendimento e di accompagnamento, l'esatto contrario della superficialità con cui vengono pubblicizzati messaggi di avventura no-limits» Insomma, alpinismo sì ma con giudizio e, soprattutto, nel pieno rispetto dell'ambiente che ospita le cime. Ma questo gli alpinisti veri lo sanno già.

L'Adige | 14 Dicembre 2019 p. 47 segue dalla prima Un impegno accanto ai pastori La Dichiarazione di Patrimonio dell'Umanità della pratica delle transumanze sancita a Bogotà da parte dell'Unesco è di importanza epocale per diversi motivi, e proprio l'antropologia culturale può mostrarne il fascino. La modalità più antica che l'umanità ha utilizzato per conoscere il nostro pianeta è stata attraverso il camminare. Chi cammina per esplorare percorre lo spazio lentamente, è curioso, cerca di capire dove si trova e come si deve comportare. I primi ominidi senza saperlo ci hanno lasciato come testimonianza della loro prima presenza nel mondo proprio i loro passi: la passeggiata di Laetoli, in Tanzania, può essere interpretata anche simbolicamente, è un messaggio per la nostra umanità veloce e nel contempo sedentaria che non è capace di comprendere più il paesaggio nelle sue tracce più nascoste. La nostra è una presenza ingombrante, siamo stati capaci di modificare anche irrimediabilmente il nostro habitat, in alcuni casi lo abbiamo reso irriconoscibile: non essendo più interessati ad attraversare la foresta l'abbiamo disboscata, aprendoci radure che abbiamo espanso sempre più, abbiamo modificato i ritmi della natura al punto da non riconoscere più le sue caratteristiche essenziali. Ma c'è una umanità reietta che conosce ancora questi tempi, che è capace di attraversare un luogo senza bisogno di segnaletica, che possiede un sapere molto antico che permette di sopravvivere senza fagocitare l'ambiente: è il popolo pastorale, la civiltà nomade. Quando pensiamo a questa modalità di essere nel mondo non dobbiamo ridurla solo all'esperienza pastorale alpina di cui abbiamo una conoscenza più diretta: i popoli transumanti sono ancora numerosi e abitano di solito i luoghi più difficili della nostra Terra perché là, noi, civiltà dei sedentari, li abbiamo relegati, erodendo sempre di più il loro spazio e spingendoli in zone che difficilmente sapremmo abitare. Loro in silenzio si sono adattati ancora una volta, come fecero migliaia di anni fa, quando, recuperando la tradizione dei loro antenati cacciatori-raccoglitori, hanno incominciato a viaggiare con le loro greggi per assicurarne il sostentamento. I pastori sono i nuovi scopritori del territorio montano: ad esempio, anche da noi nelle Alpi hanno rinnovato la presenza in quota, risalendo quei vecchi sentieri, quasi dimenticati, per raggiungere le praterie d'altura. Grazie alla loro annuale pratica di salita e discesa anche la civiltà dei sedentari ha tratto benefici: non li abbiamo mai ringraziati per questo, anzi li abbiamo sempre guardati con sospetto, in cagnesco, cercando di circoscrivere i loro passaggi, alimentando una assurda paura. Come scriveva Chatwin, profondo conoscitore di questa cultura marginale, «di rado o forse mai i nomadi hanno distrutto una civiltà», possiamo dire di più: certamente mai hanno devastato un paesaggio. Il pastore è saggio e sa che non può permettersi di modificare l'ambiente che lo sostiene: è vero custode della biodiversità sia ambientale sia culturale. Possiede le prime e profonde radici del nostro essere umani, il suo patrimonio è fatto di conoscenze

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pratiche e immateriali che permettono di attraversare tempo e spazio senza soccombere. Noi, civiltà violenta, abbiamo fatto di tutto per disperdere le loro tracce, abbiamo tentato in ogni modo di assoggettarli, abbiamo cercato di soverchiarli: non ci siamo riusciti e questa Dichiarazione, per fortuna, è il primo atto di pace, in millenni di guerre! Qualsiasi territorio, anche quello alpino, non è mai stato percepito da loro come una barriera, anzi era ed è un cordone ombelicale che unisce le genti: l'emblema più significativo è il fiume, che non a caso è stato scelto dai pastori di tutto il mondo come la strada naturale accanto alla quale viaggiare sicuri! La nostra civiltà purtroppo è riuscita ad avvelenare anche questi luoghi essenziali per la vita umana. La teoria economica capitalistica non riuscirà mai a capire il nomade che non tesaurizza il proprio patrimonio attraverso beni materiali stabili, che è in grado di sopravvivere con pochissime risorse, che utilizza il territorio senza imporre la propria presenza, che è parte di un tutto, la natura, e ne ha un rispetto profondo. Questi popoli stanno scomparendo, sono sempre più in pericolo a causa di altri che interrompono le loro traiettorie, si frappongono nei loro ambienti: i pastori infatti stanno lottando per difendere il loro ambiente naturale, per preservare la loro ecologia. La lotta, che stanno sostenendo, è impari. Questa Dichiarazione può essere l'inizio di un nuovo percorso, finalmente insieme: il pastore errante non sarà più solo a cantare nelle praterie notturne, ma accanto a lui/lei ci deve ciascuno di noi, capace di sapere ascoltare i suoi silenzi, capace di rispettare il suo sacro cammino. La transumanza è patrimonio dell'umanità, perché è la nostra prima umanità. Marta Villa Antropologa culturale al Dipartimento di Sociologia dell'Università di Trento e presidente Club per l'Unesco di Trento

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