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Questa volta, Totò
di Maurizio Rebuzzini - Ricerca iconografica di Filippo Rebuzzini QUESTA VOLTA, TOTÒ
Ai propri tempi, non sempre adeguatamente considerato dalla critica cinematografica, Totò è stato riabilitato in momenti successivi, nella propria sostanza addirittura recenti. In particolare, oggigiorno non si tiene più conto della povertà di molte delle sceneggiature dei tanti film nei quali ha recitato, ma soltanto della sua capacità interpretativa, per la quale si pone l’accento soprattutto su un riconosciuto estro di improvvisazione in scena, con la quale e attraverso la quale Totò sarebbe brillantemente uscito da insidiosi vicoli ciechi.
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Ma non è questo che ci interessa, qui e oggi, per quanto ci incuriosisca in altri momenti della nostra esistenza. Invece, e nello specifico, in compagnia di Totò continuiamo a passeggiare lungo il confortante sentiero che stiamo tracciando da tempo, definito dalla classificazione e commento della presenza della Fotografia nel Cinema. In particolare, con la segnalazione dello sketch di Totò-fotografo nel film Miseria e nobiltà, ancora oggi riferiamo una osservazione di dettaglio, che a proprio modo contribuisce a definire la consistenza del fenomeno. Insieme a tante altre già accolte sulla rivista, e ad altrettante che verranno ospitate a seguire, questa odierna è una segnalazione sfumata nella propria apparenza, ma sostanziosa nel contenuto.
Dopo aver ampiamente risolti i richiami di più alto profilo, come lo sono quelli nei quali la Fotografia è intrigante protagonista della vicenda narrata dal film (dall’ormai insopportabile Blow-Up a La finestra sul cortile, da Il favoloso mondo di Amélie a Pretty Baby, da La dolce vita a Occhio indiscreto, da One Hour Photo a Flags of Our Fathers, Fur e tanti altri ancora), ulteriori minuzie forniscono giusto quell’indispensabile contorno che estende il campo delle considerazioni, allargando i confini di una combinazione (appunto Fotografia al Cinema) ricca di tracce, allusioni e tonalità coinvolgenti.
PRIMA, LE PAROLE
In base a una classificazione fenomenologica ragionata, della quale possediamo la chiave interpretativa, Totò ha incrociato la Fotografia in almeno quattro ghiotte occasioni. Oggi ci soffermiamo su una in particolare -ribadiamo: Totò-fotografo in Miseria e nobiltà-, non prima di aver richiamato le altre tre. Soprattutto, non prima di una citazione che allinea l’umorismo spesso surreale di Totò alla Fotografia; meglio, che dona alla Fotografia una preziosa perla, che ne dovrebbe/potrebbe arricchire la personalità.
In Totò Baby, di Ottavio Alessi, del 1964, uno dei film girati per sfruttare il richiamo esplicito all’attore, in un momento di suo alto gradimento popolare, Totò enuncia quella che pomposamente presenta come la «Prima regola del manuale del delinquente: farsi fotografare solo per la foto segnaletica. Foto fatta capo ha».
Dal testo al contesto, è evidente il gioco di parole, elaborato su un modo di dire a tutti noto (appunto, “frase fatta capo ha”). Così, la sua trasformazione fotografica ci è gratificante, nel senso che la Fotografia abbandona per un istante i lustrini del proprio dibattito culturale (spesso arido), per esprimere un significato fondamentale, riconoscibile universalmente. Addirittura, faccendone proverbio, sottintendiamo un princìpio didattico e morale di norma, avvertimento, consiglio e massima dettato dall’esperienza.
A seguire, sempre e ancora in avvicinamento al Totò-fotografo di Miseria e
nobiltà, citiamo un momento fotografico di Totò che fa capolino in Totò, Vittorio e la dottoressa, di Camillo Mastrocinque, del 1957. Nel corso di un pedinamento, due investigatori privati -improvvisati quanto pasticcioni-, Michele Spillone detto Mike (Totò) e Gennaro detto Johnny (Agostino Salvietti), fanno uso di una attrezzatura fotografica opportunamente camuffata: la macchina 6x9cm a soffietto sotto il cappello di Totò, il flash sotto quello del compare. Totò e Sophia Loren sono, quindi, protagonisti dell’episodio La macchina fotografica, il nono di Tempi nostri - Zibaldone n. 2, di Alessandro Blasetti, del 1954, che conclude il film, l’unico sceneggiato da Age e Scarpelli. Con la scusa di fotografarla, nei panni del bellimbusto Dionillo, Totò cerca di accedere alle grazie della prorompente Sophia Loren, dopo aver vinto una consistente Rolleiflex in un gioco a estrazione (beato lui!). È ovvio: in un momento di distrazione, viene derubato della biottica.
MISERIA E NOBILTÀ
Eccoci all’arrivo, o quasi: per il quale lasciamo la parola alla sequenza di immagini riunite in queste pagine. Diretto da Mario Mattoli, uno dei registi preferiti da Totò, il cinematografico Miseria e nobiltà è la fedele trasposizione dell’omonima commedia di Eduardo Scarpetta. Uscito nelle sale nel 1954, il film si allarga un poco rispetto i tre atti originari, con scene finalizzate al ritmo cinematografico, che, comunque sia, rimane abbondantemente teatrale, fino alla conclusione con sipario in chiusura.
Tra le aggiunte, la sceneggiatura di Ruggero Maccari e Mario Mattoli ha incluso lo sketch dello scrivano Don Felice Sciosciammocca (Totò), che si sostituisce a Don Pasquale (Enzo Turco), il fotografo ambulante che divide con lui l’area antistante il Teatro San Carlo, di Napoli, nel quale si esibisce la ballerina Gemma, interpretata da Sophia Loren: è una sequenza tutta da vedere e rivedere. Cerchiamo di raccontarla.
Una coppia di sposini in viaggio di nozze si presenta davanti alla macchina fotografica, temporaneamente abbandonata da Don Pasquale, impegnato in una commissione. Nei panni di Don Felice Sciosciammocca, Totò si improvvisa fotografo. Dal vetro smerigliato dell’apparecchio a soffietto in legno, rigorosamente su treppiedi altrettanto in legno, dirige la situazione: controlla l’inquadratura, fa spostare gli sposini, invita il marito ad abbassarsi, quindi a stare dietro la moglie, alla quale riserva cortesi attenzioni, e ne combina di ogni.
A un certo punto, abbassato accanto la sposa, dubbioso di essere incluso nell’inquadratura, il marito si rivolge al fotografo, a colui che lui crede essere fotografo, e scopre di non essere inquadrato... perché la sua faccia rovinerebbe la perfezione dell’immagine della moglie. Al caso, propone Don Felice Sciosciammocca, scattiamo due ritratti (dunque due compensi), e poi incolliamo insieme le fotografie singole: parole accompagnate dal gesto dei palmi delle mani che si uniscono con uno sputo in mezzo!
Ovviamente, non se ne fa nulla, e i due sposini si allontanano... adirati.
INCROCI E RITORNI
Attenzione agli incroci cinematografici, che abbiamo sottolineato spesso: come quello dell’attore Jude Law, morboso
fotografo-necrofilo e killer in Era mio padre, coprotagonista di Sky Captain and the World of Tomorrow, film con retrogusto fotografico, e scrittore Dan in Closer, dove viene fotografato da Anna Cameron / Julia Roberts. In analoga sintonia, Totò e Nel film Miseria e no- Sophia Loren si incontrano biltà, di Mario Mattoli nei due film che abbiamo (uno dei registi preferi- ricordato oggi, uno di pasti da Totò), del 1954, lo saggio e l’altro in approfonsketch di Totò-fotografo inizia quando due sposini in viaggio di nozze gli dimento: curiosamente entrambi del 1954, nell’episodio La macchina fotografica (in Tempi nostri - Zibaldone chiedono una fotoricordo. n. 2) e in Miseria e nobiltà. Il film è fedele trasposi- Quindi, esageriamo un poco zione dell’omonima com- richiamando almeno altre media del grande Eduar- due vicende fotografiche di do Scarpetta. film con Sophia Loren. Nei panni di fotografo, Nei panni di Agnese TiraTotò vorrebbe esclude- bassi, Sophia Loren è insidiata re dall’inquadratura il marito, per dare visibilità alla sposa, alla quale dedica dal fotografo Mario (Peppino De Filippo), con “l’occhio che scruta...”. Spassosi i loro siparietti, alcuni anche “fotoattenzioni particolari. Lo grafici”, in Il segno di Venere, sposino si infastidisce e di Dino Risi, del 1955, film non se ne fa nulla. Ovvia- costruito su misura per una mente, la coppia si allon- fantastica Franca Valeri / Cetana, adirata. sira, tra gli sceneggiatori, insieme con Luigi Comencini, Ennio Flaiano e altre eccellenti firme del cinema italiano dell’epoca. E poi, ancora, in La fortuna di essere donna, di Alessandro Blasetti, del 1956, Sophia Loren / Antonietta Fallari finisce per innamorarsi del fotografo Corrado Betti (Marcello Mastroianni), al quale avrebbe voluto far causa per una propria immagine pubblicata sulla copertina di un rotocalco. E poi, lo stesso Marcello Mastroianni è ancora fotografo (Tiberio) nella sgangherata combriccola dei Soliti ignoti, di Mario Monicelli, del 1958. Le storie continuano. ■ ■