Fondazione Dolomiti Dolomites Dolomiten Dolomitis
RASSEGNA STAMPA NOVEMBRE 2020
PRINCIPALI ARGOMENTI DALLA RASSEGNA STAMPA DI NOVEMBRE:
STUDIO PER LA GESTIONE DEI FLUSSI TURISTICI NEI LUOGHI AFFOLLATI ..................................................... 3 TURISMO INVERNALE AI TEMPI DEL COVID: PROSPETTIVE ............................................................................. 7 MONDIALI 2021 E OLIMPIADI 2026: GLI AGGIORNAMENTI ............................................................................... 22 TEMPESTA VAIA: 2 ANNI DOPO ....................................................................................................................... 25 SERRAI DI SOTTOGUDA: GLI AGGIORNAMENTI .............................................................................................. 26 LABORATORIO ALPINO E DELLE DOLOMITI BENE UNESCO ........................................................................... 27 PROVINCIA DI BELLUNO: LA STRATEGIA TURISTICA ..................................................................................... 28 COLLEGAMENTO SON DEI PRADE – CINQUE TORRI ....................................................................................... 30 NOTIZIE DALLA MARMOLADA ......................................................................................................................... 31 NOTIZIE DAI RIFUGI.......................................................................................................................................... 33 NOTIZIE DAL CAI .............................................................................................................................................. 36 NOTIZIE DAI PARCHI ........................................................................................................................................ 37
STUDIO PER LA GESTIONE DEI FLUSSI TURISTICI NEI LUOGHI AFFOLLATI Corriere delle Alpi | 17 Novembre 2020
p. 20 Tre Cime, i turisti sono troppi «I flussi devono essere gestiti» Francesco Dal Mas AURONZO
Non è più sostenibile l'assalto alle Tre Cime. La strada, da Misurina al rifugio Auronzo, ha chiuso solo ieri, con un mese di proroga rispetto al 15 ottobre. E domenica c'erano ancora auto in salita. La Fondazione Dolomiti Unesco ha preso atto che, quassù, come al lago di Braies, bisogna mettere un freno. Troppi 13.400 escursionisti in un giorno, come è accaduto ai piedi della trinità; 17.400 dall'altra parte. Se le Tre Cime fossero considerate un parco naturale, secondo i parametri internazionali (specifiche organizzazioni dell'Onu) non potrebbero contare più di 2.700-3.000 ingressi al giorno. Se, invece, si limitano ad essere un'area escursionistica, il carico sociale potrebbe arrivare a 7.000-7.500. Certo si è che in base ai medesimi parametri, la visita alle Tre Cime per essere piacevole, di qualità, e come tale percepita dall'escursionista o dal turista, il limite insuperabile è di 4 mila. «Oltre questo limite, la percezione del visitatore» precisa Marcella Morandini, direttrice della Fondazione «diventa negativa». Tutto questo lo certifica uno studio innovativo della Fondazione e del Dipartimento di Economia dell'Università Ca' Foscari di Venezia, presentato ieri dal professor Jan Van der Borg, responsabile del team di ricerca internazionale insieme al presidente della Fondazione stessa, Mario Tonina, e all'assessore di Bolzano Maria Hochgruber Kuenzer nell'ambito di una conferenza stampa moderata da Morandini. Lo studio è stato fatto ancora nel 2018.Quest'estate ci sono state presenze massicce in quota per cui si è gridato all'eccesso. Invece Van der Borg ha messo in guardia gli amministratori e gli operatori locali. «Un campanello d'allarme» ha detto «consiste nel fatto che la valutazione dell'esperienza di visita sia in calo, soprattutto nelle giornate di sovraffollamento». Il motivo? Sovraffollamento generalizzato, code e chiasso impattano sull'ambiente e sulla qualità della visita e, quindi, della vita delle comunità locali. Obiettivo dello studio è promuovere una gestione più sostenibile dei flussi di visitatori nel rispetto dell'ambiente, nonché della sostenibilità economica e sociale. Lo studio sarà portato a termine entro la fine del 2020. «La Fondazione Dolomiti Unesco ha compiuto il primo passo, ora spetta agli amministratori delle rispettive aree agire e compiere le scelte politiche», afferma il presidente Tonina, assessore e vicepresidente della Provincia di Trento. «Abbiamo la responsabilità di mantenere l'ecosistema e anche la possibilità di trovarvi ristoro, ma non dobbiamo dimenticare gli abitanti che sono coloro che mantengono i paesaggi di queste aree e che in queste aree devono mantenere la propria identità», fa presente l'assessora allo sviluppo del territorio e paesaggio, e membro del CdA della Fondazione, Kuenzer. Ieri il cda si è riunito da remoto ed ha dato mandato a Tonina di portare avanti studi sui possibili limiti. «Ho ben presente la problematica. Vogliamo parlare di numero chiuso? Noi già l'abbiamo introdotto» afferma il sindaco di Auronzo, Tatiana Pais Becher, «quando i parcheggi sono pieni, la strada viene chiusa». Il rosso scatta quando in alto sono arrivate poco più di 3 mila persone con le auto. Poi ci sono quelle scaricate dai pullman e chi arriva a piedi. Sopra le 10 mila presenze si arriva in pieno agosto, quando le giornate sono più lunghe e c'è un travaso anche di auto. Dallo studio emergono alcune chiare indicazioni gestionali, e le azioni immediate concernono la regolamentazione dell'accesso. «Per l'area delle Tre Cime di Lavaredo viene caldamente consigliato di agire per ridurre drasticamente il traffico e, quindi l'accesso di automobili a Misurina, e favorire il raggiungimento dell'area con mezzi pubblici. Inoltre» spiega il presidente Tonina «il suggerimento formulato è quello di personalizzare l'esperienza di visita e la modalità di accesso per diverse tipologie di turisti (residenti, turisti, escursionisti, per provenienza, ecc.)». -- © RIPRODUZIONE RISERVATA
Gazzettino | 17 Novembre 2020
p. 13, segue dalla prima Bocciato il traffico sulle Dolomiti «Superata la capacità di carico» Fondazione Unesco: «Superata la capacità di carico su Misurina e le Tre Cime di Lavaredo». La sentenza arriva da uno studio di Fondazione Unesco e Università Ca' Foscari di Venezia, suggerendo forme di gestione che disincentivino l'uso dell'auto. A Ferragosto 2018 si sono avuti oltre 13.400 presenze: il dato idale sarebbe 4mila. L’assedio di Misurina e le Tre Cime AURONZO DI CADORE Montagne sempre più frequentate ma non sempre rispettate. Tanta la gente sui sentieri alpini, è un dato di fatto confermato dal grande traffico e dalle testimonianze degli abitanti delle terre alte, ad avvalorare la tendenza, che si è accentuata nell'estate del
Covid, lo Studio della Fondazione Dolomiti Unesco e dell'Università Ca' Foscari di Venezia che, pur ha analizzato i dati 2018, offre suggerimenti per una migliore gestione. Il verdetto non lascia dubbio alcuno: nei siti più blasonati si è superata la capacità di carico. SOVRAFFOLLAMENTO Nelle Dolomiti bellunesi patrimonio dell'umanità lo studio si è concentrato sulle Tre Cime di Lavaredo che fanno registrare numeri impensabili: 13.467 le presenze del giorno di Ferragosto. L'analisi, presentata ieri, non lascia spazio ad interpretazioni, del resto anche in questo autunno avanzato, con la strada ancora percorribile, in tanti hanno raggiunto il rifugio Auronzo per godere dello spettacolo delle vette simbolo delle Dolomiti. Ma sovraffollamento generalizzato, code e chiasso impattano sull'ambiente e sulla qualità della visita e della vita delle comunità locali. Il limite della capacità di carico su queste zone, prese in esame quali aree pilota, oltre alle Lavaredo il lago di Braies, è il tema centrale su cui si impernia lo studio innovativo della Fondazione Dolomiti Unesco e del Dipartimento di Economia dell'Università Ca' Foscari di Venezia. Studio presentato a Bolzano dal professor Jan Van der Borg, responsabile del team di ricerca internazionale insieme al presidente della Fondazione Unesco Mario Tonina, all'assessore della Provincia di Bolzano Maria Hochgruber Kuenzer, presente Marcella Morandini, direttore della Fondazione. LA RICERCA Uno studio molto innovativo. Avvalendosi dei dati riferiti alle aree pilota del 2018 e i big data, dati delle celle telefoniche raccolti in forma anonima e aggregata insieme ai dati dei social network, provenienti da Vodafone Analytics, TripAdvisor, Istat e Banca d'Italia, nonché di interviste, gli esperti hanno valutato gli impatti dei flussi annuali di visitatori nelle due aree e la rispettiva capacità di carico, ambientale, sociale ed economica, e suggerito misure d'intervento. Per quanto riguarda le Tre Cime di Lavaredo, ma Misurina non discosta di molto, i dati raccolti nel 2018 evidenziano il picco superiori alle 13.400 persone a Ferragosto con una media giornaliera di 5.433 in agosto. Analizzata la situazione ecco i consigli: «Per l'area delle Lavaredo se il sito viene considerato come parco naturale il limite consigliato per il carico naturale è di 2.7003.000 persone al giorno e di 7.0007.500 persone al giorno se considerato come area escursionistica e in riferimento al carico sociale, la qualità della visita da parte di turisti ed escursionisti rimane a livello medio se si pone un limite di 4.000 persone al giorno». Dallo studio emergono alcune chiare indicazioni gestionali, e le azioni immediate concernono la regolamentazione dell'accesso. «Viene caldamente consigliato di agire per ridurre drasticamente il traffico e, quindi l'accesso di automobili a Misurina, e favorire il raggiungimento dell'area con mezzi pubblici. Inoltre, il suggerimento formulato è quello di personalizzare l'esperienza di visita e la modalità di accesso per diverse tipologie di turisti. MONITORAGGIO In particolare, sarebbe opportuno incentivare gli accessi a piedi o in bici, e penalizzare l'utilizzo dei mezzi a motore privati. Sarebbe, inoltre, opportuno creare momenti di fruizione diversi puntando alla destagionalizzazione e alla diversificazione spaziale. Come azioni di governance viene proposta l'istituzione di un osservatorio per il costante monitoraggio dei flussi di visitatori e dei vari livelli di sostenibilità, la promozione di una più efficace collaborazione a livello territoriale e la costituzione di una cabina di regia per una migliore governance interregionale e l'attuazione di una visione strategica condivisa».Giuditta Bolzonello© riproduzione riservata
Corriere dell’Alto Adige | 17 Novembre 2020 p. 4 Flussi, modello Braies da estendere a Tovel e all’area Tre Cime Studio Dolomiti Unesco: «Meno quantità, più qualità» BOLZANO Gli hotspot Lago di Braies e Tre Cime di Lavaredo hanno da tempo superata la rispettiva capacità di carico ambientale, rendendo imprescindibile un’attenta e rigorosa gestione degli accessi. L’ennesima conferma è arrivata dallo studio commissionato da Dolomiti Unesco all’Università di Venezia e presentato ieri dal professor Jan Van der Borg, responsabile del team di ricerca internazionale di Ca’ Foscari, con Mario Tonina presidente della Fondazione Dolomiti Unesco, l’assessora altoatesina Maria Hochgruber Kuenzer e Marcella Morandini direttrice della Fondazione. I numeri, in parte già noti, risalgono al 2018 (era pre Covid): per la zona del Lago di Braies, il numero di visitatori (giugno-settembre 2018) è di molto superiore alla capacità di carico del sito, con giornate di picco di oltre 17.400 persone al giorno e una densità fino a 188 persone per ettaro. Per quanto riguarda invece le Tre Cime, i dati raccolti parlano di picchi superiori alle 13.400 persone al giorno, col risultato accertato del sensibile calo della valutazione dell’esperienza di visita nelle giornate di sovraffollamento. A fronte delle cifre reali, i limiti consigliabili per l’area del Lago di Braies, come parco naturale, sono di 1.500-2.500 persone giorno che crescono a 4.500-6.000 se considerata come area escursionistica. La qualità della visita, come carico sociale e nella percezione di turisti ed escursionisti che visitano il sito, rimane a livello medio entro il limite di 9 mila persone giorno. L’area, più vasta, delle Tre Cime di Lavaredo, considerata come parco naturale consiglia un limite 2.700-3.000 persone giorno che sale fino a 7.500 persone giorno se valutata come area escursionistica. La qualità della visita è «media» con un livello di 4 mila persone-giorno. Sui dati del com’è e del come al massimo dovrebbe essere, Van der Borg ha evidenziato che «la quantità spesso è in contrasto con la qualità» e suggerito misure d’intervento: «Per Braies una regolamentazione è già in corso, con navette e prenotazione obbligatoria. Per le Tre
Cime di Lavaredo serve una drastica riduzione di traffico e accesso d’auto a Misurina, favorendo i mezzi pubblici. E ancora: personalizzare l’esperienza di visita, incentivare gli accessi a piedi o in bici e creare momenti di fruizione diversi puntando alla destagionalizzazione e alla diversificazione». La proposta di istituire un osservatorio per il monitoraggio dei flussi di visitatori e dei livelli di sostenibilità ha raccolto il consenso di Hochgruber Kuenzer, che commenta: «La pressione su aree eccezionali, ma fragili, ha superato il limite di tollerabilità. Troppe persone concentrate in pochi luoghi, in pochi periodi dell’anno. Se si oltrepassa il limite si mette a rischio lo sviluppo futuro. Questo è il campanello d’allarme: a noi il compito di gestire la situazione con soluzioni condivise. Dobbiamo essere in grado di offrire a turisti e residenti la qualità di vita e di visita che si aspettano». D’accordo Tonina, che aggiunge: «Estenderemo presto il metodo d’indagine anche ad un’altra area studio: il Lago di Tovel nelle Dolomiti del Brenta»
Alto Adige | 17 Novembre 2020 p. 34 Lo studio: troppe 17.400 persone al giorno per Braies jimmy milanese BOLZANO. Nei giorni estivi di picco sono circa 17.400 le persone che visitano la zona del Lago di Braies, mentre i turisti che da tutto il mondo scelgono le Tre Cime di Lavaredo come meta escursionistica toccano anche le 13.400 unità. Questo è il dato allarmante mostrato da uno studio innovativo condotto per l'anno 2018 dalla Fondazione Dolomiti Unesco e dal Dipartimento di Economia dell'Università Ca' Foscari di Venezia in relazione a dati raccolti da celle telefoniche e aggregati insieme ai dati dei social network provenienti da Vodafone Analytics, TripAdvisor, Istat e Banca d'Italia. Questi Big Data, raccolti in forma strettamente anonima, assieme a una serie di interviste ad opera del team guidato dal professor Jan Van der Borg e da Mario Tonina, presidente della Fondazione Dolomiti Unesco, hanno rilevato in modo drammatico quanto sia imponente il fenomeno del turismo in questi due luoghi, tra i più suggestivi dell'Alto Adige. Nel corso di una conferenza stampa alla presenza anche della assessora provinciale Maria Hochgruber Kuenzer, un dato è emerso in modo chiaro: la capacità di carico del lago di Braies e delle Tre Cime di Lavaredo è stata abbondantemente superata nel corso degli ultimi anni. Per evitare il collasso, è necessario prendere provvedimenti urgenti; la conclusione dello studio. «Qualsiasi spazio fisico ha un utilizzo ottimale, scopo di questa ricerca è quello di capire se sia possibile calcolare la capacità di carico ottimale per questi due importanti hotspot provinciali», ha spiegato il professor Van der Borg. Come detto, nelle giornate estive, ogni giorno sono in media oltre 10.000 le persone che si recano solo a Braies per far visita al lago reso famoso da una serie televisiva. Questo afflusso di massa è in grado di mettere in serio pericolo sia l'integrità del luogo sia la pazienza dei suoi abitanti. «Nonostante la situazione sanitaria che stiamo vivendo, anche in questa estate abbiamo sperimentato un eccessivo carico di turisti nelle due località; superiore a quello che la popolazione locale è disposta a sostenere», ha sottolineato Kuenzer. Uno studio, quello Unesco-Ca' Foscari, non privo di proposte concrete, alcune delle quali guardano al potenziamento della capacità di coordinamento tra provincia di Bolzano e Belluno. Un coordinamento che dovrebbe prevedere una cabina di regia guidata dalla Fondazione Dolomti Unesco e che raduni anche i diversi attori economici legati al territorio, ma che coinvolga tutti quegli assessorati provinciali che per le loro competenze possono influire positivamente sulla diminuzione delle visite turistiche nelle due aree. «Per orientare le scelte in modo condiviso si devono coinvolgere le categorie economiche e se serve prevedere per queste anche delle compensazioni, proprio per garantire la sostenibilità e la condivisione delle scelte prese», ha spiegato Tonina. Quindi, incentivare accessi a piedi o in bici, penalizzare l'utilizzo dei mezzi a motore, diversificare l'offerta turistica convogliandola verso altre destinazioni oltre a un costante monitoraggio dei flussi, sono solo alcune delle azioni individuate dallo studio. ©RIPRODUZIONE RISERVATA
TURISMO INVERNALE AI TEMPI DEL COVID: PROSPETTIVE Trentino | 4 Novembre 2020 p. 34 Weiss e la stagione turistica: «Sono tanti i fattori in gioco» gilberto bonani
moena «La neve è l'ultimo dei nostri pensieri. La pandemia in atto ha cambiato radicalmente le prospettive del turismo invernale». Andrea Weiss, al termine della sua lunga carriera come direttore dell'Apt di Fassa, non avrebbe mai immaginato di confrontarsi con uno scenario visto solo in un film. C'è comunque voglia di resistere e di non farsi piegare da un subdolo virus. L'apertura degli impianti rimane fissata al 4 dicembre, per il tradizionale ponte di Sant'Ambrogio. «I cannoni sono già pronti - afferma Daniele Dezulian, manager della Sitc (Società incremento turistico Canazei) -. Appena ci saranno le condizioni inizieremo a innevare le piste. Vogliamo mandare un segnale di speranza a tutti gli operatori turistici».Un atto di coraggio, visto che l'innevamento delle piste di tutto il Trentino costa dai 18 a 24 milioni di euro. Si tratta di un costo iniziale "secco", non recuperabile se gli impianti dovessero restare chiusi.«Sono diversi i fattori in gioco - spiega Andrea Weiss -. Prima di tutto le condizioni sanitarie d'Italia e d'Europa e la mobilità tra regioni italiane e tra Stati. Elementi che non dipendono da noi. Poi assicurare una circolazione sicura delle persone su impianti e piste. Infine l'innevamento in caso di inverno avaro di neve. Ma su questo fronte la Valle di Fassa e il Trentino hanno strumenti idonei».Da tempo il settore impiantistico sta lavorando su protocolli ora al vaglio del Comitato tecnico scientifico, ma dovranno comunque essere validati alla luce dei continui Decreti ministeriali, nel nostro caso delle disposizioni della Provincia e dei complessi accordi tra Stato e Regioni. Una corsa a ostacoli che tiene continuamente in tensione chi deve programmare interventi a breve periodo.Per garantire la sicurezza di turisti e appassionati sono state definite specifiche linee guida con la gestione intelligente delle code nei punti di attesa, la sanificazione quotidiana di tutte le cabine e di tutti gli spazi pubblici e la possibilità di prenotate lo skipass online e ritirarlo in maniera veloce presso appositi "ticket box". Il presidente del Dolomiti Superski, Andy Varallo, ha preannunciato anche in Valle di Fassa la sperimentazione di una soluzione avveniristica per accedere agli impianti. Lo sciatore potrà acquistare il suo skipass comodamente da casa, dall'albergo o dall'auto e caricarlo su smartphone , da dove si attiverà e invierà i dati (via Bluetooth) una volta entrato nell'area di lettura del tornello. Quindi niente code alle casse.Gli impiantisti sono effettivamente degli "apri pista" di una stagione complicata che potrebbe falcidiare imprenditori che già soffrono per investimenti fatti e mutui da onorare. Dicembre e le festività di Natale fanno affidamento su una clientela nazionale, la stessa che ha risollevato le sorti del turismo estivo con una inaspettata riscoperta della montagna.«La strada si fa in salita da gennaio - spiega Andrea Weiss -. Se le condizioni sanitarie europee non miglioreranno e la libera circolazione delle persone sarà limitata, ci aspettano tempi duri. Se mancheranno all'appello gli sciatori tedeschi, polacchi, ceki e sloveni, gli europei, la stagione invernale 2020 - 2021 sarà archiviata in profondo rosso».©RIPRODUZIONE RISERVATA
Corriere del Trentino | 4 Novembre 2020 p. 11 Il turismo dopo la pandemia, la Borsa della montagna s’interroga sul futuro che sarà Trento La 21esima edizione della Borsa Internazionale del Turismo Montano organizzata dalla Confesercenti del Trentino non si arrende all’emergenza Covid e rivoluziona il suo format per continuare a valorizzare il territorio Trentino e cercare di sfruttare la crisi dettata dalla pandemia per immaginare nuove forme di turismo. «In questo momento particolare abbiamo deciso di continuare a investire sulla comunicazione del turismo — spiega il presidente di Confesercenti del Trentino Renato Villotti — Lo scopo è cercare di elaborare iniziative sempre nuove». L’edizione 2020 è quindi dedicata al «Turismo che verrà» e a tutti i temi ad esso connessi. Dal 10 al 13 novembre sarà possibile assistere via web a otto panel diversi trasmessi da Palazzo Roccabruna che indagheranno i cambiamenti climatici ed ecologici, il turismo post pandemico, le nuove potenzialità dell’outdoor e le nuove sfide legate alle strategie di accoglienza. «Dobbiamo guardare all’opportunità di elaborare nuove strade per il turismo post Covid e non cadere nell’errore di fermarci — commenta Alessandro Franceschini, direttore scientifico della manifestazione — Da qualche anno il turismo si sta evolvendo sempre più alla ricerca di una nuova dimensione naturale e di un rapporto vero con le comunità locali. Durante la scorsa primavera abbiamo capito quanto sia importante la natura e il contatto con gli spazi liberi. “Il turismo che verrà” è un argomento strettamente correlato all’emergenza sanitaria che sta fungendo da potente acceleratore sui processi di cambiamento, anche nel settore turistico. Il turismo montano deve cogliere l’opportunità del cambiamento per consolidare il proprio ruolo e la propria identità all’interno dell’offerta turistica internazionale». La visione di Franceschini rivolge lo sguardo al fenomeno del cosiddetto southworking, che negli ultimi mesi ha spinto molti lavoratori provenienti dalle regioni meridionali a scegliere di trascorrere lunghi periodi nei propri paesi d’origine sfruttando le potenzialità del lavoro da remoto. «Dobbiamo sfruttare la le potenzialità della tecnologia per creare una nuova offerta di vacanza in grado di coniugare la permanenza in montagna con una modalità light di lavoro — spiega Franceschini — L’obiettivo è passare dagli attuali cinque giorni di ferie a periodi di villeggiatura più lunghi, durante i quali poter alternare momenti di lavoro da remoto e passeggiate nella natura». Per farlo è necessario investire fortemente nelle infrastrutture tecnologiche delle quali è forte sostenitore l’assessore provinciale al turismo Roberto Failoni, tra i protagonisti della prima giornata di dibattito. Tra gli ospiti che prenderanno parte a questa
nuova edizione, facilitati dalla possibilità di collegamento online, anche alcuni nomi illustri come gli alpinisti Reinhold Messner e Mauro Corona, il critico e presidente del Mart di Rovereto Vittorio Sgarbi, il meteorologo Luca Mercalli e molti altri.
Alto Adige | 6 Novembre 2020 p. 33 Dolomiti Superski taglia le code per i biglietti e sulle piste Dolomiti Ancora non si conosce la data esatta dell'apertura degli impianti di risalita del Superski Dolomiti, se sarà confermato il 28 novembre o se si invierà di una settimana, ma è tutto pronto. "Ci è servita l'esperienza di questa estate - conferma il direttore marketing Marco Pappalardo - C'è stato un gran lavoro a livello organizzativo. Per l'inverno ancora non ci sono i protocolli, comunque bisogna pensare che con gli sci ai piedi c'è già il distanziamento, se si tolgono gli sci il personale lo assicura. Inoltre in cabinovia non si sta più di 15 minuti e pare che quel tempo sia insufficiente per la diffusione del virus". A cosa avete pensato? "We care about you - Sei importante per noi" è il proposito di Dolomiti Superski: prendersi cura degli ospiti. Nella nuova App di Dolomiti Superski e integrata nella cartina sciistica in 3D sul sito, lo sciatore trova una mappa che visualizza la frequenza di sciatori agli impianti e può decidere quali impianti usare per non fare code. Inoltre, sulla base dei dati degli ultimi cinque anni, forniamo previsioni di afflusso alle piste nelle singole giornate della stagione. Così è possibile pianificare le vacanze, evitando i periodi di maggiore afflusso. E abbiamo commissionato degli scaldacollo con una specie di tasca interna per contenere la mascherina, che sarà regalata a chi acquista lo stagionale e sarà in vendita in tutti i negozi". Parliamo di skipass. "Per stagionali e plurigiornalieri, che saranno acquistati con 10% di sconto dai possessori dello stagionale della passata stagione che hanno perso più di un mese di sci, c'è una sorta di assicurazione: si potrà recedere dal contratto, con rimborso, in caso di chiusura degli impianti per almeno 14 giorni consecutivi, sia nell'ipotesi di chiusura totale di tutte le valli, sia nel caso di chiusura totale di una delle 12 zone sciistiche. Entro 30 giorni dall'inizio del lockdown, l'utente potrà esercitare il diritto di recesso, qualora non abbia ancora usufruito dello skipass per 40 giornate. Dal 15 dicembre e a cadenza quindicinale, la soglia di rimborso per gli skipass stagionali Dolomiti Superski diminuisce, in relazione alla durata residua della stagione: un lockdown entro il 15 dicembre prevede un rimborso dell'85%".Biglietti e abbonamenti dove si acquistano quest'anno? "Abbiamo potenziato l'online shop sul sito dolomitisuperski.com, attivo da metà novembre. Si può usare la MyDolomiti Skicard o passare alla cassa con il voucher, fruendo della digital lane per gli acquisti effettuati online. La terza opzione è il ritiro dello skipass in uno degli oltre 50 Ticket Box in tutte le 12 zone sciistiche di Dolomiti Superski. Da quest'anno è attivo anche l' Hotel Skipass Service, ovvero il cliente troverà lo skipass in camera d'hotel al suo arrivo. E anche in questo caso la fila all'ufficio skipass è evitata"
Gazzettino | 6 Novembre 2020 p. 2, edizione Belluno Stagione sciistica in attesa di regole Ma i dubbi non fermano la neve BELLUNO La stagione sciistica sulle Dolomiti, secondo i programmi, dovrebbe partire tra 3 settimane. Il condizionale, però, è quantomai d'obbligo vista la situazione causata dalla pandemia. Gli stessi addetti ai lavori si mantengono cauti e preferiscono tenere basso il profilo. «L'incertezza è tanta ed è impossibile ad oggi fare previsioni dice Renzo Minella, presidente di Anef Veneto, l'associazione degli esercenti funiviari -. In questi giorni non ci sarebbero neppure i fattori climatici favorevoli per iniziare a preparare le piste, viste le alte temperature non adatte al funzionamento dei sistemi di innevamento. Però, come sappiamo, le condizioni meteo potrebbero cambiare repentinamente e se il clima diventasse più rigido qualcosa inizieremmo a fare, nonostante tutti i dubbi del caso». LE INCOGNITE E di dubbi ce ne sono tanti, su tutti i fronti. L'ultimo Dpcm non ha certo aiutato a fugarli, anzi. «Di fatto l'ultimo decreto ha spostato avanti di una settimana il termine fissato da quello precedente. Ma il quadro non è mutato. Intanto il tempo passa e i dubbi rimangono. Cosa succerà il 4 dicembre? Impossibile saperlo ora, impossibile fare programmi. Innevare le piste per noi è un investimento importante che si ripaga con i passaggi degli sciatori. Di certo non potremo contare sugli stranieri e questo è già un fattore negativo importante, compromettente in partenza per la stagione. E se non potranno arrivare neppure i turisti dalla Lombardia come accade ora? Insomma, tra qualche ci giorno dovremo fare tutte le valutazioni del caso per capire come programmare l'innevamento e la preparazione dei tracciati».
LE NORME Alle preoccupazioni sul fronte economico, si sommano quelle legate a un quadro normativo che ancora non è stato definito. Gli impiantisti attendono che il Governo e il Comitato tecnico scientifico recepiscano il protocollo realizzato da Anef con l'ente di normazione UNI contenente le Linee guida relative alle misure per il contenimento del rischio di contagio da COVID-19 del comparto turistico Impianti di risalita. La speranza è che quel documento, al quale lavorano dalla scorsa estate, diventi una sorta di via libera per le aperture. «Il documento è già stato condiviso dalla Conferenza Stato Regioni, ora sono state avviate le trattative col Governo. Sulle problematiche sanitarie si dovrà invece esprimere il comitato tecnico scientifico che non dà risposte dall'oggi al domani. Avere il parere favorevole da entrambi gli enti sarebbe un bel passo avanti. Questo è quello che ci servirebbe ora: un protocollo certo sul quale poter fare affidamento per capire come muoverci, che contenga però delle prescrizioni attuabili e non restrittive al punto da metterci in difficoltà». LE NOVITÀ Intanto Dolomiti Superski - il consorzio che unisce le principali stazioni invernali delle Dolomiti orientali, tra cui le bellunesi Cortina, Arabba e Marmolada, Ski Civetta e Falcade passo San Pellegrino e la ski area Val Comelico si è attrezzato per sfruttare il più possibile la tecnologia al fine di garantire la massima sicurezza, in linea con le normative anti-covid. Uno dei principali problemi è quello di evitare gli assembramenti, come quelli che si verificano alle casse al momento dell'acquisto degli skipass. Così è stato potenziato il negozio online del sito www.dolomitisuperski.com aprendo l'acquisto telematico a quasi tutti i tipi di tessere che potranno essere caricate direttamente sulla MyDolomiti Skicard, quando l'utente ne fosse già in possesso. Oppure il cliente potrà passare alla cassa con il voucher creato concluso l'acquisto, fruendo di una corsia preferenziale. La terza opzione è il ritiro dello skipass presso una delle oltre 50 ticket box, dislocate in tutte le 12 zone sciistiche di Dolomiti Superski. Un servizio già presente da molti anni verrà quest'anno riproposto con grande enfasi è l'Hotel skipass service che permette di trovare lo skipass direttamente in camera all'arrivo in albergo. E anche in questo caso la fila all'ufficio skipass sarebbe evitata. Inoltre, saranno gli stessi albergatori e gli affittacamere a consigliare ai propri ospiti di usufruire dell'online shop già nel corso della prenotazione dell'alloggio. Andrea Ciprian
Corriere del Trentino | 6 Novembre 2020 p. 4 Sci, tutto da rifare. Serve nuovo protocollo Failoni: «Trentino capofila per le regole» TRENTO «Proveremo in tutti i modi di riaprire gli impianti da sci e far partire la stagione invernale». L’assessore Roberto Failoni è fiducioso. «Noi ci proviamo, abbiamo il dovere di prepararci», dice al termine di una giornata lunga e faticosa costellata da conference call e telefonate. Il Trentino aveva già preparato una bozza di protocollo per la riapertura degli impianti da sci insieme alla provincia di Bolzano e poi condivisa dal Veneto e dalla Lombardia. Ieri doveva essere il giorno dell’approvazione del documento nella seduta della Conferenza Stato-Regioni, ma non è stato così. Tutto sospeso. Dopo un lungo incontro in streaming incentrato sui numeri, l’andamento della pandemia e le zone a maggior rischio di diffusione del Covid-19 è stato deciso di elaborare un nuovo documento e sarà proprio il Trentino a fare da capofila per le regole che determineranno la possibile riapertura degli impianti da sci.. Sono circa 230 in Trentino. Si tenta tutto il possibile per salvare la stagione invernale che produce un fatturato di 200 milioni di euro e occupa negli impianti di risalita circa 1.500 persone, tra dipendenti fissi e lavoratori stagionali, con un indotto di 800 milioni generato sul territorio. «Siamo già al lavoro», assicura l’assessore provinciale al turismo. «Studieremo nuove linee guida e faremo un po’ da collante per tutte le altre Regioni», spiega annunciando già un primo incontro per oggi con l’Azienda sanitaria trentina. «Faremo un primo punto per confrontarci sulle modalità da adottare per poter riaprire gli impianti da sci in sicurezza», spiega ancora Failoni. L’obiettivo è evitare assembramenti e le lunghe code fotografate a Cervinia nell’ultimo weekend di ottobre che hanno spinto il governo a ordinare la chiusura degli impianti da sci. Il nuovo protocollo potrebbe in parte ricalcare la bozza già stilata dal Trentino e dall’Alto Adige, ma probabilmente le percentuali di capienza scenderanno. Le linee guida prevedevano una capienza delle cabinovie e funivie dell’80% (mentre non erano previsti limiti per le seggiovie essendo all’aperto), tra le altre misure era prevista l’aerazione continua degli ambienti, l’obbligo di mascherina e il distanziamento di un metro. Dolomiti superski, il maggiore comprensorio italiano con 12 zone sciistiche in Trentino, Alto Adige e Veneto, aveva proposto anche un’applicazione per smartphone che consente di vedere, in tempo reale, la situazione agli impianti per quanto riguarda le presenze con l’obiettivo di evitare l’affollamento delle piste da sci e quindi tutelare maggiormente gli sciatori e gli stessi operatori. Ora si dovrà capire come intenderà muoversi la Provincia dopo l’incontro di oggi con il comitato scientifico trentino dell’Azienda sanitaria. Una volta elaborato, il nuovo documento verrà poi ripresentato in un una nuova seduta della Conferenza Stato-Regioni per l’approvazione. «Con l’occasione — ricorda ancora l’assessore Failoni — saranno presentate anche le linee guida relative alle
scuole da sci e ai noleggi». Un passo importante, il Trentino ci crede e anche gli impiantisti che al momento, però, non fanno previsioni. «Siamo fiduciosi», afferma Luca Guadagnini, presidente dell’Associazione degli esercenti funiviari (Anef) del Trentino. «Speriamo che riescano ad elaborare un nuovo protocollo, attendiamo cosa ci dirà la sanità, abbiamo ancora tempo perché il freddo non è ancora arrivato. L’assessore conta già la settimana prossima di darci alcuni aggiornamenti». Il pensiero di Failoni è rivolto anche agli alberghi, alle strutture ricettive e termali, ai ristoranti che in questo momento stanno pagando un prezzo molto alto a causa della pandemia. «Abbiamo presentato una campagna di comunicazione per la stagione invernale importante legata a tutti i settori, cerchiamo di fare tutto il possibile per salvare la stagione, se poi i contagi non ce lo permetteranno dovremmo prendere altre decisioni», spiega.
Corriere delle Alpi | 10 Novembre 2020 p. 13 Troppi vincoli per le piste da sci L'apertura potrebbe slittare a Natale Francesco Dal mas BELLUNO Il mondo dello sci trema. Non ci saranno le aperture di novembre. L'Alto Adige ha chiuso gli impianti più in quota che aveva autorizzato per la preparazione atletica. Fino al 3 dicembre il Dpcm in atto non consente partenze di sorta. «Ce ne facciamo una ragione», commenta Renzo Minella, presidente di Anef, «anche perché le condizioni meteo non consentono la preparazione delle piste». Temperature così alte, anche di 15 gradi la dove insistono le piste, continueranno per due settimane. E le temperature da neve - 10 gradi sotto zero, la notte - non sono da considerarsi all'orizzonte. «La preparazione di una pista»,- puntualizza ancora il presidente, «richiede almeno una settimana».I gestori vanno a ridosso, dunque, del Ponte di Sant'Ambrogio o dell'Immacolata. E qui le previsioni di Minella si ferma. La ragione è semplice. E drammatica allo stesso tempo. Oggi pomeriggio si incontreranno, in videoconferenza, i titolari dei 17 impianti del Veneto. Una convocazione d'urgenza, dettata dal fatto che le linee guida presentate dall'Anef nazionale e supportate dalle Regioni, hanno trovato il cancelletto chiuso da parte del Comitato tecnico scientifico. Il quale, considerati i tempi, la numerosità e le modalità del contagio, ha proposto linee guida radicalmente diverse, più pesanti. È già molto che non abbia detto stop allo sci. Ma ha posto vincoli - comprendibili in relazione alla pandemia, irricevibili sul piano tecnico dalle società di gestione - tali da rendere praticamente impossibile l'avvio della stagione intorno al 7 dicembre. Più praticabile il Natale. Sempreché - s'incrociano le dita da Cortina al Col Margherita, da Porta Vescovo al Civetta, al Col Agudo e Padola - non si finisca tutti in zona rossa.Col Veneto chiuso - ipotizziamo - non ha alcun senso, come ammettono gli stessi operatori, che resti aperto il Trentino oppure l'Alto Adige, perché tutto ormai è interconnesso.I vincoli, appunto. Se il Dpcm ha stabilito che nel trasporto pubblico non si superi la soglia del 50%, altrettanto è fatto obbligo per le funivie, le telecabine, le seggiovie. Cosa significano queste limitazioni? Che ai cancelli d'ingresso si formeranno interminabili code, difficili, se non impossibili da gestire, soprattutto a riguardo del distanziamento che resta indispensabile. È vero, già da qualche settimana le società impiantiste stanno pianificando una riduzione del popolo dello sci del 50%, nel senso che gli stranieri mancheranno quasi del tutto e che la maggiore presenza di italiani non compenserà affatto questo deficit. Ma già col 50% di appassionati sarà difficile razionalizzare il pressing.Prendiamo solo il Superski Dolomiti. La capacità di trasporto è più di 700 mila persone all'ora. Dividiamo per metà, gli sciatori restano 350 mila, distribuiti in 450 impianti che animano una dozzina di zone sciistiche; quelli dell'Anef in Veneto sono un'ottantina, gestiti da 17 società. Perché citiamo tutti questi dati? Perché da ambienti del Cts e del Governo sono state proposte condizioni molto severe di gestione dell'emergenza. È stato indicato, ad esempio, il contingentamento degli sciatori, area per area. E, al tempo stesso, si è ravvisata la necessità che questi sciatori siano tutti certificati Covid free. Termoscanner, igienizzazioni delle mani, mascherina, scaldacollo e quant'altro ovviamente si. Ma è necessario anche che le società si attrezzino del nome e cognome del discesista o del fondista, e del suo numero di telefono, per rintracciarlo in caso di contagio. Il presidente Minella preferisce, al momento, non commentare. Anzi, precisa che sono in corso, quotidianamente, confronti fra le parti per cui non c'è nulla di definito. Ed oggi, come abbiamo anticipato, i singoli gestori diranno la loro. È evidente, però, che lo sciatore che si fa il Sellaronda, per fare un esempio, e incrocia tre province, entrando da chissà quanti cancelli, non può essere ovunque registrato. Lo è l'abbonato, non lo è, però, il giornaliero. Le società non dispongono delle attrezzature per questi controlli, neppure del personale specializzato. Un altro esempio, chi ferma, e a quale titolo, lo sciatore in coda per capire se è tracciabile? Gli interrogativi che oggi gli operatori si porranno saranno molteplici. Dalle risposte dipenderà la volontà comunque di aprire - che c'è, ma non così forte come lo era qualche settimana fa - e i tempi dell'avvio di stagione. «Dovremo fare un po' di conti», si limita a dire ancora Minella. Il fatturato dell'Anef veneto è di 60 milioni, tra i 450 ed i 500 compreso l'indotto. Se è vero che la pianificazione è sul 50% della clientela, significa che la provincia di Belluno deve prepararsi a perdere tra i 225 ed i 250 milioni. Se aggiungiamo le restrizioni governative, la cifrfa scende di molto. Chi e come ristorerà? --
Gazzettino | 11 Novembre 2020 p. 13, edizione Belluno Impianti in rosso, stagione in forse Quando inizierà la stagione sciistica sulle Dolomiti? Ad oggi nessuno può prevederlo, nemmeno gli stessi impiantisti. «Alla luce dell'evoluzione della pandemia in corso, non ci è ancora possibile stabilire con certezza una data di apertura della stagione 2020/21. Sarà però nostra premura confermare la data di apertura o comunicare una nuova non appena possibile» è il nuovissimo avviso che campeggia sul sito del Dolomiti Superski, il consorzio delle 12 principali stazioni invernali delle Dolomiti tra cui, nel Bellunese, Cortina, Ski Civetta, Arabba, Marmolada, Ski area Val Comelico e Falcade Passo San Pellegrino. Ciò che invece appare già certo, è che sarà una stagione in profondo rosso. FATTURATI IN CADUTA LIBERA «Stimiamo una perdita di fatturato dal 50% al 70% dice Renzo Minella, presidente di Anef Veneto, l'associazione degli esercenti funiviari -. Le incognite sono tante e su molti fronti. Per questo motivo, riguardo alle aperture si vedrà nei prossimi giorni. Sarà comunque una decisione da prendere a livello nazionale». Ieri si è tenuta un'assemblea tra gli impiantisti veneti nella quale è stato fatto il punto sulla situazione. Si rimane in attesa che a Roma il Comitato tecnico scientifico e il Governo si esprimano su un protocollo contenente le linee guida presentate dall'Anef nazionale e supportate dalle Regioni. CONTESTO DIFFICILE «Sarebbe un documento che, collegato a un prossimo Dpcm, ci consentirebbe di aprire. Così è stato la scorsa estate quando era stato recepito il protocollo che avevamo predisposto insieme all'ente di normazione Uni e che ci aveva permesso di attivare gli impianti. Ora però il contesto purtroppo è cambiato in peggio: con la curva epidemiologica cresciuta le linee guida di qualche mese fa sono state superate. La nuova proposta di protocollo che avevamo visto circolare la scorsa settimana a livello di Conferenza Stato Regioni era troppo penalizzante, poiché conteneva per noi degli obblighi difficili, se non impossibili da attuare, come il tracciamento di ogni singolo fruitore degli impianti. Le nostre proposte correttive verranno vagliate la prossima settimana dalla Conferenza Stato Regioni e poi dal Governo e dal Comitato tecnico scientifico». L'AUSTRIA FA MEGLIO Ma oltre a delle linee guida non troppo penalizzanti, gli impiantisti si attendono dal Governo dei ristori adeguati per le perdite di fatturato date per certe. «Per ora si parla di cifre ridicole, pari a qualche migliaio di euro per comprensorio spiega Minella -. In Austria, invece, si è deciso di aprire il 20 dicembre e di garantire alle stazioni invernali un congruo indennizzo per i giorni di chiusura forzata antecedenti. Noi invece siamo ancora in un contesto di incertezza. Avremmo bisogno, da parte del Governo, che ci desse un adeguato contributo in primis per la produzione della neve che, ricordiamo, va a favore di tutto l'indotto, ma è un costo solo per noi». ASPETTIAMO SOLO IL VIA Non bastasse l'emergenza sanitaria, anche il meteo ci mette del suo con le previsioni che danno sole e caldo anche per i prossimi giorni, rendendo problematico il funzionamento dei sistemi di innevamento. Perse le speranze per le prime discese almeno all'Immacolata? Minella non si sbilancia: «È presto per dirlo, di sicuro noi saremo pronti ad aprire appena ci saranno le condizioni per farlo». Andrea Ciprian © riproduzione riservata
Trentino | 14 Novembre 2020 p. 15 Turismo montano tra sviluppo economico e tutela dell'ambiente JACOPO STRAPPARAVA Trento Si è conclusa ieri, dopo quattro giorni di interventi, l'edizione 2020 delle Giornate del Turismo Montano, ventunesima della sua storia e, manco a dirlo, prima a svolgersi con una pandemia in corso. «All'inizio pensavamo di tenere metà dei dibattiti online e metà in presenza» dicono dalla Confesercenti, organizzatrice della manifestazione. «Negli anni normali i relatori parlano in vari palazzi a Trento e Rovereto, stavolta abbiamo capito subito che sarebbe stato impossibile». E sono passati al piano B. Per tutta la settimana che sta per concludersi, la sala «Conte di Luna», al piano nobile di palazzo Roccabruna, in via S.Trinità, è stata trasformata in un piccolo set tv. Tra le 10 e le 13 di ieri mattina, video-collegati dai loro uffici, sono intervenuti: l'assessore del Comune al turismo Elisabetta Bozzarelli, il di lei omologo nella giunta provinciale Roberto Failoni, il presidente della Confindustria trentina Fausto
Manzana, il direttore della fondazione Dolomiti Unesco Marcella Morandini, il presidente di Skirama Dolomiti Adamello Brenta Fabio Sacco, il segretario della Confesercenti nazionale Mauro Bussoni, quello della Confesercenti trentina Renato Villotti, poi Gianni Battaiola per gli albergatori, Luca Oliver per le Acli, Barbara Tomason per gli artigiani, Paolo Calovi per gli agricoltori, Roberto Simoni per le Coop trentine e Giovanni Bort per la Camera di commercio.I temi toccati sono stati i classici: come bilanciare sviluppo economico e rispetto dell'ambiente, come far sì che tutte le zone del Trentino, e non solo quelle più celebri, possano beneficiare del turismo, come impiegare la tecnologia senza snaturare l'identità della montagna, come attrarre visitatori danarosi, come evitare che ne arrivino troppi, di turisti, o che «foresti» mai stati in quota in vita loro salgano a tremila metri con le infradito. L'architetto Franceschini, riassumendo la discussione in una battuta, ha detto: «Non abbiamo bisogno di un turismo "mordi e fuggi", ma di uno "assapora e resta
Gazzettino | 14 Novembre 2020 p. 13, edizione Belluno «Turismo avvilente La sola seggiovia non ci risolleverà» COMELICO SUPERIORE Il Comelico si interroga sul futuro del turismo nella vallata. Dopo le proposte emerse durante la fase di istruttoria della Strategia delle Aree Interne, che avevano fatto emergere la differenza di interessi tra i grandi investimenti, come quello del collegamento di impianti di risalita tra Padola e la Pusteria, e la necessità di trovare negli altri paesi forme di investimento proporzionato alle piccole realtà commerciali, ora i Comuni della vallata insieme al Consorzio Turistico Val Comelico Dolomiti hanno deciso di intraprendere insieme un percorso di sviluppo turistico per la Val Comelico in stretta collaborazione con la DMO Dolomiti. Obiettivo del progetto è riuscire ad organizzare il territorio per l'accoglienza turistica e definire le specificità locali medianti le quali il territorio possa offrire esperienze originali al visitatore. DIALOGO CON GLI ESPERTI Le riflessioni su quale strada percorrere sono state avviate sia con gli enti pubblici, sia con gli operatori del territorio, che hanno avuto modo nei giorni scorsi di confrontarsi in video conferenza. L'obiettivo dell'incontro era quello rilevare in modo dinamico e interattivo le opportunità e le azioni da intraprendere nel breve e medio periodo. Alcuni rappresentanti di Comelico Superiore e Comelico di Sotto hanno avuto modo di confrontarsi con gli operatori della società Just Good Tourism di Padova, a cui la DMO Dolomiti ha affidato il compito di raccogliere ed elaborare le proposte che nascono sul territorio e tradurle in obiettivi da offrire sia agli enti pubblici, sia alle stesse aziende che operano in Comelico soprattuto nell'ambito del turismo. Nel dibattito sono state rilevate più ombre che luci sulla situazione attuale, come anche sulle prospettive a breve termine del turismo in Comelico. POCHI PUNTI DI FORZA Pochi i punti di forza, come la nascita di alcune esperienze di Ospitalità Diffusa, la scelta di puntare sull'agricoltura biologica di alcuni giovani allevatori, l'ammodernamento e l'offerta di qualità di alcuni esercizi alberghieri. Ma sono soprattutto le debolezze quelle emerse nelle analisi degli operatori partecipanti all'incontro. «Abbiamo provato a creare una rete di produttori locali - dice Federica Zampol del Punto Latte di Santo Stefano - per offrire ai clienti il cibo locale a chilometri zero. Una iniziativa apprezzata sia dai valligiani che dai turisti, ma l'adesione non è stata rispondente alle aspettative». PAROLE AMARE A Comelico Superiore la realtà dell'offerta turistica è deprimente. Lo rileva Christian Mazzucchelli, titolare della pasticceria Sweet Art di Padola. «La situazione del turismo a Comelico Superiore è avvilente. Chiuse le Terme, sul cui piazzale per tutta l'estate erano parcheggiati i camper senza alcun servizio e solo immondizie lasciate nei paraggi, in questo periodo c'è un solo ristorante aperto in tutto i comprensorio. Come potremo supportare l'afflusso di turismo se va in porto il collegamento tra Padola e Passo Monte Croce? Però noi giovani vogliamo credere sulla possibilità di cambiare e investire in questo settore». Lucio Eicher Clere © riproduzione riservata
Corriere delle Alpi | 15 Novembre 2020 p. 8 Messner: «In montagna andateci pure ma rispettare le regole, o addio Natale» Francesco Dal Mas BELLUNO
«Non vogliamo rinunciare al Natale? Rinunciamo, allora, ai comportamenti cafoni: non andiamo a camminare in montagna in gruppo e portiamo la mascherina, a portata di bocca e di naso, anche quando si cammina». Chi parla è Reinhold Messner, un grande alpinista ma anche un grande esploratore, che sul monte Rite, sopra Cibiana, gestisce il "Museo fra le nuvole". Una passeggiata sul Rite, dove è ancora aperto il rifugio, oggi la farebbe? «Certo. Non la vieta neppure l'ordinanza di Zaia, che ho trovato correttissima. Il divieto riguarda gli assembramenti».Non è esagerato? «No, anch'io ho visto immagini poco rassicuranti dello scorso fine settimana. In montagna si può salire, ma in due, congiunti. Qualche amico si vuole aggiungere? Ma a debita distanza, senza fare gruppo».Lei, in tante sue imprese, era refrattario all'uso della mascherina... «Quella dell'ossigeno, in quei casi. No, adesso la protezione la porto sempre, a meno che non mi trovi in casa. Anche nelle escursioni in quota è opportuno averla a portata di bocca e di naso, in modo da tirarla su se si incrocia qualche escursionista. La stagione è avanti, ma constato con piacere che molti camminano in montagna». Lei ha fatto l'esperienza della quarantena. «Sì, in primavera, durante il primo lockdown. L'ho fatta a Monaco, di ritorno da una missione in Africa. Credetemi, è stata dura, anche se sopporto l'isolamento con quanta più serenità possibile».È dura anche la stretta che Arno Kompatscher, presidente della Provincia di Bolzano, ha dato all'Alto Adige, senza peraltro chissà quali proteste. «La zona rossa, almeno da noi, era ed è indispensabile - anzi, andava introdotta prima -, se vogliamo tentare di aprire a Natale. Voi in Veneto, con Zaia, non siete stati da meno, anche se fino ad oggi non avete avuto bisogno della clausura totale. Ritengo, tuttavia, che sarà difficile uscirne presto» . Il Natale, insomma, lo trascorreremo solo in famiglia, senza amici? «Per come sono i dati di oggi, è già molto se riusciremo a festeggiare il Natale con i nostri cari più vicini». Kompatscher ha ordinato il tampone di massa, nei prossimi giorni. Anche lei si sottoporrà a questa verifica? «L'ho già fatto e lo rifarò. Bisogna essere responsabili e mettersi a disposizione se vogliamo garantire la salute pubblica. Kompatscher testerà 350 mila residenti. Non sono tutti, ma una parte consistente. Per incominciare va bene così». Il mondo dello sci è in fibrillazione. Salterà quasi sicuramente il ponte dell'Immacolata e di sant'Ambrogio. Chissà se sarà pronto per il 18 dicembre, data da molti ipotizzati. Lei ha chiusi i suoi musei, 200 mila visitatori l'anno. È preoccupato per una possibile crisi economica? «Ritengo che sarà un grande problema tenere aperti gli alberghi e i ristoranti, in una situazione come questa. Abbiamo molti lutti e stiamo affrontando una situazione sanitaria più difficile ancora di quella del primo lockdown. Stiamo però anche correndo il rischio di perdere la capacità di sopravvivere economicamente e questo sarà un peso per molti italiani. Alcuni perderanno il lavoro. Dopo potremo anche pensare di aprire gli alberghi, ma senza clienti questo non potrà pagare i dipendenti. Proprio per questo invito alla massima responsabilità: non è indispensabile, ad esempio, fare gruppo all'aria aperta». Riesce ad immaginarsi il post covid? «Ritengo che saranno anni molto difficili perché lo Stato non percepirà più le tasse attese. Tanti immaginano un dopo virus dove tutto riprenderà come prima, ma si accorgeranno che non sarà così e che mancheranno i mezzi per sanarci velocemente. Noi dovremo imparare a rinunciare e dovremo ricominciare quasi come dopo la seconda guerra mondiale».Lei solitamente è un inguaribile ottimista. L'alpinismo, praticato come il suo ai massimi livelli, l'ha sempre portata guardare avanti con fiducia. Questa volta, invece? «Sono convinto che tutto ci farà tornare indietro di anni. Forse questo shock avrà i suoi lati positivi, ma per molte persone, questa economicamente sarà la fine». --
Corriere del Veneto | 20 Novembre 2020 p. 6 «Lo sci? Presto per decidere» Zaia gela i gestori degli impianti Lorenzo Fabiano CORTINA D’AMPEZZO (Belluno) La neve deve ancora arrivare, ma dicembre si avvicina e sulla data di apertura degli impianti sciistici a Cortina, regna sovrana l’incertezza. Agli operatori che chiedono di poter partire il 14 dicembre, ha risposto il presidente della Regione Veneto Luca Zaia: «Tifiamo perché venga la neve e tanta, che si possa tornare alla normalità. Però da qui alla normalità c’è di mezzo il buon senso. Vedremo di capire, giorno dopo giorno, quale sarà l’evoluzione - ha aggiunto -. Sappiamo che non durerà molto questa fase di ascesa dei casi, poi ci sarà una stabilizzazione e poi ancora si inizia a scendere». Data di metà dicembre, in linea con quanto spera di poter fare il Trentino che pensa a una apertura di concerto con le altre province alpine al 15 dicembre. Sull’argomento, il presidente della Provincia Autonoma di Bolzano, Arno Kompatscher, nei giorni scorsi aveva invece tagliato corto: «Prima scende la curva, poi pensiamo allo sci. Oggi non vanno create aspettative per il Natale, speriamo che si possa dopo Natale. Tutti sappiamo che sarà un inverno difficilissimo». A Cortina splende un magnifico sole, ma la stagione sciistica è avvolta nelle nubi, come ha confermato l’amministratore delegato della Fondazione Cortina 2021, Valerio Giacobbi: «Ancora non sappiamo quando gli impianti potranno aprire - ha detto -. Fino al 18 dicembre rimarranno chiusi, poi speriamo che con i giusti protocolli la stagione possa partire». Non resta che aspettare e valutare l’evoluzione della situazione giorno per giorno. Si vedrà. Al mondiale ampezzano mancano intanto poco meno di 90 giorni. Sulla terrazza del Rifugio Duca D’Aosta sotto gli occhi delle Tofane, è stata annunciata la partnership tra Fondazione Cortina 2021 e Telepass, presenting sponsor dei Campionati del mondo di sci del prossimo febbraio. Presenti lo stesso Valerio Giacobbi e Gabriele Benedetto, amministratore delegato di Telepass. Tra le
novità annunciate, l’attivazione a partire da febbraio 2021 del servizio Skipass di Telepass sulle piste di Cortina. Sarà infatti possibile acquistare dall’app Telepass le skicard realizzate in edizione limitata per i Mondiali e salire agli impianti senza passare dalle biglietterie. «Siamo all’ultimo miglio, ha dichiarato in videomessaggio il presidente della Fondazione Alessandro Benetton -. Il mondiale doveva essere il primo grande evento internazionale post Covid; sarà comunque il primo durante il Covid. C’è grande entusiasmo da parte di tutti, siamo pronti». «Mancano meno di 90 giorni. I lavori infrastrutturali sono stati completati - ha spiegato nel suo intervento Valerio Giacobbi -. Stiamo ora lavorando alle strutture temporali, siamo in contatto con le autorità sanitarie per capire quanti spettatori, se sarà possibile, saranno ammessi: la sicurezza degli atleti e del pubblico ha la priorità su tutto: parliamo di posti distanziati e assegnati in tribuna». Ma Cortina guarda anche al 2026, l’anno delle Olimpiadi. In tale ottica è stato siglato un protocollo tra la Fondazione Milano-Cortina e la Rai. Tra le iniziative, una serata tv dedicata alla presentazione dei Giochi su Rai 1 nella prossima primavera. L’iniziativa verrà lanciata dal palco della finale del Festival di Sanremo 2021: sarà il pubblico a scegliere il logo dell’olimpiade con una votazione online il cui esito sarà svelato proprio durante la Notte Olimpica sulla Rai. «Abbiamo fatto tanto perché si potesse avviare questo percorso - ha dichiarato il ministro dello Sport Vincenzo Spadafora -. Durante l’epidemia, un periodo così drammatico, siamo riusciti ad approvare la legge olimpica. Sembrava distonico, ma era importante, abbiamo spinto per dare questo segnale. Abbiamo dato vita alla Fondazione, spero che sia in dirittura d’arrivo anche la costituzione dell’altra società prevista: ossia Infrastrutture Milano-Cortina 2026, così da completare la governance».
Trentino | 24 Novembre 2020 p. 17 Turismo invernale, senza sci il Trentino si scopre disarmato luca petermaier trento La regola aurea di ogni investimento finanziario è: diversificare il rischio. Guai a puntare tutto su un settore o una singola azione. Potrebbe andarvi bene ma - se va male - vi ritrovereste senza paracadute. Ecco, con le dovute differenze, ciò che il Trentino non ha fatto in questi anni con l'offerta turistica invernale: non ha diversificato abbastanza, scegliendo di puntare (quasi) tutte le proprie fiches sullo sci, attività attorno alla quale ruota gran parte dell'economia invernale della nostra provincia. E ora che il virus ha stravolto tutto ciò che davamo per acquisito, i nodi vengono al pettine. Il Pil trentino è previsto in caduta tra il 10,5% e l'11,2% (dati Banca d'Italia) ben più del -9,5% dell'Italia e anche del -10% dell'Alto Adige che - tra passeggiate sulla neve, piste da slitta, malghe in quota, alberghi di alto livello ed un'enogastronomia forte e riconoscibile - le alternative allo sci le ha. Eccome.Sci sempre al centroVa detto che in inverno lo sci non ha rivali. È la principale attrazione turistica non solo in Trentino ma su tutte le alpi. Un modello "sci-centrico" che al momento non ha alternative anche perché funziona. In Trentino la stagione sciistica 2017-2018 è stata la migliore di sempre e quella 2018-2019 è andata di poco sotto, con 7 milioni di pernottamenti (il 46% stranieri). Il trend, invero, è positivo da anni, ma (per tornare all'economia) è proprio quando le risorse ci sono che se ne possono accantonare per i tempi difficili. Fuor di metafora: in questi anni di vacche grasse, il Trentino avrebbe potuto diversificare in modo strutturato (e non a spot) la propria offerta turistica, seguendo per altro un trend di mercato che vede sempre più persone usare gli impianti non per sciare ma per passeggiare in quota (l'anno scorso il 30% in più sul Cermis, ad esempio) e che mostra un crescente interesse per l'outdoor sulla neve diverso dallo sci: dalle ciaspole allo scialpinismo, dalle fat bike alle slittate.L'esperimento fallitoQualche imprenditore visionario ci aveva anche provato a proporre un'idea di inverno diversa da quella legata agli impianti. Vi ricordate la proposta di Lorenzo Delladio, patron de La Sportiva, per rilanciare il passo Rolle? Via una parte degli impianti, per fare spazio ad una montagna più vocata alla "wilderness" con sentieri di trekking, arrampicata, passeggiate invernali, scialpinismo, ciaspole. Il tutto accompagnato da una riqualificazione degli alberghi, con offerte di ospitalità e ristorazione di alto livello. Un'oasi (estiva e invernale) che - appunto poteva diversificare l'offerta turistica trentina sci-centrica. Non se ne è fatto niente.Aree da riconvertireCe lo chiediamo da tempo, ma nel primo inverno degli ultimi decenni che forse ci apprestiamo a vivere senza sci, la domanda ritorna con ancora più forza: hanno senso così tante stazioni sciistiche in Trentino? Stazioni a quote ormai basse, piene di debiti, che non riempiono gli alberghi del territorio e necessitano di costosissimi innevamenti programmati, nonché di continue immissioni di denaro pubblico. È possibile immaginare per queste località nuove forme di offerta turistica, non legate per forza alla neve o comunque allo sci? Un turismo innovativo, alternativo, che diversifica l'offerta, che sappia attrarre sulla neve a prescindere dalla presenza di impianti? Certo, un percorso così non lo si realizza da una stagione all'altra. Ci vuole visione, coraggio e programmazione. Doti sempre più rare nella politica di questi tempi.Una rete di passeggiateLo sci è tanto. Ma non è tutto. Lo dimostra l'Alto Adige che ha un turismo florido anche in due valli - la Val Ridanna e la Val Casies - dove non ci sono impianti ma abbondano splendide passeggiate, malghe in quota e un'accoglienza che spazia dagli alberghi di lusso agli agriturismi famigliari. Passeggiate in luoghi incantevoli, malghe tipiche e alberghi di qualità esistono anche da noi. Perché, allora, non immaginare un programma triennale di riqualificazione invernale di alcuni sentieri e passeggiate di montagna (che in parte già esistono) con ristrutturazione e sostegno delle malghe di passaggio che
possano proporre un'offerta enogastronomica tipica e di qualità? Un carosello strutturato di sentieri battuti, con cartelli ad hoc (certo richiederebbe manutenzione, ma meno di una pista da sci) e che potrebbe essere proposta sul mercato come prodotto a sé stante, un marchio di fabbrica del Trentino da presentare insieme allo sci. Pensiamoci.
Corriere delle Alpi | 24 Novembre 2020 p. 4 L'impegno di Conte: «Natale sarà senza sci Non ripeteremo gli stessi errori di agosto» Francesco Grignetti ROMA Con 630 nuove vittime da Covid, in dieci mesi di pandemia l'Italia ha superato la soglia dei 50mila morti. Un dato impressionante. Il nostro Paese è sesto al mondo per numero di decessi, secondo in Europa dopo la Gran Bretagna. Età media dei deceduti, 80 anni. Mediamente con tre o più patologie concomitanti. E in leggera maggioranza uomini. Nonostante tutto si vede qualche luce in fondo al tunnel. I ricoveri crescono, ma più lentamente: la diffusione del virus rallenta per via delle tante restrizioni. Però guai a voltare pagina spensieratamente. «Il periodo natalizio - dice Giuseppe Conte, ospite di Lilli Gruber a Otto e mezzo su La7 - richiede misure ad hoc. Si rischia altrimenti di ripetere il Ferragosto e non ce lo possiamo permettere: consentire tutte le occasioni di socialità tipiche del periodo natalizio non è possibile». Il governo è concorde. Bisogna tener duro. Perciò sempre il premier avverte: «Sullo spostamento tra regioni a Natale, ci stiamo lavorando, ma se continuiamo così a fine mese non avremo più zone rosse». Sarebbe assurdo annullare questi sforzi con una riapertura troppo anticipata. E quindi, con buona pace delle categorie stremate economicamente dalle restrizioni, non ultima l'industria dello sci, il governo ritiene che non sia il momento di mollare. Il più brusco è il ministro agli Affari regionali, Francesco Boccia, Pd: «Molti italiani non ci saranno più il prossimo Natale. Con 600-700 morti al giorno parlare di cenone è fuori luogo». E quanto a riaprire gli spostamenti tra regioni per Natale, «non ci sono le condizioni. Il sistema delle zone ha funzionato. Ora dobbiamo continuare così. Prima del Pil dobbiamo difendere salute e vita, poi arriverà anche il Pil».Dalle parole di Conte emerge che mai come stavolta i leader europei stanno marciando in maniera coordinata. Anche perché ogni governante ha da fronteggiare in casa settori crescenti di contestazione. Parla di un «protocollo comune europeo» per le settimane bianche sulla neve. Ma vale anche per il ricorso al vaccino. «Non c'è un orientamento per l'obbligo del vaccino, ma lo raccomandiamo. L'obbligo è una scelta forte». Il premier annuncia che lui lo farà senz'altro «perché quando sarà ammesso sarà sicuro e testato». E questa è la sua tabella di marcia: nei prossimi giorni una robusta iniezione da 2 miliardi nel decreto Ristori per le partite Iva, i lavoratori dello spettacolo e quelli del turismo; seguirà Consiglio europeo in cui si spera di superare il veto di Polonia e Ungheria al Bilancio della Ue; a Natale forse una cauta riapertura delle scuole; a fine gennaio partirà il piano di vaccinazione, «disponibile prima per le categorie vulnerabili ed esposte»; infine a febbraio dibattito in Parlamento sul piano nazionale per il Recovery Fund. Nel frattempo sono in corso grandi manovre politiche. Confermata la fiducia all'ad della Rai, Fabrizio Salini perché «sta facendo bene». Per sé, dice di non avere ambizioni di capo politico. E quanto alla disponibilità di Forza Italia per votare lo scostamento di bilancio, «è emerso il loro senso di responsabilità». --© RIPRODUZIONE RISERVATA
Corriere delle Alpi | 24 Novembre 2020 p. 4 Limite agli skipass e mascherine per salvare la stagione il dossier Carlo Bertini ROMA «Un conto è il protocollo, ma tutto ciò che ruota attorno alle vacanze sulla neve è incontrollabile», sentenzia Giuseppe Conte. E poi c'è un problema non da poco, presto detto da una fonte che segue la pratica: «Come facciamo a vietare a una madre di andare a trovare i vecchi genitori in Puglia e a permettere al figlio di andare a sciare in Veneto?». È questo il nodo che stringe alla gola il governo, che si accinge a chiudere la mobilità tra regioni durante le feste e che non può consentirla per il diletto degli sciatori.Ma c'è di più, il rischio è una stagione in bianco al posto delle settimane bianche: Il ministro per gli Affari regionali e le autonomie, Francesco Boccia, congela sine die le vacanze sulla neve: «Oggi le condizioni non ci sono. Valuteremo nel prossimo dpcm se ci sono per fare cosa e quando». Tradotto, se ne potrà riparlare soltanto dopo il 3 gennaio oppure a febbraio quando arriverà il vaccino.Il protocollo piste sicureDunque migliaia di persone, se non milioni (tra lavoratori e appassionati del genere) sono col fiato
sospeso: salvo ripensamenti di qui al prossimo Dpcm del 3 dicembre, niente sci durante le feste. Il governo sbarra la porta, malgrado un pressing fortissimo delle regioni del nord. Tra i partiti alleati, si distingue il capogruppo del Pd, Andrea Marcucci, che si batte per piste aperte in sicurezza, grazie al protocollo approvato dalla Conferenza delle regioni. Regole chiare: nelle regioni gialle e arancioni funivie piene al 50 per cento e seggiovie al 100 per cento, tetto massimo giornaliero per gli ingressi, biglietti on line e pasti nei rifugi solo seduti. Distanziamento ai tornelli, mascherine obbligatorie sotto lo scaldacollo. Insomma, massima prudenza su tutta la linea.Scontro nel governoMa alla chiamata di Marcucci reagiscono sdegnati i big del suo stesso partito: «La riapertura delle piste da sci è una richiesta irricevibile, frutto di una deprimente demagogia, perché questo non è federalismo ma solo gioco delle parti», dice il vicesegretario Andrea Orlando, prendendosela con i governatori, che dovrebbero conoscere la situazione. Ed è scontro anche nel governo: alla frenata secca dei ministri Boccia e Speranza fa da contraltare la «grande attenzione per un settore strategico» del ministro bellunese dei Cinque stelle Federico D'Incà. Che ha posto il problema a Conte, «cerchiamo di trovare una via d'uscita, è un settore con un indotto enorme». Contando alla fine sulla sensibilità del ministro Gualtieri, sul fatto che «se si chiuderanno gli impianti ci siano ristori».Toti: 120mila posti a rischio«Possiamo trovare un punto di equilibrio», prova a mediare il governatore del Piemonte Cirio. «Una stagione senza sci per la nostra montagna sarebbe un suicidio», parola del presidente della Regione Veneto, Luca Zaia.Si teme la concorrenza oltre confine: se la Francia deciderà entro dieci giorni, altre nazioni hanno già aperto gli impianti, come la Svizzera, o stanno per farlo, come la Germania che rimanda a dicembre le aperture dopo un confronto dei Land con la Merkel. Per non dire della Slovenia, che vuole attirare i turisti altrimenti destinati al Veneto e Friuli. E quindi i governatori sono pronti a mediare: per strappare o un'apertura ai soli sciatori dello stesso territorio regionale o interregionale, quindi non allargata a tutti; o per riaprire solo nel periodo di dicembre, per poi chiudere nei giorni caldi tra Natale e Capodanno. Insomma, il settore chiede una boccata di ossigeno. «Senza sci ci sono 120 mila posti a rischio», avverte Giovanni Toti. --© RIPRODUZIONE RISERVATA
Corriere delle Alpi | 24 Novembre 2020 p. 5 Gli impiantisti «Chiusi a Natale? Ok, ma le comunità vanno risarcite» Francesco Dal Mas CORTINA «Calma e gesso», consiglia Renzo Minella, presidente dell'Anef, l'associazione degli impiantisti. «Il problema», puntualizza, «non è se sciare o non sciare, nonostante la pandemia, ma se, in che modo e in quale misura vanno ristorate le comunità di montagna che vivono di turismo invernale».Certo che sì, risponde da Roma il ministro Federico D'Incà. Ieri pomeriggio, raccogliendo le istanze degli operatori del settore, ha chiesto al governo la «massima attenzione», per il turismo invernale e ciò che comporta. Se si dovesse decidere di chiudere, sentito il Comitato tecnico scientifico - ha comunicato in serata - si dovranno garantire gli adeguati sussidi. «Su questo, il ministro ha già parlato con il collega Gualtieri», fanno sapere i collaboratori di D'Incà.«Bene l'intervento del nostro ministro», prende subito nota Minella, «D'altra parte, tutte le altre attività sospese sono in ristoro. D'accordo, noi siamo in zona gialla, ma se gli impianti rimangono chiusi fino a Natale ed anche dopo, chi, come e quanto verranno indennizzati? Ci sono un migliaio di persone che perderanno almeno un mese di stipendio. Ci sono spese ingenti che comunque gli impiantisti devono affrontare. E poi le conseguenze sull'indotto».Almeno 7 mila collaboratori di alberghi, ristoranti, rifugi, bar, negozi, navette di trasporto ed altre attività ancora vengono private di un reddito. «È finalmente ora che il Governo si ponga questo problema che va ben al di là», insiste Minella, «dell'opportunità data dall'appassionato di sci di farsi il Natale in pista».È evidente, anche secondo Sergio Pra, albergatore di Alleghe e, al tempo stesso impiantista, che senza l'opportunità di sciare, la maggior parte degli alberghi aperti a Natale rimarrebbero mezzi vuoti. E quindi - riconosce anche lui - il ristoro è quanto meno un diritto. Enrico Ghezze, amministratore degli impianti sul Faloria, a Cortina, condivide puntualmente questa linea. «Anche per il nostro comparto devono essere previsti ristori», sottolinea, «e subito, perché stiamo andando in profondo rosso, con le attività di manutenzione estiva già fatte siamo già oggi con il fiato corto, e se non si aprono le piste non abbiamo futuro», insiste. La sua preoccupazione si rivolge soprattutto agli stagionali, che rappresentano, precisa, l'80% del personale delle società. «Costoro non possono contare nemmeno sulla cassa integrazione», ricorda.E, quanto agli indennizzi, questi sarebbero comunque necessari, secondo Ghezze, tenendo conto del fatto che mancano gli stranieri. «Per il Consorzio Dolomiti Superski i turisti stranieri rappresentano il 50% di tutti i turisti che vengono a sciare da noi: senza di loro saremo comunque in una crisi nera».Raccoglie e rilancia Valeria Ghezzi, presidente nazionale di Anef. «La montagna per noi è lavoro, la montagna per noi è portare a casa la pagnotta. Abbiamo 15.000 dipendenti tra Alpi e Appennini, di cui un terzo sono a tempo indeterminato: i 10.000 stagionali che sono qualificati a manovrare gli impianti», specifica Ghezzi», restano senza nessuna tutela, perchè non hanno la cassa integrazione e non hanno anche la Naspi (indennità di disoccupazione, ndr), vista la stagione».Inoltre, l'indotto degli impianti di risalita che fatturano circa 1,2 miliardi di euro è di circa sette-otto volte superiore con 120.000 persone impiegate, e non puoi trattarlo come un capriccio. Un capriccio che rischia di costare caro.«Non sono una che si offende ma mi sembra ci sia un po' di mancanza di rispetto, non verso di me, verso un sistema economico di cui forse non abbiamo neanche compreso l'esistenza», aggiunge la presidente Anef, che motiva la repilica piccata
delle Regioni di stamattina al fatto che «se ne sono accorte e si sono risentite perché han visto ammazzato il sistema economico della montagna». --© RIPRODUZIONE RISERVATA
Trentino | 26 Novembre 2020 p. 14 «Turismo e sci, un modello ormai irreversibile» L'INTERVISTA umberto martini luca petermaier trento Professor Umberto Martini, lei è docente di economia all'ateneo trentino dove si occupa in particolare di marketing territoriale. Reinhold Messner, due giorni fa a Repubblica, ha dichiarato che il turismo invernale non è solo sci, ma la montagna sa offrire molto altro e forse, il Covid, ce lo farà capire meglio. Lei di che opinione è?Visto che lei cita Messner, le rispondo citando George Mallory, il quale rispose, a chi gli chiese "Perché vuole scalare l'Everest?", semplicemente "Perché è lì". La montagna, "è lì", è un giacimento di risorse e di opportunità, spetta all'uomo che la vive coglierle e valorizzarle. Fino a un paio di secoli fa nessuno pensava potesse essere un luogo turistico, bello e affascinante, ma solo un accumulo di pietre, rocce e ghiacci, inaccessibile, pericoloso, inutile. Poi è andata diversamente: la scoperta della montagna alpinistica, poi la montagna estiva, infine la montagna invernale. La montagna può offrire a chi la frequenta (e a chi la abita) opportunità, sfide, volti, d'estate e d'inverno. In certe fasi una prevale sull'altra, o diventa assolutamente predominante, poi evolve in nuovi usi e nuovi modelli di fruizione. Il Covid non ha fatto altro che ricordarci che la montagna è "aria pura", fuga dalla città, ma in certi casi ha riproposto il problema tipico delle città, ossia affollamento e code.Trova utopistica l'idea di riconvertire ad un turismo senza sci alcune aree del Trentino dove gli impianti sono da anni in perdita e l'innevamento naturale ormai insufficiente?Non dovrebbe essere un'utopia, ma una scelta razionale, basata su solide basi economiche, oltreché ecologiche: perché insistere a investire generando costi affondati e compromettendo possibili usi alternativi dello spazio montano, quando è evidente l'impossibilità di garantire i requisiti anche minimi per il mantenimento di una stazione sciistica? Certo cambiare "destinazione d'uso" alla montagna richiede spirito innovativo, capacità imprenditoriali, propensione al rischio, ma soprattutto un cambiamento culturale, una diversa visione delle opportunità racchiuse in quel territorio. Tornando a Reinhold Messner, nei suoi libri ha raccontato come i suoi genitori e i suoi nonni, in Val di Funes, non avessero mai pensato al "turismo", nemmeno negli anni del boom della montagna. Quindi cosa facciamo del territorio montano è anche una questione di visione, di narrazione, come si dice oggi, del territorio.Cosa ne pensava, a suo tempo, dell'idea di Lorenzo Delladio di riconvertire il Rolle in un'oasi naturale senza impianti?Ecco, appunto! Una nuova visione, imprenditoriale, innovativa, che rompe una narrazione precedente del Passo Rolle come stazioni sciistica. Abbiamo visto come è stata accolta e come è andata a finire... Credo fosse una buona idea, certo non possiamo dire come sarebbe andata a finire, però era interessante. Adesso potremo vedere, però, come va a finire il piano di rilancio sciistico del Passo Rolle.È un'idea replicabile in altre aree del Trentino visto che lassù hanno "vinto" gli impiantisti e le logiche legate allo sci?Certo, tutte le buone idee sono replicabili, anche se vanno sempre adattate al contesto. Credo che, in generale, il merito di Lorenzo Delladio sia stato quello di dimostrare che ci può essere spazio per un progetto imprenditoriale (ricordiamoci che lui è e ragiona da imprenditore) alternativo, che punta lo sguardo in un'altra direzione, esce dai percorsi battuti, innovation with passion, insomma, come La Sportiva, no? Non è detto che quel progetto possa essere copiato/incollato in un altro contesto, ma la filosofia di quel progetto può insegnare molto, a mio avviso. E diciamo anche, per essere obiettivi, che il turismo trentino ha più volte dimostrato di saper esser innovativo, quindi non credo rimarrà lettera morta.A suo giudizio il Trentino è attrezzato, oggi, per stare sul mercato del turismo invernale con proposte davvero a 360 gradi, coerenti con le tendenze di una montagna nella quale si cerca ormai sempre più la "wilderness"? Non manca forse una proposta alternativa allo sci che sia davvero riconoscibile?Sarebbe ingiusto non riconoscere lo sforzo fatto negli ultimi anni per ampliare l'offerta turistica invernale in molte stazioni del Trentino (e delle Dolomiti in genere): penso al wellness, all'enogastronomia (anche sulle piste e nei rifugi/ristoranti in quota), agli eventi di vario genere, ma anche a forme diverse di frequentazione degli spazi innevati, come i percorsi per le ciaspole o a piedi, lo sci alpinismo, lo sci da fondo, le slitte, le aree gioco per le famiglie con bambini. Non mancano nemmeno le aree montane a minore densità turistica, spazi ideali per la ricerca della wilderness. Il problema è però un altro, non dobbiamo nasconderlo.Quale, professore?La questione economica. Il turismo dello sci (da discesa) produce risultati economici rilevantissimi, genera ricavi dalle vendite degli skipass, investimenti fissi infrastrutturali che alimentano filiere e settori diversi, un indotto rilevante nel comparto dell'abbigliamento e delle attrezzature, occupazione a vari livelli, fino all'alta specializzazione di alcune professioni molto richieste (i gattisti, gli esperti dell'innevamento, le scuole di sci...). Inoltre coinvolge masse rilevanti di turisti, più o meno preparati e "intensi" nella pratica dello sci, ma comunque disposti a investire nella vacanza invernale proprio perché appassionati di sci. Questo determina, a sua volta, la presenza di flussi rilevanti, che garantiscono l'occupazione delle strutture ricettive. Un modello economicamente irreversibile?Difficile trovare un'alternativa capace di generare un simile impatto. Di certo a tanti ricavi corrispondono costi altrettanto imponenti, lo sci da discesa è un settore "capital intensive", ad alto rischio se si considera
l'esposizione agli eventi naturali (a partire dal riscaldamento climatico), per non parlare dello sfortunato fine inverno 2020 e dell'incerta stagione che abbiamo di fronte. Intendo dire, con ciò, che le alternative ci sono, semplicemente è difficile sostituire un'attività capital intensive ad alta generazione di ricavi ed investimenti (diretti ed indotti) con attività soft, molte delle quali non prevedono nemmeno il pagamento di un biglietto di ingresso...è il problema della sostenibilità: economica, ambientale, sociale. Quale vertice vogliamo sacrificare?Considerati i cambiamenti climatici e gli studi che prospettano nevicate a quote sempre più elevate (ma anche le nuove richieste dei turisti) come si immagina il turismo invernale in Trentino tra 20 anni?Speriamo che nevichi! Scherzo, sono convinto che il Trentino saprà adattarsi, saprà essere, come si dice, resiliente ai cambiamenti del clima, della domanda turistica, della tecnologia. Forse non ce ne accorgiamo perché siamo dentro il processo, ma se guardiamo indietro di 20 e di 40 anni, per usare la stessa scala temporale a ritroso, ci accorgiamo che molte cose sono cambiate. Altrimenti non saremmo ancora oggi una delle mete preferite dai turisti, estivi e invernali!
Trentino | 27 Novembre 2020 p. 14 Le Apt: «Covid, l'occasione per un turismo oltre lo sci» luca petermaiertrento. «L'offerta turistica basata sullo sci alpino è irreversibile» - ha preso atto ieri sul Trentino (non senza intravvedere anche i limiti di questa impostazione) il professore di economia e marketing territoriale Umberto Martini. Posizione largamente condivisa dagli addetti ai lavori, anche se dai direttori di alcune importanti Apt del territorio arriva (quasi inattesa, verrebbe da dire) un'apertura verso una proposta turistica se non alternativa allo sci, quantomeno complementare.La val di FassaÈ questa, ad esempio, la posizione di Andrea Weiss, direttore dell'Apt della val di Fassa, il territorio trentino con il maggior numero di arrivi e presenze invernali. La valle è al centro del carosello del Superski Dolomiti, eppure Weiss si sforza di guardare oltre allo sci: «Questa strana stagione ci impone un approccio che non sia più soltanto sci-centrico. Le piste rimangono fondamentali, è grazie allo sci, infatti, che noi riusciamo a riempire i nostri 60 mila posti letto. Ma questo non ci deve impedire di cogliere l'opportunità data dal Covid per pensare ad un'offerta che guarda al futuro perché, inutile negarlo, sempre più turisti cercano non solo lo sci, ma anche le passeggiate, il relax, i panorami, l'enogastronomia».Secondo Weiss è in questa direzione che devono andare gli investimenti di marketing della val di Fassa, senza nulla togliere allo sci: «Questa fetta di mercato è ancora piccola ed ha quindi grosse potenzialità di crescita. Ecco perché - anche a causa del Covid - quest'anno stiamo pensando di rendere più strutturato l'accesso invernale a quelle valli laterali - come la val San Nicolò e la val Duron - che rappresentano dei veri paradisi per un turismo alternativo allo sci, ma che in inverno sono poco sfruttate. Si dice che nelle crisi vanno colte le occasioni. Penso che dobbiamo farlo anche noi, accelerando processi che sono in corso ma che oggi - a causa del Covid - possono ricevere spinte impensabili fino a pochi mesi fa».Il PrimieroCrede profondamente in un'offerta turistica variegata anche il direttore dell'Apt del Primiero Manuel Corso che gestisce nel suo territorio di competenza anche il Passo Rolle, l'area dove Lorenzo Delladio avrebbe voluto creare un'oasi ski-free e basata su un turismo più "naturale". «Nel nostro territorio molti turisti vengono non solo per sciare, ma anche per cercare un contatto con la natura che in Primiero è da cartolina. Da tempo, infatti, sappiamo che una crescente parte di turisti che ci sceglie non scia. Sono 20 anni che lavoriamo su questi target, con un programma di iniziative chiamato "oltre lo sci" che per noi è complementare all'attività in pista. Proponiamo visite a tema in val Canali e val Venegia, ciaspolate, corsi di sopravvivenza, visite ai borghi, cene in baita con discesa in motoslitta. Lo stesso Passo Rolle è da anni per noi una proposta che va oltre lo sci, dal free ride all'outdoor più generico. Ma va detto - conclude Corso - che molte di queste attività complementari allo sci non sarebbero praticabili senza gli impianti di risalita. Questo deve essere chiaro a tutti. Ecco perché è sbagliato, a mio avviso, impostare la questione su un dualismo tra sci e outdoor invernale».Folgaria e Altipiani CimbriChi invece non pare troppo convinta a battere la pista delle offerte turistiche complementari allo sci è Daniela Vecchiato, direttrice dell'Apt, direttrice dell'Apt di Folgaria: «Da sempre il nostro territorio offre anche prodotti alternativi allo sci, dallo ciaspole ai cani da slitta, dal nordic walking al fondo. Va detto, a onor del vero, che solo con questi prodotti non abbiamo mai venduto un numero di camere rilevante. Anzi, direi irrilevante. Questo perché il prodotto invernale top rimane lo sci, l'unica attività che riempie gli alberghi, ma tiene insieme tutto il resto della filiera, dai noleggi ai maestri, dalle baite ai ristoranti».
Trentino | 27 Novembre 2020 p. 8, segue dalla prima Un’idea e un sacrificio per salvare la stagione dello sci di Paolo Mantovan
Si può fare qualcosa per far partire la stagione turistica invernale? Noi crediamo di sì. È comunque necessario e doveroso provarci. E allora mandiamo un messaggio - con questa presa di posizione - al presidente della Provincia, Maurizio Fugatti, perché se ne faccia interprete, perché possa prendere l'autonoma iniziativa, fin dove possibile, o ne proponga la realizzazione al governo nazionale. La nostra economia invernale dipende in buona sostanza dall'industria dello sci. Se non si avvia la stagione prima di Natale, per il Trentino - economicamente - sarà un disastro. Pensiamo agli operatori e ai lavoratori e a tutto l'indotto che ne segue. Dal punto di vista sanitario è necessario offrire tutte le misure preventive possibili. Bisogna fare delle scelte secche. Se vogliamo far partire la stagione sciistica dobbiamo fare qualche sacrificio. Sacrificare le attività che possono essere fonte di contagio. Secondo uno studio, pubblicato nientemeno che da Nature, che ha analizzato gli spostamenti di 98 milioni di persone in Usa, è stato rilevato che i luoghi principali di contagio, quelli cioè che diventano dei focolai Covid, sono ristoranti, palestre, bar. Ecco allora che per quel che riguarda gli impianti da sci e la vacanza turistica sarebbe necessario sacrificare proprio questa parte: i ristoranti, i bar, i rifugi, le baite, l'apres ski, la musica techno in quota, tutto ciò che può portare ad assembramenti prolungati. In fondo, è ciò che è avvenuto con i "mini-lockdown" e le zone rosse, arancioni e gialle: sono state ridotte le aperture di bar e ristoranti dove non chiusi assieme alle palestre. Con tutto il rispetto e l'attenzione per chi è dedito a queste attività o lavora in questo campo (e qui semmai si potrebbero immaginare dei ristori), forse è il caso di sacrificare qualcosa pur di permettere alla macchina operativa della stagione sciistica invernale di stare in piedi. Se fare un sacrificio, ossia chiudere una parte delle attività, consente di tenere aperti gli impianti, gli alberghi e le seconde case, se permette di offrire una vacanza almeno ai turisti italiani (perché sull'afflusso di stranieri, purtroppo, non potremo certo contare molto), se ciò rende possibile una fruizione con tanto di protocolli e attenzioni certosine alle distanze fisiche (riducendo anche sensibilmente la portata delle seggiovie e ovovie, ma facendole comunque muovere), allora forse riusciremo almeno a cavarcela, a non finire in un profondo rosso. Non c'è dubbio che per poter azzardare un progetto di questo tipo (chiusura, senza se e senza ma, di tutte le baite, i rifugi, i ristoranti e i bar in quota e sulle piste, con contemporanea apertura degli impianti e degli alberghi) sarà necessario avere una situazione "serena" rispetto ai contagi e ai ricoveri. E sarà necessario avere protocolli rigidi e controllati, da parte di tutti, a partire dagli operatori. Ma forse è questa l'unica soluzione possibile, se qualcosa vogliamo salvare. Anche perché lo stesso premier Conte ha confessato che dei protocolli si fida, ma è preoccupato per tutto ciò che ruota attorno alle piste e agli impianti. Quindi il punto è proprio questo. Evitare l'apres ski, evitare gli assembramenti da bar e rifugi.Occorre unire le categorie economiche su questa ipotesi e andare davanti al governo con delle rassicurazioni straordinarie e certe.Ecco. Questa ci pare, allo stato delle cose, l'unica possibilità per far partire almeno una quota importante dell'offerta turistica invernale trentina prima di Natale.Presidente Fugatti, se ci sei, batti un colpo.p.mantovan@giornaletrentino.it
Corriere delle Alpi | 29 Novembre 2020 p. 10 Zaia: «Se lo sci non parte catastrofe per la montagna» BELLUNO Le terre alte senza sci?«Stiamo parlando di una catastrofe per la montagna», sottolinea Luca Zaia, presidente del Veneto, che si spopola. Quando parliamo di sci non parliamo di gente che ha i soldi e quindi vuole andare a sciare. Parliamo di tutto l'indotto per la montagna, per maestri di sci, albergatori, camerieri, gestori di impianti. E secondo me gli assembramenti in montagna e sulle piste da sci sono i meno pericolosi tra tutti i tipi di assembramenti».Zaia, quindi, insiste per le aperture, seppur blindate. Così pure l'Associazione Nazionale fra i Produttori di Articoli Sportivi (oltre 300 brand, 9.300 addetti in tutta Italia). «Innanzitutto, tutelare la salute dei cittadini. E di questo non si discute. Ma parallelamente - la richiesta del presidente di Assosport Anna Ferrino riconoscere che la montagna tiene in piedi le famiglie non soltanto dei gestori di impianti di risalita o degli operatori turistici. Non dimentichiamoci dei produttori di abbigliamento, calzatura e attrezzi per praticare sport sulla neve, che concentrano il loro core business proprio in questo periodo. Se chiusura degli impianti da sci deve essere, per fare fronte agli ingenti danni economici che seguiranno, che vengano adottati allora metodi mirati a ristorare tutti gli attori della lunga e complessa filiera. Nessuno escluso. È evidente che quello dei codici Ateco per individuare i beneficiari dei ristori è un sistema lacunoso».Il Covid-19 rischia di far perdere al turismo montano invernale il 70,2% del fatturato che nelle ultime stagioni era arrivato a superare i 10 miliardi di euro. Emerge da una ricerca dell'Osservatorio Skipass Panorama Turismo.Le stime aggiornate a fine novembre segnano dati in assoluto campo negativo con un bilancio previsionale di fine stagione stimato in soli 3 miliardi 100 milioni rispetto ai 10 miliardi 409 milioni di fatturato complessivo della stagione invernale 2018/2019 (ultima non investita dalla pandemia) e ai 10 miliardi 922 milioni del 2017/2018. Pesante anche il confronto con la passata stagione, che pure a causa del lock down ha subito il "blocco" il 10 di marzo, raggiungendo comunque un fatturato di 8 miliardi 712 milioni di euro. Le stime a fine novembre della stagione in corso, considerando le limitazioni di cui giornalmente si parla facendo riferimento alla pratica dello sci, segnano un fatturato di 1 miliardo 549 milioni per il sistema ospitale (strutture ricettive alberghiere ed extra-alberghiere tra alberghi, villaggi, bed and breakfast, residence, baite,
agriturismi, case vacanza, alloggi in affitto, etc.), un miliardo 136 milioni per i servizi dedicati allo sci (noleggio attrezzature, maestri di sci, skipass e impianti di risalita vari, etc.) e 414 milioni per gli altri servizi (ristorazione, commercio, attivita'ricreative e di divertimento, etc.) per un totale come già detto di poco più di 3 miliardi. --FDM© RIPRODUZIONE RISERVATA
Corriere del Trentino | 29 Novembre 2020 p. 3 Fassa, Weiss rilancia«Lo sci è prioritarioma la montagnapuò offrire altro» TRENTO «I ristori? Qui in valle non li consideriamo. Noi vogliamo lavorare». Andrea Weiss, direttore dell’Apt Val di Fassa, dà voce al sentimento di un intero territorio: nella valle più a nord del Trentino orientale, che fa dello sci l’asse portante del proprio turismo (e della propria economia), l’idea di non poter avviare gli impianti a dicembre provoca preoccupazioni e incertezze. Che nemmeno la prospettiva di una copertura economica da parte dello Stato può sedare: «Non è questo l’obiettivo. Non qui da noi». Direttore Weiss, quindi i ristori non allevierebbero un po’ il danno di un’apertura della stagione sciistica posticipata a gennaio? «No, perché qui la gente non pensa ad accedere ai ristori. La gente vuole rimboccarsi le maniche e lavorare. C’è molta voglia di mettere in moto tutto il sistema». Del resto, in val di Fassa lo sci è l’elemento centrale dell’inverno. «Esattamente. In questi anni abbiamo fatto grossi investimenti per rimanere competitivi sul fronte dello sci, che ci ha dato sicurezza per quanto riguarda i numeri del turismo invernale. E ci ha permesso di aprirci all’internazionalizzazione: la nostra valle, oggi, è meta di molti turisti provenienti da altri Stati. Il modello che abbiamo messo in campo ci ha dato grosse soddisfazioni: basti pensare che se non ci fosse stato il Covid lo scorso inverno avrebbe chiuso con numeri da record». Ora però si prospetta uno stop: le regioni dell’arco alpino — Trentino in testa — stanno spingendo per poter avviare la stagione sciistica entro Natale, ma il governo sembra deciso a tenere duro. Si guarda già al 2021. In questa situazione, l’assessore Roberto Failoni ha ipotizzato un piano b, che scommette sulla valorizzazione del wellness e della natura. Un piano possibile? «È evidente che se si prospetta una fase senza sci — mi auguro più breve possibile — è necessario capire quali attività promuovere e programmare per fare in modo che si possa comunque godere la montagna. Noi, in val di Fassa, da questo punto di vista siamo fortunati: abbiamo una serie di valli — dalla val San Nicolò alla val Duron — che non hanno impianti da sci e che quindi possono diventare teatro di altre attività. E abbiamo professionisti della montagna che possono garantire e promuovere iniziative in questo campo. In ogni caso, stiamo già lavorando». In che senso? «Premesso che il periodo di Natale, tradizionalmente, è il momento in cui arriva in valle il maggior numero di persone che non scia — proprietari di seconde case, gente che vuole rilassarsi —, avevamo già iniziato in questi mesi a progettare un rafforzamento delle attività destinate alla fruizione dell’ambiente montano oltre lo sci, rivolto a quelle persone che arrivano da noi ma che non passano le giornate sulle piste. Dalle terme alle escursioni, dai parchi acquatici alle passeggiate. Avevamo avviato un focus interno: si tratterà, ora, di intensificare il lavoro». Quindi, in ogni caso, si può pensare a una montagna senza lo sci? «Si può pensare a un contesto montano fruibile oltre lo sci: visto che possiamo avere a disposizione un territorio aperto, bello come il nostro, si può godere la montagna anche in modo diverso, certo. Attenzione però: queste attività non sono un’alternativa allo sci. Sono complementari allo sci». Si riferisce all’impatto economico? «Certamente. Il risultato economico, alla fine dell’inverno, è fortemente dipendente dallo sci. E attorno allo sci non ruota solo il mondo degli impianti: ad essere collegati alle piste sono anche i rifugi, i maestri di sci». I rifugi appunto: nel caso di un inverno senza sci, potrebbero diventare punto di riferimento per gli escursionisti. Ma potranno essere aperti in sicurezza? «Nessuno può mettere in discussione il fatto che i territori si siano dati delle regole ferree per garantire delle vacanze sicure. Come è stato possibile offrire questi servizi in estate, lo si potrà fare anche in inverno. Capisco la responsabilità di chi deve decidere della salute delle persone, ma dall’altra parte c’è un sistema economico che chiede di poter lavorare: qui c’è in discussione il fatto di poter fare impresa in futuro». C’è però anche un’altra incognita: lo spostamento tra regioni. «Va detto che ci troveremo già in un contesto ridotto, visto che il turismo estero nel breve e medio periodo non ci sarà. Se poi i confini regionali per Natale rimarranno davvero chiusi, allora ci si dovrà interrogare sulla sostenibilità economica dell’avvio dell’intero sistema di accoglienza, anche oltre lo sci». I turisti chiamano in Apt? «No, c’è troppa incertezza. Per questo chiedo di prendere delle decisioni: è ora, il calendario invernale è ormai dietro l’angolo».
MONDIALI 2021 E OLIMPIADI 2026: GLI AGGIORNAMENTI Trentino | 5 Novembre 2020 p. 12 Olimpiadi 2026, firmato il decreto per i fondi Trento La ministra delle Infrastrutture e dei Trasporti Paola De Micheli ha firmato il decreto che finanzia con un miliardo di euro le opere infrastrutturali per le Olimpiadi di Milano-Cortina del 2026. Si tratta di opere stradali e ferroviarie finanziate nella Legge di Bilancio 2020 che consentiranno di migliorare l'accessibilità, i collegamenti e la dotazione infrastrutturale dei territori della Regione Lombardia, della Regione Veneto, delle Province Autonome di Trento e di Bolzano interessate dall'evento sportivo. Attraverso il Decreto vengono stanziate le risorse destinate alle singole opere: nel complesso 473 milioni di euro per quelle nella Regione Lombardia, 325 milioni nella Regione Veneto, 82 milioni nella Provincia Autonoma di Bolzano e 120 milioni in quella di Trento: tutti cantieri dovranno concludersi entro l'avvio delle Olimpiadi. Già nelle scorse settimane, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, dopo una fase di concertazione con i territori, aveva definito lo schema del decreto interministeriale che individua le opere essenziali sul territorio trentino e le relative risorse, ovvero: bus Rapid Transit nelle valli Olimpiche (60 milioni), adeguamento deposito bus Cavalese (10 milioni), interconnessione tra provinciale 81 e 71 (16 milioni), adeguamento infrastrutture stazione ferroviaria di Trento (6 milioni), acquisto treni elettrici o ibridi linea ferroviaria Trento - Bassano per 28 milioni. «Con il Decreto Olimpiadi faremo compiere un salto di qualità infrastrutturale - ha detto la ministra.
Corriere del Trentino | 5 Novembre 2020 p. 4 Protocollo sicurezza oggi alla Conferenza Stato-Regioni Capienza verso il 50%. Olimpiadi, ecco 120 milioni TRENTO Le disposizioni nazionali si susseguono di settimana in settimana e nel frattempo «tutti quelli che avevano fatto una prenotazione hanno disdetto». A fornire l’unica vera (e spiacevole) certezza sulla stagione invernale è Gianni Battaiola, presidente dell’Associazione albergatori e imprese turistiche (Asat) del Trentino. Per tutto il resto regna ancora un alone di incertezza: dall’innevamento delle piste al giorno di apertura dei comprensori sciistici, che sarà stabilito soltanto dopo il placet del Comitato tecnico scientifico sul Protocollo per la gestione in sicurezza degli impianti di risalita (oggi al centro della Conferenza Stato-Regioni). Ma il grande punto interrogativo sul settore del turismo — a cui è riconducibile il 20% del Pil provinciale — è posto dalle limitazioni agli spostamenti. Ad oggi il Trentino sembra aver scongiurato una serrata totale, visto che sia l’Alto Adige sia il Veneto (a sorpresa) sono stati inseriti nella zona gialla, quella a rischio moderato e che consente di spostarsi tra territori dello stesso colore (anche se Kompatscher ha di fatto predisposto un’ordinanza che è più restrittiva di quella del governo per le zone rosse). Da questo «giro cromatico» rimarrebbe fuori solo la Lombardia (area considerata ad alto rischio) che per il Trentino costituisce però un ottimo bacino turistico. I danni sarebbero quindi limitati, per il momento. Ma sarà sempre così? L’interrogativo è destinato a popolare i pensieri delle operatori per molto tempo. Albergatori «Con le attuali disposizioni la situazione è estremamente dannosa», taglia corto Gianni Battaiola. A parlare sono purtroppo i numeri. «Tutti quelli che avevano fatto una prenotazione con la possibilità di svincolarsi hanno disdetto — spiega il presidente dell’Asat —. I gruppi che dovevano essere confermati si sono chiamati fuori e negli ultimi nove giorni non abbiamo registrato neanche una prenotazione». Il dialogo con la Provincia però non si è interrotto. «Per la parte sanitaria abbiamo proposto lo screening su tutti i lavoratori del comparto alberghiero (circa 10.000, ndr) e la disponibilità di cinque strutture per ospitare lavoratori e turisti contagiati». Mentre sul piano economico, aggiunge Battaiola, «chiediamo un pacchetto di misure — dalla cancellazione di alcune imposte al sostegno alla liquidità — per dare un aiuto sia ai titolari che ai dipendenti (circa 7.000, ndr), nel caso in cui fosse necessaria la sospensione o la riduzione dell’attività». Funiviari Molto, se non tutto, dipenderà dall’apertura o meno degli impianti di risalita, che sono circa 230 in Trentino. La bozza del protocollo per la gestione di sicurezza degli impianti dovrebbe essere approvata oggi nella seduta della Conferenza Stato-Regioni. «Il Protocollo — spiega Luca Guadagnini, presidente dell’Associazione degli esercenti funiviari (Anef) del Trentino — prevede
sostanzialmente l’uso della mascherina sia nelle code agli impianti che nelle cabinovie e seggiovie e la limitazione della capienza degli stessi impianti, che era stata fissata all’80% e che probabilmente scenderà al 50%». Il protocollo sarà poi trasmesso al Comitato tecnico scientifico, che dovrà approvarlo definitivamente. Soltanto dopo il placet del Cts si avrà la certezza della riapertura della stagione sciistica al 4 dicembre. Rimane però un altro nodo da sciogliere. «Per innevare tutti i 1.600 ettari del demanio sciistico dobbiamo affrontare una spesa che va dai 18 ai 24 milioni di euro — annota Guadagnini — ma prima di avviare la produzione della neve programmata dobbiamo avere la certezza che ci sia un contributo da parte della Provincia nel caso in cui non ci fosse un’apertura della stagione». Su questo fronte «stiamo studiando un sistema di contributi economici che possa sostenere gli impianti», fa sapere l’assessore provinciale al turismo Roberto Failoni. Dolomiti Superski Tutti — albergatori e aziende funiviarie — sperano che «i lockdown territoriali non vengano a creare problemi a un settore in evidente difficoltà». Cosa accadrebbe ad esempio se Trentino, Alto Adige e Veneto, oggi zone gialle, scivolassero tutte o solo alcune, in area arancione o rossa? Come si comporterebbero i comprensori che abbracciano più territori? Lo sciatore dovrà fare slalom tra i confini? «Al momento questa situazione non si pone — considera Marco Pappalardo, alla direzione del Marketing del Dolomiti Superski, il maggiore comprensorio italiano con 12 zone sciistiche in Trentino, Alto Adige e Veneto —. Adesso noi stiamo valutando come gestire la vendita e la pre-vendita degli stagionali perché ancora non sappiamo con certezza quando potremo esercitare la nostra attività». Olimpiadi 2026 Intanto ieri la ministra dei Trasporti Paola De Micheli ha firmato il decreto che finanzia con un miliardo di euro le opera infrastrutturali per le Olimpiadi invernali di Milano-Cortina del 2026. Si tratta di opere stradali e ferroviarie finanziate nella Legge di Bilancio 2020 che consentiranno di migliorare l’accessibilità, i collegamenti e la dotazione infrastrutturale dei territori delle Province di Trento (120 milioni) e Bolzano (82 milioni)e delle Regioni Lombardia (473 milioni) e Veneto (325 milioni).
Corriere del Veneto | 5 Novembre 2020 p. 10 Cortina 2026, il governo stanzia un miliardo di euro per le infrastrutture Al Veneto 325 milioni destinati in gran parte alla provincia dolomitica cortina d’Ampezzo Olimpiadi invernali 2026, ecco i soldi. Arrivata ieri, da parte del ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Paola De Micheli, la firma sul decreto che finanzia le opere infrastrutturali per l’evento olimpico che tra poco più di cinque anni colorerà a cinque cerchi Milano e Cortina. Sul piatto un miliardo di euro. Specifica una nota del ministero: «Soldi per opere stradali e ferroviarie finanziate nella Legge di Bilancio 2020 che consentiranno di migliorare accessibilità, collegamenti e dotazione infrastrutturale delle Regioni Lombardia e Veneto, delle Province Autonome di Trento e di Bolzano interessate dall’evento sportivo». Di questa ricca dote, 325 milioni di euro al Veneto e, in gran parte, al Bellunese. «Le opere finanziate — commenta il ministro De Micheli — sono state concepite per mantenere la loro utilità nel tempo, anche dopo il 2026 e verranno realizzate nel segno della piena sostenibilità ambientale». Applaudono gli esponenti bellunesi della maggioranza di governo, a cominciare dal ministro per i Rapporti col Parlamento, il trichianese Federico D’Incà. «Un passo importante verso un evento a cui il governo Conte crede fortemente e che porterà un’immensa visibilità internazionale al nostro territorio». E ancora: «Gli interventi stradali e ferroviari saranno l’occasione per potenziare la viabilità e i collegamenti del Bellunese e, come è stato nuovamente confermato, si realizzeranno nell’ottica della sostenibilità ambientale. Lo sport è un volano straordinario per dare sostegno al nostro territorio: ci troviamo di fronte a una grandissima opportunità di rilancio per turismo e attività produttive, che sapremo cogliere al meglio anche dopo la difficile situazione provocata dalla pandemia del coronavirus». Si associa ai complimenti il deputato del Pd Roger De Menech, relatore della Legge olimpica. «Ottimo lavoro — si esalta — Ora che i finanziamenti sono stati stanziati, dobbiamo darci da fare per mettere nero su bianco i progetti e bisogna farlo presto. Il piano delle azioni è pronto, sappiamo al 90-95 per cento quali saranno gli interventi e la loro funzione a lungo termine. La società per la gestione è stata costituita. Ora corriamo per avviare i cantieri prima possibile. Le Olimpiadi devono diventare un tassello della ripresa economica e il simbolo della ripartenza dell’Italia dopo questa terribile crisi dovuta al Covid-19». Soddisfatto anche Dario Bond, deputato bellunese di Forza Italia. «Un miliardo di euro per le infrastrutture: non possiamo che esserne lieti — scrive Bond — Questa è la base per tutti i lavori futuri, visto che i Giochi Invernali di Milano-Cortina dovranno essere il volano dello sviluppo della montagna, bellunese, veneta e italiana. A patto però che si applichi la logica delle priorità e delle opere necessarie. Le Olimpiadi dovranno lasciare in eredità ai territori opere utili per l’avvenire. Saranno fondamentali gli investimenti per la ricettività, con la prospettiva che il turismo diventi il core business dei territori di montagna».
Alto Adige | 6 Novembre 2020 p. 33 Con le Olimpiadi 82 milioni per treno e strade pusteresi val pusteria. La ministra delle infrastrutture e dei trasporti Paola De Micheli ha firmato il decreto che sancisce il finanziamento dei progetti infrastrutturali in vista delle Olimpiadi invernali Milano-Cortina 2026 e ha confermato il finanziamento di 82 milioni di euro destinato all'Alto Adige.Il piano dei progetti sulla strada che porta al grande appuntamento sportivo comprende opere stradali e ferroviarie che consentiranno di migliorare l'accessibilità, i collegamenti e la dotazione infrastrutturale nei territori delle Province di Bolzano e Trento, della Regione Lombardia e della Regione Veneto. L'assessore altoatesino alla mobilità, Daniel Alfreider sottolinea la "buona collaborazione con la ministra De Micheli durante la preparazione del piano infrastrutturale" e rimarca la soddisfazione per la conferma del finanziamento di 82 milioni di euro destinato all'Alto Adige: "Le misure mirano a garantire un accesso sostenibile alle strutture olimpiche, ma la priorità è quella di assicurare una mobilità sostenibile anche dopo il 2026". Il programma infrastrutturale, è convinto Alfreider, mira a migliorare la qualità della vita nella zona della Val Pusteria e a rilanciare l'economia locale. I primi esempi indicati dall'assessore riguardano l'ampliamento della rete ferroviaria in Alto Adige con progetti come quello della Variante della Val di Riga o quelli dei nuovi centri di mobilità di Brunico e Bressanone, anche se la realizzazione di questi piani viene finanziata tramite altre risorse.La giunta provinciale aveva sviluppato a settembre un proprio programma di infrastrutture in vista dei Giochi Olimpici e lo ha trasmesso al ministero delle infrastrutture e dei trasporti. Con il decreto, come detto, vengono stanziate risorse per 82 milioni di euro per le opere previste in Alto Adige finanziate con la legge di bilancio 2020. Fra le opere considerate essenziali, ovvero necessarie per l'accessibilità ai siti di gara, vi sono la costruzione di un nuovo incrocio e un nuovo accesso sulla strada statale della Pusteria verso Anterselva (15 milioni di euro), il potenziamento della statale della Val Pusteria (10 milioni), il nuovo collegamento con la stazione dei treni di Dobbiaco (13 milioni), il miglioramento del collegamento tra San Cassiano e Cortina (5 milioni), demolizione e ricostruzione di un ponte ad Anterselva (2,3 milioni), la ristrutturazione dell'incrocio per Sesto Pusteria (7,6 milioni) e la circonvallazione di Perca (29 milioni).
Corriere delle Alpi | 20 Novembre 2020 p. 31 Cortina lancia una sfida alla pandemia: «Faremo i Mondiali, con o senza pubblico» CORTINA «I Mondiali di sci di Cortina saranno il primo grande evento durante la pandemia di Covid-19 e non, purtroppo, il primo del post Covid».Parola di Alessandro Benetton, presidente della Fondazione Cortina 2021, che ieri (a 80 giorni esatti dalla rassegna) è intervenuto durante la conferenza stampa mediata da Stefano Vietina e indetta per annunciare che Telepass sarà lo sponsor principale dei Mondiali.«Ci avviciniamo ormai all'ultimo miglio», ha detto Benetton, «e lavoriamo con flessibilità, sapendo che potrebbe esserci necessità di doversi adattare ai cambiamento legati all'evoluzione della pandemia. Il Covid ci obbliga ad essere flessibili, ma non ci impedisce di avere lo spirito e l'entusiasmo di sempre. Cortina 2021 resta un grande evento di rilancio del territorio; in questi anni abbiamo fatto tante cose, assieme alla comunità. Sono stati rinnovati impianti e piste e anche alberghi. Noi siamo pronti per i Mondiali. Le infrastrutture per le gare di sci sono terminate. Ancora non sappiamo la formula definitiva con la quale potremo organizzare l'evento, ma lavoriamo su più fronti. Se vince Cortina, è chiaro che vince l'Italia».Le incognite sul tavolo sono numerose, tutte legate all'epidemia. Le gare si faranno, ma non si sa ancora se col pubblico. L'ultimo aggiornamento prevede, per febbraio, un massimo di 5 mila spettatori totali al giorno autorizzati. Ma occorrerà comunque attendere gli sviluppi della situazione.«Mancando meno di 80 giorni all'evento non possiamo che essere a buon punto con l'organizzazione», ammette Valerio Giacobbi, amministratore delegato della Fondazione Cortina 2021, «la parte legata alle piste e alle finish aree è completata. Ora stiamo iniziando ad allestire le infrastrutture temporanee. Per le tribune stiamo prevedendo posti seduti per il pubblico assegnati e ben distanziati. Ma vedremo l'evolversi della situazione. Siamo in constante contato con le autorità sanitarie di Governo, Regione e Provincia per i protocolli di sicurezza per gli atleti, per chi lavora nell'orientalizzazione ed eventualmente per gli spettatori. Salute e sicurezza degli atleti e di chi opera è sicuramente al primo posto». Cortina è pronta«Cortina è pronta per i Mondiali», ribadisce Giacobbi, «a questo evento ha lavorato tutta la comunità, è frutto di un lavoro corale tra pubblico e privato che dura da tre anni. Questo sicuramente è un anno particolare per via del Covid che ci costringe a numerosi cambiamenti e anche ad adattamenti delle strutture previste per ospitare atleti, staff e quel pubblico che forse potrà esserci. Ma ci adeguiamo. Il lascito dei Mondiali esiste e nessuno lo porterà via. Un lascito infrastrutturale fatto di piste rinnovate, un tracciato nuovo, impianti riqualificati e nuovi; e poi un
lascito tecnologico con l'arrivo della fibra, e non solo, e un lascito immateriale che consiste nell'aver creato un team capace di organizzare grandi eventi anche nel futuro».Difficoltà e speranze«I Mondiali arrivano in un momento di difficoltà per il Paese», ammette Valerio Toniolo, commissario di governo per le opere sportive, «ma la rassegna iridata sarà il momento della grande ripresa e di una grande rivincita. Abbiamo affiancato la Fondazione per le opere per l'evento nella prospettiva di un rilancio permanete di Cortina e del Veneto, nel rispetto del territorio e delle sensibilità di ogni persona».«Cortina grazie ai Mondiali sta crescendo», aggiunge il sindaco Ghedina, «e l'augurio è che le gare possano svolgersi al meglio e che sia una festa di sport e di sani valori per tutto il Paese. Cortina ha voglia di modernità e la partnership con Telepass va ulteriormente in questa direzione. La mobilità è uno dei punti focali cui guardiamo per il futuro, anche in vista delle Olimpiadi 2026». --alessandra segafreddo© RIPRODUZIONE RISERVATA
TEMPESTA VAIA: 2 ANNI DOPO Corriere delle Alpi | 6 Novembre 2020 p. 23 Progetto sui cambiamenti Così Vaia da disastro sarà una fonte di sviluppo
BELLUNO «Vaia ha provocato danni ambientali molto evidenti, ma anche effetti profondi sul sentire della popolazione, che sono certamente più sottili e difficili da cogliere». Lo afferma Anna Angelini, dell'omonima Fondazione che sta portando avanti specifici progetti nell'ambito dell'iniziativa «La montagna viva. Dalla tempesta Vaia a nuove opportunità di sviluppo sostenibile in Dolomiti». «Il progetto si pone come forma di valorizzazione del territorio dolomitico e di coloro che abitano la montagna bellunese, cercando di dare luce ad una prospettiva di sviluppo virtuoso piuttosto che di futuro incerto per abitanti ed ambiente naturale, caratterizzato dalle sfide dei cambiamenti climatici» spiega Angelini. «In relazione agli eventi disastrosi di Vaia e alle iniziative di ripresa e ricostruzione che ne sono seguite, è infatti emersa l'urgenza di dare visibilità alla montagna ferita e voce a chi non rinuncia a vivere in questo territorio». La Fondazione sta documentando il cambiamento nella percezione del paesaggio e della sua gestione prima e dopo l'evento. E cerca di promuovere quanto più possibile la partecipazione attiva di chi vive e opera nella montagna bellunese, di stimolare l'interesse per il territorio e le sue risorse, di sensibilizzare le giovani generazioni verso le potenziali future traiettorie di sviluppo in un ambiente svantaggiato come quello montano, anche se qualificato come Bene Unesco, nell'ottica della ripresa e della ricostruzione. Da qui la partecipazione di partner impegnati che sono: Tesaf Università di Padova, Sisef- Società Italiana di Selvicoltura ed Ecologia Forestale, Associazione Internazionale Rete Montagna. Il progetto ha visto l'avvio grazie al sostegno di Fondazione Cariverona e Unifarco per il territorio. «Vaia ha provocato danni ambientali eclatanti ma anche effetti profondi sul sentire della popolazione, più difficili da cogliere» ha testimoniato in un recente convegno Luca Luchetta. E nella stessa circostanza Michele Da Pozzo ha testimoniato che "biodiversità vuol dire resilienza", per cui il bosco dev'essere protetto in ogni suo aspetto. Per il sindaco Bepi Casagrande «vivere "in verticale" è di gran lunga più duro e difficile di vivere "in orizzontale"». Da qui lo studio delle possibili azioni. In occasione di questo convegno è stato sottolineato il valore delle risorse dedicate alla pianificazione a lungo termine e alla manutenzione del territorio di montagna, in particolare per il territorio Agordino in relazione al dissesto idrogeologico. «La "cura del territorio" significa anche contrasto allo spopolamento, maggiore identità per chi abita la montagna, che consenta di ripensare e trasmettere una proposta che crei indotto economico e possa essere volano turistico di valore» conclude Angelini. --F.d.m.
SERRAI DI SOTTOGUDA: GLI AGGIORNAMENTI Gazzettino | 9 Novembre 2020 p. 8, edizione Belluno Serrai di Sottoguda: apre il cantiere Poche ore al grande momento: ai Serrai di Sottoguda devastati da Vaia, dopo i primi lavori di messa in sicurezza, sta per aprire il cantiere che li restituirà alla comunità. L'incongita maggiore in questa stagione riguarda i tempi: molto dipende dalle condizioni meteo, quando non sarà più possibile procedere per la neve, si chiuderà tutto e arrivederci a primavera. Lo ha confermato lo stesso sindaco di Rocca Pietore, Andrea De Bernardin che ha fretta di veder partire almeno l'allestimento del cantiere. L'intervento non sarà comunque concluso prima di due anni, 620 giornate effettive di lavoro per riconsegnare la selvaggia forra dei rimodellata, più bella e più sicura a resistere a ulteriori piene del Pettorina. Affascinante ancor più di quanto lo era prima di quei tremendi giorni dell'autunno del 2018 in cui le impetuose acque del torrente rese più violente dalla ristrettezza della gola, strapparono via strada, ponti, illuminazione, acquedotto, biglietteria. Tutto quello che trovava lungo la sua folle corsa. Dieci milioni di euro sono il costo di questo intervento che sarà realizzato da un pool di sette imprese bellunesi, che si sono consorziate per la prima volta per poter partecipare a questo gara d'appalto risultando vincitrici. E anche questo è un bel risultato per l'economia della nostra provincia. L'intervento è gestito da Veneto Acque che già in precedenza aveva stanziato altri tre milioni di euro per provvedere alla sistemazione e messa in sicurezza dei versanti dei Serrai. Chi ricorda i Serrai prima di Vaia si prepari ad uno spettacolo diverso: la sistemazione non potrà riproporre esattamente la stessa morfologia che in quei giorni subì trasformazioni radicali. Oggi l'obiettivo primario dell'intervento è di garantire al sito la totale sicurezza in caso di un altro disastro simile. Dario Fontanive
Corriere delle Alpi | 20 Novembre 2020 p. 30 Ai Serrai di Sottoguda in partenza gli interventi del secondo stralcio ROCCA PIETORE Rocca Pietore esulta per l'inizio dei lavori ai Serrai di Sottoguda. Si tratta del secondo stralcio, finanziato dal fondo commissariale post Vaia per una cifra monstre: 9 milioni di euro. Soldi che serviranno per riconsegnare al Bellunese uno dei siti turistici più belli e visitati di sempre, spazzato via dalla furia della tempesta Vaia due anni fa. Lavori "benedetti" dal sindaco Andrea De Bernardin.«Ringrazio il governatore Luca Zaia, l'assessore Bottacin e Veneto Acque, che nel contesto dei Serrai ha assunto il ruolo di soggetto attuatore. Ci sono tanti soldi a disposizione ma la vera garanzia è rappresentata dalle sette aziende, tutte bellunesi, chiamate ad effettuare i lavori. Il fatto che siano tutte realtà del territorio non può che essere motivo di vanto ed al tempo stesso di grande soddisfazione».L'inizio del secondo stralcio di lavori ai Serrai di Sottoguda è stato salutato con soddisfazione anche dal governatore della Regione Veneto, Luca Zaia, commissario della ricostruzione post Vaia: «I Serrai rappresentano il simbolo di Vaia e dei danni che il suo passaggio ha causato. Per questo motivo mi sento di dire che siamo di fronte ad un primo passo di un processo più ampio di rinascimento. Un rinascimento che permetterà ai Serrai di tornare a splendere, tornando ad essere un gioiello turistico del nostro territorio. Rispetto al passato saranno più belli, più visitabili ma soprattutto più sicuri».Di rinascimento ha parlato anche l'amministratore delegato di Veneto Acque, l'ingegner Gianvittore Vaccari: «Si tratta di un momento importante per il territorio bellunese. Finalmente, con l'inizio dei lavori, possiamo dire che i Serrai di Sottoguda torneranno agli antichi splendori. Veneto Acque farà anche questa volta la sua parte, e non solo perché assume, nel contesto, il ruolo di soggetto attuatore. Si tratta di un momento di rinascita per tutti noi, non solo per il sito che da sempre rappresenta un punto di forza dell'offerta turistica della provincia di Belluno e dell'intero territorio dolomitico».L'inizio dei lavori relativi al secondo stralcio del progetto complessivo di riqualificazione del sito segue a ruota quelli del primo, concentrati attorno alla messa in sicurezza dell'area. Adesso inizierà la vera e propria ricostruzione del sito. --dierre
Corriere del Veneto | 20 Novembre 2020 p. 15 Ai Serrai di Sottoguda parte la rinascita «a chilometro zero» rocca Pietore Dopo il complesso lavoro di messa in sicurezza, è iniziata ieri la seconda tranche d’interventi per la rinascita dei Serrai di Sottoguda, il luogo-simbolo della devastazione causata due anni fa dalla violenza della tempesta «Vaia». Si tratta della fase più importante dell’intera opera di ripristino, del costo totale di 9 milioni di euro, arrivati dai fondi commissariali per la ricostruzione. «Una buona notizia per l’Agordino e tutto il Bellunese — dichiara con soddisfazione il sindaco di Rocca Pietore, Andrea De Bernardin — Si tratta di uno dei luoghi più belli delle Dolomiti, che ha portato in provincia centinaia di migliaia di vistatori. Questo risultato è stato ottenuto grazie al grande lavoro di squadra tra la Regione, “Veneto Acque” (il soggetto appaltatore) e il Comune di Rocca Pietore». C’è un’altra buona notizia. Il cantiere dei Serrai parla e parlerà bellunese. «Sono tutte del nostro territorio le sette imprese che hanno vinto l’appalto — continua De Bernardin — e questo credo sia la garanzia di un lavoro fatto bene, non solo con grandissima professionalità, ma anche con enorme passione». E commenta il governatore del Veneto, Luca Zaia: «I Serrai rappresentano il simbolo di Vaia, oltre che uno dei luoghi più belli delle Dolomiti e fin dal primo giorno abbiamo cercato il rinascimento dei Serrai, che saranno più belli, visitabili e sicuri di prima». Grazie ad opere che, come spiega Gianvittore Vaccari, amministratore unico di «Veneto Acque» ed ex sindaco di Feltre, «da un lato valorizzeranno al meglio l’ambiente naturale esistente, dall’altro saranno altamente tecnologiche e moderne». (M.G.)
LABORATORIO ALPINO E DELLE DOLOMITI BENE UNESCO Trentino | 18 Novembre 2020 p. 18 Dolomiti Unesco, Sat e Provincia alleati Trento È stata rinnovata l'alleanza tra Provincia e Sat con l'obiettivo di promuovere le attività del "Laboratorio Alpino e delle Dolomiti - Bene Unesco", ospitato presso la Casa della Sat, in via Manci a Trento. Il Laboratorio realizza ogni anno 35-40 iniziative che vedono la partecipazione di circa 3.000 persone e coinvolgono una quindicina di partner istituzionali e professionali. Ieri la firma della convenzione da parte dell'assessore provinciale all'ambiente Mario Tonina e della presidente della Sat Anna Facchini, è avvenuta alla presenza anche del dirigente del Servizio sviluppo sostenibile e aree protette Romano Stanchina e del direttore operativo della SAT Claudio Ambrosi."L'esperienza di collaborazione avviata con la Sat si è dimostrata particolarmente positiva e capace di esiti importanti, anche in termini di iniziative comuni per la diffusione dei valori intrinseci del riconoscimento delle Dolomiti-Bene Unesco, di cui anche il Trentino può fregiarsi da ben 11 anni. Un riconoscimento che sta dando i giusti risultati in termini di visibilità e riconoscibilità, anche grazie alle azioni messe in campo dal Laboratorio che ha il pregio di sostenere l'entusiasmo dei giovani che vivono il patrimonio montano valorizzandolo e rispettandolo. Diventandone i custodi" sono state le parole dell'assessore Tonina". "Sulla collaborazione e sulla condivisione di intenti con la Fondazione Dolomiti Unesco - ha sottolineato Anna Facchini, presidente della Sat - abbiamo creduto fin dalla sua nascita". ©RIPRODUZIONE RISERVATA
PROVINCIA DI BELLUNO: LA STRATEGIA TURISTICA Corriere delle Alpi | 20 Novembre 2020 p. 19 Salvare il turismo e rilanciare il territorio la Provincia arruola due esperti mondiali Irene Aliprandi Belluno Due esperti di caratura internazionale, una revisione completa della strategia e una nuova squadra per gestirla. È un cambiamento radicale quello messo in moto dalla Provincia per salvare il turismo bellunese, dopo che il lavoro della Dmo per la realizzazione del piano di marketing territoriale di Eurac si è incagliato. Ieri il presidente di Palazzo Piloni Roberto Padrin e il consigliere delegato al turismo Danilo De Toni hanno presentato la nuova linea del turismo provinciale e i due consulenti arruolati nel team che dovrà trasformarla in realtà: Roberto Locatelli, imprenditore trentino nel settore della comunicazione ed esperto in destinazioni montane, e l'inglese (pardon, scozzese) Tom Buncle specialista di branding di destinazioni internazionali e di marketing nello sviluppo del turismo. Il curriculum di Buncle vanta oltre trent'anni di esperienze in quattro continenti e sarebbe impossibile da riassumere in poche righe, ma basti sapere che i suoi testi sono considerati dagli addetti ai lavori "la Bibbia del turismo" ed è l'autore del manuale definitivo sul marchio delle destinazioni turistiche pubblicato dall'Organizzazione mondiale del turismo delle Nazioni Unite e dalla Commissione europea per i viaggi. «Queste due figure altamente specializzate, insieme alla struttura provinciale, ci aiuteranno nello sviluppo del piano Eurac», spiega Padrin, «in un momento in cui il turismo è stato particolarmente colpito dal Covid. In questi anni molto è stato fatto, ma ora l'obiettivo è quello di dare al piano un impulso diverso, sviluppando le azioni non ancora realizzate. Il piano sarà gestito dalla Provincia per i prossimi due anni, sperando anche di poterlo rifinanziare».Se è vero che la pandemia ha sgretolato il turismo, appare più che mai necessario immaginare il futuro ed essere pronti appena si potrà tornare a viaggiare. Ne è consapevole De Toni che fa una sintesi della missione: la crescita della destinazione e della sua intera comunità.«Dobbiamo costruire la casa dalle fondamenta», dice De Toni centrando i limiti principali di quanto fatto negli ultimi due anni, «e questi due esperti sono le figure ideali per aiutarci e per impostare il futuro anche dopo il piano Eurac. Abbiamo chiamato con noi le persone più autorevoli e capaci che ci sono sul mercato, erano indispensabili per rilanciare il turismo della nostra provincia».La necessità di lavorare per tutto il territorio, anche oltre il turismo, affinché il piano funzioni davvero è quanto sottolinea anche Locatelli: «Abbiamo un lavoro impegnativo e interessante da fare. Io potrò garantire la parte estetica legata al linguaggio e il modo più efficace per relazionarsi con il pubblico. L'obiettivo è creare una definizione, un valore di marca che riesca a declinarsi in valore percepito sul territorio in maniera più ampia».Buncle si concentra sulla necessità di individuare e costruire l'identità della provincia di Belluno: «Cos'è un brand? È la personalità di un territorio. Per promuoversi c'è bisogno innanzitutto di distinguersi con un'identità molto chiara e diversa da territori con caratteristiche simili. Le Dolomiti sono una destinazione molto nota e competitiva ma noi dobbiamo ricavare il Dna di questo territorio e imparare a comunicarlo a chi ci chiede: chi siete? Senza un brand chiaro, non c'è identità. I turisti vogliono sapere qual è la caratteristica principale del bellunese e quale esperienza turistica si può fare qui». Buncle promuove il piano Eurac, affermando che non va rifatto ma realizzato e incoraggia il settore: «La pandemia, che ha imposto misure come quella del distanziamento, penalizzerà le città e le grandi attrazioni turistiche, mentre ci guadagneranno destinazioni come Belluno, ma è essenziale essere pronti offrendo tutte le migliori esperienze locali».Il piano Eurac, che doveva concludersi a fine 2020, avrà altri due anni di tempo per arrivare a compimento e oltre 3 milioni dei 5,725 stanziati dal Fondo dei Comuni di confine. A febbraio la squadra sarà pronta per entrare nel dettaglio, ma è già chiaro quali saranno le colonne portanti: brand, servizi, trasporti e formazione. --
Corriere delle Alpi | 20 Novembre 2020 p. 19 Dmo grande assente, in futuro più brand e meno televisioni belluno La grande assente alla presentazione di ieri era la Dmo. L'amministratore unico Alessandra Magagnin, invitata a collegarsi, si è giustificata per la concomitanza del direttivo, ma ha segnato in maniera ancor più definitiva il fatto che non sarà più la Dmo a gestire il turismo in provincia. «Rimane il nostro interlocutore privilegiato. Con tutta la fatica che abbiamo fatto per farla, sarebbe un peccato un usarla», smussa il presidente della Provincia Padrin e non potrebbe essere altrimenti, visto che la Dmo comprende tutti i soggetti che operano nel settore. Dopo due anni di lavoro e 2,6 milioni spesi attraverso le azioni indicate dalla Dmo, però, il comparto è in
caduta libera e il declino è iniziato molto prima del Covid: «Dobbiamo tornare almeno ai numeri di 10-15 anni fa», osserva Padrin, «quando avevamo dati ben superiori. Abbiamo davanti i Mondiali di sci e poi le Olimpiadi, opportunità enormi». Che non ci si può permettere di sprecare oltre, anche perché i soldi per il piano Eurac sono soldi pubblici.Padrin e De Toni hanno entrambi ringraziato la Dmo per il lavoro svolto, ma nella pratica già si intuisce che quanto fatto finora dalla Dmo non si vedrà più.Basta, o quasi, con le mille trasmissioni televisive che magari danno lustro ma hanno un pubblico estraneo al target bellunese indicato da Eurac e condiviso dagli esperti. Basta educational con giornalisti scorrazzati tra una malga e l'altra senza alcun ritorno di reale impatto, e quasi certamente si assisterà anche all'archiviazione del marchio "Dolomiti: the mountains of Venice" che è esattamente il contrario di quell'identità forte suggerita dagli esperti.Chi atterra a Venezia non sa nemmeno come arrivarci a Belluno e se è abbastanza motivato da noleggiare una macchina, una volta qui non trova i servizi che ogni turista cerca quando programma un viaggio. Servizi che spesso esistono, ma non vengono comunicati e messi a disposizione con facilità. La creazione di un nuovo sito è dunque uno dei primi passi in programma.«La Dmo è una struttura voluta dalla Regione e ha un suo ruolo», dice ancora Padrin. «Rimane partner indispensabile per il patrimonio di informazioni raccolte in questi anni e continuerà a collaborare con la Provincia, che è il soggetto attuatore del piano, perché la destinataria dei finanziamenti dati dal Fondo dei Comuni di confine. Abbiamo oltre 3 milioni di euro da spendere non ancora utilizzati dal 2018 e c'è molto da sviluppare. Dobbiamo pensare al marchio, fare una fotografia dei servizi, garantire i trasporti. E serviranno ulteriori risorse». –
Gazzettino | 21 Novembre 2020 p. 7, edizione Belluno «Turismo, il progetto della Provincia una carta vincente» BELLUNO Confindustria Belluno Dolomiti plaude la scelta della Provincia di aver arruolato due professionisti del turismo: lo scozzese Tom Buncle e il trentino Roberto Locatelli ma aggiunge, non nascondendo velate polemiche: «è il momento del coraggio e di tirare fuori idee nuove». Non una parola esplicita al ruolo della Dmo, che fino a questo momento era deputata a gestire risorse ingenti stornate alla Provincia di Belluno da parte del Fondo dei Comuni confinanti. Ma tra le righe qualcosa si percepisce. Come è noto sono stati prorogati i termini per l'attuazione del Piano di marketing territoriale, che d'ora in avanti sarà concretizzato da un team con a capo due esperti di livello internazionale: il britannico Tom Buncle e il trentino Roberto Locatelli. Lorraine Berton, presidente di Confindustria Belluno Dolomiti, saluta la nuova squadra che svilupperà il piano Eurac finalizzato al rilancio del turismo bellunese accanto alle categorie e alle Istituzioni del territorio: «L'iniezione di nuove competenze e professionalità a supporto del turismo bellunese è un passo in avanti fondamentale soprattutto se vogliamo farci trovare pronti per la ripartenza post-Covid e per i prossimi Grandi Eventi. Auguro buon lavoro a Tom Buncle e Roberto Locatelli». Non si ferma alle formalità, Lorraine Berton. «Abbiamo bisogno di donne e uomini che possano portare il loro valore aggiunto, integrare le nostre conoscenze ed esperienze. Penso sia stata intrapresa la strada giusta per consentire alle nostre montagne di crescere a livello internazionale e imporsi come destinazione turistica forte e caratteristica f- fa notare la presidente degli industriali bellunesi -. Le premesse mi sembrano buone per compiere quel salto di qualità che attendiamo da tempo. Anche per questo, come Associazione, faremo la nostra parte nel supportare in termini concreti e operativi questo nuovo corso». Il focus, per Berton deve essere la qualità. «Il tema delle competenze, che come Confindustria stiamo portando avanti, non vale solo per il manifatturiero, ma per tutti i settori dell'economia, compreso il turismo, che è anche uno dei temi trattati nei corsi della Luiss Business School. Solo così afferma la presidente -, tratteniamo sul territorio le energie migliori e possiamo diventare attrattivi anche all'esterno. Su questo, adesso, sarà importante costruire un progetto condiviso per accrescere, appunto, l'attrattività del territorio a 360 gradi: oltre che per i turisti, anche per gli investimenti e per i talenti che serviranno alle nostre imprese. Come Confindustria Belluno Dolomiti stiamo lavorando proprio su questo obiettivo fondamentale per il futuro della nostra provincia». Lorraine Berton guarda inevitabilmente all'attuale fase di pandemia: «È un momento durissimo, ma se studiamo fin da ora la ripartenza ce la faremo, come abbiamo dimostrato più volte. Dovremo intercettare nuovi flussi e nuovi mercati, dandoci quegli obiettivi che fino a oggi ci sembravano troppo lontani o inaccessibili. È il momento del coraggio e di tirare fuori idee nuove». La presidente di Confindustria conclude: «Stiamo assistendo a un reset globale, a un gigantesco riallineamento: farsi trovare pronti e motivati è un imperativo». (Fe.Fa.)
Gazzettino | 22 Novembre 2020 p. 7, edizione Belluno DMO incassa lo schiaffo sul turismo
BELLUNO A chi pensava che la Dmo si fosse sentita esautorata dalla scelta della Provincia di Belluno di affidare il piano marketing Eurac a due professionisti di livello internazionale si sbagliava. Tom Buncle e Roberto Locatelli, questi i nomi dei super esperti, saranno comunque affiancati da un team locale tra cui la Dmo (Destination managment organisation), un ente introdotto dalla legge regionale sul turismo nel 2013 e costituito nel 2015 e che seguiva il progetto Eurac. CONSORZIO MISTO Si tratta di un consorzio misto tra pubblico e privato (al 50%) la cui delega è quella della gestione del settore turistico della provincia. Ne abbiamo parlato con Gildo Trevisan, rappresentante dei consorzi turistici del Cadore all'interno di Dmo. «Qui non si tratta di cambiare due professionisti, chi ha i cordoni della borsa può decidere di aggiungerne. Noi, come Dmo, dobbiamo essere contenti perché sono professionisti di fama mondiale». I due esperti si occuperanno del piano marketing alla luce della situazione causata dalla pandemia. Il responsabile del progetto sarà Daniela De Carli, segretaria generale della Provincia. Parliamo di un piano di 5,775 milioni messo a punto nel 2017 dall'Eurac di Bolzano, che prevedeva la spesa di 5,5 milioni ed era suddiviso in vari step da realizzare nel corso del triennio 2018-2020. Scadrà il 31 dicembre, ma circa 3 milioni sono in attesa di essere spesi. Ecco perché Palazzo Piloni è intenzionato a chiederne la proroga al dicembre 2022 e mira a riottenere dei finanziamenti dai Fondi di confine per il prossimo quinquennio. Buncle è scozzese e da 40 anni lavora nel settore della consulenza sulle destinazioni internazionali, Roberto Locatelli vive e opera in Trentino ed è un imprenditore della comunicazione. PALAZZO PILONI COMPETENTE «Noi siamo persone di buona volontà che si danno da fare con le capacità che abbiamo - prosegue Trevisan -, probabilmente dei professionisti potranno aiutarci a spendere le risorse. Noi non le abbiamo mai gestite direttamente, esse sono sempre state in capo alla Provincia che doveva fare bandi di gara. A noi spettava presentare iniziative che dovevano promuovere il territorio». Per quanto riguarda la criticità del momento Trevisan aggiunge: «Se abbiamo professionisti di fama mondiale e il turismo dovesse precipitare avremo una ragione per sostenere che le cose andavano male. Se i due professionisti, e non dubito del contrario, aiuteranno la provincia di Belluno ad esprimere il meglio di sé stessa quanto meglio». Auspica che i due professionisti gli vengano presentati quanto prima. FIDUCIA NEL FUTURO Ma come farà ora la Dmo a sostenersi anche economicamente? «Ci sono vari canali: bandi di gara regionali o di altra provenienza. Le aree di confine sarebbero il salvadanaio più grosso, ma non è l'unico. Inoltre, se i professionisti faranno investire del denaro alla Provincia dubito che non siano presentate le iniziative alla Dmo e in parte anche condivise. Io sono molto fiducioso e sono molto curioso di incontrare i due esperti per capire come intendono esprimere le potenzialità di questo territorio». D'altra parte, alla presentazione di Buncle e di Locatelli lo stesso presidente della Provincia, Roberto Padrin, il delegato al turismo Danilo De Toni avevano rassicurato che la Dmo «rimarrà il principale stakeholder (portatore d'interesse, ndr) e collaborerà con un ruolo importante mettendo anche a disposizione i dati finora raccolti ed elaborati. Si tratterà di portare a completamento quanto già fatto e di realizzare gli obiettivi che ancora non sono arrivati a concretizzazione». Aggiungeva Danilo De Toni: «Attorno a Buncle e Locatelli stiamo creando un team locale che andremo a presentare entro febbraio 2021. Tutte persone saranno opportunamente formate dai due esperti». Si punta, insomma, ad andare oltre il marketing. Nel piano elaborato da Eurac sono infatti elencati come obiettivi da realizzare anche quelli che riguardano i servizi sul territorio e i trasporti, solo per fare un paio di esempi.
COLLEGAMENTO SON DEI PRADE – CINQUE TORRI Gazzettino | 25 Novembre 2020 p. 13, edizione Belluno Cabinovia, primo colpo di ruspa Ieri si sono visti i primi lavori a Son dei Prade, in preparazione del cantiere che dovrà costruire la stazione a valle della nuova cabinovia delle Cinque Torri. C'è stato il sopralluogo di alcuni tecnici, per conto delle imprese che dovranno realizzare l'opera; c'erano le Regole d'Ampezzo, con un guardaparco; c'era Veneto strade. Si lavora infatti sulla provinciale 48 delle Dolomiti, che sale al passo Falzarego. Ieri un escavatore ha realizzato un fosso di scolo dell'acqua, per farla defluire dalla zona paludosa nella quale dovrà sorgere la stazione. I mesi scorsi c'era stato un tentativo di sondaggio del terreno, ma in quell'occasione l'escavatore era sprofondato, imprigionato dalla mota, tanto che era stato necessario utilizzare un'altra macchina operatrice per recuperare la prima. L'AZIENDA LEITNER
Lo scorso mese di marzo la Provincia di Belluno, stazione appaltante per conto del commissario di governo per i Mondiali di Cortina 2021, ha aggiudicato l'opera all'azienda Leitner di Vipiteno, in raggruppamento temporaneo con l'impresa Toninelli di Bergamo. Il quadro economico complessivo era di circa 18 milioni di euro; l'importo dei soli lavori supera 14 milioni. La nuova cabinovia sarà un'opera pubblica, del Comune di Cortina d'Ampezzo, finanziata per 15 milioni dai Fondi comuni di confine; per circa 3 milioni dal commissario per i Mondiali. Una volta realizzata sarà aperto un bando, per trovare il gestore. L'avvio dei lavori era previsto lo scorso mese di giugno, con la possibilità di terminare alla fine di quest'anno, o all'inizio del 2021, ma una serie di intoppi burocratici ha ritardato tutto l'iter, per cui solamente due settimane fa si è proceduto alla consegna e al formale avvio dei lavori. MANCHERÀ I MONDIALI L'impianto sarà lungo 4.600 metri, in due tronchi, con una stazione intermedia a Cianzopé, dove sale la strada alle Cinque Torri. In linea ci potranno essere 70 cabine da 8 posti, per una portata oraria di mille e cento persone. La cabinovia supererà un dislivello contenuto e non sarà affiancata da piste da sci: sarà invece un vitale collegamento, di andata e ritorno, fra due frequentate aree sciistiche della conca d'Ampezzo. La stazione a monte sorgerà a ridosso della attuale seggiovia delle Cinque Torri, a Bain de Dones. E' già ben visibile il percorso della linea, dove sono stati abbattuti e rimossi gli alberi. Il completamento è previsto fra un anno, così che possa entrare in funzione per la stagione invernale 2021/2022. Non arriverà in tempo per i Mondiali, dunque, ma sarà una delle attrattive della conca, in vista dei Giochi olimpici e paralimpici invernali 2026. Per Cortina ha un valore strategico, perché si protrae verso occidente, con l'obiettivo dichiarato di allacciarsi un giorno ai grandi caroselli sciistici delle Dolomiti, al Sella Ronda, allo Ski Civetta. Marco Dibona © riproduzione riservata
NOTIZIE DALLA MARMOLADA Trentino | 11 Novembre 2020 p. 34 Sulla Marmolada mega-striscioni contro nuovi impianti val di fassa Un gruppo di ambientalisti che fanno riferimenmto a Mountain Wilderness ed è sostenuto dal Rifugio Pian dei Fiacconi ieri ha scelto la Marmolada per dire "basta impianti". Una volta arrivati in cima alla montagna, hanno steso dei grandi e colorati striscioni sopra cui era scritto, appunto "basta impianti" . "Consapevoli che la macchina dello sfruttamento della montagna con la costruzione di nuovi impianti non si fermerà di fronte alla pandemia e consci dell'emergenza sanitaria in corso, abbiamo deciso di manifestare staticamente comunque la nostra contrarietà, ritrovandoci sulla cima del Col de Bousc con un primo gruppo e in prossimità della ex cabinovia di Pian dei Fiacconi con un secondo gruppo, volutamente di esigue proporzioni. Il messaggio di oggi è: fermiamo lo sfruttamento indiscriminato delle montagne, non costruiamo nuovi impianti di risalita! Dopo 70 anni la Marmolada Trentina si ritrova senza impianti di risalita e pensiamo sia arrivato il momento di cambiare direzione ed andare verso un modello turistico che esuli dalle logiche dei grandi numeri e del turismo di massa che sono alla base della redditività economica degli impianti di risalita.Alla luce del cambiamento di tendenza delle richieste turistiche, il mercato sciistico ha evidenziato un lento ma continuo declino negli ultimi anni, l'aumento dei costi di manutenzione (innevamento, bacini artificiali) dovuto ai cambiamenti climatici sta portando ad una insostenibilità economica e all'intensificazione di campagne di marketing per la conquista di nuovi mercati. D'altro canto, sempre maggiore è il desiderio da parte dei turisti di stare a contatto con la natura e con la cultura del luogo in cui hanno deciso di trascorrere le loro vacanze.L'emergenza sanitaria sta mettendo a nudo le criticità e i limiti dei grandi numeri nel turismo e la stagione appena trascorsa ha evidenziato la necessità di sviluppare un turismo montano diversificato per tipologia di offerta. Il progetto del Carosello in Marmolada, con il collegamento di passo Fedaia a Sass Bianchet e un eventuale collegamento Trentino- Veneto, ci indigna particolarmente".
Corriere delle Alpi | 11 Novembre 2020 p. 31 Striscioni in quota per dire un fermo no a nuovi impianti sulla Marmolada
Gianni Santomaso ROCCA PIETORE «Eventuali iniezioni di liquidità da parte della Regione e dell'Europa per sostenere la costruzioni di nuovi impianti e di nuovi caroselli, andranno a gonfiare le tasche dei soliti noti, ma sul territorio, come già succede oggi, rimarrà poco o niente».Lo dice Federico Sordini, imprenditore di Rocca Pietore che, assieme a una quindicina di amici, appassionati della montagna, rifugisti, guide alpine, ieri mattina è stato protagonista dell'annunciato flash mob sulla Marmolada per dire "basta" a nuovi impianti. Lo hanno scritto sui due striscioni che hanno srotolato sul Col del Bousc, sottolineando la necessità di rispettare la montagna. «C'erano guide alpine venete e trentine», dice Sordini, «c'erano persone provenienti da Venezia-Mestre e Padova, c'erano imprenditori della zona tra cui Guido Trevisan, gestore del rifugio a Pian dei Fiacconi con un suo collaboratore. Erano pure presenti dei rappresentanti di The outdoor manifesto, un gruppo trasversale a tutto l'arco alpino, e il presidente di Mountain wilderness Italia, Franco Tessadri, che con Trevisan aveva consegnato a Trento la petizione per la rimozione degli impianti inutilizzati in Marmolada».Una manifestazione statica come richiesto dall'emergenza sanitaria, ma che intende smuovere le coscienze e stimolare l'apertura di nuove strade turistiche all'insegna della sostenibilità.«Se Trevisan che è un rifugista della Marmolada e potrebbe vivere di impianti», spiega Sordini, «è il primo a dire che senza cabinovia ha fatto gli stessi incassi degli anni precedenti, vorrà pur dire qualcosa: che è necessario rivedere un modello di sviluppo turistico. Attenzione: il nostro movimento, che al momento non è codificato e non è legato ad alcun gruppo esistente, non è contrario allo sci, ma pensa che di impianti ce ne siamo a sufficienza e che sia semmai necessario sistemare e rendere efficienti quelli esistenti».Non sembrano, però, queste le intenzioni delle istituzioni e degli impiantisti. «Siamo contrari all'idea di un nuovo carosello in Marmolada», dice Sordini, «purtroppo pare che la Regione intenda finanziare questo tipo di investimenti che, certo, metteranno liquidità nelle tasche dei soliti noti, ma al territorio non procureranno alcun vantaggio».Per i manifestanti, invece, l'attenzione dovrebbe essere rivolta a un turismo diverso anche sulla scia degli insegnamenti che l'estate caratterizzata dal Covid ha lasciato.«Intanto», sottolinea Sordini, «anche fra i turisti è nata una sensibilità diversa; poi è evidente che un turismo fatto di ciaspe, di sci alpinismo, di sentieri necessita di molte meno infrastrutture per essere competitivo e attrattivo; infine dobbiamo dare delle alternative al turismo di massa, cercando di dirottare i villeggianti anche in altri posti e non solo sulle Tre Cime o al Sorapiss». --© RIPRODUZIONE RISERVATA
Trentino | 12 Novembre 2020 p. 33 Caso Marmolada, Guido Trevisan citato ad esempio gianni santomaso rocca pietore / canazei «Eventuali iniezioni di liquidità da parte delle Regioni e dell'Europa per sostenere la costruzioni di nuovi impianti e di nuovi caroselli, andranno a gonfiare le tasche dei soliti noti, ma sul territorio, come già succede oggi, rimarrà poco o niente». Lo dice Federico Sordini, imprenditore di Rocca Pietore, sul fronte bellunese della Marmolada, che assieme a una quindicina di amici, appassionati della montagna, rifugisti, guide alpine, l'altra mattina è stato protagonista dell'annunciato flash mob sulla Marmolada per dire "basta" a nuovi impianti, iniziativa della quale abbiamo riferito ieri in questa pagina. Lo hanno scritto sui due striscioni che hanno srotolato sul Col del Bousc, sottolineando la necessità di rispettare la montagna. E in questo senso ha avuto un notevole peso la presenza trentina. «C'erano guide alpine venete e trentine - commenta Sordini -, c'erano persone provenienti dalle città, c'erano imprenditori della zona tra cui Guido Trevisan, gestore del rifugio a Pian dei Fiacconi, sul fronte trentino, con un suo collaboratore. Erano pure presenti dei rappresentanti di The outdoor manifesto, un gruppo trasversale a tutto l'arco alpino, e il presidente di Mountain Wilderness Italia, Franco Tessadri, che con Trevisan pochi giorni fa ha consegnato a Trento la petizione per la rimozione degli impianti inutilizzati in Marmolada».Una manifestazione statica come richiesto dall'emergenza sanitaria, ma che intende smuovere le coscienze e stimolare l'apertura di nuove strade turistiche all'insegna della sostenibilità.«Se Trevisan che è un rifugista della Marmolada e potrebbe vivere di impianti - spiega Sordini - è il primo a dire che senza cabinovia ha fatto gli stessi incassi degli anni precedenti, vorrà pur dire qualcosa: che è necessario rivedere un modello di sviluppo turistico. Attenzione: il nostro movimento, che al momento non è codificato e non è legato ad alcun gruppo esistente, non è contrario allo sci, ma pensa che di impianti ce ne siamo a sufficienza e che sia semmai necessario sistemare e rendere efficienti quelli esistenti».Non sembrano, però, queste le intenzioni delle istituzioni e degli impiantisti.«Siamo contrari all'idea di un nuovo carosello in Marmolada - dice Sordini - purtroppo pare che la Regione Veneto intenda finanziare questo tipo di investimenti che, certo, metteranno liquidità nelle tasche dei soliti noti, ma al territorio non procureranno alcun vantaggio».Per i manifestanti, invece, l'attenzione dovrebbe essere rivolta a un turismo diverso anche sulla scia degli insegnamenti che l'estate caratterizzata dal Covid ha lasciato.«Intanto - sottolinea Sordini - anche fra i turisti è nata una sensibilità diversa; poi è evidente che un turismo fatto di ciaspole, di scialpinismo, di sentieri necessita di molte meno
infrastrutture per essere competitivo e attrattivo; infine dobbiamo dare delle alternative al turismo di massa, cercando di dirottare i villeggianti anche in altri posti».©RIPRODUZIONE RISERVATA
NOTIZIE DAI RIFUGI Corriere delle Alpi | 13 Novembre 2020 p. 32 Rifugio Auronzo, turisti cafoni lasciano sporcizia ovunque AURONZO Una brutta sorpresa per i volontari che ieri mattina, alla buonora, sono saliti al rifugio Auronzo per effettuare alcuni interventi di manutenzione ordinaria. Cartacce e sporcizia un po' ovunque attorno alla struttura, tanto da "meritare" un momento di attenzione social dopo l'inevitabile sdegno iniziale.«Altro che panorama», hanno tuonato i volontari appartenenti alla sezione Cai di Auronzo, proprietaria dell'omonimo rifugio ai piedi delle Tre Cime di Lavaredo."Eredità" , in perfetto stile cafone, dell'ultimo weekend ad alta quota. Le temperature gradevoli hanno infatti attirato le attenzioni di tante persone che, oltre a creare grattacapi dal punto di vista sanitario (vedi la voce "assembramenti" ) hanno deturpato l'ambiente, violando uno dei luoghi simbolo delle Dolomiti patrimonio Unesco. Le foto postate sulla pagina del rifugio dalla sezione Cai di Auronzo hanno generato un coro di sdegno.«La scoperta è stata fatta da nostri tesserati che sono saliti al rifugio per sistemare le webcam che nel frattempo avevano smesso di funzionare», racconta il vicepresidente del Cai di Auronzo Massimo Casagrande, «alla fine è toccato a loro, oltre che effettuare gli interventi di manutenzione, anche pulire il tutto. Purtroppo non è la prima volta. Il rifugio chiuso si presta a questo tipo di situazioni. La gente trova i bagni chiusi ed al posto di intraprendere una camminata in mezzo al verde per espletare i propri bisogni sceglie di nascondersi dietro il nostro generatore facendo così solo pochi passi, quelli che dividono il rifugio dal parcheggio di forcella Longeres». Per la serie: contro la maleducazione non c'è medicina, anche in alta montagna. --Gianluca De Rosa© RIPRODUZIONE RISERVATA
Corriere delle Alpi | 13 Novembre 2020 p. 33 I rifugisti sono un po' più sereni «Ma aprire sarà un atto eroico» BORCA Agrav, l'associazione che riunisce sotto la propria bandiera i gestori di rifugi alpini veneti, accoglie con soddisfazione, seppur moderata, la novità introdotta nel recente decreto ristori in cui, per la prima volta da quando è iniziata la pandemia, "appare" la parola rifugi alpini. «Finalmente ci è stato assegnato un codice Ateco, qualcuno si è accorto di noi e della nostra esistenza», sottolinea, non senza ironia, il presidente di Agrav, Mario Fiorentini, gestore del rifugio Città di Fiume, «si tratta di una cosa importante per il nostro settore, che nella prima fase della pandemia è stato tenuto nell'anonimato più assoluto nonostante il riconosciuto ruolo prioritario per quanto riguarda la vita di montagna. Oggi qualcosa è cambiato, la lunga battaglia portata avanti a livello nazionale in questi mesi è servita a qualcosa». Eppure la possibilità di ottenere indennizzi con i quali coprire, in parte, le ingenti perdite registrate dalla primavera in avanti non cancella tutti i dubbi della categoria. Gli stessi che, dopo l'estate, ora si addensano sulla prossima stagione invernale. «In tanti stanno pensando di non aprire quest'inverno», tuona Fiorentini, «le condizioni del resto limitano pesantemente l'operatività di un rifugio. Se quest'estate la limitazioni di posti all'interno è stata ovviata, in parte, con l'ampliamento delle zone esterne, d'inverno questo per via del freddo e della neve non è oggettivamente possibile. Pensare di aprire un rifugio in queste condizioni è un'impresa eroica». Mario Fiorentini assicura che sul territorio bellunese sono già diversi i gestori di rifugi che hanno espresso la volontà di tenere le porte chiuse durante il prossimo inverno, questo indipendentemente da ciò che accadrà sul fronte delle limitazioni volte a contenere il contagio. «Anche in Cadore ci sono rifugisti che stanno valutando attentamente come muoversi, io sono uno di questi», spiega, «del resto i numeri parlano chiaro e contano più di qualsiasi parola. Se non ci sono le condizioni per assicurare un servizio in grado di permettere alla struttura il proprio sostentamento è meglio tenere tutto chiuso. Il rifugio non è paragonabile ad un bar o a un ristorante. Le sue caratteristiche sono ben precise, non si può pensare di
tenere aperto sperando nel passaggio di qualcuno». Ci sono poi altre problematiche connesse al tema coronavirus che pendono sulla testa dei rifugisti come una spada di Damocle. «Le condizioni meteo sono l'ago della bilancia anche in inverno, come già avvenuto in estate. A proposito del meteo, è difficile per la nostra categoria fissare date di apertura e chiusura della stagione invernale. Abbiamo chiesto alla Regione più flessibilità in tal senso. Un esempio? Se nella data di apertura scendono 4 metri di neve, ed in montagna è possibile, non ci sono le condizioni per aprire». -Gianluca De Rosa© RIPRODUZIONE RISERVATA
Corriere delle Alpi | 16 Novembre 2020 p. 15 Inverno senza il Carestiato «Troppe spese e pochi posti» Gianluca De Rosa AGORDO Il rifugio Carestiato alza bandiera bianca. Disposizioni stringenti, troppo difficile garantire un servizio durante la stagione invernale. E allora, dopo dieci anni, il suo gestore Diego Favero si ritrova alle prese con una decisione tutt'altro che semplice: aprire o no? «Al momento la risposta è no», sottolinea con profondo dispiacere. Questione di numeri, gli stessi con i quali devono fare i conti, ai tempi della pandemia da Coronavirus, tutti coloro che hanno un'attività commerciale.«Il rifugio, in condizioni normali, è in grado di ospitare una cinquantina di persone nella sua parte interna», spiega Favero, «con l'avvento del Covid e le relative disposizioni legate al distanziamento sociale ci siamo ritrovati a dover ridurre drasticamente quei posti: all'interno del rifugio ne abbiamo ricavati non più di venti. Durante l'estate siamo riusciti a controbilanciare la situazione garantendo una quarantina di posti esterni, ma questi durante l'inverno non sono fruibili. Con soli venti posti, senza dimenticare le chiusure in atto, come si fa ad andare avanti?».Presto spiegata, dunque, l'idea di tenere chiusa una delle mete più ambite dagli amanti delle passeggiate e delle ciaspole durante la stagione invernale, che è ormai alle porte.«La decisione definitiva la prenderò entro la fine del mese, ma al momento non ci sono grossi spiragli per cambiare rotta», sottolinea Diego Favero, «l'unica possibilità, al momento presa in considerazione, è quella di aprire solo la domenica, tenendo conto delle previsioni meteorologiche».Altri numeri, sommati a quelli già citati, utili a rendere l'idea della situazione, tutt'altro che idilliaca per un rifugista.«La gestione di un rifugio durante l'inverno vanta cosi esorbitanti», racconta Favero, «pensate soltanto al riscaldamento di una struttura che trascorre 24 ore su 24 con temperature sotto zero nella sua parte esterna. C'è poi il personale. Durante l'estate lavoriamo in rifugio in cinque, sei persone, compreso il sottoscritto. Sono costi anche quelli. In inverno magari c'è qualcuno di meno ma il personale va comunque garantito, indipendentemente dal numero. Cosa che in questo momento, stante l'attuale situazione, non siamo in grado di fare. Anche per questo l'unica soluzione fattibile è quella di restare chiusi».Danni, tanti, oltre la beffa. «Chiusi o aperti, il rifugio per noi rappresenta un costo», dice il gestore, «bisognerà trovare una soluzione, proverò a farlo sentendo il Cai, proprietario della struttura. Noi abbiamo bisogno di lavorare, non possiamo restare con le mani in mano aspettando che la pandemia scompaia come per incanto. Ci stiamo giocando tanto in questa partita».L'occasione è utile al gestore del rifugio Carestiato per riavvolgere il nastro e tornare all'estate post lockdown: «Dal punto di vista dei pernottamenti è stato un disastro. Abbiamo perso oltre il 70% delle prenotazioni rispetto all'anno precedente. Giugno è stato un mese complicatissimo, con perdite enormi. Le cose sono sensibilmente migliorate in agosto, soprattutto sul fronte della ristorazione. Anche settembre è stato un mese dal segno più. Resta il fatto che, nel complesso, le perdite ci sono state e si fanno sentire». -- © RIPRODUZIONE RISERVATA
Corriere delle Alpi | 18 Novembre 2020 p. 28 Il Chiggiato tiene duro: è un take away in quota la scommessa invernale CALALZO Apertura sì, apertura no? I rifugisti si interrogano, sfogliando la margherita, in merito al da farsi in vista dell'ormai imminente stagione invernale. Omar Canzan, gestore del rifugio Chiggiato situato sul territorio di Calalzo, ha però le idee chiare. «Da undici anni a questa parte offriamo il nostro servizio al territorio anche durante la stagione invernale, e lo faremo anche quest'anno, naturalmente rispettando fedelmente le disposizioni». Come si svilupperanno le apertura invernali? «Saremo aperti ogni fine settimana, valutando bene il da farsi in base alle previsioni meteo. Da undici anni offriamo il nostro supporto durante la stagione autunnale con ottimi riscontri. L'ultimo weekend è andato in archivio con un numero di presenze in rifugio andate ben oltre le più rosee aspettative, soprattutto domenica. Quando il meteo lo permette, c'è ancora tanta gente sui sentieri; dal canto nostro ci preme offrire il giusto
supporto». Cosa spinge un rifugista ad aprire la propria struttura pur consapevole delle difficoltà del momento? «Questo per noi è un lavoro, è verissimo; e dunque c'è un aspetto legato alle finanze che va tenuto in considerazione. È altrettanto vero che la nostra è soprattutto una passione, quella che nutriamo per la vita di montagna e tutte quelle attività che ruotano giornalmente attorno alla gestione di un rifugio. Personalmente ritengo fondamentale tenere aperto il rifugio per offrire un segnale al territorio. Col rifugio aperto la valle è viva, pronta ad accogliere chi vuole farsi una passeggiata ad alta quota. Noi ci siamo: è il messaggio che vogliamo inviare agli amanti della montagna cadorina».Eppure, come detto, bisogna tenere sott'occhio anche le finanze: come si ovvia alle limitazioni?«Noi stiamo valutando la possibilità di offrire, al territorio di competenza che è quello di Calalzo, un servizio da asporto. Chi viene su da noi per una passeggiata può ordinare il proprio pasto dal rifugio e portarselo a casa sulla via del ritorno. Un take away ad alta quota, mi sembra un'idea interessante».Non solo take away, c'è da soddisfare anche la clientela sul posto nonostante i limiti imposti dal distanziamento sociale.«Abbiamo sedici posti a sedere al momento, li facciamo ruotare garantendo due turni di servizio. Al momento è impossibile fare di più».Chiusura dedicata all'estate appena trascorsa: qual è stato il bilancio?«Soddisfacente, i numeri alla fine non hanno evidenziato gli effetti del Covid. Se i pernottamenti hanno fatto registrare un 40%, le presenze sono state numerose, soprattutto ad agosto. Questo ci ha permesso di recuperare il gap, ridandoci fiducia nonostante le oggettive difficoltà». --dierre© RIPRODUZIONE RISERVATA
Corriere delle Alpi | 26 Novembre 2020 p. 10 Rifugi, inverno difficile: «I ristori? Quasi inutili. L'indotto rischia grosso» Francesco Dal Mas CORTINA «Se chiudono lo sci per tutta la stagione? Noi comunque apriamo, senz'altro a Natale, forse anche all'Immacolata. Meglio ancora se dovessero consentire alle funivie di funzionare, seppur col 50% di copertura». Chi parla è Guido Pompanin che gestisce con la famiglia il Rifugio Lagazuoi. È sicuramente il balcone più celebrato sulle e dalle Dolomiti.È stato suo padre Ugo ad avviarlo, ancora nel 1965. Siamo a 2752 metri d'altezza. Nonostante lo stop allo sci, lei, dunque, ha deciso di resistere. «Il Lagazuoi e altri rifugi di montagna, quelli almeno che sono meta comunque di escursionisti. Anche oggi (ieri per chi legge, ndr) siamo stati raggiunti da una dozzina di appassionati. Noi eravamo aperti per manutenzioni». Dal passo Falzarego sono circa tre chilometri di sentiero o pista da sci. Quindi chi ha gamba vi raggiunge comunque. «Questa estate è andata benissimo. E non solo perché funzionava la funivia, ma anche perché c'era tanta voglia di camminare. Le splendide giornate di ottobre e di novembre hanno registrato il pienone la domenica. Ecco perché immaginavamo una stagione di riscatto sugli sci, nonostante il contingentamento delle linee guida». Quanto rappresenta il fatturato invernale per un rifugio come il vostro? «Almeno un terzo, ma ci sono rifugi per i quali la pista significa il 70% del fatturato. Ecco, quello che non si vuol capire è la drammatica conseguenza che la chiusura avrà sull'indotto. Noi quassù abbiamo 15 collaboratori, che non abbiamo ancora contrattualizzato. Rischiano di rimanere senza lavoro. I rifugi legati alle piste possono contare sulla collaborazione di una decina, forse una dozzina di stagionali ciascuno. E i rifugi sono almeno una quarantina, forse di più. Proprio ieri ho sentito uno dei nostri grossisti che era letteralmente allarmato dalla prospettiva che chiudessimo fino all'Epifania. Immaginarsi tutta la stagione». Ma ci sono i ristori. Ieri sono stati assicurati da vari esponenti del Governo. «Che ce ne facciamo dei ristori, se a tanti del nostro mondo, parlo soprattutto dell'indotto, mancherà il reddito. Abbiamo centinaia di persone addette soltanto ai noleggi». Il sindaco di Cortina, Ghedina, si è detto preoccupato perché i 40 mila che di solito arrivano in città, se non trovano sfogo nelle piste, creeranno megagalattici assembramenti in Corso Italia e lungo le altre vie e piazze. «Ha ragione, è una preoccupazione vera. Ecco perché noi pensiamo comunque di aprire, anche se le persone dovessero raggiungerci a piedi. In Faloria si stanno preparando le piste e anche quel rifugio aprirà. L'area del Col Gallina è praticamente pronta. Si sale in seggiovia, dunque che rischio c'è. Se proprio temono l'affollamento in pista, dovrebbero almeno consentire le passeggiate a piedi e, di conseguenza, la funzionalità degli impianti di risalita». Sono le code all'ingresso a fare paura. «Ci siamo attrezzati già l'estate scorsa per garantire il distanziamento». Per la verità, i tecnici del "Cts" temono anche gli assembramenti nei rifugi di arrivo, nei bar lungo le piste. «Secondo lei, i gestori rischiano di farsi chiudere l'attività non rispettando le prescrizioni. Queste attività sono l'unico reddito per tanti di loro e quindi i rifugisti saranno i più rigorosi». -© RIPRODUZIONE RISERVATA
Corriere delle Alpi | 26 Novembre 2020 p. 10 «Approfittiamo del boom della ciaspe»
SELVA DI CADORE Alzi la mano il rifugista che intende riaprire in quota nonostante la chiusura degli impianti. «Io ci sono», risponde Michela Torre, «Il rifugio ristoro Belvedere, a cima Fertazza, lo confermo, aprrirà il 4 dicembre».Ma ci vuole un'ora e mezza a piedi per arrivare da voi... «L'estate ha dimostrato che tanta gente ha voglia di camminare. Poi, se arriveranno gli impianti, tanto meglio. Ma noi continueremo comunque. Almeno nei fine settimana. E da Natale all'Epifania», insiste la gestrice, «sono fiduciosa nonostante tutto e so di altri colleghi che, dove è possibile, si inventeranno una stagione disegnata su nuove attività. Le ciaspole, per fare un esempio, vengono date in aumento di circa il 30%, perché non approfittarne? Sempre che arrivi la neve», si chiede Michela.Sul Col Agudo, sopra Auronzo, Vinicio Casanova non nasconde comunque la preoccupazione. «Grazie a piste e seggiovia, l'inverno vale il 70% del fatturato. Immagino che non saremmo nelle condizioni di aprire rifugio, bar e ristorante, se lo sci non funziona. Siamo due soci e lavora anche mia moglie, più 4 collaboratori. Siamo tutti senza lavoro».Saranno sufficienti i ristori promessi?«Noi abbiamo bisogno di lavorare. Almeno consentissero alla seggiovia di movimentarsi. È a 4 posti, può viaggiare a 2, con il distanziamento».Già perdere Natale e Capodanno sarebbe un dramma, secondo Casanova; almeno aprissero per l'Epifania. Il suo è un dramma doppio. Di sicuro, anche se la stagione dovesse essere garantita, non ci saranno gli stranieri; qui arrivavano molti ex jugoslavi. -fdm
Gazzettino | 29 Novembre 2020 p. 7, edizione Belluno Rifugio Bruno Boz, il Club alpino cerca un nuovo gestore per la struttura Inizia la corsa alla gestione del Rifugio Boz. A poche settimane dalla decisione di lasciare espressa dagli ormai ex gestori Daniele Castellaz e Ginetta Spada, per 39 anni alla guida della struttura, la sezione Cai di Feltre ha emanato il bando per la nuova assegnazione. Informazioni su web www.caifeltre.it. IL PRESIDENTE CAI«Ci sono arrivate diverse richieste - spiega Angelo Ennio De Simoi, presidente della sezione feltrina del Club Alpino - che stanno a significare un grande interesse per questa attività. Ci sono molti profili qualificati però la decisione ultima deve essere presa da una commissione, ognuno se la gioca». Nulla verrà lasciato al caso e la struttura che sorge a quota 1718 metri sul Gruppo del Cimonega avrà di sicuro una guida all'altezza. L'ASSEGNAZIONENon è un percorso facile quello che porterà alla nomina dei nuovi gestori. Alla chiusura del bando ci sarà una preselezione fatta dalla Commissione rifugi composta da Renzo Zollet, anche vice presidente del Cai Veneto, membro della Commissione regionale dei rifugi e della Commisione medica, che avrà al suo fianco gli ispettori Edi Loat (Rifugio Boz) e Riccardo Foffa (Rifugio Dal Piaz), la segretaria Manuela Cossalter e il presidente Ennio De Simoi. «A fine gennaio - prosegue De Simoi quando arriveranno tutte le domande la Commissione procederà a una prima scrematura della rosa con politiche severe. I nomi rimanenti verranno presentati poi al Consiglio direttivo feltrino che deciderà il vincitore, il tutto entro febbraio». Per arrivare a una decisione sono previsti anche degli eventuali colloqui con i richiedenti per avere un quadro ancora più completo. IL TESSERAMENTOIntanto proseguo le attività tradizionali del Cai di Feltre con l'apertura del tesseramento per il 2021 avvenuta il 20 novembre. «Osserveremo l'andamento del 2021 - dice il presidente - e speriamo che possa essere ancora più positivo di questo anno in via di chiusura. Abbiamo avuto una crescita di 100 unità che ci hanno portato a raggiungere la quota di 2850 soci in totale controtendenza rispetto ad altre grandi sezioni italiane». Per procedere all'iscrizione sarà sufficiente recarsi nella sede di Porta Imperiale al civico 3 nella giornate di martedì e venerdì dalle 17.30 alle 19. Daniele Mammani
NOTIZIE DAL CAI Gazzettino | 13 Novembre 2020 p. 8, edizione Belluno Vigilanza speciale per il Sorapis L'eccessivo affollamento di escursionisti al lago del Sorapis, che si manifesta ormai da alcuni anni, suscita forti contrarietà, ma anche qualche proposta di soluzione del problema. Franco Piacentini, socio Sat e Cai Trento, suggerisce di creare un tavolo istituzionale. L'ipotesi non convince però il sindaco ampezzano Gianpietro Ghedina. L'idea di Piacentini trae spunto da una nuova
protesta, per i comportamenti inurbani che si ripetono su quello specchio d'acqua, anche nelle ultime settimane, con la superficie ghiacciata, con la neve che lo circonda. Egli fa un passo in più: suggerisce alcune possibili soluzioni. LA PROPOSTA «Nei giorni scorsi, opportunamente, un socio Cai della provincia di Venezia ha pubblicamente evidenziato irrispettosi comportamenti di alcuni escursionisti che, anche in questi giorni d'autunno, arrecano danno allo splendido lago Sorapis. Più volte, gli anni scorsi, avevo pubblicamente segnalato anch'io il mancato rispetto ambientale che si verifica in tutte le stagioni al Sorapis. Però non mi sono limitato alla denuncia, ho modestamente indicato possibili azioni di tutela, di rispetto e di valorizzazione della zona». La proposta di Piacentini è la creazione di un nuovo organismo, che possa coordinare azioni di tutela: «Vedrei bene la costituzione di un tavolo permanente ambientale istituzionale, al quale far partecipare gli enti locali; il Parco delle Dolomiti d'Ampezzo; associazioni ambientaliste; organizzazioni del volontariato; Club alpino; confederazioni Cgil Cisl Uil; Carabinieri forestali; Provincia di Belluno; rappresentanze economiche; Regione Veneto». VIGILANZA AMBIENTALE Egli indica inoltre le attività che potrebbe sviluppare questo tavolo: «Programmare e realizzare progetti di lavori socialmente utili, con opportunità occupazionali, anche coinvolgendo persone che beneficiano di ammortizzatori sociali o che ricevono, dallo Stato, reddito di cittadinanza o di emergenza. Organizzare la vigilanza ambientale, per la pulizia e il disinquinamento di tutta l'area del Sorapis. Progetti per l'educazione ambientale. Progetti per eventuali procedimenti sanzionatori per coloro che non dovessero rispettare l'ambiente. Non c'è tempo da perdere: sulla salvaguardia ambientale i sindaci, la Regione, i presidenti di Provincia e del Parco devono urgentemente fare massa critica per scongiurare l'invasione barbarica al Sorapis». STRUMENTI IN ATTO Il sindaco Ghedina, che ha già firmato ordinanze per la tutela di quell'area, contro i comportamenti cafoni di taluni escursionisti, esprime qualche perplessità sulla nuova proposta: «E' sempre opportuno sentire tutti, ma non vedo la necessità di creare ulteriori carrozzoni. Credo non servano altri organismi, con il rischio di appesantire le decisioni. Ci siamo trovati più volte, fra Regole d'Ampezzo e Comune di Cortina: gli interlocutori ci sono. Abbiamo già tutti gli strumenti per poter intervenire». Marco Dibona
NOTIZIE DAI PARCHI Messaggero Veneto | 3 novembre 2020 p. 34, edizione di Pordenone Il sindaco di Erto e Casso prende il posto del clautano Gianandrea Grava Il programma: «Punto a una gestione snella, che potenzi lavoro e sviluppo» Parco delle Dolomiti friulane È Carrara il nuovo presidente Fabiano Filippin Cimolais Fernando Carrara è il nuovo presidente del Parco naturale delle Dolomiti Friulane. Resterà in carica almeno sino a primavera, quando a Erto e Casso, il Comune di cui è sindaco, si tornerà al voto. Carrara prende il posto di Gianandrea Grava, che ha terminato il mandato con la chiamata alle urne di settembre a Claut.«Lavorerò in continuità con Gianandrea Grava e lo ringrazio per quanto ha svolto a favore dell'ente - ha detto il neopresidente -. La sua visione mi ha conquistato sin dal 2017. Ora dobbiamo fare in modo che il Parco entri nel cuore della nostra gente. Pur essendo stato istituito nel 1992, i cittadini non lo sentono infatti come qualcosa di proprio. Le Dolomiti devono diventare un argomento di cui andare fieri».«Lo stesso capita con la fondazione Unesco che i residenti percepiscono come un corpo estraneo - ha continuato il sindaco di Erto e Casso -. Intendo rivoluzionare il funzionamento del direttivo, trasformandolo in una struttura snella e decisionista. Un consiglio di amministrazione che viene chiamato a deliberare su ogni aspetto, anche tecnico, non è utile. Meglio una giunta che decida in fretta dopo aver interpellato gli interessati. Porto l'esempio della vecchia strada della Valcellina, ancora parzialmente inagibile per dissesto. Qualcuno deve prendersi la responsabilità di riaprirla e far decollare il turismo».Carrara ha le idee chiare anche sul fronte delle collaborazioni con i Comuni, le stazioni forestali, i privati come Acqua Dolomia e le riserve di caccia. «Tutte indispensabili e da valorizzare, come dimostra l'esperienza del post Vaia che ha richiesto l'impegno di ciascuno - ha concluso il neopresidente -. Pure la partnership con Promoturismo Fvg va potenziata, visto che c'è ancora chi crede che i Parchi siano due, uno per il Pordenonese e uno per la Carnia. Infine, i lavoratori: si è appena conclusa una mobilità e a breve ci sarà un nuovo concorso. Non si può fare programmazione puntando solo sugli interinali. Quindi reclameremo ulteriori assunzioni».Fernando Carrara è da sempre attento ai singoli progetti di sviluppo di un'area che spesso stenta a farsi conoscere. Di qui l'idea di ricorrere alla tecnologia. «Serve urgentemente un'app che mi dica in tempo reale cosa posso fare
in ogni angolo all'interno del perimetro protetto», è stato il messaggio del sindaco di Erto e Casso. --© RIPRODUZIONE RISERVATA