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Un lavoro eccezionale

Nel corso di Gestione Ambiente e Territorio, nell’articolazione Produzione e Trasformazioni, gli studenti sono stati invitati a redigere una riflessione critica e argomentata, scegliendo tra alcune tematiche proposte. Esther Riz, Studentessa della 5A PT, ha approfondito questo tema: “La comunicazione dei risultati della ricerca ai portatori di interesse e ai cittadini deve essere orientata a comprendere, stimolare ed elevare il tenore partecipativo verso l’innovazione, favorendo stabilirsi di un rapporto di fiducia tra mondo della ricerca, dell’innovazione e pubblico. La scarsa accettabilità dell’innovazione ha ripercussioni sulla competitività delle aziende. Si deve investire in comunicazione per attenuare la paura dei consumatori e dei cittadini nei confronti dell’innovazione in agricoltura.” Essendo stato, quello di Esther, un lavoro eccezionale, lo riportiamo integralmente nell’annuario.

L’innovazione in agricoltura

L’innovazione agricola è un’espressione di accezione negativa per la maggior parte dei cittadini ma probabilmente è necessario innanzitutto comprendere come si sia evoluta nel tempo ed è opportuno partire dall’inizio, proprio dalla Preistoria. Per ironia l’agricoltura stessa come concetto medesimo-pratico fu un’innovazione avvenuta nel Neolitico quando l’homo sapiens sapiens iniziò a formare i primi insediamenti stabili e sostituì la caccia e la raccolta con l’attività agricola. In Mesopotamia, intorno al 6’000 a.C. l’uomo iniziò ad allevare i buoi per agevolare l’attuazione delle pratiche agronomiche primordiali. La situazione restò immutata fino all’anno mille quando, durante l’alto Medioevo, si presentò un aumento demografico per l’innalzamento della temperatura globale e per la cessazione delle invasioni barbariche nel continente europeo, così nacque la necessità di innovare le tecnologie agricole. La rotazione triennale (che andava a sostituire la rotazione biennale e permise di sfruttare al meglio i terreni, diminuire la possibilità di infezioni da parte di agenti patogeni ed evitare la destrutturazione del terreno) e l’aratro pesante (in modo da poter sfruttare i terreni compatti che precedentemente non potevano essere impiegati e lavorati) furono le prime e maggiormente rilevanti innovazioni agricole della storia. Altre innovazioni tecnologiche che hanno caratterizzato questa cosiddetta rivoluzione agricola furono l’impiego del cavallo da tiro, l’invenzione di collari a spalla per il bestiame da lavoro, lo sfruttamento di nuove fonti di energia come la forza idrica ed eolica e la ferratura degli zoccoli. In seguito, intorno al 1750 vengono introdotte nell’agricoltura europea nuove colture provenienti dall’America, quali il mais, pianta poco esigente anche se sensibile al freddo e molto più produttiva rispetto al frumento; la patata, coltura con una produzione eccezionale di un bene particolarmente energetico; il pomodoro e la zucca. Vennero anche introdotte le prime trebbiatrici e seminatrici arcaiche che determinarono l’inizio dell’impiego e sfruttamento dell’energia meccanica e l’aratro costituito interamente di ferro. Molti storici ritengono che la rivoluzione agricola avvenne parallelamente alla rivoluzione industriale e ne fu estremamente influenzata, infatti nella società preindustriale il 70-90% della

ESTHER RIZ Studentessa classe 5A PT

popolazione era impiegata nel settore agricolo ma a partire dalla prima metà del 1800 la quota di popolazione occupata in agricoltura era inferiore al 50% in alcuni paesi come la Gran Bretagna. Queste novità dell’agricoltura resero possibile l’introduzione dei grandi cambiamenti sociali che caratterizzarono quei secoli, infatti secondo la piramide di Maslow prima si dovettero soddisfare i bisogni fisiologici di sazietà energetica giornaliera, poi i bisogni di sicurezza sanitaria per le frequenti epidemie di quell’epoca e solo in seguito le persone ebbero la possibilità di instaurare pensieri e movimenti culturali, sociali, politici e filosofici come l’illuminismo. In seguito, intorno all’anno 1930, il mondo andò in contro ad una forte globalizzazione e nel frattempo viene introdotta la chimica in agricoltura con la sintesi di fertilizzanti chimici e diserbanti, in più vengono progettati i primi prototipi di trattori (anche se il Trentino rimarrà poco meccanizzato per altri 15 anni). A partire dagli anni ‘60 l’impiego della chimica è consolidata e comune a tutti i territori facendo uso regolare di trattamenti fitosanitari chimici e si riscontrano i primi risultati del miglioramento genetico. Circa 10 anni dopo iniziano a verificarsi, però, dei problemi agronomici legati all’ipofertilità del terreno e all’inquinamento delle acque. Di conseguenza si sviluppano delle forme di agricoltura maggiormente sostenibile e vengono definite le prime norme riguardanti l’utilizzo e l’impiego di prodotti chimici in agricoltura. Progressivamente poi si applicò l’elettricità, la meccanica, il motore a scoppio e molte altre scoperte al settore primario. Ai giorni nostri il 3-5% della forza lavoro europea si occupa della coltivazione della terra nonostante le produzioni siano in continuo aumento ed è per questo che si aspira ancora ad un’ulteriore e costante innovazione nel mondo dell’agricoltura applicando soprattutto le biotecnologie e le tecnologie digitali, in quanto si aspira ad un’agricoltura il più possibile produttiva e sostenibile. Tutto questo excursus storico per dire che le innovazioni agricole sono sempre avvenute nel corso del tempo e sono normali e naturali in quanto l’agricoltura si è sempre evoluta di pari passo con lo sviluppo delle conoscenze tecnico-conoscitive dell’uomo. L’intreccio relazionale tra ricerca, innovazione e cittadini può quindi essere identificato come un andamento piuttosto irregolare in tendente crescita verso la complicità tra i diversi soggetti. Si intende il fatto che inizialmente i cittadini, che corrispondevano prevalentemente ai contadini, tentavano di aspirare a delle innovazioni a livello territoriale molto ristretto che potessero rendere il lavoro meno duro e faticoso come avvenne per la prima rivoluzione industriale in cui le innovazioni furono introdotte dai cittadini stessi. Con il passare del tempo la popolazione non ebbe più la necessità di produrre autonomamente dei beni per l’autoconsumo in quanto il surplus delle produzioni agricole aveva permesso di commercializzare una parte dei beni agricoli alimentari e quindi rendere possibile a molte persone ad aspirare ad un lavoro diverso dall’agricoltore. Con il passare del tempo si formarono dei veri enti di ricerca per l’innovazione e la crescita tecnologica che andò a sostituire il ruolo primordiale dei contadini, allontanandoli per sempre dalla possibilità di innovare direttamente il settore dal punto di vista interno come lavoratori in agricoltura che devono affrontare e conoscono in prima persona le problematiche, le avversità e le debolezze da risolvere. Così si iniziò a creare una sorta di competizione identificata quasi come supremazia della ricerca sugli agricoltori, in questo modo i due soggetti iniziarono ad allontanarsi, ne è una conferma la seconda rivoluzione industriale la cui avvenuta fu possibile esclusivamente per le

scoperte di veri e propri scienziati e non era più una voce proveniente dal proletariato. Successivamente quindi, l’agricoltura di sussistenza si tramuta in estensiva, la quale mira a produrre quanto più possibile e quanto più il terreno permette. Nel frattempo il resto della popolazione che non si occupava professionalmente del settore, rimase passiva all’argomento e ne era indifferente ma dall’altra non esisteva interesse di informare i cittadini. Con lo scandalo della mucca pazza, intorno agli anni ‘90, i cittadini iniziarono a preoccuparsi della loro sicurezza alimentare fino a diventare un’ossessione radicale che è tuttora presente nella nostra società. Tale evento causò un certo astio del popolo nei confronti degli agricoltori e dei centri di ricerca e innovazione che con lo scorrere del tempo peggiorò maggiormente, incrementato dalla trasformazione dell’agricoltura in intensiva e dal morboso diffondersi di notizie parzialmente errate o distorte dagli enti di gestione dei mezzi di comunicazione (basti pensare come ogni giorno all’interno dei giornali o sui social media vengono divulgati nuovi scandali alimentari di uno specifico alimento). Ad ogni modo ritengo di fondamentale importanza la catena del trasferimento tecnologico nella sua interezza, dalla ricerca che si pone domande generali, alla trasposizione scientifica di queste ultime sul campo sperimentando direttamente sul territorio, alle imprese che trasformano in prodotti vendibili e applicabili tutti i risultati derivati dalla ricerca e dalla sperimentazione fino ai consumatori che possiedono il diritto di scelta e preferenza all’interno del mercato e possono direttamente influire sullo stesso. Infatti solo con un legame saldo e solido tra i distinti soggetti è e sarà possibile risolvere i problemi globali di sprechi idrici e raggiungere gli obiettivi mondiali che aspirano a sconfiggere la fame (secondo obiettivo dell’Agenda 2030). Non solo, sarà essenziale che gli enti collaborino esternando le proprie competenze, i ricercatori dovrebbero essere liberi di compiere il loro mestiere, le aziende libere di scegliere gli strumenti necessari a stare sul mercato per essere maggiormente competitive all’interno di esso. La verità è che persiste nella mentalità comune, a livello generale, una sorta di rifiuto storico per l’innovazione. Sembra assurdo in quanto da sempre è avvenuto il cambiamento e sempre sarà così, oppure saremmo dovuti rimanere bloccati nell’età della pietra. L’estrema velocità dell’evoluzione e dell’innovazione nell’ultimo trentennio è palpabile e indiscutibile ma ciò non significa sia sempre un male e non significa neppure sia sempre un bene in quanto si dovrebbe analizzare caso per caso, all’interno del singolo contesto, considerando anche la sfera etica e sociale. A livello generale quindi si riscontra una certa paura per l’innovazione soprattutto in ambito agroalimentare forse perché si vorrebbe preservare in un certo modo, il senso di appartenenza alla storia alle tradizioni che in realtà non sono altro che le innovazioni dei nostri antenati. Se si analizza in maniera concreta le preferenze del consumatore medio si può osservare come le persone prendono le decisioni in base alle emozioni del momento, ai sentimenti, alle sensazioni e allo stesso modo avviene davanti allo scaffale di un supermercato quando la scelta di beni alimentari è così ampia che per impulso si sceglie un prodotto piuttosto che un altro. Il marketing ne è a conoscenza di questa reazione spontanea e la sfrutta, ma questo non è il punto. A volte le persone effettuano le scelte senza un’analisi intellettiva critica e senza rendersi conto di ciò che stanno rifiutando o acquistando. Da sempre l’uomo trova nel cibo un rifugio sicuro, una consolazione, un mezzo per rimembrare ricordi speciali e probabilmente per questo si atteggia in modo così aggressivo verso le innovazioni del sistema agro-

alimentare. La gente però non è a conoscenza del fatto che non esiste niente di tradizionale. Se pensiamo ad un piatto tipico italiano come la pasta al ragù siamo sicuri sia davvero così nazionale e naturale come tutti credono che sia? Il frumento per la produzione della pasta deriva da una modificazione genetica della maggior parte dei geni di due piante selvatiche, avvenuta per caso senza l’intervento dell’uomo, il pomodoro è una pianta di origine americana e per ottenere la carne, i bovini sono stati nutriti con mangimi per i due terzi provenienti dall’America; per le cipolla, le carote e ciò che è necessario per la riuscita di un buon sugo, l’Italia importa alte quantità di ortaggi dalla Spagna, soprattutto durante i mesi più freddi dell’anno. Esempi del genere sono infiniti ma in fondo viviamo in un mondo completamente globalizzato che teme il cambiamento e si nasconde all’evidenza, si nasconde dai problemi globali ma la novità è essenziale, è la vita, è la natura. Le specie animali e vegetali si evolvono per sopravvivere, nuove tecniche vengono inventate per migliorare la qualità della vita. L’unico ostacolo è superare i pregiudizi. Secondo il dizionario Treccani: (ant. pregiudìcio) s.m.[dal lat. praeiudicium, comp. di prae- «pre-» e iudicium «giudizio»] Idea, opinione concepita sulla base di convinzioni personali e prevenzioni generali, senza una conoscenza diretta dei fatti, delle persone, delle cose, tale da condizionare fortemente la valutazione, e da indurre quindi in errore. In poche parole concetti preesistenti nelle menti che alimentano l’ignoranza popolare. Come disse Albert Einstein: è più facile spezzare un atomo che un pregiudizio. L’unica arma che le aziende possiedono è la divulgazione di verità attraverso qualsiasi mezzo a disposizione. D’altronde i conservatori sono sempre stati presenti, anche all’interno della politica e della società come Verga ad esempio, il quale diffidava completamente della tecnica e della scienza nonostante vivesse in un epoca che prende il nome di positivismo in cui la scienza veniva divinizzata e considerata la soluzione a qualsiasi problema. Lo scrittore credeva nell’immobilità tecnologica e il progresso veniva da lui paragonato come un fiume in piena (la cosiddetta fiumana del progresso) che travolge chiunque provi ad approcciarsi. Anche se la metafora ha uno sfondo eccessivamente iperbolico, in un certo modo azzecca esattamente il fatto che le innovazioni una volta scoperte, invadono società e dopo essere tramutate in normalità, in quanto incrementano uno stile di vita migliore, più semplice, più salutare ecc., sono difficili da cambiare di nuovo. È evidente però che tale rifiuto non ha alcun senso in quanto sarà strettamente necessario un cambiamento nella produttività per ettaro dal momento che, secondo accurate stime, nel 2050 la domanda di cibo aumenterà del 50% a causa di un picco demografico che raggiungerà 9,8 miliardi di persone ed è chiaro come l’agricoltura attuale non sarà in grado di soddisfare i fabbisogni alimentari richiesti. Le innovazioni si stanno effettuando per soddisfare i bisogni etici dei consumatori stessi, per rispettare la sensibilità ambientale-economica-sociale dei cittadini odierni. Nel fare questo discorso è evidente abbia generalizzato alquanto dal momento che siamo tutti diversi e come persone uniche, quali siamo, possediamo una sensibilità discordante rispetto a determinate tematiche. Alcuni possono essere maggiormente impauriti dagli OGM, altri possono assumere un atteggiamento esclusivamente indifferente e passivo ed altri ancora ammirano e quasi divinizzano le novità, ne è una conferma il recente sviluppo e la diffusione della ristorazione gourmet la quale favorisce l’impiego di beni particolari, rari e raffinati che sono completamente slegati

dalle tradizioni ma stanno richiamando l’attenzione popolare, nonostante si stia parlando di beni agroalimentari, verso i quali l’uomo tende a riporre una richiesta di immobilità per la tradizione. Per un’altra parte della popolazione questo tipo di approccio culinario risulta essere anticonformista e assolutamente da evitare. Allo stesso modo avviene nei confronti delle innovazioni tecnologiche, come dice Umberto Eco, l’atteggiamento dei cittadini si suddivide in due fazioni: gli apocalittici e gli integrati. I primi si oppongono drasticamente all’idea di cambiamento come se fosse un’apocalisse, appunto, mentre i secondi si atteggiano in modo positivo e molto entusiasta rispetto alla novità, quasi esaltandola al suo estremo. In base al contesto ambientale, storico e sociale l’equilibrio può tendere verso una fazione rispetto all’altra. In più vorrei anche aggiungere che le innovazioni tecnologiche non possono essere sempre considerate positive a prescindere ma sono necessarie delle norme e legislazioni per limitarle e identificarle. Ad esempio l’invenzione del motore a scoppio ha rivoluzionato l’intera economia a partire dalla seconda metà dell’800 ma a livello ambientale è stato il primo vero disastro le cui conseguenze si riescono a percepire tutt oggi. E ancora, la costruzione dei treni a vapori nelle terre dell’America Occidentale era innovazione ma obbligò interi popoli di nativi americani a scappare e tentare di sopravvivere all’attacco degli invasori. Certamente si rientra nel contesto etico il quale è difficile da smentire ed è piuttosto personale in base alla sensibilità oggettiva, come già argomentato sopra. Allo stesso tempo non si dovrebbe neanche estremizzare la negatività delle innovazioni in quanto in agricoltura si deve innovare quasi per obbligo e necessità, perché i patogeni mutano nel tempo e quindi si ha l’esigenza di nuove soluzioni per la lotta, perché alcuni processi di produzione con il tempo risultano incompatibili con le sfide del pianeta, perché è in corso il cambiamento climatico che si traduce in fabbisogni ed esigenze colturali mutevoli da soddisfare. Tra l’altro oggi all’agricoltura si chiede, o meglio si pretende, di produrre di più senza aumentare la superficie coltivabile, senza aumentare la la tensione sull’ambiente, mantenendo o addirittura aumentando la qualità del prodotto, a costi accessibili per soddisfare dei consumatori sempre più esigenti (ossia la cosiddetta agricoltura sostenibile). Simultaneamente si esige l’immobilità della tradizione. Non è altro che un paradosso in termini pratici, non è una teoria applicabile ma spero che sia ormai evidente. In fondo nel sistema agroalimentare i consumatori hanno un’alta influenza sul mercato e, anche se sono le GDO a spuntare i prezzi e possedere un potere contrattuale maggiore, la loro domanda incide sull’intera produzione quindi ogni singolo consumatore possiede una forza e un potere incredibile semplicemente scegliendo un bene piuttosto che un altro solo in base alla paura del nuovo. Così mi sorge spontanea una domanda: Come mai al supermercato nel reparto ortofrutta si vedono ogni mese delle novità di incroci fra specie diverse come il pomelo cinese, il cacomela o il nashi asiatico ma se invece si parla di ibridi di mais le persone si allarmano, si preoccupano e finiscono per non comprare più prodotti derivati dal granoturco? Ad ogni modo forse non sono solo i consumatori a possedere una certa responsabilità nei confronti della competitività mondiale delle aziende italiane, anche tutti gli altri soggetti possiedono una larga frazione di reità. La comunicazione ai cittadini svolge un ruolo estremamente influenzante sulle decisioni dei consumatori. L’informazione è probabilmente il metodo più efficace per combattere l’ignoranza anche se spesso viene trascurata dalle imprese, mentre al-

tre volte viene distorta in base ai vantaggi di una singola grande azienda. Un esempio innovativo per una comunicazione efficace verso i consumatori è il codice QR per riportare in maniera accurata la tracciabilità dei prodotti agroalimentari, così da sfatare ogni possibile credenza con l’evidenza scritta e rassicurare anche i cittadini sulla genuinità e qualità del bene. Esiste comunque un possibile effetto negativo della divulgazione di informazioni contrastanti rispetto alle idee tradizionaliste e radicate nei cittadini è ottenere l’effetto chiamato “bias cognitivi”. Secondo studi psicologici la mente umana tende a crearsi una realtà soggettiva personale o comune ad un gruppo più o meno ampio, per aderire alle proprie ideologie che può non corrispondere alla vera ed evidente realtà. Esso è un meccanismo mentale di distorsione della realtà in base ai desideri personali, al numero di persone che condividono la stessa convinzione, alla prima informazione che ci viene fornita, alla convinzione di individuare certi schemi errati che possano semplificare il mondo, alla sovrastima delle informazioni a nostra disposizione usate come tesi. A volte si instaura nelle menti umane un meccanismo di razionalizzazione e giustificazione delle scelte palesemente sbagliate o sconvenienti. Questa tendenza rafforza i principi errati ed infondati delle persone portandole a commettere all’infinito le stesse scelte poco consone, solo per essere costanti rispetto alle scelte del passato. I prodotti fitosanitari sono stata una potente innovazione che ha permesso all’agricoltura di raggiungere produzioni incredibili. A partire dal 1960 l’utilizzo di agrofarmaci è incrementato esponenzialmente ma i cittadini non comprendono quanto siano essenziali per il sistema agricolo, per la produzione di beni sani, di qualità e visivamente accettabili, come richiedono i consumatori. Non c’è una vera ragione di preoccuparsi per la loro incisione sulla salute umana, le regolamentazioni dell’UE sono parecchio accurate e restrittive anche rispetto ad altri paesi come gli Stati Uniti. Secondo delle analisi statistiche riportate nel Registro Tumori di popolazione evidenzia che dal confronto dei tassi di incidenza standardizzati (persone affette, considerando qualsiasi tipo di tumore) non fa emergere differenze significative tra i distretti di coltivazione delle diverse zone del Trentino e la provincia, per entrambi i generi e per qualsiasi età(compresi i tumori infantili e adolescenti). Ciò non significa altro che i prodotti fitosanitari impiegati in modo consono, seguendo i vari disciplinari e le varie regolamentazione, non sono statisticamente cancerogeni. Come detto, il ministero della Salute italiano, il ministero dell’Ambiente e l’Unione Europea prestano molta attenzione all’approvazione di nuovi prodotti agrofarmaci, investendo oltre €250.000.000 per verificare la compatibilità delle richieste di garanzia sulla salute e sull’ambiente del singolo prodotto. Il rigido sistema autorizzativo fa dedurre che le molecole già autorizzate e presenti sul mercato sono state ampiamente selezionate, infatti i tempi di verifica sulla salubrità sono spesso di durata maggiore di 15 anni per verificare in maniera il più possibile accurata la sicurezza totale. Certamente per ottenere una sicurezza sanitaria pari al 100% i tempi dovrebbero essere maggiormente estesi in quanti i tumori si possono verificare solamente nel lungo periodo ma dall’altra parte l’agricoltura ha l’esigenza di impiegare nuovi prodotti in grado di sostenere determinati effetti del cambiamento ambientale sulle colture o di evitare certi effetti di patogeni aggressivi mutati recentemente e in più non si possono sacrificare dei veri esseri umani per testare la cancerogenicità in quanto sarebbe eticamente improprio. “Non sono stati individuati ed evidenziati rischi reali”, sono le parole riportate di Mario Cri-

stofolini, presidente Lilt (Lega Italiana per la Lotta contro i Tumori) e di Silvano Piffer, direttore del Registro Tumori Trentino ed esperto epidemiologo, in un articolo del quotidiano Adige il 15 ottobre 2019, anche se ritengono, giustamente, che è opportuna una maggiore attenzione all’utilizzo dei fitofarmaci tradizionali e una tendenza alla conversione verso un’agricoltura più sostenibile. In più affermano che risulta complicato effettuare una ricerca tumorale in zone circoscritte (ad esempio una ricerca sullo sviluppo tumorale nelle Valli di Non e Fassa) in quanto la popolazione risulta essere numericamente eccessivamente ridotta e poco rappresentativo a livello statistico, in più i fattori incidenti e confondenti sono eccessivamente numerosi. Ad ogni modo nel particolare l’impiego di insetticidi nel settore agricolo, a partire dal 2015 sta diminuendo per lasciare spazio a tecniche innovative come la confusione sessuale in modo da poter contemporaneamente salvaguardare le api, specie indispensabile per l’impollinazione di innumerevoli specie di piante. Vorrei soffermarmi anche sull’interessante accezione negativa a cui le persone associano la parola pesticidi che non ha nulla a che vedere con il termine “pesticides” utilizzato nei paesi inglesi. In Italia se si parla di pesticidi i cittadini si allarmano mentre se si parla di prodotti fitosanitari la gente tollera maggiormente il concetto e forse lo percepisce in maniera diversa, ciò non è altro che una conferma del fatto che le menti di un popolo ignorante in materia può essere facilmente influenzata semplicemente dalla fonetica di una parola così innocua ma di fondamentale divulgazione. In maniera opposta accade con il termine “pesticides” che accolto e sentito con pensiero positivo e realista dai popoli inglesi; la differenza avviene probabilmente per un diverso approccio culturale il quale, quindi, fornisce speranza alla possibilità di cambiare la mentalità del popolo italiano. Questo è ciò che si ha la necessità di divulgare e far conoscere all’intero pubblico per combattere l’ignoranza con la vera e reale informazione. Allo stesso modo si dovrebbe parlare delle varietà resistenti, una delle innovazioni più importanti derivate dal miglioramento genetico che però è vista dai consumatori come qualcosa di inappropriato, non naturale, ma in fondo cosa significa naturale? Senza chimica? Assolutamente no dal momento che la chimica si trova ovunque ed è qualsiasi cosa, noi stessi siamo chimica, il nostro corpo, il nostro metabolismo, le sinapsi nel nostro cervello. Naturale forse significa che proviene dalla terra? O forse è rappresentato dal ciclo della vita? A dirla tutta in termini reali qualsiasi bene agroalimentare non è naturale: l’agricoltura e l’allevamento non sono naturali dal momento in cui sono nati, essa è un processo esclusivamente artificiale che non ha niente a che vedere con la crescita spontanea di piante selvatiche o il pascolamento di animali liberi. Ad ogni modo le varietà resistenti sono una tecnologia innovativa in grado di ridurre drasticamente i trattamenti fitosanitari, in grado di migliorare l’adattabilità termica, idrica, ambientale, patologica della coltura. Esse sono approvate dalla legge italiana e una parte degli individui del popolo sono concordi al loro impiego, mentre la grande maggioranza non conosce neppure la loro esistenza. Queste varietà sono derivate da ibridazione, ossia incrocio artificiale tra diverse cultivar. Detto ciò mi risulta ridicolo che il consumatore medio ritenga “naturale” tale processo ma discrimina a prescindere gli Organismo Geneticamente Modificati. Risulta ridicolo anche il modo diverso di approcciarsi alle innovazioni agricole che si trovano in un certo senso sullo stesso piano dal momento che viene modificata la genetica.

GMOs safe to eat

Animal Research

Human Evolution

Childhood Vaccines Rifiutando alcuni OGM sicuri è come se si rifiutasse l’innovazione che riduce l’impatto ambientale, un esempio è il mais BT il quale è una varietà modificata geneticamente ed è in grado di proteggersi autonomamente dalla Piralide, rendendo inutile qualsiasi trattamento atto alla lotta contro questo insetto. Risulta assurdo la non ammissione di tale coltura nonostante abbia un risvolto ambientale palese e palpabile. La percezione della scienza da parte del pubblico è molto distorta. La gente crede di sapere e conoscere più degli scienziati stessi. La più importante associazione scientifica americana l’AAAS (American Association for the Advancement of Science) ha effettuato degli studi a riguardo (riportati nella figura in basso). Ne emerge che la gente non ha fiducia nella scienza, nonostante non rientri nelle sue reali competenze. Ma questo non è altro che un ulteriore effetto dei bias cognitivi: la credenza di conoscere più di quanto effettivamente sappiamo o anche essere inconsapevoli di quanto non siamo a conoscenza. La mancanza di fiducia nei ricercatori, negli scienziati, ecco cosa manca alla nostra società. Perché crediamo nell’evoluzione e non alla sicurezza degli OGM? Parlare di fiducia per gli scienziati non può essere possibile ma è la verità, neppure gli scienziati stessi possono sapere tutto della scienza ma appartengono ad una sfera di competenze particolare. Un fisico non sarà mai in grado di confermare l’efficacia delle varietà resistenti, come un

SCIENTISTS VS PUBLIC biologo non potrà mai riaffermare la teoria che il cibo molecolare ci potrà sfamare in futuro. Alimentare la fiducia è il perno su cui si deve fare leva per rassicurare le persone e far capire loro che le innovazioni servono per migliorare il modo di vivere, la salute, il modo. Solo così diminuirà l’idea di pensiero complottista che è presente nelle menti di tutti i cittadini mondiali. Probabilmente la stampa e i giornalisti hanno un potere incredibile sui consumatori. Una conferma ne è la pubblicazione odierna e costante di nuovi scandali alimentari spesso infondati o distorti. La percezione che ogni consumatore ha del cibo varia a seconda di ciò che ci viene detto, perché in fondo non si tratta più di un metodo errato di ricerca delle informazioni, o almeno solo parzialmente, in quanto le notizie ci vengono somministrate ogni giorno attraverso i giornali, in televisione, attraverso i social media. A volte sembra che il mondo creda che qualsiasi cosa sia un complotto, che ci sia sempre qualcuno pronto a investire tutti i propri soldi per sabotare la nostra integrità e la nostra salute. Forse è più facile incolpare gli altri dei problemi mondiali per non sentirsi addosso la responsabilità che ognuno di noi possiede e senza il bisogno di trovare delle soluzioni, delle innovazioni per risolverli. Le persone necessitano di informarsi e aprire la visione in cui vedono il mondo, cambiare prospettiva. Il mondo ha la necessità di una ventata di freschezza, ha bisogno di novità e ha bisogno di noi giovani che siamo l’innovazione del futuro. Cambiare il pensiero delle persone è sbagliato e contorto ma dare loro una prospettiva reale e veritiera significa fornire speranza alla gente, per un mondo ancora in grado di sostenere il forte fardello che siamo noi umani. Concludendo si può affermare che l’agricoltura, come il mondo ha bisogno dell’innovazione, l’agricoltura è innovazione, l’agricoltura significa innovare le tradizioni.

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