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Danila Tkachenko Nel mondo delle bugie
NEL MONDO DELLE BUGIE
В МИРЕ ЛЖИ
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Alla fine del Novecento, il dissolvimento dell’Unione Sovietica e paesi satellite ha innescato un effetto domino, che ha sconvolto ogni precedente equilibrio sociale. È come domandarsi cosa accadrebbe alla Terra, se l’Uomo dovesse scomparire all’improvviso, abbandonando tutto. Quanto resisterebbero le sue tracce? Alcune orme “tecnologiche” dell’Urss sono ancora percepibili, a terribile testimonianza di un’utopia partorita da un mondo che rincorreva illusioni raccontandosi bugie. L’attento e talentuoso fotografo russo Danila Tkachenko ha documentato aree un tempo proibite nelle quali il regime gestiva le proprie ambizioni planetarie... e oltre. Da cui, Restricted Areas
Antenna costruita per realizzare connessioni con basi su altri pianeti del Sistema Solare. L’Unione Sovietica stava pianificando di costruire basi su altri pianeti, e ha preparato strutture per la connessione con queste, che non sono mai state utilizzate. Russia, regione di Arkhangelsk; 2013.
(doppia pagina precedente) Il più grande sottomarino diesel del mondo. Russia, regione di Samara; 2013.
«Per noi, si tratta di bellissime fotografie di momenti di Storia».
di Lello Piazza
Restricted Areas (aree proibite) è un lavoro dedicato a località militari e industriali segrete della vecchia Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche (Cccp / Urss), abbandonate al degrado e all’oblio. L’Unione è diventata/ritornata semplicemente Russia nel 1991, circa un anno dopo la Caduta del Muro di Berlino (9 novembre 1989).
Danila Tkachenko, l’autore, è un giovane e brillante fotografo e visual artist russo, nato a Mosca nel 1989 (non crediamo a coincidenze del destino). Laureatosi in Documentary Photography alla Rodchenko School of Photography and Multimedia (https://mdfschool.ru/ en/), Danila Tkachenko ha lavorato al proprio progetto nei due inverni 20013-2014 e 2014-2015, percorrendo -a più riprese- tutta la Russia, in un viaggio di oltre quindicimila chilometri: da Voronezh, a sud-ovest, quasi ai confini con l’Ucraina, a Murmansk, a nord-ovest, e al Golfo di Arcangelo, uno dei porti fondamentali della nazione, a cavallo del Circolo Polare Artico; da Chelyabinsk, ai confini col Kazakistan, al Kazakistan stesso, nelle regioni di Karaganda, Pavlodar, Akmola e Almaty; da Yugoiztochen, in Bulgaria, alla Penisola di Yamal, nell’estremo nord della Siberia, dove vivono i Nenet. Per un motivo che riguarda anche la sua famiglia, e sul quale torneremo in chiusura, Danila Tkachenko si è mosso alla ricerca dei luoghi dove sono rimaste vecchie basi militari dismesse, centri di ricerca spaziale o nucleare abbandonati. Un lavoro eccezionale, soprattutto per l’intuizione di fotografare questi luoghi durante l’inverno, con la neve, in una atmosfera di bianco lattiginoso e abbacinante, che esalta enormemente il senso di abbandono. Dal bianco, appaiono, come fantasmi diafani, edifici, aerei sgangherati, antenne per l’esplo-
razione dello Spazio. È tutto in rovina: carcasse di monumenti e anche la sagoma di un sommergibile assurdo, apparentemente in condizioni perfette, che invece di galleggiare nell’acqua è arenato sulla terra innevata.
A voler essere capziosi, una volta ancora e per l’ennesima volta, potremmo riproporre il vecchio dilemma: si tratta di fotografie storiche significative o fotografie di rilevanti pezzi di Storia, simboli del fallimento di una utopia?
Per noi, si tratta di bellissime fotografie di momenti di Storia. La storia del fallimento di un progetto sociale: la pianificazione del Socialismo e, a seguire, del Comunismo, almeno nella visione leninista, i cui ideali -quasi evangelici- hanno ispirato e, in gran parte deluso, la vita di milioni di Uomini. Dunque, le immagini che presentiamo hanno origine dall’urgenza di narrare il fallimento di un sogno.
Le ho scoperte nel press kit del Festival La Gacilly-Baden Photo 2020. Le ho individuate da lontano, essendo impedito di recarmi a Baden dai problemi generati dal virus SARS-Cov-2. La mia scoperta tardiva è solo il segno della mia ignoranza. Infatti, questo lavoro è stato premiato sei anni fa, nel 2015, con l’European Publishers Award for Photography (https://www.europhotobookaward.eu). A seguito di questo premio, è stato presentato in vari festival e gallerie europee. Oltre al già citato Festival La Gacilly, a Baden, in Austria, mi limito a ricordare le apparizioni italiane, al Festival della Fotografia Europea (Reggio Emilia, 2019), presso il Palazzo Isolani, a Bologna (2017), al SI Fest, di Savignano sul Rubicone, nella provincia di Forlì-Cesena (2016), nella mostra Storie Sovietiche, presso la Galleria del Cembalo, di Roma (2015). Di questo lavoro esiste anche una bella monografia in
Osservatorio abbandonato. Kazakistan, regione di Almaty; 2015.
«Danila Tkachenko è un giovane e brillante fotografo e visual artist russo, nato a Mosca nel 1989 (non crediamo a coincidenze del destino). Laureatosi in Documentary Photography alla Rodchenko School of Photography and Multimedia, ha lavorato al progetto Restricted Areas nei due inverni 2013-2014 e 2014-2015, percorrendo -a più riprese- tutta la Russia, in un viaggio di oltre quindicimila chilometri».
COMMEMORAZIONI FILATELICHE
Ci allineiamo a passaggi del testo principale di Lello Piazza a commento e autorevole presentazione del progetto Restricted Areas, del russo Danila Tkachenko. Come dovere (?), in relazione al soggetto, la presentazione delle fotografie contestualizza richiamando l’origine del programma spaziale sovietico, esordito con il primo satellite artificiale Sputnik 1, lanciato il 4 ottobre 1957, che diede avvio a una nuova era, e che sconvolse il mondo, soprattutto allarmò gli Stati Uniti, in tempo di Guerra fredda.
Quindi, Lello Piazza richiama e rievoca la figura del cosmonauta Yuri Gagarin (Jurij Alekseevič Gagarin), primo Uomo nello Spazio, il 12 aprile 1961, a bordo della navicella Vostok 1, con un’orbita attorno la Terra. Ovviamente, tra il satellite originario e il volo umano, ci sono state sperimentazioni con animali: la cagnetta Laika, lanciata in orbita bassa il 3 novembre 1957, con la navicella Sputnik 2; la coppia di cani Belka e Strelka, che -il 19 agosto 1960- trascorsero una giornata nello Spazio a bordo del Korabl-Sputnik-2, o Sputnik 5.
Ancora, tra i primati del programma spaziale sovietico, si registra la navicella spaziale Lunik 3, che il 7 ottobre 1959 fu la prima a circumnavigare la Luna, fotografandone la faccia nascosta.
Nello stesso ordine -Sputnik 1, Yuri Gagarin, Laika, Belka e Strelka, Lunik 3-, cinque rievocazioni filateliche dall’impianto di quel Fotografia nei francobolli, che ha subìto interruzioni e cambiamenti di rotta. Cinque emissioni: Unione Sovietica, del 5 novembre 1957, un mese dopo il primo satellite artificiale; Yuri Gagarin, il primo Uomo nello Spazio, con la navicella Vostok 1, in un raro (e prezioso) francobollo albanese del 20 marzo 1962, un anno dopo l’impresa, da una serie di tre valori con sovrastampa per posta aerea, su una precedente emissione del Primo febbraio; francobollo celebrativo della Bulgaria, del 28 ottobre 2011, con annullo del primo giorno di emissione su una cartolina della cagnetta Laika; serie di quattro valori della Guinea per i cani Belka e Stelka, del 26 ottobre 2020; Lunik 3 in francobollo sovietico del 13 aprile 1960. mR
Cinque emissioni filateliche celebrative dei primati sovietici nello Spazio, evocati da Lello Piazza all’interno della sua presentazione del progetto fotografico Restricted Areas, del russo Danila Tkachenko. In sequenza, dall’alto e da sinistra: francobollo emesso dall’Unione Sovietica, il 5 novembre 1957, un mese dopo il primo satellite artificiale Sputnik 1; francobollo albanese del 20 marzo 1962, a un anno dal primo Uomo nello Spazio, Yuri Gagarin; cartolina bulgara con annullo del primo giorno di emissione (28 ottobre 2011) della serie filatelica dedicata alla cagnetta Laika (Sputnik 2); foglio Souvenir della Guinea, del 26 ottobre 2020, celebrativo dei cani Belka e Stelka (Sputnik 5; 19 agosto 1960); francobollo sovietico del 13 aprile 1960 per la navicella spaziale Lunik 3, che il 7 ottobre 1959 circumnavigò la Luna, fotografandone la faccia nascosta.
edizione italiana, Danila Tkachenko. Restricted Areas, pubblicato da Peliti Associati, nel 2016 (trentadue fotografie a colori; 80 pagine 30,1x24,5cm, cartonato; 40,00 euro).
Chi fosse interessato a saperne di più su Danila Tkachenko, sui suoi altri lavori, sui suoi progetti, ha a disposizione il sito web https://danilatkachenko.com. Da qui, per fotografie che esulano dalle Restricted Areas, mi limito a citare doverosamente il primo premio nella categoria Staged Portraits - Stories al World Press Photo 2014: ritratti posati di persone esiliate dalla società, che vivono come eremiti nei boschi.
Tornando a Restricted Areas, osserviamo che il fotografo ha ventiquattro anni quando inizia questo lavoro. «La mia serie racconta dell’aspirazione utopica degli umani per il progresso tecnologico e del suo fallimento», rivela Danila Tkachenko. «Mi piace pensare che ci sia un legame ideale tra queste fotografie e il racconto La Macchina del Tempo, di H. G. Wells, del 1895. Ma, al contrario di quel Viaggiatore, io non finisco nel futuro. Visito oggi il futuro odierno di un passato velleitario, e prendo atto della sua sconfitta».
Tornerò su Restricted Areas più avanti. Prima, però, per meglio capire, debbo proporre almeno una domanda: ma come è stato possibile? All’inizio degli anni Cinquanta, Stati Uniti e Unione Sovietica erano praticamente pari nel campo delle tecnologie più avanzate. Certo, c’era una enorme differenza tra il benessere diffuso nel paese nordamericano e la situazione del popolo russo [tra tanto altro, sottolineo la sintesi Propaganda & Dreams (fotografia sovietica e statunitense negli anni Trenta in comparazione), a cura di Leah Bendavid-Val, allestita alla Concoran Art Gallery, di Washington DC, nell’estate 1999, e raccolta in volume da Edition Stemmle].
Possiamo affermare che gli Usa fossero un impero economico e tecnologico, l’Unione Sovietica solo un impero tecnologico. Volessimo fare un confronto fra i due paesi, i parametri corretti dovrebbero riguardare la rincorsa agli armamenti e la conquista dello Spazio. Spero di non annoiare, ricordando qui la cronologia di alcuni traguardi.
Cominciamo dal 1949. Ventinove agosto esplode la prima bomba atomica sovietica, e -otto anni dopo-, il 21 agosto 1957, viene lanciato il primo missile balistico intercontinentale. Sempre nel 1957 (quattro ottobre), l’Urss manda
(pagina precedente) Dzerzhinsk, città dove venivano prodotti motori a razzo in epoca sovietica. Era una città proibita fino al 1992. Russia; 2013.
Un sarcofago chiude un pozzo profondo circa quattro chilometri, oggi abbandonato. All’epoca, era uno dei pozzi creati per ricerche scientifiche più profondi al mondo. Russia, regione di Murmansk; 2013.
Sede del Partito Comunista. Bulgaria, regione Yugoiztochen; 2015.
«Per meglio capire, debbo proporre almeno una domanda: ma come è stato possibile? All’inizio degli anni Cinquanta, Stati Uniti e Unione Sovietica erano praticamente pari nel campo delle tecnologie più avanzate. Certo, c’era una enorme differenza tra il benessere diffuso nel paese nordamericano e la situazione del popolo russo. «Possiamo affermare che gli Usa fossero un impero economico e tecnologico, l’Unione Sovietica solo un impero tecnologico. Volessimo fare un confronto fra i due paesi, i parametri corretti dovrebbero riguardare la rincorsa agli armamenti e la conquista dello Spazio. «Il 29 agosto 1949 esplode la prima bomba atomica sovietica. Il 21 agosto 1957 viene lanciato il primo missile balistico intercontinentale. Sempre nel 1957 (quattro ottobre), l’Urss manda in orbita il primo satellite artificiale: lo Sputnik 1, che sconvolge gli americani; un mese dopo, il tre novembre, con lo Sputnik 2, va in orbita la cagnetta Laika». in orbita il primo satellite artificiale lo Sputnik 1, che sconvolge gli americani; un mese dopo, il tre novembre, con lo Sputnik 2, va in orbita la cagnetta Laika, che non tornerà viva sulla Terra.
Questi successi colgono del tutto impreparati gli Stati Uniti. Ricordo ancora i tentativi di lanciare nello Spazio il primo satellite americano; esperimenti in competizione tra Esercito e Marina, con quei disastrosi missili Vanguard, della Marina, che esplodevano a terra (4 ottobre e 3 novembre 1957). Fu solo il 31 gennaio 1958 che gli Stati Uniti riuscirono lanciare Explorer 1 (Esercito), il loro primo satellite.
Però, furono ancora i sovietici a raggiungere per primi la Luna. Il 14 settembre 1959, una sonda russa atterra sul nostro satellite, e un mese dopo, il sette ottobre, un’altra sonda rimanda le prime immagini della faccia nascosta della Luna, circumnavigata e fotografata. Altro successo: il 20 agosto 1960, i cani Belka e Strelka tornano vivi e vegeti sulla Terra, dopo averle orbitato intorno.
Apoteosi, il 12 aprile 1961: il cosmonauta Yuri Gagarin (Jurij Alekseevič Gagarin) è il primo Uomo che va e torna dallo Spazio, dopo un’orbita attorno la Terra. Nel 1966, i sovietici conquistano un nuovo traguardo: una loro sonda atterra per la prima volta su un altro pianeta del sistema solare, Venere. E, un mese dopo, mandano una sonda spaziale in orbita intorno alla Luna. Gli americani non stanno dormendo: rincorrono l’Unione Sovietica, e -finalmente- la superano, portando per la prima volta un equipaggio in orbita lunare (Apollo 8, 21-27 dicembre 1968) e due astronauti sul nostro satellite (Apollo 11, 20 luglio 1969). Dopo una rincorsa di quasi dieci anni, gli Stati Uniti riescono a mettere il muso davanti all’Urss nella gara per la conquista dello Spazio, facendolo in un modo enormemente mediatico e spettacolare (e propagandistico?).
Tutto questo elenco di successi sovietici, dal 1957 al 1968, che precedono gli americani, cosa c’entra con Restricted Areas? Ovviamente, l’inventario suggerisce una domanda: come è possibile che una nazione tecnologicamente più avanti del suo diretto e accanito avversario, abbia potuto trasformare la propria eccellenza scientifica e tecnologica in un disastro apocalittico? Disastro che le fotografie di Danila Tkachenko celebrano nella propria inquietante bellezza?
Non spetta a me formulare una risposta. Comunque, prima di chiudere, devo citare una particolare serie di episodi che contribuiscono a determinare il disastro sovietico e permettono di ipotizzare una risposta alla domanda.
Questi episodi coinvolgono la nonna di Danila Tkachenko. Probabilmente, è stata la minaccia rappresentata da quegli episodi per la salute e la vita di sua nonna a motivare il fotografo a progettare e realizzare Restricted Areas. La nonna viveva a Chelyabinsk, una città ai piedi degli Urali, non lontana dal confine col Kazakistan.
“Recentemente”, questa città è assurta agli onori delle cronache. Circa otto anni fa, il 15 febbraio 2013, il quotidiano italiano La Repubblica titolò «Russia, meteoriti in pieno giorno. Oltre 1000 feriti, 200 sono bambini». «Russia, esplode meteorite: 1200 feriti», fece eco il Corriere della Sera. Il meteorite aveva colpito la zona di Chelyabinsk. Ma nessuna notizia, invece, trapelò di quella serie di episodi molto più gravi avvenuti circa cinquanta anni prima, un centinaio di chilometri a nord di Chelyabinsk, dove, nel 1946, in totale segretezza, l’Unione Sovietica iniziò a costruire Chelyabinsk-40 (oggi Ozërsk), una seconda città. Per decine di anni, la città non è apparsa neppure sulle carte geografiche.
È stata una vera e propria restricted area, a causa della sua vicinanza con la centrale nucleare Majak, un impianto che copre un’area di circa novanta chilometri quadrati, dove oggi lavorano circa quindicimila persone. Durante la Guerra fredda di contrapposizione politica, ideologica e militare, lì si produceva il plutonio; ora, vengono riciclati rifiuti nucleari provenienti da armamenti fuori uso, dai sottomarini nucleari, dalle centrali atomiche del paese.
Dalla fine degli anni Quaranta, la popolazione della regione iniziò ad ammalarsi e morire per via dell’effetto prolungato dell’esposizione alle radiazioni. In questa area, nel 1957, si verificò il disastro nucleare di Kyštym, tenuto segreto e sempre negato dalle autorità sovietiche, il peggiore della Storia fino a quello di Chernobyl.
Fu solo a partire dagli anni Novanta che cominciarono a filtrare le prime indiscrezioni. Fu solo decenni dopo gli incidenti che su Chelyabinsk-40 fu possibile girare il coinvolgente film documentario City 40, del 2016, identificato anche come Il cimitero della Terra, basato su filmati ripresi da telecamere nascoste e filmati d’archivio, che accompagnano interviste sconvolgenti
[nomination agli Emmy Awards 2017, nella categoria News & Documentary]. Il regista Samira Goetschel l’ha presentato, per la prima volta, al Bertha DocHouse, di Londra, il 23 luglio 2016.
Vicenda analoga per Chernobyl, dove il reattore Numero 4 esplose il 26 aprile 1986: Chernobyl, cinque episodi di una miniserie televisiva creata e scritta da Craig Mazin e diretta da Johan Renck, è stata realizzata solo nel 2019, ben trentatré anni dopo.
Propongo di cercare proprio in Chernobyl l’inizio della fine della utopia sovietica. Nelle ultime scene del documentario vengono pronunciate parole lapidarie e infuocate come le verità e le minacce divine di biblica memoria. Le parole amare sono del professor Valerij Alekseevič Legasov, chimico, incaricato dal Comitato Centrale del Partito Comunista dell’Unione Sovietica di condurre l’inchiesta sul disastro. Sottoposto a ogni genere di intimidazioni da agenti del Kgb, che hanno lo scopo di manipolarne le conclusioni, seppellendo la verità sotto montagne di bugie, Legasov rileva, quasi parlando con se stesso: «Qual è il prezzo delle bugie? Non che le confondiamo con la verità. Il vero pericolo è che abbiamo ascoltato tante di quelle bugie, da non riconoscere più la verità. Cosa fare, allora? Non resta che abbandonare anche solo l’idea della verità e accontentarci delle storie. In queste storie non importa chi siano gli eroi. Quello che vogliamo sapere è a chi dare la colpa». E, quasi sui titoli di coda, si sente ancora la voce di Legasov sussurrare: «Ora chiedo solo: qual è il costo delle bugie?».
Questo è forse il motivo della fine dell’utopia narrata (anche e soprattutto) da Restricted Areas. Un’utopia partorita da un mondo che rincorreva illusioni raccontandosi bugie. ■ ■
Aereo anfibio con decollo verticale VVA14. L’Urss ne ha costruiti solo due, nel 1976, uno dei quali si è schiantato durante il trasporto. Russia, area di Mosca; 2013.
«L’elenco di successi spaziali sovietici, dal 1957 al 1968, cosa c’entra con Restricted Areas? L’inventario suggerisce una domanda: come è possibile che una nazione tecnologicamente più avanti del suo diretto e accanito avversario, abbia potuto trasformare la propria eccellenza scientifica e tecnologica in un disastro apocalittico?».