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A Roma Salgado & Bourke-White
Sebastião Salgado. Amazônia; a cura di Lélia Wanick Salgado, con allestimento evocativo dei soggetti. Maxxi / Museo nazionale delle arti del XXI secolo, via Guido Reni 4a, 00196 Roma (www.maxxi.art). Fino al 13 febbraio 2022 (chiusure nei giorni festivi di Natale e Capodanno); martedì-venerdì 11,00-19,00, sabato e domenica 11,00-20,00.
di Angelo Galantini
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Per quanto coincidenti nelle date di allestimento, le due sostanziose mostre Amazônia, di Sebastião Salgado, e Prima, donna. Margaret Bourke-White fotografa hanno poco in comune tra loro, a parte la coincidenza dei rispettivi allestimenti, entrambi a Roma, fino al prossimo febbraio inoltrato.
Però, ammesso e non concesso che la frequentazione individuale della Fotografia da parte di coloro i quali ne vantano meriti, interessi e competenze, contempli anche l’acquisizione di lezioni altrui, oltre quelle coltivate in proprio, magari dalle compiacenze attraverso i social, i due appuntamenti arrivano ad avere molto in comune. Complice la concomitanza, addirittura in sincronismo, si ha tempo e modo per avvicinare con comodità temporale due tra le massime espressioni della Fotografia: in propria progettualità ideologica contemporanea (Sebastião Salgado: Amazônia) e in avvicinamento storico a un’esperienza fotogiornalistica che ha attraversato i decenni fino e oltre la Seconda guerra mondiale (Prima, donna. Margaret Bourke-White fotografa).
In questo stesso ordine.
Sebastião Salgado (Amazônia): Anavilhanas, isole boscose del Río Negro. Stato di Amazonas, Brasile (2009). In un certo senso, Roma città aperta... alla Fotografia, grazie all’impegno di Contrasto (Agenzia e casa editrice e curatore di mostre di primo piano). Fino al prossimo febbraio, due appuntamenti fondamentali e sostanziali con la Fotografia d’autore. Al contemporaneo, il progetto
&Amazônia, di Sebastião Salgado, è allestito nelle sale dell’autorevole a Roma... SALGADO
SEBASTIÃO SALGADO Dell’immenso progetto Amazônia, ne abbiamo ampiamente riferito lo scorso settembre -quando anticipammo anche l’appuntamento espositivo oggi in passerella-, a partire dalle edizioni librarie confezionate dall’intrepido editore tedesco Taschen Verlag, nel corrente 2021: sia in abito standard, sia in selettiva edizione Sumo. Riassumiamo e ripetiamo i termini distintivi della monografia Sebastião Salgado. Amazônia, con il contributo di Lélia Wanick Salgado: 528 pagine 30,8x26cm (4,29kg); 100,00 euro / edizione Sumo, 472 pagine 70x50,5cm (24,9kg), più libro aggiunto di trentadue pagine con le didascalie; leggio in acciaio 90x38,5x113,5cm (46kg), con verniciatura a polvere; 3000,00 euro.
Quindi, non ripetiamo le note allora riferite, sintetizzate da un autorevole commento giornalistico redatto dall’accreditato critico d’arte inglese Jonathan Jones per The Guardian, in Rete dallo scorso ventuno giugno.
Più concretamente, proponiamo qui la presentazione di Lélia Wanick Salgado (curatela e progetto di allestimento), pubblicata nel booklet di guida e accompagnamento alla mostra, sulle cui
Prima, donna. Margaret Bourke-White fotografa; a cura di Alessandra Mauro. Museo di Roma in Trastevere, piazza sant’Egidio 1b, 00153 Roma (www. museodiromaintraste vere.it). Fino al 22 febbraio 2022; martedì-domenica 10,00-20,00. ▶ Catalogo Prima, donna. Margaret Bourke-White; Contrastobooks, 2020; 184 pagine 24x30cm, cartonato; 35,00 euro.
Maxxi / Museo nazionale delle arti del XXI secolo, fino al tredici febbraio. La consistente retrovisione Prima, donna. Margaret Bourke-White fotografa è proposta al prestigioso Museo di Roma in Trastevere, fino al ventidue febbraio. Due fantastici incontri fotografici, in simultanea, da
&non perdere, da non lasciarsi scappare. Ammesso e non concesso che... BOURKE-WHITE
Margaret Bourke-White: Flood Refugees, Louisville, Kentucky (1937). Rappresentazione simbolo della Depressione.
Sebastião Salgado. Amazônia, con il contributo di Lélia Wanick Salgado; Taschen Verlag, 2021; 528 pagine 30,8x26cm (4,29kg); 100,00 euro. ▶ Sebastião Salgado. Amazônia, con il contributo di Lélia Wanick Salgado; edizione Sumo; Taschen Verlag, 2021; 472 pagine 70x50,5cm (24,9kg), più libro aggiunto di trentadue pagine con le didascalie; leggio in acciaio 90x38,5x113,5cm (46kg), con verniciatura a polvere; 3000,00 euro.
Il 24 novembre 2020, le Poste Italiane hanno emesso un francobollo ordinario appartenente alla serie tematica Le eccellenze del sapere dedicato al Maxxi / Museo nazionale delle arti del XXI secolo, nel decimo anniversario della fondazione. Il bozzettista Gaetano Ieluzzo, uno dei più prolifici autori italiani di francobolli, ha raffigurato un particolare dell’avveniristico edificio museale progettato dall’architetta irachena Zaha Hadid (1950-2016). In alto, è riportato il logotipo del Museo. quaranta pagine sono anche riportate didascalie approfondite alle singole immagini allestite in esposizione.
«Una mostra fotografica è l’espressione visiva di un’idea, una rappresentazione pensata per convogliare un punto di vista. Sin dal momento della sua ideazione, attraverso la mostra
Amazônia ho voluto ricreare un ambiente nel quale il visitatore si sentisse avvolto dalla foresta e potesse immergersi sia nella sua vegetazione rigogliosa sia nella quotidianità delle popolazioni native. Oltre alle immagini, poste a diverse altezze e presentate in diverse dimensioni, la mostra si articola in spazi che ricordano le ocas, tipiche abitazioni indigene, evocando in modo vivido i piccoli e isolati insediamenti umani nel cuore della giungla.
«L’idea è di mantenere quest’area quasi completamente al buio, puntando la luce soltanto in direzione delle fotografie. Le pareti sono color grigio scuro, mentre le ocas sono dipinte con dell’ocra rossa. Dei filmati ritraggono i leader delle comunità indigene che raccontano la propria vita, i loro problemi e le proprie usanze.
«La visita è accompagnata da una traccia audio composta appositamente per la mostra da Jean-Michel Jarre e ispirata ai suoni autentici della foresta, come il fruscio degli alberi, i versi degli animali, il canto degli uccelli o il fragore dell’acqua che cade a picco dalle montagne.
«Nelle due sale di proiezione, sono presentati due temi differenti: in una è mostrato il paesaggio boschivo, le cui immagini scorrono accompagnate dal suono del poema sinfonico Erosão (Origem do Rio Amazonas), del compositore brasiliano Heitor Villa-Lobos (1887-1959); nell’altra, sono esposti alcuni ritratti di donne e uomini indigeni con in sottofondo una musica appositamente composta dal musicista brasiliano Rodolfo Stroeter (1958).
«Per quanto inverosimile possa sembrare poter pensare di riprodurre le sensazioni che si provano quando ci si trova davvero nella foresta pluviale, speriamo tuttavia venga trasmesso, quantomeno in piccola parte, l’alone di magia che permea la regione amazzonica e le sue popolazioni native, offrendo ai visitatori un’esperienza intima e profonda che possa accompagnarli anche una volta fuori dalla mostra».
Nel corso della sua vita, Sebastião Salgado ha fotografato i più splendidi e incantevoli palcoscenici che la Terra offre: minatori d’oro che strisciano come termiti sui lati fangosi di un pozzo gigante; rifugiati aggrappati alla vita in polverose lande desolate; pozzi di petrolio in fiamme nei deserti del Kuwait. Ma esplorare la regione amazzonica del suo Brasile natale, con i suoi affluenti difficili da navigare, è stata una nuova sfida. La preparazione della spedizione è stata onerosa anche dal punto di vista politico e burocratico. Tramite il Funai (Associazione Nazionale Indiana del Brasile, che supervisiona tutti i contatti tra
gli estranei e le comunità indigene), è stato chiesto alle diverse collettività se intendevano accettare un fotografo come ospite. Tutto questo per raggiungere comunità che hanno pochi contatti con il mondo esterno, o -addirittura- nessuno del tutto: in Brasile, si conteggiano più di cento gruppi tribali che non sono mai stati contattati.
I problemi dell’Amazzonia sono ben noti e urgenti: incendi, deforestazione, agricoltura invadente, costruzione di strade. Ma Sebastião Salgado rivela e mostra che c’è ancora molto per cui lottare. Con tutta la propria rapacità, il mondo moderno, ha distrutto solo «un pezzetto di periferia. Il cuore è ancora lì. Per mostrare questo luogo incontaminato, fotografo l’Amazzonia viva, non l’Amazzonia morta».
Le sue immagini di paesaggi divulgano la vastità del cuore ancora incontaminato di questa natura selvaggia. Allo stesso momento, i suoi ritratti rivelano in profondità i mondi di chi considera la Terra come linfa vitale. Posano per lui in copricapi di piume con facce dipinte, o disadorni e nudi.
SebastiãoSalgado(Amazônia): Giovani donne Suruwahá. Stato di Amazonas, Brasile (2017).
«Una mostra fotografica è l’espressione visiva di un’idea, una rappresentazione pensata per convogliare un punto di vista [...] nel quale il visitatore si sentisse avvolto dalla foresta».
La nascita del settimanale Life, il 23 novembre 1936, con illustrazione in copertina di Margaret Bourke-White, è ricordata ed evocata nel foglio Souvenir emesso dalle Poste statunitensi, il 10 settembre 1998. A fine secolo, una serie filatelica di dieci soggetti ha scandito le decadi del Novecento, per ognuna delle quali sono stati puntualizzati accadimenti significativi e fondanti... ovviamente, dal punto di vista statunitense (americanocentrico). Segnaliamo anche la presenza della celebre Migrant Mother, di Dorothea Lange (ancora al femminile), rappresentativa della Grande Depressione. MARGARET BOURKE-WHITE L’imponente retrospettiva Prima, donna. Margaret Bourke-White fotografa presenta oltre cento immagini, provenienti dall’archivio Life, che -in passo cronologico- allacciano il filo del percorso esistenziale della fotogiornalista e mostrano la sua capacità visionaria e insieme narrativa, capace di comporre “storie” fotografiche dense e folgoranti. Per ricordare una fotografa epocale: una grande donna, la sua visione e la sua vita controcorrente.
Domanda trasversale, con risposta certa. In un tempo, come è il nostro, nel quale la Fotografia manifesta tanta contemporaneità espressiva, divulgata attraverso mille e mille canali, è ancora opportuno soffermarsi sui passi della Storia, fosse anche della propria Storia? Clamorosamente, sì! Per tanti motivi, alcuni dei quali possono anche tenere conto dell’esuberanza attuale, alla quale non corrisponde sempre analoga qualità progettuale e comunicativa. Da cui, le lezioni dal Passato -per il quale ciascuno conteggi in proprio le distinzioni tra Remoto e Prossimo- sono sempre e comunque proficue sul Presente: sia di chi agisce attivamente in Fotografia, proponendosi come autore, sia per coloro i quali ne frequentano il linguaggio e i valori incisivi.
Ciò premesso, l’allestimento di una significativa e autorevole mostra di Margaret Bourke-White (1904-1971) si offre e propone come eccezionale momento di considerazione su una intensa stagione del fotogiornalismo, a cavallo della Seconda guerra mondiale, al quale la celebrata fotografa ha tanto contribuito da essere considerata tra le figure più rappresentative ed emblematiche del Novecento: dalla sua Fotografia alla Vita di ciascuno di noi.
A cura di Alessandra Mauro, la mostra Prima, donna. Margaret Bourke-White fotografa presenta e offre la Fotografia di una fotogiornalista precorritrice dell’informazione visiva e dell’immagine, che ha esplorato ogni aspetto della Fotografia: dal mondo dell’industria e dai progetti corporate fino agli ampi reportage per le testate statunitensi più rilevanti dagli anni Trenta del Novecento, del calibro di Fortune e Life, per la cui nascita, il 23 novembre 1936, firmò la copertina del numero Uno.
Ancora, inviata di guerra nel Secondo conflitto mondiale (prima corrispondente di guerra donna) e sui fronti della Storia che si andava scrivendo (primo fotografo straniero ad avere accesso in Unione Sovietica, nell’estate 1941): dove e quando realizzò intensi ritratti di Stalin, prima, e del Mahatma Gandhi, poi, avvicinato durante un reportage sulla nascita della nuova India, fotografato nel 1946, fino al Sudafrica dell’apartheid e ai problema razziali nel Sud degli Stati Uniti e al brivido delle visioni aeree di Manhattan. L’intrepida e intensa vita di Margaret Bourke-White è stata raccontata in due libri: in una morbida autobiografia, Portrait of Myself, del 1963, e nella Biografia, compilata da Vicki Goldberg,
del 1986 (in edizione italiana Serra e Riva, del successivo 1988). Tra i due testi, il secondo è più rilevante, perché -come da proprio mandato- non è compiacente in nessuno dei suoi passaggi. Allo stesso momento, a differenza di intenzioni altrove scandalistiche, non scade mai di tono e gusto.
Inoltre, valore aggiunto non secondario, la stessa Biografia è stata usata anche per la sceneggiatura di un film televisivo che in Italia è stato spesso trasmesso in seconda o terza serata da innumerevoli emittenti locali. Intitolato alternativamente Il coraggio di Margaret, più spesso, oppure Margaret Bourke-White, una donna speciale, più raramente, è un film sostanzialmente fedele al testo di riferimento: regia di Lawrence Schiller (Central Independent Television; Usa, 1989); in originale, Double Exposure: The Story of Margaret Bourke-White.
E ciò è effettivamente: la storia della celeberrima fotoreporter di Life, così come è stata benevolmente raccontata nel testo di Vicki Goldberg, sceneggiato da Marjorie David.
Margaret Bourke-White: Gandhi, Pune (1946).
Francobollo del Mozambico del 30 novembre 2009.
BOURKE-WHITE BAMBOLA DI CARTA
Autentica testimone del Novecento, con l’onore della copertina del numero Uno di Life, Margaret Bourke-White è stata una fotoreporter di spicco di una luminosa stagione del fotogiornalismo internazionale. E su questo siamo tutti d’accordo: tanto che ogni ulteriore osservazione al proposito sarebbe soltanto ridondante ripetizione.
In aggiunta, segnaliamo una vicenda curiosa: una sagoma personalizzata di Margaret Bourke-White, ripresa da Notable American Women, della collana Paper Dolls dell’editore statunitense Dover, pubblicato nel 1989. È esplicito: bambole di carta da ritagliare, proposte in duplice abbigliamento. Ovviamente, nella raccolta, la fotogiornalista è in buona compagnia.
La bambola di carta di Margaret Bourke-White scandisce due tempi significativi della sua personalità, che pertanto deve essere nota anche al grande pubblico statunitense. Da una parte, abbiamo una distinta signora a passeggio, con macchina fotografica tra le mani; dall’altra, una professionista bardata per una missione fotografica a bordo di un aereo militare, nel 1943 (fatto reale, ripreso da un suo ritratto fotografico; qui sotto, a destra). In entrambi i casi, sottolineiamo proprio l’eleganza dei due abbigliamenti.
Del resto, sappiamo bene come Margaret Bourke-White fosse una donna ricercata, tanto da essere considerata tra le dieci donne americane più eleganti della propria epoca (ed è per questo che sta sulle pagine del fascicolo sul quale l’abbiamo individuata). Nella Biografia compilata da Vicki Goldberg, pubblicata in Italia da Serra e Riva Editori, nel 1988, leggiamo che la fotografa «era perfettamente consapevole di dover vendere anche se stessa insieme alle sue fotografie». Pertanto, «si preoccupava del suo aspetto esteriore come il curatore di una mostra itinerante. Gli abiti divennero un passaporto e un sostegno al contempo». Tanto che «Margaret si fece un abito viola e un panno in velluto dello stesso colore per la macchina fotografica, di modo che quando cacciava la testa sotto il panno per scattare, la scenografia rispettava i canoni dell’abbinamento cromatico. Soddisfatta di tanta eleganza, preparò altri due panni: uno azzurro da coordinare con guanti e cappello e uno nero per gli accessori rossi». Così è.
Dalla fantasia a una testimonianza di “vita vera” in racconto cinematografico. Per la figura professionale di Margaret Bourke-White si ricorda la sua partecipazione complementare nel film Gandhi, di Richard Attenborough, del 1982, nell’interpretazione di Candice Bergen.
L’episodio visualizzato nel film è storico. Nel 1946, due anni prima del suo assassinio, quando il Mahatma aveva attirato l’attenzione internazionale, la fotoreporter statunitense fu inviata da Life in India. Celeberrimo è il ritratto con l’arcolaio compreso nell’inquadratura orizzontale [a pagina 36]. Quell’incontro è ben descritto nella Biografia della fotografa, scritta da Vicki Goldberg, pubblicata in Italia da Serra e Riva Editori, nel 1988. Se vero, l’episodio è affascinante.
«Non appena Gandhi prese a filare, Margaret usò uno dei suoi tre flash. Ma il lampo venne ritardato dal caldo umido. Non rimanendole che due soli flash, Margaret decise di usare la macchina con il treppiedi. Anche quest’ultimo, tuttavia, si rifiutò di collaborare: una gamba si bloccò all’altezza minima e un’altra alla massima. Dopo aver controllato attentamente il secondo flash, Margaret scattò a questo punto un’altra istantanea. Funzionò tutto a meraviglia. Solo che aveva scordato di caricare la macchina. Fortunatamente, l’ultima fotografia riuscì».
Nel 1988, Serra e Riva Editori hanno pubblicato Margaret Bourke-White. Una biografia, di Vicki Goldberg. Questo testo ha offerto la base per la sceneggiatura del film-biografia Double Exposure: The Story of Margaret Bourke-White, del 1989, diretto da Lawrence Schiller, con l’attrice Farrah Fawcett nei panni della fotografa. Ne possiamo registrare solo casuali passaggi televisivi in emittenti minori. Tanto che non esiste Dvd, e la sola testimonianza fisica è in videocassetta Vhs statunitense.
A completamento, richiamiamo anche un altro testo analogo: Portrait of Myself, che sottotitola e specifica The Autobiography of Margaret Bourke-White (in edizione G.K. Hall & Co, del 1985, sull’originaria del 1963).
Torniamo alla mostra in soggetto e concludiamo. L’allestimento scenico di Prima, donna. Margaret Bourke-White fotografa scandisce oltre cento immagini, provenienti dall’archivio Life, divise in dieci serie tematiche, che -in passo cronologico- allacciano il filo del percorso esistenziale della fotogiornalista e mostrano la sua capacità visionaria e insieme narrativa, capace di comporre “storie” fotografiche dense e folgoranti. Ogni serie di fotografie è associata a documenti personali, in modo da far scorrere in parallelo la sua carriera di fotografa con la sua esistenza privata: dal numero Uno di Life, appena menzionato, alle fotografie della Seconda guerra mondiale, ai ritratti dei protagonisti del Novecento, alla letteratura (in primis, Erskine Caldwell, suo secondo marito, sposato nel 1939), fino a importanti collaborazioni con altri fotografi, come Alfred Eisenstaedt e Lee Miller.
Lezione dal Passato. ■ ■
Margaret Bourke-White: Buchenwald (1945).
Francobollo statunitense del 2 settembre 1995 [anche a pagina 63].