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Quando la classe è… proprio
Diario di un anno indimenticabile
Salve signori, signorine, egregi giovanotti, teste di c...o, viziati o come volete insomma, ci hanno chiamati spesso in più modi. Siamo arrivati ad una conclusione, la conclusione di un percorso lungo e travagliato, di un cammino condiviso con amici, compagni o che tante volte ci siamo trovati anche a percorre in solitaria, e abbiamo capito i nostri errori, le nostre difficoltà e soprattutto abbiamo capito che la collaborazione ci rende la vita meno difficile. Ogni giorno che abbiamo trascorso su quei banchi di scuola, con la sedia messa in mille posizioni diverse pur di trovare meno scomodo l’obbligo di svegliarci presto la mattina sperando che il tempo passasse in fretta, abbiamo portato via un ricordo, una conoscenza, una giornata da dimenticare, una parola di troppo di cui pentirsi, delle responsabilità da saper gestire o semplicemente un “studiamo insieme domani?”. Quel domani che oggi passiamo chiusi in casa, ripensando che dopo tutto, la scuola, era un obbligo meno pesante, era un obbligo che ci ha migliorato la vita, ci ha fatto crescere, ci ha accompagnati verso la fine del suo percorso e ci ha portati all’inizio del nostro percorso, quello più importante, il percorso della vita. Ci sentivamo in obbligo, quando ora si pagherebbe oro per poter tornare su quelle sedie, assonnati, scomodi, incazzati, pensierosi, ma insieme. Se prima non vedevamo l’ora di arrivare a casa, invece di stare seduti a guardare fuori dalla finestra sperando che il tempo passasse in fretta, ora anche stare seduti ad ascoltare una voce viva e non telematica sarebbe un sogno. Ci sentivamo in obbligo, quando passavamo le ore sui mezzi di trasporto, scendendo nelle stazioni colme di gente, sperando che il treno fosse in orario. Ma ora si pagherebbe oro, per poter sedersi su una corriera, avendo la certezza
Di Classe
che ci sia qualcuno che ti aspetta e ti tiene il posto, e scendere. Scendere, dalle 11 corriere che raccoglievano centinaia di studenti dal Trentino o dalla macchina che guidavi quando in quinta superiore orgogliosamente prendevi la patente.
Ci sentivamo in obbligo, quando dovevi sopportare i diversi caratteri riuniti in una classe, dove tra scontri e battute, le 21 persone presenti erano nello stesso posto. Quel posto, dove ora si pagherebbe oro per poterci entrare, anche litigando, ma basterebbe poter tornare a stare insieme. Perché si, possiamo dire ad alta voce per 5 anni interi che siamo stufi di studiare fino a tarda notte, che siamo stufi di alzarci alle 5 di mattina per 6 giorni a settimana, siamo stufi di stare lontani dalla nostra famiglia e amici e di dover dormire in un convitto, siamo stufi di avere delle consegne, di avere delle scadenze, di avere del lavoro da fare che malvolentieri dobbiamo svolgere. Ma nel profondo del cuore, noi della FEM, sappiamo tutti che quel test di ingresso fatto ancora prima di capire a cosa andassimo incontro, ci ha cambiato la vita. In bene o in male, ma in quella scuola ci abbiamo lasciato delle abitudini, la quotidianità, le persone con cui abbiamo condiviso tanto, delle amicizie nate tra compagni di banco “quasi amici”, degli amori finiti o che continueranno fuori, dei mentori che hanno scelto il percorso di San MICHELE come percorso di vita, insegnandoci e facendoci crescere, e quando noi vinciamo, vincono anche loro. Perché quando concludi ti danno un diploma, ma dentro di te intanto è nata una passione, che in 5 anni ti fa capire cosa vuoi dalla vita, e San Michele sarà sempre la base delle nostre future scelte, un pezzo di cuore. Siamo entrati dalle porte dell’Istituto insieme ai nostri genitori, iniziando un percorso che fin da subito ti fa capire che tu sei diverso,
OGNIBENI Studentessa
quel diverso che le persone hanno paura di essere. quel diverso che a 13 anni non va di moda, quel diverso che i tuoi amici del cuore non hanno voluto scegliere e che tu ti ritrovi orgogliosamente da solo ad affrontare. Quel diverso che porterai sempre come un ricordo che non si cancella, dopo 5 anni di sudore e fatica, 5 anni di corridoi stracolmi, macchinette occupate, quella mensa che ha fatto correre gli studenti più delle lezioni di ginnastica, gli uscieri che portavano le sostituzioni e ti rallegravano la giornata, quel libretto che non abbiamo mai imparato a piegare, quelle gite improbabili e raggiungibili con i furgontour dell’Istituto, quel ponte che la mattina attraversavamo e far il bagno in inverno nell’Adige, a volte, era quasi una scelta migliore, quelle vigne che hanno sfamato bocche insaziabili, quelle pizzette che hanno creato faide tra le classi, quella guerra continua tra corsi, quel bar o la coop che ci hanno salvati dalla zuppa di lenticchie del pranzo del giovedì in mensa, quella fontana punto di ritrovo di lunghi viaggi, quell’università in cui siamo stati più volte di tutte gli universitari messi insieme, quelle dannate scale che hanno ucciso più persone dello schiacciamento in corriera quando rientravano i convittori nei loro paesi, la sfilata dei trattori a fine anno, dove il PT tirava fuori l’artiglieria pesante ma bastava accendere la motosega che il GAT conquistava il primo posto. Usciamo quindi a testa alta, con mille mancanze da ultimi mesi di scuola, con mille parole ancora da dirci, mille esperienze ancora da trascorrere assieme, mille verifiche da fare, tante persone da ricordare, tanto materiale da recuperare sotto banchi, una maturità online da fare. Usciamo, lasciando il posto ad altre persone, lasciando l’opportunità a dei bambini di diventare adulti, lasciamo i nostri banchi, i nostri proiettori storti, i nostri angoli nascosti, i nostri posti in corriera, i nostri professori, i nostri passi fatti, lasciamo la palazzina, lasciamo il Noris, lasciamo il libro di chimica mai usato, il palazzetto, le poltrone dell’aula magna, lasciamo Nonno Edmund e usciamo. Maggiorenni o ultra veterani, noi usciamo. E tutto questo ci mancherà in un modo o nell’altro, perché qua abbiamo lasciato tanto ma una cosa ce la prendiamo: la convinzione di chi siamo diventati, perché noi “aven fat San Michele popi”, siamo quelli del GAT e anche se non sappiamo distinguere le specie di alberi o distinguere un capriolo da un daino, sappiamo però che una motosega non è fatta per tagliarci i capelli dopo la quarantena, mal che vada usate la forbice delle vigne che l’è nova de sigur.