Cinema
di Maurizio Rebuzzini - Ricerca iconografica di Filippo Rebuzzini
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Da pagina ventidue, su questo stesso numero, rievochiamo e celebriamo il film La dolce vita, di Federico Fellini (e Ennio Flaiano), nel proprio sessantesimo dalle date di solenne Prima romana e immediata distribuzione nelle sale cinematografiche: rispettivamente, tre e quattro febbraio Millenovecentosessanta; da cui, come sottolineato, Sessanta più sessanta. Per il vero, non ci occupiamo del film in quanto tale, il cui approfondimento spetta di diritto ad altri, ma del suo aver fatto nascere un rilevante neologismo dei nostri tempi: quel paparazzo, che si è imposto come vocabolo (mai tradotto), in tutto il Mondo. Se vogliamo approfondire meglio, in assoluto e (magari) integrazione a quanto già riportato, la figura del paparazzo è declinazione -spesso al negativo/dispregiativo- del fotocronista, professionista che segue lo svolgimento quotidiano dell’esistenza in racconto giornalistico. Cercando il pelo nell’uovo, potremmo arrivare a identificare nel paparazzo il fotografo senza scrupoli che insidia la vita altrui, soprattutto quella dei personaggi pubblici; mentre il fotocronista agisce e opera a uno strato superiore, non condizionato dallo scoop a tutti i costi. Ma sono distinzioni che non approdano al pubblico, rimanendo -casomai- all’interno del circuito degli addetti al lavoro, che hanno anche il compito di analizzare e considerare oltre la superficie a tutti apparente. Quando il fotocronista agisce in momenti annunciati e pubblici, per esempio in registrazione e resoconto di festival cinematografici (con rimando alla relazione da Cannes 2019, di Alcide Boaretto, da pagina quarantotto, ancora su questo numero), è a tutti gli effetti giornalista visivo, guidato da princìpi e regole (alcune non scritte) che ne definiscono e determinano il passo professionale. In questo ambito, quando un avvenimento è «annunciato e pubblico» e fa parte di un programma anticipato, c’è poco di intimo, e tanti fotocronisti cercano di ritagliarsi una propria presenza significativa: utile e necessaria per assol-
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Festival del Cinema di Venezia, anni Sessanta, fotocronisti attorno l’attrice italiana Gina Lollobrigida (presumiamo). Consuete biottica Rolleiflex, con immancabili flash elettronici di dimensioni vistose, e qualcosa di diverso. (Tra l’altro, correttamente esposto rispetto le sotto e sovra esposizioni di contorno) Un fotografo non sta scattando, ma sta caricando un magazzino portapellicola a rullo 6x7cm (presumiamo) per una qualificata e prestigiosa Linhof Technika, in rigorosa interpretazione fotogiornalistica. È giovane, ma perfettamente riconoscibile: è Lino Manfrotto, di Bassano del Grappa, in anni di professionismo fotografico precedenti ciò che tutti ben conosciamo.
[PROBABILMENTE] SERGIO DEL GRANDE / EPOCA (MONDADORI)
QUEI FOTOCRONISTI
vere l’incarico professionale assunto o successivamente proposto. È giocoforza che, nello stesso spazio, agiscano più e più fotografi, tutti alla ricerca dell’immagine adeguata al proprio giornalismo visivo. In questo senso, un caso notevole e sintomatico riguarda un eccelso fotografo statunitense di sport, Neil Leifer, la cui immagine iconica è quella del knock out con il quale Muhammad Ali ha abbattuto Sonny Liston, alla St. Dominic’s Arena, di Lewiston, nel Maine, negli Stati Uniti,
il 25 maggio 1965 [anche copertina della solenne rievocazione Greatest of all Time - A Tribute to Muhammad Ali, a cura di Benedikt Taschen, del 2010, in FOTOgraphia del dicembre 2010 e luglio 2016; in ritratto di Tim Mantoani, per il progetto Behind Photographs, in FOTOgraphia, dell’ottobre 2010]. Oltre tanti altri suoi valori iconici, riguardate questa fotografia in altra luce: bravo Neil Leifer... ma anche fortunato. Si è trovato dalla parte giusta al momento giusto. Altri fotocronisti, piazzati