Il mare in roccia
Presentazione del progetto
Il nome del progetto Il nome del progetto voleva ricordare come nelle rocce si trovino le testimonianze dell'ambiente di sedimentazione, registrato in strutture, fossili e tessitura. Ricchissime di informazioni, le rocce sedimentarie ci illustrano, a volte nel dettaglio, le caratteristiche e gli ambiti geografici dei loro territori di origine fornendo la base per le ricostruzioni paleoambientali. Esempio quasi scontato: i ripple marks nelle siltiti rosse della Formazione di Werfen con i quali possiamo letteralmente toccare con mano la superficie del fondale di un mare di quasi 250 milioni di anni fa.
Carta d'Identità della Formazione In questo riquadro sono state riportate alcune informazioni riguardanti la formazione in oggetto. Non sempre è agevole fornire tali dettagli, ad esempio affioramenti ed età sono solamente esempi e una indicazione. La stessa cosa per formazione precedente e formazione successiva: dipende a volte dal luogo a cui si fa riferimento.
Passato - Presente - Futuro
Ripple marks antichi e recenti
I campioni geologici I campioni geologici ripresi nelle fotografie fanno parte della collezione didattica attualmente utilizzata presso la Scuola Ladina di Fassa e di proprietà di Elisabetta Demattio e Marcello Lancietti. Il blocco di Richthofen ritratto è un campione del Museo Geologico delle Dolomiti di Predazzo donato da Elisabetta Demattio.
La classe e gli studenti coinvolti La classe è la 3LSA del Liceo Scientico All'inizio del progetto gli studenti coinvolti dovevano essere tutti quelli della classe. Durante lo svolgimento ci sono stati numerosi abbandoni e ci siamo ritrovati in pochi a svolgere e completare quanto previsto.
La replica della controimpronta è la copia di un campione ritrovato da Elisabetta Demattio e da uno studente durante un'escursione e ora custodito presso il MUSE. L'acquario fotografato è quello del Naturmuseum di Bolzano.
Il layout Il layout è stato modificato rispetto alla versione originaria e anche molte immagini sono state sostituite per questioni di copyright. Per questo motivo, mancando in parte il tempo, è probabile che ci siano errori per quanto riguarda allineamento di testo e immagini. Il programma utilizzato non è specifico per la grafica e utilizzare la griglia non è stato efficace. Per i numerosi impegni durante il mese di aprile, per noi è stato inoltre impossibile provvedere a fare delle stampe di prova. Siamo disponibili a migliorare il nostro prodotto qualora si ritenga necessario per la diffusione in rete.
Passato – Presente - Futuro Il tempo è stato tiranno, ma nell'idea di partenza si voleva presentare diversi esempi dell'azione dell'acqua nel passato delle formazioni della storia geologica delle Dolomiti, nel presente con esempi attuali e visibili con i nostri occhi, e nel futuro, con il desiderio di fornire qualche spunto di riflessione sull'agire umano. Probabilmente non ci siamo riusciti... La vasca dei ripples . Una vasca sufficientemente grande è stata costruita per generare onde e ripples. In origine si voleva approfondire questo tema installando un motore in grado di muovere una pala con frequenze diverse. Questa nostra impresa è risultata troppo ardua, anche per la scarsità di tempo da dedicare.
Le attività in esterno e le visite ai musei Purtroppo una triste tragedia ha sconvolto la nostra Scuola. Anche il progetto ne è stato in parte travolto. Volevamo infatti organizzare ad inizio progetto un'uscita geologica con il nostro caro collega Dott. Christian Fontana, geologo. Lo ricordiamo in questa sede con stima e nostalgia. Vi è stata la possibilità di organizzare comunque due visite ai musei di Bolzano e di Predazzo.
Le immagini Le immagini utilizzate sono quasi tutte di proprietà degli autori e dei referenti del progetto: - Tommaso Defrancesco, 3LSA a.s. 2017-2018 - Elisabetta Demattio, docente di Scienze Naturali - Marcello Lancietti, Responsabile di Laboratorio. Le altre fotografie utilizzate sono state scaricate, ove non espressamente riferito, da Pixabay (https://pixabay.com/it/) come immagini libere rilasciate con licenza CC0 Creative Commons (Libera per usi commerciali e con Attribuzione non richiesta). Nei pochi altri casi in cui le immagini siano utilizzabili ma soggette ad altre forme di licenza, il riferimento è stato inserito in fotografia.
Gli studenti della 3LSA durante la visita al Naturmuseum di Bolzano durante le spiegazioni presentate dalla paleontologa Dott.ssa Evelyn Kustatscher
Bibliografia Pubblicazioni consultate: - Autori vari. Descrizione delle Formazioni. Commissione Italiana di Stratigrafia. - M. Avanzini, M. Caldonazzi, 2011. Storia Geologica del Trentino. - M. Avanzini, M. Wachtler, 1999. Dolomiti. La storia di una scoperta. Athesia. - A. Bosellini, 1996. Geologia delle Dolomiti. Athesia. - A. Bosellini, 2014. Le Scienze della Terra, 2014. Zanichelli. - A. Mottana, R. Crespi, G. Liborio, 2004. Minerali e rocce. Mondadori. - J. L. Roberts, 1991. Guida alle strutture Geologiche. Muzzio Editore. - materiale originale dei docenti referenti del progetto, come presentazioni, appunti, fotografie, schemi. Note sui files .pdf I files sono stati esportati in pdf parzialmente compressi per non appesantire l'invio. Se serve invieremo i files a massima risoluzione.
Anno scolastico 2017-2018 Classe 3LSA
L'acqua, agente di erosione e di sedimentazione
Passato - Presente - Futuro
Una lunga storia di acqua in azione nel dilavamento atmosferico Terminati i processi vulcanici che formarono vasti espandimenti di lave e porfidi, le rocce esposte in superficie iniziarono a subire processi di smantellamento ed erosione, soprattutto nelle zone più rilevate. Il clima caldo e arido in una zona desertica, probabilmente caratterizzato da ampi sbalzi termici giornalieri, fu uno dei principali fattori nello smantellamento delle rocce vulcaniche. Ma non solo, l'acqua con la sua azione sulla superficie terrestre fu l'ulteriore protagonista della lunga storia di erosione di rocce e minerali, registrata nelle rocce di questa formazione. Con il dilavamento per le piogge e lo scorrimento superficiale, prima libero e poi incanalato nei corsi d'acqua, l'acqua ha lavorato e demolito con pazienza alcune tra le rocce più resistenti, quelle del Piastrone Porfirico Atesino, porfidi e lave. Ma come? L'acqua scorrendo e trasportando detrito agisce abradendo e approfondendo debolezze e solchi. L'incomprensibillmente dilatato tempo geologico, impossibile da afferrare dalla mente umana, porta azioni invisibili ad essere fondamentali: è stimato che l'azione erosiva dell'acqua si sia protratta sui porfidi per più di dieci milioni di anni.
Le Arenarie di Val Gardena
L'erosione sui porfidi Gocce di pioggia L'acqua può agire in superficie come uno degli agenti di erosione più attivi ed efficaci. Anche come goccia di pioggia può agire impattando il terreno, disgregando e spostando piccole particelle di sedimento. La mancanza di vegetazione favorisce questa azione e ad ogni urto il detrito viene allontanato, lasciando come un piccolo cratere. Nell'immagine, un campione di questa formazione testimonia un breve evento di pioggia subito arrestatosi, accaduto circa 260 milioni di anni fa! Affinché un tale evento si possa poi registrare in roccia, occorre che il sedimento si asciughi e che successivamente venga ricoperto da altro sedimento, come nel processo di fossilizzazione delle impronte.
Carta d'Identità della Formazione Roccia prevalente: arenaria Rocce secondarie: conglomerati fini e siltiti Ambiente: pianura alluvionale costiera Età: Permiano superiore, circa 260 milioni di anni fa Affioramenti: dalla zona della Lombardia orientale fino alla Slovenia Fossili peculiari: orme di vertebrati (rettili) Formazione successiva: Formazione a Bellerophon Formazione precedente: Complesso Vulcanico Atesino
Impronte di pioggia
L'acqua deposita in strati I processi di erosione, trasporto e sedimentazione si ripetono per lunghissimo tempo e incessantemente, depositando clasto su clasto: oggi queste azioni del passato sono identificabili nelle stratificazioni che caratterizzano le arenarie, ben visibili soprattutto nelle pareti esposte all'erosione recente. La storia nel ciclo delle rocce continua dunque a ripetersi: passato e presente si accavallano. Lo spessore degli strati di arenaria può arrivare fino a 500 m totali: gli sbalzi di spessore anche a brevi distanze, testimoniano come l’azione fluviale abbia interessato un territorio irregolare, con alti e bassi sulla superficie topografica, determinato dai precedenti processi vulcanici.
Stratificazione inclinata (visibile al centro)
L'azione dell'acqua nei fiumi L'erosione include anche il trasporto. I clasti di demolizione delle rocce presenti furono poi oggetto di trasporto da parte di corsi d'acqua che riuscivano a gonfiarsi durante i periodi delle piogge. Soggetti ulteriormente ad azioni abrasive, formarono via via forme più arrotondate e piccole, come ghiaie, sabbie e limo. I fiumi, scorrendo nelle zone a bassa pendenza, formavano meandri, registrati nelle inclinazione degli strati delle barre di meando, ben visibili tra le stratificazioni orizzontali delle arenarie. A seguito di piene ed esondazioni il detrito veniva anche distribuito in tutte le zone a bassa pendenza dove a seguito della diminuzione della velocità e della competenza delle acque subiva la deposizione e la sedimentazione. Nel tempo, con la demolizione dei rilievi e la deposizione dei detriti nelle zone più depresse, si formò così una grande pianura alluvionale. Le sabbie, di gran lunga la granulometria più diffusa, vennero poi compattate dal susseguirsi della deposizione e dalla pressione litostatica, subendo poi il processo di diagenesi in arenaria.
Strati di arenaria alle Rosse Rosse di Soraga
Controimpronta di rettile
Replica di controimpronta di rettile
Resti di vegetali carbonificati
La conservazione di fossili All'interno di queste rocce si sono conservati resti vegetali come foglie, rami, tronchi e pollini delle piante terrestri cespugliose e arboree (felci, piccole conifere e lepidodendri). Molto più significativa la fauna a impronte di rettili del Permiano. Il processo che porta alla conservazione delle orme parte dal momento in cui un animale cammina su una superficie fangosa intrisa d'acqua. L'impronta che ne risulta si deve prima seccare e poi essere ricoperta lentamente da altro sedimento attraverso il trasporto alluvionale.
Tommaso Defrancesco Tommaso Delladio supervisione di Elisabetta Demattio e Marcello Lancietti
Acque calde e salate
Formazione a Bellerophon
Passato – Presente - Futuro
La formazione a Bellerophon è nata dall’evaporazione dell'acqua in lagune e coste basse Se evapora l'acqua marina, i sali si depositano Prima di 250 milioni di anni fa, nella pianura costiera dove si sono depositate le sabbie della Formazione delle Arenarie della Val Gardena, qualcosa sta per cambiare: la geologia delle Dolomiti si deve confrontare per la prima volta nella sua storia con qualcosa di speciale e nuovo, il mare. Inizia una trasgressione: la linea di costa poco alla volta si muove verso l’interno andando a cambiare totalmente l’ambiente di sedimentazione: la piana costiera si trasformò gradualmente in fasce di lagune e bassi fondali costieri caratterizzati da una forte evaporazione, in questo periodo si formò la ”facies fiemmazza”. Il particolare ambiente, caratterizzato da lagune basse senza ricircolo d’acqua, è detto sabkha ed è soggetto ad una diffusa precipitazione di sali, soprattutto di gesso, sia in strati che in noduli. Con l’avanzare dell’acqua vaste zone furono sommerse e formarono un golfo, dove si depositò la “facies badiota“, che al contrario della precedente, si formò completamente sott'acqua.
Carta d'Identità della Formazione Rocce prevalenti: gesso e calcari scuri Ambiente: sabkha Età: Permiano finale Esempi di affioramenti: Valles, Val Fredda, Val San Nicolò Fossili peculiari: Bellerophon Formazione successiva: Formazione di Werfen Formazione precedente: Arenarie di Val Gardena
Gessi della Formazione a Bellerophon al Passo Valles
Gesso
La facies ”fiemmazza“ In questo periodo il clima era molto caldo e arido, dunque l’acqua marina evaporava con facilità e i sali contenuti nel mare, che erano principalmente gesso (CaSO4·H2O), anidrite (CaSO4) e dolomie scure, non potevano fare altro che precipitare sul fondale marino e accumularsi, fino a formare alcune grandi formazioni rocciose che possiamo osservare nel territorio delle Dolomiti. Ovviamente questa formazione ha impiegato milioni di anni per svilupparsi ai livelli osservabili oggi. In questo strato troviamo principalmente dolomiti chiare alternate a sottili strati marnosi grigi. Negli affioramenti queste rocce appaiono spesso piegati e contorni, deformati da compressioni di origine tettonica.
Gessi della Formazione a Bellerophon tra Passo Rolle e San Martino
La facies ”badiota“ L’innalzamento del livello marino portò la vita all’interno della zona dolomitica; il mare si popolò di molluschi che successivamente, alla loro morte, cadevano sul fondo marino e, per via della poca presenza di ossigeno causata da uno scarso ricircolo di acqua, non si decomponevano subito ma rimanevano sul fondo. Qui si depositavano i calcari, solitamente bianchi, che venivano colorati di nero dai sedimenti organici. Questo è causato dal fatto che gli essere viventi sono ricchi di carbonio che rilasciano poco alla volta dopo la morte. In questa facies non troviamo ovviamente solo calcari scuri ma anche gessi e dolomie, però sempre meno frequenti salendo verso l’alto (ovvero sedimenti più recenti di quelli sottostanti).
Gessi della Formazione a Bellerophon in Val Fredda
Secie del genere Bellerophon Iconographia Zoologica. (Public Domain). Calcare Nero
La Formazione a Bellerophon a contatto con quella di Werfen Gorz, Bletterbach
Il Bellerophon (fossile) I Calcari Neri testimoniano che il mare dolomitico si popolò di una fauna molto ricca, anche di molluschi gasteropodi. In questo gruppo si ritrova un fossile caratteristico di questo strato: il Bellerophon, gruppo ormai estinto. La formazione porta il suo stesso nome, questo perché è un importante fossile guida, cioè un fossile che può essere utilizzato per individuare l’età dello strato di rocce in cui è contenuto; infatti questo tipo di fossile si trova solo in questo determinato intervallo temporale e dunque se in un frammento di roccia si trova questo tipo di fossile, significa che il materiale si è formato per sedimentazione appunto nel Permiano superiore.
Lorenzo Riz Vincent Stambè supervisione di Elisabetta Demattio e Marcello Lancietti
Il mare in roccia
Formazione di Werfen Carta d'Identità della Formazione Rocce prevalenti: marne e siltiti Rocce secondarie: ooliti e altre Ambiente: mare costiero poco profondo Età: Triassico inferiore, circa 250 -245 milioni di anni fa Affioramenti: Trentino Alto Adige, Veneto, Austria, Slovenia Fossili peculiari: bivalvi Formazione successiva: Piattaforme anisiche Formazione precedente: Formazione a Bellerophon
Dove i fiumi incontrano il mare Le rocce di questa formazione raccontano di f iumi che dalla terraferma portavano f ino al mare i detriti prodotti dall’erosione. Sabbia, limo (silt) e argilla si mescolavano ai fanghi calcarei e dolomitici prodotti direttamente in ambiente marino a formare così gli strati grigi, gialli e rossi che compongono le rocce di questa formazione. Le rocce derivate dalla compattazione e cementazione dei sedimenti (diagenesi) assumono così nomi diversi in base al tipo e alle proporzioni relative dei loro componenti, quindi: arenarie, siltiti, argilliti, marne, marne calcare, calcari marnosi, calcari micritici, calcareniti. La Formazione di Werfen sotto i calcari anisici del Corno Bianco, Bletterbach
Passato - Presente - Futuro
Ripple marks antichi e recenti
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L'azione delle onde del mare Il fondale mantenutosi poco profondo nonostante la subsidenza, era spesso soggetto all’azione meccanica delle onde, delle correnti e delle maree, oltre che ad improvvisi apporti di sedimenti che ne ricoprivano velocemente il fondale. Ha così potuto conservare scolpite sulle superfici degli strati molte tracce prodotte dal movimento dell’acqua: ripple marks e strutture da flusso di vario tipo, ma anche mud cracks e impronte di gusci di molluschi, soprattutto bivalvi. Le ondulazioni di spiaggia testimoniano un ambiente di scarsa profondità, infatti le onde influenzano il fondale solo a profondità poco elevate (fino a metà lunghezza d'onda).
Lastra con impronte di solchi da impatto di piccoli oggetti trascinati sul fondale da correnti
Lastra con fossili di bivalvi Oolite della Formazione di Werfen (Cencenighe)
Il moto ondoso Queste piccole palline calcaree il cui diametro è di poco inferiore al mm vengono chiamate ooliti. Attualmente si formano ad es. sulle spiagge delle isole Bahamas per effetto del rotolamento indotto dal moto ondoso. Sui granelli di sabbia mantenuti in costante movimento si crea una crosta di calcare che si accresce lentamente assumendo la forma sferica. Alcuni livelli del Werfen contengono rocce formatesi per l’accumulo e la successiva cementazione di grani di questo tipo. Calcari oolitici sono presenti alla base della formazione ma anche più in alto dove al centro delle sferette si trovano minuscoli gusci di gasteropodi.
Le sferette contenute nell'oolite
Il nome Il nome della formazione deriva dalla cittadina di Werfen, situata nei pressi di Salisburgo, dove vennero studiati per primi i cosiddetti “Roter und bunter Schiefer von Werfen”, in seguito denominati “Werfener Schichten”.
Mud cracks o poligoni di disseccamento
Superficie di strato completamente ricoperta da fossili di molluschi bivalvi
L'acqua in movimento Nonostante gli strati del Werfen siano molto ricchi di fossili, spesso si tratta di numerosi individui di una singola specie, o comunque di un numero esiguo. Inoltre, almeno nella parte inferiore, sono quasi sempre gusci di bivalvi Le valve disarticolate di questi molluschi, tutte orientate nello stesso senso e cioé con la concavità rivolta verso il basso, confermano la presenza diffusa di correnti. Questa posizione è infatti quella che offre meno resistenza al flusso idrodinamico
Modelli composti di molluschi bivalvi, genere Claraia
Le maree I mud cracks o poligoni da disseccamento si formano quando il fango imbibito d’acqua si asciuga e, perdendo l’acqua che aderisce alle minuscole particelle di sedimento, si riduce di volume. In questo modo si crea una rete di fessure che ripete un motivo geometrico tanto più regolare quanto più il fango è omogeneo nella sua composizione e granulometria. Ciò accade di solito quando il fondale marino fangoso rimane esposto all’aria in occasione della bassa marea. Perché le strutture si conservino anche quando il fondale viene di nuovo sommerso è sufficiente che le fessure vengano riempite da altro materiale di tipo diverso.
Martina Costazza Giuliano Talmon supervisione di Elisabetta Demattio e Marcello Lancietti
Passato - Presente - Futuro
Da un'isola al ritorno del mare
Conglomerato di Richthofen Formazione di Contrìn Formazione di Moena Richthofen Carta d'Identità della Formazione Roccia caratteristica: conglomerato Rocce secondarie: siltiti Ambiente: zone emerse alluvionali Età: Triassico medio, Anisico Affioramenti, esempi: Rosengarten, Forca Rossa Fossili peculiari: orme di vertebrati (rettili) Formazione successiva: Formazione di Contrìn Formazione precedente: Formazione di Werfen
Clasti arrotondati in un blocco di Conglomerato di Richthofen
La nuova avanzata del mare verso terra Dopo questa fase di innalzamento di un lembo di territorio e la conseguente regressione marina, lo sprofondamento ricomincia e il mare ritorna a fare da padrone nella storia geologica delle Dolomiti. Anche in questo caso, analogamente alla prima avanzata, si realizza una lenta e inesorabile subsidenza del mare che va a formare vasti ambienti lagunari di mare poco profondo. L'acqua è pulita e limpida, visto che ormai il territorio risulta lontano dalla terraferma: si possono allora depositare fanghi carbonatici di mare basso, cementati in banchi e strati di calcare.
Contrìn Carta d'Identità della Formazione Rocce caratteristiche: calcare e dolomia Ambiente: mare basso lagunare Età: Triassico medio, Anisico Affioramenti, esempi: Contrìn, Col Ombert, Gardeccia Fossili peculiari: alghe calcaree Formazione successiva: Piattaforme ladiniche Formazione precedente: Conglomerato di Richthofen / Calcari scuri di Morbiac / Dolomia del Serla inferiore
Moena Carta d'Identità della Formazione Roccia prevalente: calcare bituminoso con noduli di selce Ambiente: mare profondo e anossico Età: Triassico medio, Anisico Affioramenti, esempi: Dos Capèl, Rosengarten Fossili peculiari: ???? Formazione successiva: Piattaforme ladiniche Formazione precedente: Conglomerato di Richthofen / Calcari scuri di Morbiac
Un intervallo terrestre, ma l'acqua è sempre presente La zona dolomitica è stata soggetta nel Triassico medio a una breve fase regressiva: un innalzamento tettonico aveva portato di nuovo i processi erosivi terrestri a fare da protagonisti. Le rocce del Conglomerato di Richthofen testimoniano questa fase erosiva sulle formazioni precedenti: limi e sabbie si depositarono in zone di piana alluvionale e ghiaie nel greto di torrenti e fiumi.
La Formazione di Contrìn alla testata della Val Contrìn
La Formazione di Contrìn al Col Ombert in Val San Nicolò
Alghe calcaree in un campione della Formazione di Contrìn
Gli organismi possono cambiare l'ambiente in cui vivono? Le alghe, con il loro metabolismo fotosintetico possono modificare l'ambiente in cui vivono, favorendo l'instaurarsi di un ecosistema complesso. Per svolgere la fotosintesi infatti, le alghe prelevano CO2 dalle acque, rendendole temporaneamente meno acide e favorendo la precipitazione anche diretta del carbonato di calcio in soluzione nelle acque marine.
Dimmi che roccia sei e ti dirò in che acque ti sei formata La vita nelle acque limpide e calde Nelle rocce della Formazione di Contrìn sono stati ritrovati in abbondanza resti di alghe calcaree, organismi viventi fotosintetici in grado di costruirsi uno scheletro interno di carbonato di calcio. Nelle acque limpide e poco profonde del territorio dolomitico dell'Anisico poteva infatti penetrare la luce sufficiente per permettere il prosperare di vari tipi di alghe, in particolare le Dasycladacee, tra cui quelle del genere Diplopora. I loro resti in frammenti, successivamente alla loro morte, si depositarono gli uni sugli altri sul fondale, formando poi calcari e dolomie.
La Formazione di Contrìn nella grande piega presente all'imbocco della Val Contrìn
Le acque profonde e anossiche e la roccia “puzzolente” Le rocce della Formazione di Moena si sono formate nei tratti di mare che separavano le lagune, dove il mare era diventato gradualmente profondo. Il fondale del bacino marino era carente di ossigeno e per questo non consentiva la decomposizione completa degli organismi viventi dopo la loro morte. I loro resti si sono accumulati quindi insieme al detrito fine del fondale. Per questo la roccia è un calcare nero e se percossa emana un cattivo odore di uova marce. Conserva al suo interno noduli di selce di colorazione molto scura.
Come attualmente altri organismi costruttori come i coralli costituiscono le specie principali di interi ecosistemi complessi, così probabilmente le alghe calcaree del Contrìn fornivano cibo e riparo ad una ricca comunità marina. La Formazione di Moena, calcare con nodulo di selce
Alghe calcaree in un campione della Formazione di Contrìn
Lorenzo Riz Vincent Stambè supervisione di Elisabetta Demattio e Marcello Lancietti
Chiare, calde acque tropicali
Le piattaforme ladiniche e il mare profondo
Passato – Presente - Futuro
L’arcipelago ladinico I gruppi montuosi delle Dolomiti sono una preziosa eredità del mare triassico. Grandi montagne di roccia calcarea o dolomitica nelle quali l’azione recente dell’acqua, del gelo e della gravità hanno intagliato ripide pareti, campanili, torri, guglie e pinnacoli. Le grandi piattaforme carbonatiche ladiniche sono dovute alla combinazione di due fattori: l’acqua limpida e trasparente che permetteva la vita degli oganismi fotosintetici e la forte subsidenza che forzava le piattaforme ad accrescersi verso l’alto in cerca della luce. Acque tropicali Osservata dall'alto, la zona Dolomitica sarebbe assomigliata probabilmente alle Bahamas: isole e piattaforme in gran parte sommerse, come atolli, circondate e separate le une dalle altre da bracci di mare molto profondi. Un mare dai colori azzurro e blu intenso a seconda della profondità dell'acqua. Anche il clima era probabilmente simile: la zona delle Dolomiti si trovava infatti quasi all'Equatore.
Le acque pullulanti di vita del mare ladinico. Una possibile ricostruzione con specie attuali. Acquario del Naturmuseum di Bolzano
Latemar
Bahamas
Acque calde e limpide di laguna attorniate da fondali profondi Nel Ladinico, il fondale continua a sprofondare sempre di più per effetto della subsidenza, su alcuni blocchi rilevati dei calcari di Contrìn le nuove piattaforme triassiche rispondevano depositando carbonati e crescendo in altezza. Organismi viventi, batteri e alghe, tramite l'azione del loro metabolismo, consentivano infatti una cospicua precipitazione del carbonato di calcio. Queste piattaforme, nate dall'acqua come isole in gran parte sommerse di un arcipelago, mantenevano la parte sommitale sempre a pochi metri dalla superficie. Per questo le acque nella zona centrale erano poco profonde e raggiungibili dalla luce solare: gli organismi fotosintetici che colonizzavano queste strutture potevano prosperare e mantenere un intero ricco ecosistema. Tutto attorno alla zona lagunare, la struttura si raccordava al fondale profondo con rampe inclinate. Sulla piana profonda si depositavano i calcari scuri della Formazione di Buchenstein. Fossili nel Calcare del Latemar
Le dolomie ladiniche poste al di sopra del bancone della Formazione di Contrìn e della Formazionie di Buchenstein. Catinaccio Rosengarten
Dalle acque ricche di carbonati gli strati di calcari La stratificazione orizzontale, caratteristica della laguna interna, è visibile anche oggi nelle zone centrali delle piattaforme. Le stratificazioni inclinate invece sono gli strati che raccordavano la sommità con il fondale profondo.
Latemar, ben visibile le strutture della Piaffaforma strati orizzontali dove erano le acque di laguna pendii inclinati per il raccordo al fondale profondo
Formazione dello Sciliar Carta d'Identità della Formazione Rocce prevalenti: calcari e dolomie Ambiente: piattaforma carbonatica Età: Triassico medio, Ladinico Esempi di affioramenti: Latemar, Marmolada, Viezzena, Catinaccio e altri gruppi ladinici Fossili peculiari: fauna a molluschi Formazione successiva: Vulcanico Ladinico Formazione precedente: Formazione di Contrìn
Formazione di Buchenstein Carta d'Identità della Formazione Rocce prevalenti: calcari scuri nodulari Ambiente: fondale profondo Età: Triassico medio, Ladinico Esempi di affioramenti: Catinaccio e altri gruppi ladinici Fossili peculiari: ammoniti e anche vertebre di un ittiosauro Formazione successiva: Vulcanico Ladinico Formazione precedente: Formazione di Moena
Formazione di Buchenstein
Defrancesco Tommaso Delladio Tommaso supervisione di Elisabetta Demattio e Marcello Lancietti
L'acqua, il solvente I minerali sedimentari per eccellenza e le rocce chimiche I minerali Un minerale è un solido cristallino, di origine naturale e inorganica, che si presenta omogeneo nelle proprietà fisiche e nella formula chimica. I minerali sedimentari derivano da processi di alterazione chimica oppure di dissoluzione a cui seguono trasporto e precipitazione. L'acqua è quindi quasi sempre la protagonista, come solvente di eccellenza nei processi naturali.
Lo scioglimento e la precipitazione
L'acqua è in grado di sciogliere alcuni composti chimici che sono presenti come minerali nelle rocce, a seconda della solubilità delle singole specie. Si generano solitamente equilibri di solubilità in cui a seconda delle condizioni si può avere il fenomeno di passaggio in soluzione oppure di precipitazione.
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Travertino
Calcite
Alcuni esempi di minerali sedimentari I carbonati di calcio I carbonati come la calcite e l' aragonite sono costituiti da carbonato di calcio (CaCO3) ma presentano reticolo cristallino diverso e per questo sono diverse specie minerali. Si formano da acque ricche di carbonato di calcio, sia di tipo terrestre che marino. L'acqua infiltrandosi in rocce calcaree si arricchisce di sali e in condizioni diverse ne permette la precipitazione.
Calcite scalenoedrica
Calcite romboedro di sfaldatura
La dolomite La dolomite, costituente principale della dolomia, da cui prendono il nome le Dolomiti, è un carbonato doppio di calcio e magnesio, di formula chimica CaMg(CO3)2. La dolomite locale si è formata per trasformazione di calcari, probabilmente attraverso l'azione di acque calde di origine vulcanica e ricche di magnesio, anche se i meccanismi sono ancor oggi poco conosciuti.
Dolomite
Gesso in forma di Rosa del deserto
Alcuni esempi di minerali sedimentari I Solfati Tra i solfati (vale a dire i sali con il gruppo SO42-) sono frequenti in natura soprattutto l'anidrite e il gesso, entrambi solfati di calcio, il primo anidro e l'altro idrato. Gli Alogenuri Il salgemma (halite) e la fluorite sono invece alogenuri (sali con ad esempio cloro o fluoro in forma ionica). In genere si formano precipitando direttamente da soluzioni saline soggette a forte evaporazione. Quando il tasso di salinità aumenta superando il limite di saturazione i minerali precipitano. Questo processo avviene in ambienti costieri e marini oppure in cavità profonde con alte temperature.
Scanellature carsiche nel Calcare della Marmolada
I processi carsici: un equilibrio altalenante tra solubilizzazione e precipitazione Per il carbonato di calcio la solubilità in acqua dipende dalla presenza di diossido di carbonio disciolto. Questo gas è molto solubile in acqua, reagisce con essa e forma un acido debole, l'acido carbonico. L'acqua debolmente acida permette quindi lo scioglimento di carbonato di calcio trasformandolo in bicarbonato di calcio, un sale notevolmente più solubile. A seconda della presenza di diossido di carbonio (che dipende da temperatura, pressione, turbolenza e presenza di altre sostanze disciolte), l'equilibrio può variare facilitando la solubilizzazione oppure al contrario la precipitazione. Tutti i fenomeni carsici dipendono da questo importante equilibrio chimico in soluzione acquosa. CaCO3 + H2O + CO2 →← Ca(HCO3)2 insolubile solubile
La Marmolada, Regina di Calcare
Fluorite
In mare, la formazione di rocce chimiche Minerali sedimentari in grandi ammassi rocciosi di possono formare attraverso la precipitazione diretta da acque marine oppure anche attraverso l'azione di organismi viventi, originando ad esempio rocce chimiche come evaporiti, ooliti e calcari, anche di tipo organogeno. La precipitazione può essere quindi anche biotica, tramite la costruzione di parti scheletriche mineralizzate che poi con la morte si andranno a depositare sul fondale, oppure la presenza di organismi viventi, soprattutto alghe, può causare variazioni nel chimismo delle acque (ad esempio nel contenuto di CO2) e favorire la precipitazione. Esempi di rocce di questo tipo sono presenti nella Formazione a Bellerophon (i gessi) e nelle varie formazioni carbonatiche, come Contrìn, Sciliar, Livinallongo e altre.
Benedetta Longo Miriam Pellegrin Alessia Riganti supervisione di Elisabetta Demattio e Marcello Lancietti Sullo sfondo, una formazione gessosa.
Passato - Presente - Futuro
Un mare di Le Dolomiti dell'Antropocene? plastica Un mare di plastica Dall’inizio degli anni ‘50 è cominciato uno dei fenomeni che più hanno incrementato l’inquinamento dell’ambiente: la produzione industriale di plastica. Secondo uno studio di alcune università americane dal 1950 sono stati prodotti circa 8,3 miliardi di tonnellate, 6,3 miliardi dei quali sono già diventati spazzatura. Soltanto tuttavia il 9% della plastica che viene buttata viene riciclato ed il 12% incenerito, mentre il resto dovrebbe finire nelle discariche. Ogni anno però almeno 8 milioni di tonnellate di plastica finiscono negli oceani del mondo e, ad oggi, si stima che via siano più di 150 milioni di tonnellate di plastica negli oceani. Se non si dovesse agire per invertire la tendenza proseguendo con i trend attuali, nel 2050 avremo, in peso, negli oceani del mondo più plastica che pesci. Ma che fine fa la plastica che finisce negli oceani?
Photograph by Maia McGuire. Microplastics. www.flickr.com. No modified. CC BY-NC-ND 2.0.
Microbeads rinvenuti in un prodotto cosmetico. Photograph by MPCA Photos. www.flickr.com. No modified. CC BY-NC 2.0
Da cittadini che cosa possiamo fare? I dati legati al consumo di plastica sono impressionanti. Un uso che è aumentato e aumenta costantemente. Da singoli cittadini l'atteggiamento può essere quello di frustazione e di sentirsi inermi. Ma qualcosa possiamo fare per dirigere la politica commerciale delle aziendi interessate. Ecco alcuni esempi proposti dalla Fondazione Oceans disponibili sul sito.
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Fotograph by Nels Israelson. Seal trapped in plastic pollution. www.flickr.com. No modified. CC BY-NC 2.0
L'impatto sulla fauna marina Il problema più evidente è il rimanere intrappolati nei grovigli di reti e altre plastiche, come ad esempio quelle che confezionano le lattine delle bibite. Tartarughe e foche tra gli esempi rimangono imprigionati tra le plastiche galleggianti. Per le tartarughe marine questo fenomeno rappresenta la principale causa di morte. Asfissia, amputazione di arti, deformazioni per crescita del corpo quando questo è attorcigliato da legacci e infezioni con dolori cronici che impediscono le funzioni vitali. Il percorso delle microplastiche può continuare anche all'interno degli organismi: sono infatti ingerite ed entrano nella catena alimentare, creando così un circolo viziozo in cui la plastica ritorna fino a noi, nel nostro piatto. Sugli animali sono stati osservati gli effetti dell’ingestione, diretta o per sostanze liberate dalle plastiche: soffocamento, abrasioni, infezioni al fegato, blocchi nell'esofago, accumulo nello stomaco e morte per inedia, come per i giovani di molte specie di uccelli marini. In tante specie soprattutto di copepodi si è notata una diminuzione della fertilità e in generale una diminuzione della vitalità dei gameti.
Acqua di plastica Il Great Pacific Garbage Patch è un enorme accumulo galleggiante di detriti, composto per lo più di rifiuti plastici ed è situato nell’Oceano Pacifico, in uno dei punti dove le correnti fanno confluire gran parte dei resti di oggetti abbandonati in mare, e dove più di 100 milioni di tonnellate di rifiuti rimangono intrappolati dalle correnti. Impossibili calcoli precisi, ma le stime ipotizzano una estensione tra i 700.000 km² e fino a più di 10 milioni di km²: un'area grande due volte l’Italia. Il danno ambientale è ingentissimo. Sole, calore e onde sminuzzano resti di bottiglie, buste di plastica, suole di scarpe, spazzolini da denti, siringhe e altri oggetti quando questi si trovano sulla costa. Integri o in frammenti questi finiscono poi negli oceani e trasportati anche sulle coste più remote. Molti dei detriti plastici risultanti possono anche andare a fondo, incrostati da piccoli organismi. In questo ammasso pacifico la concentrazione delle parti in plastica è di dieci volte quella del plancton.
Immagine sfondo: Photograph by Kevin Krejci, Plastic Ocean. Ocean Beach in San Francisco. www.flickr.com. CCBY2.0.
I microbeads, le microplastiche Le microplastiche sono piccole particelle di materiale plastico dalle forme più varie, come frammenti, palline o fibre. Le microplastiche provengono da diverse fonti tra cui la cosmetica, l’abbigliamento e i processi industriali. Le microplastiche vengono generalmente suddivise in 2 tipi: primarie e secondarie. Con il termine primarie si intendono le microplastiche di produzione di base, utilizzate dalle varie aziende per la produzione degli oggetti. Per microplastiche secondarie si intendono quei piccoli frammenti di plastica che derivano dalla degradazione dei rifiuti di plastica più grandi. Queste microplastiche persistono nell'ambiente in grandi quantità, soprattutto negli ecosistemi marini ed acquatici, perché una volta in acqua la loro degradazione viene impedita. Ultima trovata: i microbeads utilizzati nei prodotti cosmetici, che, piccolissimi, finiscono direttamente nelle acque di scarico e negli oceani!
Una nuova roccia, dal sedimento ricco in plastiche alla PLASTIC ROCK del futuro! Analizzando campioni prelevati da 12 siti nell’Oceano Atlantico, nel Mar Mediterraneo e nell’Oceano Indiano tra il 2001 e il 2012, alcuni studiosi hanno scoperto che un grande quantitativo di microplastiche che si era accumulato sul fondale. Le fibre sono state trovate a profondità che, a seconda dei mari, variavano da 300 a più di 3000 metri. Il loro volume supererebbe di 1.000 volte quello della plastica che galleggia in superficie. La presenza di questi sedimenti, aggiunti a quelli naturali che già si trovano sui fondali potrebbe dare origine oer diagenesi ad un nuovo tipo di rocce, appunto definite PLASTIC ROCK. L'Antropocene verrà registrato attraverso i suoi “fossili di plastica”! Tra centinaia di milioni di anni chissà un'altra specie intelligente potrebbe studiare le montagne generatesi dal sollevamento di queste rocce, le nuove Dolomiti dell'Antropocene!
Photograph by Susan White/USFWS. www.Flickr.com. No modifed. CC BY 2.0
I plastiglomerati I plastiglomerati sono “rocce” scoperte recentemente su alcune spiagge. I plastiglomerati si formano in condizioni di intenso calore a contatto con ingenti quantità di detriti di plastica. Una situazione ideale può essere ad esempio un incendio in spiaggia o una colata di lava. I plastiglomerati clastici sono i più comuni e consistono in plastica fusa che formando strutture “rocciose” ingloba oggetti come conchiglie, coralli, basalto, detriti legnosi e sabbia, quelli in situ invece consistono in plastica che fondendosi sulla roccia viene incorporata nello strato superficiale della crosta terrestre infiltrandosi per esempio in cavità naturali. I pezzi di plastica saranno quindi i “fossili” del futuro?
Sebastiano Rasom Caterina Zulian Aurora Iellici supervisione di Elisabetta Demattio e Marcello Lancietti
L'acqua è selettiva
Le rocce clastiche
Passato - Presente - Futuro
L'acqua sceglie quale detrito trasportare e quale depositare Il dilavamento superficiale e il ruscellamento, con masse d'acqua incanalate come torrenti e fiumi, trasportano sedimento di grandezza diversa a seconda della competenza dell'acqua. Se questa diminuisce improvvisamente, per esempio per un cambiamento di pendenza, i detriti che il fiume non riesce più a trasportare vengono depositati. Attraverso lo studio dei clasti che compongono la roccia è possibile risalire all’ambiente di formazione di essa: la dimensione dei clasti riflette l’energia dell’ambiente in cui sono stati deposti (più piccoli sono, più l’ambiente era tranquillo), mentre dall’arrotondamento si deduce l’intensità del mezzo che li ha trasportati e la durata del trasporto.
Un torrente può trasportare detrito di diversa granulometria a seconda di pendenza e di competenza. Avisio. Piccolo rio sulle Arenarie di Val Gardena. Il ciclo sedimentario si ripete.
Le rocce dal detrito, una storia di erosione e di sedimentazione da parte dell'acqua Le rocce clastiche si possono suddividere in categorie a seconda delle dimensioni dei clasti che riflettono il tipo di trasporto e la selezione operata dall'acqua: - conglomerati e brecce con clasti di dimensioni maggiori di 2 mm, i primi arrotondati e le seconde spigolosi, a seconda del trasporto lungo o modesto da parte dell'acqua in torrenti con una certa pendenza o della gravità - arenarie (o areniti) con clasti di dimensioni tra 2 mm e 1/16 di mm, sono sabbie cementate (ricche di granuli di quarzo e altri materiali) derivanti da sabbie di ambiente desertico, dune litorali, ambiente alluvionale, costiero o di bassifondi marini. - peliti con clasti finissimi dalle dimensioni inferiori a 1/16 di mm; si depositano sui fondi di grandi laghi, al largo dei delta, in mare aperto o in pieno oceano; si possono distinguere in siltiti e argilliti, le ultime sono le più fini con diametro medio dei clasti inferiore a 1/256 mm.
Il Bletterbach trasporta detrito fine in sospensione ma lascia detrito di maggiore dimensione
Conglomerato Conglomerato della Marmolada, xona Padon.
Arenaria della Formazione delle Arenarie di Val Gardena. All'interno un clasto di maggiori dimensioni.
Altre rocce che ci narrano di fiumi e di mare Rocce frequenti in ambiente dolomitico sono anche le marne, composte da mescolanze di silt e argille di origine detritica e di carbonati di origine chimica; in genere sono grigiastre e lisce al tatto.
Dal detrito alla roccia, un ulteriore capitolo del ciclo delle rocce I processi che caratterizzano la formazione di rocce sedimentarie a partire dalla deposizione dei detriti prendono il nome di diagenesi. L’acqua trasporta i detriti e li sedimenta poi tocca a temperatura e pressione. 1. Compattazione ed esplusione dell'acqua: è la prima fase della diagenesi. Gli spazi tra i clasti si riducono a causa della pressione litostatica dovuta al peso del sedimento sovrapposto 2. Cementazione: se i minerali presenti nell’acqua precipitano, formano un vero e proprio cemento che lega tutti i clasti. A seconda del momento in cui avviene, la matrice (o cemento) formerà una percentuale più o meno grande della roccia sedimentaria. 3. Ricrillistazione: è la modificazione della mineralogia e della tessitura della roccia. Esistono 2 tipi di modificazioni: - neomorfismi: consistono nelle trasformazioni isochimiche - sostituzioni: sono le trasformazioni a sistema aperto Essa comprende anche la dissoluzione dei minerali più instabili (come l’aragonite), i cui clasti si uniscono al cemento. Un esempio è la dolomitizzazione, ovvero la sostituzione del calcio da parte del magnesio: 2CaCO3 + Mg2+ → CaMg(CO3)2 + Ca2+
Marne della Formazione di Werfen
Siltiti del Campìl della Formazione di Werfen
I processi diagenetici avvengono a temperature fino ai 200° (oltre si entra nei processi del metamorfismo) e pressioni di 2-3 bar.
Luana Tomasi Giulia Trolese supervisione di Elisabetta Demattio e Marcello Lancietti
Il mare in roccia
Ripples
Un ripple mark o semplicemente ripple (termine inglese che significa increspatura) consiste in un’ondulazione che si forma sulle superfici di materiale sciolto, ovvero delle sabbie fini o silt grossolano, per azione del vento, del moto ondoso o delle correnti.
Passato - Presente - Futuro
Moto ondoso in acque calme I ripples possono essere formati da due diverse modalità, individuabili tramite la morfologia del profilo: in dipendenza dall’intensità della corrente che li genera, possono essere simmetrici e asimmetrici. Le composizioni simmetriche vengono originate dal moto ondoso in acque calme, ogni onda al suo passaggio genera dei piccoli vortici che si spostano avanti e indietro sul fondo trasportando i detriti per saltazione, sospensione e trascinamento. Queste strutture presentano dei tipici avvallamenti arrotondati e ampi, separati tra loro da delle piccole creste strette e a forma di cuspide.
Ripple marks nella Formazione di Werfen
Moto turbolento di flusso Le oscillazioni asimmetriche prendono origine dal moto turbolento di un flusso che scorre su una superficie di deposito, tali formazioni presentano il lato anteriore, sotto corrente, più inclinato, e l’altro, sopra corrente, meno inclinato. La differenza di inclinazione permette di determinare la direzione del flusso responsabile della formazione del ripple. In particolari casi, grazie a queste strutture è possibile stabilire la polarità stratigrafica, ovvero il riconoscimento della sua giacitura originaria.
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Ripple marks nella Formazione di Werfen
La vasca per i ripple Per riprodurre la formazione di queste strutture sedimentarie è stata realizzata una vasca in legno verniciato e con un lato trasparente in vetro per rendere visibile il moto ondoso in sezione e gli effetti che esso genera sulla sabbia. La sabbia è stata prima di tutto lavata per eliminare il detrito più fine e renderla più omogenea, è stata distribuita sul fondo della vasca in uno spessore di 4-5 cm e successivamente coperta con acqua. Misure dei ripples costruiti in vasca Misure dell'onda utilizzata
La vasca per i ripple Il modo ondoso di flusso è stato generato meccanicamente con un'asse larga quanto l'interno della vasca; essa è stata spinta in avanti in maniera tale da generare un moto ondoso che si trasmetteva lungo tutta la lunghezza della vasca fino a riflettersi sulla parete opposta, generando una sorta di risacca. Dopo che l'onda è tornata sulla tavola di innesco si compie un’altra spinta per fornire ulteriore energia all’onda che durante il tragitto ha perso intensità. Dopo una ventina di minuti di costante lavoro si inizieranno ad intravvedere le prime increspature.
Martina Costazza Giuliano Talmon supervisione di Elisabetta Demattio e Marcello Lancietti