ARMI E BAGAGLI Abbiamo la responsabilità di non dimenticare mai i motivi che provocano conflitti, esodi, eccidi...
L’indifferenza nutre la guerra
Diritto alla pace
Wsa 2 Ildipercorso quest’anno
Parto dalla guerra, tutta la guerra, ovunque milioni di esseri umani in movimento. Le agenzie del- tabili, così come non lo sono fame, ingiustizie e disusia, come effetto e non solo causa di disgrazie. l’Onu dicono che i profughi saranno 250 milioni – cioè guaglianze. Quello che sta accadendo in Siria o in Credo si debba imparare a cambiare prospettiva, metà della popolazione dell’Unione Europea – entro il Iraq, con il massacro di donne, uomini e bambini, la a guardare gli eventi del pianeta dalla cima della mon- 2050. Dobbiamo immaginarli mentre lasciano città distruzione di luoghi e città, non è il normale dipanarsi tagna e non dal fondo valle. bombardate o campagne rese sterili, aride oppure ce- della violenta storia umana. Il massacro di 500 mila Delle 33 guerre in corso in questo momento, po- dute alle multinazionali. Se li state immaginando, ave- esseri umani solo perché yazidi – è accaduto due anni chissime hanno un profilo – come dire – classico. Tut- te una visione netta del futuro. La loro fuga – lo dico- fa – c’è stato semplicemente perché lo abbiamo perte si combattono fuori dagli schemi. Gli eserciti sono no sempre le statistiche – sarà determinata solo in messo, perché non ci siamo ribellati alla catena di avquasi sempre irregolari. Le armi che si parte dalle guerre. Mancanza di cibo, di venimenti che ha portato a quell’eccidio. L’Isis, il granusano sono sì sofisticate, ma usate in diritti, di libertà faranno il resto. de nemico del momento, di questo momento, ha ocLa guerra nasce modo primitivo. A scontrarsi sono quasi tendenzialmente laddove Così i civili in fuga aumenteranno, cupato lentamente l’Iraq che avevamo occupato, poi la sempre bande che vogliono conquistare ogni anno, per decine di ragioni. Nel Siria che abbiamo abbandonato a se stessa. Lo ha l’equilibrio nella potere e ricchezza, quasi mai stati che 2015 erano 60 milioni. Ne sono arrivati fatto arrivando a monopolizzare l’attenzione di tutto e si fronteggiano per il controllo di un ter- distribuzione di risorse 1 milione e 100 mila in Europa, quasi di tutti. Così non ricordiamo che la guerra è anche in ritorio. Insomma, lo schema del gioco è e ricchezze viene meno. 200 mila in Italia. Un individuo ogni Mali, Centrafrica, Nigeria. Rispondete a una domanda: cambiato, i giocatori sono cambiati. Le Nel mondo 126 milioni 122, nel mondo, oggi è profugo. Vuol sono tornate a casa le ragazze rapite da Boko Haram vittime no, quelle sono sempre le stesdi persone detengono dire che, statisticamente, tutti ne do- due estati fa? Ne sapete qualcosa? se, ma è un’altra storia. Soprattutto, però, continuiamo a non ricordare le il 56 per cento del reddito vremmo conoscere almeno uno. In EuSe questo è vero, parlare di guerra ropa arrivano soprattutto da cinque ragioni che hanno portato a queste guerre. Dimentilimitandosi a quello che militarmente accade o ai dise- paesi, tutti colpiti da conflitti: la Siria, l’Iraq, l’Afghani- chiamo che i diritti umani sono calpestati, che 800 gni della geopolitica non basta più, così come non ba- stan, la Somalia e il Sudan. Negli ultimi anni ci sono milioni di persone rischiano la morte per fame, che sta analizzarne le conseguenze, i danni. Meglio lavora- stati flussi importanti anche da Mali e 200 milioni non hanno alcun accesso re sulle cause e ragionare su quelle. Repubblica Democratica del Congo. all’istruzione, che 2 miliardi di vite sono Dimentichiamo che La guerra nasce tendenzialmente laddove l’equiliMolti luoghi, numeri allarmanti: sotin pericolo perché non hanno acqua. i diritti umani sono brio nella distribuzione delle risorse e delle ricchezze tolineano che ingiustizie, eccessivo Nulla è separato, questo ci risulta calpestati: 800 milioni evidente viene meno. Ad esempio: sul pianeta siamo 7 miliardi consumo delle risorse, cattiva gestione se guardiamo il mondo dalla di persone rischiano e 200 milioni, più o meno. Tanti, siamo in tanti, eppure della terra, diritti umani calpestati creacima della montagna. Tutto è collegato, la morte per fame, appena 126 milioni di individui – cioè solo l’uno e set- no sempre più disperazione. Di fatto connesso, interdipendente. Una “non tantacinque per cento – si mette in tasca il 56 per ogni 4 secondi una persona nel mondo 200 milioni non accedono scelta” qui, porta a una guerra là. È cento del reddito mondiale. Un po’ squilibrato. Uno diventa rifugiato o sfollato. Quasi la all’istruzione e 2 miliardi sempre stato così. La differenza è che squilibrio che si ripete poi in ogni singolo paese, se è metà sono minori. Attorno a questo, oggi abbiamo gli strumenti per saperlo. sono senz’acqua vero che in Italia 5 mila famiglie controllano l’80 per prosperano le guerre, si alimentano. Abbiamo l’informazione che ci gira tra cento del patrimonio totale. Tutto questo accade davanti ai nostri occhi. Capire co- le mani alla velocità del pensiero. L’altra differenza è Il divario fra poveri e ricchi del pianeta cresce e sa stia accadendo, significa avere gli strumenti per che ora abbiamo gli strumenti per dire cosa è bene e crea fratture sempre più insanabili. Anche perché il conoscere le ragioni del fenomeno e comprendere i cosa è male. La Dichiarazione universale dei diritti delpovero moderno – a differenza di un tempo – sa be- motivi degli individui: in 40 paesi africani su 53, la la persona ha tracciato questo confine, lo ha reso nissimo di essere povero e conosce a grandi linee la speranza di vita è inferiore ai 40 anni. In Italia è supe- chiaro, visibile, vicino. È una specie di libretto di istrusituazione dei luoghi più ricchi. Così, tenta la fuga, la riore agli 84. zioni: seguirle significa evitare guai. inevitabile fuga. O se volete, cerca di conquistare spaLa guerra vive di tutto questo, si nutre nel nostro Raffaele Crocco giornalista Rai e direttore dell’Atlante zio vitale, quello che la povertà gli nega. non capire o nella nostra indifferenza rispetto ai prodelle guerre e dei conflitti del mondo Il risultato è che dobbiamo allenarci a immaginare blemi. Le guerre – questo è il punto – non sono inevi-
Formazione
alle “guide” 4 Parola degli insegnanti
Nelle scuole
per oltre 5 Percorsi 3 mila studenti
WorldSocialAgenda
II
Armi e bagagli Le opere d’arte presentate in questo Dossier sono frutto del percorso educativo realizzato al liceo artistico Modigliani nel corso dell’anno scolastico 2015-16.
A destra, Fuori l’orrore di Averion Malveda Ashley, classe 3D.
LA DIFESA DEL POPOLO 8 MAGGIO 2016
PROGRAMMA 2015-17 Una riflessione per scoprire il valore della pace in grado di trasformare anche i peggiori conflitti
Armi e bagagli che narrano la nostra storia armi e bagagli” è un’espres “Fare sione che fa parte del linguaggio
de da perseguire per prevenirla, per contrastarla, per contenerla, che quecolloquiale. Quando per diversi motivi st’ultima sia una storia di pace in cui (lavoro, amicizia, vacanza...) lasciamo l’umanità si allena per riconoscere e un luogo o una situazione portiamo trasformare un conflitto. È solo in quecon noi gli oggetti più cari, quelli più sta accezione che riconosciamo un vautili, quelli che ci piacciono di più. An- lore positivo al conflitto: essa prevede che i nostri sentimenti. Perché i nostri la necessità di far convivere pacificabagagli sono fatti con la testa, ma pure mente le differenze, non di annientarle. con il cuore. L’espressione ricorda che L’immagine delle due dita che ricoqualcosa è terminato e che qualcosa di struisce il simbolo del percorso rapprenuovo, inedito, ci attende. senta questa convinzione. C’è un dito Quando abbiamo adottato que- puntato, arrogante, che viene intercetst’espressione come sintetato da un indice delicato, si del programma della gentile, che lo respinge; World social agenda 2015non c’è forza, né violenza Quest’anno la Wsa 2017 sembrava riassumesnell’atto dell’opposizione: se in modo emblematico, è centrata sulle guerre è un gesto però irriverene il diritto alla pace. anche se ambiguo, il mote, convinto, sfidante. Il prossimo anno mento storico che stiamo La scena si svolge su vivendo su scala globale. scolastico, avrà come uno scenario che porta in L’espressione, dopo sé la profondità cromatica focus le migrazioni quasi un anno di lavoro, ci del suolo, della terra che convince sempre più. Le ci accumuna. La guerra armi, strumenti di guerra che ripudia- non è mai una risposta, neppure quanmo, e i bagagli, strumenti del viaggio a do è animata dalla volontà di portare noi cari, sono simboli forti che raccon- pace. Tra le opzioni “Si vis pace, para tano le vicende della nostra umanità. bellum” e “Si vis pacem, para pacem”, Il primo anno del programma, quel- solo quest’ultima ha senso per l’umanilo in corso, è concentrato sulle guerre e tà. In essa tutti e tutte possiamo divensul diritto alla pace, mentre il secondo, tare, come diceva Alexander Langer, che inizierà con l’anno scolastico «facitori di pace», anzi, di paci: il plu2016-17, sarà focalizzato sulle migra- rale ricorda che non c’è soluzione che zioni. possa andare bene universalmente per Al centro c’è la convinzione che la ogni luogo; il percorso di pace è semguerra sia solo una delle soluzioni pos- pre difficile e mai conosciuto in anticisibili, che diventi inevitabile soltanto po. pagina di Sara Bin quando scoppia, che ci siano altre stra-
GUERRA E PACE Quasi sempre le storie di guerra hanno il sopravvento. Vanno trasformate le categorie mentali
Innescare racconti di pace per un mondo nuovo
In basso, a sinistra Salpiamo di Ludovica Bellussi, classe 4D. A destra, Vita di Lisa Zaggia, classe 3D.
Tra guerra e pace è la prima a domina- nobilitando quanto in silenzio viene fatto per re la nostra cultura, secondo la quale evitare che ogni divergenza diventi un conflitto portare le armi per essere difesi e difen- bellico. Attraverso la narrazione si può costruire dersi è un diritto-dovere di ogni cittadino. Così una realtà differente, quindi le sue immagini e le guerre sono entrate a far parte del nostro gli immaginari che la compongono. campo visivo. Chi finanzia le guerre? Cosa sono le spese Dove sono le guerre di oggi? Cosa significa militari? Quanto il commercio di armi vive di guerre umanitarie, preventive, conflitti? Basta guardare una carinternazionali, civili? La pace, inta delle guerre per capire che si Il nemico è l’altro vece, sembra un’utopia inavvicitratta di un mercato fiorente; il che costruisco per nabile, soprattutto se la si consiperdurare di situazioni belliche è dera non come la fine di una opposizione a me stesso garanzia della sua sopravvivenza. grazie a un’opera guerra, bensì come fondamento Da un lato, molte banche si fanno di influenzamento di ogni società. Nella guerra e garanti (e investitrici) di un settore nella pace ci sono le persone e la cui regolamentazione però è che mi convince che le storie; quelle di guerra sono ancora insufficiente e scarsamennon potrebbe essere sicuramente tra le più raccontate rispettata. Dall’altro, tra chi lotdiverso da così te. Esaltano gli eroi, i sopravvista per il disarmo, c’è chi cerca la suti, attraverso simboli di virilità e di forza, ma legge e il suo rispetto per “un’altra difesa possianche il potere dei vincitori, avvolti dallo spetta- bile” e c’è chi rifiuta totalmente ogni forma di colo che anima i trionfi. “difesa” perché ritenuta prerogativa di un conI racconti di pace, invece, sono storie troppo flitto, come pure il mantenimento dell’idea stespoco narrate, perché timide, silenziose, spesso sa di nemico. prive di effetti speciali. Iniziare a raccontarli, può Chi è costui? Lui non è forse te? Il nemico è aiutarci non solo a mettere ordine nella memo- l’altro che costruisco per opposizione al mio sé, ria, ma anche a dare un altro senso alla storia, grazie a un’opera di influenzamento che mi
convince che non potrebbe essere diversamente che così: io profondamente buono, corretto, lui profondamente cattivo, sbagliato. Anche dall’altra parte agisce lo stesso meccanismo persuasivo. Anch’io posso essere “nemico” per qualcun altro: entrambi ugualmente persone, anche se differenti. Come non lasciarsi interrogare dalla costruzione di una categoria? Come percorrere lo spazio del rispetto dell’altra persona, la comprensione, la volontà di conoscere e conoscersi per creare le premesse del dialogo tra le parti? Nel costruire i nemici i media giocano un ruolo importante, come pure nel far esistere o cancellare una guerra e i suoi protagonisti, vincitori o vinti che siano. Alla ricerca di effetti bellici da spettacolarizzare, spesso i media ne tralasciano la disarmante quotidianità in cui la brutalità è consuetudine di vita, abita i luoghi e il tempo, e di fatto le persone. I contenuti sul tema delle guerre e del diritto alla pace sono stati raccolti in worldsocialagenda.org Ogni riflessione che dovesse nascere da essa può essere condivisa con chi ha elaborato questi spunti: info@fondazionefontana.org
Le guerre vanno bandite tutte e condannate, perché quando si inizia una guerra non sappiamo mai le conseguenze, la storia ce lo insegna e, come detto al preludio della seconda guerra mondiale: «Tutto può essere salvato con la pace, ma tutto può essere perso con la guerra»; non c’è ombra di dubbio. dal blog “Armi e bagagli” armiebagagli2016.wordpress.com
FondazioneFontana 왗
LA DIFESA DEL POPOLO 8 MAGGIO 2016
왘 Armi e bagagli In basso, Libertà di Alessia Lorenzi, classe 4D, liceo Modigliani.
III
DENTRO ALLA STORIA Solo dopo i massacri del ’15-’18, gli stati con il patto Briand-Kellog mai attuato bandirono la guerra
La tardiva legittimazione della pace 왘
È legittimo fare guerra? Sì e
no: sì per legittima difesa e no come strumento di politica internazionale. Una cosa è certa: è solamente attraverso la progressiva erosione del diritto degli stati alla guerra che nasce e si rafforza il diritto degli individui alla pace. Un processo ancora in divenire poiché la guerra come male necessario, inevitabile e giustificabile, tende ancora oggi a restare nell’immaginario e nel linguaggio politico. Tanto più lo era alla metà del 19° secolo, laddove il ricorso alla guerra era un “naturale” strumento dello stato per dirimere controversie, per acquisire potere e ricchezze. Furono le preoccupazioni innescate dalle guerre moderne, combattute con armi sempre più tecnologiche e offensive, ad attivare una riflessione sulla
PER APPROFONDIRE LIBRI Izzeldin Abuelaish, Non odierò, edizioni Piemme, 2011. Anna Bravo, La conta dei salvati. Dalla Grande Guerra al Tibet: storie di sangue risparmiato, Laterza, 2013. Ishmael Beah, Memorie di un soldato bambino, Neri Pozza, 2007. David Grossman, Con gli occhi del nemico. Raccontare la pace in un paese in guerra, Mondadori, 2007. Igiaba Scego, Adua, Giunti, 2015. Ngugi Wa Thiong'o, Sogni in tempo di guerra, Jaca Book, 2012. Andrea Sceresini e Lorenzo Giroffi, Ucraina la guerra che non c’è, Baldini&Castoldi, 2015. Tiziano Terzani, Lettere contro la guerra, Tea, 2002. Wu Ming 1, Cent’anni a Nordest. Viaggio tra i fantasmi della guera granda, Rizzoli, 2015. Zerocalcare, Con il cuore a Kobane, fumetto pubblicato su Internazionale, 16 gennaio 2015. Per i più piccoli Davide Calì, Il nemico, Terre di mezzo, 2013. Manuela Dviri e Sergio Staino, Shalom, Omri. Salam Ziaad. Sinnos Editrice, 2007. Sennell Joles, La rosa di San Giorgio, Piemme 1994. Dr Seuss, La battaglia del burro, Giunti junior, 2002. Chiara Carminati, Fuori fuoco , Bompiani, 2014. Luca Cognolato e Silvia Del Francia, L’eroe invisibile, edizione Einaudi, 2014. Zlata Filipovic, Diario di Zlata, Rizzoli, 2013.
FILM Hotel Rwanda (di Terry George; Canada/Gran Bretagna/Italia/Sudafrica, 2004). Il grande dittatore (di Charles Chaplin, USA, 1940). I ponti di Sarajevo (registi vari, Europa, 2014). Timbuktu (di Abderrahmane Sissako, Francia/Mauritania, 2014). Torneranno i prati (di Ermanno Olmi, Italia, 2014). Valzer con Bashir (di Ari Folman, Israele/Germani/Francia, 2008).
guerra e a dare voce ai primi movimenti pacifisti. Se la messa al bando della guerra non era ancora una possibilità, la sua umanizzazione (come sancito alle Conferenze dell’Aja del 1899 e 1907), per quanto razionalmente illogica, appariva comunque una necessità. Fu però solo dopo il bagno di sangue che attraversò il mondo tra il 1914 e il 1918 che si formulò un accordo con cui per la prima volta nella storia dell’umanità gli stati rinunciavano alla guerra, prerogativa per eccellenza del principio di sovranità: la guerra veniva a essere spogliata proprio di questa sua caratteristica, della sua liceità. Il patto BriandKellog del luglio 1928 impegnava le parti contraenti a «condannare il ricorso alla guerra per la risoluzione delle divergenze internazionali e a rinunziare a farvi ricorso come strumento di politica nazionale nelle relazioni reciproche». Nonostante la numerosa adesione di stati, il patto non trovò mai applicazione, come i tragici eventi della seconda guerra mondiale avrebbero platealmente dimostrato. Fu sempre la paura a indurre le Nazioni Unite, vincitrici della coalizione nazista, a costituirsi in un’Organizzazione multilaterale che si propose di perseguire la pace e mise ufficialmente al bando la guerra “quale strumento di risoluzione delle controversie”. L’Onu nacque uffi-
cialmente nell’ottobre 1945, sulle ceneri della devastazione della guerra, degli orrori della Shoah e dello scoppio delle prime bombe atomiche che rasero al suolo Hiroshima e Nagasaki. Proprio quest’ultimo atto impresse il timore diffuso di un rischio per la sopravvivenza del genere umano nel caso di una nuova conflagrazione mondiale. Fu dunque «per salvare le future generazioni dal flagello della guerra, che per due volte nel corso di questa generazione ha portato indicibili afflizioni all’umanità» che la pace varcò la stanza dei bottoni della politica globale. La liceità della guerra sarebbe da allora stata o meno riconosciuta, e dunque autorizzata, solo dal Consiglio di sicurezza dell’Onu. Pace, democrazia e tutela dei diritti umani emersero come aspetti strettamente legati l’uno all’altro. Come ricorda Norberto Bobbio: «Senza diritti dell’uomo riconosciuti o protetti non c’è democrazia; senza democrazia non ci sono le condizioni minime per la soluzione pacifica dei conflitti. Con altre parole, la democrazia è la società dei cittadini, e i sudditi diventano cittadini quando vengono loro riconosciuti alcuni diritti fondamentali; ci sarà pace stabile, una pace che non ha la guerra come alternativa, solo quando vi saranno cittadini non più di questo o quello stato, ma del mondo». 왘 Miriam Rossi
L’obiezione di coscienza è un’obiezione morale, etica e religiosa all’utilizzo della violenza. Non so se sarei la stessa persona se avessi fatto il militare, so che quello che ho imparato, quello che sono oggi è anche frutto di quell’esperienza. dal blog “Armi e bagagli?”: armiebagagli2016.wordpress.com
LA STRENUA BATTAGLIA DI PAPA FRANCESCO Conflitti, armi, migranti: le nostre innegabili responsabilità
«Smettere di inviare armi è il primo passo»
ritorno dal viaggio a Lesbo, l’isola greca porta 왘 Did’ingresso di migliaia di profughi, al giornalista che
gli chiedeva perché non fa differenza fra chi fugge dalla guerra e chi fugge dalla fame, papa Francesco ha risposto che «tutti e due sono un effetto dello sfruttamento». «Io inviterei i trafficanti di armi, quelli che le procurano ai gruppi in Siria per esempio, a passare una giornata nel campo profughi che ho appena visitato a Lesbo. Credo che per loro sarebbe salutare», ha aggiunto il papa. Sono numerose le occasioni in cui il santo padre ha puntato l’attenzione sui «fabbricanti di armi che sono mercanti di morte, evidenziando come «tante persone potenti non vogliono la pace perché vivono delle guerre attraverso l’industria delle armi». L’insistenza del papa non è rivolta solo a fermare i traffici illegali di armi, ma anche verso l’intero commercio di armamenti. Lo ha sottolineato lo scorso settembre nel suo importante discorso al congresso degli Stati Uniti: «Perché armi mortali – ha chiesto papa Bergoglio – sono vendute a coloro che pianificano di infliggere indicibili sofferenze a individui e società? Purtroppo, la risposta, come tutti sappiamo, è semplicemente per denaro: denaro che è intriso di sangue, spesso del sangue innocente. Davanti a questo vergognoso e colpevole silenzio, è nostro dovere affrontare il problema e fermare il commercio di armi». Il Sipri, l’autorevole istituto di ricerche di Stoccolma, evidenzia la costante crescita dei trasferimenti di armamenti nel mondo dal 2001. Crescita in gran parte giustificata con la “lotta al terrorismo internazionale”: di fatto si tratta di armi e sistemi militari che hanno alimentato – e stanno alimentando – quella che papa Francesco ha definito «la terza guerra mondiale a pezzi». Delle cui cause i nostri mezzi di informazione ci parlano poco, mentre ci mostrano quotidianamente le immagini di persone disperate che sbarcano sulle nostre coste. Sempre il Sipri riporta che le esportazioni di armamenti dei paesi dell’Unione Europea sono, nel loro insieme, quasi alla pari di quelle di Stati Uniti e Russia. Tra i maggiori fornitori di sistemi militari nel mondo figurano Francia, Regno Unito, Germania. Anche l’Italia fa la sua parte. Da diversi anni superano i 3 miliardi di euro le esportazioni di armamenti dal
Nella foto, formazione degli insegnanti al museo dell’Internamento (Internato ignoto, Padova), il 14 dicembre 2015.
nostro paese. Quello che risalta è il cambiamento dei destinatari: mentre fino ad alcuni anni fa l’Italia riforniva soprattutto i paesi dell’Unione Europea, nell’ultimo quinquennio le esportazioni italiane di armamenti sono state dirette soprattutto ai paesi del Medio Oriente e del Nord Africa. Le due zone, cioè, dove sono in atto i principali conflitti. Tra i maggiori acquirenti delle armi “made in Italy” figurano Arabia Saudita, Algeria, Emirati Arabi Uniti, Oman, cioè quei paesi che da molti studiosi sono accusati di sostenere, ideologicamente e finanziariamente, vari gruppi terroristici a cominciare da Isis (Daesh) e Al Qaeda. Inoltre, come riporta il recente rapporto dell’Osservatorio permanente sulle armi leggere (Opal) di Brescia, l’Italia continua a rifornire gli apparati di sicurezza di diversi regimi repressivi. Tra cui l’Egitto: nonostante la decisione del Consiglio dell’Unione Europea di sospendere le licenze di esportazione “di ogni tipo di materiale che possa essere utilizzato per la repressione interna”, negli ultimi due anni l’Italia ha autorizzato l’invio alle forze di sicurezza del dittatore Al Sisi più di 30 mila pistole e 3.600 fucili. «Chiudere le frontiere non risolve niente», ha detto papa Francesco a Lesbo. Smettere di inviare armi a paesi che alimentano guerre e reprimono le popolazioni è il primo passo se davvero vogliamo mettere fine all’ondata di disperati sulle nostre coste. Ce lo ripete il papa. 왘 Giorgio Beretta, Opal e Unimondo
UN MONDO SENZA GUERRA
Utopia ancora inesplorata 왘 Molti potrebbero eccepire che le guerre sono sempre esistite. È vero, ma ciò non dimostra che il ricorso alla guerra sia inevitabile, né possiamo presumere che un mondo senza guerra sia un traguardo impossibile da raggiungere. Il fatto che la guerra abbia segnato il nostro passato non significa che debba essere parte anche del nostro futuro. […] Possiamo chiamarla “utopia”, visto che non è mai accaduto prima. Tuttavia, il termine utopia non indica qualcosa di assurdo, ma piuttosto una possibilità non ancora esplorata e portata a compimento. Molti anni fa anche l’abolizione della schiavitù sembrava “utopistica”. […] Oggi l’idea di esseri umani incatenati e ridotti in schiavitù ci repelle. Quell'utopia è divenuta realtà. Un mondo senza guerra è un’altra utopia che non possiamo attendere oltre a vedere trasformata in realtà. 왘 Gino Strada, fondatore di Emergency (discorso alla cerimonia 2015 del “Premio Nobel alternativo”)
IV
왘 WorldSocialAgenda
LA DIFESA DEL POPOLO 8 MAGGIO 2016
TESTIMONI Due domande e otto incisive risposte da parte dei formatori degli insegnanti
Il cambiamento parte sempre da noi 1 Cos’è la pace?
DOMANDA
왘 Armi e bagagli
2 Cos’è il nemico?
DOMANDA
GIANNI ROCCO Associazione per la pace
LISA CLARK International peace bureau
un pacifista ep왘 Mipureconsidero mi accorgo che non tro-
che la pace sia una si왘 Credo tuazione in cui ogni essere
vo facilmente una risposta a questa domanda. La pace non può essere solo un sentimento dell’animo, a parole nessuno vuole la guerra eppure la guerra è ridiventata una questione che sembra endemica nell’umanità. Allora credo che da sola questa parola non dica molto. La pace deve essere indissolubilmente legata alla giustizia. Nel paradigma dei diritti umani, che dovrebbero essere la bussola che ci porta alla pace, c’è una grande contraddizione. L’accento si pone quasi solo sui diritti politici e civili e quasi mai sui diritti economici e sociali che, secondo me, stanno alla base della giustizia. Quindi la parola “pace” va sempre coniugata con la parola “giustizia” per le persone e per i popoli. Va risolta quella che sembra una contraddizione insanabile, e non dovrebbe esserlo, fra rispetto delle libertà individuali e il diritto di tutti ad avere una vita dignitosa.
umano è uguale all’altro e gode della stessa dignità e vive in un sistema in cui la giustizia è uguale per tutti. Tutti siamo uguali perché siamo nati esseri umani, non importa che passaporto abbiamo e in quale parte del mondo viviamo. La pace è questa. Per questo nel 2015 l’International peace bureau ha assegnato il suo premio Sean MacBride al villaggio di Gangjeon (Isola di Jeju, Corea) e al popolo di Lampedusa. Quest’ultimo ha dimostrato una solidarietà umana e un appoggio alla dignità delle persone ancora più grande, in quanto si pone in contrasto con le politiche degli stati, con le scelte dei governi. La stratificazione nel centro del Mediterraneo presente a Lampedusa ci dà il segnale che questo è il modo di andare verso il futuro, un modo di miscelare culture, saperi, lingue, persone. È questo il modo per combattere i nazionalismi, i fondamentalismi ideologici e religiosi.
MARCO MASCIA Centro per i diritti umani, Padova
RICCARDO MILANO Banca Popolare Etica
pace positiva è quella 왘 Laenunciata nel Preambolo del-
credo sia possibile defi왘 Non nire che cosa sia la pace, in
la Dichiarazione universale dei diritti umani: “il riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana e dei loro diritti, uguali ed inalienabili, costituisce il fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo”. Pace è promuovere la formazione ai diritti umani, alla cittadinanza democratica e alla nonviolenza nelle scuole e nell’università. Pace è mettere in funzione il sistema di sicurezza collettiva previsto dalla Carta delle Nazioni Unite. Pace è avviare un processo globale di disarmo e porre fine alla produzione e al commercio di armi. Pace è superare la sovranità statuale a favore di processi di integrazione regionale e universale. Pace è democratizzare l’Onu e le altre legittime istituzioni multilaterali. Pace è lavorare per un’economia di giustizia, per sradicare la povertà, per un ambiente sano. Pace è cittadinanza plurale e inclusiva, solidarietà, dialogo, accoglienza, rispetto per la vita.
quanto nessuno l’ha mai provata per lungo tempo. Ma tutti la vorrebbero: per tutti è merce rara. La pace è frutto di una forte leva interiore che, partendo dall’amore, dovrebbe spingere al bene e da questo al bene comune. E se questo è valido per l’intimo di ognuno di noi, lo è ancor di più per i popoli e le nazioni. La pace ha diversi modi di espressione per chi la persegue: prudenza, giustizia, perdono, amore, amicizia, dedizione, fraternità, solidarietà, senso della vita, senso della morte, senso del mistero. È in pace con sé stesso chi è capace di relazioni autentiche, di compassione e chi è in grado di costruire qualcosa per gli altri senza chiedere nulla in cambio. Il vivere e costruire la pace vuol dire assumersi la conflittualità per superarla abbandonando interessi di parte, la riduzione dei cosiddetti diritti di proprietà e di sicurezza, l’apertura dei cuori e delle porte, un lavoro e una cultura per tutti e sogni da perseguire.
MICHELE NARDELLI ricercatore tematiche “Pace e diritti umani”
IL VOLONTARIO Operazione colomba Comunità Giovanni XXIII
c'è una cosa che il Novecento avrebbe dovuto 왘 Seinsegnarci è la banalità del male. Eppure questo
vado in un territorio di conflitto armato 왘 Quando non è facile individuare chi potrebbero essere i
tratto del carattere umano, che tanto bene Hannah Arendt ha delineato nel racconto sul processo Eichmann, fatica a diventare ambito di elaborazione collettiva. Anzi, avviene il contrario, nel coltivare la falsa coscienza come nel dividere il mondo in maniera manichea fra buoni e cattivi, amici e nemici, noi e loro. Così le contraddizioni si tagliano piuttosto che prenderle per mano e farle evolvere. Abbiamo paura dei conflitti, anziché imparare a riconoscerli e a contenerli. Così preferiamo indicare il colpevole, indagando la colpa criminale ma non quella politica e morale che tali crimini ha reso possibili. Pensiamo che il tempo lenisca le ferite che – non curate – invece si infettano. Non elaboriamo il passato, così non impariamo nulla e la storia si ripete. Il mondo non è in bianco e nero: se non sappiamo vedere le zone d’ombra e il criminale in ciascuno di noi, ci predisponiamo a vivere in sottrazione. E nella paura che diviene aggressività.
miei nemici. Se non abiti una guerra, da fuori ti fanno spesso vedere “il bianco e il nero”, che ci sono i buoni e i cattivi. Invece vanno colte tutte le sfumature. Quei militari arroganti con il fucile in mano sono solo ragazzi di vent’anni, ingranaggi di un sistema di violazioni di diritti umani; quelle persone violente sono state accecate dall’odio di chi gli ha raccontato fin da bambino che sono sempre in pericolo; quelle persone violente non sono tutte violente, ma tra loro c’è anche chi ha a cuore l’”altro” e la giustizia. Il più grande nemico di me stesso sono io quando penso che l’odio avrà l’ultima parola; quando rimango indifferente a un’ingiustizia; quando non separo l’uomo dal male che fa; quando non credo al cambiamento delle persone, al perdono e alla riconciliazione; quando non ho più nostalgia di un paese in cui tutti gli uomini sono uguali e vivono come fratelli.
GIANNA BENUCCI Associazione per la pace
SERGIO BERGAMI Movimento internazionale della riconciliazione
attorno vediamo che ci sono per왘 Guardandoci sone che commettono atti gravi contro i più de-
differenza c’è tra avversario e nemico? Il 왘 Che primo, di solito, è un competitore sportivo da af-
boli e/o indifesi e che calpestano i più elementari diritti. Come militante pacifista mi sono trovata spesso nelle condizioni di avere davanti a me individui che potremmo considerare nemici. Quando si è schierati con il diritto alla vita, alla terra, alla dignità, alla libertà per tutti; quando si visitano luoghi di guerra o dove la povertà è altissima, non nego che il dolore e la tristezza riempiono l’animo. Cresce la rabbia per la difficoltà immediata di impedire la violenza. Eppure, ci sono persone cattive che si possono recuperare e persone cattive che dobbiamo obbligare a cambiare. Le prime hanno vissuto esperienze negative nella loro crescita, non hanno conosciuto l’amore, la generosità, la solidarietà. Le seconde hanno dimenticato il bene che c’è in noi e hanno preferito scegliere la strada dei più forti e dei dominatori. È un impegno pedagogico e non violento. È una prova quotidiana che dobbiamo fare.
frontare stando alle regole del gioco: alla fine puoi anche arrivare a stringergli la mano. Il nemico invece si deve battere, rendere assolutamente inoffensivo, e se necessario eliminare fisicamente. Per fare questo tutti i metodi sono “buoni”. E alla fine niente strette di mano con quelli dell’Isis. Ma un approccio nonviolento nel momento dello scontro sottolinea la necessità di utilizzare mezzi coerenti con i fini che ci proponiamo. L’Occidente voleva esportare la democrazia in Iraq e Libia: invece grazie ai bombardamenti e alle guerre abbiamo generato l’Isis, come hanno ammesso sia Blair che Obama. In una visione nonviolenta del conflitto, il nemico è comunque portatore di una sua verità (anche se parziale, settaria, limitata) da cui non si può prescindere se si vuole arrivare a costruire una pace stabile, duratura e giusta, invece di limitarsi a chiamare “pace” l’assenza delle guerre.
Il significato del nemico è un significato che diamo noi perché in natura il nemico non esiste. Può esistere l’avversario, colui che è diverso da me, l’altro che non fa parte del mio sistema: devo inventarmi che mi abbia fatto un torto; ora la stessa idea di avermi fatto un torto è tutta da inventare perché c’è anche il perdono. Se usiamo gli strumenti del perdono il nemico non ha motivo di esistere. J. B. Onama (ugandese, ex bambino soldato) dal blog “Armi e bagagli” armiebagagli2016.wordpress.com
Il campo di papaveri, Paulo Ricohermoso Empeno, classe 4E, liceo Modigliani.
FondazioneFontana 왗
LA DIFESA DEL POPOLO 8 MAGGIO 2016
왘 percorsi nelle scuole Nelle foto, laboratori nelle scuole primarie e secondarie di primo grado.
V
VILLAFRANCA PADOVANA Le consapevolezze raggiunte dai 25 studenti della scuola media
«La pace, frutto dell’empatia tra le persone» 왘
“Siamo tutti sotto lo stesso cielo” è il titolo dello spettacolo di teatro-danza che la 2B della scuola secondaria di primo grado Dante Alighieri di Villafranca Padovana ha proposto a genitori e insegnanti a conclusione del percorso di riflessione partito con il progetto “Armi e bagagli”. I 25 alunni si sono messi concretamente nei panni di soldati, famiglie in fuga dalla guerra, famiglie sotto le bombe, grazie a un gioco di ruolo e poi attraverso la proposta teatrale. «Abbiamo capito quanto siamo fortunati e, a volte, anche viziati – afferma Nikla – Mi ha davvero scosso scoprire dove può arrivare la cattiveria dell’uomo! Io mi sono dovuta immedesimare nel ruolo di una
studentessa arrabbiata e di un soldato: il bene esiste, ma è difficile compierlo. Per fortuna c’è chi usa la propria vita per distribuire pace e mi è di molto conforto». Grazie alla sensibilità della docente di lettere Barbara Bettini, la classe ha aderito alla proposta di Avvenire: fino al 2 giugno il quotidiano entrerà in classe. «Ci aiuta ad avere notizie dal mondo, anche in merito ai conflitti e ai tentativi di abbattere muri. Le leggiamo assieme e le riportiamo su dei cartelloni». Il lavoro con fondazione Fontana, l’esperienza del teatro e la lettura del quotidiano hanno fatto comprendere ai ragazzi che la prima strada per fare pace è l’empatia. «La guerra è frutto dell’egoismo di alcuni uomini – sottolinea Edoardo – Le persone che combattono non vogliono la guerra. Chi la guarda solo, la vuole. La pace è pensare che siamo tutti uguali e, quindi, non c’è motivo di combatterci». «La pace è serenità fondata sul rispetto reciproco – aggiunge Damiano – è recupero delle radici, della memoria di un popolo e di una famiglia. È chiedersi perché l’altro compie una certa azione e tentare di capire il suo agire». Pace, quindi, per questi ragazzi è «accettare le abitudini e i pensieri degli altri, parlarsi, perdonare gli errori, non rinunciare a creare legami di bene».
«Adesso – confessa Anna – prima di iniziare un litigio, rifletto e penso agli insegnamenti raccolti: cerco di parlare, di chiedere scusa. Anche un “grazie” può risolvere un conflitto». L’entusiasmo e la passione della classe hanno coinvolto anche il dirigente scolastico, Francesco Callegari, che è stato interpellato dai ragazzi sul significato che lui stesso attribuisce alla parola “pace”. «Penso a donne e uomini di pace, a ragazze e ragazzi di pace, perché la pace va costruita, vestendosi dell’altro e crescendo in sensibilità verso la storia e la geografia. Se guardiamo ai no-
stri libri e alle notizie che ci arrivano tutto è un susseguirsi di guerre: sembra che la pace sia un momento in cui è assente la guerra. Ma non è così». «La pace è un desiderio – aggiunge Barbara Bettini, anche lei sollecitata dai ragazzi – è un obiettivo difficile da realizzare, ma che va curato fin dalle piccole attenzioni. Cominciando anche a formarsi e informarsi, con la convinzione che non esistono nemici e con la consapevolezza che dall’impegno di ciascuno possa nascere un mondo migliore». 왘 pagina di Claudia Belleffi
PARLA L’EDUCATRICE Chiara Candeo della cooperativa sociale ConTatto Cemea Veneto
Percorsi sulla gestione dei conflitti diciotto le classi, tra quinte elementari, 왘 Sono prime e seconde medie, con cui Chiara Candeo ha lavorato per fondazione Fontana. Educatrice della cooperativa sociale ConTatto Cemea Veneto, ha proposto a bambini e ragazzi un’attività specifica su guerre e conflitti, lasciandosi provocare dal lavoro di Daniele Novara, pedagogista, fondatore del centro psicopedagogico per la pace e la gestione dei conflitti. «La nostra proposta si è, quindi, strutturata come percorso di conoscenza personale rispetto a se stessi, della propria parte buona e collaborativa e della parte conflittuale. Abbiamo lavorato molto sulla parola “conflitto”, intesa come dinamica relazionale quando ci si trova di fronte a persone o realtà diverse da noi. Il confitto è inevitabile, andare tutti d’accordo non è reale». I ragazzi in classe sono stati aiutati a riconoscere la loro parte conflittuale che prende piede quando si
fa fatica ad accettare l’altro, quando si ha paura. «Per un ragazzo è impossibile disinnescare la guerra, ma il pensiero della guerra sì! Ognuno ha una responsabilità personale: può e deve scegliere se volgere la dimensione del conflitto verso una dimensione di pace o di guerra. Vi è una netta differenza tra conflitto e violenza: il conflitto è una situazione relazionale che sta al centro tra la guerra e la pace». Importantissimo quindi lavorare a livello personale. «Se guardiamo a noi – continua Chiara Candeo – se lavoriamo sulle nostra parte conflittuale, con genitori, insegnanti e amici, allora possiamo interrompere le guerre personali che ci abitano e si innescano». Il secondo passaggio affrontato in classe è stato il prendere coscienza di quanto sia veloce e naturale creare un nemico. «Il solo passaggio di un amico da un gruppo a un altro fa creare immediatamente una situazione di conflitto: diventa mio nemico perché fa
parte dell’altro gruppo e perché io penso che sia contro di me, che io sono più forte e ho diritto a scontrarmi». Chiara Candeo ha notato in tutti i ragazzini una grande sorpresa di fronte a questi temi. «Abbiamo rivelato una parte che a loro viene chiesto di nascondere: la parte conflittuale e negativa. Sono stati sollevati nel poter dire “io volevo litigare” e attenti al fatto di come sia semplice costruire un nemico, con un parallelismo anche con la conflittualità mondiale». Come educatrice ha raccolto tantissime provocazioni. «Innanzitutto a livello personale, lavorando sulla mia storia conflittuale – conclude l’educattrice della coop ConTatto – Dai ragazzi ho ricevuto anche diverse domande: “Ma voi grandi perché non riuscite a risolvere i problemi?”, “Perché le dici a noi queste cose?”. Perché credo davvero nell’importanza di formare futuri adulti che avranno un loro pensiero serio rispetto alla guerra».
guerra e si pensa sia una cosa lontana che non ci riguarda. È inoltre fondamentale che abbiano come “fonti” delle loro notizie genitori e insegnanti: sono ar-
nella nostra fortuna di essere europei. Parlarne poi con serenità in famiglia è stato davvero importante per i bambini».
L’unica cosa bella che ricordo ancora oggi della guerra è il giorno in cui è ALCUNE FAMIGLIE COINVOLTE Il percorso ha regalato sorprese inattese terminata, nel 1945. A casa confronti di spessore tra genitori e figli Tutti uscirono in e bagagli” è entrato anche nelle famiglie. gomenti che i ragazzini non possono e non devono strada, bambini, 왘 “Armi Per loro era previsto dal progetto un coinvolgi- rielaborare da soli, ma insieme a figure adulte». mento e una collaborazione in merito alla raccolta di E così è stato anche per Caterina, 8 anni, i suoi adulti e anziani, testimonianze e input da restituire a scuola, ma in due fratelli e genitori. «Nella sua classe alla scuola ogni caso anche il solo semplice raccontare a casa primaria Manin di Padova sono in 20 – spiega la si baciarono e si cosa accadeva in classe è stata occasione di scambi mamma, Antonella Mondino – e pur se piccoli hanno e confronti a volte inaspettati. partecipato con entusiasmo al progetto. In famiglia ci abbracciarono «Thomas – racconta la mamma, Maria Arduini – è stato chiesto di scrivere su post-it gialli quali parole difficilmente riporta fatti o vicende, quindi qualsiasi o immagini ci venivano in mente pensando alla guerra per festeggiare cosa esca da lui spontaneamente è davvero preziosa o alla pace. Ci siamo seduti per terra in sala una sera la fine di tutto e vuol dire che vale molto. E del progetto ci ha rac- ed è nato un dialogo e confronto bellissimo». contato tutto nei particolari». Thomas frequenta la seLegate alla guerra sono uscite le parole: armi, quell’orrore che conda C della scuola media Mameli di Padova, una fuoco e fiamme, pistole, Isis, fame, sofferenza; per classe di 24 alunni. «L’ho visto coinvolto e mi ha pia- pace, invece, fiori, libertà, serenità. «Mi ha colpito il avevano vissuto fino cevolmente sorpreso. È davvero importante parlare e fatto che Caterina non abbia saputo dire una parola o affrontare questi temi con i ragazzi soprattutto da noi, un’immagine legata alla guerra. Questo progetto ci ha a quel momento. dove non ci sono conflitti, non si vive direttamente la aiutato tutti in un cammino di consapevolezza anche
dal blog “Armi e bagagli” armiebagagli2016.wordpress.com
VI
왘 WorldSocialAgenda
PIETRO D’ABANO La quinta dell’istituto alberghiero per la prima volta ha aderito al progetto
«La nostra informazione va coltivata»
왘
percorsi nelle scuole
왘
«Questo percorso ci è servito soprattut-
to per avere consapevolezza della guerra nel mondo, di come viene vissuta da chi c’è dentro e dove e come si possono trovare informazioni più corrette su questi conflitti che spesso vengono spacciati solo come religiosi, ma di fatto nascono sempre per ragioni puramente economiche». Rebecca è una dei 13 studenti di quinta dell’istituto professionale alberghiero Pietro d’Abano, indirizzo “accoglienza turistica”. La fondazione Fontana è entrata nella loro classe per la prima volta quest’anno. «Ho seguito il consiglio di una collega – spiega la docente di storia, Emanuela De Saraca – e per me è stato illuminante perché, avendo sempre impostato l’insegnamento della storia in chiave problematica, di fatto viene affrontata con l’ottica della guerra, mai con l’occhio della pace. È stato fondamentale che gli incontri con gli esperti siano avvenuti immediatamente dopo i fatti di Parigi: questo ha aiutato i ragazzi e me a rafforzarci sull’idea che la disinformazione da un lato e lo sfruttamento di situazioni di disagio dall’altro diventano spazi di guerra e di conflitto anche a cascata». La classe ha partecipato alla mattinata iniziale con la visione dello spettacolo Stupidorisiko e l’ascolto dei testimoni; ha poi visto la presenza in classe di esperti di Fontana e ha partecipato all’assemblea d’istituto organizzata sempre con la fondazione sul tema della guerra e della pace in cui è stata presentata Operazione Colomba in Palestina. «In settimana abbiamo visitato inoltre il museo dell’Internamento e a maggio faremo i percorsi di pace a Padova – aggiunge l’inse-
RITORNI Storia di pace ricostruita anno in cui ampio spazio è stato dato 왘 Inallaunricerca sui vissuti, la memoria, il senso della pace e il non senso della guerra, fondazione Fontana ha voluto coinvolgere 230 studenti delle scuole superiori in una mattinata di approfondimento sulla pace come scelta personale, come impegno civile. Nella più ferma convinzione che, come dice Anna Bravo, «il sangue risparmiato fa storia come il sangue versato», la riflessione è stata proposta attraverso lo spettacolo di Filippo Tognazzo Ritorni. Ho visto la pace allo specchio. «Lo spettacolo nasce a vent’anni dalla fine della guerra in Bosnia-Erzegovina per raccontare la
vita di tanti giovani che, con costanza e coraggio, stanno tentando di ricostruire il loro paese. Ritorni lascia perciò sullo sfondo il racconto del conflitto e delle sue crudeltà per far emergere le piccole storie di impegno quotidiano che testimoniano la ricostruzione di pace basata sulla tolleranza, sulla condivisione e sul perdono. È il racconto autobiografico di un viaggio attraverso i paesi dell’ex Jugoslavia intrapreso per cercare di capire cosa sia successo dopo la guerra in Bosnia. Una ricostruzione civile narrata attraverso storie come quella di Zijo, giovane rom miracolosamente scampato alla pulizia etnica, che trova la forza di perdonare gli assassini della sua famiglia, di Muhamed e Velibor e del loro ritorno ai paesi di Osmace e Brezani (nei pressi di Srebrenica) per coltivare grano saraceno, fino all’arrivo a Sarajevo, sopravvissuta a oltre mille giorni di assedio, città simbolo di tolleranza e condivisione». www.zeldasrl.com 왘 F. B.
gnante – Come istituto siamo molto attenti alla formazione integrale dei ragazzi, non solo dal punto di vista professionale. Ma come uomini, donne e cittadini responsabili». Per Claudia è stato importante poter ascoltare testimonianze dirette di chi ha vissuto la guerra e ha tentato di ostacolare anche in maniera pacifica un conflitto. «Il telegiornale non ci dà questo tipo di informazione. Penso a quel delegato coreano che ha innescato una protesta pacifica per impedire la costruzione di basi navali. In televisione si parla solo di nemici e di violenza, ma il nemico spesso ce lo costruiamo noi. Penso a tutte le persone che scappano dalla guerra e arrivano qui. Adesso si dice che devono restare nel loro paese. Ma com’è possibile? L’ho detto anche a mio padre: “Tu sei venuto via dalla Romania per cercare una vita migliore per i tuoi figli. Lo stesso stanno facendo queste persone che arrivano via mare”». A partire dalle provocazioni lanciate da fondazione Fontana un’esigenza resta a questi giovani, ormai maggiorenni. «L’informazione che abbiamo non basta – sottolinea Marina – Dobbiamo prenderci l’impegno di andare a cercare notizie e voci che siano più vere possibili, non fermarci ai titoli dei quotidiani nazionali o del tg. È giusto sentire la voce e le storie delle persone che subiscono la guerra. Sapere dove si trovano questi conflitti. È necessario analizzare e prendere coscienza di tutti i punti di vista per poi costruirsi un’idea. Nel mondo ci sono più di trenta guerre in atto, ma non se ne sa nulla. Perché?». 왘 C. Be.
LA DIFESA DEL POPOLO 8 MAGGIO 2016
STUPIDORISIKO Sul palco l’attore Mario Spallino
Una nuova geografia di pace settantesimo anniversario della carta delle Nazioni Unite è 왘 Ilstata l’autorevole cornice in cui è andata a collocarsi la mattinata ospitata al liceo Curiel che, per le scuole secondarie di secondo grado, ha dato il via a questa edizione della Wsa. 220 gli studenti di sei diversi istituti intervenuti con i loro insegnanti per avviare la riflessione su guerre, conflitti e diritto alla pace. Avvincente e coinvolgente, l’attore Mario Spallino ha “dato il la” con lo spettacolo Stupidorisiko, accompagnando il giovane pubblico in un percorso storico-geografico sulle guerre di ieri e di oggi che ha coinvolto, commosso e interrogato i presenti. La domanda è sorta spontanea al termine dello spettacolo: «Abbiamo capito che dietro alla guerra ci sono degli interessi spropositati – ha detto uno studente in sala – ma allora come è possibile venirne fuori?». La proposta si è così arricchita della storia delle Isole Jeju (Sud Corea), vincitrici, assieme all’isola di Lampedusa, del premio Sean MacBride 2015 per la resistenza non violenta alla militarizzazione dell’isola. Grazie alla presenza del delegato del villaggio di Gangjeon, di Lisa Clark dell’International peace bureau e di don Albino Bizzotto di Beati i costruttori di pace, gli studenti e le studentesse si sono confrontati con scelte e percorsi di pace possibile. Una realtà già presente nelle «tante ma tante esperienze giovanili» di cui questo momento è ricco e che «più che tante parole» dimostrano come sia possibile essere costruttori di pace «in mezzo ai conflitti in atto», come ha sottolineato don Albino citando l’impegno appassionato e concreto di tanti giovani a fianco dei rifugiati. Stupidorisiko. Una geografia di guerra di Patrizia Pasqui è prodotto da Emergency ong onlus. 왘 Francesca Benciolini
IL BLOG Formazione digitale grazie ad armiebagagli2016.wordpress.com IL DOCUMENTARIO In 20 minuti
Studenti davvero protagonisti
Un messaggio collettivo
ricerca e lavorare su un blog è inconsueto 왘 Fare se si pensa alla scuola solo come luogo di trasmis-
sguardi intenti dei ragazzi che si 왘 Gli confrontano tra loro, i volti emozionati
Un momento dell’intervista realizzata dalla classe 2G del liceo Duca d’Aosta.
e assorti dei nonni concentrati nel ricordo, i gesti che accompagnano le parole, le voci che inseguono e danno vita al pensiero… Se il documentario realizzato dalla Wsa ha un merito è quello di restituire in colori e suoni, dettagli e movimento, il lungo lavoro sul campo intrapreso dai quasi 500 studenti e studentesse delle scuole padovane e trentine che si sono lasciati coinvolgere in questa avventura. Quanti anni avevi quando hai vissuto la guerra? Cosa pensi che sia il nemico? Esiste una guerra giusta? Cos’è per te la pace? Sono queste alcune delle molte domande poste dagli studenti nel corso del lavoro di ricerca in cui la Wsa li ha coinvolti quest’anno. Interviste che il blog ha raccolto in forma scritta insieme a piccole inchieste, elaborati statistici, riflessioni. Ora il documentario restituisce questo lavoro concentrando e organizzando in 20 minuti il materiale raccolto in più di 7 ore di riprese. Studentesse e studenti di 21 classi diventano così protagonisti e cameraman di un lavoro collettivo che rende visibile il processo grazie al quale si è sviluppata la riflessione. «L’indagine diventa messaggio collettivo per un pubblico più ampio» sottolinea il regista Marzo Zuin che, affiancato dallo staff Wsa, ha curato la regia del documentario «permettendo di conservare i processi e restituire i contenuti». Quasi a ricordarci che temi così ampli e complessi non possono che servirsi del contributo di tutti e di ciascuno se vogliono essere capiti e, più ancora, come nel caso della pace, perseguiti e vissuti. 왘 F. B.
è avvenuta attraverso due strumenti: l’intervista e la fotografia. Il campo si è materializzato in diverse forme: la sione e di accumulo di conoscenze dove lo studente è strada per le interviste casuali; l’interno di case, scuole, raramente protagonista, ricercatore, costruttore del sa- municipi, strutture sociali per le interviste a testimoni; le pere. piazze, i musei e i monumenti, ma anche il web a soLa World social agenda ha voluto, ancora una volta, stegno delle diverse ipotesi di ricerca. sfidare convinzioni e circostanze, propoIl confronto con i testimoni ha visto nendo a studenti e insegnanti un’occa- La costruzione condivisa comparire sulla scena, tra gli altri, Opesione per sperimentarsi come ricercatori razione Colomba della comunità Papa della conoscenza della realtà che li circonda, intervistatori, Giovanni XXIII; Nasser e Karmel Abufarha proposta a studenti fotografi, elaboratori di informazioni sul Canaan fair trade, artefici di un proe insegnanti è avvenuta di tema dei conflitti e della pace. Eccoli nel getto di pace nell’ambito dell’agricoltura attraverso la ricerca, solidale a Jenin (Palestina); John Baptist ruolo di studiosi attenti, capaci di coattivata con due struire conoscenza a partire da fonti diOnama, docente e formatore ugandese, strumenti: l’intervista ex bambino soldato; Alessandro Graziarette, di porsi e porre domande per ricostruire problematiche complesse. E di dei, storico, giornalista e caporedattore e la fotografia blogger dinamici, aperti, fiduciosi nell’afdi Unimondo.org; Paul Mathubi e Benson fidare un messaggio sensibile e puntuale alla rete di in- Owino dell’organizzazione Saint Martin Csa di Nyahuruternet: perché gli esiti delle ricerche sono stati pubbli- ru (Kenya); e alcuni amministratori locali. La raccolta, cati, diffusi e commentati attraverso il blog armiebaga l’analisi e la pubblicazione di storie e immagini di guergli2016.wordpress.com. ra e di pace sono state tappe fondamentali di un proLa chiamiamo costruzione condivisa della cono- cesso di incontro e scoperta finalizzato alla costruzione scenza, esito di un’ibridazione tra ambienti, linguaggi e di una cittadinanza attiva e responsabile. modalità di interazione. La discesa nel campo di ricerca 왘 S. B.
FondazioneFontana 왗 VII
LA DIFESA DEL POPOLO 8 MAGGIO 2016
왘 percorsi nelle scuole In alto, un momento della videointervista della 1C del liceo Curiel. In basso, la classe 4M dell’istituto Mattei che ha partecipato al progetto della Fontana.
LICEO CORNARO La storia raccontata direttamente dai suoi testimoni
Una bussola per gli studenti 왘
L’incontro con le storie e le
voci dirette dei testimoni ha davvero fatto riflettere molto la classe 1BL del liceo Cornaro di Padova. I 30 ragazzi, grazie all’impegno della loro insegnante d’italiano Maria Furegon, che ha deciso di aderire al progetto di fondazione Fontana per la prima volta, hanno potuto cogliere il dolore, le fatiche, ma anche le speranze di parenti, amici e un ospite d’eccezione, che hanno vissuto sulla loro pelle il dramma della guerra. I ragazzi hanno incontrato John Baptist Onama, ex bambino soldato. «La scuola – sottolinea Maria Furegon – non può fermarsi a un sapere “libresco”: i ragazzi hanno bisogno di contatto con la realtà, di strumenti per leggerla, hanno il problema opposto a quello che
avevamo noi: oggi rischiano di naufragare nell’oceano dell’informazione (che molto spesso è disinformazione) e della pseudocultura che credono di avere in pugno consultando alla velocità della luce il loro smartphone. La scuola deve fornire loro una bussola che permetta di orientarsi. Perciò quest’anno ho pensato di aderire al progetto della fondazione Fontana: cercavo qualcosa di accattivante sul piano metodologico, ma anche significativo dal punto di vista della formazione personale, qualcosa che costringesse a riflettere, a leggere gli eventi da vari punti di vista, ad andare a fondo nelle cose». E così è stato. Con “Armi e bagagli” la classe ha iniziato un viaggio dentro i racconti di guerra, attraverso delle interviste e video che poi servivano per un blog. «Ho cambiato totalmente opinione rispetto alla guerra – sottolinea Gloria – I libri, le lezioni ti dicono quello che è successo cronologicamente, le date, i nomi delle battaglie. Se ascolti le testimonianze emergono sensazioni, emozioni, ricordi. La nonna della mia compagna ha pianto... Trovalo un libro di storia che piange». Dalle interviste sono emersi racconti diversi e particolarissimi, che hanno portato i ragazzi a
scoprire storie nascoste dentro le loro stesse famiglie. Come in quella di Tommaso, con una zia inviata a Zanzibar dall’Onu per monitorare l’esito regolare delle elezioni, o le vicende del nonno e dell’amico partigiano. «Le guerre al tg riportano sempre notizie indirette – sottolinea – costruite sulle impressioni di giornalisti. Invece sono le persone che la vivono che la dovrebbero raccontare. La guerra non è voluta dai civili: porta morte, distruzione e danno. Bisognerebbe avere il coraggio di fare azioni di pace e di massa, ribellioni contro i più potenti in modo pacifico, pensiamo a Martin Luther King e Gandhi». «Guardando i tg prima queste notizie non ci colpivano – aggiunge Arianna – Le credevamo distanti. Adesso sento vicina la guerra e il dolore di tante persone che la fuggono e che diventano i nostri nemici. Il nemico ce lo costruiamo noi». I ragazzi hanno preso coscienza che fare la guerra è più facile che mettersi a tavolino e provare a trovare un accordo. «Provo rabbia e delusione del genere umano – esclama Gloria – perché non dovrebbe esistere una persona che pensando alla sua infanzia piange di dolore e di paura. E ricordiamoci che potrebbe accadere a noi...». 왘 C. Be.
L’EVENTO FINALE Al Modigliani il liceo artistico Modigliani a ospitare 왘 Sarà la mattinata che concluderà il percorso delle scuole superiori. Il luogo non è a caso: l’arte ha molto da dire sulla guerra e sulla pace. Di più, la guerra e la pace nel corso dei secoli proprio dell’arte si sono servite per rappresentare se stesse. Partendo da questa riflessione, proposta a tre classi di questo liceo da Alessandro Graziadei di Unimondo, è stato avviato il lavoro pittorico che, grazie a una originale installazione, accoglierà i 350 studenti lunedì 9 maggio. Il lavoro di quest’anno sarà al centro della prima parte della mattinata: saranno i giovani protagonisti della Wsa a dar voce, sul palco e attraverso il video documentario, ai molti contenuti. Ospite della seconda parte sarà John Mpaliza, noto come peace walking man, un testimone che ha scelto di impegnarsi per far conoscere il dramma che consuma la sua terra d’origine, la Repubblica Democratica del Congo. A lui e alla sua chitarra il compito di ricordare ai ragazzi e alle ragazze presenti che la pace dipende anche dalle scelte di ciascuno di noi. 왘 F. B.
PARTECIPAZIONE E TERRITORI Al liceo Curiel sono state svolte attività con formatori di Fontana e Saint Martin Csa
«Stimolo per uscire dalle solite metodologie d’insegnamento» 왘
La classe 3E, indirizzo scienze applicate, del liceo Curiel di Padova, è stata coinvolta nella sezione del progetto “Partecipazione e territori”. «Quest’anno ho deciso di aderire a un percorso più articolato – racconta l’insegnante di lettere, Elisa Carrà – per consentire ai ragazzi di avvicinarsi ad altre realtà del mondo, nello specifico il Kenya». La proposta si è concretizzata su un duplice aspetto: i due incontri erano condotti da esperti di fondazione Fontana e Saint Martin Csa; il tutto è stato affrontato e gestito in lingua inglese. «I ragazzi sono stati aiutati a mettersi nei panni di chi arriva da un paese altro e non conosce la lingua. Mi ha colpito fin da subito il metodo attivo e partecipato: non lezioni frontali, ma attività in cui gli studenti, grazie anche a un gioco di ruolo, sono entrati nel tema in maniera attiva, spronati a prendere coscienza dei conflitti in atto».
Un secondo passaggio concettuale è stato il riflettere su un’alternativa alla guerra, affrontando il tema della negoziazione per arrivare a una soluzione comune. «Il progetto ha aperto una finestra su altre realtà del mondo. I due formatori africani, inoltre, hanno illustrato il Saint Martin in Kenya, con le attività che svolgono, proponendo un filmato con protagonisti i ragazzi kenioti. C’è stata anche una ricaduta a livello di contenuti: di fronte a un conflitto, la guerra non è l’unica risposta, si può percorrere la strada dell’incontro, del dialogo per arrivare a una decisione comune, frutto di un impegno reciproco, riportando l’esempio concreto e positivo dell’opera di don Sandro Ferretto, missionario diocesano di Padova, proprio in Kenya». Per i 24 alunni del Curiel, queste quattro ore di formazione hanno rappresentato un’occasione importante per confrontarsi su temi
d’attualità, avere spazi di dialogo e provare a mettersi in gioco in prima persona per creare conoscenza. «Sono stata provocata anche nel mio essere insegnante, innanzitutto dalla metodologia attiva che parte dai ragazzi e arriva ai contenuti. È uno stimolo per un insegnamento meno strutturato e centrato sui contenuti. Come docente di italiano, è stato anche un invito a coinvolgere di più i ragazzi nelle lezioni, a rovesciare la metodologia: se si ha il coraggio di partire dagli studenti, dando loro consegne precise, si rimane sempre sorpresi dei risultati che si raggiungono. In questo lavoro siamo supportati in modo competente dalla Fontana: a noi insegnanti offrono, oltre la formazione, un repertorio davvero ricco e di qualità in merito a siti, film, testi cui si può attingere. È un lavoro progettato alla perfezione». 왘 C. Be.
Noi del Saint Martin abbiamo un programma comunitario che si occupa di pace e riconciliazione a partire dai casi di violenze domestiche, spesso causa di abbandono scolastico da parte dei ragazzi. dal blog “Armi e bagagli” armiebagagli2016.wordpress.com
DARASA MAISHA Il progetto del Saint Martin Csa è gemellato con “Partecipazione e territori”
Programma condiviso da centinaia di studenti in Italia e in Kenya P&T, Darasa Maisha sono contenitori che 왘 Wsa, racchiudono progetti educativi di pace delle due organizzazioni partner, fondazione Fontana e Saint Martin Csa. Al primo è dedicato questo inserto; del secondo ci racconta un’insegnante in questa pagina; del terzo, che ci porta in Kenya, sugli altipiani della Rift Valley, a Nyahururu, raccontiamo qui. In italiano, darasa maisha significa “lezione di vita” ed è un programma avviato due anni fa con un gruppo di trenta studenti di una scuola secondaria. Dopo un anno di riflessione dedicato ai social media e alla loro rilevanza socio-culturale, Darasa Maisha ha approcciato il tema dei conflitti, delle guerre e del diritto alla pace come chiavi di lettura e di azione in vista di possibili agitazioni sociali legate alle elezioni presidenziali del 2017, ma soprattutto in vista di un futuro di pace. Pur condividendo da qualche anno i temi educativi, Wsa ha una vita un po’ più indipendente rispetto agli altri due programmi. P&T (“Partecipazio-
ne e territori”), che nasce nel lontano 2006, e Darasa Maisha vivono invece di reciprocità e mutuo sostegno, condividendo gli interventi nelle diverse scuole, scambiandosi gli educatori che dall’Italia raggiungono il Kenya e viceversa; costruendosi competenze di dialogo e di intreccio culturale in un’ottica di arricchimento reciproco e di una sempre maggiore convergenza di metodologie e problematiche trattate. Quella di quest’anno è stata un’avventura proficua se si considera che, a due latitudini differenti, centinaia di coetanei della scuola secondaria si sono addentrati nella scoperta che c’è sempre un’alternativa possibile alla guerra, allo scontro “armato”, non importa a quale scala il conflitto venga considerato, sia essa quella individuale o locale, o quella globale. La pace è l’unico strumento da utilizzare, l’unico percorso da intraprendere se si vuole la pace. Mentre a Padova P&T si è svolto nell’arco di un
mese, tra febbraio e marzo di quest’anno coinvolgendo quasi duecento studenti per un totale di quattro ore per classe, a Nyahururu le attività prevedono un percorso fatto di cinque incontri in plenaria distribuiti nell’arco dell’intero anno scolastico, ognuno dei quali è andato sviluppando una scala del conflitto, da quella intrapersonale a quella internazionale. Sarà in occasione dell’ultima tappa, prevista per l’11 giugno, che fondazione Fontana potrà prendere parte alle attività condividendo con studenti e colleghi keniani lo svolgimento dell’incontro. Come sottolineato più volte dai formatori delle due organizzazioni, è a scuola che si gioca il futuro di pace; è da giovani che si crea la consuetudine di confrontarsi con la realtà globale nella quale la nostra storia è inserita – sia essa in Italia o in Kenya – imparando a decostruire il nostro sguardo viziato sul mondo. 왘 S. B.
Nella foto, un momento del percorso “Partecipazione e territori”.
VIII 왘 WorldSocialAgenda
LA DIFESA DEL POPOLO 8 MAGGIO 2016
WORLD SOCIAL AGENDA World social agenda è un percorso culturale di educazione, sensibilizzazione e informazione che ha come obiettivo principale la promozione nella comunità di una cittadinanza globale, attiva, responsabile, partecipativa. La Wsa propone ogni anno nelle province di Padova e Trento un percorso di approfondimento su un tema di interesse globale attraverso un approccio fondato sui valori e sui diritti, centrato sull’educazione allo sviluppo e sulle differenze. Il progetto coinvolge ogni anno le scuole di ogni ordine e grado con attività e laboratori che coinvolgono oltre 4.000 studenti tra Padova e Trento, i territori, con la promozione di reti di organizzazioni della società civile ed enti pubblici. worldsocialagenda.org
왘 Crediamo in un mondo più giusto e solidale, dove ogni persona possa contribuire a un futuro di dignità e libertà per tutti nell’uguaglianza, nel dialogo e nella pace. 왘 Operiamo in Trentino e nel Veneto dal 1998 per la realizzazione di progetti di pace, cooperazione, solidarietà internazionale ed educazione alla mondialità con l’obiettivo di valorizzare le risorse del territorio e la promozione di reti e collaborazioni tra soggetti diversi. 왘 Sosteniamo progetti di solidarietà interna-
zionale basati sulla comunità in Kenya, Ecuador, Bosnia e Israele. 왘 Investiamo per statuto, un terzo del patrimonio in programmi di microcredito presso associazioni terze. I nostri progetti in Italia sono World Social Agenda, Partecipazione e territori, il portale Unimondo www.unimondo.org e le piattaforme a esso collegate (News, Guide, Oggi). Per ulteriori informazioni: www.fondazione fontana.org
PROSSIMI INCONTRI AL MODIGLIANI EVENTO FINALE
왘 Lunedì 9 maggio, al Modigliani la mattinata conclusiva del percorso. Presentazione de Il documentario di Marco Zuin realizzato con i ragazzi delle scuole superiori. Ospite John Mpaliza, peace walking man.
“CONSIGLIAMOCI” A CADONEGHE
왘 Sabato 21 maggio, si svolge il “Consigliamoci” del comune di Cadoneghe in collaborazione con l’Istituto comprensivo e l’Unicef.
“Armi e bagagli” continua il prossimo anno con “Migrazioni e diritto al futuro”.
왘memo
FONDAZIONE FONTANA Crediamo, operiamo, sosteniamo, investiamo