LA CITTÀ COME CASA Nina Bassoli e Davide Tommaso Ferrando Curatori esterni del gruppo di coordinamento del Festival
La definizione del tema di un festival è un’operazione delicata, caratterizzata da due coppie di problematiche in evidente contraddizione reciproca. Da un lato, infatti, è necessario costruire una narrativa orientata verso un’area ben specifica della disciplina di riferimento, così da evitare di disperdere le grandi energie che questo genere di eventi è in grado di canalizzare. Parallelamente, tale narrativa deve essere in grado di scavare al di sotto della superficie del discorso, al fine di far emergere elementi di criticità capaci di generare non solo dibattito ma anche conoscenza. D’altro canto, per essere realmente inclusivo e favorire un alto tasso di partecipazione, le maglie del tema devono essere tenute larghe, in modo da poter ospitare al suo interno non solo una varietà di punti di vista, ma anche una diversità di approcci disciplinari. Infine, un festival deve poter parlare a tutti gli strati della cittadinanza, non solo agli addetti ai lavori, ed è per questo che la narrativa costruita attorno a esso deve essere mantenuta accessibile, evitando tecnicismi e derive accademiche in favore di un tipo di comunicazione sostanzialmente divulgativo. È a partire da tali considerazioni che abbiamo deciso di identificare nella coppia di concetti “abitare” e “città” i due assi portanti dell’edizione 2017 del Festival Architettura in Città. Due concetti di grande valore per la nostra società che tuttavia, se affrontati singolarmente, risultano troppo ampi per essere analizzati in maniera efficace nella cornice spazio-temporale di un festival. Una volta fatti incontrare – abitare la città, abitare in città... – invece, i due concetti cominciano a definire una serie di campi di indagine ben più specifici,
capaci di innescare ragionamenti, ad esempio, su temi senza tempo – come si costituisce il rapporto tra casa e città, tra interno ed esterno, tra privato e pubblico, tra individuo e società? – su temi legati alle recenti trasformazioni culturali e tecnologiche – come cambia lo spazio domestico, sotto l’influenza delle nuove tecnologie e con il sorgere di nuovi stili di vita? – nonché su temi di pressante attualità – quali politiche, strategie, dinamiche di appropriazione dello spazio urbano possono identificare l’abitare come un diritto universale? Abitazione La casa è il nostro rifugio, il nostro specchio e la nostra espressione. Eppure non c'è mai niente che possa essere puro specchio o puro rifugio. Lo straniamento e la sottile inquietudine che possono generarsi all'interno delle pareti domestiche è al centro di innumerevoli opere, da film, a romanzi, fotografie, saggi o installazioni, che di questo aspetto perturbante hanno colto tutta la potenza narrativa. La città, giungla di imprevisti e sconosciuti, è ciò da cui qui dentro ci sentiamo protetti, ma è anche, in un'altra prospettiva, ciò che ci protegge, ci salva, dalla claustrofobia di questo straniamento. Là fuori il mondo accade, e noi lo incrociamo attraversando i flussi delle azioni quotidiane, entrando e uscendo di casa, o con una vista dalla finestra, uno sguardo che penetra da fuori a dentro. Cosa proviamo a stare da soli, o soli con il nostro nucleo famigliare all'interno di uno spazio intimo e privato, sapendo che accanto a noi altri milioni di persone stanno facendo le stesse cose, ognuno a modo suo, ognuno con la propria intimità, così privata eppure così fragile e vicina, solo al di là del muro, al piano di sotto, dietro la finestra di fronte? Housing Gli architetti ottimisti del moderno hanno davvero creduto di poter mettere ordine a tutto questo e di poter risolvere la questione delle
abitazioni con standard di igiene, salute e efficienza che avrebbero garantito finalmente qualità per tutti. Oggi possiamo provare ad ammettere che questo affascinante progetto è fallito. Tre delle quattro Vele rimaste di Scampia verranno presto demolite, così come altri blocchi residenziali in diverse città italiane. E mentre osserviamo il crollo di queste megastrutture d'ordine che si sgretolano, come possiamo riprendere il discorso sull'housing sociale, o sul quartiere residenziale in genere? Se il diritto alla casa è universale, non è detto che la risposta a questo diritto si possa trovare in standard e forme indifferenziate. Potremmo provare a ricomporre i pezzi seguendo piuttosto le differenze dei modi d'essere e dei comportamenti, nella loro irregolarità e imprevedibilità, ammettendo inevitabilmente scarti, eccezioni, lacune. In the city Tuttavia, non è solo in casa che l'uomo abita. E non è nemmeno detto che sia necessaria la mediazione di un artefatto edilizio affinché sia possibile abitare. Abitiamo il pianeta, le strade, i parchi, le città, gli spazi in cui decidiamo di sostare per un tempo più o meno prolungato e anche quelli che semplicemente attraversiamo. Possiamo trovare una dimensione domestica in uno spazio privato, comune o pubblico, appropriarci temporaneamente di un angolo qualunque del mondo con la nostra intimità, abitarlo e trasformarlo imprimendovi le tracce del nostro passaggio e dei nostri desideri. La città come casa.
Gruppo di coordinamento del Festival: Roberto Albano, Armando Baietto, Raffaella Bucci, Cristina Coscia, Eleonora Gerbotto, Giorgio Giani, Serena Pastorino Con: Nina Bassoli e Davide Tommaso Ferrando
ARCHITETTURA
PAROLE E NUMERI PER INTRODURRE IL FESTIVAL ALZARE LO SGUARDO Giorgio Giani, Presidente Fondazione per l’architettura / Torino Risalire la china di una profonda crisi che per gli architetti affonda le sue radici in periodi e ragioni storiche ben più lontane di quelle della crisi economica, non è affare da poco. Ci lamentiamo giustamente del nostro attuale destino, ma piegati dalle difficoltà soprattutto economiche non riusciamo a vedere lucidamente il percorso da fare, che è anche e certamente quello di ritrovare una sorta di contratto di lavoro, la tariffa o equo compenso come oggi è d'uso dire, ma che è solamente uno dei fattori e forse neppure il primo. Senza la dignità del proprio lavoro, senza il riconoscimento della propria collocazione nel sistema economico e sociale, si può rivendicare il soldo del proprio lavoro ma i risultati saranno piuttosto scarsi: se non servi oppure sei pari ad altri, non vali. Questo assunto dovrebbe farci riflettere e rialzare lo sguardo come dovremmo ancora saper fare, individuando un progetto perché se lo abbiamo perduto allora non c'è futuro. Chi ha responsabilità di rappresentanza deve saper individuare e costruire il progetto indicando il percorso che ci consenta di restare architetti, di risalire la china con il nostro mestiere. Perché naturalmente strade alternative ci possono essere, ma sono di altri mestieri, di altre professioni, bisogna dirlo con chiarezza sennò si generano colpevoli illusioni, le più frequenti delle quali sono le utopie imprenditoriali o commerciali. Sono vie d'uscita dignitosissime, si tratta di lavoro, ma appunto vie d'uscita, perciò non strutturali, che forse risolvono un problema contingente ma che tuttavia si ripresenta sempre più in fretta. La strada non è quindi quella di ripiegare su altro ma al contrario nel ricostruire la presenza e la dignità della nostra professione. Siamo professionisti con caratteristiche molto precise e questa è la nostra forza, se l'abbandoniamo siamo in balìa del mare aperto, se la valorizziamo non avremo concorrenza. Questa la china da risalire, un lavoro che si può fare, anzi si deve e non c'è modo più efficace che parlare a tutti del lavoro degli architetti, per smontare luoghi comuni, per raccontare la bellezza e l'efficacia di un progetto pensato bene, di una città “disegnata” bene, di un territorio “usato” con parsimonia e efficacia, con criteri di sostenibilità sociale ed economica. Chi guida la progettazione dei luoghi in cui tutti trascorrono la propria vita sono gli architetti e tutti devono saperlo. Devono sapere che un buon edificio non deriva dalla semplice sommatoria di tecniche, ma dall'equilibrio che un architetto riesce a dare con il proprio progetto. Si tratta di equilibrio ed anche di una veste piacevole, che possa rendere migliore le nostre giornate, lo stare isolati come incontrare gli altri. Dunque Architettura in Città è un momento fondamentale per noi, parliamo a tutti mentre il resto dell'anno parliamo fra di noi, non possiamo fare a meno di questo appuntamento, sarebbe la fine annunciata. Qualcuno non lo crede, ha ancora lo sguardo chino, confido che con il tempo trovi il coraggio di sollevarlo.
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L’ARCHITETTO È AL CENTRO Massimo Giuntoli, Presidente Ordine Architetti PPC di Torino Il rapporto tra l’architetto e il contesto in cui opera è molto stretto. A differenza di altre categorie professionali, l’architetto è spesso a contatto diretto col cittadino e il risultato del suo operato è sotto gli occhi di tutti. Dei cittadini di oggi e anche di quelli di domani. E tuttavia il suo ruolo troppo spesso non è giustamente riconosciuto e conosciuto. È da questa considerazione che si sviluppa l’interesse dell’Ordine per un’iniziativa come il Festival Architettura in Città, di cui è promotore con la Fondazione sin dalla sua prima edizione. Non basta infatti creare servizi per gli iscritti, tutelare il loro operato e garantirne la qualità. Queste sono certamente questioni urgenti e da cui un Ordine professionale non può esimersi, però non è sufficiente. Bisogna anche valorizzare gli architetti e il loro lavoro. Far sapere ai committenti in quante e quali sfaccettature si esprime la ricchezza di questa categoria: è anche questo uno strumento per creare un volano per nuove opportunità di lavoro, che si affianca alle molte azioni di tipo politico a livello locale e nazionale. Il Festival è una vetrina per l’architettura. È un’occasione attraverso la quale l’Ordine e la Fondazione si rivolgono ai cittadini per diffondere consapevolezza sull’importanza di vivere in un’architettura, una città, un paesaggio di qualità. Ma il Festival è anche una vetrina per gli architetti di Torino che hanno l’opportunità di mostrare le proprie capacità e farsi conoscere. Con questa finalità abbiamo voluto ripetere l’esperienza avviata l’anno scorso con Open Studio: 21 spazi di lavoro di progettisti torinesi, tra studi, case adibite ad ufficio e spazi di coworking, aprono le porte a colleghi e curiosi offrendo una panoramica dei diversi campi in cui spazia il lavoro dell’architetto, dalla progettazione architettonica, alla pianificazione del territorio, al design, alla grafica, alle attività più tecnico-specialistiche. Al tempo stesso l’iniziativa accende un faro sulle diverse modalità in cui si svolge la professione, talvolta in forma individuale direttamente da casa, talvolta in gruppi stabili e talvolta attraverso collaborazioni occasionali con esperti di discipline anche molto distanti. Abbiamo poi voluto attivare azioni dirette di valorizzazione del lavoro degli iscritti all’Ordine: oltre alla mostra dei vincitori del premio Architetture Rivelate e alla premiazione dell’edizione 2016-2017, abbiamo scelto di dedicare una parte del budget del Festival per la promozione di dieci progetti residenziali selezionati tra le candidature pervenute. Gli architetti vincitori della call hanno potuto far svolgere da un fotografo professionista un reportage che durante i giorni del Festival è esposto al pubblico nella mostra Inside the house e poi resterà come patrimonio dello studio. Un’iniziativa che abbiamo voluto intraprendere per far comprendere anche agli stessi architetti l’importanza di far conoscere il proprio lavoro, anche attraverso le competenze di altri professionisti. Il Festival è infine un momento di dibattito e discussione, di confronto e incontro per la comunità degli architetti che allo Spazio Q35 ha l’occasione di conoscersi e ritrovarsi. È la risposta a un desiderio, che gli iscritti spesso mi sottopongono, di creare le condizioni per fare massa critica e stare insieme.
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102 EVENTI TRA FESTIVAL E FUORI FESTIVAL
SEDE PRINCIPALE: SPAZIO Q35, VI A QUIT TENGO 35 39 APPUNTAMENTI E 9 MOSTRE PRESSO LO SPAZIO Q35
UN FESTIVAL RINNOVATO Eleonora Gerbotto, Direttore Fondazione per l’architettura / Torino Dopo la pausa dello scorso anno il Festival Architettura in Città è tornato. Come promesso. Non è stata però una pausa inoperosa e infruttuosa. Abbiamo utilizzato quest’anno per interrogarci. In primo luogo sulla necessità di un evento sui temi dell’architettura a Torino, in secondo luogo sul format verificando se il festival continui ad essere la scelta giusta per parlare di architettura. Ed infine ci siamo chiesti in che cosa cambiarlo e migliorarlo. Queste riflessioni sono state fatte insieme ai nostri partner storici, alle istituzioni locali, agli architetti, alle imprese e ai portatori di interesse e il festival che vi proponiamo ne è l’esito. È il risultato dei consigli e dei suggerimenti di tutti. Resta invariato lo spirito, la mission. Resta un festival. Un festival che parla agli architetti ma anche ai cittadini. Un festival che parla di architettura attraverso più linguaggi. Un festival interdisciplinare. Ma ovviamente ci sono anche molte novità. Innanzitutto il Festival è centralizzato e diffuso, sia geograficamente che temporalmente. Ha cioè un nucleo con una sede principale, la cittadella di Architettura in Città che ospita molti degli eventi in calendario, ma anche una presenza vasta sul territorio, dal centro sino alle periferie. La disseminazione è anche temporale. Il Festival prevede azioni e attività che sono state realizzate nei mesi passati e altre che avranno ricadute successive alla sua conclusione. L’obiettivo è lavorare con le comunità attorno a finalità condivise su periodi di tempo medio-lunghi per stimolare una progettualità capace di restituire una riflessione concreta di rigenerazione sul territorio. Ed ecco quindi la seconda novità: il Festival diventa biennale. Anche se i fruitori continuano ad essere gli architetti e i cittadini più in generale, da quest’anno il Festival avrà un focus particolare sui giovani adulti, i ragazzi tra gli 11 e i 18 anni. Il Festival deve far loro vivere la città da protagonisti. Rivolgersi ai giovani adulti ci costringe a fare un notevole sforzo comunicativo, declinare temi difficili con un linguaggio facile e creare così una cittadinanza interessata ed attiva, che faccia da cassa di risonanza sui temi del Festival. In particolare sono state introdotte tre lezioni mattutine riservate agli studenti, la prima lezione di design, architettura e sullo spazio urbano. Infine, con questa edizione, desideriamo passare da un festival di parole ad un festival di azioni. Il Festival lascerà un segno tangibile in città, una testimonianza del suo passaggio: un playground di basket. Un progetto costruito con i ragazzi e per i ragazzi. Sarà donato alla città perché possa divenire uno spazio dove i ragazzi si ritrovino per giocare e vivere gli spazi urbani. Ci auguriamo che lo sforzo fatto venga apprezzato e condiviso. Noi abbiamo voluto fortemente condividere il processo di rivisitazione del Festival e siamo soddisfatti del risultato ottenuto.
FESTIVAL 49 92 81 SEDI SATELLITE TRA LE QUALI 28 STUDI DI ARCHITE T TURA
PARTNER
INIZI ATIVE TRA CUI:
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W ORKSHOP MOS T R E E I N S TAL L AZ IONI
TOUR
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P ER F OR M ANCE
PROIEZ IONI CINE M ATOGRAFICHE
PRESE NTAZ IONI DI LIBRI
FUORI FESTIVAL 12 43 21 SEDI
ENTI PROMOTORI
INIZI ATIVE TRA CUI:
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MOSTRE
W ORKSHOP
I N C ONT R I
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TOU R
PRE SE NTAZ IONI DI LIBRI
IN CITTÀ
ARCHITETTURA Living architectures Bêka & Lemoine È il titolo di una serie di film documentari ideati e realizzati da Ila Bêka e Louise Lemoine che propongono un modo diverso di osservare l’architettura, rifiutando le retoriche legate all’idea di “oggetto perfetto” e concentrandosi sulla vita che si svolge, in tutta la sua fragilità e complessità, all’interno dello spazio costruito. Tale dimensione intima dell’architettura è restituita attraverso le testimonianze delle persone che vivono, usano o semplicemente mantengono inalterati gli edifici al centro della narrazione. L’intenzione dei due curatori è quella di parlare di architettura da un punto di vista interno, personale e soggettivo; pertanto, a differenza dei classici film di architettura, questi documentari non si concentrano tanto sulla descrizione dell’edificio e degli aspetti progettuali, ma al contrario invitano lo spettatore ad entrare nell’intimità quotidiana di alcune icone dell’architettura contemporanea. Ila Bêka (artista e regista italiano, con studi di architettura alle spalle) e Louise Lemoine (regista francese, laureata in cinema e filosofia) sono stati definiti dal New York Times come "figure di culto nel mondo dell'architettura europea" in virtù della sperimentazione di nuove forme narrative e cinematografiche che adottano nei loro lavori per raccontare l'architettura contemporanea. Il loro è uno sguardo al tempo stesso soggettivo, creativo e umoristico sui capolavori dell'architettura, raffigurati attraverso la rappresentazione della loro vita quotidiana.
La conferenza inaugurale di Ila Bêka e gli incontri che si svologno il 25, il 26 e il 27 maggio alle 18.30 allo Spazio Q35 sono curati e moderati da Nina Bassoli e Davide Tommaso Ferrando.
GLI OSPITI DELLE SERATE DEL FESTIVAL STEFANO PUJATTI / ELASTICO SPA — Architetto, dopo aver collaborato con Coop-Himelblau a Los Angeles e Gino Valle Architetti a Parigi, è a capo dello studio ELASTICOSPA che nel 2006 ha ottenuto il Premio INARCH-ANCE. Dal 2004 al 2014 è stato docente presso la Facoltà di Architettura 1 del Politecnico di Torino, dal 2014 al 2016 ha insegnato all'University of Toronto come Visiting professor. Con ELASTICOSPA è stato invitato ad importanti eventi internazionali quali la XIV Biennale di Architettura di Venezia (2014), il Festival di Architettura di Londra (2008) e la V Biennale di Architettura di Brasilia (2006).
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MARIABRUNA FABRIZI E FOSCO LUCARELLI / SOCKS — Vivono a Parigi. Sono architetti fondatori dello studio Microcities (microcities.net) e dirigono il sito di arte e architettura SOCKS (Socks-studio.com). Sono stati curatori della mostra "The Form of Form" per la Triennale di Architettura di Lisbona 2016. I loro testi sono apparsi su diverse riviste e siti di architettura (tra gli altri: Abitare, Uncube, San Rocco) e insegnano all'Università di Parigi - Marne-La-Vallée e all'EPFL a Losanna.
XAVIER VENDRELL / RURAL STUDIO — Ha studiato architettura a Barcellona, dove opera dal 1983. Nel 1988 il suo ufficio ha vinto il concorso per il Parco di Poblenou nel Villaggio Olimpico di Barcellona ed è stato coinvolto in molti progetti per le Olimpiadi. Nel 1997 ha vinto il premio FAD della Scuola Riumar e dal 1990 al 1998 ha insegnato alla Scuola di Architettura di Barcellona. Nell’agosto del 2011 è stato nominato professore di architettura all’Università dell’Illinois a Chicago. Dal 2002 al 2012 è stato consulente per Rural Studio e attualmente ne è il direttore.
5 GAIA CARAMELLINO —
LORENZO ROMITO / STALKER —
CYOP&KAF —
È ricercatore di Storia dell’architettura al Politecnico di Milano. Le sue attività si concentrano sulla storia della città, la casa e l’abitare lungo il Novecento. Tra le sue pubblicazioni: "Europe meets America. William Lescaze, Architect of Modern Housing" (2016), "Esplorazioni nella città dei ceti medi: Torino 1945-1980" (con F. De Pieri e C. Renzoni, 2015), "Storie di Case. Abitare l’Italia del boom" (con F. De Pieri e altri, 2013) e "Post-War Middle Class Housing, Models, Construction and Changes" (con F. Zanfi, 2015).
Nato a Roma nel 1965, è vincitore del Prix de Rome presso l’Accademia di Francia, Villa Medici (2000-1). È cofondatore di Stalker (1995), Osservatorio Nomade (2002), Primaveraromana (2009), Stalker Walking School (2012), Biennale Urbana (2014), No Working (2016). Artista e ricercatore indipendente, con Stalker ha coordinato i progetti: Xenobia, la città, gli stranieri e il divenire dello spazio pubblico (1999-2001), L’Islam in Sicilia (2001-6), Via Mare, vicende del Mediterraneo (2002-4), Immaginare Corviale (2003-2005), Egnatia, un percorso di memorie disperse (2003-5), Campagna Romana (2007) e Campus Rom (2008-9).
Usa dipingere, anche se talvolta inciampa nella scrittura, nell’urbanistica, nella fotografia. Quando per la prima volta gli è capitata una telecamera tra le mani era intento da tre anni a dialogare con i Quartieri Spagnoli di Napoli. Il frutto di questo lavorìo è diventato prima un libro, "QS", e adesso un film, "Il segreto". Due opere-sintesi, che insieme provano a dar conto della complessità di un quartiere corroso dai pregiudizi. Per guardare dietro e dentro l’apparenza spesso brutale delle cose.
CRISTINA BIANCHETTI —
MATILDE CASSANI —
ORIZZONTALE —
Professore di urbanistica al Politecnico di Torino, si occupa di culture del progetto contemporaneo. Ha pubblicato più di 280 scritti, tra i quali 20 volumi con editori di rilievo nazionale e internazionale. Per l’Agenzia Nazionale di Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca, ha coordinato il Gruppo Esperti Valutatori per l’area dell’Architettura (VQR 2011-2014) ed è presidente del Nucleo di Valutazione dell’Università IUAV di Venezia.
Ha studiato architettura a Milano e Barcellona. Dopo la laurea ha lavorato per la Cooperazione Internazionale Tedesca (GTZ) in Sri Lanka ad una ricerca sulla ricostruzione post tsunami. Attualmente insegna al Politecnico di Milano e alla Domus Academy. Il suo lavoro si muove sul confine tra architettura e installazione e riflette le implicazioni spaziali del pluralismo culturale nella città occidentale contemporanea. I suoi lavori sono stati esposti in molte istituzioni culturali, gallerie e pubblicati in varie riviste; nel 2012 ha disegnato il Padiglione del Bahrein alla XIII Biennale di Architettura di Venezia.
È un collettivo di architetti con base a Roma, il cui lavoro attraversa architettura, urbanistica, arte pubblica e autocostruzione. Orizzontale promuove dal 2010 progetti di spazi pubblici relazionali, terreno di sperimentazione per nuove forme di interazione tra gli abitanti e i beni comuni urbani, e al tempo stesso occasione per mettere alla prova i limiti del processo di creazione architettonica. Orizzontale ha costruito e sviluppato progetti in Italia, Spagna, Germania, Austria, Grecia, Ucraina, Portogallo, Olanda. 8 ½, il teatro mobile costruito da orizzontale nel 2014, ha vinto lo Young Architects Program indetto dal Museo MAXXI e dal MoMA PS1. Recentemente il progetto Prossima Apertura di orizzontale ha vinto il concorso Periferie indetto da MIBACT e CNAPPC per l'area di Aprilia e sta entrando in fase definitiva.
IN CITTÀ
ARCHITETTURA
I RAGAZZI DI OGGI SONO I COMMITTENTI DI DOMANI
Sono in programma tre lezioni di tre studiosi nell’ambito della progettazione e della teoria architettonica, urbanistica e del design, invitati a formulare una lezione introduttiva alla disciplina di cui sono esperti, adottando un linguaggio adatto alla giovane audience cui si dovranno rivolgere. 25 maggio ore 10.30 Che cos’è la città? Riccardo Blumer 26 maggio ore 10.30 Che cos’è l’architettura? Gianni Biondillo 27 maggio ore 10.30 Che cos’è il design? Stefano Mirti
Identikit dei giovani adulti I ragazzi tra gli 11 e i 18 anni: non più spugne, non ancora adulti, ma con un forte bisogno espressivo. Il termine è preso a prestito dal mondo dell’editoria nel quale i cosiddetti “young adults” sono un target considerato troppo maturo per dedicarsi ai romanzi per bambini, ma troppo acerbo per potersi interessare ai romanzi per adulti. Un’età di passaggio e di formazione dunque, che si caratterizza anche per una nuova relazione con lo spazio esterno: i ragazzi a questa età iniziano a muoversi con maggiore autonomia e a scoprire, senza il controllo dell’adulto, la città. La scommessa del Festival è di riuscire a far breccia su questo target, comunicare temi difficili con un linguaggio facile, con l’obiettivo di diffondere consapevolezza e attenzione sull’architettura e sulla progettazione della città.
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Richiestami qualche anticipazione sul tema della conferenza “Che cos’è il design?” mi trovo qui a spiegare che senso potrebbe avere il design nella nostra vita (compito non facile), e soprattutto a immaginare come si fa a spiegare una faccenda così complessa a dei ragazzi. Diciamo che possiamo partire dal dizionario italiano / inglese. In italiano, se si dice “design”, il pensiero corre ad oggetti di uso comune venduti a costi proibitivi in negozi molto eleganti e/o alla moda. Da cui ne deriva che il “designer” è qualcuno che si occupa di pensare e disegnare oggetti di uso comune che poi ritroviamo nei negozi di cui sopra. Se però, dall’italiano passiamo al termine “design” così come usato nella lingua inglese, il tutto si trasforma. In prima istanza, design diventa un verbo: “to design”. Traducibile in italiano come “progettare”. Con una serie di aperture e significati diversi. Si può in effetti progettare un tavolo o una sedia, oppure si può progettare un week-end fuori porta. Ci sarà chi si mette a progettare in maniera attenta un percorso di studi, la vita intera. Ecco, se il design viene inteso come un verbo allora il valore e l’utilità nella nostra vita è abbastanza ovvio. Questo anche se non ci occupiamo di tostapane o seggiolette di forme bizzarre. Quindi, possiamo dire che “design” potrebbe essere inteso come un verbo, come un’attitudine. Il filosofo ha una sua maniera di guardare e intendere il mondo (che è diversa da quella praticata dall’avvocato o dall’ingegnere). Lo stesso vale per la persona che ragiona in termini di progetto. Siamo partiti da una lampada di design e siamo arrivati al tardo latino del projectare, “gettare avanti”. Il che a grandi linee ha un suo senso compiuto e ci permette di passare alla domanda numero due.
Come si fa a spiegare questa serie di concetti a ragazzi (senza che i medesimi si ammazzino di noia)? Ci sono molteplici risposte. Per quello che mi riguarda, direi che il tutto necessita di una serie di trucchi e attenzioni. Dobbiamo avere una spiegazione che sia inaspettata e perfomativa. Utilizzare degli oggetti fisici con eventuali rimandi al digitale. Sorpresa, spiazzamento, coinvolgimento, stupore. Per raggiungere questo obiettivo, avrò con me cento libretti. Tutti apparentemente uguali (in effetti tutti rigorosamente diversi). Pensati, prototipati, stampati per questa occasione. Una presentazione dove il progetto (o se si preferisce, il design) lo si tocca letteralmente con mano. A verificare assieme ai ragazzi se il tutto ha senso oppure no, se funziona, se non funziona. Quali sono le idee, i dubbi, le domande che ci vengono in mente. Insomma, è un esperimento. Vediamo che cosa succede (in effetti, non è affatto detto che poi alla fine il tutto funzioni a dovere). Eh sì. Perché quando il progetto è fatto bene e funziona a dovere, il tutto è una meraviglia. Se invece si commette qualche errore...
Stefano Mirti Progettista, fondatore e partner di IdLab
the new publishing www.thenewpublishing.com
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Il design è un progetto
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Progettiamo gli spazi per il gioco La scelta del luogo non è casuale: la scuola Drovetti, nel quartiere San Paolo, solo l’anno scorso sembrava destinata a chiudere data la mancanza di iscrizioni; ora si rinnova per diventare hub culturale/ centro civico al fine di fronteggiare l’aumento della dispersione scolastica. Playground si pone come primo passo verso l’apertura in questa direzione. Al termine del Festival infatti lo spazio di gioco sarà donato e lasciato in eredità alla scuola e aperto alla cittadinanza, azione che assume una doppia valenza simbolica: da un lato l’apertura della scuola alla città, abbattendo le mura scolastiche, dall’altro la permanenza di un segno del passaggio del Festival.
Giovedì 25 maggio ore 16.30 Inaugurazione del playground della scuola Drovetti e performance artistica Cubo Race di Franco Ariaudo ed Emanuele De Donno Scuola Bernardino Drovetti Via Bardonecchia 34, Torino Sabato 27 maggio ore 14.00 Presentazione del progetto del Playground e del libro “Sportification, eurovisions, performativity and playgrounds” Spazio Q35, Studio Via Quittengo 35, Torino
© Francesca Cirilli
Oltre alle parole, il Festival si misura anche con azioni concrete. Qual è lo spazio che meglio rappresenta le interazioni urbane dei giovani adulti? Il playground, non solo parco giochi o campo sportivo, ma luogo di sperimentazione di relazioni corpo-spazio, territorio fisico capace di ospitare la produzione di nuovi scenari mentali, strumento di riappropriazione degli spazi urbani. Il playground diventa così occasione per un’iniziativa crossdisciplinare, che vede il coinvolgimento dei ragazzi non solo in qualità di utenti e fruitori, ma anche e soprattutto nella veste di produttori di contenuto. Il progetto, ideato e promosso dal Festival, è curato dallo IED Torino e dall’associazione ARTECO, in collaborazione con la Scuola secondaria di I grado Bernardino Drovetti (futuro centro civico cittadino) e il Liceo Artistico Cottini. Attraverso un workshop partecipato, condotto dagli street artist del collettivo Truly Design Studio, che ha coinvolto studenti di diverse fasce di età, si è attivato un processo culminato nella creazione di un playground aperto ai cittadini e dedicato allo sport e alla socialità all’interno degli spazi della scuola Drovetti.
SP O N SO R TE CN I CO
IN CITTÀ
ARCHITETTURA Bedroom e TV Room Stanze finestre A cura di: Nina Bassoli e Davide Tommaso Ferrando Dispositivi elementari attraverso cui manifestiamo la nostra soggettività ed entriamo in contatto con il mondo che ci circonda, stanze e finestre strutturano, giorno per giorno, il modo in cui osserviamo e modifichiamo i nostri spazi. La mostra affronta tale tema attraverso una serie di installazioni multimediali ospitate all’interno di tre ambienti.
BEDROOM A ENVIRONMENTS OF RESISTANCE FOR SOCIAL INDIVIDUALS — Una struttura metallica definisce uno spazio raccolto: una “stanza nella stanza” a cura di Fosbury Architecture, le cui pareti sono composte da un atlante di dispositivi abitativi che resistono alla mercificazione dello spazio domestico.
BEDROOM B STANZE FINESTRE — È il cuore della mostra, allestito con due grandi video montati a partire dalle immagini raccolte attraverso una call aperta, proiettate in una dimensione simile al reale. Il primo video presenta una serie di interni abitati, in cui è possibile intuire la vita che vi si svolge, sentendosi improvvisamente ospiti inattesi e un po' voyeur di queste case. Il secondo video invita invece a guardare al di fuori di esse e a ricollocarle all'interno dei rispettivi spazi urbani, suggerendo la ricomposizione di una città inedita, non pubblica, spiata al di là delle finestre. Tra le due proiezioni si trovano due spazi abitativi improvvisati, potenzialmente utilizzabili dai curatori del Festival come camere da letto durante i giorni di apertura della mostra.
Library Anche in un periodo in cui i principali canali di informazione si stanno spostando su piattaforme digitali e online, il libro continua a mantenere la propria specificità mediatica di strumento irrinunciabile per la formazione e arricchimento personale. Costruita a partire da una call aperta, la Library è una selezione a cura di Nina Bassoli e Davide Tommaso Ferrando di libri di narrativa e testi scientifici che trattano, in maniera esemplare, i principali temi legati all’abitare lo spazio domestico e urbano. Tale selezione è messa gratuitamente a disposizione del pubblico durante i giorni del Festival, all’interno di un ambiente aperto/coperto riservato alla lettura o luogo di incontro e presentazione di libri.
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TV ROOM C LA FINESTRA SULLO SCHERMO. UN SUPERCUT — Un montaggio composto per l'occasione da Davide Rapp attraverso spezzoni cinematografici esprime tutta la potenza narrativa del tema dell'abitare in città: dell'intimità, ma anche dell'inquietudine generata dalle pareti di casa, degli sguardi che si incrociano attraverso le soglie e delle relazioni imprevedibili che si stabiliscono tra interno ed esterno. Qui si svolge anche la rassegna cinematografica La finestra sullo schermo.
Living Room Uno spazio espositivo che raccoglie le mostre "Inside the house", "Architetture Rivelate" con la presentazione dei vincitori delle 13 edizioni del premio, "Exploring woman architect’s own home – MoMoWo International Photo Competition Reportage", "Mirafiori in Millefogli: coordinate in divenire di un territorio" e "Urban Interiors. Un’altra forma dello spazio pubblico" e le installazioni "S[m2]art – Guardando la città metro per metro" e "Genesi". Qui si trova anche l’area lounge.
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LA CASA DEL FESTIVAL E LE SUE STANZE
TV ROOM C BEDROOM B BEDROOM A
LIBRARY
LIVING ROOM
CAFÈ KITCHEN
ENTRANCE
STUDIO
G A R D E N TOILET
IN CITTÀ
ARCHITETTURA
SPAZI DOMESTICI NELLA FOTOGRAFIA E NEL CINEMA
La finestra sul cinema Un uomo anziano vive in un monolocale semibuio di New York: solitario, passa le giornate parlando con la moglie defunta e prendendosi cura – senza successo – di un vaso di fiori appassiti. All’improvviso il sole filtra dalla finestra, ridando vita e colore ai fiori sul davanzale: l’uomo scoppia in lacrime, addolorato per l’assenza dell’amata davanti all’insperato miracolo. Cosa è accaduto? A pochi metri di distanza è crollata la prima delle Torri Gemelle, colpita dall’attentato terroristico del 2001; accade nell’episodio diretto da Sean Penn del film corale "11’09”01 – September 11" (2002): la finestra di un appartamento di Manhattan diventa il dispositivo narrativo per una riflessione sulla relatività della vita, sulle inquietudini del contemporaneo e sull’equilibrio – spesso fragile e precario – tra un interno intimo e privato ed un esterno pubblico e spietato. Sono tante e diverse le finestre del Cinema: esse definiscono un confine – spaziale e visivo – da attraversare con lo sguardo. L’attraversamento del limite genera sempre un conflitto e mette in moto la narrazione filmica. Guardare fuori: la finestra diventa una lente d’ingrandimento per studiare il mondo, là fuori. Accade ne "La finestra sul cortile" di Alfred Hitchcock (1954): scrutando le abitudini dei vicini, un fotoreporter di successo scopre un omicidio, si mette nei guai, ma trova l’amore. Accade nel sesto episodio del "Decalogo" di Krzysztof Kieślowski (1988): un ragazzo si invaghisce di una donna più grande nel palazzo di fronte, la spia ossessivamente, si fa scoprire e, deluso dall’incontro amoroso, tenta il suicido.
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Guardare dentro: la finestra diventa una vetrina in cui mostrarsi al mondo, senza remore. Accade in "Playtime" di Jacques Tati (1967): le finestre di un modernissimo edificio trasparente proiettano su strada le abitudini più intime e quotidiane dei suoi abitanti. Accade in "Shame" di Steve McQueen (2011): un erotomane consuma amplessi alle finestre dello Standard Hotel di New York, già meta turistica di voyeur e curiosi di passaggio in città. Guardarsi: la finestra diventa un mirino, una cornice per farsi inquadrare. Accade in "Medianeras" di Gustavo Taretto (2011): due giovani – malinconici e solitari – vivono in claustrofobici appartamenti di Buenos Aires, aprono due finestre abusive sulle pareti cieche dei rispettivi condomini e finalmente si incontrano. Il Cinema parla di noi, delle nostre case e delle nostre città, dei sogni e degli incubi che ci ossessionano fuori dalla finestra.
Davide Rapp
La rassegna cinematografica allo Spazio Q35 Giovedì 25 h. 16 – Medianeras, Gustavo Taretto, 2011 h. 21 – La finestra sul cortile, Alfred Hitchcock, 1954 Venerdì 26 h. 13 – Playtime, Jacques Tati, 1967 h. 21 – Dogville, Lars Von Trier, 2003 Sabato 27 h. 13 – Synecdoche, New York, Charlie Kaufman, 2008
11 Ambienti di resistenza per individui sociali Larghi strati della società, qualora tanto fortunati da possedere una casa di proprietà, sono costretti ad alienarne una porzione e rifugiarsi nel poco spazio rimasto in una generale atmosfera di precarietà. Questa esistenza frugale è sopportabile solo perché i rituali domestici si sono ridotti all’osso e gran parte delle attività possono essere svolte altrove o addirittura nell’etere. Dati un bagno, un letto e un computer la casa è oggi il posto dove incontrare gli amici (Facebook), dove amoreggiare con la propria ragazza (Skype), dove andare al cinema (Netflix), dove fare sesso (Youporn, sempre che qualcuno ancora lo usi). Gli ambienti in mostra cercano di innescare una relazione tra vita e forma che non si risolva in meri termini funzionali ma che sfidi la vita a sopravvivere in condizioni anomale. Spazi come l’alcova, lo studiolo, il boudoir, il pregadio suggeriscono la possibilità di riconquistare una dimensione antropocentrica e autenticamente privata (privata nel senso di deprivata della presenza pubblica). La storia dell’arredo, probabilmente poco rilevante ma sicuramente divertente, è disseminata di oggetti eccezionali disegnati con il solo scopo di accogliere le idiosincrasie di chi li occupa.
Ganzfeld Redrawing The Theory - Redrawing The House © Fosbury Architecture
Fosbury Architecture
Environments of resistance for social individuals idual dua s Capitalism is over © Fosbury Architecture
In un maturo contesto di mercificazione della società il confine tra pubblico e privato si dissolve fino a disintegrarsi. Mentre l’intimità diventa un asset economico, gli oggetti da cimeli personali si trasformano in parametri di definizione del valore d’uso di un immobile. Mentre l’abitazione diventa sempre più un luogo di lavoro ed uno strumento di sussistenza, la domesticità invade ogni campo dell’attività umana producendo un’inedita estetica, uno sterile paesaggio globale (definito AirSpace dalla giornalista americana Kyle Chayka) dominato da oggetti IKEA, piante grasse, candele profumate, chitarre elettriche, poltrone vintage, birre artigianali, pane di segale e club sandwich all’avocado. Se pensiamo all’abitazione come ad una risorsa finanziaria, nel bilancio tra valore e costo tutto lo spazio non strettamente necessario a performare l’attività umana è una perdita economica se non messa a rendita. In città come San Francisco è stato rilevato che il 56 per cento di chi affitta la propria casa su AIRBNB utilizza gli introiti generati per pagare il mutuo della casa in cui vive. La peer-to-peer economy ha completamente stravolto il mercato immobiliare e se da un lato permette a proprietari agiati di affittare seconde case per brevi lassi di tempo a cifre sensibilmente più elevate che in passato, per altri è diventato un meccanismo di sopravvivenza.
IN CITTÀ
ARCHITETTURA Di cibo, di case, di cene e d'artisti Le Underground Dinner “La città come casa”: il titolo della nuova edizione di Architettura in Città non poteva non suscitare l'entusiasmo di chi ha sempre giocato a scompaginare le regole dello spazio privato, mettendolo in cortocircuito con la dimensione dell'evento e dello spettacolo. Play with Food – La scena del cibo è un festival, o forse meglio un hub artistico e culturale, che dal 2010 indaga con curiosità i temi del cibo e della convivialità, attraverso le arti visive e performative. Accompagnati dalla direzione artistica mia e di Chiara Cardea, negli anni decine di artisti si sono cimentati con creazioni di ogni genere, tutte destinate ad essere condivise con gli spettatori in eventi partecipativi e inclusivi, indagando la possibilità che il cibo, oltre che nutrimento, possa essere anche una chiave per leggere il mondo e produrre arte. Le Underground Dinner costituiscono un progetto centrale di Play with Food, in cui la condivisione parte dal cibo ma va al di là del momento conviviale, per arrivare all'apertura dello spazio privato della casa ad un evento, ad un artista, ad un pubblico di sconosciuti. Ecco perché un festival che decide di riflettere sull'architettura della città come dispositivo di luoghi che servano a vivere una dimensione non solo collettiva, ma anche privata, rispondente alle esigenze del singolo, ci è sembrato il contesto giusto per due serate create con un duplice scopo: far partecipare gli spettatori ad un evento pubblico, facendoli sentire contemporaneamente a casa. Ecco quindi che proseguendo idealmente la serie delle Underground Dinner iniziate da Play with Food nel 2013, la cucina del Festival si apre al pubblico ogni mezz'ora, per una cena performativa scandita nei tre proverbiali momenti: Antipasto, Primo piatto, Dolce. Ogni portata è giocata da un diverso artista, che invita il pubblico al proprio personale tavolo da pranzo per condividere non solo del cibo, ma un'esperienza ogni volta totalmente nuova: teatro, performance, stand-up comedy, cinema e videoinstallazioni. I 20 spettatori / commensali possono gustare la cena nella sua interezza, o selezionando le portate preferite. Scoprendo uno spazio pubblico che diventa privato per il tempo di un pasto, un luogo architettato con pensieri, immagini e cibi da condividere tra perfetti sconosciuti.
Davide Barbato Play with Food La scena del cibo
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Underground Dinner #9 25 maggio 20.30 L'antipasto di Chiara Vallini | performance 21.00 Il primo piatto di Superottimisti | videoinstallazione 21.30 Il dolce di Chiara Cardea | teatro Underground Dinner #10 26 maggio 20.30 L'antipasto di Francesco Giorda | stand-up comedy 21.00 Il primo piatto di Salvo Montalto | teatro 21.30 Il dolce di Ottaponta | cinema Info e prenotazioni: prenota@playwithfood.it
OttoPerOtto Nei mesi precedenti al Festival, la Fondazione per l’architettura / Torino, in collaborazione con l’assessorato all’Urbanistica del Comune di Torino e le 8 Circoscrizioni della Città, ha curato otto workshop di progettazione partecipata che si sono svolti nei mesi di aprile e maggio per mettere a punto proposte di intervento su segnalazione delle 8 Circoscrizioni della Città di Torino. Una preziosa occasione per mettere in luce in che modo l’elaborazione progettuale di un architetto può interpretare e rispondere in modo efficace alle richieste dei cittadini e per favorire il coinvolgimento degli abitanti nelle riflessioni sulla trasformazione del territorio. Per ogni Circoscrizione è stato individuato un tema ed un gruppo di progettisti che si sono confrontati con la cittadinanza. • Circoscrizione 1: la valorizzazione del palazzo ex ACI di via Giolitti 15 e l’area antistante • Circoscrizione 2: la rifunzionalizzazione dell’area verde in via Monteponi a fianco di piazzale Pola • Circoscrizione 3: la ricostruzione del centro di incontro di via Vipacco 15, un ex centro anziani distrutto in seguito a un incendio • Circoscrizione 4: la definizione di una nuova centralità urbana attorno a piazza Campanella • Circoscrizione 5: la rifunzionalizzazione dell’area verde dell’ex bocciofila Rastel Verd, tra corso Cincinnato e corso Toscana • Circoscrizione 6: la rifunzionalizzazione dell’ex mercato coperto di piazza Crispi • Circoscrizione 7: la creazione di una nuova centralità urbana attorno all’ex motovelodromo di corso Casale, in connessione con l’asse fluviale • Circoscrizione 8: la pedonalizzazione dell’area limitrofa a piazzetta Govean, l’isola spartitraffico in via Madama Cristina Gli esiti dei lavori sono resi pubblici nei giorni del Festival.
ITINERARI, PERFORMANCE E PROGETTI PER I CITTADINI
13 Tour tra le Architetture da favola Binaria Centro Commensale - Fabbrica del Gruppo Abele di Carla Barovetti, Rocco Montagnese (progettisti), Simona Colarusso e Roberto Bogetto (collaboratori)
4 itinerari che proseguono l’iniziativa curata dalla Fondazione per l’architettura / Torino nella cornice di Biennale Democrazia 2017: dopo aver ascoltato quattro studenti della Scuola Holden raccontare con il linguaggio della narrazione quattro progetti di trasformazione del territorio torinese, ora il Festival porta i cittadini a vedere dal vivo i luoghi descritti, con la guida dei ragazzi e dei progettisti.
Soave sia il vento di Arturo Herrera
BINARIA CENTRO COMMENSALE – FABBRICA DEL GRUPPO ABELE Via Sestriere 34, Torino —
Laghetti Falchera di Servizio Grandi Opere del Verde (Coordinatore del Progetto), Servizio Ambiente, Servizio Mobilità, Circoscrizione 6, Comitato Falchera e Gruppo IREN SpA
Binaria nasce nel 2016 dalla riconversione di una ex falegnameria di circa 2mila metri quadri, dagli anni ’70 sede del Gruppo Abele Onlus. Obiettivo dell’intervento è offrire ai cittadini della zona San Paolo un luogo di aggregazione, un “centro commensale” proposto come alternativa sociale e culturale alla logica del centro commerciale. Negli spazi di Binaria, aperta 7 giorni su 7, si svolgono incontri e attività eterogenee che coinvolgono i cittadini del quartiere, indipendentemente dalla loro età, restituendo alla collettività quello che era un vuoto industriale: al suo interno si trovano la libreria Binaria Book, una bottega con i prodotti di Libera Terra del Gruppo Abele, un centro per l’infanzia e una pizzeria. La visita si tiene venerdì 26 maggio alle ore 18.00 ed è guidata dall’architetto Carla Barovetti (che ha firmato l’opera insieme a Rocco Montagnese e in collaborazione con Simona Colarusso e Roberto Bogetto), da alcuni rappresentanti di Binaria e dalla studentessa Francesca Martino. Il video della performance realizzata in occasione di Biennale Democrazia 2017 è proiettato durante la visita.
SOAVE SIA IL VENTO Ritrovo: via Mottalciata 4, Torino — L’alto e imponente palazzo che si trova alle spalle della galleria Franco Noero, lungo corso Novara a Torino, è l’oggetto dell’installazione realizzata dall’artista Arturo Herrera attraverso il coinvolgimento degli abitanti. Con l’obiettivo di incidere sul paesaggio del quartiere di Barriera di Milano, l’intervento, realizzato nel 2016, ha trasformato la regolare trama di balconi del retro dell’edificio in un collage di stampe su stoffa che ritraggono ballerini su sfondi dalle tinte vivaci. In questo modo l’intero edificio si trasforma in un’opera stereoscopica composta da immagini colorate che si muovono nel vento. La visita che si svolge venerdì 26 maggio alle ore 18.00 è guidata dall’architetto Manuel Ramello e da rappresentanti della Galleria Franco Noero ed è affiancata dalla lettura dei tre racconti che la studentessa della Scuola Holden Elisa Leoni ha dedicato all’installazione.
LAGHETTI FALCHERA Ritrovo: capolinea linea 4 Via delle Querce, Torino — Obiettivo dell’intervento è recuperare e riqualificare un sito a nord-est di Torino, fortemente compromesso sia a livello ambientale che sociale, trasformandolo in un parco multifunzionale di 420 ettari. Il risultato è duplice: la rifunzionalizzazione dell’area vicina ai laghetti con la creazione di una spiaggia urbana, un anfiteatro inerbito e un percorso con passerella sul laghetto, aree per il gioco e per il fitness e percorsi didattici e una porzione di territorio dedicata agli orti urbani. L’intervento ha coinvolto diversi soggetti, privati e pubblici, e rappresenta un tassello significativo per la riqualificazione ambientale e sociale dell’area Falchera. Il progetto dell’intervento per i Laghetti Falchera è firmato da Servizio Grandi Opere del Verde (Coordinatore del Progetto), Servizio Ambiente, Servizio Mobilità, Circoscrizione 6, Comitato Falchera e Gruppo IREN SpA. Sabato 27 maggio alle ore 11.00 Sabino Palermo della Città di Torino e lo studente della Scuola Holden Andrea Falcone guidano i partecipanti alla scoperta del luogo.
PROMENADE DELL’ARTE E DELLA CULTURA INDUSTRIALE Ritrovo: ingresso di parco Peccei Via Cigna 135, Torino — L’intervento di riqualificazione consiste nell’installazione all’interno del parco Peccei, nel quartiere torinese di Barriera di Milano, di opere d’arte site specific, realizzate dagli studenti di 15 Accademie italiane su iniziativa della Città di Torino, del Politecnico e dell’Accademia Albertina delle Belle Arti di Torino. Le opere sono state create attraverso il coinvolgimento degli abitanti del quartiere, caratterizzati da grande multiculturalità. Il risultato sono spazi di aggregazione di particolare qualità estetica all’interno dei quali i cittadini possono conoscersi e riconoscersi. L’itinerario di sabato 27 maggio alle ore 17.00 affianca la presentazione dell’intervento a cura di Ferruccio Capitani, Rossella Maspoli e Monica Saccomandi al racconto scritto dalla studentessa della Scuola Holden Natalia Pazzaglia.
Promenade dell'Arte e della Cultura Industriale di Ferruccio Capitani, Rossella Maspoli, Monica Saccomandi
IN CITTÀ
ARCHITETTURA
LA COMUNITÀ DEI PROGETTISTI TORINESI
LA NOTTE BIANCA DELL’ARCHITETTURA 26 MAGGIO ORE 18.00-22.00 21 studi di architettura che hanno aderito all’iniziativa Open Studio aprono le porte a colleghi e cittadini. Un’occasione informale per conoscere il lavoro della comunità degli architetti torinesi. Con gli stessi orari sono visitabili anche le 10 sedi della mostra diffusa "Inside the house".
Open Studio, 6 luglio 2016 © Edoardo Piva
Alla scoperta degli studi degli architetti
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I luoghi di lavoro non sono spazi anonimi, ma raccontano storie e contengono segni. Gli spazi di lavoro degli architetti offrono anche uno sguardo su come l’architetto nel suo luogo di lavoro possa interpretare la complessità del momento “progettuale”: dalla restituzione minuta e dettagliata di ogni fase e del senso di “fatica” della paziente e complessa pratica quotidiana all'elaborazione dell’idea nella partecipazione ad occasioni di confronto e di competizione, al dibattito culturale informale. È da queste premesse che nel 2016 in occasione dell’edizione laboratorio del festival, Ordine e Fondazione hanno promosso e organizzato l’iniziativa Open Studio, ispirata ad eventi simili a livello internazionale e locale, in cui la comunità degli architetti e i cittadini hanno avuto l’opportunità di entrare in questi spazi: numerose realtà professionali coinvolte, tra cui studi strutturati in modo tradizionale e spazi di coworking che hanno costruito una maglia di “conoscenza reciproca” per colleghi e cittadini. L’obiettivo è stato trasformare questi luoghi di lavoro in spazi di incontro informale in cui fosse possibile conoscersi, dialogare, confrontarsi e scambiare le proprie opinioni, assistere ad attività in progress, oltre che scoprire di persona gli ambienti in cui i professionisti operano e le loro attività. Entrare negli studi è stato anche un “viaggio di scoperta” non solo virtuale: l’Ordine ha coadiuvato la scoperta, fornendo ad ogni partecipante la restituzione grafica della geolocalizzazione di ogni studio aperto che si era candidato all’iniziativa. Cittadini e architetti, in una sorta di “caccia al tesoro”, hanno pianificato il proprio tour, scegliendo tra le tappe, gli studi e gli spazi di coworking disseminati per tutta la città.
Quest’anno si ripropone con una eco mediatica nazionale: tale iniziativa, è stata sposata dal Consiglio Nazionale degli Architetti, che l’ha riproposta in contemporanea in tutta Italia, nei giorni 26 e 27 maggio. Così, gli studi che aderendo all’iniziativa aprono le porte ai cittadini sono parte di una rete più ampia, di una comunità che pur essendo strettamente legata al proprio territorio ne travalica i confini. “L’architetto è indispensabile” (CNAPPC, arch. Ferrari): l’architetto è una figura centrale nella relazione tra il mondo del sociale, del saper fare e della cultura contemporanea nelle sue diverse declinazioni e Open Studio registra l’incontro tra Architettura e Sociale, tra ogni forma di fare artistico e la progettazione nella società, tra spazi di lavoro e spazi di aggregazione non convenzionali, spazi per il dialogo e la rappresentazione di mondi poco visibili e pratiche responsabili di sviluppo sostenibile ed inclusivo. Un’occasione per entrare nel vivo della progettazione di architetti, artisti, designer, operatori culturali. Ogni studio non è solo un luogo di lavoro ma è un “luogo-laboratorio”, che accoglie innumerevoli performance (dal progetto, alla danza, al cibo, al confronto culturale e professionale, ecc.). Un universo tutto da scoprire!
Cristina Coscia Consigliere Ordine e Fondazione
15 Le vostre architetture in posa Un progetto per valorizzare attivamente il lavoro degli architetti Tra le 25 candidature raccolte, la giuria composta da Nina Bassoli e Davide Tommaso Ferrando in rappresentanza del gruppo di coordinamento del Festival e da Arianna Visani per CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia, ne ha selezionati 10. I vincitori hanno ricevuto un premio da destinare a un reportage fotografico che è stato realizzato ad hoc ed è presentato in occasione di Architettura in Città attraverso 4 stampe che formano la mostra diffusa "Inside the House". Allo Spazio Q35 è esposta una fotografia per ogni progetto, mentre le restanti 30 sono ospitate negli studi degli architetti che sono visitabili durante il Festival. Si tratta di un’attività promossa dall’Ordine degli Architetti di Torino e realizzata dalla Fondazione per l’architettura / Torino, in collaborazione con Nina Bassoli, Davide Tommaso Ferrando e CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia. Il progetto è finalizzato al sostegno dell’attività professionale attraverso azioni dirette mirate alla valorizzazione delle opportunità e delle condizioni lavorative della categoria.
Roberto Albano, Consigliere Ordine Architetti PPC Torino
Open Studio, 6 luglio 2016 © Edoardo Piva
Non è sempre facile valorizzare il proprio lavoro: può succedere che non si abbia il tempo perché si è già immersi nella commessa successiva, così come può accadere che si decida di non voler investire tempo e risorse per fotografare e comunicare gli esiti di una propria progettazione, magari solamente perché esiste un dettaglio che non ci soddisfa appieno. Riuscire ad acquisire le competenze e trovare il tempo di comunicare per gli architetti appare invece ora più che mai fondamentale ed è a questa direzione che guarda il progetto che ha dato vita alla mostra "Inside the house", che parte dal presupposto che non basta saper progettare per essere un buon architetto. È necessario anche essere in grado di comunicare il proprio lavoro e dedicare la giusta attenzione a questa attività per il bene non solo del singolo progettista, ma di tutta la categoria. La collettività va sensibilizzata sulla bellezza e sulla fruibilità del progetto architettonico, ed è per questo motivo che questa iniziativa trova ampio spazio all’interno del Festival Architettura in Città. Per questa ragione abbiamo chiesto agli iscritti all’Ordine di presentare non solo un progetto di abitazione realizzato, ma anche un’ipotesi di racconto per immagini attraverso la collaborazione con un fotografo con cui ogni architetto si è candidato. La narrazione ha il compito di mettere in luce la mutazione degli spazi domestici che da ambienti progettati diventano luoghi abitati, trasformati e arricchiti (o anche parzialmente deturpati) attraverso l’utilizzo quotidiano che giorno per giorno modifica non solo gli ambienti ma anche i singoli componenti.
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TAO, periodico di informazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Torino Registrato presso il Tribunale di Torino con il n. 51 del 9 ottobre 2009 Iscritto al ROC con il n. 20341 del 2010 ISSN 2038-0860 n. 1/2016
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