Nuove sinergie. Il giornale della Fondazione per l'architettura / Torino 2018

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TAO MAGAZINE 2018 PERIODICO DELLA FONDAZIONE PER L’ARCHITETTURA / TORINO —

NUOVE SINERGIE


TAO NUOVE SINERGIE

Nuove modalità di azione verso architetti e cittadini e nuove forme di interazione con le istituzioni e le aziende con l’obiettivo di promuovere e generare Architettura. Strategie diversificate per determinare quattro tipi di valore: sociale, economico, culturale e istituzionale.

UN TAVOLO APPARECCHIATO PER ALZARE L’ASTICELLA Alessandro Cimenti Presidente Fondazione per l’architettura / Torino

So che vi prenderete un po’ di tempo per saltabeccare di articolo in articolo di questo magazine ed immergervi nel mondo fantastica-

Sempre più aperti verso il mondo imprenditoriale

mente realistico della Fondazione per l’architettura. Nelle pagine a seguire troverete una colorata rappresentazione di progetti che spaziano da attività con la cittadinanza, all’organizzazione di concorsi per amministratori pubblici e privati, progetti con e per le aziende, esperienze di viaggio per documentarsi e per esplorare nuovi mercati, lavori con le scuole, collaborazioni con soggetti culturali, passando per laboratori applicati, eventi, alta formazione… Insomma, potrete perdervi e ritrovarvi in un caleidoscopio di attività che aprono una finestra sulle potenzialità e competenze acquisite dall’ente. Il nuovo Consiglio che ho l’onore di presiedere è formato da persone eccellenti, preparate e disponibili. Insieme abbiamo immaginato che in questo nuovo corso la Fondazione dovrà orientare il bagaglio di esperienze accumulate in un’ottica di maggior incisività per il mondo che gravita intorno alla progettualità e alle trasformazioni. Dovrà metaforicamente rappresentare il tavolo attorno al quale far sedere e far dialogare gli stakeholder dell’Architettura. Vogliamo allargare gli orizzonti e mettere in contatto persone, enti, decisori che altrimenti difficilmente si incontrerebbero con l’ambizione di far scocca-

COMITATO DI INDIRIZZO Una delle novità introdotte per il mandato 2017-2021 della Fondazione è l’istituzione di un Comitato di Indirizzo che affianca il Consiglio di Amministrazione della Fondazione. Composto da Ilario Abate Daga, Carlo Alberto Barbieri, Luca Beatrice, Marco Boglione, Francesca De Filippi, Fabrizio Giugiaro, Laura Milani e Giuseppe Serra, il Comitato conta al suo interno, oltre agli architetti, anche esponenti del mondo imprenditoriale e rappresentanti delle istituzioni culturali; un importante segnale di apertura verso la società civile voluto per favorire un ruolo più attivo della Fondazione nella città.

re scintille, generare opportunità e costruire valore. In questo nuovo quadro è già stato rivisitato il rapporto con l’Ordine degli Architetti (socio unico) in un’ottica di completa sinergia e complementarietà nella volontà di costruire le migliori condizioni affinché la comunità che rappresentiamo possa crescere in termini di consapevolezza e competenze e possa incontrarsi più spesso e più proficuamente con il mondo produttivo, con la cittadinanza, con gli amministratori. Gli architetti possiedono quella capacità di processare informazioni, dati e visioni in un unicum progettuale coerente e portatore di significati. È una capacità preziosa e specifica da alimentare e diffondere soprattutto oggi che tutto appare facilmente “accessibile” e che ci si orienta sul breve periodo tralasciando progettualità a medio lungo termine. È ora che la società civile ne sia consapevole: la Fondazione è lo strumento perché questo avvenga.

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Architettura in Città 2017 © Jana Sebestova


MAGAZINE UNA FONDAZIONE D’IMPATTO Eleonora Gerbotto Direttore Fondazione per l’architettura / Torino

La Fondazione per l’architettura si occupa sin dalla sua istituzione di promuovere il valore dell’architettura di qualità e il ruolo

Nuovi servizi per il territorio e per gli architetti

sociale dell’architetto. Da quest’anno però l’ambizione è maggiore: intendiamo anche e soprattutto generare architettura di qualità. E lo strumento scelto per raggiungere questo obiettivo è la ricerca applicata. Partendo dalla sua definizione e cioè che la ricerca applicata viene svolta allo scopo di trovare soluzioni pratiche e specifiche, riteniamo fondamentale applicare la conoscenza dei professionisti in campo architettonico a casi studio reali per dare risposte concrete a specifiche esigenze. In particolare, nei prossimi anni affronteremo diverse tipologie di bisogni sociali, diverse perché riguardano nuove categorie di destinatari ma anche perché i bisogni e le emergenze sociali sono cambiate. Come può l’architettura dare delle risposte? Come possono i professionisti proporre soluzioni? Lavoreremo su tre ambiti: le scuole, gli ospedali e gli spazi residuali urbani, attraverso la metodologia del workshop di progettazione partecipato. Tra gli attori coinvolti, oltre ovviamente ai professionisti, ci saranno anche i fruitori degli ambienti (studenti, genitori, insegnanti, pazienti, medici,...), gli stakeholder pubblici, gli amministratori e il mondo imprenditoriale. Si parte dall’ascolto. Per dare risposte, occorre conoscere chi l’architettura la vive. È solo capendo interessi e bisogni che si possono offrire soluzioni serie e pertinenti. Si prosegue poi con la progettazione che richiede non solo competenza professionale ma anche preparazione alle nuove sfide tecnologiche e digitali e conoscenza dell’innovazione in campo aziendale. E infine la restituzione attraverso azioni di divulgazione e, talvolta, la realizzazione dei progetti. Questa azione permette di meglio definire il ruolo della Fondazione, quale soggetto che opera per generare un’architettura a forte impatto sociale. Non solo eventi corporativi ma anche iniziative a tutela del cittadino perché negli interessi del cittadino si ritrovano anche gli interessi dell’architetto. E il risultato deve essere misurato. Qual è o quale sarà il reale impatto delle azioni della Fondazione sulla società? Sugli architetti? Io credo sia fondamentale e strategico! E occorre avviare un sistema di misurazione il più possibile scientifico per dimostrarlo.

NEL FUTURO DELLA FONDAZIONE C’È L’ARCHITETTO 4.0 Massimo Giuntoli Presidente Ordine Architetti PPC di Torino

Dal nostro insediamento, e ancor prima durante la campagna elettorale, ci interroghiamo su quale debba essere il futuro della Fondazione nei confronti degli architetti e della società civile. La Fondazione è un’istituzione culturale che ha come obiettivo statutario la promozione dell’architettura e la valorizzazione dell’architetto. Nasce per offrire servizi agli iscritti all’Ordine, come l’attività formativa, ma anche quella divulgativa attraverso iniziative pubbliche, compito che continua a svolgere pienamente. Basti pensare che iniziative come gli OATopen, il Forum degli Architetti a Restructura o l’evento del 9 febbraio alle OGR di avvicinamento al Congresso Nazionale degli Architetti sono state direttamente organizzate dalla Fondazione. Tuttavia il ruolo della Fondazione non si limita a questo: gestisce un ampio programma di attività con ricadute dirette e indirette sugli iscritti all’Ordine collaborando con numerose istituzioni del territorio. Comprendere come il progetto della Fondazione possa e debba evolversi è assolutamente prioritario per verificare come aumentare ulteriormente le sue attività, garantendone al tempo stesso la sostenibilità economica. Stiamo vagliando diverse ipotesi che corrispondono a diversi scenari politico-economici. Una delle prime questioni da definire è l’ambito di intervento. L’Ordine deve continuare ad essere l’unico socio o si vogliono individuare nuovi soci (e nel caso chi) per ampliare i destinatari delle azioni? Quali nuovi servizi potrebbero essere messi in campo? Quali mercati potremmo esplorare? Attualmente i principali canali di finanziamento derivano dal contributo dell’Ordine e dalle attività svolte per gli iscritti come la formazione e la programmazione dei concorsi, oltre che dall’attività di sponsorizzazione; concordiamo nella volontà di superare questo modello,

Fondazione e Ordine in una rinnovata sinergia

cercando nuove risorse, ma stiamo valutando quale forma debba assumere il nuovo modello: un’ipotesi che appoggio è quella di aprire un settore di attività che possa operare sul mercato anche su ambiti commerciali, per recuperare risorse economiche da investire nella realizzazione degli obiettivi statutari, mantenendo al centro delle azioni della Fondazione alcune parole chiave: cultura del progetto, architetto, professione e, perché no?, opportunità di lavoro. Alla base di queste riflessioni c’è uno scenario in trasformazione che si muove nella direzione di un architetto 4.0; la Fondazione dovrà leggere e interpretare il cambiamento per accompagnare l’architetto in questa evoluzione.

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TAO VALORE SOCIALE

Produrre nuove conoscenze, lasciare un segno tangibile o intangibile, rivolgere lo sguardo alle future generazioni per innescare un cambiamento.

ARCHITETTURE DI QUALITÀ I luoghi ci abitano Il Sant’Anna di Torino è uno dei più antichi e grandi ospedali ginecologicoostetrici d’Europa: scuola di ostetricia dal 1728, sede universitaria riconosciuta come centro di competenza internazionale con innumerevoli primati scientifici, offre più di 430 posti letto, 12mila interventi chirurgici, oltre 120mila prestazioni ambulatoriali, quasi 600mila di alta specializzazione. Definito “la culla d’Europa”, vi nascono oltre 7000 bambin* ogni anno, da genitori provenienti da 90 Paesi. L’edificio di inizio Novecento nel quale è collocato in attesa del futuro Parco della Salute è visibilmente “sofferente”; come quello di molte altre infrastrutture sociali, non riflette la qualità del servizio. Da un invito del personale dell’ospedale che nutre il bisogno di migliorare le condizioni ambientali per favorire la cura, nel 2009 nasce dalla società civile la Fondazione Medicina a Misura di Donna Onlus: capitanata dalla professoressa Chiara Benedetto, intende affiancare con processi partecipati le istituzioni, in primis Università e Azienda Ospedaliera, nel percorso di umanizzazione dei luoghi di cura, nell’innovazione tecnologica, nella ricerca scientifica coniugata alla formazione e all’informazione, partendo dalla promozione della salute con corretti stili di vita con la mobilitazione della cittadinanza. Il primo atto della Fondazione è stato una ricerca di ascolto in profondità di chi anima l’ospedale: in focus group, tutta la “filiera” (medici, infermieri, personale ausiliario, pazienti e le loro famiglie, studenti) ha espresso il proprio percepito dal vissuto quotidiano. Dall’indagine è sorprendentemente emersa una richiesta principale, trasversale a tutti i gruppi analizzati: modificare radicalmente le caratteristiche percettivo-sensoriali dell’ambiente,

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conferendo valore semantico agli spazi, eliminare il grigio dominante, “la ruggine che corrode la fiducia”, partendo da un nuovo caldo benvenuto nell’ingresso, lavorare sul wayfinding ovvero sull’orientamento all’accesso e la facilità di raggiugere la meta, introdurre landmark che conferiscano allo spazio una identità, favorire la privacy, trasformare le aree di attesa in ambienti per l’interazione sociale e soprattutto dare vitalità ai reparti. Come farlo? Ogni innovazione sociale è innovazione culturale. La Fondazione ha chiamato a raccolta in una inedita piattaforma oltre trenta istituzioni culturali territoriali, che condividono con i medici gli esiti delle numerose ricerche internazionali sulla relazione virtuosa, quanto sconosciuta nel nostro Paese, tra Ambiente, Cultura e Salute, per progettare insieme interventi pilota, pensati per essere scalabili in altri contesti. Tra i primi progetti longitudinali, nel 2011 nasce il “Cantiere dell’Arte”, ideato e condotto con il Dipartimento Educazione del Castello di Rivoli per cambiare la percezione negativa del paesaggio ospedaliero attraverso l’arte visiva. Con azioni di pittura collettiva, attraverso veri e propri community work, circa duemila persone hanno vissuto una esperienza trasformativa in oltre 30 luoghi: l’ospedale si è rivelato una scuola di empatia per manager in formazione, squadre sportive, giovani in alternanza scuola lavoro che, sulla base di scelte condivise con il personale, hanno ri-semantizzato in cinque anni un intero blocco ospedaliero con la metafora del giardino (e sulla base delle ricerche cromoterapiche), cara a ogni cultura. Il processo e l’esito stanno generando un contributo al cambiamento positivo del clima organizzativo e gli atti di incuria, graffitismo e vandalismo sono diventati una rarità.

Il clima di consenso ha consentito di coinvolgere nelle progettualità della Fondazione, realizzate con fondi privati, oltre 15mila persone, tra le imprese e la collettività, ingaggiate a “prendersi cura della cura”. Una generosità che ha consentito di cambiare il volto, nel rispetto del passato, anche allo storico ingresso, rinnovato strutturalmente sul progetto donato dall’architetto Stefano Pujatti dello studio ElasticoSPA. L’ospedale ha oggi una nuova carta d’identità, promessa della qualità dell’accoglienza, con un benvenuto “fiorito perennemente”, grazie a opere d’arte della collezione Art & Health della Fondazione che, in un momento di vulnerabilità e disorientamento, trasformano l’ospedale in una casa.

Cristina Casoli Manager culturale


MAGAZINE Roberto Albano Sempre di più l’architetto opera all’interno di contesti articolati e si trova a coordinare azioni in situazioni fragili e delicate. La Fondazione vuole porsi come player attivo per evidenziare e valorizzare le capacità dei professionisti in ambiti complessi: dai progetti di inclusione e social design alle emergenze globali e locali, dagli spazi per le scuole ai reparti ospedalieri. Ospedale Sant’Anna di Torino, reparto di neonatologia © Norma Piseddu

L’UMANIZZAZIONE DEGLI OSPEDALI

GLI SPAZI SCOLASTICI

La Fondazione sta lavorando ad un progetto pilota trasferendo l’esperienza di pratiche partecipative maturata nelle scuole in un nuovo ambito: gli spazi del reparto di Neonatologia Universitaria dell’Ospedale Sant’Anna di Torino. Sarà coinvolta un’ampia rete di soggetti per migliorare gli spazi destinati ai genitori di bambini ricoverati nel reparto di terapia intensiva neonatale; una rete composta da Dear Design Onlus, associazione che si occupa di umanizzazione degli ospedali attraverso il design, l’architettura e la tecnologia, NextAtlas, una piattaforma innovativa di data intelligence in grado di aggregare e analizzare le informazioni rilevanti generate da influencer digitali, e con la collaborazione di Fondazione Medicina a Misura di Donna che da anni si occupa di progetti di umanizzazione nell’Ospedale S. Anna. Gli strumenti a disposizione saranno la progettualità di architetti competenti e workshop partecipativi con la comunità interessata. Un elemento di importante innovazione nel progetto è il coinvolgimento di soggetti profit, una società di big data nello specifico, all’interno di un ambito no profit.

Sarà organizzato nel mese di maggio un workshop di progettazione in collaborazione con la Città di Torino che vedrà il coinvolgimento di professionisti, tecnici comunali e aziende con l’intento di affrontare tre temi progettuali connessi all’edificio scolastico: i refettori per il miglioramento del comfort e dell’esperienza pasto, gli spazi per la didattica innovativa e gli spazi esterni in connessione al progetto della Città sull’adozione dei beni comuni e sui cortili aperti al pubblico. Grazie alla collaborazione delle aziende partner del progetto, alla fase ideativa seguirà la realizzazione delle opere.

Progetto Cortili Scolastici, Scuola d’infanzia via Garessio, Torino © Laboratorio Città Sostenibile di ITER

Michela Lageard Il rapporto fra la qualità degli spazi e i processi di apprendimento è molto stretto: lo spazio svolge il ruolo di terzo educatore. Agli spazi didattici è richiesta flessibilità, complementarietà e interoperabilità, caratteristiche che definiscono nuovi modelli di interazione e codici di comportamento perché lo spazio rinegozia i significati.

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TAO

Chiara Martini Progettare il verde scolastico è un’occasione straordinaria per far vivere ai ragazzi l’esperienza della natura. L’intento didattico non deve esaurirsi nella mera conoscenza intellettuale o nella logica classificatoria, ma deve comprendere modalità più istintive di rapportarsi all’elemento vegetale suggerendo un desiderio di selvatichezza che al giorno d’oggi è andato quasi perduto.

Esperienza di progettazione partecipata, San Mauro Torinese © Maria Bucci

Spazi educativi: una strategia di azione Cinquant’anni fa, nell’aprile del 1968, la Gazzetta Ufficiale pubblicava il Decreto Ministeriale 1444 con il quale vennero introdotti in Italia i valori riguardanti gli indici e gli standard urbanistici. Limiti inderogabili che regolano tuttora i rapporti tra interventi privati ed esigenze pubbliche per garantire la presenza di attrezzature di interesse collettivo, di verde pubblico, di parcheggi e di spazi dedicati all’istruzione. Da quel momento, con la formazione dei nuovi piani urbanistici, si sviluppa compiutamente l’infrastruttura fisica e sociale delle nostre scuole che, grazie ai quei 4,5 mq per abitante da riservare obbligatoriamente all’istruzione, comincia a consolidarsi come il “sistema educativo” che oggi riconosciamo nelle nostre città. Un sistema che ha attraversato diverse stagioni: dal “baby boom” degli anni ’60, alla nuova pedagogia degli anni ’70 e ’80, fino al contemporaneo fenomeno della pericolosa decrescita di popolazione giovanile. Una storia che dopo cinquant’anni si può anche leggere nelle attuali condizioni del nostro sistema scolastico: da un lato una capillare diffusione territoriale, dall’altro un patrimonio edilizio in condizione critica, dove edifici anche di pregio storico-architettonico convivono con edifici ormai a fine ciclo di vita, su cui si opera con ripetuti interventi di manutenzione al limite dell’accanimento terapeutico, il tutto in un’endemica difficoltà economica da parte degli Enti Locali. E tendenzialmente, tranne in pochi casi, sono edifici ormai “brutti” che non rendono onore alla richiesta di “bellezza” di chi li frequenta.

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Tuttavia la consapevolezza di questa situazione ha generato un nuovo movimento di attenzione verso questo patrimonio sociale, culturale e fisico, di cui la Fondazione per l’architettura è tra gli attori più attenti, anche grazie ad una storica collaborazione con la Città di Torino. Ne sono nate molte iniziative per sollecitare la sensibilità degli architetti sulle relazioni tra città-scuola e soprattutto sulle esigenze espresse dai tanti cittadini che la vivono quotidianamente, a partire proprio da quelli più piccoli. Iniziative che s’intendono proseguire con intensità, accogliendo il recente invito dell’assessore all’istruzione della Città di Torino per sostenere un progetto condiviso teso ad elaborare e implementare politiche di rigenerazione del patrimonio edilizio scolastico. La collaborazione intende sviluppare iniziative su tre piani di lavoro. 1. Rivalutare l’infrastruttura delle scuole nella dimensione del progetto urbano, considerandola come parte di città che può interagire con il contesto potenziandone il ruolo di spazio pubblico; la rete delle scuole al tempo stesso può essere adottata come sistema diffuso sul quale innestare strategie di mobilità sostenibile, di connessioni con il sistema del verde o con le dorsali delle tecnologie “smart” quali le reti dati ad alta capacità o la sensorica ambientale. 2. Proseguire nel lavoro di ricerca per indagare le nuove forme degli spazi educativi, dove gli ambienti di apprendimento, in armonia con le nuove esigenze psico-pedagogiche, diventano occasione di qualità architettonica, di miglioramento

del comfort abitativo e di partecipazione per coinvolgere attivamente i diversi attori della comunità scolastica. 3. Porre una specifica attenzione alla promozione della figura “sociale” dell’architetto, valorizzando le sue qualità di tecnico capace di mettere in connessione cittadini e territorio per facilitare, all’interno di politiche partecipative, processi di confronto, analisi territoriali e sviluppo di proposte progettuali condivise e sostenibili. Su queste basi la collaborazione tra la Fondazione e la Città di Torino può ulteriormente animare un dibattito serio e profondo sugli spazi educativi, creando occasioni di scambio e di confronto tra chi opera nella libera professione e chi quotidianamente affronta all’interno della pubblica amministrazione questioni tecniche, procedurali e normative. Un processo che può costruire opportunità culturali, di formazione e professionali, contribuendo ad un dibattito virtuoso a scala locale e nazionale, che Torino è in grado di sostenere per la sua lunga e riconosciuta tradizione di “città educativa”.

Pier Giorgio Turi Responsabile del Laboratorio Città Sostenibile della Città di Torino


VALORE SOCIALE

ORIENTATI AL FUTURO

Laboratorio di progettazione partecipata Scuola secondaria di I grado Alessandro Antonelli, Torino © Raffaella Mossetto

MAGAZINE

Prove di una città possibile. Torino vista e raccontata dai ragazzi Durante lo scorso Salone del Libro ho preso parte a un incontro nel quale ho avuto l’occasione di rievocare l’esperienza de “L’altra Torino” (Espress Edizioni): era il 2011 e insieme a Edoardo Bergamin, Daniela Garavini e Fabrizio Vespa avevamo immaginato una guida di Torino che ne raccontasse tutti i quartieri eccetto uno, il centro storico. Il nostro intento era provare a sovvertire, per una volta, la consuetudine secondo cui la guida di una città è quasi sempre la guida al suo centro storico: una semplificazione che spesso porta a dimenticare tra le pieghe degli altri quartieri veri e propri patrimoni, siano essi architettonici o sociali, ambientali o artistici, storici o urbanistici. Dal momento che negli ultimi anni le periferie sono diventate oggetto di attenzione da più parti, ho chiuso quell’intervento riflettendo sul fatto che, se avessi dovuto pensare a una nuova altra Torino – intendendo una città già esistente ma fuori dai radar del dibattito pubblico – questa sarebbe potuta essere la Torino delle nuove generazioni. Di quegli adolescenti che nei prossimi anni si troveranno a raccogliere il nostro testimone, certo, ma il cui punto di vista già oggi dovrebbe essere ascoltato al pari di quello di qualunque altra rappresentanza di cittadini. La riflessione ha immediatamente attecchito tra gli attori presenti al tavolo, tanto che nel giro di pochi mesi si è costituito un gruppo di lavoro che ha portato a un primo piccolo passo in tal senso: un laboratorio – rivolto a una classe di una scuola secondaria di primo grado – per dare la possibilità a ragazzi e ragazze di creare un itinerario e raccontare così a noi adulti, e ai loro coetanei, come vivono il proprio quartiere, quello che per loro è importante, quello in cui si identificano. Un itinerario raccolto in una guida con tanto di mappa e approfondimenti sui punti da visitare, stampata in migliaia di copie e distribuita gratuitamente in tutta la città.

Grazie all’entusiasmo dell’insegnante Antonietta Valerio, abbiamo dato via al laboratorio con la 2^C della Scuola Ettore Morelli, nel cuore di Aurora. All’inizio, attraverso una serie di giochi partecipativi a gruppi, abbiamo fatto sì che gli studenti individuassero i sette punti che avrebbero composto l’itinerario. Quindi li abbiamo accompagnati alla ricerca di suggestioni sensoriali e approfondimenti sui luoghi scelti, prima con l’esplorazione diretta sul territorio poi con l’aiuto della Biblioteca civica Italo Calvino. Infine abbiamo unito tutti gli spunti nei testi che andranno a corredare la mappa. L’itinerario emerso parte dai centralissimi Giardini Reali e risale significativamente il corso della Dora Riparia fino al Parco Dora: ripercorrendo la storia di Torino nord dall’Ottocento delle prime industrie ai lasciti dell’industrializzazione, fino alle ultime trasformazioni, si pone come un viaggio non solo nello spazio, ma anche nel tempo della città. Tra i sette punti individuati, molto eterogenei tra loro, quello che mi ha colpito più di tutti è l’ex SNOS che, tra corso Mortara e piazza Baldissera, è stato scelto non per l’essere stato nel secolo scorso sede dell’importante Società Nazionale Officine di Savigliano, ma per l’essere oggi un centro commerciale. Che i ragazzi riconoscano a un luogo di questo tipo la capacità di rappresentarli, di soddisfare il loro bisogno di aggregazione, secondo me è significativo non solo dell’attenzione rivolta da parte nostra alle nuove generazioni, ma in generale dell’idea di futuro che intendiamo costruire.

Marco Magnone Scrittore

GRAN TOUR LAB Avviata con Città di Torino, Circoscrizione 7, Associazione Abbonamento Musei.it, Urban Center Metropolitano di Torino, Biblioteca Italo Calvino e con lo scrittore Marco Magnone, l’iniziativa si propone di scoprire come i ragazzi percepiscano e vivano gli spazi urbani. I primi protagonisti di questo esperimento sono gli studenti della Scuola secondaria di primo grado Ettore Morelli, incaricati di preparare un’inedita mappa del quartiere Aurora adottando una duplice chiave di lettura: architettura e scrittura. Il laboratorio condotto da Marco Magnone (scrittore), Maria Bucci (architetto, Fondazione per l’architettura / Torino) e Giulietta Fassino (architetto, Urban Center Metropolitano) ha permesso la creazione di un inedito itinerario turistico che si articola in 7 tappe: Giardini Reali, Sermig, Cecchi Point, parco di via Cecchi, centro commerciale SNOS, Parco Dora e Biblioteca Italo Calvino.

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TAO Playground: un progetto di co-creazione Il design è intrinsecamente un fatto sociale. Implica il fatto che qualcuno chieda a qualcun altro di progettare qualcosa che, nella maggior parte dei casi, sarà usato da qualcun altro ancora. È una questione di trasmissione di esperienza, di processo e di restituzione. Siamo abituati a pensare al design come ad un fatto strettamente collegato alla produzione industriale, il che non è affatto un errore ma sicuramente rappresenta un punto di vista limitante, che si consolida nella trasposizione di questa parola dal contesto anglofono a quello nostrano. Design significa progetto, nella sua accezione più ampia e sfaccettata, e non esiste progetto che non riponga nella fase del processo il suo valore più profondo. Questo senza dubbio è uno dei concetti più importanti che si possano trasmettere nelle scuole che si occupano di formare progettisti. Meno accademia e più laboratorio. Questa la lezione che deriva dall’approccio learning by doing: un sistema di formazione – come quello proposto da IED – che non pone lo studente nella posizione di doversi sedere per ore e assorbire contenuti passivamente, ma che invece lo sprona a sporcarsi le mani fin da subito con attività sul campo, in laboratorio appunto, dal risvolto più pratico. Fondamentale in questo senso è il concetto della co-creazione. I ragazzi non vogliono sentirsi esclusi, non vogliono sentirsi i piccoli. In una scuola laboratoriale si impara a fare, anzi, si impara facendo. Il grande salto sta nel poter dare agli studenti la possibilità di vedere come i loro progetti possano uscire dalle mura di un’aula, e vivere nel mondo reale. In questo senso si pone l’esperienza

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del progetto Playground, ideato e promosso dalla Fondazione per l’architettura per il Festival Architettura in Città 2017, curato da IED Torino con l’associazione ARTECO, in collaborazione con la Scuola secondaria di primo grado Bernardino Drovetti (futuro centro civico cittadino) e il Liceo Artistico Cottini e con il supporto di Sikkens, attuato attraverso un workshop partecipato condotto dagli street artist del collettivo Truly Design. L’idea è stata quella di restituire alla città uno spazio adatto al gioco e allo sport, ma attraverso un’esperienza che pone nella cultura del progetto e nello sviluppo del senso civico la massima attenzione: co-creazione responsabile. Il progetto del playground è stato sviluppato attraverso una progettazione partecipata, guidata in prima battuta da una fase di ascolto delle persone del quartiere e dei ragazzi dell’istituto Drovetti, nel cui cortile sarebbe stato installato il nuovo playground. Poi la costruzione del gruppo di lavoro, che partiva dal desiderio di far partecipare al progetto quelli che ne sarebbero stati i primi fruitori: i ragazzi della Scuola media Drovetti appunto. È stata creata un’interessante catena di saperi: a guidare l’attività di progetto Truly Design, collettivo di esperienza internazionale da anni impegnato nella didattica con IED Torino, affiancato da una selezione dei loro studenti del corso di graphic design nel ruolo di tutor, dai ragazzi del Liceo Artistico Cottini, già vicini al mondo delle arti visive grazie al percorso formativo sviluppato nel loro istituto, e dai più giovani studenti della Scuola media Drovetti, che si sono ritrovati ad essere essi stessi attori del cambiamento di uno

spazio dedicato agli abitanti del quartiere, alla scuola e a loro in prima persona. Giorni intensi di scambio orizzontale, in cui ciascuno all’interno del laboratorio di progetto ha dovuto imparare e insegnare qualcosa agli altri membri del team. E qui torniamo al metodo, al processo. Se è vero che il risultato materiale avrebbe potuto essere lo stesso affidando un incarico diretto per la realizzazione di un playground ad un gruppo di professionisti (come spesso avviene per operazioni di questo tipo), non si potrebbe dire lo stesso per l’impatto sulla qualità dell’esperienza didattica ed educativa. Abituare i cittadini di domani al concetto di co-creazione, insegnare ai ragazzi i principi che fondano la cultura del progetto, abituare le persone a prendersi cura degli spazi pubblici partendo dalla scuola. Comprendere che il cambiamento è frutto di partecipazione attiva e che la partecipazione attiva può avvenire anche attraverso il design. Perché il design è, intrinsecamente, un fatto sociale.

Michele Bortolami e Tommaso Delmastro Coordinamento corso triennale graphic design IED Torino


Workshop partecipato per il playground © Francesca Cirilli

Inaugurazione del playground della Scuola secondaria di I grado Bernardino Drovetti © Edoardo Piva

MAGAZINE

Inaugurazione del playground della Scuola secondaria di I grado Bernardino Drovetti © Edoardo Piva

DAI, PIANTALA QUI Il progetto, promosso dalla Città di San Mauro Torinese insieme alla Fondazione per l’architettura / Torino, Slow Food Italia e Cooperativa Il Punto con in sostegno della Compagnia di San Paolo, consiste in un percorso di progettazione partecipata pensato per trasformare il parco di 35mila metri quadrati del quartiere Pragranda in un “giardino condiviso”, attraverso iniziative volute per favorire forme di cittadinanza attiva e di cura del bene pubblico. Sull’area la Fondazione opera sin dal 2013 affiancando l’Amministrazione nella ricerca di una nuova identità e di nuove funzioni per il parco attraverso la partecipazione dei cittadini. Il progetto prevede la piantumazione di una porzione dell’area con il coinvolgimento delle scuole e della comunità; il community garden mette in pratica il “patto di collaborazione” tra cittadini e Amministrazione locale, un patto che nasce dalla volontà di definire azioni ed iniziative per aumentare la capacità dell’area Pragranda di attrarre attenzione, curiosità, creatività e flussi di persone. Inoltre Slow Food organizza due cene sull’area, aperte ai cittadini che si impegneranno nella gestione dello spazio, per sensibilizzare sui temi dell’alimentazione e dell’uso consapevole delle risorse del territorio. Contemporaneamente la Fondazione cura attività nelle scuole di San Mauro per far partecipare i bambini e i ragazzi dai 5 ai 13 anni e le rispettive famiglie alla cura dello spazio Pragranda. Alla fine dell’anno scolastico una giornata di festa con laboratori, spettacoli e attività sportive dimostrerà le potenzialità dell’area e presenterà i possibili futuri usi dello spazio.

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TAO VALORE ECONOMICO

Promuovere l’imprenditorialità, offrire strumenti che possano garantire opportunità professionali, creare occasioni per generare architettura.

ESPERIMENTI IN FORMAZIONE INCONTRI PEER-TO-PEER Con l’attività formativa tra pari, avviata nel 2016 con il ciclo di appuntamenti Interior Club, la Fondazione si ripropone di stimolare un dibattito informale tra gli architetti: superare la separazione tra docente e discente per facilitare un confronto libero tra esperienze, a partire dall’analisi di progetti realizzati. Al centro, il punto di vista del progettista, che descrive il processo che ha portato alla definizione dell’opera, mettendo in luce punti di forza e criticità. Il format nel 2018 si evolve coinvolgendo negli incontri anche alcune aziende; l’obiettivo è arricchire la discussione con l’intervento del committente, favorendo il dialogo tra professionisti e imprese. World café, Architettura in Città LAB © Edoardo Piva

Ilaria Ariolfo

Architettura in Città 2017 © Edoardo Piva

Favorire il confronto tra pari per coinvolgere attivamente gli architetti in un evento formativo e al tempo stesso di dialogo, che si svolge in un clima informale. Un’occasione per condividere informazioni o ispirazioni utili a risolvere problematiche progettuali ricorrenti e non, nel proprio lavoro.

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MAGAZINE Senza storia non può esistere l’architettura

ALTA FORMAZIONE Nella programmazione del 2018, a fianco dell’offerta formativa tradizionale e dei corsi a distanza, come quello curato da Valerio Paolo Mosco, è prevista l’organizzazione di nuove attività che si differenzieranno per tematiche e modalità di fruizione: dal carattere interdisciplinare, affronteranno questioni di attualità nel panorama internazionale coinvolgendo esperti di chiara fama; saranno concentrate nel tempo attraverso una full immersion di pochi giorni, in modo da consentire la frequenza a professionisti non esclusivamente del territorio; non prevedranno solo lezioni frontali, ma anche applicazioni su casi concreti. Tra i temi, l’umanizzazione degli ospedali, il ruolo della finanza di impatto per la rigenerazione urbana, l’economia circolare nel mondo delle costruzioni e l’innovazione nella progettazione del paesaggio.

Benedetto Croce ripeteva: “la vita è storia, null’altro che storia”. Aveva ragione. La storia infatti ha la stessa complessità plastica della vita: in entrambe, l’esperienza non può esistere senza un progetto, come un progetto non può esistere senza esperienza. Ci appelliamo alla storia, anche nel nostro quotidiano, per rintracciare i fili che sembrerebbero tenerlo insieme o se non altro per tessere proprio quei fili. Noi siamo la nostra storia per la semplice ragione che senza di essa non saremmo niente, non sapremmo raccontarci, saremmo muti. Non solo. Ha ragione Martin Amis a scrivere: “il desiderio di non ereditare è tipico di tutte le barbarie”. Ereditare, o meglio ereditare con coscienza, è rintracciare la propria storia. Rintracciata, per frammenti, per parti giustapposte, per inevitabili ricordi e manipolazioni di ricordi, la storia diventa non solo il nostro DNA, ma anche il più efficace strumento per opporsi a coloro i quali intendono recidere quei fili, ovvero nei confronti dei barbari. Magnifico a riguardo Sant’Agostino che nelle sue Confessioni scrive: “eccomi allora giunto ai confini della mia memoria, dove si accumulano teorie di immagini che in me formano come un paesaggio per scoprire che la memoria è l’anima stessa”. E l’architettura in tutto ciò? Cosa c’entra l’arte di fare edifici e città con la memoria, ovvero con la storia? C’entra talmente tanto da poter affermare che l’architettura è la memoria dell’architettura stessa, o meglio è la memoria che si rigenera di volta in volta nel processo storico. Di certo è ridicolo pensare oggi di poter pensare edifici come li avrebbe pensati Leon Battista Alberti o un Palladio, o persino un Mies. Noi siamo figli del nostro tempo, ma il nostro tempo è solo uno dei nostri genitori, l’altro è la memoria storica ed è buona norma avere entrambi i genitori. Oggi tutto ciò ha un valore anche maggiore rispetto al passato. Oggi infatti impera l’ideologia del nuovo, del mai visto, dello

spettacolare. Ideologia sempre esistita, ma che oggi, dopo aver sposato la tecnocrazia, sembra non avere concorrenti. Il nuovo vende, anche quando è disfunzionale, retorico, bolso e persino già visto. Il finto nuovo impera dappertutto: è l’espressione di kitsch dei nostri tempi, fatta per abbindolare la massa, per prendersi gioco di essa e noi, architetti, non intendiamo prenderci gioco della massa, anzi intendiamo prenderci le nostre responsabilità che ci impongono di smascherare le finte sostenibilità, la domotica inservibile e dispendiosa, i deliri digitali, gli spazi pubblici ridotti a luna park e gli edifici violenti, contundenti ed ingombranti che non intendiamo lasciare in eredità ai nostri figli. Louis Kahn ripeteva spesso che ciò che è stato sempre sarà e ciò che sarà è sempre stato. La sua era una verità oserei affermare insindacabile. D’altronde non è vero, è falso credere che il Moderno sia solo rottura, novità, avanguardia, chiasso, velocità. C’è un moderno di tutt’altro tipo: continuativo, che non cerca la novità, che non intende porsi all’avanguardia, che odia il chiasso e la velocità per il gusto di muoversi veloci verso non si sa dove. È il moderno di T.S. Eliot (il più grande poeta dello scorso secolo), di Benjamin Britten e di Cocteau, di Francis Bacon e Lucien Freud ed oggi è il contemporaneo di William Kentridge e di James Turrell. È il moderno in architettura di Asplund, Mies, Aalto, Terragni, Kahn ed altri ancora. Essi sono i giganti sulle cui spalle ci rifugiamo e così facendo portiamo avanti quella che ci ostiniamo a chiamare civiltà.

Valerio Paolo Mosco Architetto e critico di architettura

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Workshop Una montagna di sguardi, Venaus © Fotografica Sestriere

TAO

Workshop Una montagna di sguardi, Pragelato © Fotografica Sestriere

SERIAL WORKSHOPPER Il workshop: un agile strumento per produrre visioni progettuali in breve tempo Mentre scrivo queste righe, nemmeno a farlo apposta, mi trovo nel mezzo di un workshop. Organizzato dall’Istituto d’Arte Applicata e Design (IAAD), coinvolge una trentina di studenti nel campo del design – provenienti da varie nazioni – i quali per una settimana si confrontano su un tema progettuale che esula dalla stretta formazione di ognuno, ma per il quale ogni partecipante deve fornire una visione e immaginare degli scenari. Non ci sono voti, non si vince nulla: si allentano le maglie della valutazione didattica e, man mano che i pomeriggi passano, si stempera il rapporto tra tutor, ospiti e partecipanti, stabilendo un clima di collaborazione e complicità, ulteriormente rafforzato dall’immancabile corsa per la presentazione finale. Lo strumento didattico-progettuale del workshop sembra aver preso sempre più piede nei settori della para-formazione universitaria o, in campo professionale, nel confronto progettuale intorno ad un tema di interesse pubblico. Il pacchetto, inoltre, è spesso reso ancor più appetibile dalla promessa dell’elargizione degli agognati crediti formativi. Le più gettonate sono senza dubbio le esperienze che prevedono tematiche radicali, in zone con caratteristiche ambientali o storiche di pregio, preferibilmente con l’accompagnamento di tutor stimati e dotati di fiuto progettuale. Questi sono alcuni degli aspetti che hanno caratterizzato il workshop “Una montagna di sguardi”, organizzato dalla Fondazione per l’architettura nel maggio dello scorso anno. Ad alcuni mesi dal termine del workshop è utile ripercorrere la metodologia organizzativa per fornire un riferimento a chi si voglia cimentare in esperienze analoghe.

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Il primo passo è quello di individuare un tema di rilevante interesse culturale che, nel caso di “Una montagna di sguardi”, ha riguardato il ripensamento dello stadio del trampolino a Pragelato e una serie di interventi per il centro abitato di Venaus. Un aspetto, quello della rilevanza culturale, provvisto di una particolare valenza strategica, in quanto permette di accedere a canali di comunicazione e finanziamento particolarmente selettivi. Oltre al progetto curatoriale, condotto dai responsabili scientifici in coordinamento con lo staff della Fondazione, è fondamentale il coinvolgimento degli attori locali (comunità, amministrazione, professionisti), in modo da permettere la formulazione di indicazioni progettuali organiche al contesto che si indaga. Segue una intensa fase di produzione dell’evento che, in parallelo, riguarda il reperimento dei materiali utili al progetto; la scelta di tutor provvisti di doti progettuali e di una attitudine al lavoro in gruppo; la selezione dei partecipanti attraverso curriculum; gli incontri di orientamento con gli attori locali, oltre alle questioni meramente logistiche e organizzative. Ma a che cosa serve in fondo un workshop? Non è forse riduttivo approcciare temi tanto complessi con uno strumento che sconta un ridotto approfondimento analitico e progettuale, a causa del breve tempo a disposizione? Questa una delle più frequenti critiche al modello che, per contro, ha tra i suoi punti di forza la possibilità di fornire in tempi brevi visioni progettuali libere da condizionamenti e mettere in contatto i partecipanti – siano essi studenti o professionisti – con tematiche progettuali non convenzionali, quindi

alternative ai paludati approcci accademici e alla incessante burocratizzazione della professione. Non ultimo, il formato workshop alimenta quella rete di contatti che risulta essere, sempre più, uno degli aspetti irrinunciabili per continuare a svolgere la professione dell’architetto.

Walter Nicolino Architetto e frequentatore seriale di workshop di ogni tipo


MAGAZINE

Subhash Mukerjee Viviamo in un momento in cui essere architetto è difficile. La professione sta cambiando e cambierà sempre più in fretta: intanto, continuiamo a essere tantissimi. La formazione è obbligatoria: allora è importante che aiuti tutti a capire bene la condizione attuale, che aiuti tutti a “progettarsi” per trovare la propria posizione nella galassia degli infiniti modi di essere architetto.

“Una montagna di sguardi”, “SuperStation” per Paratissima XIII, “OttoPerOtto”, “LabLitArch”, “Colore, luce e materia per l’interior design” e “Il colore nella progettazione: effetti psicologici e percettivi” sono i workshop proposti durante il 2017. Della durata di due o più giorni, i laboratori hanno sfidato architetti, designer, studenti, tecnici e imprenditori a lavorare su progetti concreti a scale differenti, spaziando dagli interventi di interior design fino ad arrivare al progetto per la riqualificazione di aree urbane e contesti montani. Lo studio di casi concreti e l’approccio interdisciplinare hanno fatto da denominatore comune per tutte le iniziative, affiancando sempre la pratica alla teoria, spesso in collaborazione con il mondo imprenditoriale. Nel 2018 sarà realizzato un workshop dedicato al tema dell’edificio scolastico.

Workshop Una montagna di sguardi, Pragelato © Fotografica Sestriere

Info point “SuperStation”, Paratissima 2017 © Jana Sebestova

WORKSHOP DI PROGETTAZIONE

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TAO VALORE ECONOMICO

IL DESIGN, UNA GUIDA PER GLI SPAZI La phrase, Mons. Progetto di Ruedi Baur + Laboratoire IRB Paris

DESIGN VS RIGENERAZIONE URBANA Il design per la città come valore e opportunità caratterizzante per Torino Se da sempre è fisiologico che la città cambi, si adatti ai nuovi bisogni modificando la propria identità, a maggior ragione nel prossimo futuro le trasformazioni delle città saranno più rapide, organiche, diffuse e “policentriche”, determinando nuovi paradigmi di crescita sostenibile e di sviluppo resiliente. Il concetto di “città resiliente” rimanda in modo efficace al tema del design, come a quello delle smart-city, un esempio organizzativo di adattamento sistemico, progressivo, dinamico, partecipato, sia urbanistico che sociale. Le città metropolitane, i loro abitanti, hanno forte capacità di rinnovamento e adattamento nell’assorbire gli effetti dei cambiamenti del sistema dei servizi, della mobilità, del paesaggio e del patrimonio, in primis, come dei mutamenti climatici, ambientali, sociali ed economici, poi. Il design svolge un ruolo di mediazione e di stimolo culturale nel favorire connessioni tra l’ambiente ed il suo fruitore. Costituisce fattore propulsivo e innovativo per progetti di micro-rigenerazione, agisce sulla qualità intrinseca e funzionale, materiale ed immateriale (fruibilità, sicurezza, accessibilità, bellezza), favorendo processi di riqualificazione e densificazione urbana. In questo quadro si inserisce l’azione della Fondazione per l’architettura che vede nel “design per la città” un’occasione di progetto strategica: la comunità degli architetti al servizio di cittadini ed amministratori per proporre soluzioni efficaci, funzionali a specifiche esigenze, attraverso, ad esempio, contest e

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workshop progettuali. Il focus group Design lavora in stretta collaborazione con la Fondazione su questi temi. La Città di Torino ha favorito il radicamento progressivo di un ricco coacervo di studi e start-up, a partire dalla designazione nel 2008 come prima Word Design Capital; basti pensare alle esperienze di Operae, alla nascita dei Fab-Lab della comunità di Makers. Nel 2014 è stata insignita del titolo di “UNESCO Creative City of Design”, unica città in Italia. Questo riconoscimento premia una visione di importanza strategica per il nostro territorio, connessa al patrimonio, ai processi di sviluppo in ambito metropolitano, alla rigenerazione urbana e allo sviluppo socio-economico. Nel 2017 Torino ha ospitato il Congresso internazionale del WDO sul tema “To Move To Make”. Nell’occasione è stato costituito un “Tavolo consultivo permanente sul Design”, una regia attiva per lo sviluppo ed il sostegno del design piemontese, al quale partecipano la Fondazione per l’architettura e l’Ordine degli Architetti con il focus group Design. L’obiettivo a lungo termine è costruire una “rete metropolitana” per promuovere e valorizzare il design (istituzioni, operatori, stakeholder, professionisti, imprese), a livello nazionale ed internazionale (Creative City e Mab UNESCO, Camere di Commercio, Design Center). Un primo segnale importante arriva dal MIBACT che, in occasione dell’Anno Europeo del Patrimonio Culturale del 2018, ha colto l’opportunità per rilanciare il tema del

Cultural Heritage, proponendo un Marchio del Patrimonio Europeo ed un bando per la ricerca e l’innovazione nel quale si cita, per la prima volta, la parola “design”. Torino ha aderito a questa iniziativa del Ministero: “accessibilità universale e inclusione” saranno le keyword per gli eventi in programma nella Design Week dal 12 al 22 ottobre; un’occasione per interpretare le diversità culturali, lo sviluppo economico, l’innovazione in relazione alla fruizione universale attraverso il design.

Alberto Nada Architetto, coordinatore focus group Design OAT, delegato al tavolo consultivo del Design della Città di Torino


MAGAZINE 2018 HERITAGE, VERSO UNA CITTÀ ACCESSIBILE Il design come chiave per l’accessibilità materiale e immateriale al patrimonio pubblico; è il concetto alla base del contest di design che la Fondazione con l’Ordine degli Architetti di Torino e il focus group OAT Design propone all’interno del calendario di Torino Design of the City 2018 in occasione dell’anno europeo del patrimonio culturale. Focalizzandosi sul concetto di heritage nella sua accezione più ampia, l’iniziativa inviterà professionisti e studenti di scuole di design a livello universitario a ideare soluzioni semplici, concrete e utili che favoriscano l’accessibilità a luoghi e servizi della Città Metropolitana di Torino e che inneschino ricadute sul territorio. Le proposte vincitrici saranno premiate a ottobre durante Torino Design of the City e diventeranno le protagoniste di una mostra allestita per l’occasione.

Il design in Piemonte AZ IENDE, ST U DI, PROFE SSI O N I ST I

2.677 ADDE T T I

72.500 GIRO DI AFFARI

14,5 € miliardi T RA IL 2 0 1 5 E IL 2 0 1 6 SI R E G I ST R A :

+8,7 %

NEL FA T T UR A TO

+3,5

N E G L I A D DE T T I CO M P L E SSI V I

%

AT T IV ITÀ DI PICCOL E D I M E N SI O N I :

2017 TORINO DESIGN OF THE CITY Dalla collaborazione con i Torino Graphic Days, il festival dedicato alla creatività, alla comunicazione visiva e alla sperimentazione grafica, è nato l’incontro con Ruedi Baur che si è svolto il 13 ottobre 2017. Classe 1956, Ruedi Baur è un designer, insegnante e ricercatore francese che da anni si occupa di urban spaces and design e civic design. Molti sono i legami tra architettura e grafica che il designer ha esplorato durante la sua lunga carriera. Due mondi che dialogano e si intersecano nel suo lavoro per favorire la fruizione dei luoghi, ospedali, sedi di eventi culturali, istituti carcerari o interi quartieri. Sempre all’interno della cornice di Torino Design of the City, la Fondazione ha inoltre partecipato ad alcuni appuntamenti dedicati agli spazi dell’apprendimento, ai nuovi modelli educativi e al concorso “L’Unione Industriale si veste di nuovo”.

79

%

71

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49

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HA MENO DI 5 SO G G E T T I

FA T T UR A M E N O DI 99M I L A E UR O A L L’A N N O

È R A P P R E SE NTA TO DA I M P R E SE I N DI V I D UA L I

Fonte: L’economia del design in Piemonte – indagine di Camera di Commercio di Torino, Politecnico di Torino (DAD) ed Osservatorio Culturale del Piemonte (OCP).

OPERAE – INDEPENDENT DESIGN FAIR La relazione consolidata tra la Fondazione e la fiera del design indipendente ha portato nell’edizione del 2017 che si è svolta dal 3 al 5 novembre ad un nuovo risultato: per la prima volta gli architetti hanno avuto l’opportunità di partecipare a incontri di lavoro B2B con operatori del settore dell’hôtellerie e artigiani.

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TAO VALORE ECONOMICO

A SUPPORTO DEGLI ARCHITETTI Le competenze sotto i riflettori Il 9 febbraio 24 relatori si sono avvicendati nel corso di 4 ore sul palco delle OGR davanti ad una platea di 1000 architetti per discutere di Città del futuro. L’appuntamento, in avvicinamento al Congresso Nazionale degli Architetti promosso dal Consiglio Nazionale, è un perfetto esempio del rapporto stretto e sinergico tra l’Ordine e la Fondazione, che ne ha curato l’organizzazione. Ma è solo uno dei tanti che si potrebbero citare. Iniziative come il Forum degli Architetti a Restructura, il Forum della Sicurezza, il ciclo di incontri OATopen o il premio Architetture Rivelate sono note e consolidate nella programmazione dell’Ordine; ci concentriamo pertanto su alcune attività più recenti, nelle quali l’apporto ideativo e progettuale della Fondazione ha consentito all’Ordine di raggiungere un obiettivo importante: promuovere il lavoro degli architetti e stimolare la capacità degli iscritti di comunicarsi. In occasione dell’edizione 2017 del Festival Architettura in Città, gli iscritti all’Ordine degli Architetti di Torino sono stati invitati a candidare un proprio progetto architettonico e un fotografo per favorire il dialogo tra due professionalità distinte ma complementari: le 10 proposte selezionate hanno ottenuto un premio economico per sostenere le spese di un reportage fotografico e della stampa di quattro fotografie. Una di queste è stata esposta presso la sede principale della sesta edizione del festival e le restanti tre presso gli studi dei rispettivi progettisti aperti al pubblico per l’occasione, andando così a comporre una mostra collettiva e diffusa sul territorio cittadino.

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Sempre in un’ottica di valorizzazione, con l’iniziativa Open studio, i luoghi di lavoro degli architetti torinesi – studi di proprietà o condivisi, spazi di coworking o abitazioni adibite a ufficio – sono stati trasformati per una sera in spazi per l’incontro informale in cui conoscersi e farsi conoscere, confrontarsi e fare comunità. Una sorta di notte bianca dell’architettura, realizzata per la prima volta a Torino nel 2016 e riproposta l’anno successivo a livello nazionale grazie alla collaborazione del Consiglio Nazionale degli Architetti, pensata con l’obiettivo di far scoprire ai cittadini chi lavora e cosa si fa tra le mura di uno studio di progettazione.

Convegno Le città del futuro, Torino © Jana Sebestova


MAGAZINE

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TAO VALORE CULTURALE

Diffondere consapevolezza sul ruolo dell’architetto e sulla qualità dell’architettura, far crescere l’offerta del territorio, fare rete con gli altri operatori culturali.

Il nuovo Palazzo degli Affari, Torino, 1964-73. Progetto di Carlo Mollino, Carlo Graffi, Alberto Galardi, Antonio Migliasso © Politecnico di Torino, sezione ACM - Archivi biblioteca Roberto Gabetti, Fondo Carlo Mollino

GLI ARCHITETTI AL CENTRO

Stazione-albergo al Lago Nero, Sauze d’Oulx, 1947 c. Progetto di Carlo Mollino © Politecnico di Torino, sezione ACM

Emilia Garda Se la cultura rappresenta uno dei principali motori dello sviluppo, oggi emerge sempre di più l’importanza della divulgazione intesa in senso proattivo come innesto di nuove conoscenze, strumenti, pratiche e come elemento propulsore per la creazione di nuove reti e piattaforme fra professionisti.

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MAGAZINE Carlo Mollino architetto, un eccentrico torinese Architetto aggiornato e ispirato, fotografo (e autore di uno dei primi libri di storia della fotografia pubblicati in Italia), sciatore che diventa maestro (e autore di un manuale di tecnica sciistica), appassionato di auto da corsa e di volo acrobatico, docente di Composizione architettonica, critico e attento studioso, Carlo Mollino (1905-73) è senza dubbio una delle figure più poliedriche che hanno abitato la città di Torino nel corso del Novecento. Figlio unico del severo e competente ingegner Eugenio, self made man vogherese che per lui voleva un futuro costruito sui banchi dei corsi di Ingegneria del Politecnico, nel 1931 è uno dei primi laureati della neonata facoltà di Architettura e a inizio anni trenta avvia una brillante carriera interrotta dalla morte, improvvisa, il 28 agosto 1973. In 40 anni di attività progetta raffinate e celebrate architetture alpine (dalla Slittovia al Lago Nero sopra Sauze d’Oulx, alla Casa del Sole, il “piroscafo sulla neve” di Cervinia, da Casa Cattaneo sull’altopiano di Agra a Casa Garelli, collage impostato in modi quasi “neo-dada” a Champoluc per Clotilde Garelli), interni per cui crea arredi oggi ricercatissimi (dalle case per Ada e Cesare Minola e Guglielmo e Franca Minola, Giorgio Devalle o Vladi Orengo ai lavori per la Casa Editrice Lattes e la Reale Mutua Assicurazioni) e interventi meno conosciuti o non realizzati, ma non per questo meno elaborati come i disegni di archivio sempre dimostrano. Torino è la città a cui lega la sua vita privata e una parte significativa di quella professionale, ponendola sempre come fondamentale elemento di confronto e analisi e luogo di ispirazione. Immerso appieno nel suo milieu, si applica a un incessante lavoro di “costruzione di fama” che guida comportamenti spesso fraintesi, messi in atto mentre nel capoluogo sabaudo realizza alcuni dei suoi edifici più importanti e rappresentativi, molti dei quali possono oggi costituire un ideale itinerario molliniano per le strade della città. Dopo alcune esperienze portate a termine nello studio del padre, prima come apprendista e poi come professionista autonomo, nel 1940 completa la nuova sede della Società Ippica Torinese, progettata all’angolo tra corso Massimo d’Azeglio e corso Dante insieme a Vittorio Baudi di Selve e sventuratamente demolita nel 1960. Dopo il lavoro su proposte di

case e ambienti ideali sviluppate durante la seconda guerra mondiale su richiesta delle maggiori riviste dell’epoca, che porta all’elaborazione della proposta di “Casa in collina” per Casabella (1942), la città lo vede nuovamente impegnato tra il 1946 e il 1948 con la realizzazione del Monumento ai Caduti per la Libertà nel Cimitero monumentale firmato insieme a Umberto Mastroianni. Nel 1950 arriva il primo importante incarico torinese del dopoguerra: la progettazione degli interni dell’Auditorium RAI, che lo vede affiancare Aldo Morbelli. Dopo aver completato il poco noto quartiere residenziale Ina Casa di corso Sebastopoli (1957), Carlo Alberto Bordogna lo coinvolge nella progettazione degli interni della frequentata sala da ballo di Attilio Lutrario (1960), avviata in parallelo all’intenso sviluppo della sua ultima casa privata, completata nel 1967 in via Napione. Fra il 1964 e il 1973, dopo essere stato un polemico secondo nel concorso per il Palazzo del Lavoro vinto da Pier Luigi Nervi, si dedica alle due commesse più importanti della sua carriera professionale, oggi divenute parte integrante di un centro storico dal non facile rapporto con il moderno: il Palazzo degli Affari per la Camera di Commercio di Torino, frutto della vittoria di un concorso insieme a Carlo Graffi, Alberto Galardi e Antonio Migliasso, e il nuovo Teatro Regio, che lo vede alla guida di un nutrito gruppo di professionisti che comprende Graffi e Marcello e Adolfo Zavelani Rossi per la parte architettonica, Sergio Musmeci, cui subentra Felice Bertone, per le strutture e Gino Sacerdote e Raffaele Pisani per l’acustica.

Laura Milan Architetto e dottore di ricerca in Storia dell’architettura e dell’urbanistica

Italo Cremona, ritratto di Carlo Mollino attraverso il piano in cristallo della mensola d’ingresso in Casa Miller, Torino, 1936 c. © Politecnico di Torino, sezione ACM

INCONTRI E TOUR 8 incontri formativi proposti da CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia da gennaio a maggio approfondiranno la figura di Carlo Mollino, in parallelo alla mostra “L’occhio magico di Carlo Mollino. Fotografie 1934-1973” (18 gennaio - 13 maggio). 19 aprile L’appuntamento del 19 aprile, a cura della Fondazione, si concentrerà sull’attività di Mollino come architetto con l’intervento degli storici dell’architettura Laura Milan e Sergio Pace. Spaziando tra Torino e le Alpi, si indagheranno le architetture note e meno note realizzate da Carlo Mollino tra il 1933 e il 1973 in quasi 40 anni di attività professionale, dai piccoli progetti privati ai grandi edifici pubblici. 21 aprile e 5 maggio L’architettura è la protagonista anche dell’itinerario di sabato 21 aprile e sabato 5 maggio: una visita guidata condotta da Laura Milan alla scoperta di Palazzo degli Affari, uno degli edifici moderni più interessanti di Torino, e del Teatro Regio, opera-simbolo della produzione architettonica di Carlo Mollino. Le visite guidate sono frutto della collaborazione con CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia Torino, con Teatro Regio Torino e Camera di Commercio Torino.

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TAO Paolo Soleri: tra Torino e il deserto Paolo Soleri nasce a Torino il 21 giugno del 1919. Frequenta il Politecnico a partire dall’anno accademico 1938-1939 fino alla laurea in architettura nella primavera del 1946. Dopo, Soleri prende la via dell’America per andare a lavorare a Taliesin West da Frank Lloyd Wright (marzo 1947 – settembre 1948), diventa cittadino americano e ritornerà sporadicamente in Italia. Torino, i suoi spazi urbani e verdi sono determinanti nell’educare e formare il carattere di Soleri, schivo e solitario fin da giovane. Scorrendo il corposo lavoro condotto dalla studiosa palermitana Antonietta Iolanda Lima, alla quale si deve la scoperta dei disegni degli esordi, si comprende quanto la natura circostante la città, nella relazione spaziale tra il pieno del tessuto urbano e il vuoto/pieno del verde abbia influenzato il giovane architetto. Il titolo della sua tesi di laurea il cui relatore è Giovanni Muzio è Rito45 ed introduce il gioco di parole che Soleri usa per nominare i suoi progetti. Ogni pensiero che si fa azione in Soleri è concepito come un rito, sacrale ma pagano. Per Torino lavora alla macro scala innervando il suo progetto di un centro culturale nel tessuto ortogonale della città, in un’area compresa tra le Porte Palatine, Piazza della Repubblica e il corso del fiume Dora, un chiaro rimando alla Ville contemporaine des trois millions d’habitants di Le Corbusier (1922). Nella tesi Soleri scardina il tracciato ortogonale della città per inserire zziggurat che detengono funzioni quali: abitazioni con giardini e orti, spazi comunitari e attività artigianali. La dimensione degli zziggurat è monumentale e nella rappresentazione grafica usa ancora tempera e acquerello come al liceo artistico, trattando il verde come volume. Una attitudine progettuale, quella della monumentalità, che trasferirà nei progetti americani. Solo in America Soleri può portare a termine il suo progetto di città, solo in un grande vuoto desertico si può sperimentare senza limiti. Il concetto di limite in Soleri, riguarda solo l’aspetto economico insufficiente a garantirgli la realizzazione del progetto di Arcosanti, ma sul piano personale il limite non esiste. Lui assume la figura di guru e profeta che evangelizza quei pochi adepti disposti a lasciar tutto per la vita arcologica immersa nel

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paesaggio della contea di Yavapai in Arizona, un contesto estremo per gente estrema che vive in una dimensione spirituale diversa dalla massa. Soleri stesso lo confida alla Lima: “ho sempre vissuto in un mondo non chiuso, così spero, ma popolato ad un estremo quanto mai esagerato a specchi di me stesso-narcisismo-dove gli altri erano preoccupazioni secondarie” (Lima, Soleri. La formazione giovanile 1933-1946. 808 disegni inediti di architettura, 77). Questo suo narcisismo di porre sempre l’Io dinanzi a tutto lo ha portato ad adottare comportamenti estremi, come quelli denunciati dalla figlia Daniela Soleri, lo scorso novembre in una lettera-confessione sul sito Medium, in merito alle molestie sessuali e al tentativo di stupro che lei ha subito all’età di 17 anni. In Soleri, più di ogni altro intellettuale e artista, è sbagliato separare l’uomo dal suo vangelo perché ha fondato la sua teoria del mondo sul rispetto e sull’etica tra le persone, immaginando una società alternativa al mercato, per poi comportarsi con lo stesso egoismo di cui si nutre il capitalismo. Se da un lato Soleri critica l’american dream, che consente a chiunque di esprimere il proprio desiderio di libertà, senza di esso lui non avrebbe potuto costruire una città nel deserto senza nessun vincolo, rispetto a costruirla a Phoenix o in Europa, dove non glielo avrebbero mai permesso. Così seppure sia difficile separare il comportamento di Soleri dalla sua opera ci vengono in aiuto le parole della figlia: “Guardando intensamente al lavoro artistico e architettonico di Soleri la maggior parte non mi sembra essere compromessa dai suoi peggiori comportamenti. Mi piace ancora molto, anche se non tutto, quello che vedo, suona ancora vero. Ma è più chiaro ora. Guardandolo libero da razionalizzazioni e soluzioni alternative, posso anche vedere difetti, espressioni di ignoranza, arroganza, narcisismo”. Questo atto di lucida denuncia mette giustamente in crisi l’idea che Soleri sia perfetto in quanto la perfezione appartiene ad un’altra entità: Dio, Maometto, Budda. “Vedo che io e altri nella cerchia ristretta di Soleri” scrive ancora Daniela “non siamo riusciti a riconoscere questa distinzione (tra comportamenti antisociali e opere) e ad agire su di essa. Abbiamo permesso che il rispetto e

l’ammirazione si trasformassero in accettazione – anche se a volte riluttante – dei suoi comportamenti”. Non ho mai idolatrato Soleri e ne ho scritto con distacco critico e imparzialità, pur enfatizzandone alcuni aspetti della sua ricerca sperimentale, ma senza quell’aura di leggenda che alcuni storici hanno trasmesso senza metterne in dubbio la presunta perfezione.

Emanuele Piccardo Critico d’architettura


MAGAZINE IL CENTENARIO DI PAOLO SOLERI Nel 2019, in occasione dei cento anni dalla nascita di Paolo Soleri, la Fondazione presenterà un progetto espositivo curato da Emanuele Piccardo con l’intento di mettere in relazione gli inizi di Soleri a Torino e in Arizona con il concetto di sperimentazione. Dai disegni che tratteggiano le prime esperienze progettuali come studente del Politecnico alle prime sperimentazioni esemplificate dagli schizzi delle Arizonian Houses, durante l’apprendistato da Wright, per ritornare all’unico progetto europeo realizzato della Fabbrica Solimene. Una mostra che ha l’obiettivo di riflettere sul modello di sviluppo delle metropoli, confrontando le due sperimentazioni di Soleri alla scala urbana e alla scala territoriale: Cosanti e Arcosanti. La mostra, realizzata in collaborazione con la Cosanti Foundation, avrà una preview a Los Angeles all’Istituto Italiano di Cultura nella primavera del 2019.

Dome House, sezione, Cave Creek Arizona, 1949. Progetto di Paolo Soleri

LOOKING AROUND Nel 2017 sono stati organizzati due appuntamenti del ciclo curato da Davide Tommaso Ferrando e dedicato a esponenti dell’architettura contemporanea europea.

Fabbrica Solimene, Vietri sul Mare (SA), 1954. Progetto di Paolo Soleri © Emanuele Piccardo

20 aprile 2017 Toni Gironès Saderra (Spagna) L’architetto catalano, alla guida dal 1992 dello studio Estudi d’arquitectura Toni Gironès Saderra, basa la sua filosofia progettuale sul concetto di armonia tra gli interventi e il contesto. La sua idea è che l’architettura rappresenti uno spazio di intermediazione tra chi la vive e l’ambiente esterno; la parola d’ordine è abitabilità, un risultato da ottenere ascoltando le esigenze delle persone, le peculiarità del luogo e le risorse a disposizione, il tutto privilegiando gli aspetti funzionali a quelli formali. Il suo impegno è stato riconosciuto in più occasioni, tra cui, la Biennale Iberoamericana Architettura Urbanistica 2012 e 2014, e le sue opere sono state esposte anche in occasione dell’ultima Biennale Architettura di Venezia. 10 novembre 2017 Amica Dall (Regno Unito) Amica Dall è una dei 18 componenti di Assemble, collettivo londinese che dal 2010 sovrappone arte, architettura e design per adottare pratiche innovative per la riqualificazione di zone in disuso. L’ingrediente principale degli interventi del collettivo (composto da giovani architetti, designer, artigiani…) è il coinvolgimento degli abitanti, con l’intento di superare la separazione tra utenti e il processo che porta alla creazione dei luoghi: gli abitanti sono coinvolti non solo nella fase di progettazione partecipata, ma anche nella realizzazione. Grazie a Granby Four Streets, il progetto di riqualificazione urbana realizzato a Liverpool, nel 2015 il collettivo è stato insignito del prestigioso premio d’arte contemporanea del Regno Unito Turner Prize. Durante l’incontro Amica Dall si è confrontata con John Bingham-Hall del collettivo Theatrum Mundi.

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TAO VALORE CULTURALE

I CITTADINI SONO I COMMITTENTI Mostra Inside the house, Festival Architettura in Città 2017 © Edoardo Piva

STANZE FINESTRE La mostra, realizzata all’interno dello Spazio Q35 in occasione del Festival Architettura in Città 2017 e curata da Nina Bassoli e Davide Tommaso Ferrando per il gruppo di coordinamento del Festival, ha affrontato il tema della manifestazione “Città come casa” attraverso una serie di installazioni multimediali ospitate all’interno di tre ambienti. Nel primo trova spazio una struttura metallica a rappresentazione di uno spazio raccolto: una “stanza nella stanza” a cura di Fosbury Architecture, le cui pareti sono composte da un atlante di dispositivi abitativi che resistono alla mercificazione dello spazio domestico. Il secondo ambiente, il cuore della mostra, è stato allestito con due grandi video montati a partire dalle immagini raccolte attraverso una call pubblica, proiettate in una dimensione simile al reale. Il primo video presenta una serie di interni abitati, in cui è possibile intuire la vita che vi si svolge, sentendosi improvvisamente ospiti inattesi e un po’ voyeur di queste case. Il secondo invita invece a guardare al di fuori di esse e a ricollocarle all’interno dei rispettivi spazi urbani, suggerendo la ricomposizione di una città inedita, non pubblica, spiata da dietro le finestre. Nell’ultimo ambiente, un montaggio composto per l’occasione da Davide Rapp attraverso spezzoni cinematografici esprime tutta la potenza narrativa del tema dell’abitare in città: dell’intimità, ma anche dell’inquietudine generata dalle pareti di casa, degli sguardi che si incrociano attraverso le soglie e delle relazioni imprevedibili che si stabiliscono tra interno ed esterno.

Festival Architettura in Città 2017 © Edoardo Piva

ARCHITETTURE DA FAVOLA

Tour Architetture da favola, Festival Architettura in Città 2017 © Jana Sebestova

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All’interno dell’edizione 2017 di Biennale Democrazia, la Fondazione ha condotto un esperimento con la Scuola Holden per promuovere una riflessione aperta alla cittadinanza sui temi della rigenerazione urbana. Quattro studenti della scuola di storytelling & performing arts torinese hanno studiato e raccontato al pubblico della manifestazione, ognuno con un linguaggio narrativo differente, quattro progetti di trasformazione del territorio, selezionati dalla Fondazione attraverso una call: Francesca Martino ha presentato il progetto Binaria Centro Commensale – Fabbrica del Gruppo Abele di Carla Barovetti, Rocco Montagnese (progettisti), Simona Colarusso e Roberto Bogetto (collaboratori), Natalia Pazzaglia la Promenade dell’Arte e della Cultura Industriale di Ferruccio Capitani, Rossella Maspoli e Monica Saccomandi, Elisa Leoni l’installazione Soave sia il vento di Arturo Herrera e Andrea Falcone Laghetti Falchera di Servizio Grandi Opere del Verde (Coordinatore del Progetto), Servizio Ambiente, Servizio Mobilità, Circoscrizione 6, Comitato Falchera e Gruppo IREN SpA. Al termine delle presentazioni la parola è passata al pubblico che votando con una pallina da ping pong colorata ha scelto il progetto e la narrazione più convincenti, decretando la vittoria di Laghetti Falchera. In occasione del Festival Architettura in Città gli studenti della Scuola Holden e i progettisti hanno guidato i cittadini alla scoperta delle quattro esperienze di rigenerazione urbana.


MAGAZINE #STAYTUNED PER AGGIORNAMENTI SULLA PROSSIMA EDIZIONE WWW.ARCHITETTURAINCITTA.IT

ARCHITETTURA IN CITTÀ Edizione 2017

103

4

INIZIATIVE TRA FESTIVAL E FUORI FESTIVAL

GIORNI DI FESTIVAL

1

8.000 127 PERSONE CHE HANNO PARTECIPATO ALLE INIZIATIVE

3

LA CASA DEL FESTIVAL È STATA LO SPAZIO Q35, IN VIA QUITTENGO 35, CHE HA ACCOLTO:

PARTNER CULTURALI

39 APPUNTAMENTI 9 MOSTRE 5.000 PERSONE

2

MAIN SPONSOR:

SUPPORTER:

MEDIA PARTNER:

SIKKENS

IGUZZINI, VIVDECORAL E VERNICIATURA INDUSTRIALE VENETA

HOUZZ E PLATFORM

Festival

Fuori festival

IL PROGRAMMA DEL FESTIVAL HA PREVISTO UN TOTALE DI:

IL PROGRAMMA DEL FUORI FESTIVAL HA PREVISTO UN TOTALE DI:

82

21

INIZIATIVE PROMOSSE IN COLLABORAZIONE CON:

92

PARTNER CULTURALI

CHE SI SONO SVOLTE OLTRE CHE ALLO SPAZIO Q35 IN ALTRE:

49 28

26 NOTIZIE PUBBLICATE ARCHITETTURAINCITTA.IT

INIZIATIVE PROMOSSE DA:

43

PARTNER CULTURALI

CHE SI SONO SVOLTE IN:

12

SEDI SATELLITE DI CUI:

SEDI

STUDI DI ARCHITETTURA

2.000 3.000 6.000 COPIE DISTRIBUITE DEL GIORNALE

PROGRAMMI CARTACEI

CARTOLINE DISTRIBUITE

80

7

2

84

AFFISSIONI PUBBLICHE

SPAZI PUBBLICITARI

TOTEM STRADALI

USCITE SUI MEDIA

EVENTO FACEBOOK 86.000 PERSONE RAGGIUNTE 11.000 VISUALIZZAZIONI 236 POST CON #AIC2017 TWITTER 104 TWEET CON #AIC2017 10 MOMENTI DEDICATI AL FESTIVAL E ALLE SUE INIZIATIVE 81 MENZIONI 26 RETWEET INSTAGRAM 84 IMMAGINI CON #AIC2017 PINTEREST 53 PIN YOUTUBE 53 VIDEO SUL CANALE FONDAZIONE PER L’ARCHITETTURA

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Markthal, Rotterdam, 2014. Progetto di MVRDV

TAO

ANTEPRIMA VIAGGI 2018 Con l’Associazione GAC dal 2008 sono stati curati 21 viaggi di architettura in Italia e all’estero con due mete fuori Europa, a New York nel 2011 e a Tel Aviv e Gerusalemme nel 2013. Per il 2018 sono previste due proposte:

Erasmusbrug, Rotterdam, 1996. Progetto di Ben van Berkel

Giugno Visita della XVI Biennale di Architettura, diretta da Yvonne Farrell e Shelley McNamara e intitolata “Freespace”. Settembre Paesi Bassi, da Rotterdam alle aree limitrofe.

De Rotterdam, Rotterdam, 2013. Progetto di OMA

VALORE CULTURALE

SCOPERTE CONTEMPORANEE 24


MAGAZINE Viaggiando s’impara intensificati dallo spirito collettivo che si crea all’interno del gruppo di partecipanti: un fattore “endogeno” non trascurabile che consente il nascere di collaborazioni e lo scambio fattivo di informazioni. Primo tra gli Ordini italiani, Torino ha garantito il rilascio di crediti formativi per l’attività dei viaggi studio che si cerca di volta in volta di accrescere grazie a mostre, conferenze e appuntamenti interni o collaterali al viaggio stesso. Per il 2018 la proposta dei viaggi studio si articola sulla visita della XVI Biennale di Architettura e su un percorso nei Paesi Bassi, da Rotterdam alle aree limitrofe. Da una parte l’evento architettonico biennale per eccellenza, quest’anno diretto dallo studio irlandese Grafton Architects capitanato da due battagliere donne come Yvonne Farrell e Shelley McNamara, intitolato “Freespace”, dove l’architettura viene considerata in quanto spazio gravido di opportunità e possibilità che nascono dall’interazione non programmata e non intenzionale tra i soggetti. Dall’altra una ricognizione a nord dove l’ambiente urbano contemporaneo è spinto al suo massimo grado: il dutch touch mantiene una indubbia supremazia in ambito europeo per le coraggiose scelte urbane e architettoniche che sono il naturale corollario a una società avanzata, democratica e libertaria.

Kiasma, Museum of Contemporary Art, Helsinki, 1998. Progetto di Steven Holl

Paolo Giordano Gruppo Architetti del Canavese & Valle D’Aosta

LAC Lugano Arte e Cultura, Lugano, 2015. Progetto di Ivano Gianola

Achille Castiglioni sosteneva che se non si è curiosi, è meglio lasciare perdere. Senza estremizzare, è indubbio che uno degli stimoli che spinge ad affrontare un viaggio il cui focus principale è l’architettura, sia la curiosità. Curiosità che si declina in scoperta, conoscenza, talvolta conferma. In ogni caso arricchimento per il soggetto. Il viaggio ha accompagnato storicamente la formazione degli architetti: a partire dalle incursioni di Palladio nella classicità romana, fino all’istituzione del Grand Tour nel ‘700, per giungere ai numerosi Carnets de Voyages di Le Corbusier e ai suggestivi schizzi itineranti di Aalto e di Louis Kahn, sono state attraversate frontiere, Paesi e continenti per conoscere, studiare, approfondire, formarsi. In quest’ottica di fornire un servizio formativo per gli iscritti, Fondazione per l’architettura collabora dal 2007 con il Gruppo Architetti del Canavese & Valle d’Aosta al progetto “Architecture Exchange” per la realizzazione di viaggi studio di architettura contemporanea: si tratta di momenti di aggiornamento professionale attraverso la conoscenza diretta delle opere di maggiore rilevanza, nazionale e internazionale, ma al tempo stesso opportunità di confronto con i progettisti delle opere in programma, mediante visite guidate o sopralluoghi presso le sedi dei loro studi, e con istituzioni quali centri per l’architettura e Urban Center. Negli anni la proposta di viaggi studio ha toccato diverse regioni in Italia, ha coperto le edizioni della Biennale di Architettura di Venezia a partire dal 2008, ha spaziato in tutta Europa con alcune incursioni extra-europee. Ogni viaggio intende fornire una visione delle città e dei territori visitati improntata alla contemporaneità, con attenzione posta agli sviluppi e alle direzioni più attuali che contengano l’elemento essenziale della qualità architettonica e urbana. Il tutto in una prospettiva che possa fornire a ciascun partecipante elementi utili ad accrescere il proprio bagaglio culturale e progettuale affinché divenga importante, per dirla con un grande viaggiatore come Tiziano Terzani, non “quanto hai viaggiato, ma quello che hai riportato indietro”. Confronto e conoscenza sono poi

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TAO VALORE ISTITUZIONALE

Facilitare le relazione tra amministrazioni, professionisti e cittadini, stimolare il dibattito sulla qualità in architettura, dialogare con le istituzioni per mettere al centro il progetto.

UN PREMIO AL MERITO Scegliere un progettista o scegliere un progetto? Due approcci radicalmente diversi e complementari si aprono davanti al soggetto privato committente di un progetto: da una parte il tradizionale affidamento dell’incarico ad un professionista su base fiduciaria o a seguito di una scelta più articolata tra diversi professionisti considerando la fiducia, il curriculum e il fattore prezzo. Si tratta sempre, comunque, di scegliere un professionista e attendere un risultato che soddisfi le proprie esigenze. La strada alternativa, che in Italia pochi committenti percorrono, prevede la scelta della proposta progettuale, selezionata fra molte, elaborate tutte su parametri forniti in precedenza in un documento prodotto dalla committenza: un concorso di progettazione privato. La committenza privata spesso è spaventata dall’idea di un concorso per via del timore di tempi lunghi e costi maggiorati, ma si tratta di opinioni errate perché vi sono aspetti che non sono noti alla committenza. Un concorso ben programmato può essere gestito attraverso una procedura breve, snella e dematerializzata, assolutamente sovrapponibile nei tempi alla scelta di un professionista di fiducia e all’avvio dello sviluppo della progettazione. L’eventuale incremento di spesa per retribuire la consulenza qualificata del programmatore è ampiamente ripagato in termini di immagine e qualità dei risultati. Il concorso di progettazione in due fasi consente di allargare enormemente il numero dei partecipanti senza gravare economicamente su di essi costringendoli a definire

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un livello di dettaglio progettuale eccessivo. La prima fase sarà una sorta di concept nel quale il concorrente deve dimostrare, oltre alla preparazione tecnica, anche di avere grandi doti di comunicazione per “bucare” la massa di proposte e catturare l’attenzione della Commissione. Solo dopo una prima selezione, in genere di tre o cinque progetti, si potrà svelare l’identità dei progettisti ed instaurare con loro una sorta di dialogo competitivo che li guidi a sviluppare un progetto pienamente rispondente alle esigenze del committente. Un aspetto fondamentale per la buona riuscita del concorso è che sia chiaramente espressa già nel bando la volontà di affidare al vincitore lo sviluppo delle successive fasi di approfondimento, fino al cantiere. Il progettista, qualora non attrezzato per lo sviluppo di un progetto esecutivo impegnativo, può avvalersi della collaborazione di una società di ingegneria, eventualmente di fiducia del committente, mantenendo la paternità e la guida del progetto. Per compiere un ulteriore passo verso il consolidamento di questo metodo di affidamento di incarico, l’Ordine degli Architetti e la Regione Piemonte potrebbero verificare la possibilità dell’inserimento nel prossimo provvedimento di stabilizzazione del “piano casa” di una specifica premialità per l’investitore che ricorra al concorso di progettazione, in termini di alleggerimento degli oneri. Il presupposto è che si instauri un dialogo e una collaborazione tra la Fondazione per l’architettura / Torino, che da anni si occupa di concorsi, e i

committenti privati. A tale fine la Fondazione per l’architettura / Torino sta sperimentando un modello di call che soddisfi le necessità dei committenti privati e degli architetti.

Roberto Secci Programmatore concorsi Fondazione per l’architettura


MAGAZINE INNOVATION SQUARE CENTER Il Gruppo SIGIT ha bandito un concorso di progettazione in due fasi per la riqualificazione dell’edificio Mario Gros di corso Orbassano 402/15, originariamente disegnato dall’architetto Gualtiero Casalegno, con l’obiettivo di creare a Mirafiori un polo di innovazione legato al mondo dell’industria plastica. Con questa iniziativa, per la prima volta viene sperimentata una procedura pensata dalla Fondazione appositamente per i committenti privati, che consente di garantire tempi ristretti e costi ridotti per la selezione senza rinunciare alla trasparenza: un concorso di progettazione in due fasi in cui al termine della prima fase viene sciolto l’anonimato e il committente ha la possibilità di dialogare con i gruppi selezionati per l’approfondimento progettuale. Il bando, rivolto ai professionisti under 40, è stato pubblicato il 26 marzo e le proposte devono essere presentare entro il 27 aprile 2018.

Ex tipografia Mario Gros, Torino, 1960. Progetto di Gualtiero Casalegno © Bruna Beniamino

I concorsi del 2017 L’Unione Industriale si veste di nuovo

Il convento e il paesaggio di Caluso

Il concorso di idee per il rinnovamento e la valorizzazione del complesso in cui ha sede l’Unione Industriale di Torino è stato bandito dall’Unione Industriale e sostenuto dall’Ordine degli Architetti di Torino.

Il concorso di progettazione in due fasi, voluto dal Comune di Caluso, intende riqualificare un antico convento risalente al XVII secolo e valorizzare il paesaggio della città.

1° classificato: progetto di Cristiana Vannini, Giuseppe Del Greco, Rada Markovic Campanini, Alessandra Spaltini, Ornella Suriano, Francesco Naimoli

1° classificato: progetto di Francesco Vaj, Luca Fabbian e Gianfranco Vinardi Premio: € 13.000

Premio: € 5.000

Scuola Enrico Fermi, Torino

Scuola Giovanni Pascoli, Torino

Obiettivo del concorso di progettazione in due fasi, bandito da Fondazione Agnelli e Compagnia di San Paolo, è la ristrutturazione e la riorganizzazione della Scuola secondaria di I grado Enrico Fermi.

Con il concorso di progettazione in due fasi, la Fondazione per la Scuola e la Compagnia di San Paolo intendono riqualificare la Scuola secondaria di I grado Giovanni Pascoli.

1° classificato: progetto di Alberto Bottero, Simona Della Rocca, Maria Chiara Mondini, Andrea Galanti, Emanuela Saporito, Antonio Isoardi e Jacopo Toniolo

1° classificato: progetto di Silvia Minutolo, Marco Giai Via, Alessio Lamarca, Alberto Perino, Michal Adam Wasielewski, Claudio Tortone, Domenico Racca e Simonetta Lingua

Premio: € 15.000

Premio: € 12.000

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TAO VALORE ISTITUZIONALE

PENSIERI IN TRASFORMAZIONE

Diagrammi per una città senza confini In occasione di Torinostratosferica Utopian Hours, un festival di tre giorni promosso dall’omonima associazione con l’obiettivo di stimolare visioni innovative per il futuro di Torino, la Fondazione ha chiesto ai partecipanti di mettere nero su bianco le idee sul futuro della città, attraverso una scheda ed un’urna. Dall’analisi degli oltre 100 suggerimenti sono stati individuati 3 ambiti di riflessione e proposta: Opportunità di sviluppo: i fiumi e il sistema dei parchi sono un patrimonio ancora non pienamente sfruttato, uno degli asset fondamentali che il territorio può vantare e che nasconde potenzialità immense su diversi settori. Le sponde del fiume come luogo di aggregazione attraverso strutture per lo sport e per la balneazione, botteghe d’arte e studi aperti e il fiume stesso come infrastruttura per il trasporto pubblico urbano attraverso un sistema di vaporetti che colleghi Moncalieri a Sassi. Piccoli interventi diffusi per migliorare la fruizione, la sicurezza e l’ospitalità nei parchi torinesi anche in orario serale, con attività commerciali e ricreative o piccole piattaforme tipo “dehor” per coltivare, vicino alle abitazioni anche in pieno centro. Rapporto centro-periferia: sarebbe interessare passare dalla dicotomia centro/periferia alla nascita di un sistema a rete fatto di numerosi punti e linee all’interno del contesto urbano, con la nascita di isole a misura d’uomo con identità riconoscibili e che costituiscano nuove centralità; ne consegue la necessità di una riflessione approfondita sulla mobilità, sulla rete che connette i punti e che deve garantire la

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coesistenza sullo stesso sedime stradale di diverse modalità di trasporto: l’automobile, il pedone, il ciclista e i mezzi pubblici, ad esempio utilizzando i controviali dei principali corsi come una nuova infrastruttura dolce, dimezzando i tratti stradali per fare posto a una rete di percorsi lineari verdi o creando piste ciclabili sopra le principali vie e corsi della città. Gestione del costruito: è auspicabile un aggiornamento contemporaneo del tessuto della città attraverso il completamento edilizio, la sostituzione e anche lo svuotamento di spazi con l’ambizione di restituire un territorio in cui lo spazio libero pubblico possa aumentare in qualità e quantità e l’edificato possa essere trasformato con criteri, procedure ed incentivi che premino la qualità. La priorità non è la tutela, quanto la trasformazione; bisogna superare il tabù della demolizione, anche con l’obiettivo di restituire a parco o in generale a spazio pubblico aree occupate da edifici in disuso. Tra le suggestioni, l’idea di dare vita a un quartiere ecosostenibile, solare, senz’auto, verde, con spazi condivisi a basso costo per attrarre giovani creativi.

Paolo Balistreri I processi di trasformazione urbana richiedono alta professionalità e ampiezza di pensiero, oltreché capacità di costruire strategie sostenibili e percorsi decisionali efficaci. La Fondazione per l’architettura rappresenta uno strumento di sintesi di queste competenze e si presenta come soggetto di dialogo e di proposta per il sistema territoriale.


Tour Inserimenti contemporanei nel centro storico, Architettura in Città LAB © Edoardo Piva

Nurbs Parkour, Architettura in Città 2015 © Jana Sebestova

MAGAZINE

Nurbs Parkour, Architettura in Città 2015 © Jana Sebestova

Fabio Bolognesi Ripensare il territorio oltre i confini amministrativi, partendo dallo sguardo di chi il territorio lo vive ogni giorno, coinvolgendo cittadini e architetti in un percorso condiviso mirato a esprimere un sogno comune di trasformazione. Oltre il costruito. Oltre il costruibile.

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TAO Esperimenti di quartiere Attraverso la metodologia del workshop partecipativo, la Fondazione per l’architettura / Torino ha permesso a gruppi di architetti di approcciare l’idea della progettazione partecipata sul territorio per affrontare temi urbani di comune interesse: destino degli assi viari, rigenerazione di siti abbandonati, aree verdi interstiziali. Il nostro gruppo si è occupato dell’area limitrofa a largo Govean: una convenzionale isola spartitraffico di via Madama Cristina. L’esperienza si è dimostrata gratificante per vari aspetti. In primis, attraverso la gestione delle dinamiche partecipative abbiamo avuto modo di confrontarci con gli amministratori della Circoscrizione e soprattutto di dimostrare alla cittadinanza che il lavoro degli architetti configura valide alternative per migliorare la vita quotidiana della comunità. L’architetto ascolta, comprende e sa rispondere alle esigenze espresse da chi vive i luoghi. Il progetto prosegue quest’anno con l’intento di fornire attraverso esperimenti di quartiere un modello reale, replicabile e di traino per altri interventi analoghi in città ed essere parte integrante di quel sistema a rete di punti e linee che potrebbero ricucire e riqualificare il tessuto urbano dal centro alla periferia. In questo contesto è centrale il ruolo della Fondazione per garantire il successo dell’iniziativa, sia in qualità di partner di

progetto che di facilitatore del processo, ovvero d’intermediazione tra professionisti e istituzioni. L’obiettivo di questa iniziativa è quello di adattare gli spazi pubblici ai bisogni della comunità di quartiere coinvolgendola direttamente nel processo di rigenerazione urbana. L’auspicio è che attraverso l’attivazione di un percorso di progettazione partecipata condivisa, fatta a piccoli passi e con interventi dal basso, si venga a instaurare un rapporto di mutua fiducia tra la collettività e gli architetti in cui viene rimesso in campo il ruolo sociale della nostra figura professionale nel dialogo costruttivo tra i differenti soggetti. “Esperimenti di quartiere” si configura come un progetto di piccola scala: dare vita a oasi urbane dalla forte caratterizzazione che diventino un supporto quotidiano alla vita del quartiere. Paradossalmente è proprio a pochi passi da una delle arterie più trafficate di Torino che la città può ritornare a misura d’uomo. Attraverso la costituzione di un collettivo (sul modello degli Assemble londinesi) gli architetti guidano l’opera sinergica di artisti e artigiani assieme ad abitanti, commercianti e associazioni di zona che diventano gli attori della trasformazione urbana. Largo Govean costituirà il progetto pilota che potrà poi essere esteso agli altri spazi aperti fino a piazza Graf. I differenti

soggetti parteciperanno in varie forme a tutto il percorso (analisi dei bisogni, progettazione, realizzazione) attraverso workshop, forum e azioni specifiche. Particolare attenzione sarà data alla comunicazione, così da estendere interesse e partecipazione anche al di fuori dei confini del quartiere, e alla programmazione-gestione degli spazi a intervento concluso per ottimizzarne utilizzo e mantenimento. “Esperimenti di quartiere” avrà un approccio ecosostenibile, a basso impatto ambientale e costi contenuti, privilegiando materiali economici e di recupero. L’intero percorso sarà sezionabile e programmabile in fasi distinte e flessibili permettendo di avviare un discorso fluido di raccolta dei fondi.

Ida Bonfiglio, Alessandro Bua, Elisa Campra, Grazia Carioscia, Annalisa Ciarello, Paolo Quirico Gruppo di lavoro Esperimenti di quartiere

Workshop Smart Building in Torino Smart City © Serena Pastorino

Paolo Dellapiana

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L’architetto è colui che viene incaricato di progettare l’evoluzione di un ambiente attraverso gli strumenti della ragione. La città è l’ambiente sociale per eccellenza e più di ogni altro necessita degli “strumenti della ragione progettuale” per la sua trasformazione, mutazione e per il suo eterno progresso.


MAGAZINE Fondazione per l’architettura / Torino* Via Giolitti 1 — 10123 Torino Tel. 011 546975 Fax 011 537447 Consiglio d’Amministrazione Alessandro Cimenti, presidente Subhash Mukerjee, vice presidente Roberto Albano Ilaria Ariolfo Paolo Balistreri Fabio Bolognesi Paolo Dellapiana Emilia Garda Massimo Giuntoli Michela Lageard Chiara Martini Direttore Eleonora Gerbotto

TAO, periodico di informazione della Fondazione per l’architettura / Torino Registrato presso il Tribunale di Torino con il n. 51 del 9 ottobre 2009 Iscritto al ROC con il n. 20341 del 2010 ISSN 2038-0860 n. 1/2018 Direttore responsabile Raffaella Bucci Redazione Raffaella Bucci Giulia Gasverde Via Giolitti, 1 – 10123 Torino Tel. 011 5360513/514 taonews@fondazioneperlarchitettura.it Le informazioni e gli articoli contenuti nel giornale riflettono esclusivamente le opinioni, i giudizi e le

Comitato di Indirizzo

elaborazioni degli autori e non impegnano la redazione

Ilario Abate Daga Carlo Alberto Barbieri Luca Beatrice Marco Boglione Francesca De Filippi Fabrizio Giugiaro Laura Milani Giuseppe Serra

del giornale né la Fondazione per l’architettura / Torino.

Collegio dei Revisori dei Conti

Grafica

Marco Montalcini, presidente Roberto Coda Luciano Quattrocchio

quattrolinee

Formazione Antonella Feltrin Maddalena Bertone Federica Tufano Raffaela Cardia Olra Carty formazione@fondazioneperlarchitettura.it

La Fondazione è a disposizione degli aventi diritto per eventuali fonti iconografiche e fotografiche non identificate e si scusa per involontarie inesattezze e omissioni.

Tiratura 2.000 copie Chiuso in redazione il 27 marzo 2018

Stampa Printaly.com Srl Corso Tacito, 8 – 05100 Terni (TR) In copertina: Palais de Tokyo, Parigi, 2012 Progetto di Anne Lacaton & Jean Philippe Vassal, ospite di Looking Around 2016. © Philippe Ruault

Attività Culturali Raffaella Lecchi Serena Pastorino Tatiana Bazzi eventi@fondazioneperlarchitettura.it Comunicazione e Ufficio stampa Raffaella Bucci Giulia Gasverde Stefania Granata ufficiostampa@fondazioneperlarchitettura.it Amministrazione Giulia Di Gregorio amministrazione@fondazioneperlarchitettura.it Partner

*Emanazione di Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Torino o Fondazione OAT


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