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Alto Adige | 5 Marzo 2023

p. 34

Ambientalisti: «Il progetto rimane impattante»

PUSTERIA

Dura presa di posizione di Italia Nostra, Lipu e Mountain Wilderness contro il progetto del collegamento sciistico tra Padola e il passo di Monte Croce Comelico, che recentemente ha ottenuto un pre-parere positivo con prescrizioni da parte della Soprintendenza di Venezia e che sarà oggetto di una procedura di valutazione che si articola in diversi passaggi, tra cui la Valutazione di Impatto Ambientale e quella di Incidenza, il parere definitivo della Soprintendenza e l'approvazione da parte del Comune. Inoltre inciderà sulla valutazione del progetto l'esito del monitoraggio degli habitat e delle specie minacciate dall'intervento, della durata minima di tre anni. Italia Nostra, Lipu e Mountain Wilderness, pur apprezzando l'inserimento di aspetti culturali, che valorizzano i luoghi da un punto di vista storico, denunciano che «il progetto rimane altamente impattante sull'ambiente per diversi motivi». Fermo restando le perplessità già espresse in merito al complessivo intervento e al suo impatto sulla zona sotto i profili paesaggistico, ambientale e naturalistico, che sono oggetto dei giudizi pendenti davanti al Giudice amministrativo, le associazioni ambientaliste rimarcano la loro contrarietà al progetto «anche perché è in totale contrasto con la lotta ai cambiamenti climatici». «Dati recenti - proseguono le tre associazionidimostrano che per innevare un ettaro di pista occorrono circa 700 kWh di energia; a questo bisogna sommare il consumo energetico dei mezzi battipista, pari in media a 15 litri di gasolio per ogni ettaro. Applicando queste cifre alla superficie delle piste in progetto, si calcola che il consumo di energia per il mantenimento del collegamento per una stagione è equivalente a quello medio annuale di circa 300 famiglie di 4 persone». «L'appello alle Comunità locali e amministrazioni - concludono - è di ripensare a questo progetto nella responsabilità verso il pianeta e le generazioni future». E.D.

COLLEGAMENTO CORTINA – VAL BADIA

Corriere delle Alpi | 8 Marzo 2023 p. 27

Da Andraz al passo Sief: ambientalisti in marcia contro i nuovi impianti

Livinallongo

Dal castello di Andraz al Passo Sief del Col di Lana. Una lunga escursione, domenica, per dire di no all'ipotizzato collegamento tra Cortina e la Val Badia, passando appunto per il Col di Lana (o dintorni). Si tratta di una mobilitazione nazionale a cura del collettivo The Outdoor Manifesto che fa appello ad associazioni, comitati e gruppi spontanei con l'intento di ribadire la necessità di re-immaginare l'inverno e il sistema turistico ad esso collegato. Ancora una volta la stagione invernale, con la sua quasi totale assenza di precipitazioni nevose e le alte temperature registrate fino ad altissime quote, ci ricorda in modo netto e deciso», affermano gli organizzatori, «la sempre più paradossale condizione ambientale, economica e sociale in cui si trovano le terre alte». Sono 11 i raduni in 8 diverse Regioni italiane per dire: "Basta nuovi impianti". Il Coordinamento delle associazioni per l'ambiente dell'Alto Bellunese aderisce alla manifestazione nazionale e invita, dunque, a partecipare al raduno che si terrà ad Arabba con questo programma: ritrovo alle 9.30 al castello di Andraz, partenza alle 10 per Passo Sief. Si prosegue fino a bivacco Sief, luogo dove vorrebbero costruire la stazione di collegamento Cortina- Monte Cherz. Chi lo desidera può salire alla cima Sief del Col di Lana per poi ridiscendere al bivacco. Il pranzo sarà al sacco. Partenza per il rientro verso le 14 con arrivo al castello di Andraz alle 15 circa.I promotori avvertono che si tratta di un'escursione facile da fare a piedi, con le ciaspe oppure con gli sci a seconda della copertura nevosa. La salita facoltativa a Cima Sief richiede l'uso dei ramponi.L'escursione rientra tra gli eventi di Nevediversa 2023 di Legambiente. francesco dal mas©

RIPRODUZIONE RISERVATA

Corriere delle Alpi | 9 Marzo 2023 p. 19

No aeroporto e nuovi caroselli «Meglio puntare sul treno»

Belluno

"Nevediversa" dà conto di 10 'brutte idee' per l'Italia dello sci. Tra queste anche l'aeroporto a Cortina e i collegamenti col Civetta e la Val Badia. Ma presenta anche "10 buone idee da copiare". Vengono citate esperienze come quella della rinuncia della motoslitta ai piedi delle Tofane e delle tante iniziative per la diffusione delle ciaspe.«"Se è tutto fermo sul fronte del trasporto ferroviario sulla possibile tratta Belluno-Cortina, si fa sempre più strada l'idea di ripristinare o meglio far rinascere l'eliporto di Fiames, a poca distanza da Cortina», solleva dubbi Legambiente. «Da quanto è dato sapere non si tratterebbe solo di un normale aeroporto. Tra le ipotesi ventilate quella di prevedere all'interno anche un'area destinata al decollo e atterraggio di droni elettrici per il trasporto di persone. Sostanzialmente una struttura al servizio di una élite, con un forte impatto ambientale in un'area montana di pregio».Quanto al carosello sciistico di 1.300 km tra Cortina, Arabba, Alleghe, Comelico e Val Badia, questo sarebbe composto da 500 impianti di risalita che circonderebbero, e attraverserebbero, le vette e le valli dolomitiche dichiarate patrimonio dell'Umanità dall'Unesco: «Questa proposta avanzata da albergatori locali e imprenditori insieme a esponenti delle istituzioni non va di certo incontro ai veri bisogni delle comunità montane del bellunese. Le Olimpiadi Milano-Cortina 2026 potrebbero essere invece l'occasione per dotare il territorio di un efficace trasporto pubblico, avente come asse portante la ferrovia. Una soluzione sostenibile utile per pendolari e turisti che ridurrebbe le infinite code di auto lungo la statale dell'Allemagna. Sarebbe un'opera a vantaggio di tutti e non solo di pochi privilegiati».Meglio affidarsi, dunque, alle buone pratiche, magari da esportare, come quella del Rifugio Dibona di Cortina che ha rinunciato alle motoslitte. Dopo aver valutato la possibilità di chiudere in inverno, poiché «stava diventando un luna park», il gestore ha scelto di rinunciare al servizio motoslitta, utilizzato da decenni dai turisti per raggiungere il Dibona. Ora al rifugio si sale a piedi, un'ora di passeggiata nel bosco, in mezzo alla neve immersi, nel silenzio della natura. Altrettanto positivo il progetto "Outdoor Park Cadore", realizzato dalla Comunità Montana Centro Cadore, che prevede l'individuazione di itinerari semplici ma suggestivi, da percorrere con le ciaspe o con le pelli. "Dolomiti del Cadore: regno delle Ciaspe" è una guida completa di tutti gli itinerari escursionistici di media difficoltà ai piedi delle cime delle Dolomiti: le Tre Cime di Lavaredo e gli Spalti di Toro, il Cridola e l'Antelao, le Marmarole e i Cadini di Misurina. Altro esempio da imitare: la Cooperativa Mazarol propone ciaspolate da novembre ad aprile all'interno del Parco, accompagnati da guide esperte che hanno anche il titolo di Osservatori Nivologici Aineva. Tutti gli itinerari si concludono sempre in un rifugio. fdm© RIPRODUZIONE RISERVATA

Corriere delle Alpi | 12 Marzo 2023 p. 26

Sella del Sief e monte di Castello «Nessun nuovo impianto lassù»

LIVINALLONGO

Ci sono anche la sella del Sief e la montagna di Castello, dove dovrebbe passare il collegamento sciistico Cortina - Arabba, tra le 11 località prescelte dall'associazione "Basta nuovi impianti" (insieme ad altre 25 sigle ambientaliste, comitati e gruppi spontanei che si occupano di urgenze legate a tematiche ambientali e sociali che impattano le terre alte), per dare vita alla manifestazione nazionale che si terrà quest'oggi contro la costruzione di nuovi impianti. Undici località montane in 8 regioni, tutte nel centro - nord Italia, che i promotori della protesta definiscono «simboliche di un problema ormai diffuso su tutte le montagne italiane»: Monte San Primo e Montecampione (Lombardia), Alpe Devero (Piemonte) Serodoli e Panarotta (Trentin) Corno alle Scale (Emilia Romagna) Terminillo (Lazio) Roccamorice (Abruzzo) e Sella Nevea (Friuli).«L'obiettivo», spiegano gli organizzatori, «è quello di sottolineare la necessità di un concreto cambio di paradigma per lo sviluppo delle montagne della penisola in grado di ri-immaginare l'inverno tramite nuovi modelli che si sleghino dalla monocultura impiantistica e dello sci da discesa».Per la tappa "fodoma" della protesta, i partecipanti si ritroveranno alle 9:30 al Castello di Andraz per poi raggiungere la sella del Sief, "Jou de le Omblie" in ladino, e da lì il bivacco Sief per vedere i luoghi interessati dal collegamento sciistico Cortina - Arabba. Un'escursione semplice, che non necessita di attrezzatura o preparazione specifica. Sul progetto, in verità, negli ultimi tempi sembrano essersi un po' spenti i riflettori per concentrarsi invece sull'altro collegamento sponsorizzato dal governatore del Veneto Luca Zaia e dagli impiantisti di Cortina, ossia quello tra la conca ampezzana ed il comprensorio del Civetta. Ma il comitato "Ju le mán da nosta tiera", che, va specificato, non aderisce alla protesta, nato giusto tre anni fa in terra fodoma proprio per opporsi all'idea di attraversare con nuovi impianti la montagna di Castello ed il Col di Lana, teatro della Grande Guerra, non abbassa la guardia.«Sappiamo che Cortina continua a spingere», spiega il presidente Denni Dorigo, «anche se grosse novità non ce ne sono, come comitato siamo sempre vigili ed attenti a tutto quanto viene detto e scritto sull'argomento. Noi restiamo convinti che il collegamento attraverso la montagna di Castello non sia tecnicamente fattibile e non ci risulta nemmeno che gli impiantisti di Arabba abbiano cambiato di recente posizione in merito».A far suonare un campanello di allarme sono state invece nei giorni scorsi le affermazioni del presidente del Dolomiti Superski, Andy Varallo, che in un'intervista ha "benedetto" la realizzazione di nuovi caroselli. Varallo in realtà non ha mai citato esplicitamente il collegamento Cortina - Arabba e non è chiaro quindi se si riferisse invece a quello tra Comelico e Sesto Pusteria, che ha avuto di recente il via libera della Sovrintendenza.Ma tanto è bastato al comitato "Ju le mán da nosta tiera" di decidere di muoversi per vederci chiaro.« Chiederemo di incontrare il presidente Varallo per capire la linea del Dolomiti Superski», annuncia Dorigo, «anche se sappiamo che conosce benissimo il valore dei quell'area».Dorigo conclude precisando che il comitato si batte nello specifico contro il collegamento Cortina - Arabba e non ha niente contro altri progetti. «Non vogliamo essere etichettati come quelli che dicono no a tutto».

Lorenzo Soratroi© RIPRODUZIONE RISERVATA

Corriere delle Alpi | 13 Marzo 2023 p. 18

«Stop ai collegamenti sciistici» Ambientalisti sul Col di Lana

Livinallongo

"Rispettiamo la montagna" recita lo striscione che apre il corteo. Come? Pronta la risposta di Fabio Tullio, di Legambiente: «Basta investire su nuovi impianti, semmai riqualifichiamo l'esistente, razionalizzandolo. Le risorse a disposizione impieghiamole, piuttosto, nell'adattamento al cambiamento climatico, trovando progressivamente alternative allo sci».Siamo alla manifestazione di protestauna delle 12 in Italia - contro i nuovi impianti da sci. Il castello di Andraz, da cui si parte, in comune di Livinallongo, sembra davvero la sentinella dei lunghi tornanti che potano al passo Sief. «Ammonisce quanti vorrebbero mettere le mani su questo versante di così rara bellezza», arguisce Gigi Casanova di Mountain Wilderness. Il monito è chiaro, a chi non ha ancora rinunciato all'idea di collegare passo Falzarego con Arabba, o meglio con l'altopiano di Cherz, una meraviglia. Alla manifestazione di protesta c'erano circa 80 ambientalisti, che muniti di scarponi, sci, ramponi, pelli di foca, sono partiti proprio dai piedi del castello per andare fin lassù, alle trincee del Col di Lana. Hanno così risposto all'appello collettivo di "The Outdoor Manifesto". Il sentiero e il bosco sono desolatamente secchi. Solo qualche rimasuglio di neve negli angoli in ombra. La mattinata è splendida. Bisognerà salire 600 metri (e oltre) per intercettare la prima neve. «È qui che si vuole sciare?», si domandano in parecchi. Perplessi, ovviamente.Ci sono giovani (e meno giovani) di Mw, Italia Nostra, Peraltrestrade, Legambiente. Sono ben rappresentati anche i ladini e quanti, dei Fodom, hanno già detto un chiaro no a questo collegamento. Ma il no riguarda anche l'alternativa: dal passo Falzarego al Passo Valparola e poi giù verso Armentarola. E, dall'altra parte, dal passo Giau al Civetta. Ben nove sono le località, in Italia, in cui si ripete la protesta. Medesimo lo slogan-impegno: "Rispettare la montagna, no a nuovi impianti a fune". Lo dicono a gran forza, le delegazioni dei ladini e dei Fodom, quando arrivano a passo Sief. Soffia il vento, la neve si alza e toglie la vista, ma le parole no.Il Comitato Fodom di Livinallongo, che in questi anni ha dato battaglia, conferma che il suo impegno continuerà. Il sindaco Leandro Grones ha detto di no, ma domani, se dovesse arrivare un altro sindaco? Ne va dell'identità stessa della comunità locale.Roberta De Zanna, consigliere comunale a Cortina, racconta dei 100, forse 120 milioni "buttati" per la pista di bob. Luigina Malvestio di Italia Nostra rilancia la contestazione al Villaggio Olimpico di Campo, considerata, a suo avviso, la disponibilità di quello Eni di Borca. «Se fanno solo uno di questi impianti, salta la protezione Unesco», avverte ancora Casanova, "sbugiardando" (verbo da lui stesso usato) quanti sostengono che i collegamenti vanno a sostituire le auto del traffico ormai impossibile.Tra una foto e l'altra, Tullio di Legambiente continua a ripetere che «è indispensabile, anzi urgente, ripensare il turismo invernale, quello dello sci».Rilancia Casanova: «Basta nuovi impianti, razionalizziamo l'esistente, ammodernando la rete che c'è, ma possibilmente disboscandola».«È quanto si farà fin dai prossimi mesi e dai prossimi anni, qui ad Arabba, grazie alla sensibilità degli stessi impiantisti», assicura il sindaco Grones, rassicurando gli ambientalisti che finché ci sarà lui il collegamento da Cortina e dal Falzarego «non passerà». Francesco Dal Mas© RIPRODUZIONE RISERVATA

PASSI DOLOMITICI: IL DIBATTITO

Alto Adige | 11 Marzo 2023 p. 34

Passi dolomitici, un comitato spinge per la chiusura parziale massimiliano bona alta badia

Ambientalisti, politici, professionisti ed esperti di montagna hanno deciso di fare fronte comune e di tornare alla carica per la chiusura parziale dei passi dolomitici, un obiettivo ambizioso condiviso da molti altoatesini da oltre 20 anni ma che per vari motivi non si è mai concretizzato. I (blandi) tentativi fatti fino a oggi sono andati sistematicamente a vuoto. Albergatori e impiantisti in particolare frenano perché temono un calo degli introiti e alla vigilia delle elezioni provinciali saranno molti gli ostacoli da superare, almeno per l'estate 2023. Il primo problema è costituito dalla prudenza e dalla ritrosia dimostrate finora dalla Provincia, poco o per nulla propensa a fare scelte radicali. Già costituito un comitato scientifico.Il regista di quest'operazione è Michil Costa, albergatore-ecologista (candidatosi in più occasioni con i Verdi) che ha deciso di costituire un comitato scientifico nell'ambito del progetto «Car is over - chiusura dei Passi dolomitici estate 2023». Il primo incontro si è tenuto giovedì sera online. Al momento hanno accettato di far parte del Comitato scientifico personaggi di primo piano provenienti dai mondi più disparati: Luigi Casanova (dottore Forestale e storico esponente e presidente onorario di Mountain Wilderness), Diego Cason (sociologo del turismo e della pianificazione territoriale), Michil Costa (oste, imprenditore, presidente della Maratona dles Dolomites e autore di "FuTurismo-Un accorato appello contro la monocultura turistica"), Stefano Dell'Osbel (architetto ed esperto in mobilità e promotore del progetto "Treno delle Dolomiti" dell'agordino), Riccardo Dello Sbarba (filosofo, giornalista professionista e consigliere provinciale di Bolzano dei Verdi), Helmut Moroder (ingegnere e consulente nel settore mobilità, responsabile di sviluppo e innovazione presso la Sad di Bolzano), Silvia Simoni (ingegnere ambientale e ceo di Mountain-eering), Luigi Spagnolli (ex sindaco di Bolzano e senatore) e Carlo Zanella (presidente del Cai Alto Adige). Nell'iniziativa, sicuramente ambiziosa, sono stati coinvolti anche Francesco Ricci, coordinatore e responsabile della comunicazione, Marlene Zanotti, coordinatrice e responsabile della comunicazione e Serena Rela, coordinatrice del progetto.In ballo anche petizioni, raccolte firme e flash mob.Nel corso del primo faccia a faccia online c'è stata una breve presentazione da parte di ciascun membro del comitato scientifico, poi Michil Costa - nei panni di promotore - ha illustrato lo stato dell'arte sul percorso per la chiusura dei Passi dolomitici fatto finora, dal lontano 1999 al 2023. In ballo, è stato precisato, c'è una proposta pilota di chiusura parziale dei Passi per l'estate 2023. C'è stato anche un confronto aperto sulle prossime iniziative in agenda e tra le iniziative sul piatto figurano anche petizioni, raccolte firme e flash mob. L'obiettivo di fondo è quello di raccogliere consensi non solo tra i residenti ma, in assoluto, tra chi ha a cuore il futuro della montagna e non vuole che le Dolomiti diventino un luna park a cielo aperto.©RIPRODUZIONE RISERVATA

Alto Adige | 11 Marzo 2023 p. 34

Già arrivato il sostegno del Cai e dell'Avs

Dolomiti

Già arrivato, nel frattempo, il sostegno pieno da parte del presidente altoatesino del Cai Carlo Alberto Zanella e del presidente dell'Avs Georg Simeoni, che assieme totalizzano oltre 80 mila soci. «Una chiusura totale - sottolinea Zanella - sarebbe irrealistica, ma una chiusura parziale è doverosa. Sono stato a Passo Sella per tutti i cinque meracoledì in cui il Passo venne chiuso qualche anno fa e la sensazione è stata meravigliosa». Sulla stessa lunghezza d'onda anche Simeoni che fa una proposta anche per l'orario. «L'idealespiega Simeoni - sarebbe fermare le auto dalle 9.30 alle 15. Bisogna consentire ai veri appassionati di andare in quota».©RIPRODUZIONE RISERVATA

Alto Adige | 11 Marzo 2023 p. 34

Il progetto ‘Car is over’: “Bisogna chiudere i passi per salvare le Dolomiti”

Già presentato il «Documento progettuale per la chiusura dei passi dolomitici nel periodo estivo 2023». Il messaggio, chiaro e netto, porta la firma di Michil Costa: «Donne, uomini, giovani, bambini: se non chiudiamo i passi dolomitici oggi ecco cosa ci aspetta».1. Caroselli e circuiti auto-motociclistici continui: le folli velocità, i rombi dei motori, i test dei veicoli disturbano la quiete, deturpano l'ambiente e rompono le scatole. Per non dire peggio.2. Abusi e mancanze di rispetto di qualsiasi tipo: lasciando i passi alla mercé degli auto-motociclisti italiani e stranieri che si credono a Misano o al Mugello, aspettatevi insulti quando va bene, e ossa rotte quando va peggio.3. Caos acustico e inquinamento atmosferico: il passaggio nei mesi estivi di milioni di motori a scoppio è causa di traffico eccessivo, affollamento smisurato, inquinamento a tutti i livelli con tanto di stress da rumore, problemi di salute e paralisi della qualità della vita presente e futura degli abitanti di queste terre, animali compresi.4. I rocciatori andranno altrove: come si fa a scalare le torri del Sella se il rimbombo generato dal passaggio di auto e moto su quelle pareti è assurdo? Le Dolomiti hanno fatto la storia dell'alpinismo, auto e moto la stanno distruggendo.5. Anche i cicloturisti andranno altrove: il trend del cicloturismo in continua ascesa e potentissimo a livello europeo non ci riguarderà a causa dell'osceno traffico che si consuma nei mesi estivi sui nostri passi. Le Dolomiti sono un eldorado per i ciclisti e pedalare sui passi senza traffico è un sogno per milioni e milioni di turisti. Li vogliamo perdere?6. Addio a marmotte e persone: il traffico auto-motociclistico rende il nostro ambiente sempre più invivibile, così le marmotte scavano gallerie per andare altrove e le persone scelgono altre mete dove vivere la montagna come si deve.7. Un Sellaronda estivo che non sarà mai come quello invernale Eppure, le potenzialità ci sono tutte. Ma la miopia di amministratori, politici e albergatori ci sta facendo perdere un'eccellente opportunità di sviluppo e traino turistico.8. La perdita del turista lento: perché chi cammina e tutti coloro che amano starsene in pace e cercano aria pulita e tranquillità devono sorbirsi il rombo di una Ducati anche in cima al Boè? Eppure, camminare sulle Dolomiti è di una bellezza ineguagliabile, ambita nel mondo.9. La delusione in chi ci viene a trovare: l'ospite che sogna le Dolomiti e si trova file di auto e moto parcheggiate lungo i Passi, con tanto di caroselli, schiamazzi e gimcane, rimarrà deluso e si chiederà: sono queste le Dolomiti patrimonio dell'Umanità?10. Rifugi come fast food: altroché i rifugi di una volta, i ristori sui valichi sono e saranno sempre più simili ai fast food con tanto di immondizia svolazzante, cartacce, plastiche e puzza in ogni dove.11. I Passi privi di sex appeal: continuando di questo passo, i passi non diventeranno mai un polo attrattivo per le escursioni, cosa che potrebbe accadere se le mamme potessero salire con una carrozzina, chi con l'ebike, chi con bus a idrogeno. Con i Passi chiusi la meta non sarebbe più o non solo il Sassolungo, ma il passo Sella.12. Ricchi i paesi sul Grande Raccordo anulare dolomitico, poveri quelli più defilati: la congestione dei passi privilegia, con relativo overtourism da traffico, i paesi situati sul Grande Raccordo anulare Dolomitico e penalizza i paesi defilati con conseguente spopolamento della montagna. Con i passi chiusi gli ospiti si spalmerebbero anche in zone non direttamente a ridosso dei Passi e le mete si amplierebbero grazie anche a una mobilità più ragionata, meno standardizzata, meno instagrammabile.13. Il depauperamento delle Dolomiti come destinazione turistica: non essendo più un luogo paradisiaco ambito, unico, raro, le Dolomiti perdono il fascino innato, e perciò perdono valore. Qualcuno riesce ad ascoltare questo grido di dolore?14. L'impossibilità di diventare uno dei parchi naturali più grandi e famosi al mondo: ecco quale opportunità stiamo smarrendo per ignavia, idiozia, miopia e interessi corrotti: la mancata chiusura al traffico auto-motociclistico dei passi dolomitici ci porterà alla rovina. Meditate politici, meditate amministratori, meditate albergatori, meditate ospiti. Oggi la gallina dalle uova d'oro ancora deposita qualche pepita, domani no. Vogliamo capirlo?©RIPRODUZIONE RISERVATA

Ruderi E Strutture Abbandonate Sulle Dolomiti

Corriere delle Alpi | 9 Marzo 2023 p. 19

Seggiovie, skilift, funivie Troppi ruderi sulle Dolomiti

Belluno

Il Rapporto di Legambiente dà conto degli impianti che negli ultimi trent'anni sono stati chiusi per mancanza di neve o problemi collaterali. Perfino sulla Marmolada, dove la cestovia dal passo Fedaia al Pian dei Fiacconi è stata smantellata nel 2019. Perfino a Villanova di Borca di Cadore c'era una sciovia da quota 950 a 1150 metri, costruita negli anni '60, di cui oggi restano solo strutture in ferro e cemento. Via anche la seggiovia di Frassenè (da 1100 a 1750 metri), costruita nel 1956, completata nel 1984, dismessa nel 2012, oggi in definitivo smantellamento. «Abbandonata, nonostante le piste avessero un impianto di innevamento artificiale e un piccolo bacino di accumulo di acqua, per i costi di manutenzione delle piste a fronte di un'utenza scarsa per la facilità delle piste e per l'esposizione a sud che le rendevano rapidamente impraticabili», scrive Legambiente. Resta l'edificio di partenza riconvertito in deposito, mentre lo stabile di arrivo è in stato di abbandono. Dismessa la seggiovia di Staulin, a Cortina, costruita negli anni '60, chiusa negli anni '80. Ha resistito di più la seggiovia di Mietres, sempre a Cortina, tra i 1429 e i 1710 metri: dismessa nel 2016, dopo più di 50 anni. Stesso discorso: «Struttura abbandonata, nonostante le piste avessero un impianto di innevamento artificiale e un piccolo bacino di accumulo di acqua, per i costi di manutenzione delle piste a fronte di un'utenza scarsa per la facilità delle piste e per l'esposizione a sud che le rendevano presto impraticabili. Ancora presente in loco l'impianto cannibalizzato», certifica Legambiente. Col Tondo, quota 1304-1429, seggiovia: anch'essa dismessa, nel 2017, sempre a Cortina. In località Colfiere-col Drusciè, c'era una vecchia seggiovia, tra le più storiche di Cortina, realizzata nel 1939. È stata disattivata nel 2019. «Storico impianto utilizzato anche per lo slalom nelle Olimpiadi del 1956. In corso di demolizione. Surrogato da nuova cabinovia», puntualizza Legambiente. In località Guargnè, tra i 1250 e i 1310 metri, non c'è più il vecchio skilift, per scarso utilizzo e i problemi di innevamento. Altro skilift, a quota quasi analoga, a Piè Rosà est, in quel di Cortina, ha cessato l'operatività ancora negli anni '90. La pista era dotata di innevamento artificiale. «Abbandonato per problemi di innevamento in quanto l'orientamento a sud della pista la rendeva impraticabile molto precocemente. Restano i plinti di appoggio dei piloni e a monte il blocco del rinvio della fune». Medesima fine per lo skilift di Lacedel, dismesso 13 anni fa. Defunto anche l'impianto Pocol- Baby Pocol, sempre a Cortina, composto da funivia, skilift e baby skilift. La funivia costruita nel 1925, gli altri impianti negli anni '50: la prima è stata dismessa ancora nel 1975, negli anni Ottanta il baby Pocol, dieci anni dopo lo skilift. «La funivia venne chiusa perché l'arrivo distava 400 metri dalle piste da sci e per la diffusione dell'auto privata che rendeva più agevoli gli spostamenti. L'impianto più grande di skilift è ancora presente benché da molti anni abbandonato; il secondo impianto è stato costruito come impianto di servizio per gli ospiti degli alberghi della località Pocol. Resta la stazioncina di partenza», informa Legambiente. Sempre a Cortina, cancellato lo skilift di Malga Lareto; resta il solo edificio della partenza. Ad Alverà funzionava una seggiovia; è stata dismessa, resta l'edificio di partenza trasformato in civile abitazione e lo stabile di arrivo è utilizzato come deposito. A Staunies operavano un'ovovia e una seggiovia; hanno cessato nel 2016, dopo 60 anni: «Dismesse per questioni legate alle autorizzazioni. Sarebbero ora necessari anche lavori per la sicurezza degli impianti. La chiusura degli impianti ha causato anche la chiusura del rifugio Lorenzi, posto all'arrivo delle linea», fa sapere Legambiente. Saliamo a Misurina e qui troviamo la Torre del Diavolo. Anzi, no: la sciovia è stata dismessa nel 2009. «Sembra che l'impianto sia stato disattivato per mancanza di frequentatori. La stazione di partenza è tuttora ancora ben visibile a fianco della strada per le tre cime di Lavaredo. Cavi e tralicci sono invece stati rimossi».A Pieve di Cadore era operativa, fino agli anni '80, la seggiovia di Col Ciontras (da 870 a 1300 metri): «La struttura, compresa la piscina, è rimasta in uso fino a quando a gestirla era l'Aast Fu smantellata subito dopo il suo passaggio alla Regione. Dopo l'approvazione della legge regionale n° 33, il tutto passò in mano alla Provincia, che però non ha mai saputo cosa farne. Il piano 2021 delle alienazioni e valorizzazioni immobiliari della provincia di Belluno prevede di inserire nella lista dei beni anche l'ex stazione di arrivo della seggiovia Col Contras (50mila euro)».Il Rapporto Legambiente dà a rischio gli impianti del Nevegal e, sempre per mancanza di neve, la stessa cabinovia di Alleghe. fdm© RIPRODUZIONE RISERVATA

Corriere delle Alpi | 9 Marzo 2023 p. 19

Dall'ex istituto di Col Perer all'albergo sul Giau

L'ex istituto pediatrico di Col Perer, ad Arsie, rientra tra gli "edifici fatiscienti" che Legambiente consiglia di abbattere o rigenerare, perché non contribuiscono alla bellezza della montagna. «Nacque come caserma e divenne poi colonia sanatoria per ragazzi affetti da tubercolosi e infine struttura sanitaria, sempre per bambini. Ma questa funzione sanitaria terminò nel 1974, successivamente la struttura venne usata per circa vent'anni, come colonia da vari enti tra cui l'Azienda Tramviaria di Milano. Rimasto di proprietà della famiglia Borgherini di Padova è stato messo in vendita senza successo e Col Perer decadde come centro turistico». Legambiente punta il dito anche sui storici hotel Oliver e Olimpo al Nevegal. Ricorda pure l'ex Albergo Enrosadira Comune di Passo Giau: si sa che c'è un piano di recupero per un hotel 5 stelle luxury. 70 camere, 2 ristoranti, una piscina interna e una esterna, parcheggio sotterraneo. «La struttura, 40mila metri cubi, di cui 24mila fuori terra, è dieci volte più grande del già esistente albergo Enrosadira. Lo riteniamo un progetto devastante, fuori scala e fuori contesto che impatterà negativamente sul sito Unesco e sul sito Natura 2000». A Caviola Legambiente vorrebbe rigenerato un ex ristorante e a Taibon l'ex La Baita.

Corriere del Veneto | 19 Marzo 2023 p. 7, edizione Treviso

Belluno

Piloni fatiscenti, skilift abbandonati

Il cimitero degli impianti fantasma

Cadore, Lessinia, Altopiano: le strutture (ferme) che deturpano l’ambiente

Andrea Pistore

Venezia

Piloni fatiscenti di uno sci che fu, pezzi di seggiovie dismesse fuse con la natura che si è ripresa i suoi spazi, skilift di paese a quote quasi collinari dove a ricordarne il funzionamento è solo la memoria degli anziani abitanti. L’annuale report di Legambiente sugli impianti sciistici non più in uso in Italia fotografa una situazione consolidata in Veneto dove già da fine degli anni Settanta alcune strutture hanno smesso di lavorare.

Marmolada e il Cadore

Ben quattro pagine della relazione sono dedicate a quanto è successo tra le province di Belluno, Vicenza e Verona e a cavallo del Trentino come sotto la Marmolada dove sono ben visibili dal Lago Fedaia i ruderi della Cestovia di Pian dei Fiacconi, dismessa nel 2019, e della Seggiovia Pian dei Fiacconi da molti anni abbandonata dopo un incendio che ha distrutto la stazione di partenza. A Borca di Cadore, a circa 950 metri di altezza, sono ancora presenti i resti in ferro e cemento di un vecchio impianto entrato in funzione negli anni 60. A Frassanè, tra i 1100 e i 1750 metri, esisteva una seggiovia costruita nel 1956, completata nel 1984 e dismessa nel 2012, danneggiata definitivamente da Vaia nel 2018 e che per il report «rappresenta un pericolo per la sicurezza».

Cortina e Misurina

Dal prospetto non è esente Cortina che compare in 12 segnalazioni. Quattro sono le seggiovie abbandonate tra cui quelle in località Mietres (dal 2016) dove, spiega Legambiente, «era presente un piccolo impianto di innevamento e un bacino di accumulo acqua. L’impianto è stato chiuso per i costi di manutenzione delle piste a fronte di un’utenza scarsa per la facilità dei tracciati e l’esposizione a sud. Sono ancora in loco alcune parti e i seggiolini». Ed è ancora in piedi la sua prosecuzione a Col Tondo (in linea i veicoli agganciati alla fune). Identiche le situazioni in località Staulin (nell’edificio di arrivo presenti «banco motore, motore e seggiolini»), Colfiere-Col Drusciè (dismesso nel 2019). Altre parti di skilift abbandonati sono quelli di Crignes, Guargné, Piè Rosà est, Lacedel, Baby Pocol e Malga Larieto. Sempre nei demani sciabili della Perla, l’ovovia-seggiovia di Staunies (che sfiorava i 3mila metri, tra gli impianti più suggestivi costruiti per le Olimpiadi del 1956) è in disuso per «questioni legate alle autorizzazioni. Sarebbero ora necessari lavori per la sicurezza degli impianti. La situazione ha causato la chiusura anche del rifugio Lorenzi all’arrivo della linea», si legge. Nel Bellunese altri ruderi resistono a Misurina (Torre del Diavolo) dove una sciovia è stata abbandonata nel 2009 con la stazione di partenza ben visibile lungo la strada verso le Tre Cime di Lavaredo. A Pieve di Cadore esiste ancora la struttura di valle della seggiovia che saliva a Col Contras dal centro del paese.

Al momento chiusi

Nel Veronese sono gli impianti di Malga San Giorgio a non funzionare più dal 2016: «Area oggetto di locazioni- scrive Legambientecon 350 appartamenti, molti dei quali vuoti per decenni, fino al deserto attuale. Nel 2000 il presidente della società è stato colpito da interdittiva antimafia». Nel report, alla voce «Impianti temporaneamente chiusi», vengono indicati diversi comprensori vicentini quali le zone di Valbella (skilift chiuso nel 2019), Enego (sei skilift fermi dal 2017), Recoaro Mille (bloccati dal 2017, con un progetto di rilancio da 3 milioni in attesa della convenzione tra Comune e Regione) e le aree veronesi di Prada Alta a San Zeno (tre skilift) e Novezza a Farra di Monta Baldo (due skilift e tapis roulant).

Accanimento terapeutico

Per quanto riguarda il capitolo «Impianti sottoposti ad accanimento terapeutico» il report porta gli esempi del Kaberlaba ad Asiago, con quota massima 1150 dove recentemente è stata inaugurata una seggiovia: «Possiamo parlare di accanimento perché gli stessi gestori delle attività ricettive nella conca erano in disaccordo con l’attuale amministrazione comunale e non sentivano la necessità di una seggiovia». Tra i casi anche quelli di Alleghe con la nuova cabinovia costruita nel 2020 («Ma con il riscaldamento climatico che avanza è difficile comprendere come possa essere sostenibile dal punto di vista economico un simile investimento a quote basse anche come sistema di trasporto sostenibile») e l’Alpe Nevegal il cui recente interesse dimostrato da alcuni imprenditori algerini

MARMOLADA: I CONFINI CONTESI

Corriere delle Alpi | 9 Marzo 2023 p. 27

Caso Marmolada

I giudici studiano l'istruttoria storica

ROCCA PIETORE Il contenzioso fra Veneto e Trento, presso la Corte d'Appello di Roma, andrà a sentenza, probabilmente entro la tarda primavera e non è escluso un corollario. La vicenda dunque sembra allungarsi abbastanza. I giudici potrebbero ordinare un'istruttoria storica sui diritti civici della comunità della Val Pettorina.Il diritto, in particolare, dei cacciatori di 'vagare' oltre il confine delle creste per farsi qualche camoscio. Diritto vagantivo, viene definito.L'avvocato Enrico Gaz ed i suoi collaboratori hanno infatti scoperto, grazie all'attivo contributo del sindaco di Rocca, Andrea De Bernardin, che esisteva una documentazione storica molto puntuale sull'attività esercitata secoli fa dai cacciatori che si spingevano dentro il ghiacciaio per la caccia di sopravvivenza. Scatterà da questo diritto la riapertura del tavolo di trattativa.Un tavolo politico, ben s'intende, al di là del momento giudiziario, che veneto e Trentino sarebbero disponibili ad esercitare, anche considerando la disponibilità delle amministrazioni locali, di Canazei e di Rocca. A suo tempo, l'ex sindaco Silvano Parmesani di Canazei aveva disconosciuto l'accordo Galan-Dellai sul confine che di fatto impediva l'arrivo a Punta Rocca di un eventuale collegamento funiviario (o di cabinovia) da Pian dei Fiacconi.Impianto oggi improponibile alla luce della tragedia del 3 luglio 2022 con 11 vittime. Capitolo chiuso, dunque, come potrebbe esserlo per l'impianto di minore gittata, tra passo Fedaia e Pian dei Fiacconi, in sostituzione della cestovia dismessa nel 2019. L'eventuale istruttoria potrebbe portare alla conclusione che Rocca Pietore - come ipotizza l'avvocato Gaz - venga coinvolta da Canazei nella pianificazione urbanistica dell'area.Di fronte a questa prospettiva, la soluzione politica della controversia potrebbe risultare più praticabile. fdm © RIPRODUZIONE RISERVATA

L’Adige | 15 Marzo 2023 p. 11

Marmolada, i confini sono quelli di Pertini

I confini della Marmolada restano quelli decisi dal presidente Sandro Pertini. Nell'intricata e lunga vicenda giudiziaria (è iniziata nel 1973 ma i riferimenti storici utilizzati nelle cause arrivano alla fine del Settecento) il Tar del Lazio ha messo un altro tassello. Che sia quello definitivo non è ancora una certezza, ma fissa dei punti importanti. Una decisione che scatena la reazione negativa del sindaco bellunese di Rocca Pietore che però porta a casa («Almeno quello» è il commento amaro di Andrea De Bernardin) l'indicazione "Veneto" su due stazione a monte quella di Punta Rocca e quella di Punta Serauta. Una sentenza che cancella (e non è la prima volta) l'accordo nel 2002 che era stato siglato fra gli allora governatori del Trentino - Dellai - e del Veneto - Galan - che modificava nei fatti i confini. A favore del Veneto. Ma torniamo alla sentenza di ieri del Tar del Lazio nella quale sono state riunite le motivazioni sui ricorsi proposti dal comune di Canazei e dalla regione Veneto. Al centro le misurazioni del confine, appunto. E quindi veniva chiesto ai giudici amministrativi di accertare «l'invalidità e l'inefficacia della nota dell'Agenzia delle entrate del 20 giugno 2018, della allegata relazione congiunta dell'Agenzia delle entrate e dell'Istituto geografico militare del 24 maggio 2018» che stabiliva, appunto, il confine amministrativo fra Province e Comuni. In particolare il Comune di Canazei ha puntato il dito contro l'errore nella linea di confine tracciata dagli organi cartografici, in contrasto con quanto stabilito dal Consiglio di Stato, «in particolare nella parte in cui, sulla cima della montagna dove sono collocate due stazioni di arrivo degli impianti di risalita, si è ritenuto di fare seguire alla linea di confine un tracciato che, non intersecando la sagoma dei fabbricati così come riportata nella cartografia catastale, lasci integre le due stazioni». Insomma il confine indicato - che è quello determinato dalla «linea delle cime o delle creste» che si rifà ad indicazione del 1911 riprese da Pertini - non comprende in territorio trentino le stazioni di arrivo degli impianti che partono dal bellunese. Ma le ragioni del Comune trentino sono state cassate dal Tar del Lazio. Che scrive che per quanto riguarda «gli edifici presenti sul crinale, va rilevato come nella zona di pizzo Serauta lo spartiacque naturale determina l'intera insistenza in Veneto (e quindi nel Comune di Rocca Pietore) dell'immobile. La stazione di arrivo di punta Rocca, invece, risulterebbe attraversata dall'originaria linea delle cime: nondimeno, gli sbancamenti necessari all'ancoraggio del manufatto al terreno determinavano uno «spostamento» del displuvio al di là della sagoma, con la conseguenza che l'originario crinale non esiste più. Pertanto, dovendosi procedere rigorosamente lungo la linea delle creste, l'amministrazione non può che seguire il profilo dell'immobile, risultando lo stesso lo spartiacque (artificiale) sulla cima del monte». E ancora « la variazione (se così può definirsi) è pienamente coerente con le decisioni cui dare esecuzione, atteso che rimaneva ferma per l'amministrazione statale la "possibilità di scostamento solo per un più conveniente allineamento con il crinale montano"». E per finire «la decisione di non far passare la linea di confine tra i fabbricati non costituisce scelta discrezionale, bensì inevitabile conseguenza del mutamento dello stato dei luoghi a seguito della costruzione sulla cima della montagna della stazione dell'impianto di risalita».Ecco il commento, amaro, del sindaco di Rocca Pietore de Bernardin. «Alla fine non cambia nulla: viene stabilito che vige quanto deciso dal dpr di Pertini del 1982 e dalla successiva sentenza 1998 che dava ragione ai trentini relativamente alla spostamento dei confini fino alle creste in alto, facendo perdere a Rocca Pietore e al Veneto buona parte del ghiacciaio. La cosa che mi da sempre molto fastidio è che non si è mai tenuto conto che la reale sentenza l'hanno fatta i soldati che nel 1917 su quella montagna hanno combattuto. Soldati austriaci e italiani che avevano in mano la medesima cartina con il fronte che passava sul confine trasversale. Ma il decreto presidenziale evidentemente ha più forza. Una firma ha cambiato il confine.Un'altra cosa che mi fa anche male, che mi ferisce è che nella sentenza c'è scritto che a nulla vale l'accordo firmato da Dellai e Galan. Quindi, due presidenti di Regione con due sindaci, in pompa magna, davanti a tutti, con carte bollate, firmano un accordo politico che doveva andare verso una pacificazione politica, non valgono nulla». Ma.D.

L’Adige | 15 Marzo 2023 p. 11

Corriere delle Alpi | 16 Marzo 2023 p. 26

Marmolada, gestione difficile

Ma nessun ricorso sui confini

ROCCA PIETORE

«Sono dispiaciuta, come tutti coloro che desideravano e ancora desiderano che il ghiacciaio sia veneto. Ma adesso basta contenziosi. Mettiamo intorno ad un tavolo, con gli amici trentini, e cerchiamo di valorizzare e promuovere questo patrimonio che non a caso è definito "la regina delle Dolomiti". La Marmolada appunto». È la reazione di Lucia Farenzena, presidente del Consorzio turistico Marmolada Val Pettorina. «Quando parlo di valorizzazione», precisa, « intendo anzitutto protezione, tutela. L'impegno adesso dev'essere quello per conservare il marchio Unesco, che fra l'altro attira turisti da tutto il mondo».La sentenza del Tar sui confini lascia aperta una serie di problematiche, ma pare che il Comune di Rocca Pietore non intenda fare ricorso. E la Regione Veneto neppure. Sempreché Canazei non ne approfitti per impedire, ad esempio, che sul suo territorio si possa scendere con gli sci. La pista più lunga d'Europa, 12 km, è infatti tutta trentina, specificatamente di Canazei. Le pertinenze delle stazioni di Serauta e Rocca Pietore lo sono pure. L'eliporto di Punta Rocca è di proprietà della società di Valentino Vascellari, ma il ghiacciaio è di Trento. La gestione, dunque, si presenta complessa. E se il sindaco di Rocca Pietore, Andrea De Pellegrin, saggiamente ha fatto intendere di non voler proseguire col braccio di ferro, c'è però un altro contenzioso sul quale spera la Val Pettorina.È quello che riguarda il rispetto degli usi civici. Rocca ha chiesto, documenti alla mano, che Trento riconosca il diritto civico alla caccia vantato dalla Val Pettorina da secoli. Per questa ed altre attività, quali la pastorizia, le genti della Val Pettorina hanno il diritto «di frequentare il ghiacciaio». La vertenza con il Comune di Canazei è davanti ai giudici del Tar di Roma. La sentenza è attesa entro la primavera. Secondo l'avvocato Gaz, le prospettive per Rocca Pietore «sono incoraggianti». Se, dunque, a Rocca venisse riconosciuto lo storico uso civico, si creerebbero i presupposti per una trattativa ancora più puntuale sulla gestione condivisa del ghiacciaio. Giovanni Bernard, sindaco di Canazei, ha assicurato che non esiste alcuna intenzione di piazzare da parte trentina un progetto di collegamento tra passo Fedaia e Punta Rocca. E proprio questo è stato l'incubo da decenni dei bellunesi.«È comprensibile l'impegno a difesa dei confini, ma per i nostri amici turisti, che arrivano da tutto il mondo, le frontiere da tempo non esistono più, quindi è saggio rassegnarci», conclude la presidente Farenzena, a nome anche degli operatori della valle, «a fare di necessità virtù. La Marmolada è un patrimonio che di fatto non ha confini, appartiene a tutta l'umanità». francesco dal mas© RIPRODUZIONE RISERVATA

Corriere del Trentino | 16 Marzo 2023 p. 3

Marmolada, la disputa dei confini «La partita non è ancora finita»

Il sindaco di Canazei teme il ricorso al Consiglio di Stato. In estate si va verso la riapertura

Daniele Cassaghi

Trento

«La Marmolada è veneta». «No, è trentina». Il giorno dopo la sentenza del Tar del Lazio che stabilisce quali siano i confini di Canazei sulla Regina delle Dolomiti è quello in cui ci si interroga su come intervenire una volta acquisita la totalità del ghiacciaio. E lo si fa in attesa della prossima mossa del Veneto. Perché, come ricorda il primo cittadino di Canazei, Giovanni Bernard, «è una sentenza del Tar contro cui si può ancora fare ricorso. Il percorso giudiziale non è ancora completato. Non siamo i soli attori in questa azione». Dunque, i confini di Canazei, e di conseguenza della Provincia e della Regione, coincidono con quelli dell’impero Austro-ungarico, come stabilito da Sandro Pertini nel 1982. Tuttavia, da Venezia potrebbero decidere di fare ricorso al Consiglio di Stato. Un’ultima rivincita per cercare di ottenere di nuovo lo spostamento dei confini ed essere ancora più sicuri di avere competenza sulla zona interessata dagli impianti di risalita. L’ipotesi non sembra però accarezzare il governatore Luca Zaia, a cui comunque è stato assicurato che Serauta e Punta Rocca rimangono in territorio veneto. Questi sono infatti i due posti in cui termina la corsa delle funivie. Per cui, insomma, il Veneto ha ottenuto lo stesso quello che voleva, pare. Da parte trentina, il sindaco Bernard fa però trasparire una certa soddisfazione: «La sentenza del Tar del Lazio ha messo ordine, stabilendo che il confine è quello previsto dal presidente Sandro Pertini e che passa per le creste riflette Questo è importante per noi e per tutti: mette un punto fermo sulla questione». Ed è contenta anche la senatrice Elena Testor, originaria della zona: «Sono molto soddisfatta della sentenza del Tar che conferma i confini del 1982. La Marmolada rappresenta un patrimonio di tutta la valle che va difeso sulla base della storia e dei documenti raccolti in passato anche da padre Frumenzio Ghetta».

Che cosa cambierà per Canazei dunque? «Ci sono una serie di ragionamenti che andavano fatti a prescindere dalla questione dei confini continua Bernard Vanno portate avanti delle riflessioni alla luce di quello che è successo la scorsa estate. Alla luce del cambiamento climatico e dello scioglimento del ghiacciaio. La questione dei confini ci aiuta a capire fin dove uno può decidere ed esprimere le proprie competenze, e dove no. Questo aspetto è sostanziale». Si tratta di un passo avanti anche perché, in un’estate che si preannuncia caldissima, il timore è che si ripetano gli eventi del 3 luglio scorso, con il crollo del ghiacciaio e la discesa del seracco giù dal versante trentino. In quell’incidente persero la vita undici persone. «Cercheremo di gestire la prossima estate e di affrontare gli eventuali pericoli dovuti alle temperature eccessive rassicura Bernard Ma si tratta di porre in essere azioni che consentano la fruizione della montagna. Ci stiamo lavorando con i servizi provinciali». Nessuna chiusura a priori, dunque. Ma la domanda sul se e come agire in vista della bella stagione resta. Tanto più se c’è il rischio che il Consiglio di Stato blocchi ancora la mano del Trentino. «Viene messa in discussione solo una parte del territorio. Non si blocca tutto con questa incertezza». E, a proposito di progetti, uno su cui si è discusso molto in passato è quello di installare nuovi impianti di risalita sul versante trentino. «Erano proposte emerse in altri tempi. Ci sono limiti ambientali e la zona Unesco non consente altri impianti nell’area tutelata dice il primo cittadino Sono riflessioni da fare sulla base di questi vincoli, delle opportunità e delle modifiche che stanno intervenendo sul ghiacciaio». E si tratta comunque di un discorso ad ampio raggio: «Ci sono una serie di richieste. Ma vanno fatti ragionamenti approfonditi. E, appunto, avere un confine certo permette di dire chi può esprimersi su quel pezzo di territorio».

MARMOLADA: IL GHIACCIAIO

Corriere delle Alpi | 18 Marzo 2023 p. 19

Ghiacciaio in Marmolada, futuro segnato «Dovevamo pensarci prima, ora è tardi» l'intervista

«Ogni tanto mi si chiede: fra 15 anni, la Marmolada non ci sarà più? Cosa possiamo fare per salvarla? La risposta è: niente, ormai è persa. Alla Marmolada non possiamo farci nulla, dovevamo pensarci 30 anni fa. È questa la difficoltà nell'affrontare il cambiamento climatico: dell'azione che facciamo noi oggi, vedremo i risultati fra 10, 15, 20 anni». È quanto risponderà Jacopo Gabrieli, ricercatore Cnr, bellunese, a chi gli porrà oggi specifiche domande all'incontro organizzato dal Lions Club, alle 18 nella sala Bianchi di Belluno. "Ghiaccio bollente" il tema. Indovinatissimo. Mancano pochi giorni alla conclusione del secondo inverno più siccitoso. Cosa dobbiamo attenderci in tema di cambiamento climatico?«Bisogna stare attenti perché c'è un fraintendimento tra la meteorologia e la climatologia. Il fatto che questo sia un inverno particolarmente siccitoso, non vuol dire nulla dal punto di vista climatico perché è un solo inverno».È il secondo, per la verità.«Anche che sia il secondo consecutivo non ha un grande significato perché la climatologia è un qualcosa che parla di medie molto lunghe, quindi di 10, 20, 30 anni. Faccio questa osservazione perché si corre il rischio che il prossimo inverno sia estremamente nevoso e allora sentiremo dire: "Ah vedi, il cambiamento climatico non esiste, erano tutte cavolate quelle della neve...". No, queste sono situazioni meteorologiche particolari, altro è il trend, la tendenza che stiamo sperimentando ormai da 20, 25 anni».E il trend che cosa dice?«Ci dice che le temperature sono in aumento a livello globale di 1,1 gradi rispetto alla norma e qui sulle Alpi il valore è di 2-2,5. Questo è innegabile e la scienza ci dice che è dovuto all'attività umana, quindi all'emissione di gas serra in atmosfera Poi il fatto che non nevichi d'inverno e quindi i ghiacciai siano completamente scoperti ci fa già presagire che primavera e che estate avremo perché siamo in condizioni davvero tragiche. Se le temperature saranno come quelle dell'anno scorso, i ghiacciai cperderanno tantissima massa anche quest'anno e avremo sempre meno risorsa idrica a disposizione».Lei per la professione di ricercatore scientifico frequenta le quote più alte. Di quali cambiamenti è rimasto più impressionato?«Lascio perdere quello che è successo sulla Marmolada perché da ricercatore bellunese è stato uno shock come per tutti noi. Ricordo un altro ghiacciaio, quello Grand Combin sulle Alpi Svizzere, a una quota di 4200 metri: lassù ho visto piovere. Dai miei studi non può succedere che piova a 4200. Se c'è una precipitazione, anche in piena estate comunque è nevosa. Mi ha sconcertato. Poi frequentando i ghiacciai ogni anno per lavoro o per passione, passare sullo stesso luogo, di anno in anno, e calzare i ramponi sempre 50, 100 metri dopo; vedere un grosso sasso che l'anno prima non c'era ma adesso c'è, perché appunto il ghiaccio si è ritirato; ecco questi cambiamenti così repentini fanno molta impressione».Lei è uno studioso dell'aria in alta quota. Sul Col Margherita, dove il Cnr ha una centralina di rilevazione, cosa sta cambiando?«Nulla, dal punto di vista della qualità dell'aria e quindi della composizione chimica e della presenza di inquinanti. Sul Col Margherita ma anche sulle altre aree alpine europee, la situazione è assolutamente ottimale, al contrario di quello che succede nei fondovalle. La Pianura Padana è una vasca da bagno, piena di inquinanti per la sua conformazione orografica. Abbiamo imparato negli anni ad inquinare meno. Anche l'evoluzione dei sistemi di combustione e di controllo degli agenti inquinanti ha funzionato. Quello che non abbiamo ancora saputo fare è ridurre in maniera drastica e molto veloce l'emissione di tutti quei gas che fanno cambiare il clima».Quali gas? «I cosiddetti gas climalteranti, tra i quali la principale è la CO2 e per far questo c'è solo una cosa da fare: evitare di bruciare combustibili fossili. Questa è la sfida da qui ai prossimi anni. Bisogna quindi passare ad un'energia che sia libera da quelli che sono i combustibili fossili. Detto questo, anche se noi fossimo bravi e domani mattina chiudessimo tutti i rubinetti che emettono CO2, il clima cambierà lo stesso perché ormai quello che abbiamo fatto è fatto».L'ultimo bollettino Arpav certifica che anche in marzo non sta piovendo a sufficienza e che le risorse nivali sono in esaurimento. Come adattarsi?«Adattarci al fatto che nella stagione estiva ci sia sempre meno acqua significa risparmiarla tutti i giorni, in tutte le nostre attività. A livello agricolo significa cambiare anche tipologia di coltivazioni. Ad esempio, il mais richiede molta acqua, allora forse bisognerà passare a delle coltivazioni che ne richiedano meno. Adesso non c'è neve in montagna: da dove verrà l'acqua per alimentare il Po nei prossimi mesi?».Dai processi di desalinizzazione del mare? «Attenzione a cercare a tutti i costi le "scorciatoie tecnologiche". La desalinizzazione si può fare e in certi contesti è anche una soluzione intelligente, ma questo processo richiede tantissima energia. E dove la prendiamo? Se in maniera sostenibile e rinnovabile, può anche andare bene, ma se la prendiamo bruciando il carbone allora è il serpente che si mangia la coda».Risparmiare acqua significa, tra le varie misure, attrezzare di rubinetto tutte le fontane? E magari tappare anche tante sorgenti?«Può essere. A livello simbolico. Non scordiamoci che il 50% dell'acqua potabile è disperso nella rete acquedottistica. Quindi è qui che bisogna anzitutto intervenire». © RIPRODUZIONE RISERVATA

AEROPORTO A CORTINA: LA PROPOSTA

Gazzettino | 5 Marzo 2023 p. 11, edizione Belluno

«L'aeroporto come volano per il turismo della conca»

«Cortina d'Ampezzo deve poter vivere, brillare, aprirsi all'economia circolare, e l'aeroporto potrebbe sicuramente essere un volano interessante per contribuire allo sviluppo economico del territorio nel prossimo futuro». Ne è certo Cristiano Spazzali, frequentatore della conca ampezzana, nativo della Val Pusteria, esperto di aerotrasporti. Egli riprende il tema dell'aeroporto di Fiames, anche dopo le ripetute dichiarazioni di Daniela Santanchè, ministra del Turismo, favorevole a questa struttura. «Il ripristino dell'aviosuperficie significherebbe, nella immediatezza, non solo l'aumento delle presenze turistiche, ma anche la possibilità di farsi raggiungere in tempi ragionevoli, così da poter aumentare i periodi di soggiorno per i turisti e inserirsi nei percorsi internazionali di sviluppo». Spazzali motiva quindi la sua contrarietà a trasformare l'area di Fiames in un vertiporto, da usare per i droni, oppure in eliporto, per gli elicotteri. Sostiene che sarebbe illogico ridurre l'attuale pista di 1.129 metri a uno spazio di 350 metri. Inoltre l'eliporto costa come un aeroporto, ma offre introiti minori; c'è il problema dell'inquinamento acustico, ben maggiore di quello dell'aereo; infine c'è l'esigenza di Cortina di avere una sviluppo economico e una trasformazione che possono derivare soltanto dall'impiego dell'aereo, non dell'elicottero. Spazzali ricorda l'incidente aereo del 31 maggio 1976, che causò sei vittime. Sostiene che le attuali caratteristiche degli aeromobili e le regole sulla sicurezza del volo, cambiate in cinquant'anni, potrebbero consentire l'attività di volo, senza rischiare di veder ripetere quella sciagura. Condizioni di vento, pioggia o neve, impedirebbero l'uso della pista tutti i giorni dell'anno; in quelle occasioni, i voli potrebbero essere però dirottati verso uno scalo vicino, Bolzano o Treviso. La pista inoltre non potrebbe essere fruita da tutti gli aeromobili, ma solo da quelli con caratteristiche di decollo e atterraggio molto corti, con certificazione Stol. «Stiamo parlando di piccoli aerei a elica, con un minimo di due e un massimo di sei posti, oppure di aerei turboelica leggermente più grandi con capienza fino a sette posti, ma anche di piccoli jet privati, tutti modelli di aeroplano di ridotte dimensioni e capacità che sono dotati di strumentazioni adeguate per evitare il ripetersi di incidenti come quello del 1976. Inoltre per poter atterrare e decollare dalla pista di Fiames sarebbe obbligatorio, per il pilota, ottenere una abilitazione al volo da montagna, condizione essenziale per poter fruire dei servizi aerei dell'area».

Marco Dibona

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