Archemist

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COLOPHON Emiliano Ponzi

CONSIGLIO

Supplemento di TAO, periodico

La copertina del giornale raffigura un’opera inedita di Emiliano Ponzi,

OAT

di informazione della Fondazione

uno dei nomi più noti tra gli illustratori contemporanei, che ha

dell’Ordine degli Architetti, Pianificatori,

gentilmente creato un’immagine dedicata al festival Architettura in

Paesaggisti e Conservatori della Provincia

Città. Nato a Reggio Emilia nel 1978, Emiliano Ponzi vive e lavora a

Presidente

di Torino. Registrato presso il Tribunale di

Milano. Le sue illustrazioni si basano sull’uso di texture, linee grafiche

Riccardo Bedrone

Torino con il n. 51 del 9 ottobre 2009. Iscritto al

essenziali, per comunicare in maniera diretta e sintetica, dando vita a

Vicepresidente

ROC con il n. 20341 del 2010 n. 1/2013

personaggi surreali e fantastici. I suoi lavori compaiono su magazine,

Maria Rosa Cena

pubblicità, libri, quotidiani e animazioni: ha disegnato per il New York

Segretario

Direttore Responsabile

Times, Le Monde, l’Economist, La Repubblica e ha creato copertine per

Giorgio Giani

Riccardo Bedrone

Feltrinelli, Penguin e Mondadori. Ha ricevuto numerose onorificenze,

Tesoriere

Direttore scientifico

come lo Young Guns Award dall’Art Directors Club di New York, e

Franco Francone

Liana Pastorin

premi dalla Society of Illustrators di New York e Los Angeles e da

Consiglieri

Redazione

Communication, How, Arts e American Illustration Annuals.

Marco Giovanni

Raffaella Bucci

Aimetti,

Via Giolitti, 1 | 10123 Torino

IAAD

Roberto Albano,

Tel 011 5360513/4 Fax 011 537447

www.iaad.it

Sergio Cavallo,

www.taomag.it | redazione@taomag.it

Il giornale è stato reso possibile grazie al generoso contributo

Pier Massimo

dell’Istituto di Arte Applicata (IAAD). Un’università privata nata nel

Cinquetti,

1978 e completamente rinnovata a partire dal 2000 con la direzione

Felice De Luca,

di Laura Milani. Oltre 100 le collaborazioni che da allora sono state

Gabriella Gedda,

attivate con aziende, associazioni e amministrazioni pubbliche per

Elisabetta Mazzola,

lo sviluppo di progetti culturali, di ricerca, didattici e di stage, con la

Gennaro Napoli,

ferma intenzione di garantire una formazione costantemente

Carlo Novarino,

aggiornata e qualitativamente di alto livello. Il progetto grafico,

Giovanni Tobia

l’impaginazione e la cura della stampa in tipografia sono stati realizzati

Oggioni,

dagli studenti del secondo anno del corso di laurea in Communication

Marta Santolin

and graphic design, sotto la guida del docente di progettazione grafica

Direttore OAT

Andrea Bozzo:

Laura Rizzi

Andrea Armandi, Louise Marie Béthaz, Stephanie De Padova, Luisa Fasano, Reschika Fernando, Ileana Filiberto, Sara Gironi

il Circolo dei lettori via Bogino 9, 10123 Torino | tel. +39 011 4326827 info@circololettori.it | www.circololettori.it

Nicola Lotta, Ginevra Marengo, Jesy Moliterno, Speranza Montironi, Veronica Parodi, Emanuele Sappè,

Consiglio

Dario Siccardi, Martina Tolomeo, Alessandro Wagner.

Fondazione Oat

Le informazioni e gli articoli contenuti nel giornale riflettono esclusivamente le opinioni, i giudizi e le elaborazioni degli autori e non impegnano

Presidente

la redazione del giornale né l’Ordine degli Architetti PPC della Provincia

Carlo Novarino

di Torino né la Fondazione OAT. I materiali iconografici e le fotografie

Vicepresidente

provengono dagli autori, salvo dove diversamente specificato.

Sergio Cavallo

La Fondazione OAT è a disposizione degli aventi diritto per eventuali fonti

Consiglieri

iconografiche e fotografiche non identificate e si scusa per eventuali

Riccardo Bedrone

involontarie inesattezze e omissioni.

Mario Carducci Giancarlo Faletti

Tiratura 5.000 copie

Emilia Garda

Chiuso in redazione il 22 aprile 2013

Ivano Pomero

un unprogetto progetto editoriale editoriale per per l’Architettura l’Architettura di Celid e Fondazione Celid-Fondazione Ordine Architetti Ordine Architetti Torino Torino le collane: le collane: EspEriEnzE raccontatE ESPERIENZE RACCONTATE i luoghi E lE idEE I LUOGHI E LE IDEE InformazionE IN FORMAZIONE Viaggi nEl contEmporanEo VIAGGI NEL CONTEMPORANEO

Direttore Stampa

Fondazione OAT

Stargrafica, San Mauro Torinese (TO)

Eleonora Gerbotto

II

FondamentaLibri.it

FondamentaLibri.it

Carnevale, Fulvio La Neve, Carlo Dario Liotta, Marta Lo Bracco,


2011 2012

CATEGORIE TEMATICHE

Si terrà dal 28 maggio al 1° giugno la terza edizione del festival Architettura in Città promosso dall’Ordine degli Architetti di Torino e dalla Fondazione OAT. Per 5 giorni l’architettura sarà protagonista con oltre 50 iniziative tra conferenze, mostre, laboratori, happening realizzati attraverso la collaborazione di altrettante istituzioni culturali operanti in città e nell’area metropolitana.

Festival dell’architettura e della città La sede principale del festival sarà alle OGR – Officine Grandi Riparazioni, complesso di edifici di archeologia industriale prossimo ad essere sottoposto a un progetto di riconversione da fabbrica di riparazione dei vagoni ferroviari a luogo di produzione culturale. Le OGR rappresentano perfettamente il tema che fa da filo conduttore alle iniziative di questa edizione: le esplorazioni urbane. Riscoprire luoghi sconosciuti o caduti in disuso, rendere accessibili fabbricati generalmente chiusi al pubblico, indagare la città e i suoi edifici da prospettive nuove e alternative sono tra gli obiettivi che si ripropone Architettura in Città 2013 con un fitto calendario di eventi che non tradisce le sue caratteristiche fondamentali: la capacità cioè di far dialogare con l’architettura linguaggi diversi come arte, musica, fotografia, design, danza, letteratura, teatro e l’intento di aprirsi alla cittadinanza con iniziative rivolte a tutte le fasce d’età per far comprendere come ognuno di noi viva quotidianamente l’architettura. Il festival riconferma inoltre l’attenzione ai temi della smart city, accogliendo nel suo programma eventi che riguardano per esempio la realizzazione di fabbricati eco-sostenibili, l’utilizzazione degli spazi liberi della città (come i tetti degli edifici) per il verde, la ricostruzione di parti di città colpite da eventi catastrofici e la progettazione di edifici capaci di resistere a eventi naturali. Per la prima volta il festival riserva una vetrina a un paese ospite, mettendo in mostra l’architettura in Argentina (già presentata all’ultima Biennale di Architettura di Venezia) e in particolare dei progettisti piemontesi d’oltre oceano. L’allestimento della mostra era stato progettato da Clorindo Testa, architetto argentino di origini italiane morto lo scorso 10 aprile.

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Architettura, design, città, paesaggio, cinema, video, fotografia, libri, arte, food, teatro, musica, danza.

CATEGORIE TEMATICHE

SOGGETTI CULTURALI

70

Amministrazioni pubbliche, enti e associazioni di cultura, organizzazioni di categoria e centri di formazione.

A Torino e in 16 Comuni tra cui Biella e Racconigi.

INAUGURAZIONE

600

Oltre 600 persone hanno preso parte all’inaugurazione.

70

70 iniziative tra conferenze, mostre, laboratori, happening realizzati.

INAUGURAZIONE

Oltre 6000 persone hanno partecipato alle iniziative in location al chiuso.

SEGNALAZIONI WEB

170

70

70 istituzioni culturali operanti in città e nell’area metropolitana.

INIZIATIVE

INIZIATIVE IN LOCATION

6000

9

Architettura, design, città, paesaggio, teatro, cinema, libri, arte, musica, smart, radical, educational.

ISTITUZIONI CULTURALI

EVENTI

200

I NUMERI DEL FESTIVAL NELLE PASSATE EDIZIONI

800

Oltre 800 persone hanno preso parte all’inaugurazione.

APPUNTAMENTI

Oltre 170 segnalazioni su siti web.

4000

Circa 4000 persone hanno partecipato agli appuntamenti in calendario e visitato le mostre in location al chiuso.

HANNO PRESO PARTE

4000

Circa 4000 persone hanno preso parte ad iniziative, hanno visitato installazioni e ascoltato sonorizzazioni in piazza e in luoghi ad alta frequentazione pubblica.

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ESPLORAZIONI URBANE

di Riccardo Bedrone

L

Le novità del Festival voluto e organizzato dall’Ordine degli architetti di Torino “Architettura in città” edizione 2013 (la terza, ormai) sono due. La prima riguarda l’assegnazione di un tema. La seconda, la riunificazione alle Officine Grandi Riparazioni di diversi eventi. Il che induce a sottolineare l’impegno, ovvio, a operare un certo coordinamento dell’immagine e della modalità di rappresentazione e comunicazione delle varie iniziative, in una maggiore coerenza artistica, organizzativa e gestionale. Infatti se la tradizionale disseminazione dei contributi produceva e consentiva grande varietà, la loro concentrazione esigerà, d’ora innanzi, un diverso grado di indirizzo e controllo, anche nell’exhibit design. Innanzitutto va rilevato non solo che la decisione dell’assegnazione, per la prima volta, di un “tema” al Festival, è stata ampiamente condivisa; ma anche che le proposte della maggioranza dei soggetti che si sono voluti coinvolgere, pur non concordate, sono apparse direttamente o tendenzialmente coerenti con il tema “Esplorazioni urbane” (il cui sotto tema può ben definirsi “Rovine con-

Officine Grandi Riparazioni. Copyright Mattia Boero Photography

temporanee”). Ed è utile ricapitolare alcune ipotesi di ricerca ed espositive che confluiranno nell’avvenimento. Innanzitutto, la prima missione realizzata a livello “istituzionale” di UrbEx ovvero Urban Exploration, dedicata a una inedita rappresentazione di “luoghi dell’abbandono” torinesi, ripresi da uno specialista come il francese Christophe Dessaigne, i cui risultati saranno messi in mostra a cura di Enzo Biffi Gentili accanto ad altre prove di perlustrazioni urbane

WWW.BELLOSTARUBINETTERIE.COM

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locali e internazionali. Poi, dato che precursori del movimento UrbEx sono stati i cosiddetti cataphiles, si rialimenteranno le “memorie del sottosuolo” torinese, facendo conoscere e visitare alcuni rifugi sotterranei costruiti durante la seconda guerra mondiale (a partire da quello sotto le OGR e le Carceri Nuove, riaperto per l’occasione). Ancora, in un “passaggio di livello”, si tratterà di “paesaggi sopraelevati”, sulla scorta di esperienze progettuali


PER SCOPRIRE... Ma attenzione sarà prestata anche a nuove modalità di rappresentazione

Officine Grandi Riparazioni. Copyright Mattia Boero Photography

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FONDAZIONE OAT. Percorsi di idee Inn

neziana Identidad en la diversidad, curata da uno dei più grandi architetti argentini di origine italiana, Clorindo Testa, che racconta la vasta e ricca tradizione architettonica che unisce Ande, Appennini e Alpi, compreso, e non secondariamente, il nostro Piemonte. Una esplorazione quindi di un grande paese, sempre sul punto di decollare, al quale nel bene e nel male l’Italia ha dato tanto e dove trovarono fortuna sconosciuti progettisti di casa nostra – che la mostra ricorderà – e che là trovarono terra fertile per mettere a frutto il loro ingegno.

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internazionali innovative e spettacolari come la promenade plantée realizzata a Parigi su una linea ferroviaria sopraelevata dismessa, integrata dal sottostante Viaduc des arts (un’altra rovina del moderno), o la successiva High line di Diller e Scofidio a Manhattan. Questo “pensiero laterale” progettuale si arricchirà con una riflessione sulle “architetture parassite”, con esempi di costruzioni riciclate. E su quei “piccoli interventi”, più frequenti di quanto si rammenti, che si aggrappano, come gemmazioni e concrezioni, all’esistente, rendendolo più complesso o catturante. Ma attenzione sarà prestata anche a nuove modalità di rappresentazione urbanistica e architettonica tecnologicamente “sofisticata”. Da prove di “realtà aumentata” a riprese Instagram; da elaborazioni digitali all’uso di Google Earth per la mappatura e la descrizione - con relative istruzioni per una “infiltrazione”- di siti delicati, interdetti o abbandonati. E certo non si è descritto tutto. Ma basta per fare emergere una notevolissima complessiva organicità e interconnessione delle proposte avanzate. Anche le istituzioni, le associazioni e gli enti che hanno successivamente proposto ulteriori contributi, visto lo stato dell’arte, sono impegnati a garantire apporti coerenti e non estemporanei. Infine, last but not least, si profila il riallestimento a Torino della esposizione argentina proveniente dalla Biennale di architettura ve-

Seguici. La Fondazione Ordine Architetti di Torino produce idee e promuove l'architettura, il design, la qualità della città e dell’ambiente.

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LE ROVINE ESPOSTE Interpretate e rianimate da esploratori urbani

di Enzo Biffi Gentili

È

Christophe Dessaigne, dalla Suite turinoise: Ghia-OSI. Sunken Spaceship, 2013, digigrafia su dibond 1/3, 90x90 cm. Courtesy FOAT/MIAAO

È successo a tutti, da giovani, di entrare – o di sognare di farlo – in un edificio abbandonato. E trovarsi magari a canticchiare con Mina, tanto per iniziare in modo un po’ pop: “ho sentito nel silenzio/ una voce dentro me/ e tornan vive troppe cose/ che credevo morte ormai…”. È la voce del genius loci che abita le rovine, parte sostanziale del loro fascino. Però oggi le rovine non sono più quelle di un tempo… Così, celiando con Riccardo Bedrone e Carlo Novarino – fioriti come me, come si suol dire, negli anni ’60 – è nata alla fine dell’anno passato l’idea di allestire nell’ambito del festival Architettura in Città 2013 una mostra principale “in tema” di rovine contemporanee. Su “siti inquieti” che sono divenuti da qualche tempo non solo oggetti di attenzione disciplinare, di dibattito architettonico, ma anche mete di movimenti “controculturali” come l’UrbEx o “esplorazione urbana”, o l’UX o Urban eXperiment, due “scuole di pensiero” francesi accomunate dalla tendenza all’ingresso illegale in edifici vietati o difficilmente accessibili. Oppure soggetti di certo cinema o certa paraletteratura, come nel caso del romanzo di David Morrell,

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il creatore di Rambo, Paragon Hotel (Piemme, 2007) che narra l’avventura agghiacciante di un gruppo di creepers, esploratori urbani americani, penetrati “strisciando” in una recente rovina. Insomma, una mostra emblematica della mission iniziale del festival, concepito come “un’occasione per avvicinare all’architettura il pubblico vasto attraverso la complicità di altre forme progettuali e artistiche”. E un’esposizione che per la prima volta, non solo in Italia, riferirà anche su queste esperienze e rappresentazioni border line. Ma che metterà pure in discussione alcune “idee ricevute” politiche, amministrative e progettuali. Infatti le rovine non sono più quelle di un tempo perché è oggi impossibile pensare sia di poterle tutte restaurare, oppure demolire per poi ricostruire: bambole, non c’è una lira, o euro che sia… E comunque occorrerà in futuro intervenire secondo innovativi modelli di gestione, come quello che sta configurando qui a Torino la nuova società OGR-CRT per le ex Officine Grandi Riparazioni ferroviarie, che saranno sede – ideale e simbolica – della nostra mostra. E dove sarà possibile, grazie alla collaborazione della Città di Torino, dell’Agenzia del Demanio e

di varie associazioni e singole persone, vedere parti segrete e appunto inquietanti, quando non “infestate”, del nostro patrimonio architettonico, interpretate e “rianimate” proprio da esploratori urbani come Christophe Dessaigne (rinvio al suo sito www. midnight-artwork.com), in un’operazione paragonabile quindi alla lontana all’arruolamento, da parte di compagnie informatiche, di hackers. Del resto, in un testo di riferimento per questo mondo, Beauty in Decay (Carpet Bombing Culture, 2010) è iscritto uno dei principi morali fondamentali di questi giovani: “prendi solo fotografie/lascia solo orme”. Gli esploratori urbani sono quindi avversari di vandali e graffitisti, e agiscono per ascoltare e diffondere i “sussurri della storia”, ma di “una storia del popolo, non del potere”: outsiders dunque curiosamente in assonanza con la lettura storicamente e letterariamente coltivata delle rovine della nostra Antonella Tarpino in Spaesati. Luoghi dell’Italia in abbandono tra memoria e futuro (Einaudi, 2012). Ma sono stati pubblicati anche volumi dove il “valore delle rovine” odierne appare in ogni senso “monumentale”. È il caso delle fotografie maiuscole di


PERÒ OGGI LE ROVINE NON SONO PIÙ QUELLE DI UN TEMPO… Yves Marchand e Romain Meffre raccolte nel loro Ruins of Detroit (Steidl, 2010). E alle OGR di Torino, sovente apparentata pour cause a Detroit, si monterà, per la prima volta in Italia, la straordinaria installazione Found Photos in Detroit di Arianna Arcara e Luca Santese, testimonianza di una colossale decadenza che potrà fornirci qualche elemento di più meditata valutazione… Negli ultimi tempi hanno confermato l’appeal della scelta tematica del festival anche per il grande pubblico vari articoli comparsi sulla stampa generalista: Detroit. C’è arte tra le macerie (in “Panorama”, 27 febbraio 2013), e poi Andrea Bajani, L’arte colora le stanze degli altri sul riuso a Berlino dello stabile della radio dell’ex DDR (in “Io donna”, 9 marzo 2013), e ancora Riccardo Bocca. Un paese da rifare su fornaci, ospedali, ferrovie dismesse, oggetti di un progetto di tutela e valorizzazione del WWF (in “l’Espresso”, 14 marzo 2013). Al di là di questa improvvisa flagrante attualità, va ricordato che uno studioso illustre come Christopher Woodward, già curatore del Sir John Soane’s Museum di Londra e attualmente dell’Holburne Museum of Art di Bath, nel suo fondamentale testo Tra le rovine (Guanda, 2008) aveva inserito il sito di Oxford Ness sulla costa del Suffolk, utilizzato nel secolo scorso come gigantesco poligono per la sperimentazione di nuovi armamenti e acquisito nel 1993 dal National Trust, corrispondente al nostro FAI, con i suoi bunker, binari, rampe, pozzi di drenaggio, serbatoi, un paesaggio

“disastrato” e bombardato considerato degno di essere tutelato. E anche da noi un “passatista” come Roberto Peregalli, il filosofo erede dello studio di Renzo Mongiardino, che conduce a Milano con l’architetto Laura Sartori Rimini, nel suo libro I luoghi e la polvere (Bompiani, 2010) ha difeso siti degradati, anche se architettonicamente modesti, suggerendo nuovi approcci alla conservazione, contro “la mania, invalsa oggi, di riportare il luogo alla sua origine” da lui giustamente considerata una hybris, una tracotante violenza. Questa concorrenza sul tema di

PPC della Provincia di Torino, dall’Accademia Albertina di Belle Arti e dal MIAAO proprio in previsione del III festival Architettura in Città. E ancora, proseguendo in alcune anticipazioni, si potranno consultare documenti sulle esplorazioni di Philippe Vasset e dell’Atelier de Géographie Parallèle in quelle aree che sulle carte della regione parigina sono rappresentate in bianco, deserte, ma che hanno fatto invece scoprire una città rovesciata; e apprezzare prodotti multimediali di giovani creativi come Francesca Cirilli o Carlotta Petracci, che con White si è introdotta in molti nostri “luoghi oscuri”, a partire dalla “satanica” Villa Moglia… Vorremmo insomma che la visita alla mostra stimolasse interpretazioni e sensazioni bifide. Perché la rovina che ci circonda può essere definita in linguaggio alto, tragico, “perturbante incarnazione dei tempi che viviamo, potente allegoria del mondo globalizzato”, come nell’antologia di saggi a cura di Giuseppe Tortora La semantica delle rovine (Manifesto Libri, 2006). Ma saranno ammissibili anche commenti in linguaggio “degradato”, comico, come il classico “Se tutto va bene siamo rovinati”…

Gérard Trignac, L’usine, 1984, acquaforte Collezione SSAA. Courtesy FOAT/MIAAO

giornalismo di cultura e saggistica dandystica si tradurrà in mostra da un lato con inedite fotografie di reportage come quelle di Ernani Orcorte sull’ex manicomio femminile di via Giulio a Torino e sull’ex carcere della Castiglia a Saluzzo, scattate nel momento sospeso tra la fine della loro destinazione originaria e prima di quella nuova; dall’altro con incisioni di archeologie industriali come quelle di Gérard Trignac degli anni ’80 e di “rovine di invenzione” come quelle sortite dal concorso Le rovine incisive promosso dall’Ordine degli Architetti

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TORINO CITTÀ IN-QUADRATA Fotografando luoghi monumenti e muri

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Da alcuni anni la ricerca fotografica di Phlibero si concentra sulle trasformazioni urbane che stanno cambiando la città di Torino e, in particolare, sulle aree individuate dal Piano Regolatore come Spine. A seguito di molteplici micro missioni fotografiche sul territorio urbano, svolte dagli studenti dei corsi di Phlibero nell’ambito delle lezioni sulla fotografia di architettura tenute da Mariano Dallago (fotografo di architettura e libero docente), nel 2010 ha avuto inizio la prima vera e propria campagna fotografica de La città che cambia. La campagna fotografica è un progetto ampio (ancora in progress) che si è articolato in diverse mostre e in un calendario di appuntamenti per approfondire il tema con fotografi professionisti e critici che hanno offerto una lettura delle opere prodotte. I primi esiti delle esplorazioni sul territorio hanno dato vita alla mostra Assaggi di fotografia d’architettura (Res Nova, Torino, 2010), che ha mostrato 66 immagini, selezionate da una giuria, scattate nei quartieri tori-

> Phlibero associazione di promozione sociale, si occupa di fotografia e crede nel potere delle immagini: il potere di comunicare rapidamente e facilmente, per trasmettere le minime sottigliezze o suscitare le emozioni più forti. Sia nei corsi/laboratori/workshop di fotografia, di fotoritocco con Photoshop, di ripresa e montaggio video, sia negli eventi e mostre la fotografia è esercitata allo stesso tempo come strumento conoscitivo per il fruitore e come strumento d’indagine interiore e d’espressione personale per l’ideatore. I lavori fotografici prodotti dai partecipanti alle attività di Phlibero, oltre a rappresentare un accrescimento professionale o personale, confluiscono in progetti collettivi presentati in diverse forme espositive, anche in sinergia con enti, strutture e altre associazioni.

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di Phlibero

Foto di Maurizio Piseddu - Phlibero

nesi Spina1, Spina2, Spina3 e nell’area del Lingotto e del Villaggio Olimpico. Il format è stato riproposto con PhOto, espressioni visive di geometrie urbane o di visioni fantastiche (Res Nova, Torino, 2011) e con Greencity, contributo di Phlibero sul tema della Smart City alla seconda edizione del festival Architettura in Città (Phlibero, Torino, 2012). Esplorando la città che cambia, l’installazione che troverà spazio all’interno delle OGR Officine Grandi Riparazioni, è una re-interpretazione di alcuni esiti del progetto. Il paesaggio urbano e periurbano, luogo di incontro tra progetto umano e ambiente, soggetto a molteplici trasformazioni, è esplorato dalla installazione come un’opera d’arte “immersiva” e “multimodale” che coinvolge tutti i sensi in maniera non mediata. A questa installazione si collega la mostra fotografica Monumento, suo malgrado, che sarà allestita negli spazi espositivi di Phlibero in via Principessa Clotilde 85 a Torino. La mostra collettiva pone all’attenzione del pubblico le opere esito di un progetto che attraverso l’immagine fotografica autoriale, intende interpretare in chiave monumentale arredi urbani, elementi naturali o costruzioni in genere che, pur non essendo stati pensati come monu-

menti, hanno assunto questo significato per la città di Torino. Il monumento è finalizzato al ricordo e alla celebrazione di personaggi o avvenimenti e prende forma in un luogo specifico intenzionalmente. In un’accezione più ampia il monumento è “documento”, testimonianza, e pertanto il termine si può riferire potenzialmente a ogni cosa che ci circonda a patto che questa abbia un valore riconosciuto. Diventa allora cruciale comprendere cosa è considerato un valore all’interno dello specifico contesto culturale di riferimento. Le opere fotografiche proposte riescono a svelare magistralmente la complessità della questione. Idealmente connesso alla precedente riflessione è il concorso fotografico Muri Solitari che Phlibero organizza in collaborazione con lo Studio Element dell’architetto Davide Maria Giachino. La sfida lanciata è proporre una percezione inedita e mutevole delle facciate cieche che punteggiano, al limite del costruito, il centro e la periferia di Torino. L’interpretazione percettiva di ogni autore dovrà tendere a sovvertire la logica spaziale esistente per sollecitare l’immaginazione di un nuovo luogo urbano per stimolare la discussione sul più ampio e attuale tema dell’architettura parassita.


TEMPO, RESILIENZA, PROGETTO L’edificio scolastico alla prova del tempo

di Silvia Salchi e Margherita Bongiovanni

I

In soli 40 anni molti edifici di edilizia scolastica possono assumere aspetti differenti dal progetto iniziale e in alcuni casi divenire delle rovine contemporanee? L’associazione AIDIA prosegue il lavoro avviato nel 2010 sugli spazi dedicati all’istruzione; questa prima indagine si era soffermata in particolare su una case history di eccellenza del patrimonio edilizio scolastico torinese degli anni Settanta: la scuola G. B. Viotti di Torino. I risultati dell’indagine svolta presso l’edificio, grazie alla partecipazione di studenti e insegnanti e con l’obiettivo di far rivivere l’architettura ed i suoi spazi secondo le esigenze attuali, sono stati presentati nel 2012 in occasione della conferenza “Favola e utopia nel progetto scolastico: rivivere e partecipare lo spazio attraverso il tempo con il ‘vissuto’ dei ragazzi”. A partire dall’analisi della vivibilità dei luoghi della scuola, e a come essi si prestino a differenti riletture, il gruppo di lavoro AIDIA intende oggi proseguire la ricerca anche attraverso alcune metafore visive e concettuali riferite al linguaggio che il critico ottocentesco John Ruskin utilizzò per illustrare e formulare alcuni principi dell’architettura. L’obiettivo è quello di individuare la “qualità residua” e la “resilienza” - indici ideali, sociali, progettuali, costruttivi e tecnologici - tentando di leggere l’eredità e le memorie stratificate in 40 anni di vita di alcuni esempi costruttivi dell’edilizia scolastica, verificando la “prova del tempo” e l’irreversibile stratificazione, in relazione al proprio valore e significato progettuale e conservativo. Il lavoro verrà presentato alle OGR con un incontro e un’installazione visiva dal titolo “Le sette lampade

Scuola G. B. Viotti. ph Silvia Salchi

dell’edilizia scolastica. Esplorazioni, memorie e frammenti nel tempo di 40 anni”. Si intendono evidenziare analogie e differenze tra la progettazione scolastica prodotta dai concorsi e quella dell’Ufficio Tecnico torinese negli anni ’70, un decennio di rottura ma anche di innovazione progettuale, filosofica e sociale, e porre l’attenzione sui fattori di sperimentazione (temi proposti dall’MCE - Movimento di Cooperazione Educativa) e sulla ricerca in campo pedagogico e sociale. Verranno rappresentati gli edifici, nella loro complessità e frammentarietà, accompagnati da aforismi e citazioni in memoria e rivisitazione del testo “Le sette lampade dell’Architettura” (del Sacrificio, della Verità, della Potenza, della Bellezza, della Vita, della Memoria e dell’Obbedienza), sette grandi capisaldi attorno ai quali lo scrittore voleva indicare la corretta

L’obiettivo è quello di individuare la “qualità residua” DI ALCUNI EDIFICI pratica professionale, legando etica ed estetica. Gli edifici saranno esaminati alla luce delle attuali esigenze prestazionali e di sicurezza. Il progetto degli anni Settanta verrà riletto attraverso la verifica delle problematiche attuali, quali la manutenzione, l’utilizzo più o meno congruo, l’impiego degli spazi e la loro vivibilità, temi legati anche al dibattito su “Torino Smart City”, città capace di associare innovazione, efficienza nella mobilità, nelle infrastrutture e nella tecnologia. La Scuola rappresenta uno degli oggetti di attenzione, studio e intervento per una “città intelligente” e le Esplorazioni, memorie e frammenti, possono essere elementi di riflessione e spunto per fornire risposte alla relazione tra Scuola, ambiente ecosostenibile e qualità della vita.

> A.I.D.I.A. Associazione Italiana Donne Ingegnere e Architetto è nata nel 1957 per difendere i diritti delle laureate che lavoravano nel campo dell’ingegneria e dell’architettura. Oggi, quale osservatorio della condizione femminile nel settore tecnico, si ripropone di favorire scambi di idee a scopo culturale e professionale, valorizzare il lavoro della donna, promuovere iniziative di aggiornamento, coltivare legami con analoghe associazioni italiane ed estere, collaborare con società civile, enti ed istituzioni, incentivare la partecipazione delle giovani professioniste.

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ESPLORAZIONI MUSICALI

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Musica 90, realtà di riferimento sul territorio torinese nell’ambito della new music, propone alcune esplorazioni musicali che spazieranno dalle nuances indie-rock, genere derivante dall’alternative rock, nato alla fine degli anni Ottanta in UK e U.S.A. e diffusosi soprattutto a partire dagli anni 2000, a quelle più elettroniche e contemporanee, caratterizzate dalla sperimentazione e dall’utilizzo di campionatori, sintetizzatori e computer. Due eclettici eventi accompagneranno e interagiranno con le iniziative del festival: artisti di fama internazionale, proporranno nuove forme di dialogo tra performance musicali e architetture. Il primo appuntamento del 28 maggio sarà la collaborazione tra tre giovani torinesi per la sonorizzazione della video-performance RUINENWERT di Carlotta Petracci, all’interno della mostra Le Rovine esposte, a cura di Enzo Biffi Gentili. L’artista della scena elettronica sperimentale Davide Tomat, il chitarrista Paolo Spaccamonti e il percussionista Dario Bruna, attraverso improvvisazioni musicali, disegneranno le sonorità dello slide show che ripercorrerà alcuni momenti della missione fotografica di Dessaigne alla base della mostra. I tre musicisti torinesi provenienti da diverse estrazioni musicali sperimenteranno l’ascolto reciproco e la creazione collettiva. Davide Tomat, cantante, musicista, compositore e produttore torinese, pubblica nel 2012 il primo disco solista “TOMAT:01-06JUNE” dopo aver realizzato due dischi con i N.A.M.B. e svariate collaborazioni. A febbraio 2013 pubblica worldwide il primo L.P. dei Niagara “OTTO” (progetto che lo vede protagonista con Gabriele Ottino); al momento sta preparando l’uscita di OUTOMAT e dell’e.p. di esordio dei KWAGE con Victor Kwality e Gabriele Ottino. Paolo Spaccamonti, chitarrista e compositore torinese, esordisce nel 2009 con “Undici Pezzi Facili”, album che raccoglie da subito un gran succes-

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La new music architettonica

di MUSICA 90

Liars, photo by Zen Sekizawa

so di critica definendo l’autore “uno dei più promettenti nomi della musica sperimentale italiana”. Nel corso degli anni divide il palco con artisti del calibro di Nick Cave, St. Vincent, Anna Calvi, Piano Magic, Six Organs Of Admittance e Xiu Xiu. Dario Bruna, percussionista, marimbista, batterista e compositore per i 3quietmen, conduce dalla metà degli anni ’80 un coerente e articolato percorso musicale sia in campo strumentale che compositivo, nella scena jazzistica italiana come in quella rock e post rock indipendente. Ha suonato in Cina, Svizzera, Indonesia, Svezia, Germania, Slovenia, Francia, Finlandia, Belgio, Grecia e in Festival e Club italiani. I Liars, una delle formazioni cult della scena indie-rock contemporanea, presenteranno il 29 maggio la loro ultima creazione WIXIW. L’album, composto in una baita sperduta nelle montagne limitrofe a Los Angeles, è stato acclamato dalla critica e accolto con entusiasmo dal pubblico, grazie alla sua scrittura musicale articolata e seducente. La prolifica band americana, formatasi a New York nel 2000 e successivamente trasferitasi a Berlino, ha all’attivo sei album e tredici EP e si è contraddistinta nel panorama musicale internazionale per le influenze dal noise, con

sonorità rumoriste caratterizzate da dissonanze, cacofonie e atonalità, alla più libera interpretazione della musica new wave, genere discendente del punk rock ammorbidito da melodie più vicine al pop. I Liars sono Angus Andrew, alla voce e alla chitarra, e Aaron Hemphill, alle percussioni, alla chitarra e al moodswinger, strumento elettrico a corde ideato e costruito per lui dal liutaio olandese Yuri Landman.

> Musica 90 (www.musica90.net), associazione culturale nata a Torino nel 1990, è l’unica realtà in Piemonte e tra le poche a livello nazionale ad occuparsi di New Music con una stagione di concerti, attenta alle novità del mercato, alla valorizzazione delle tradizioni e alle contaminazioni con altri linguaggi artistici, facendo ricorso anche a format sperimentali. I generi musicali trattati sono l’avanguardia post-rock, il jazz, l’elettronica, la classica contemporanea, le musiche tradizionali e le nuove musiche urbane. Musica 90 ha portato a Torino grandi nomi come Laurie Anderson, David Byrn, Philiph Glass, Meredith Monk, Michael Nyman, P.J. Harvery, La Fura del Baus, Ryuichi Sakamoto, Mulatu Astatke.


SULLE ORME DI ULYSSES

Intervista a Laura Castagno

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Lo studio dell’artista rispecchia il suo animo. Quello di Laura Castagno è uno scrigno gentile e luminoso con due ambienti che accolgono alcune sue realizzazioni. La carta è il materiale da sempre privilegiato e che caratterizza le sue opere fin dai primi lavori degli anni Sessanta. Di diverse dimensioni, bianca o naturale, di fattura e spessore variabili, con una predilezione per la carta da disegno finlandese, paragonabile per utilizzo a quella da lucido usata dagli architetti, ma più ricca di cellulosa. Un tratto che distingue le opere di Laura Castagno è la trama che viene a crearsi sui pannelli pieghettati. A volte appena percepibile e morbida, altre evidente e rigida come plissé su una gonna. La trama conferisce ad alcune carte, soprattutto quelle dei lavori meno recenti, un aspetto delicato. Ed è proprio la mutevolezza la cifra artistica di Laura Castagno: l’opera, che partecipa della vita umana, ne esprime la fragilità e la dipendenza dalle leggi dell’universo, così come si osserva nelle mobili sculture. Laura Castagno

Laura Castagno davanti ad una sua opera

di Liana Pastorin

LE MIE OPERE NON SONO STATICHE MA SI MUOVONO NEL TEMPO E NELLO SPAZIO

Laura Castagno. Foto Nadia Gentile

ha appena completato un’opera, una “lista”, un’architettura vertiginosa per dirla alla Eco, un’elencazione minuziosa di dati. Due anni di lavoro per la produzione di 53 pannelli che fissano in corsivo, come sui fogli di un diario, alcune informazioni tratte dall’Ulysses di Joyce: brevi descrizioni dei personaggi e dei loro omologhi nell’Odissea, ora e luogo del Bloomsday, nel peregrinare, quel 16 giugno 1904 del protagonista per le strade di Dublino. Movimento e viaggio sono i due concetti guida che tornano nel lavoro di Laura Castagno, già presenti nell’ultima lista prodotta per “Viaggio in Italia” di Goethe. “Il movimento è parte delle mie opere che non sono statiche e si muovono nel tempo e nello spazio. Le mie carte piegate degli anni Sessanta erano appese, stese come panni, che si animavano ad ogni spostamento dell’aria intorno, dovuto al passaggio di una persona o all’apertura di una finestra. Opere che mi capitava di ripiegare fino a ridurre in dimensioni così piccole da stare in una scatolina, per affrontare il nostro viaggio, e, giunte a destinazione, essere aperte, dispiegate e appese su un altro muro”. Una piccola parte delle 53 tavole in cartone, dipinte in oro e

tempera colorata, del “Progetto Uysses (intorno al testo di James Joyce)”sono esposte nella sala dello studio con le finestra ad angolo su uno scorcio tra i più belli di Torino: una sequenza di quinte scenografiche dal fiume alla Gran Madre alla collina e, dall’altra parte, una fuga prospettica lungo Po Cadorna. “L’esperienza di lettura del testo installato sulla parete, rafforzata dalla scrittura cadenzata e quindi col ritmo regolare e difficile da cogliere, fa nascere nella mente dell’osservatore, che la ‘vede’, immagini di situazioni, di tempi e di luoghi. In altre parole, il processo di lettura genera conoscenza, allarga il sapere, amplia la facoltà di ragionamento razionale o fantastico. Il visitatore/osservatore può fare una visita concettuale di Dublino, in compagnia dei protagonisti del libro, un’esperienza aleatoria, procedendo a zonzo con spirito situazionista, per cui il percorrere la città è un’opera d’arte, ma al contempo acquisizione, in cui si attiva la percezione del moto infinito e dello scorrere inarrestabile del tempo”. È l’opera quindi che induce un comportamento consapevole nel percorrere la città, e le tavole realizzate sulle tracce di Ulysses, disseminate in una passeggiata per Torino, potrebbero far ritrovare l’antico disegno a scacchiera nelle pieghe ortogonali che Laura Castagno imprime sapientemente sulle sue carte.

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LA PROVOCAZIONE Tra filosofia e architettura di Silvia Malcovati e Fritz Neumeyer

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A seguito della discussione, nata dalla pubblicazione del Manifesto del Nuovo Realismo del filosofo torinese Maurizio Ferraris che ha coinvolto importanti intellettuali in Italia e, tra gli architetti, ha fatto emergere il desiderio di una riflessione allargata sulla realtà contemporanea dell’architettura delle nostre città (con i convegni “Nuovo realismo e architettura della città”, Torino 4 dicembre 2012, “Realismo e architettura”, Napoli 11 dicembre 2012 e “Per una nozione operativa di realismo. Espressione critica e impegno civile”, Milano 21 marzo 2013), si è deciso di approfondire il tema con una nuova serie di iniziative volte a far emergere con maggiore chiarezza i momenti inter e transdisciplinari di questo discorso tra filosofi e architetti per definire il significato e l’importanza del concetto di realismo come strumento critico nella teoria e nella pratica dell’architettura. In particolare, i precedenti incontri hanno mostrato la tendenza a identificare il concetto filosofico di “realismo” con quello architettonico di “razionalismo”, nella sua definizione più generale elaborata nel corso degli anni Settanta in Italia e contrapposto al postmodernismo. Questa equivalenza si è rivelata da diversi punti di vista, in particolare da quello dell’architettura tedesca, limitativa, se non contraddittoria, sollevando una questione decisiva e cioè fino a che punto l’astrazione razionalista possa considerarsi un valido metodo per un’architettura realista, dunque “concreta”. A questa questione è dedicata la nuova giornata di studi che si terrà a Torino nell’ambito del festival Architettura in Città, dal titolo “Nuovo Realismo e Razionalismo: un dibattito architettonico tra Germania e Italia”, a cui parteciperanno, tra gli altri, i filosofi Petar Bojanic e Maurizio Ferraris, il teorico dell’architettura Fritz Neumeyer e l’architetto berlinese Hans Kollhoff, che terrà anche una conferenza sul suo lavoro di progettista.

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> Fritz Neumeyer, architetto, ha insegnato Storia dell’Architettura alla TU di Dortmund e dal 1992 al 2012 alla Technische Universität di Berlino. Ha pubblicato importanti contributi sulla teoria e sulla storia dell’architettura dedicati, tra gli altri, a Mies van der Rohe, Friedrich Gilly, Nietzsche, Oswald Mathias Ungers e Hans Kollhoff. > Silvia Malcovati, architetto, ha studiato tra Milano e Barcellona. Ha svolto attività di perfezionamento all’estero presso l’ETH di Zurigo e ha conseguito il Dottorato di Ricerca allo IUAV di Venezia. Dal 2003 è ricercatore al Politecnico di Torino. Ha collaborato a progetti di ricerca e curato mostre e pubblicazioni, con particolare attenzione al rapporto Italia-Germania. Christoph Mäckler, Zoofenster, Berlino

Sarà inoltre allestita negli spazi del Goethe Institut la mostra fotografica “Nuovo Realismo e Architettura della Città”. La mostra si propone di affrontare la questione del rapporto tra architettura e realismo sul piano delle opere realizzate. Il dibattito sul nuovo realismo ha, infatti, suscitato alcuni interrogativi che riguardano, da un lato, il rapporto tra il mondo delle idee e il mondo degli oggetti fisici e, dall’altro, il ruolo degli architetti e delle opere realizzate rispetto all’elaborazione del pensiero filosofico e speculativo. In particolare sono state individuate due questioni, che sembrano rappresentare il filo rosso che unisce nelle discussioni e nelle realizzazioni architettoniche degli ultimi trent’anni esperienze diverse, nel tempo e nello spazio, in una tensione comune verso la realtà: il rapporto con la città e il rapporto con la storia. A partire da queste due questioni si è scelto di stringere il campo di indagine a tre generazioni di architetti e a tre città europee con un impianto stori-

camente definito e consolidato che ha rappresentato una realtà concreta con cui i progetti si sono confrontati. Le città scelte sono: Amsterdam, Barcellona e Berlino, a cui abbiamo poi aggiunto come casi-studio, sui quali avviare una riflessione, le città ospiti delle prime tappe della mostra, Torino e Napoli (dicembre 2012).

> Mostra: 27 maggio – 1 giugno, Goethe Institut. Piazza San Carlo, 206 Torino. Nuovo Realismo e Architettura della Città > Convegno: 30 maggio ore 14.30 Goethe Institut. Piazza San Carlo, 206 Torino. Nuovo Realismo e Razionalismo: un dibattito architettonico tra Germania e Italia > Conferenza: 30 maggio, Castello del Valentino, Salone d’Onore. Viale Mattioli, 39 Torino Prof. Arch. Hans Kollhoff, Berlino


CITTÀ

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Sin dalla sua primitiva aurora, l’uomo nel camminare compie l’azione più semplice e istintiva per stabilire una relazione diretta con il territorio. Camminando, l’uomo esercita la propria curiosità, misura i propri limiti, comprende i caratteri del proprio ambiente di vita e acquisisce consapevolezza nel suo sguardo alle cose. Nell’attraversare il territorio riconosciamo le variabili di significato e le categorie con le quali definire il paesaggio. Camminando, l’uomo verifica le regole più elementari dell’abitare. Il percorso è il risultato del camminare consapevole, primo dei risultati estetici con i quali interpretare il territorio, tracciare direzioni e individuare le sue peculiarità, riconoscere punti precisi, i luoghi. Nel suo definirsi, il percorso produce i significati con i quali raccontare lo spazio e nominare i luoghi, toponimi, passaggi di senso e conoscenza condivisa con i quali comporre una struttura interpretativa e narrativa del paesaggio. L’azione del camminare consapevole può così essere considerata la pratica estetica a disposizione dell’architettura e del paesaggio attraverso la quale l’uomo può acquisire la capacità di ordinare l’equilibrio fra gli oggetti situati, simbolici o funzionali, e il contesto ambientale antropico. Alla riflessione su questi significati

In occasione del festival, il 30 maggio alle 18.00 Urban Center Metropolitano ospita l’incontro “La dinastia di pietra”, terzo appuntamento del ciclo “Storie di Pietra” dedicato alla riscoperta dei monumenti di Torino e curato da Sergio Pace, storico dell’architettura e docente al Politecnico di Torino. La serata sarà un approfondimento sui monumenti dedicati ai Savoia, protagonisti assoluti di una storia di pietra raccontata lungo i secoli.

Promenadologia ai margini della città

di Maurizio Cilli

Gli spazi di Urban Center Metropolitano

è dedicato questo esercizio di promenadologia, pratica teorizzata durante il suo insegnamento presso il Politecnico di Kassel da Lucius Burckhardt, medico, economista e sociologo, raffinato studioso delle geografie urbane. A diversi seminari di Burckardt, ai quali come studente di architettura ho avuto il privilegio di partecipare fra la fine degli anni Ottanta e come giovane architetto durante i primi anni Novanta, devo la mia affezione e infinita curiosità verso questo tipo di sperimentazioni: dalla stagione di azioni pubbliche Dada di Saint-Julien-le-Pauvre, 1921, alla deambulazione verso Romorantin di Breton (1924), riconosciuta come embrione del surrealismo, ai passages de flânerie (1927-1946) di Walter Benjamin, alle dérive dell’I.S. teorizzate dal 1957 da Guy E. Debord, le esperienze di Alba di Asger Jorn e di Costant nella New Babylon, sino alla nuova frontiera della Land Art, da Tony Smith (1966) a Robert Smithson nel Tour of the monu-

ments of Paissac (1967). Di queste storie sono debitrici le mie prime ricognizioni nelle Basse di Stura torinesi del 1992 (con Maurizio Zucca), da cui nacquero le azioni del collettivo Città svelata (1993-1999), la battaglia per salvare le OGR nel 1996, la traversata della Dora metropolitana navigando dalla bassa Val di Susa fino alla confluenza nel 1997, e le mie più recenti esperienze di esplorazione con a.titolo per il programma situa.to 2010-2013, e nella Drôme lungo le confluenze del Rhône. La passeggiata per Urban Center proposta per il Festival dell’Architettura segue il filo rosso emotivo dei miei zonzi per esplorare il visibile e l’invisibile di una frontiera urbana eterogenea compresa fra Torino, Pianezza e Collegno, vasti campi aperti e densità insediative diverse. Dalla conurbazione lineare di corso Francia al paesaggio fluviale, le preesistenze agricole, al generico catalogo di superfetazioni recenti dei capannoni intorno al Campo Volo e al nuovo ponte, lungo le anse naturali che spingono il flusso nervoso della Dora Riparia verso la città, il centro storico di Collegno e la Certosa Reale. Un potenziale Parco agricolo, ferito dal passaggio della tangenziale, in costante erosione dal distretto commerciale intorno alla nuova sede dell’Ikea.

>Maurizio Cilli artista e architetto, rivolge la sua attività con infinita curiosità alla ricerca e alla sperimentazione poetica dei linguaggi della contemporaneità. Nel 1993 è tra i fondatori di Città svelata. Tra le sue opere diversi locali pubblici, architetture e progetti urbanistici. Realizza progetti artistici e cura i programmi di Arte Pubblica situa.to con il collettivo a.titolo, ed Eco e Narciso con Rebecca de Marchi. È tutor presso lo IAAD di Torino e la Domus Academy di Milano.

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UN DISEGNO SABAUDO

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Il Castello Reale di Moncalieri non è sorto in un luogo casuale del territorio, ma scrupolosamente scelto per costituire con le altre Residenze sabaude un avamposto della cosiddetta Corona di Delitiae, un disegno ideale per l’organizzazione degli spazi attorno alla capitale, atto ad assicurare Torino in ogni direzione con la presenza vigile della Corte: così troviamo Moncalieri sulla strada per Asti e Piacenza. La carta corografica di Amedeo Grossi (Torino 1790-1791), forse l’unica cartografia tardo settecentesca che permette la lettura della situazione collinare non solo torinese ma anche moncalierese, segnala l’esistenza di numerosissime ville, non solo di tipo nobiliare. La collina di Moncalieri ha caratteristiche proprie che la distinguono da quella di Torino. Ultima propaggine del Monferrato, abitata fin dalla preistoria (lo testimoniano importanti reperti venuti alla luce negli scavi effettuati presso il Castelvecchio), è stata luogo di insediamenti romani e longobardi, ma è solo dalla metà del Cinquecento che diventa vigna collinare, seguendo la “moda” della nobiltà e della borghesia di trascorrere le vacanze fuori porta. Per “vigna” si intende l’insieme dei possedimenti: veri vigneti, terreni agricoli, giardini, ville padronali affiancate dai rustici. I Savoia fin dal Settecento eleggono però il Castello di Moncalieri a frequente sede di residenza, favorendo così lo sviluppo edilizio collinare: nobili, ministri, fornitori, infatti, si spostano nelle vicinanze per essere avvantaggiati nei loro rapporti e compiere gli uffici necessari alla Real Casa. Lo stile delle loro abitazioni risente dell’epoca e passa dal barocco al neoclassico e all’eclettico ottocentesco. Nei vari percorsi collinari tra i confini di Torino e Trofarello sono ubicate oltre un centinaio di “vigne”; tra queste spiccano: Villa Marini, Cantamerla, Mirafiori (dono di V. Emanuele II alla “Bela

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Moncalieri il parco e il castello le ville e le vigne

di Francesco Maltese

Veduta di Moncalieri. C.E.Canette 1870

Rosin”), Cravanzana, Santa Brigida, Lambda, Barolo, Dellachà, Castelvecchio, Cardinala, Cà Bianca. La Città di Moncalieri propone una passeggiata culturale attraverso il paesaggio che dal Parco Reale del Castello conduce alle Ville e Vigne della collina. Il percorso inizia con un’introduzione storico-artistica a cura dell’Associazione Famija Moncalereisa, e la visita di una mostra che illustrerà i caratteri storici del territorio e della collina lungo la direttrice che dal centro di Torino porta a Moncalieri. Segue una visita guidata all’interno del Parco del Castello sul rapporto tra il Parco Reale e le Ville circostanti: il parco fu concepito come parte integrante del Castello, quale luogo di svago e di “delitiae della corte” e fu al centro dell’interesse della committenza Sabauda. La sua attuale definizione è il risultato degli interventi della seconda metà dell’Ottocento realizzati in sintonia con il gusto paesaggistico di carattere romantico e con gli interessi venatori di Re Vittorio Emanuele II. La mostra e la visita guidata sono a cura dell’Associazione Amici del Real Castello e del Parco di Moncalieri. Concluderà il percorso una passeggiata, alla scoperta dei sentieri, delle strade e delle architetture della por-

zione di collina moncalierese caratterizzata da Ville e Vigne. L’iniziativa coordinata dal CAI Moncalieri è promossa nell’ambito delle attività che la sezione locale propone nel 2013 anno in cui il Club Alpino Italiano festeggia 150 anni di storia.

L’iniziativa è a cura della Città di Moncalieri (Assessorato alla Cultura e al Turismo) con il 1° Battaglione Carabinieri Piemonte, la Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici per le province di Torino, Asti, Cuneo, Biella e Vercelli e le associazioni: Club Alpino Italiano, nato nel 1863 a Torino, la cui sezione di Moncalieri è impegnata nel recupero della storica rete dei sentieri collinari; Famija Moncalereisa, nata a Moncalieri nel 1968 per mantenere vive le tradizioni e i valori del patrimonio locale e del Piemonte; Associazione Amici del Real Castello e del Parco di Moncalieri, costituita nel 2012, per valorizzare e rendere fruibile il Castello e il Parco di Moncalieri. Per iscrizioni: tel. 011.64.01.491 ufficio.cultura@comune.moncalieri.to.it www.comune.moncalieri.to.it


ARCHITETTURE RIVELATE

Dieci anni di premio /targa a edifici e progettisti

PROPRIETÀ PUBBLICA (104)

PROPRIETÀ PRIVATA (246)

PROGETTI PREMIATI IN TORINO E DI PROPRIETÀ PUBBLICA

57

33

26

PROGETTI PREMIATI IN PROVINCIA E DI PROPRIETÀ PRIVATA

64 141 209

PROGETTI CANDIDATI IN TORINO

PROGETTI CANDIDATI IN PROVINCIA

ANNI DI REALIZZAZIONE DEI PROGETTI PREMIATI

15 UFFICI

6 1950

7 MUSEI/SPAZI ESPOSITIVI 5 TEATRI

11 1980 10 2000 63

28 RESIDENZE

6 SPAZI RELIGIOSI 4 SPAZI PRODUTTIVI 21 SERVIZI COLLETTIVI 1 SPAZIO PUBBLICO 3 NEGOZI/ESERCIZI COMMERCIALI

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ROVINE IN PRIMO PIANO Intervista a Davide T. Ferrando

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Se il vero architetto è colui che scrive e disegna molto, ma che costruisce poco, Beniamino Servino, classe 1960, di Caserta, lo impersonifica alla perfezione: di lui sono noti gli scritti, ricchi di aforismi e in costante dialogo con i disegni, ma si ricordano poche realizzazioni. Forse perché le nostre città non hanno bisogno di nuove costruzioni o forse perché l’architettura necessita anche di riflessione per ‘alzare l’asticella’ della qualità nella produzione. “I suoi disegni” afferma Davide Tommaso Ferrando, presidente dell’associazione Zeroundicipiù, che ha invitato l’architetto a Torino a tenere una conferenza (il 1° giugno alle OGR, con il patrocinio di Artespazio e FAAC) “influenzano il lavoro di architetti, suggeriscono, impressionano chi progetta: diventano costruzione per interposto architetto”. Qualunque edificio insiste su un territorio ed è proprio da qui che Servino parte nella sua ricerca: scandaglia il paesaggio in cerca di ciò che ne costituisce la specificità, partendo dalla considerazione che le architetture sono innanzitutto l’espressione di chi le abita e di chi le ha progettate e costruite. In questo senso “anche le costruzioni abusive diventano parte di una narrazione collettiva in quanto raccontano la cultura dei territori.” prosegue Ferrando “Un esempio è la ‘pennata’, cioè un edificio costruito con materiali di risulta per il ricovero di macchine agricole o prodotti della terra, diffuso soprattutto nel territorio campano. Il profilo del tetto della pennata (spesso a falda unica) diventa un tratto ricorrente nei disegni di Servino, tanto da essere considerato il suo ‘marchio di fabbrica’: architetture ed elementi costruttivi comuni e secondari conquistano la dignità di architetture monumentali.”

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di Raffaella Bucci

> Zeroundicipiù associazione culturale per l’architettura contemporanea, nasce nel dicembre del 2010 con l’obiettivo di stimolare la conoscenza e l’apprezzamento dell’architettura moderna e contemporanea e facilitare l’inserimento delle nuove generazioni di architetti nel mercato del lavoro, attraverso la comunicazione e l’incentivazione della loro attività. Organizza conferenze, workshop ed eventi e pubblica regolarmente il proprio webmagazine: www.zeroundicipiu.it Ritratto di Beniamino Servino

> Beniamino Servino si interessa di progettazione architettonica e urbana. È invitato alla Biennale di Venezia nel 2002 (realizza un micro-edificio di 4x4x4 m di legno truciolare, prototipo inutilizzabile di un ricovero per un senzatetto), nel 2008 (presenta Obus incertum, monumento residenziale estensibile nel paesaggio italiano) e nel 2010 (propone un allestimento dal titolo L’Osservatore Veneziano, sulla versatilità d’uso degli archetipi). Ha pubblicato, tra gli altri, La città eccentrica (1999) sul rapporto fra centro e periferia nella città-territorio, ElementareSuperficiale (2008), una retrospettiva sulla sua produzione attraverso i filtri di modello, forma e linguaggio, e Architectura Simplex e Monumental Need (2012).

Beniamino Servino si interessa in particolar modo alle architetture industriali abbandonate e cadute in disuso, un tema scomodo perché spesso gli stessi architetti rendono possibile la costruzione di edifici inutili o inadeguati che rimangono a segnare il territorio come cicatrici. L’attenzione per i luoghi abbandonati ricorda il concetto del Terzo Paesaggio di Gilles Clément, che

raccoglie all’interno di questa categoria tutti quegli spazi che sono accomunati solo dall’assenza di attività umana (parchi, aree disabitate, edifici industriali dismessi, territori incolti, …) ma che sono fondamentali per la diversità biologica. Allo stesso modo, Servino esprime un’attitudine non interventista ed esalta il concetto di paesaggio abbandonato in contrapposizione all’idea di un territorio organizzato per imposizione dall’alto: “Mai più campi da golf!”, afferma nel suo manifesto. La ricerca di Servino è inoltre contraddistinta da un approfondito lavoro di rielaborazione di fotografie. Egli agisce sui paesaggi filtrati dallo sguardo di altri fotografi sovrapponendovi immagini di sua produzione, come rendering tridimensionali realizzati a computer e disegni a matita o ad acquerello, con cui trasforma fabbriche abbandonate in immense costruzioni paradossali e stranianti. Queste rovine contemporanee sono così riprodotte come veri e propri monumenti, non sono qualcosa da nascondere (o da cui nascondersi), non sono da cancellare, ma al contrario dovrebbero essere riportate al centro dell’attenzione dell’architettura e, perché no, diventarne protagoniste.


FAI UN PIANO! Come affrontare una catastrofe naturale

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di Emanuele Piccardo

Qual è il ruolo degli architetti nella catastrofe? Quale contributo può dare l’architettura a risolvere i problemi del post-catastrofe? E con quali modalità? Quali azioni devono compiere cittadini e amministratori? Queste sono alcune questioni che hanno determinato nella Fondazione Ordine Architetti di Torino e nell’associazione culturale plug_in la volontà e la necessità di organizzare il workshop “Architetture per la catastrofe”, con il coordinamento scientifico ad opera dello scrivente e progettuale dell’architetto Anna Rita Emili (fondatrice di altro_studio). L’esito, rappresentato dalla costruzione di un alloggio provvisorio in scala 1:1, sarà presentato al Festival Architettura in Città. La particolarità è data dalla concezione di un alloggio-tipo, pensato in relazione ai nuclei familiari, con caratteristiche costruttive di modularità, riciclabilità, facilità di montaggio e stoccaggio al punto da consentire in parte l’autocostruzione con operai non specializzati, che spesso si attivano nei campi di accoglienza post-catastrofe. L’elemento centrale della proposta consiste soprattutto nel ricostruire un frammento di città (o quartiere) con alcuni spazi pubblici riconoscibili evitando, così, quel senso di spaesamento negli abitanti che si è verificato

a L’Aquila con il progetto C.A.S.E., inutile e costoso. Per affrontare seriamente le catastrofi naturali occorre una strategia che deve fare sia il cittadino e ancora di più l’amministratore pubblico. Così, per affrontare con uno spirito nuovo la catastrofe, ho pensato di mutuare alcune parole chiave dalle procedure del prima, durante e dopo definite dalla Fema (la protezione civile americana): fai un piano, tieniti informato, prepara un kit di sopravvivenza, organizza un piano per la tua famiglia, preparati alla prossima catastrofe. In questo modo si determina una guida che consente al cittadino di organizzarsi in tempo, mentre il politico, nella mia riflessione, deve essere sollecitato a individuare un’area (attrezzata con tutte le infrastrutture e le reti), decidere chi e come la occuperà, organizzare e disegnare gli spazi (attraverso il montaggio degli alloggi provvisori). Si forniscono indicazioni operative facilmente realizzabili solo se supportate da una volontà politica, che spesso è assente. Il fatto sconcertante è l’atteggiamento presuntuoso della Protezione Civile italiana che non prende esempio da chi ha fatto dell’organizzazione e della prevenzione la sua forza, come nel caso della Fema. Infatti, confrontando il sito in-

ternet della Protezione Civile Italiana con quello della consorella americana, emergono differenze sostanziali nel definire il prima, durante e dopo la catastrofe, con indicazioni banali come “chiudi il gas”, “avere a disposizione una torcia”, “raggiunta la zona sicura, presta la massima attenzione alle indicazioni fornite dalle autorità di Protezione Civile, attraverso radio, TV...”, come se gli abitanti in preda al panico durante una alluvione o un terremoto ritornassero in casa per sentire dalla tv le indicazioni della Protezione Civile. Si dovrebbe invece educare la popolazione e la politica ad una cultura della catastrofe, in quanto essa va conosciuta sistematizzando le problematiche che causa, per fare esperienza e ridurre al minimo le perdite di vite umane. Proprio lo strumento workshop è servito per riflettere sulle risposte progettuali, in modo innovativo e sperimentale, con la convinzione che solo ed esclusivamente con il progetto di architettura si riescono a migliorare le condizioni di vita dei cittadini, in linea con l’affermazione “l’architettura è un modo di vivere” espressa da Alison e Peter Smithson. Questo è possibile solo con un’architettura etica, chiara nelle sue finalità e senza ambiguità.

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IMMAGINARE IL GREEN

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Acronimo di Incontri sul Management della Green Economy, il workshop nazionale IMAGE (www.workshopimage.it) è un format che offre agli operatori dei diversi settori della green economy un’occasione per confrontarsi concretamente sui limiti (tecnologici, burocratici, normativi) e sulle opportunità di uno sviluppo sostenibile nel nostro Paese. IMAGE non vuole essere però un incontro per soli “tecnici”, ma un confronto pragmatico “a porte aperte”, di fronte a un pubblico qualificato di cittadini e studenti, senza pregiudizi né preclusioni. L’obiettivo è di scattare una fotografia della situazione italiana che serva a tradurre, in forma chiara e divulgativa, le grandi sfide e i consigli pratici per coniugare produzione e sostenibilità ambientale, ma anche a orientare consapevolmente le scelte future dei decisori pubblici e privati. Il workshop 2013, giunto alla terza edizione, si focalizzerà sul tema “Green building: costruire e abitare la sostenibilità”, proprio in uno dei momenti di peggiore crisi per il settore dell’edilizia, che deve individuare nuove strategie e modelli di business. Una scelta che suggerisce, nel titolo stesso, una possibile via d’uscita: fondare la qualità dei progetti nella salubrità dello spazio abitativo e nella tutela ambientale e paesaggistica dei luoghi di insediamento. IMAGE si propone quest’anno di esplorare la coerenza totale tra esterno e interno, tra la dimensione macro e micro del progetto, partendo dal contesto urbanistico e paesaggistico, per scendere nella dimensione propriamente architettonica, fino all’interior (eco)design, troppo spesso trascurato. Progettare e costruire in un’ottica di “green building”, del resto, non significa solamente operare nell’ambito della bioarchitettura, della bioedili-

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Progetto Masterplan Variante 200, Gruppo ToMake! (Recchi Engineering, De Architekten Cie., Tra, Hines, Avalon, Mesa, Nctm, Delli Santi, Systematica, Manens-Tifs)

zia o, più genericamente, dell’architettura sostenibile, ma disporre di una visione del contesto complessivo, secondo un approccio olistico, come suggeriscono alcuni protocolli di certificazione, che saranno oggetto di un momento di approfondimento e comparazione. Ma innanzitutto serve una rivoluzione culturale nel modo di intendere il progettare, il costruire e l’abitare. È la rivoluzione delle smart cities, una partita che si giocherà negli anni a venire e che richiede non solo amministratori “intelligenti”, ma anche cittadini preparati e partecipi del cambiamento. Lavorando a fianco delle imprese e delle pubbliche amministrazioni nella comunicazione dei temi green economy e smart city, Studio Greengrass ha sentito l’esigenza di individuare una chiave di lettura più appassionante, che avesse fondamento nella storia recente del Paese e l’ha trovata nel Futurismo, inteso come spinta creativa prima ancora che come avanguardia storica. Il Futurismo è infatti il movimento artistico e culturale che, più di ogni altro nel corso del Novecento, ha immaginato una ricostruzione e riprogettazione completa dell’esistente, pervasiva di ogni ambito del vissuto.

Nasce da questa intuizione il progetto DFAFS – “Dal futurismo al futuro sostenibile”, che intende ripercorrere, in un itinerario triennale nelle tre città del vecchio “triangolo industriale” del Nord (Torino, Genova e Milano), la parabola degli ultimi cento anni di storia creativa, imprenditoriale e civile – dal 1915, anno della firma del “Manifesto per la Ri-

> Studio Greengrass agenzia torinese specializzata nella comunicazione integrata d’impresa nei settori green economy e smart city, cura i due progetti “Dal futurismo al futuro sostenibile” e workshop IMAGE. Lo Studio è editore di Greenews.info, web magazine dedicato all’informazione ambientale e al “green thinking”, partner di LaStampa.it, dove cura approfondimenti quotidiani nel canale Ambiente. Nel 2013, per completare l’offerta del network Greengooo! New Media Production, nascerà il portale Smartcitynews.it. Studio Greengrass è socio fondatore dell’Associazione Greencommerce. www.studiogreengrass.it


BUILDING

Dal futurismo alla smart city

di Andrea Gandiglio

Ugo Pozzo, Aeropittura di Piazza, 1926

costruzione Futurista dell’Universo” di Balla e Depero, al 2015 dell’Expo universale di Milano – riscoprendo le origini di quella spinta all’innovazione che lega la più importante e travolgente avanguardia del secolo scorso con il fermento attuale nelle tre smart cities. Così come i giovani artisti e architetti dell’epoca immaginavano una “ricostruzione futurista dell’universo” che rinnovasse ogni ambito della vita sociale, oggi il “nuovo futurismo” della città è quello che emerge dai progetti di riqualificazione urbanistica di interi quartieri, dalla ricerca di una mobilità a ridotto impatto, dalla sperimentazione di forme di produzione di beni e servizi più sostenibili dal punto di vista ambientale e dalla trasformazione dello spazio urbano in un habitat più vivibile e inclusivo. Il progetto DFAFS intende esplorare e raccontare al pubblico questo percorso partendo dal capoluogo piemontese – dove nel 2013 si celebrano i 90 anni della Fondazione del Gruppo Futurista di Torino – attraverso un’anteprima multimediale alle OGR, nel contesto del festival Architettura in Città, e una mostra di opere storiche del Secondo Futurismo torinese (in gran parte inedite) a novembre,

un anno prima della grande mostra “Italian Futurism 1909-1944”, in cui il museo Guggenheim di New York rileggerà, con occhi stranieri, la storia del movimento estendendo questo filtro di lettura a tutto il Paese. Video, immagini e progetti testimonieranno nell’esposizione multimediale quanto sta accadendo oggi nell’area metropolitana e in regione nei settori dell’edilizia, dell’automotive, del design, dell’ICT, della chimica verde: un’evoluzione di enorme portata, anche se non sempre nota ai cittadini: la Variante 200, il Parco Dora, il campus universitario Luigi Einaudi, il nuovo headquarter Lavazza, ma anche i nuovi modelli Fiat a emissioni sempre più ridotte, la metropolitana automatica di Siemens, la stazione di Porta Susa ricoperta di pannelli solari, le bioplastiche di Novamont e i biocarburanti della Mossi & Ghisolfi. Sono tutti tasselli di una visione “futurista” declinata secondo i principi della sostenibilità ambientale e tesa verso gli obiettivi

Il 5 marzo 1923, in via Sacchi 54 a Torino, si ritrovano i pittori Ugo Pozzo (www. ugopozzo.it) e Luigi Colombo (Fillia) e lo scrittore Tullio Alpinolo Bracci (più noto negli anni successivi come Kiribiri). Poco più che ventenni, i tre artisti fondano il Gruppo Futurista di Torino, attivo a livello nazionale e internazionale e aggregatore di figure di primo piano, come Alberto Sartoris, Nicolaj Diulgheroff e molti altri. Il “Secondo Futurismo”, si distingue per una visione che oggi definiremmo “glocal” e interdisciplinare: fonda le radici a livello locale, ma pensa e opera nel mondo, negli ambiti più diversi dell’arte, dell’architettura, del cinema, della grafica pubblicitaria, secondo un’idea di “ricostruzione futurista dell’universo”.

LA SMART CITY TRA AVANGUARDIA, CONSAPEVOLEZZA E PARTECIPAZIONE

Ugo Pozzo, Pubblicità per materiali da costruzione 1934

europei al 2020. Addirittura un bolide come la nuovissima LaFerrari – icona che reinterpreta il mito futurista della macchina e della velocità – monta oggi, per la prima volta, un motore ibrido, dove la componente elettrica garantisce prestazioni incredibili pur riducendo le emissioni. Il 3° workshop IMAGE, ristretto al tema green building, costituirà il momento di confronto ragionato di questo più ampio progetto. Il progetto è pensato per affiancare alla riflessione una ricostruzione più “emozionale” e suggestiva, che possa coinvolgere e sensibilizzare un pubblico ampio. L’idea è trasmettere, attraverso la conoscenza e l’informazione, quella giusta dose di ottimismo necessario a riconoscere, in un periodo di grave crisi, le opportunità che il presente e il futuro possono riservare.

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RIPENSARE LA SICUREZZA

N

Il diritto di vivere in edifici sicuri

di Francesco Biasioli

ili di cons Nel XX secolo, e con maggior freorizzonta e z r ), fo to i n d e za he v quenza negli ultimi 40 anni, l’Italia in presen a, ma anc m is er (s p tà to ti s en ul co è stata colpita da violenti terremoti, derevole portanti s im e i z tt n e e c gu on con conse crollo. I c > SIAT nata nel 1866 come Società degli con un bilancio tragico in termini ischio di r il semplici, e e ir i n h e c o p prev o Ingegneri e degli Industriali con lo scopo di di distruzione di nuclei abitativi, n o s presenti arvici. È im m r e ff da tenere “applicare le arti alle scienze” e divenuta Società della loro storia, del senso di comuo s a re ale la pen di struttu o s a c dunque v l degli Ingegneri e degli Architetti nel 1866, ha nità, del notevole numero di vittime e n e e capire ch l’intuizion li ta portante n sempre partecipato al progresso del sapere e danni economici. o z ta forze oriz ppure aiu e n e soggette a te tecnico e scientifico. Luogo di discussione e Dai primi eventi si sarebbe dovuto n ie sso suffic ” tipiche ti n a s non è spe e confronto, è punto di riferimento in tema di e potuto intervenire con la messa p “ e soluzioni liana, visto a it le ricercare a trasformazione urbana. Promuove iniziative in sicurezza del patrimonio edilizio u ett rze ltura prog isma le fo s i d o s a culturali attraverso l’organizzazione di convegni, esistente, costruendo opportunamente della cu c l , to che ne lle masse a li a n considera io seminari, mostre, viaggi studio, visite ai cantieri z r ono propo è quanto o s e p in gioco s i e pubblica A&RT Atti e Rassegna Tecnica. d re n aumento na adotta g o is dunque u B . Illustri soci del passato: Pietro Paleocapa, Carlo e esiderabil debole”, o r ie s n di meno d e p Ceppi, Quintino Sella, Germano Sommeiller, “ a sorta di licata ad p p a ia invece un g Galileo Ferraris, Alessandro Antonelli, Carlo lo e alla tecno r resister e p i il più vicino b o Mollino e Roberto Gabetti. ulle autom nel caso esempio s rto: come ’u Il convegno, organizzato dalla SIAT con i d a z r e fo h alla ì anc “a gradi” ttura, cos e Dipartimenti di Ingegneria Strutturale e di v a n u u tto s ento dell’impa ia dell’ev g r Design delle Facoltà di Ingegneria e Architettura il nuovo supportati dalla ricerca univere n e l’ i s e ta” e uttur per le str e “dissipa r e del Politecnico di Torino, intende fornire ai sitaria. Poco di tutto questo è avvenuto. s s e e n v o o de ità c calamitos eformabil d professionisti e ai laureandi del settore una Si è apprestata un’efficiente protezione a n u e r enti o. al collass deve cons e r a visione sintetica del fenomeno sismico e i criteri civile, si sono spese ingenti risorse per iv r r o a tt enza proge trollata, s azione il c ifi da adottare nel “conceptual design” degli l’emergenza, ma limitatissime risorse d e li a g v nuo e de tribuzion In caso di is d edifici in zona sismica. Il livello scientifico dei sono andate per la prevenzione. L’insea n u a e eder a logic deve prev condo un e s relatori e il carattere divulgativo degli interventi gnamento poi della sismica in Italia è reti n te anti resis criteri qu elementi a e d evidenzieranno, attraverso la presentazione di lativamente giovane: solo dagli anni ’80, n o p osa e he ris nuovo il c formale c l e d casi concreti, i punti focali del progetto in zona e inizialmente non in tutte le sedi delle o s a c e nel iaro, ficabili. S mente ch te n sismica, i problemi da affrontare nel recupero facoltà di ingegneria diffuse sul territoie c ffi è su , in esistente come fare ia iz il delle strutture danneggiate o nel miglioramento rio, si sono attivati corsi di “ingegneria d te ’e r e pa e sull zzata com come agir li a e r di quelle esistenti e le proposte tecniche sismica”. Nella facoltà di Architettura di l ò a u p ? Si re se m ni ’60 - ’70 particola n a li g disponibili sul mercato. Torino non è prevista una materia specie n rale eretta ento gene di quella m ta r o fica, e solo da tre anni l’Atelier “Restauro p m re, e il co cerchiatu migliorar e strutture, interazione fra il restauro di setti o to gli n e e r a im z r r smo con inse he atte a sull’opportunità anche economica di architettonico e il consolidamento ic di n c te te e r o a d n zie a u a utilizzan r g to abbattere e ricostruire anziché ostio i strutturale” affronta le problematiche d m rno l terre o e all’inte n effetti de r to in natamente scegliere il recupero. Se connesse al rischio sismico degli edifici i” a e all zzator no “isolar o “ammorti s s o p i il costo di un nuovo edificio sismico è storici in muratura, analizzando i danni s egan ancora tanti scoll r edifici, o o p im superiore a quello di uno “non sismiderivati dai recenti terremoti. La SIAT iù gior pere p o. La mag n base” le o e r r te l co” solo del 3-4%, la messa in sicurezvuole dunque offrire il suo contributo in a ttura d ettuate su ff do la stru e i n io z to za del patrimonio edilizio italiano, termini di conoscenza e di diffusione dela en e oper miglioram n u parte dell a ta r o a così difficile da recuperare, richiede la consapevolezza soprattutto di ciò che un nti p tenza, ma ifici esiste is d s e e r i d à ipianificazione e investimenti pronon si deve fare, degli errori da evitare gib capacit è raggiun della loro uamento g tratti nel tempo: l’evento sismico è quando si interviene in zona sismica, sia e e r d e a n i e d g che in soluzione asi. Dato dunque un aspetto del problema che si agisca sull’esistente che nel caso c i h c i s o p a ismic le solo in sistenza s re più esteso di come affrontare instadi nuova realizzazione. Un’impostazione e r n ta -e a o c n m i ter a una ma restazion p o bilità e incuria di molti edifici in o s sbagliata del progetto preliminare dà s a s c e l p e s n bili, abbinano iù accetta p e r cui si svolge la nostra vita pubblica infatti luogo a strutture che possono comn a o it n d i e g g orre m getiche o regio occ p e privata. portarsi in maniera non soddisfaciente i d n o n di edifici

DAL 1908 A MESSINA AL 2012 IN EMILIA, OLTRE 50.000 VITTIME

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Roofscaping the city Rigenerazione urbana a consumo di suolo zero

di Gustavo Ambrosini Guido Callegari Antonio Spinelli

È

Spazio collettivo tra le coperture esistenti di Copenaghen. JDS Architects, Hedonistic Rooftop Penthouses, Copenaghen, 2011 (©JDS Architects)

È possibile immaginare una città che si rigeneri preservando gli spazi liberi e densificando dove è già costruito? Usando meno suolo e usando meglio il suolo già edificato? Utilizzando addirittura il patrimonio edilizio esistente meno qualificato come “nuovo suolo” in grado di accogliere altre attività e funzioni sociali? La piattaforma di ricerca Roofscapes (www.roofscapes.polito.it) del Dipartimento di Architettura e Design del Politecnico di Torino si propone di indagare, attraverso iniziative di ricerca e didattiche, ipotesi di trasformazione urbana “per strati”: invece di nuove espansioni della città in orizzontale o di demolizioni e ricostruzioni di edifici, si sperimenta la possibilità di agire per moderate sovrapposizioni di volumi ed attività sopra fabbricati esistenti. È un’operazione di “agopuntura” urbana, che interviene in maniera discreta ma incisiva in alcuni luoghi sensibili, senza consumare ulteriore suolo per espandere o migliorare il tessuto esistente. Nell’ultimo decennio un ampio panorama di esperienze in ambito europeo hanno condotto a realizzazioni complesse così come all’elaborazione di strategie, criteri di

progettazione e linee guida finalizzati a una riqualificazione che non si è limitata all’aumento della superficie abitabile ma che ha portato alla creazione di spazi collettivi, di nuovo housing sociale, di urban farm trasferite sulle coperture delle città. In Italia la sfida è costituita dal vasto patrimonio di edilizia residenziale, sia pubblica che privata, realizzata nei decenni della grande crescita urbana del dopoguerra, che richiede prepotentemente azioni di manutenzione edilizia ed impiantistica e di retrofit energetico. Obiettivo della piattaforma di ricerca è quello di comprendere come queste azioni possano, favorire strategie di rigenerazione dei quartieri coinvolti: come superare la sola dimensione “tecnica” del recupero edilizio ed energetico degli edifici per affrontare istanze di abitabilità e qualità dello spazio urbano. La conferenza organizzata quest’anno riprende i risultati del convegno “Roofscapes Paesaggi sopraelevati” (nella precedente edizione del festival Architettura in Città), volto ad illustrare alcuni casi di rilievo nazionale e una raccolta sistematica di itinerari di sopraelevazioni in ambito torinese, inquadrati per tipologie di intervento.

L’evento vuole configurarsi come un momento di apertura e confronto con il panorama internazionale, portando l’opinione e il contributo di professionisti europei impegnati in realtà simili a quelle della nostra città. I casi studio proposti si caratterizzeranno per tipologie innovative di intervento sul territorio, con forte centralità dei processi di governance nella concertazione tra pubblico e privato. Verranno inoltre presentati gli esiti di un workshop condotto presso il Politecnico di Torino, con il coinvolgimento di enti pubblici, su alcuni edifici di edilizia pubblica e privata torinesi.

Percorso sulla Offenes Kulturhaus di Linz. Atelier Bow-Wow, Jürg Conzett, RieplRiepl, Höhenrausch Bridge in the sky, Linz (© Otto Saxinger)

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UN ARCHITETTO ITALIANO Intervista a Clorindo Testa

L

di Emiliano Michelena

La mostra “Identità nella Diversità” non è soltanto un’opportunità per Torino di conoscere la ricchezza dell’architettura argentina, i suoi protagonisti, i rapporti con l’Italia e i nuovi progetti portati avanti in quella terra lontana sempre in continuo cambiamento. Significa anche la possibilità di entrare nell’opera e quindi nella grande fantasia di uno degli architetti e artisti argentini, che ha raggiunto il livello massimo di riconoscimento dei suoi colleghi. Clorindo Testa, che ha progettato l’allestimento della mostra, è argentino ma nato in Italia e legato profondamente alle sue origini, motivo per cui i curatori della mostra lo hanno inserito a titolo nella lista dei grandi architetti italiani che hanno costruito l’Argentina. Nell’anno 1951, appena laureato, vince alcuni concorsi di progettazione, distinguendosi tra i protagonisti delle avanguardie latinoamericane, grazie anche al rilievo internazionale raggiunto con la realizzazione del Centro Civico a Santa Rosa (La Pampa, 1956), e a Buenos Aires la Banca di Londra (1959 insieme a SEPRA), la Biblioteca Nazionale (1962 insieme a Cazzaniga e Bullrich) e l’Ospedale Navale Centrale (1970). Le sue opere sono il risultato di una capacità creativa, che gli permette una elaborata composizione plastica degli spazi, dove conoscenza disciplinare e ironia convivono per creare un’architettura unica, in aperta dialettica con l’arte, senza mai rinunciare a una perfetta funzionalità. Ma Testa è anche un artista plastico riconosciuto in campo internazionale. Dall’inizio della sua carriera, attraverso quadri, allestimenti e sculture, rappresenta la sua particolare percezione della vita, dell’uomo, della città e, occasionalmente, delle relazioni della sua terra natale con l’Argentina. Parlare con Clorindo Testa significa

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Allestimento della mostra all’ultima Biennale di Venezia

entrare in mondi fantastici, e nella spiegazione di una decisione progettuale possono convivere personaggi e luoghi della memoria apparentemente diversi e distanti, ma partecipi della sua fantastica creatività. Ed è proprio a partire dalla sua identità italiana, che Testa ha condiviso per quest’articolo alcuni suoi ricordi. La ricerca delle sue origini ci porta al dicembre 1923 quando i suoi genitori, italiani residenti in Argentina, decidono di far ritorno in patria. “Mio padre era medico. In Argentina ricoprì incarichi importanti: fu presidente di ProS Scuola, e della Dante Alighieri. Con lui non parlavamo mai in italiano; ritenevamo che fosse artificiale parlare in italiano essendo in Argentina” ricorda Clorindo Testa. “I miei genitori intrapresero il viaggio per farmi nascere in Italia e dopo soli quattro mesi siamo tornati in Argentina. Una rotta intrapresa poi più volte a partire dal 1928, per far visita al paese dei miei parenti. Il ricordo più nitido che conservo è quello della camera al piano superiore della casa dei miei col tetto a tegole e sopra un terrazzo, che offriva una vista panoramica su tutto il territorio”.

Infatti, in questo viaggio, Testa fa un disegno della casa paterna a Beltiglio, (Ceppaloni in Campania), che alcuni autori legano a lavori, come la sua casa Capotesta a Pinamar in Argentina. Inoltre, il paese dei suoi antenati è presente in alcune opere pittoriche, come “La Peste a Ceppaloni” o “Alcuni istanti in cento anni” dove rappresenta la nascita del padre nella casa a Ceppaloni, insieme a diversi momenti politici accaduti in Argentina nello stesso periodo. La sua educazione come architetto avviene in Argentina, ma dopo la laurea nel 1948, intraprende un viaggio fondamentale per la sua formazione professionale, come lui stesso racconta: “Sono stato due anni in Europa, soprattutto Spagna e Italia, in maniera libera, conoscendo, disegnando, guardando tante cose! Non feci nessun corso o studio, ma considero questo viaggio come la mia formazione post laurea”. In quel periodo, grandi nomi italiani come Zevi e Nervi visitarono l’Argentina, influenzando molti giovani progettisti, e altri famosi architetti decisero di prestare attività professionale o accademica.


D’ARGENTINA Appena tornato dall’Europa, Clorindo testa ebbe l’opportunità di lavorare con Ernesto Nathan Rogers allo sviluppo del Plan Regulador della città di Buenos Aires. “Quando Rogers è venuto in Argentina, conversava molto con me, poiché nel nostro gruppo di lavoro ero l’unico che parlava l’italiano. Ebbi poi l’occasione di incontrarlo a Venezia e mi invitò a passare dal suo studio qualora avessi prolungato il mio viaggio fino a Milano, perché mi disse ‘c’è sempre qualcosa da fare’. Andai a Milano” confessa Testa “e mi fermai tre giorni, ma dimenticai di chiamarlo. Credo che sia stato un atto involontario di autodifesa per far ritorno in Argentina”. Alcuni testimoni raccontano che, mentre insieme con altri colleghi, Testa progettava il Plan Regulador, Rogers fece una critica sulla mancanza di “umanità” degli spazi, considerazione che divenne fondamentale per i suoi successivi lavori. Il riferimento italiano più letterale nella sua architettura è forse il Colegio de Escribanos. Testa racconta che l’architetto Morra, che aveva fatto la vecchia Biblioteca Nacional, progettata originalmente come sede della Loteria Nacional, era di Benevento, e che per andare a Napoli (a prendere la nave per l’Argentina), sicuramente aveva visto, come lui da piccolo, le colline chiamate “La Bella Dormiente del Sannio”. Dopo aver vinto il concorso della nuova Biblioteca Nacional, Testa partecipa a quello per la Nuova Loteria Nacional e, considerando le similitudini con la vita di Morra, afferma: “mi sono presentato perché logicamente dovevo vincere”. Per questo edificio progetta una forma che ricorda le colline campane, ma non vince. Venti anni dopo, però, l’omaggio a Morra e a quelle colline campane si è realizzato nel soffitto della rampa del garage del Colegio di Escribanos nel centro di Buenos Aires, visibile sia dalla hall d’ingresso che dalla strada.

[ndr Clorindo Testa è morto a Buenos Aires lo scorso 10 aprile. Questa è stata la sua ultima intervista]

IDENTITÁ NELLA DIVERSITÁ, IL PROGETTO DI ALLESTIMENTO Juan Fontana è socio di Clorindo Testa da 20 anni, insieme hanno progettato edifici come il Colegio de Escribanos (1997), la galleria di arte Altera (1998) e l’Università Torcuato Di Tella (cominciata nel 1998). Ha collaborato con Clorindo Testa al progetto di allestimento della mostra “Essere parte della realizzazione dell’allestimento, in tutte le sue fasi, è stata un’esperienza molto interessante”, racconta Fontana. “La sua caratteristica principale è quella di sembrare un cantiere senza fine, e l’aspetto più difficile è proprio non perdere questa spontaneità, mantenuta incorporado elementi diversi e apportando le modifiche necessarie all’integrazione negli spazi in cui la mostra deve essere allestita.” Gli elementi dell’allestimento sono realizzati in legno rustico, come se si trattasse di materiali di scarto di un cantiere, dipinti nei colori celeste, bianco e giallo. Si compone di cavalletti che organizzano il percorso e dove si appoggiano diversi elementi esposti, e a cui si attaccano schermi o panchine. L’uso di finti puntelli di cantiere modifica la percezione dello spazio. Come afferma Fontana: “economia e ironia sono fondamentali a rappresentare l’abbozzo di una costruzione, poiché ci sembrava interessante mettere in evidenzia il processo creativo proprio di uno studio di architettura”.

PARLARE CON CLORINDO TESTA SIGNIFICA ENTRARE IN MONDI FANTASTICI

L’edizione torinese della mostra sull’architettura argentina sarà arricchita di una piccola sezione su alcuni architetti di formazione torinese che, pur grandi in Argentina, sono sconosciuti da noi. L’attenzione sarà focalizzata su Vittorio Meano (Gravere di Susa, 1860 – Buenos Aires, 1904), emigrato nel 1884 con in tasca il diploma di geometra dell’Istituto Buniva di Pinerolo e la patente di “maestro di disegno” dell’Accademia Albertina, oltre alla pratica presso lo studio di ingegneria del fratello maggiore Cesare. In pochi anni a Buenos Aires divenne il principale collaboratore, poi socio, del marchigiano Francesco Tamburini, “Ispettore delle Opere architettoniche del Dipartimento di Ingegneria della Nazione”. Morto Tamburini di tifo nel 1890, Meano ne proseguì l’opera definendo il progetto e dirigendo i lavori del Teatro Colon. Nel 1895 vinse il concorso internazionale per il Palazzo del Congresso di Buenos Aires, la cui costruzione diresse fino alla morte, che sopraggiunse negli stessi giorni della vittoria in un ulteriore concorso, quello per il Palazzo Legislativo di Montevideo. Se ne parlerà nel seminario di studio (a cura di E.C. Michelena e L. Pittarello) che aprirà la mostra, lunedì 27 maggio. Con Meano verranno ricordati il modenese Augusto Cesare Ferrari (1871-1970) formatosi all’Accademia Albertina, allievo e collaboratore di Giacomo Grosso anche a Buenos Aires, e Francesco Gianotti, nato a Lanzo nel 1881 e formatosi a Torino, Milano e Bruxelles prima di salpare, nel 1909, per l’Argentina, dove morì nel 1967.

Liliana Pittarello

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