Basic Design 1+2 - ISIA Firenze A.A. 2019/2020 - Chiara Ceruti - Doc. Francesco Fumelli

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NOT SO BASIC A.A. 2019-2020 ISIA Firenze Primo corso Basic Design (1, 2 e Informatica) Docente Francesco Fumelli Chiara Ceruti


P

A F RE

N O I Z

E

“Essere solenni è facile. Essere seri è difficile. I bambini iniziano sempre con l’essere seri, che è la cosa che li rende così piacevoli rispetto alla classe degli adulti. Gli adulti, nel complesso, sono solenni. In politica, i rari candidati seri, come Adlai Stevenson, sono spesso battuti da candidati solenni, come Eisenhower. Il motivo è che per molte persone è difficile riconoscere la serietà, che è rara, mentre risulta loro più facile sostenere la solennità che è più comune.(...) Ora, quando applico la definizione di Russel Baker di solennità e serietà al design, non è tanto in termini di qualità dei risultati. Il design solenne è spesso molto importante ed efficace. Il design solenne è anche socialmente corretto ed è accettato da appropriati fruitori. E’ la cosa che i designer “benpensanti” e i loro clienti cercano. Il design serio, il gioco serio, è un’altra cosa. Da una parte, spesso esce fuori spontaneamente, intuitivamente, per caso o per fortuna Lo si raggiunge per ingenuità o arroganza per egoismo, o talvolta per disinteresse. Ma il più delle volte, si ottiene grazie a quelle parti folli del comportamento umano che non hanno molto senso.

Il design serio è imperfetto. È fatto da quelle regole artigianali che nascono dalle “prime volte”.Il design serio - spesso - non ha successo dal punto di vista della solennità. Il motivo è che l’arte del gioco serio è fatta di invenzione, cambiamento, ribellione - non di perfezione. E’ il gioco solenne che genera la perfezione.” Paula Scher 3



I N T ROD La rivista “NOT SO BASIC”, illustra il programma del primo e del secondo semestre dell’anno accademico 2019/2020, del corso di Basic Design. Il basic design è la disciplina che getta le fondamenta per una corretta progettazione in ambito di design. Si parla per la prima volta di basic design in termini didattici nelle scuole tedesche di Ulm, Hochschule für Gestaltung e la Bauhaus di Weimar, come psicologia della Gestalt, dove la parola tedesca Gestalt significa forma, schema, rappresentazione. E’ il pensiero teorico e metodologico che le sta alla base della progettazione, dove convergono ricerca formale ed espressiva col progetto

UZION

e la propedeutica dello stesso. Uno dei principi di base di questa disciplina è che l’estetica diventa una conseguenza del buon progetto, il basic design, in sostanza, tramite un insieme di concetti teorici mette in equilibrio e fa interagire forma e funzione negli oggetti. Racchiusa in una rivista e sviluppata in 12 capitoli. I primi due capitoli della rivista spiegano la concezione della rivista e le lezioni, tenute dal Professore Francesco Fumelli affrontate durante il corso, con i seguenti approfondimenti sugli argomenti tenuti dallo studente. 5

E

A seguire vengono illustrate le esercitazioni con un capitolo dedicato alle esercitazioni del corso di elementi di informatica, realizzati con i software di grafica 2D. Basic 2 viene differenziato dal colore nero sia nell’indice che nell’introduzione dei capitoli.


I

E C I ND

1

2 IO E LEZ D E H SC 2

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Pag. 2

TANGRAM.

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TA .

0 Pag. 1

3 Pag. 44

MA RC HI E LO GH I. Pa g. 60

LA COPERTA DI LINUS. Pag. 54

AM BIG UE PE RC EZ ION I. Pag . 106


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ERRORI DI PROGETTO . P a g . 11 6

9 KI RI GA MI . Pa g. 13 6

8 IN F O R M AT

IC A .

Pag. 124

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LE CI TTA’ IN VI SI BI LI . Pa g. 15 2

11 12 PANCA . Pag. 168

READY MADE. Pag. 182


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R A L a.

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1. COS’ E’ UNA RIVISTA L’impaginazione grafica di una rivista può essere interpretata in modo molto differente a seconda dell’argomento che viene trattato e del tipo di pubblico alla quale è diretta, infatti la grafica di un magazine che si occupa di società e costume dovrà essere necessariamente interpretata in modo più vivace, colorato e vario rispetto all’impostazione che si può dare a una rivista di carattere scientifico. Molto importante, in tutti i casi, è la sensibilità estetica del grafico perché dovrà gestire il materiale fornito dal cliente nel migliore dei modi, realizzando un prodotto che sia facilmente fruibile dal lettore e che soddisfi pienamente le richieste della committenza. Definire quali elementi caratterizzano la rivista, quali sono le sue rubriche, quale scopo intende raggiungerlo, influisce in modo determinante nella fase di ideazione e impaginazione del periodico. In editoria, l’impaginazione è la modalità con cui un giornale viene organizzato plasticamente o armonicamente. È il procedimento che mira ad assemblare testo e immagini al fine di realizzare un prodotto editoriale (giornale, rivista, dépliant o anche una pagina web). L’impaginazione di un periodico necessita di standard predefiniti per garantire uniformità alla testata: questo permette di rendere riconoscibile il singolo periodico ed offre un orientamento facilitato al lettore. Per esempio, importanti elementi d’impaginazione sono: la testata, il titolo, il riquadro, il trafiletto e la didascalia.

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2. SUPPORTO 260 mm

245 mm

Il formato scelto, 260x245 mm, contrasta la verticalità classica del formato A4, 210x297 mm, offrendo all’impaginazione una percezione di orizzontalità data dalla sua tendenza alla forma quadrata. Sono mostrate di fianco alla rappresentazione della pagina singola le dimensioni delle due pagine affiancate del formato impiegato. Il supporto cartaceo scelto per il progetto si compone di un Uso Mano a 120 gr per le pa- gine interne mentre la copertina, della stessa tipologia di carta è realizzata in grammatura a 250 gr. La scelta è ricaduta dunque su una tipologia di carta opaca e comune per attri- buire alla rivista un carattere semplice e non troppo pesante.

520 mm

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3.1 GRIGLIE

Una griglia, o gabbia, è, sostanzialmente, una suddivisione dello spazio di lavoro tramite linee verticali ed orizzontali volta ad organizzare gli spazi e delimitare gli elementi che andranno a comporre un progetto. Le griglie soddisfano i bisogni estetici, rispetta le leggi della forma e le esigenze dello spazio bidimensionale. Tramite la griglia che ho costruito ho creato tre mastro: 1- una che ho utilizzato per il secondo capitolo che richiedeva piĂš spazio peri testi, 2-una che invece valorizza maggiormente le immagini, 3- un’altra che invece fa convivere armoniosamente sia i testi che le immagini. Nella pagina accanto vediamo anche un esmpio di impaginazione a doppia pagina.

1. 12


2.

3.

esempio.

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3.2 ESEMPI

Esempi delle tre mastro prese dal secondo capitolo “SCHEDE LEZIONE”.

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4. CARATTERI

Il carattere che ho scelto per la rivista è solo e soltanto Helvetica. Ho utilizzato il font nei suoi diversi pesi e dimensioni:

TITOLETTI: Helvetica Bold, 35pt Testo: Helvetica regular, 10 pt

Didascalie: Helvetica oblique, 8 pt

Il grande contrasto che c’è tra il titoletto e il testo è voluto per esprimere il contenuto nella maniera più potente e forte possibile. La differenza di scala infatti conferisce grande forza visiva. Anche la copertina della rivista presente nella pagina dopo contiene il font Helvetica, deformato in lungo e largo.

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5. COPERTINA

La copertina è ispirata a uno dei tanti lavori fatti da Paula Scher, graphic designer di successo, per il Public Theatre. Il manifesto originale presentava uno spettacolo teatrale con scritto i nomi dei suoi attori e collaboratori. In questo caso invece presento la mia rivista di Basic Design intitolata “NOT SO BASIC” che comprende sia il programma di Basic 1 e informatica che di Basic 2. Nella copertina vengono anche inseriti quegli elementi richiesti per l’identificazione quindi nome e cognome. Il nome della rivista gioca sul significato della parola “basic”, in italiano “di base”, “fondamentale” ma anche “elementare”; nella materia del design nulla è elementare e semplice, ogni oggetto di design, elaborato digitale, testo scritto, nasconde un grande impegno e un grande sforzo per comprendere, riflettere e rielaborare la nostra personale visione delle cose. Nella pagina accanto è possibile vedere il manifesto a cui mi sono ispirata. Come si può notare, i colori utilizzati da Paula sono i colori primari tra i quali ho deciso di mantenere il rosso.

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6. INDICE Anche l’indice si ispira al manifesto di cui ho parlato e mostrato prima. Tramite la griglia di base ho costruito e disegnato le linee in pendenze diverse sempre rispettando la struttura. Da una struttura rigida e impostata è possibile creare qualcosa di completamnete diverso, giocando con lo spazio e la percezione dello stesso. Per distinguere il programma di Basic 2 da Basic 1 ho utilizzato un tracciato con riempimento nero.

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7. INIZIO CAPITOLO

Le copertine di inizio capitolo si ispirano ad un altro lavoro di Paula Scher ovvero alla serie dei suoi poster realizzati nel 2011 per il Type Directors Club. Sono dei poster che raffigurano dei poliggoni concentrici dei quali si conosce il loro perimetro, allungati e appiattiti.

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1. COS’ E’ UN FONT? I caratteri sono, nella grafica, nella tipografia e nell’editoria, come i mattoni nell’architettura, gli atomi nella fisica o i numeri nella matematica. Sono, insomma, la base della materia grafica.Un insieme di caratteri studiati in modo coerente e secondo gli stessi principi formali, forma un carattere tipografico, il cui file viene chiamato font.

CARATTERI, CARATTERI TIPOGRAFICI E GLIFI Il carattere è una lettera, un segno di interpunzione o un simbolo, per esempio la lettera “A” è un carattere. Questo carattere a sua volta può essere composto da diversi glifi, come A, a, a o à, che saranno quindi glifi dello stesso carattere e dello stesso carattere tipografico. L’insieme di tutti i caratteri e glifi dell’alfabeto latino progettati secondo la stessa coerenza visiva e di significato, prende il nome di carattere tipografico. Ed è qui che in Italiano nascono le incomprensioni.

FONT

Font è un’altra cosa: font è il mezzo che permette di applicare un carattere. Ovvero: mentre Garamond è un carattere, il file garamond_semibold.otf è un font. Per esmpio se il carattere fosse una canzone, il font sarebbe il file .mp3 che ci permetterebbe di ascoltarla. È sbagliato quindi dire “Senti che ritornello questo mp3!”, mentre è più corretto dire “Senti che ritornello questa canzone!”. Utilizzare quindi spesso la parola “font” al posto di carattere, è un errore figlio dell’era digitale: confondere il software (mezzo) con il suo scopo (fine).

Perché si dice “font”? Molti pensano che font sia un termine di origine inglese ma, in realtà la sua origine è francese. È infatti la trasposizione inglese del termine “fonte”, del francese medievale. Questa parola, che si pronunciava proprio Inclinazione “font” (in francese la e finale viene troncata e non pronunciata) originariamente significava Peso “fuso”. La radice latina della Larghezza

Tondo Chiaro 22Stretto

parola è la stessa del verbo italiano”fondere”. Il riferimento è proprio alla macchina a caratteri mobili di Gutenberg che ricavava i caratteri, appunto, dalla fusione del metallo.La parola font venne quindi importata in Inghilterra dove si diffuse in tutti i paesi anglofoni e da lì a tutto il mondo nel corso dell’ultimo secolo.

Corsivo Nero Largo


Occhio medio

AAphx Discendente

Maiuscolo

Maiuscoletto

A A AAphx Asta principale

Asta secondaria

LE VARIANTI DI UN FONT. Come detto, un font è un file e ad ogni file corrisponde un carattere tipografico in cui sono inseriti tutti i glifi che sono stati progettati in modo che funzioni insieme, come un corpo unico. Generalmente, i file dei font sono raggruppati in delle famiglie di font, dove ci sono delle varianti del carattere tipografico originario. Le varianti principali sono queste: 1- le versioni “normali”, generalmente chiamate Roman o Regular; 2- tutte le varianti di peso (cioè lo spessore del carattere) che possono andare da quelle più sottili (Light, Thin, Extra-Light, ecc) a quelle più spesse (Bold, Black, Extra-Bold, Ultra, ecc);

Miuscolo

Ascendente

Occhio medio

Grazia

Maiuscolo

Asta secondaria

Maiuscoletto

Discendente

A A Asta principale

Grazia

4- l’obliquo, o oblique, è invece la variante inclinata, senza alcuna modifica estetica e funzionale, del font normale;

Inclinazione

5- le versioni compresse (Condensed) e allargate (Extended). Anche qui, non si tratta di un semplice font normale “stretchato” ma proprio di un diverso font, progettato perché sia più largo o più stretto.

Peso

Larghezza

Senza grazia

Miuscolo

Asse verticale

3- il corsivo, o italic, che è proprio un font diverso, progettato con scelte ottiche ed estetiche diverse (non è semplicemente un font Regular inclinato). Anche i font corsivi hanno le loro varianti di peso (Bold Italic, Light Italic, ecc);

Corpo

Asse inclinato

Senza grazia

Tondo Chiaro Stretto

Asse verticale

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Asse inclinato

Corsivo Nero Largo

Corpo


2. LA STORIA Storicamente i tipi di carattere venivano fabbricati in dimensioni ben definite e di qualità. Lo stile di un dato carattere teneva conto di tutti questi fattori. In seguito, a causa della maggiore disponibilità di stili e delle maggiori richieste degli stampatori, dei tipi di specifico peso (quanto scuro appare il testo, neretto, grassetto, normale, leggero...) e con specifiche condizioni aggiuntive (“regolare”, contrapposto a “corsivo” o “condensato”) hanno portato alla definizione di famiglie o tipi di caratteri, raccolte di stili tra loro collegati, che possono includere anche moltissime varianti. Gli stampatori anglofoni hanno utilizzato il termine “fount” per secoli riferendosi al dispositivo utilizzato all’epoca per assemblare la stampa in una particolare dimensione e stile. Le fonderie di caratteri colavano ogni carattere in varie leghe di piombo fin dal 1450. Nel 1890 emerse la composizione meccanizzata che fondeva al momento i caratteri direttamente in linee della corretta dimensione e lunghezza, secondo necessità. Questa tecnologia rimase diffusa e proficua fino agli anni settanta. Dopo ci fu un periodo di breve transizione (circa 1950 -1990) in cui la tecnologia fotografica, fotocomposizione, permetteva la corretta distribuzione dell’inchiostro. I sistemi di fotocomposizione manuali che utilizzavano caratteri su pellicola in rullo permettevano per la prima volta una spaziatura di precisione fra i caratteri senza grandi sforzi. Questo diede luce ad una grande industria di produzione dei tipi di carattere negli anni sessanta e settanta.

La macchina per la stampa a caratteri mobili inventata da Gutenberg nel 1455.

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Nella metà degli anni settanta erano in uso tutte le maggiori tecnologie tipografiche, ed i loro tipi di carattere, dal processo originale in pressa di Johann Gutenberg. Dalla metà degli anni ottanta, data l’avanzata della tipografia digitale, è stata universalmente adottata la grafia americana font, che oggi quasi sempre indica un file contenente le sagome scalabili dei caratteri, generalmente in un qualche formato comune. I tipi di carattere digitali possono codificare l’immagine di ciascun carattere o come bitmap o con una descrizione di livello superiore delle linee che racchiudono uno spazio. Lo spazio definito dalla sagoma di un carattere è poi riempito da un “rasterizzatore” che decide quali pixel sono “neri” e quali “bianchi”. Oggi i caratteri digitali contengono anche dati rappresentanti la tipografia utilizzata per comporli, incluse le spaziature, i dati per la creazione dei caratteri accentati dai componenti, regole di sostituzione per la tipografia araba e semplici legature.

Occhio

Spalla superiore Fianco Spalla inferiore

Fusto

Corpo

Piede

I CARATTERI MOBILI L'uso dei caratteri mobili avviene sostanzialmente secondo l'antico sistema inventato da Gutenberg. Si tratta di riprodurre il testo con dei blocchetti in lega di piombo su ognuno dei quali è inciso in rilievo un segno tipografico (una lettera, un numero e così via). È comprensibile perciò che questi blocchetti, dovendo formare il testo all'interno di una pagina, debbano possedere una

forma regolare e ben precisa. Si stabilisce quindi di prendere un'unità di misura e di fare in modo che ogni variazione avvenga secondo multipli o sottomultipli di tale misura (spazi tra le lettere, altezza o larghezza delle lettere e così via). Tale unità di misura è chiamata punto tipografico o punto Didot (dal nome del tipografo francese che lo stabilì nel Settecento, François-Ambroise Didot).

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Il punto è anche chiamato piccola unità tipografica, in virtù del fatto che esiste la grande unità tipografica o riga, corrispondente a 12 punti. (pari a "4,224 mm.") La larghezza di un carattere viene perciò misurata in punti e viene chiamata corpo, ma dato che ogni carattere avrà, in generale, un'altezza diversa dagli altri, ci si riferisce all'altezza del blocchetto di piombo che lo imprime sulla carta.


3. FAMIGLIE DI CARATTERI Ogni font è composto in modo diverso, ha diverse caratteristiche, ha diverse dimensioni, ha diverse forme ed esprime diverse sensazioni. Quindi è possibile categorizzare i font in varie famiglie o categorie.

LA SUDDIVISIONE PRINCIPALE: SERIF E SANS SERIF

Occhio medio

Le due principali categorie di font sono i serif e i sans serif che in italiano detti graziati i primi e bastoni i secondi. “Serif” significa “grazia” ovvero quegli allungamenti, solitamente ortogonali, alle estremità del carattere. Vengono utilizzate per rendere il carattere più elegante, più “aggraziato”. Le grazie nascono dal cosiddetto carattere lapidario romano, una forma di scrittura di epoca latina in cui le grazie Discendente erano funzionali a una più facile incisione del carattere sulla pietra. Maiuscolo Maiuscoletto Miuscolo

AAphx

Asta secondaria

A A Asta principale

Grazia

Senza grazia

Ascendente

Corpo

LE SOTTOCATEGORIE DI SERIF

LE CATEGORIE DI SANS SERIF

Nel corso della storia della tipografia si sono sviluppati numerose sotto-famiglie di font serif. In base al periodo storico, si usavano caratteri tipografici con caratteristiche leggermente diverse. A volte dovute agli strumenti usati, altre dovute alle mode e tendenze dell’epoca. I font serif o graziati si dividono in 4 categorie storiche.

I sans serif, in italiano detti caratteri a bastoni o lineari, nascono in Inghilterra durante l’Ottocento. Nacquero parallelamente ai font Egiziani e inizialmente vennero usati con gli stessi scopi: pubblicità, industria e “per distinguersi”. Il termine “sans serif ” pare esser stato coniato dal tipografo Vincent Figgins (lo stesso a cui vine attribuita la creazione del primo font Slab Serif, l’Antique, nel 1815).

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4.1 SERIF 1. OLD STYLE Gli Old Style sono la prima categoria di caratteri serif, procedendo in ordine storico. Questa categoria è a sua volta divisa tra i Veneziani o Umanisti (come il Centaur) e i Garald o Romani antichi (come il Garamond).

Asta trasversale inclinata

VENEZIANI o UMANISTI La prima sotto-categoria dei font Veneziani aveva altezza dell’occhio del font relativamente piccola (la x-height inglese), un basso contrasto tra linee spesse e sottili, aste trasversali inclinate nella “e” minuscola e un “colore” molto scuro, inteso come l’effetto generato dalla densità di inchiostro stampato su una pagina.

Asta trasversale inclinata

Basso contrasto

Altezza dell’occhio molto piccola

Basso contrasto

GARALD o ROMANI ANTICHI I font Garalde sostituirono poi i font Veneziani/Umanisti perché garantivano una lettura più scorrevole. I Garalde sono infatti caratterizzati da un maggiore contrasto tra linee spesse e sottili e da una maggior rifinitura dei tratti, come si può notare, ad esempio, dalla presenza di grazie più dritte e appuntite, quasi cuneiformi.

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Altezza dell’occhio molto piccola


4.2 SERIF 2. TRANSIZIONALI I Transizionali, dei quali il capostipite è stato il Baskerville nel 1757, è una categoria che raggruppa font molto popolari (ma più recenti) come il Times New Roman, il Cheltenham e il Georgia. I font Transizionali furono fortemente caratterizzati dall’approccio Illuminista di rigoroso ordine. Infatti, si cercò di allontanarsi dalla scrittura manuale dando maggior precisione ai segni grafici. I Transizionali (chiamati così perché situati storicamente tra i Romani antichi e i Romani moderni) si differenziano dai romani antichi grazie a forme più geometriche, a un contrasto maggiore tra aste verticali e orizzontali, da grazie più appiattite e da un allineamento più verticale negli occhielli delle lettere.

Grazie orizzontali

Grazie orizzontali

Medio contrasto

Forme più geometriche

Medio contrasto

Forme più geometriche

3. DIDONIANI Successivamente, tra fine ‘700 ed inizio ‘800, arrivarono i “Bodoni” (che prendono nome dall’omonimo font). In inglese e francese vengono detti anche Didoniani (dal font Didot) e un po’ dappertutto sono chiamati anche Romani moderni. Proseguono nella ricerca di geometricità iniziata dai font transizionali e dal Baskerville. Hanno un passaggio molto marcato tra aste verticali e orizzontali e possiedono grazie molto fini e sottili che formano angoli retti con le aste.

Grazie perpedicolari e sottili Asse verticale Grazie perpedicolari e sottili Asse verticale

Alto contrasto

Alto contrasto

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Altezza dell’occhio molto piccola

Altezza dell’occhio molto piccola


4.3 SERIF 4. EGIZIANI Successivamente, con il diffondersi delle tecniche di stampa, i font iniziarono ad aumentare vertiginosamente e arrivarono gli Slab Serif o Egiziani (o anche Square Serif, Mechanical o Mécanes). Sono stati definiti Egiziani per un motivo piuttosto stupido: all’epoca in cui inizialmente apparvero (i primi decenni dell’800) l’antico Egitto era parecchio di moda. Fin dalla pubblicazione nel 1809 del Description de l’Égypt in seguito alle esplorazioni e scoperte di Napoleone e del suo esercito. I tipografi decisero quindi, molto semplicemente, di utilizzare un termine che all’epoca era sulla bocca di tutti. Insomma, l’hanno fatto per pubblicità. E, coincidenza, la pubblicità ha moltissimo a che fare con gli Slab Serif (o Egiziani): si sono infatti diffusi grazie alle crescenti necessità creative dell’advertising, il quale si stava sviluppando proprio in quegli anni. Sono caratterizzati da un utilizzo estremo del contrasto e dall’utilizzo di grazie perpendicolari e molto sottili, ovvero caratteristiche volte solamente a catturare l’attenzione e non a garantire leggibilità. Proprio per questi motivi furono molto criticati in quel periodo storico per aver contribuito a rovinare la buona tipografia.

Tensione verticale

Grazie perpendicolari

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Medio contrasto

(Clarendon)


5.1 SANS SERIF 1. GROTTESCHI I caratteri sans serif creati tra il Diciannovesimo secolo e i primi due decenni del Ventesimo prendono il nome, nelle classificazioni moderne, di Grotesque (Grotteschi). Il motivo di questa denominazione è derivante proprio dalla parola italiana “grottesco”, che all’epoca veniva utilizzata per indicare qualcosa di mostruoso o di aberrante, legato alle grotte e quindi all’assenza di civiltà. Questi caratteri Grotteschi, sono caratterizzati, oltre che dall’assenza di grazie, da alcune significative peculiarità: -Asse verticale delle lettere e forma tendenzialmente squadrata delle curve; -Scarso (ma presente) contrasto visivo; -Molti caratteri grotteschi hanno una G maiuscola caratterizzata da uno spuntone che genera la forma di una freccia, una g minuscola caratterizzata dalla presenza dell’occhiello inferiore e/o una R con la gamba incurvata (però non nel Franklin Gothic che uso in questo esempio).

G maiuscola a forma di freccia

Lieve contrasto

Lieve contrasto

Occhiello nella g Occhiello nella g

Alcuni font Grotteschi possono essere considerati l’Akzidenz Grotesk (1896), il Franklin Gothic (1903), il Johnston Sans (1916, quello della metropolitana di Londra) e il Gill Sans (1926). Gli ultimi due vengono spesso categorizzati anche come font Neo-Tradizionalisti o Neo-Umanisti, perché ispirati alle forme degli antichi font Umanisti, ritenuti più naturali e leggibili.

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G maiuscola a forma di freccia

Asse verticale e curve squadrate

Asse verticale e curve squadrate

Spesso incurvata

Spesso incurvata


5.2 SANS SERIF 2. NEO-GROTTESCHI Si tratta di quei font che hanno le stesse caratteristiche dei font grotteschi di fine ‘800 ma sono sviluppati a partire dal Secondo Dopoguerra, rispondendo alle esigenze del moderno graphic design e del crescente mondo digitale. Gli esempi più famosi sono l’Univers e l’Helvetica (entrambi degli anni ’50 e svizzeri). Questi font si distinguono dai classici Grotteschi per alcuni dettagli come una maggior geometricità, una g minuscola senza l’occhiello inferiore e la presenza di numerose varianti di peso, strutturate all’interno di una famiglia di font.

3. GEOMETRICI In quegli stessi anni (anni ’20 e ’30 del Novecento), assieme a quei caratteri sans serif “Neo tradizionalisti”, come il Gill Sans e il Johnston Sans, nascono anche i sans serif “Geometrici”, spinti dalle rivoluzioni artistiche nate attorno alla scuola del Bauhaus e a movimenti come il De Stijl olandese. Tra tutti i caratteri geometrici, non si può non citare il più famoso di tutti, quello che, ancora oggi, è tra i caratteri più amati: il Futura, del tedesco Paul Renner. Il Futura viene creato nel 1928 ed è considerato il capostipite dei caratteri sans serif geometrici. Infatti, è basato sulle tre forme geometriche di base: il cerchio, il quadrato e il triangolo.

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5.3 ALTRI FONT I CARATTERI GOTICI La stampa a caratteri mobili fu inventata in Germania da Johannes Gutenberg e, infatti, le prime lettere stampate sulla Bibbia di Gutenberg erano le “Blackletter” ovvero quelle di stile Gotico. Esistono tre diverse categorie di font di stile Gotico: - I Textura (o Old English) assomigliano maggiormente alla calligrafia usata nella copiatura manuale dei libri. È la tipologia usata da Gutenberg nel 1455. - I Schwabacher, usati in Germania dal 1480 al 1530, e rimasero in uso occasionalmente fino al XX secolo. - I Fraktur, ovvero i più utilizzati e frequenti. Venne creata quando, nel 1513, l’imperatore Massimiliano I preparò una serie di libri e fece creare il nuovo carattere appositamente. Gli stampatori tedeschi utilizzarono i caratteri Fraktur come metodo principale di stampa fino al veto nazista del 1942.

I FONT SCRIPT O INFORMALI

Si tratta di caratteri che sostanzialmente simulano la calligrafia e la scrittura manuale, in vari modalità diverse.

I FONT FANTASIA O ORIGINALI

Questa categoria raduna tutti quei font in cui ci sono caratteri che ricordano particolari oggetti, come ad esempio il font usato per i libri e i film di Harry Potter in cui le lettere ricordano le saette.

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6.1 HELVETICA Con la sua personalità asettica ed essenziale, Helvetica evoca la classe degli anni ’60 e il linguaggio della pubblicità di quel periodo. Questa font ha 5 caratteristiche distintive: è neutrale, pulita, leggibile, versatile e soprattutto è sempre aperta alle interpretazioni del contesto.

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6.2 LA STORIA Siamo nel 1800 e un anonimo designer realizza un carattere senza grazie chiamato Grotesk. Fu riprodotto dai progettisti del diciannovesimo secolo che iniziano a usare questi caratteri impattanti e robusti per le scritte delle insegne informative. Nel 1896 nasce l’Akzindenz Grotesk, uno dei primi lowercase, che si fece subito notare perchè delicato e leggibile, prodotto in 4 diversi pesi. Il boss della fonderia Haas decise che quel font così naturale, l’Akzindenz Grotesk avesse bisogno di essere rilavorato per il nuovo secolo e così nel 1956 Edouard Hoffmann, il capo della Haas Type Foundry, incaricò il freelance Max Miedinger di ideare un set di caratteri senza grazie per una nuova linea tipografica. Max Miedinger disegna questo nuovo carattere in un anno. Appena nato, nel 1957, il carattere si sarebbe dovuto chiamare Neue Haas Grotesk. Ma nel 1960 venne ribattezzato Helvetica (derivato da Helvetia, Svizzera in latino) per dargli un twist sul mercato internazionale. Il nome è pensato proprio per evocare l’avanguardia della Swiss Technology, fenomeno super cool per l’epoca: le agenzie e i designer di tutto il mondo vedevano l’Helvetica come il font che rifletteva le tendenze industriali del tempo. L’idea stessa di progettare un carattere come Helvetica andava verso una cruciale espressione idealizzata del modernismo. Nel 1957 furono rilasciati tre typefaces neo-grotesqu: Neue Haas Grotesk di Eduard Hoffmann e Max Miedinger, Univers di Adrian Frutiger, e il Folio di Konrad F. Bauer e Walter Baum.

Akzidenz Grotesk in una pubblicità della Volkswagen (1961)

Quando la tedesca Linotype introdusse sul mercato la serie completa, nel ’61 l’esplosione fu planetaria: introdotto negli anni della rivoluzione del lettering, fu scelto dalle grandi agenzie pubblicitarie; in poco tempo l’Helvetica iniziò a comparire nei corporate brand, nella segnaletica, nelle stampe d’arte, nelle clip video ed in altri innumerevoli campi della comunicazione visiva. Forte di questo successo Li-

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Neue Haas Grotesk (Helvetica) in una pubblicità della Coca-Cola (1969–74)

notype pubblica Helvetica Neue nel 1983, con pesi indicati da due cifre, ab, dove a va da 2 a 9 (ultra chiaro a nero), e b da 3 a 7 (esteso a condensato) esempio: 75 è Bold Regular . Nel 1983 furono prodotti in totale 51 pesi. A consacrare definitivamente l’Helvetica fu Apple, che nel 1984 lo include tra i caratteri di sistema Macintosh, permettendo la diffusione anche nella grafica digitale.


Quello spazio negativo che sta bene con tutto Helvetica è un sans serif gotico. E’ un carattere con molte particolarità: ha tanto spazio negativo (il bianco) che circonda le lettere quanto quello delle linee che compongono i caratteri. Lo spazio negativo contenute all’interno della “a” minuscola assomiglia molto a una lacrima. I caratteri Helvetica si sviluppano sempre in verticale o orizzontale, ma mai in diagonale. Helvetica ha una personalità decisa e non intacca la fotografia ne l’illustrazione se usato in compagnia. Il font Helvetica è oggetto di parecchi libri che ne raccontano la storia che è stata persino celebrata dal MOMA di New York. Inoltre è soggetto di un famoso film documentario intitolato “Helvetica” diretto da Gary Hustwit in cui partecipa anche Paula Scher (graphic designer americana a cui si ispira la rivista)

“ ...dittatura Helvetica...” Nel documentario Paula Scher parla della cultura aziendale impregnata del celebre carattere tipografico e della sua reazione a questa “dittatura Helvetica”. “Si iniza a fare grafica in un certo momento della storia ma senza essere davvero consapevoli che si è in un certo contesto, e spesso, non si ha il senso di cosa c’è prima di te, come ci si è arrivati e certa-

Una tavola dello specimen dell’Helvetica di Max Miedinger

mente, non si sa cosa ci sarà dopo. Quando entrai alla Tyler School of Art, quello che mi colpì fu che esistevano due culture della grafica, separate. Una era la cultura aziendale e quello era il linguaggio visivo che usavano le grandi aziende. A quel tempo c’era dappertutto l’Helvetica, si assomigliavano tutti e a me sembravano un po’ fascisti. Erano puliti ordinati, mi ricordavano di rimettere in ordine la mia

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stanza. Mi pareva che questa fosse una specie di complotto da parte di mia madre per rimettere in ordine la casa e che tutta la mia ribellione di adolescente casinista, stesse vendicandosi nella forma dell’Helvetica e io dovevo combatterlo. Ero anche moralmente contro l’Helvetica perchè consideravo tutte quelle grandi aziende che erano coperte di Helvetica come finanziatori della guerra in Vietnam.”


7.1 PAULA SCHER Paula scher ha studiato alla Tyler School of Art di Philadelphia ed ha iniziato la sua carriera di progettista grafica negli anni ‘70 come art director di copertine di dischi alla Atlantic e alla CBS Records. Nel 1984 è co-fondatrice dello studio Koppel & Scher e nel 1991 entra a far parte dello studio Pentagram. Paula è membro dell’Istituto Americano di Arti Grafiche (AIGA) da cui, nel 2001 ha ricevuto la prestigiosa Medaglia AIGA in riconoscimento del suo successo e del contributo nel campo della grafica. Nel 2002 la Princeton Architectural Press ha pubblicato una monografia sulla sua carriera “Make It Bigger”. Paula Scher progetta con le lettere, comunica con i tipi. Osservare la sua produzione, libera e variabile richiama, senza perdere in originalità, opere di grandi protagonisti della comunicazione visiva.

Paula Scher, Manifesto in onore del centesimo anniversario della morte di Toulose-Lautrec, 2001

Touluse-Lautrec, Jane Avril, 1896

“ I caratteri hanno uno spirito” “Quando ero al Tyler volevo diventare illustratrice. Avevo un insegnante di nome Stanislaw Zagorski e non ho mai avuto idea di come usare la tipografia nei miei progetti. Facevamo copertine di libri e di album musicali come progetti scolastici e andavamo al negozio artistico del luogo o da Sam Flaax e compravo i trasfe-

ribili dell’Helvetica e li usavo in un angolo dell’album nel modo che mi sembrava più giusto, una specie di allineamento a sinistra e ovviamente non era mai allineato per bene e il tutto risultava un po’ buttato lì ed era terribile. Zagorski allora mi disse di smetterla con i trasferibili e di fare i caratteri a mano, illustrati. Non mi era mai

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venuto in mente che la tipografia potesse avere una personalità come poteva averla un’illustrazione. Realizzai che i caratteri hanno uno spirito e possono comunicare uno stato d’animo e che possono essere il tuo medium con un gusto particolare, un gusto forte che riesce ad esprimere ogni cosa.”


7.2 PAROLE IN LIBERTA’ Paula raccoglie la lezione futurista. Lo spazio della pagina scardinato è il palcoscenico della nuova comunicazione. tra le avanguardie artistiche la riflessione del futurismo incise con forza nel settore della grafica attraverso una serie di opere e indicazioni non sistematiche, che travolsero l’assetto tradizionale della comunicazione visiva e aprirono la strada alla grafica moderna. La produzione pittorica colse le implicazioni che la vertiginosa accellerazione del tempo della vita moderna con i suo ritmi dinamici derivati dalla meccanizzazione comportavano e li tradusse nel concetto di simultaneità: la struttura statica dello spazio tradizionale composta secondo i fondamenti della geometria euclidea è annullata e reinventata in una raffigurazione sintetica, sospesa nell’attimo della percezione. Con le sue sproporzioni tipografiche, analogie disegnate, l’utilizzo di diversi colori d’inchiostro e l’impegno di “anche 20 caratteri tipografici se occorre” il futurismo portò una rivoluzione tipografica. Le composizioni di Paula sono allo stesso modo caratterizzate da un forte dinamismo. L’sservatore è posto al centro della pagina, il paragone con la composizione di Carlo Carrà parla da solo. L’immagine coordinata per il Public Theatre fu disegnata per essere estremamente forte, visibile e urbana. Paula sfrutta la possibilità di disegnare a mano caratteri e di distorcere i caratteri digitali per plasmarli in immagini rumorose.

Paula Scher, Noise Funk, Public Theatre, 1996 Carlo Carrà, Composizione grafica, 1914

La serie per il musical rap “Bring in ‘Da Noise, Bring in ‘Da Funk” realizzata nel 1996 combina immagini fotografiche ed un linguaggio tipografico in modo estremamente libero nello spazio. Ne risultano una serie di manifesti con parole libere e sproporzioni tipografiche, affissi nella frenetica New York.

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Manifesto di Bring in ‘Da Noise, Bring in ‘Da Funk nella città di New York, Public Theatre, 1996

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Manifesto di Bring in ‘Da Noise, Bring in ‘Da Funk nella città di New York, Public Theatre, 1996

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7.3 ESPRESSIVITA’ TIPOGRAFICA

Uno stile tipografico espressivo e flessibile contraddistingue Paula Scher. La sua cultura tipografica fa di lei una progettista capace di interpretare sapientemente gli stili del passato. Ne è esempio “Great Beginnins”, un libro di piccolo formato interamente tipografico realizzato nel 1984 incollaborazione con Terry Koppel. Il libro raccoglie paragrafi iniziali di famosi racconti dove la scelta dei caratteri e l’impaginazione riprendono lo stile del periodo in cui questi sono stati scritti. Il libretto, stampato in due colori, venne spedito a potenziali clienti come promozione del lavoro delle due designer. Nella pagina a fianco la “Metamorfosi” scritto da Franz Kafka nel 1919 e “Delitto e castigo” di Fedor Dostoevskji impaginate secondo lo stile avanguardista russo: forte impatto visivo, forme geometriche, triade cromatica, composizione obliqua. Della lezione costruttivista rimangono i segni nella produzione della designer americana.

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Paula Scher, Paula Scher: 10 years of rock n’ roll design, Chicago, Society of typographic arts, 1983

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3


3

M A R G N A T

.44

pag

.45

pag

.46

pag

am.

ngr a t l ’è i . Cos oria t . s a ioni z a 1. L ens io. y. s h o e p n L o o 2. ilos ta s h s P e u 3. Q gram n a yT 4. M

.48

pag

.49

pag


COS’ E’ IL TANGRAM.

Il tangram e’ un gioco millenario di origine cinese. La maggior parte degli esperti ritiene che questa parola sia derivata dall’unione della parola “tan”, che significa “cinese”, e “gram” che significa “immagine”.Il tangram è ottenuto dalla scomposizione di una tavoletta di forma quadrata in sette forme geometriche: cinque triangoli, un quadrato ed un parallelogramma. Il tangram e’ conosciuto come “le sette pietre della saggezza” perche’ si diceva che la padronanza di questo gioco fosse la chiave per ottenere saggezza e talento; sicuramente per giocarci occorre riflessione. L’uso del Tangram richiede capacità di osservazione, di semplificazione e stilizzazione delle forme conosciute, di riconoscimento di simmetrie. Il tangram-design consiste nel cercare di formare delle sagome riconoscibili (animali, persone, oggetti) usando tutti e sette i pezzi attraverso traslazione, rotazione e ribaltamento. A seguire tre esercitazioni con l’uso del tangram.

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1. LA STORIA

In un formato A4 verticale e partendo da un tangram tradizionale (a fianco), provare a definire una storia dove dei personaggi costruiti ognuno con tutti i pezzi del tangram (le 7 parti per ogni figura) compongano una storia di fantasia. Ăˆ possibile delimitare l’area come fosse un fumetto ma non è possibile utilizzare colori o testo. Tutte le forme devono essere del medesimo colore o nero, o grigio.

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2. LE SENSAZIONI

Con queste istruzioni costruire delle tavole grafiche che restituiscano queste sensazioni:

STABILITA’, BILANCIAMENTO “L’equilibrista”

In un formato A4 verticale e partendo da un tangram tradizionale realizzare 4 diverse tavole “tematiche”. Ognuna inscritta dentro un quadrato con lato di 20 cm. E’ possibile usare tutti i 7 pezzi del tangram liberamente (anche più copie della medesima forma) ed è possibile colorare liberamente sia le forme tangram che lo sfondo che le contiene.

DINAMISMO “La girandola” RABBIA “Fuoco!” CALMA, RILASSAMENTO “ OM ” 46


DINAMISMO

STABILITA’ E BILANCIAMENTO

CALMA E RILASSAMENTO

RABBIA

47


3. QUESTA SONO IO QUESTA SONO IO : CHIARA

QUESTA SONO IO : CHIARA QUESTA SONO IO : CHIARA

QUESTA SONO IO : CHIARA QUESTA SONO IO : CHIARA

QUESTA SONO IO : CHIARA QUESTA SONO IO : CHIARA

QUESTA SONO IO : CHIARA In un formato A4 verticale e partendo da un tangram tradizionale realizzare una tavola “tematica”. Potete usare l’intera pagina A4 o una porzione (la misura è libera) lo sfondo lo potrete anche colorare, potrete usare quante copie vorrete dei 7 pezzi del singolo tangram, colorandoli e disponendoli liberamente, anche senza che si tocchino o che siano allineati. La composizione è quindi massimamente libera. Il tema di questa ultima tavola sarà: ”Questo sono io”.

QUESTA SONO IO : CHIARA

QUESTA SONO IO : CHIARA QUESTA SONO IO : CHIARA

QUESTA SONO IO : CHIARA QUESTA SONO IO : CHIARA

QUESTA SONO IO : CHIARA 48


4. MY TANGRAM PHILOSOPHY

C

O

P

E

R

T

I

N

A

Impostare un documento InDesign formato A3 di 4, 6 o 8 pagine (a seconda dei contenuti) in fronte retro. Usando lo schema della esercitazione dei Tangram (in modo totalmente libero) comporre una copertina, ispirata al tema. La copertina dovrà avere almeno un titolo (da voi scelto) il vostro nome, l’anno accademico ed una immagine realizzata (con Illustrator) assemblando parti dei tangram con uno schema libero. Per la copertina potrete usare testo insieme alle immagini, usare liberamente pezzi di tangram, colorarli e sovrapporli.

B

R

O

C

H

U

R

E

Impaginare nelle restanti pagine interne i propri lavori Tangram che avete realizzato in precedenza. A vostro gusto l’ordine, la dimensione e la composizione. Immaginate di comporre una sorta di piccola brochure che illustri il vostro lavoro.

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4.1 IMPAGINATO Introduzione: “...piccolissima raccolta di immagini create con il gioco del tangram accompagnati dalle riflessioni di grandi pensatori che spesso mi aiutano a comprendere il senso delle cose...�

2-3

4-5

50


6-7

8-9

51


4


4

A T R

E P O C S LA U N I L I D rta e p o

la c è ’ Cos ea. d i ’ 1. L ta. a l fi as 2. L

.

d

us n i L i

.54

pag

.55

pag

.57

pag


COS E’ LA COPERTA DI LINUS

Con l’espressione “la coperta di Linus” si fa riferimento a un oggetto al quale si attribuisce una sorta di natura antropomorfica, in grado di donare un forte senso di sicurezza a chi lo possiede. L’immagine deve la sua origine al celebre fumetto sui personaggi Peanuts, striscia creata da Charles M. Schulz negli anni Cinquanta. Al centro buffi e ispiratissimi personaggi, dispensatori di profonde massime di saggezza, tra i quali il mitico Linus e la sua celebre coperta, strumento inseparabile da lui stesso definito “di sicurezza”. Il vestito è un simbolo, un codice, una nostra personalizzazione da indossare. La moda sfrutta la psicologia degli abiti, i vestiti che indossi parlano di noi, raccontano tutti i segreti del nostro carattere. Il vestire come convenzione come desiderio di mostrarsi e di apparire. Insomma l’abito come tentativo di fare il monaco. Ma come sarebbe indossare qualcosa di nostro e unico? Qualcosa dentro cui sentirci noi stessi? La nostra personale “coperta di Linus”?

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1.1 L’IDEA

Per far si che la maglietta mi facesse sentire sicura di me stessa, doveva riuscire a rappresentermi il più possibile. In cuor mio so che la mia sicurezza dipende dalle persone che ho davanti, se mi conoscono e sanno chi sono allora sto tanquilla. La prima cosa che mi passò per la testa fu una domanda, che ne generò un’altra e poi un’altra ancora, tipo: “Ma io, chi sono? Cos è che mi rende me stessa e non qualcun’altra? Cosa mi fa stare bene? Cosa mi rende felice? Perchè mi piace il rosso?”... mi resi conto che mi stavo domandando troppe cose contemporaneamente e non mi sarei mai data delle risposte precise ma forse una me la stavo dando. Forse il caos era la risposta. Il caos è disordine, confusione, è cio che è incomprensibile ma non esiste il bianco senza il nero, o il tutto senza il niente. Il caos è solo un faccia della medaglia. Dall’altra non può che esserci l’ordine e quella noiosa perfezione che mi perseguita qualsiasi cosa io faccia.

55


1.2 MOOD BOARD

"C'è qualcosa nell'

ARTE, come natura, del

nella resto, che ci rassicura, e qualcosa che invece, ci

tormenta,

ci

TURBA.

aCerchiamo regole, FORME, canoni, ma non cogliamo mai il reale funzionamento del mondo È per gli uomini un eterno mistero...

Due

disordine.

ricerca di un'ARMONIA IMPOSSIBILE e

l'ABBANDONO AL CAOS…"

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eterni in perenne lotta,

La RICERCA DELL’ORDINE e il fascino del caos: Dentro questa lotta abita l'UOMO, e ci siamo noi, tutti, ordine e

L'incapacità di risolvere questo mistero ci terrorizza, ci costringe a oscillare tra la

Il moodboard che ho realizzato riprende il testo della canzone di Mezzosangue “Armonia & Caos” che riesce, in poche parole, a riassumere il concetto della mia maglietta. Lo sfondo nero, piatto e denso allo stesso tempo, rappresenta le cose che devo ancora conoscere di me, le mie idee, le mie sicurezze e insicurezze; mentre i lampi arcobaleno sono quelle cose di me che so e molto spesso realizzo in maniera improvvisa.

sentimenti


2. LA SFILATA

La sfilata organizzata dalla classe a tema “coperta di linus” è stata realizzata dopo ore di discussioni e scambio di opinioni con l’aiuto del professore Stefano De Carli. Il telo bianco simboleggia la coperta di linus sul quale abbiamo proiettato un video con uno sfondo che cambiava colore all’entrata di ognuno di noi rispetto al colore principale delle nostre magliette. La proiezione del video era posta dietro il telo così da poter creare dei giochi di luci ed ombre con la nostra siluette. La sfilata poi prevedeva la nostra uscita dal telo e una breve “passeggiata” nella stanza. Uscire dalla coperta di linus significava accettare chi si è, con i propri pregi e i propri difetti. Questo progetto ha dato modo sia a me che ai miei compagni di esprimere ciò che siamo. Creare e cucire sono le mie più grandi passioni e sono felice che questo corso mi abbia dato l’opportunita di farmi conoscere davvero.

57


5


5

I H C R A M I H G O L ghi.

o eil i h arc m i ono go. s o l a i ed i Cos g o NI. ol p E i T o 1. . log a i r rico t o e t om 2. S e g ogo ra. u t 3. L a o. go n m i o ero. n L b o i l r 4. nte o ac a g c o la. fi i p i n t l 5. L g mu o si a g r o u ta. a 6. L lett n i a d oor ogo c L . e 7 agin m 8. Im

E .60

pag

.61

pag

.63

pag

.65

pag

.72

pag

.78

pag

.84

pag

.90

pag

.96

pag


COSA SONO I MARCHI E I LOGHI

Il marchio è un segno formato da elementi visivi e testuali usato per identificare un’azienda o un associazione, i rispettvi prodotti o servizi, con l’obiettivo di renderli immediatamente riconoscibili e di distinguerli dalla concorrenza. Il marchio è solitamente formato dal logotipo, che è fondamentale, e gli viene spesso affiancato un pittogramma. Pittogramma: /pit·to·gràm·ma/ sostantivo maschile Segno pittografico. In senso più generico, disegno o simbolo stilizzato in uno o più colori, caratterizzato da semplicità, riconoscibilità, immediatezza, convenzionalmente assunto come segnale (per es., nelle insegne, nelle segnalazioni stradali, nelle icone dei computer, ecc.). Logotipo: /lo·go·tì·po/ sostantivo maschile 1. Gruppo di due o più lettere, o anche grafici, fusi in un unico pezzo tipografico (es. ff, fi, fl ). 2. Sigla, nome o titolo di particolare forma grafica, che come simbolo identifica un ente, un’azienda, un prodotto; usata spesso anche l’abbr. logo.

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1.1 TIPOLOGIE DI LOGO Logo testuale

Logo molto semplice, formato dal solo carattere tipografico. Per rendere un Wordmark sempre riconoscibile e distinto, si tende ad utilizzare dei font dalla forte personalitĂ , o a dotarli di modifiche caratteristiche.

Logo acronimo/ Monogramma

Logo testuale basato sulle lettere iniziali del marchio o della persona; esse vengono rielaborate graficamente fino ad ottenere un aspetto peculiare e unico. soluzione utile per i brand che hanno nomi lunghi.

Logo simbolico

Logo visivo, formato da una immagine riconoscibile che rappresenta un oggetto concreto. L’immagine è legata ad un elemento importante dell’azienda: il nome, la funzione o la sua missione.

61


1.2 TIPOLOGIE DI LOGO Logo astratto

La figura rimanda ad un’immagine o ad un concetto reale con il compito di rappresentare i valori dell’azienda. La natura del logo astratto fornisce una particolare ambiguità strategica: il valore comunicato non sarà sempre univoco, e potrà essere manipolato e rimodellato dall’azienda per diversi scopi.

Logo emblema

Logo ibrido, in cui il nome del brand compare all’interno del simbolo. Unisce immediatamente nome e immagine in una cosa sola rivelandosi meno flessibile e meno maneggiabile nelle diverse comunicazioni.

Logo Mascotte

Spesso colorato, a volte cartonesco e divertente, crea il proprio portavoce del brand. Una mascotte è un personaggio illustrato che rappresenta l’ azienda come un ambasciatore per il business. Per le aziende che vogliono creare un’atmosfera che richiama benessere e felicità, appellandosi alle famiglie e ai bambini.

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2. STORIA LOGO ENI 1952

Eni nasce come prodotto di Agip (Azienda Generale Italiana Petroli) nel 1952 con il nome di Supercortemaggiore in seguito alla scoperta del petrolio a Cortemaggiore (Piacenza). Viene indetto un concorso pubblicitario che ha visto come vincitore l’ancora oggi famoso cane a sei zampe. A concepire il logo che ancora oggi rappresenta Eni in tutto il mondo, è Luigi Broggini, un importante scultore italiano. Il suo Cane a sei zampe viene presentato a nome di Giuseppe Guzzi, perché Broggini aveva un certo pudore intellettuale nel vedere accostato il proprio nome a una produzione pubblicitaria e commerciale.

1972

Nel 1952, da marchio di prodotto, diventa marchio d’impresa. Ebbe successo per il suo futurismo, l’evocazione mitologica, la quotidianità e domesticità del cane. Con il restyling del 1972 fatto dal designer Bob Noorda, l’occhio del cane diventa più tondo, il tronco più corto inserito in una cornice quadrata. La scritta ottiene una linea mediana che ricorda lo spartitraffico stradale.

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1988.

Eni corregge alcuni dettagli: rifinisce la fiamma, l’occhio viene rimarcato maggiormente, il busto leggermente potenziato e le zampe riproporzionate, attribuendo al cane un atteggiamento più grintoso che domestico.

2000.

Eni diventa un ente privato e viene quotato in borsa. L’azienda ha la necessità di dotarsi di un’immagine in linea con il nuovo contesto che esprima un’organizzazione aziendale rinnovata, agile e moderna. Il nuovo progetto grafico segue un processo di progressiva astrazione, il quadrato del logo è costituito da spigoli “vivi”, più decisi e il cane diventa più corto. Il cane e il logotipo vengono divisi da un filetto rosso.

2009.

Il nuovo marchio Eni subisce un restyling fondato sul concetti di “apertura”. Il cane a sei zampe associato al nome Eni è la sintesi ideale di questa filosofia: una continua apertura a nuove realtà, a nuove esplorazioni, a nuove attività industriale e finanziarie. Il cane è posizionato fuori dai bordi che vengono nuovamente stondati. Adotta un nuovo font più esile.

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3. LOGO GEOMETRICO Composizione di forme geometriche su matrici geometriche.

Studio delle matrici geometriche.

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Studio delle composizioni privilegiando forme geometriche.

Simmetrie rotatorie di secondo ordine.

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Studi compositivi applicando i gruppi di simmetria.

Simmetrie rotatorie di quarto ordine.

Simmetrie assiali rispetto un asse centrale verticale.

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Studi delle composizioni deformando le matrici geometriche.

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Varianti cromatiche.

C 0%, M 90%, Y 85%, K 0% C 5%, M 0%, Y 90%, K 0% C 93%, M 75%, Y 0%, K 0%

C 0%, M 80%, Y 94%, K 0% C 50%, M 0%, Y 100%, K 0% C 76%, M 99%, Y 2%, K 0%

C 28%, M 99%, Y 29 %, K 18% C 9%, M 100%, Y 48%, K 2% C 76%, M 99%, Y %, K 0% 69


Effetti grafici, tridimensionali e texture.

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Proposta finale del LOGO GEOMETRICO.

Logo ideato per un ipotetica assciazione culturale artistica che si occupa di arte moderna.

71


4. LOGO NATURA Composizione geometrica ispirandosi a forme naturali. Studio delle matrici geometriche.

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Studio delle composizioni privilegiando forme geometriche e gruppi di simmetrie.

Simmetria assiale e antitraslazione.

Traslazione.

Simmetria assiale rispetto a l’asse centrale orizzontale. Simmetria rotatoria di quarto ordine.

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Studi delle composizioni deformando le matrici geometriche.

1. SOLE c= 10% M= 80%

2. SOLE c= 2,75% M= 63% Y= 91%

3. SOLE c= 11% M= 80%

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1. SOLE c= 10%

2. SOLE c= 2,75% M= 63%


Varianti cromatiche.

2. SOLE 1. SOLE 3. SOLE c= 2,75% c= 10% c= 11% 2. SOLE 1. SOLE 3. SOLE 63% M= 80% M= M=11% 80% c= 2,75% c= C10% 0%, M 80%, Y 94%, K c= 0% Y= 91% Y= Y= M= 63% M=96% 80% K=0% M=96% 80% K=2% K=2% Y= 96% Y= 91% Y= 96% C 91%, MK=0% 63%, Y 51%, K 55% K=2% K=2% 2. MARE 1. MARE c= 100% c= 60% 2. MARE 1. MARE C 79%, M M= 16%,0% Y 36%, K 2% M= 14% c= 100% c= 60% Y= Y= M=40% 0% M=11% 14% K= 0% K=84% Y= 40% Y= 11% K= 0% K=84% 2. SOLE 3. SOLE 1. SOLE c= 0%Y 98%,c= 0% C 11%, M 100%, K SOLE 3% c= 10% 2. SOLE 3. 1. SOLE 83% M= 90% M= 100% M= c= 0% c= 0% c= 10% Y= 100% Y= 100% Y= M= Y83% 0%, M 90%, 98%, K M= 0% 90% M=C100% 100% K=0% K=0% K=2,75% Y= 100% Y= 100% Y= 100% K=0% K=0% K=2,75% 2. MARE C 100%, M 71%, Y 44%, K 3% 1. MARE 100% c= 100% c= 2. MARE 1. MARE M= 12% M= 0% c= 100% 92%, M 55%, Y 29%, K 13% c= C100% Y= 6% Y= 0% M= 12% M= 0% K= K=80% Y= 49% 6% Y= 0% K= 49% K=80% 75

1. c= M1 c Y= M K= Y 1.K c= M1 c Y= M K= Y 1K

c= M1 Yc KM Y 1K c= M1 Yc KM Y K


Effetti grafici, tridimensionali e texture.

76


1. SOLE c= 10% M= 80% Y= 96% K=2%

2. SOLE c= 2,75% M= 63% Y= 91% K=0%

3. SOLE c= 11% M= 80% Y= 96% K=2%

1. MARE c= 60% M= 14% Y= 11% K=84%

2. MARE 1. SOLE c= 100% M= 0%c= 10% Y= 40% M= 80% K= 0%

1. SOLE c= 10% M= 100% Y= 100% K=2,75%

2. SOLE 3. SOLE c= 0% K=2% c= 0% M= 83% M= 90% Y= 100% Y= 100% 1. MARE K=0% K=0%

1. MARE c= 100% M= 0% Y= 0% K=80%

Y= 96%

c= 60% 2. MARE M= 14% c= 100% M= 12% Y= 11% Y= 6% K=84% K= 49%

1. SOLE c= 10% M= 100% Y= 100% K=2,75% 1. MARE c= 100% M= 0% Y= 0% K=80%

2. SOLE c= 2,75% M= 63% Y= 91% K=0%

3. SOLE c= 11% M= 80% Y= 96% K=2%

2. MARE c= 100% 1. SOLE M= 0% c= 10% Y= 40% K= 0% M= 80%

Y= 96% 2. SOLE 3. SOLE c= 0% K=2%c= 0% M= 83% M= 90% Y= 100% Y= 100% K=0%1. MARE K=0% c= 60% 2. MARE M= 14% c= 100% M= 12% Y= 11% Y= 6% K=84% K= 49%

1. SOLE c= 10% M= 100% Y= 100% K=2,75% 1. MARE c= 100% M= 0% Y= 0% K=80%

Proposta finale del LOGO NATURA. 2. SOLE c= 2,75% M= 63% Y= 91% K=0%

3. SOLE c= 11% M= 80% Y= 96% K=2%

2. SOLE c= 2,75% M= 63% Y= 96% Y= 91% 2. SOLE K=2%3. SOLE K=0%

2. MARE 1. SOLE c= 100% M= 0% c= 10% Y= 40% M= 80% K= 0%

c= 0% c= 0% M= 83% M= 90% Y= 100% 1. MARE Y= 100% 2. MARE K=0% K=0% c= 100% c= 60%

M= 14% 2. MARE c= 100% Y= 11% M= 12% K=84% Y= 6% K= 49%

3. SOLE c= 11% M= 80% Y= 96% K=2%

1. SOLE c= 10% M= 80% Y= 96% K=2%

1. MAR c= 60% M= 14% Y= 11% K=84%

1. SOLE c= 10% M= 100 Y= 100 K=2,75

1. MAR c= 100 M= 0% Y= 0% K=80%

M= 0% Y= 40% K= 0%

1. SOLE c= 10% M= 100% Y= 100% K=2,75%

2. SOLE c= 0% M= 83% Y= 100% K=0%

1. MARE c= 100% M= 0% Y=770% K=80%

2. MAREper la cura personale come oli, crec= 100%me solari e doposole. M= 12% Y= 6% K= 49%

3. SOLE c= 0% M= 90% Y= 100% K=0%

Logo ideato per prodotti da mare


5. LOGO ACRONIMO Studio delle matrici geometriche.

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Studio delle composizioni privilegiando forme geometriche e gruppi di simmetrie.

Simmetria assiale rispetto all’asse centrale verticale.

Simmetria assiale rispetto all’asse centrale verticale.

Simmetria assiale e antitraslazione.

Simmetria assiale e antitraslazione.

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Studi delle composizioni deformando le matrici geometriche.

80


Varianti cromatiche.

C 87%, M 46%, Y 20%, K 5% C 100%, M 83%, Y 24%, K 6% C 0%, M 100%, Y 98%, K 0% C 25%, M 99%, Y 97%, K 22% C 14%, M 10%, Y 11%, K 0% C 26%, M 19%, Y 20%, K 2% 81


Effetti grafici, tridimensionali e texture.

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Proposta finale del LOGO ACRONIMO.

Logo ideato per rappresentare il mio nome, Chiara Ceruti, e le mie personalitĂ , idee e sogni spesso in contrasto come due calamite con due poli uguali che si respingono.

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6. LOGO SIGNIFICANTE LIBERO Studio delle matrici geometriche.

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Studio delle composizioni privilegiando forme geometriche e gruppi di simmetrie.

Simmetria rotatoria di quarto grado.

Simmetria assiale rispetto l’asse centrale verticale.

Simmetria rotatoria di secondo grado.

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Studi delle composizioni deformando le matrici geometriche.

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Varianti cromatiche.

C 46%, M 13%, Y 100%, K 1%

C 0%, M 49%, Y 94%, K 0%

C 46%, M 0%, Y 21%, K 0%

C 61%, M 69%, Y 0%, K 0% 87

C 60%, M 0%, Y 49%, K 0%

C 66%, M 50%, Y 7%, K 0%


Effetti grafici, tridimensionali e texture.

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Proposta finale del LOGO SIGNIFICANTE LIBERO.

Logo ideato per un’associazione e/o scuola di yoga. 89


7. LOGO A LETTURA MULTIPLA Studio delle matrici.

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Studio delle composizioni privilegiando forme geometriche e gruppi di simmetrie.

Simmetria rotatoria di quarto grado.

Simmetria rotatoria di secondo grado.

Simmetria rotatoria di secondo grado.

Antitraslazione.

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Studi delle composizioni deformando le matrici geometriche.

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Varianti cromatiche.

C 74%, M 65%, Y 63%, K 81% C 57%, M 48%, Y 47%, K 37% C 43%, M 33%, Y 34%, K 13% C 45%, M 69%, Y 71%, K 70% C 40%, M 64%, Y 63%, K 56% C 33%, M 52%, Y 55%, K 31% C 91%, M 79%, Y 62%, K 97% sfumatura n°1 sfumatura n°2 93


Effetti grafici, tridimensionali e texture.

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Proposta finale del LOGO A LETTURA MULTIPLA.

Logo che rappresenta una tazza da caffe. In inglese “Cup”.

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7. IMMAGINE COORDINATA

L’ immagine coordinata è l’insieme ti tutta una serie di elementi che costituiscono l’identità di un’azienda o di un professionista. In sostanza, parliamo di immagine coordinata quando i singoli elementi grafici o visivi che compongono la nostra immagine vengono percepiti come un’unica cosa. Tanti elementi diversi che comunicano allo stesso modo, in modo coordinato e coerente.

BIGLIETTO DA VISITA

Il biglietto da visita è una tessera, tipicamente in cartoncino, con nome e cognome spesso integrati da una serie di altri dati personali organizzati in un layout artistico originale e personalizzato.

Formato:

8,5 cm. × 5,5 cm da 350 g/m² non plastificato;

Informazioni:

Il logo dall’azienda L’area di attività dell’azienda Il nome dell’azienda Indirizzo della sede o dell’ufficio Numero di telefono fisso

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CARTA INTESTATA

La carta intestata è quel particolare foglio di carta che fornisce immediatamente informazioni sia circa il soggetto al quale è indirizzata la lettera, sia circa il mittente. Si chiama “intestata” proprio perché in cima è presente il logo o il design identificativo dell’azienda o del professionista e, nella parte restante del foglio, c’è tutto lo spazio vuoto che serve per contenere il testo di una lettera o un messaggio particolare.

Formato: Foglio A4

Informazioni: Il logo dall’azienda

L’area di attività dell’azienda Il nome dell’azienda Indirizzo della sede o dell’ufficio Numero di telefono fisso

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BUSTA DA LETTERE

Il suo utilizzo principale riguarda l’invio di lettere o documenti sia essi per uso privato che commerciale.

Formato: C6: 114 x 162 mm Foglio A4 piegato in 3 parti uguali

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OGGETTI PROMOZIONALI I gadget rappresentano un ottimo veicolo di marketing diventano un sistema per promuovere il marchio della propria azienda, aumentando la popolarità. Si tratta di uno strumento perfetto per farsi conoscere dai nuovi utenti, e per provare a convertirli in clienti. Un’altra prerogativa dei gadget personalizzati è che riescono a fidelizzare, con pochissima spesa, i clienti già acquisiti. Di conseguenza diventano utili anche per potenziare la fiducia e l’apprezzamento di quelli già conquistati. La fidelizzazione di un cliente è la prima regola del marketing per un’azienda. Il ruolo dei gadget di questo tipo consente dunque di aumentare il senso di appartenenza: lo stesso accade quando vengono regalati ai dipendenti, dato che il principio è il medesimo.

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E U G I I N B O M I Z A E C R E P

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ne. o i ne. z o u i . z d tro rce tica n t e I o p . 1 ella one i d s Ă u l bilit 2. Il a e. t . n s i o o t i l c u rcez neti i e 3. M c p etto ella f f d E e ile. n 4. b o i i z s aria pos m i 5. V etto g g 6. O

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1. INTRODUZIONE Un’illusione ottica è una qualsiasi illusione che inganna l’apparato visivo umano, facendogli percepire qualcosa che non è presente o facendogli percepire in modo scorretto qualcosa che nella realtà si presenta diversamente. Le illusioni ottiche possono manifestarsi naturalmente o essere dimostrate da specifici trucchi visuali che mostrano particolari assunzioni del sistema percettivo umano. Dalla base al meccanismo che ne è causa quindi, si hanno tre categorie di illusioni: OTTICHE: quando sono causate da fenomeni puramente ottici e pertanto non dipendenti dalla fisiologia umana. PERCETTIVE: in quanto generate dalla fisiologia dell’occhio. Un esempio sono le immagini postume che si possono vedere chiudendo gli occhi dopo avere fissato un’immagine molto contrastata e luminosa. COGNITIVE: dovute all’interpretazione che il cervello dà delle immagini. Un caso tipico sono le figure impossibili e i paradossi prospettici. Un miraggio è un esempio di illusione naturale dovuta a un fenomeno ottico. La variazione nella dimensione apparente della Luna (più piccola quando è sopra la nostra testa, più grande quando è vicina all’orizzonte) è un’altra illusione naturale; non si tratta di un fenomeno ottico, ma piuttosto di un’illusione cognitiva o percettiva. Illusioni scoperte o sviluppate comprendono il cubo di Necker e la griglia di Hermann. Comprendere questi fenomeni è utile allo scopo di comprendere le limitazioni del sistema visivo umano.

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2. ILLUSIONE OTTICA

Adolf Fick, 1951

Franz Carl Müller-Lyer, 1889

Theodor Lipps, 1897

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Nella creazione artistica, nella grafica pubblicitaria, ma soprattutto nel disegno geometrico, incontriamo spesso situazioni visive che provocano, al di là delle nostre intenzioni, difficoltà di interpretazione. Ci troviamo così di fronte a figure ambigue, di dubbia decodificazione se non, come talvolta accade, ad autentiche illusioni ottico geometriche, o illusioni visive. L’illusione consiste in un vero e proprio errore di valutazione della realtà, compiuto dal nostro cervello. Numerosi sono gli esempi di figure ambigue costruite e studiate dagli psicologi, senza riuscire a dare una spiegazione completa di questi fenomeni. Nel caso delle illusioni ottico-geometriche, l’inganno può essere talvolta determinato da fattori di disturbo come accade nella percezione delle lunghezze. Un esempio al rigurado è l’illusione verticale-orizzontale scoperta dal fisiologo tedesco Adolf Fick (1829-1901) che mostra come un segmento interrotto appaia più corto di quello che lo interrompe. Ma il caso più noto è costituito ddall’illusione delle freccie dello psicologo tedesco Franz Carl Müller-Lyer (1857-1916): due frecce di lunghezza uguale sono percepite come differenti, solo perchè le loro alette vanno in direzioni opposta. Altre illusioni basate sulle dimensioni relative, sono legate al contrasto con gli elementi vicini come nel caso dell’illusione scoperta nel 1897 dal filosofo e psicologo tedesco Theodor Lipps (1851-1914), secondo il quale uno stessp cerchio ci appare più grande se è circondato da cerchi piccoli, e più piccolo se è circondato da cerchi grandi.


3. MULTISTABILITÀ DELLA PERCEZIONE

Con multistabilità della percezione si intendono quelle figure geometriche e non, che se guardiamo a lungo, mutano aspetto. Questi casi di ambiguità provano che l’attività percettiva è un processo attivo poiché l’elaborazione dei dati in ingresso continua anche dopo aver raggiunto una prima configurazione accettabile. Il cubo di Necker è una rappresentazione bidimensionale ambigua. Si tratta di una struttura a linee che corrisponde a una proiezione cavaliera di un cubo. Gli incroci tra due linee non evidenziano quale linea si trovi sopra l’altra e quale sotto, così la rappresentazione è ambigua: non è possibile indicare quale faccia sia rivolta verso l’osservatore e quale sia dietro al cubo. Guardando la figura si può facilmente passare da una interpretazione all’alwvtra, si ha una percezione multistabile. L’effetto è interessante perché ogni parte della figura è ambigua per sé stessa e il sistema percettivo umano dà un’interpretazione delle parti tale da rendere l’intera figura congruente. Il cubo di Necker è a volte usato per testare i modelli informatici della visione umana, per comprendere se è in grado di dare un’interpretazione congruente dell’immagine allo stesso modo dell’uomo.

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4. EFFETTO CINETICO

Con effetto cinetico si intende l’illusione di percepire un oggetto in movimento quando in realtà questo è immobile.

Illustrazione di Chiara Ceruti. Realizzata con una serie di quadrati concentrici: da la sensazione di movimento con l’alternarsi di spazi vuoti e pieni.

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5. VARIAZIONE DELLA PERCEZIONE

Se disponiamo su una superficie identica un diverso disegno o una differente traccia grafica otteniamo una variazione delle percezione di quella superficie iniziale. Illustrazione di Chiara Ceruti. Realizzata con una serie di linee verticali, la figura dell’uomo è invece realizzata in lineee orizzontali, in contrasto con quelle verticali.

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Illustrazione grafiga di Chiara Ceruti. Illusione ottica data dal contrasto tra nero e bianco.

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6. OGGETTO IMPOSSIBILE

Un oggetto impossibile è un oggetto che non può essere costruito nella realtà tridimensionale perché in contrasto con le leggi della geometria, sebbene sia possibile disegnarne una rappresentazione bidimensionale. La percezione dell'immagine bidimensionale come oggetto verosimile rappresenta un paradosso ed è per questo una illusione ottica di tipo cognitivo. In realtà diversi oggetti impossibili possono essere approssimativamente costruiti in tre dimensioni impiegando qualche trucco prospettico

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TRIANGOLO DI PENROSE Penrose, triangolo di figura spaziale impossibile, resa famosa da R. Penrose, che la descrisse nel 1958, ma già ideata nel 1934 dall’artista svedese Oscar Reutersvärd (1915-2002). Di apparente forma triangolare (a una prima osservazione appare simile a un triangolo equilatero), è costituita da tre prismi a base quadrata uniti tra loro da tre diedri retti. Non è possibile costruirla (il totale di quelli che appaiono come angoli interni del triangolo sarebbe pari a 270°, mentre nella geometria euclidea la somma degli angoli interni non può essere superiore a 180°), ma è possibile darne una rappresentazione bidimensionale.

Realizzato con cartoncino 220 gr Dimensioni: 10 cm x10 cm x10 cm

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I D I R O O R T R T E E G O R P

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1. LA CAFFETTIERA DEL MASOCHISTA

Un processo al cattivo design, condotto dal principale esponente del cognitivismo contemporaneo, Donald Normal. Una dimostrazione convincente dello scarto che intercorre fra il funzionamento della mente umana e gran parte degli oggetti che ci circondano e che siamo condannati ad usare. Il libro spiega come troppo spesso chi si occupa di design evita di mettersi nei panni dell’utente e non si preoccupa di prevenire l’errore. Questo rappresenta una delle cause di incidenti (aerei, nucleari, ecc.) spesso attribuiti all’errore dell’uomo, assunti come capro espiatorio.

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INTRODUZIONE

Spesso ci arrendiamo di fronte a oggetti che non siamo in grado di maneggiare? Non riuscire ad aprire le porte scorrevoli o premere senza alcun effetto il telecomando del televisore non significa affatto che siamo incapaci di usarli. La questione è più dannatamente complessa: siamo alle prese con oggetti mal progettati. ‘’La caffettiera del masochista’’, che fin dalla sua prima uscita ha radicalmente cambiato l’idea e i principi del design, torna all’attenzione dei lettori in versione ampliata e aggiornata. A chi non è mai capitato di spingere una porta invece di tirarla o di rinunciare a lavarsi le mani perché non riesce ad azionare il rubinetto? In questi casi la sensazione di incapacità personale è molto forte: eppure, sostiene Norman, la colpa non è dell’utente, bensì di chi ha progettato questi oggetti d’uso comune senza considerare le normali attività mentali la cui conoscenza è essenziale per la progettazione di un ambiente ben organizzato e rispondente alle esigenze della mente.

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2. APPOGGIACUCCHIAIO

L’appoggiacucchiaio in acciaio inossidabile dell’azienda di design Alessi presenta un errore progettuale. Alessi è da sempre conosciuta come una delle aziende migliori per il design e i materiali di ottima qualità scelti per i loro prodotti ma in questo caso è possibile trovare un difetto che solo dopo l’acquisto è possibile notare. L’appoggiacucchiaio non è rifinito nei sui bordi: può essere una scelta fatta dal designer per apprezzare maggiormente il materiale utilizzato, ma non si può non considerare il suo aspetto funzionale. Se si dispone l’oggetto su di un piano fragile è possibile che i bordi non rifiniti di quest’ultimo, danneggino il piano con il suo spostamento.

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Soluzione

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Una soluzione al problema protebbe essere quella di utilizzare un altro materiale, come la plastica, che non graffierebbe il piano sul quale l’oggetto verrebbe poggiato ma toglierebbe all’appoggiacucchiaio la sua particolarità: il materiale usato. Per questo la soluzione migliore è quella di utilizzare dei gommini in silicone da applicare sulle parti che si appoggiano sul piano in modo tale da non graffiarlo. Questi stravaganti gommini vengono posizionati ad incastro con la possibilità di poterli togliere e rimette in base alle necessità e al gusto estetico. I colori principali scelti per i gommini sono quattro: giallo acido, blu elettrico, arancione fiamma e verde menta. In questo modo la soluzione al problema crea la sua identità e il suo carattere, integrandosi all’oggetto e contemporaneamente distaccandosi a causa del contrasto tra colori e materiali. Nella confezione vengono inseriti quattro piedini per ogni colore (tot. 16 pz) dando la possibilità al cliente di poter personalizzare nella maniera più singolare l’appoggiacucchiaio.


3. TAGLIAPIZZA

Questa rotella tagliapizza sembra apparentemente graziosa e comoda ma nassconde un difetto che non si può dimenticare se si nota...o meglio se si prova! Questo tagliapizza è composto da un manico: in vetro di Murano e un materiale plastico rivestito d’argento, possiede poi la rotella con una lama ben affilata. Dopo averlo provato su di me posso affermare che c’è un grosso errore progettuale. Durante il taglio della pizza, a causa del materiale utilizzato, il vetro, la presa della mano scivola verso la lama della rotella con il rischio di tagliarsi. Oltre al materiale sbagliato, anche la dimensione del manico non consente una presa ottimale dell’oggetto, infatti è più piccolo di un palmo di mano. Se l’oggetto avvesse un blocco di sicurezza in cima al manico, la mano non scivolerrebbe così tanto in avanti da tagliarsi.

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Soluzione

La soluzione migliore sarebbe comprere un nuovo tagliapizza ma è possibile salvare questo oggetto con una piccola modifica. Il manico sarebbe da cambiare completamente a causa della sua dimensione (c.a 8,5 cm) ma se si aggiungesse una sicura “antiscivolo” il problema si risolverebbe. Su Illustrator viene realizzato un render dell’”anello di sicurezza”. Questo migliorerebbe senza dubbio la prestazione dell’oggetto.

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1. PROGRAMMI In questo capitolo sono illustrate le principali esperienze svolte durante il percorso di Elementi di informatica, necessario per maturare le competenze basiche per poter utilizzare autonomamente alcuni software grafici. Il corso, tenuto dal Professor Francesco Fumelli, seppur indipendente, è considerato parallelo a quello di Basic Design, dove sono state applicate le conoscenze conseguite nel semestre. I software utilizzati sono: 1. Adobe Illustrator. Programma usato per produrre principalmente illustrazione ed altri elaborati in grafica vettoriale. Il suo principio di funzionamento è attraverso i vettori (punti, linee, curve, poligoni) che al contrario dei pixel non hanno problemi di risoluzione, producendo così immagini vettoriali sviluppabili anche su grandi superfici, senza perdere in qualità. 2. Adobe InDesign. Programma usato nella produzione editoriale per sviluppare libri o riviste. Il software utilizza griglie di impaginazione al fine di equilibrare in modo facile e veloce gli elementi della composizione. 3. Adobe Photoshop. Programma in grado di effettuare ritocchi di qualità professionale alle immagini, offrendo enormi possibilità creative grazie ai numerosi strumenti a disposizione.

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2.1 ESERCIZIO AI

Primo esercwizio. Ricalco di loghi con il software Adobe Illustrator. Gli strumenti utilizzati sono: penna e rettangolo.

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2.2 ESERCIZIO AI

Secondo esercizio. Ricalco della fotografia di un faro. Gli strumenti utilizzati sono: penna e rettangolo.

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2.3 ESERCIZIO AI

Terzo esercizio. Rendering di una mela. Che cos’è un rendering? Nella computer grafica, la conversione mediante apposito software del profilo di un’immagine bidimensionale in un’immagine dall’aspetto realistico e percepibile come tridimensionale, grazie al calcolo accurato della prospettiva e all’aggiunta di colori, luci e ombreggiature.

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2.4 ESERCIZIO AI

Quarto esercizio. Rendering di un disegno del prof. Fumelli.

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2.5 ESERCIZIO AI

Quinto esercizio. Rendering dello Spitfire Mk X4278 ZD-D. Questa sopra è l’immagine raster. Nella pagina dopo viene riportata l’immagine renderizzata.

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Rendering

L’immagine renderizzata è stata creata con lo strumento “trama sfumata”, come tutte le altre immagini renderizzate. Questo oggetto ha pero richiesto molto più impegno a causa dei numerosi dettagli, sfumature, colori e ombre. Restituire ai singoli pezzi la sensazione di realtà con luci edo ombre richiede molta pazienza e soprattutto molte ore di lavoro.

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3. ESERCIZIO ID Travel

The Sunday Glitch June 11, 2004 Page C-1

Scotland: standard headline

American travellers who have already seen much of Britain often have ignored the borders, a windy moorland at the neck of the island. This sparsely-populated frontier between England and Scotland rolls through about 80 miles between Berwick (pronounced Bear-ick) on teh east coast and Carlisle on the west, generally following a military line drawn by the Romans between ancient adversaries nearly 2,000 years ago. That was only the beginning of centuries upon centuries of horror haunting a bleak land open to the 20th century visitor, battles and betrayals told through scores of ruined castles, abbeys, and massive stone walls. You find no glitzed theme parks in the borders, no swank hotels or tours to gimmicky made-up castles with costumed natives guarding souvenir shops. And few chain stores in these little towns. Even fewer banalized malls and fast food franchises. Instead, borderers offer mostly rough-and-ready accomodation and hearty staple food at prices about one-third down from touristy norms. Add to that an open welcome that reminds you of going home. Perhaps thats what you are doing. Armstrong... Bell... Burn... Dodd... Elliot... Graham... Hall... Johnstone... Little... Maxwell... Nixon... Ridley... Robley... Scott.... These are some of the greatest names of the borders, and unless your Scandinavian family borrowed one of them, your ancestors bearing these names likely came from this barren fought-over land. In fact, these were names of some of the most nefarious border reivers, as they called themselves. Between about 1450 and 1600, bands of these families and others from either the English or Scottish side of the border robbed and feuded from their great stone fortresses, claiming allegiance to neither king nor lawman, but only to their family laird. The

lowland reivers are not as famous today as the highland clans, but they were as courageous and as fearsome, their lives a web of castles and kings, hangings and raids, intrigue and kidnapping, and justice meted out by lawmen called wardens who often also were themselves reivers. It is a story of the Old West three centuries in advance. Visitors to the moors of the reivers can trace their paths through a raggedly beautiful, baleful vista of wild hills and muddy copses pocked with black-faced Scottish sheep and redoubtable stone peels. The “peel” tower is a kind of castle, but smaller, built for a reiver clan to resist assaults of other families or the law. Many late-medieval peels, like Smailholm, six miles from Kelso, Scotland, and family castle of the Pringles, are intact and open to the public. Others, like the 13th century Hermitage near Newcastleton, were strongholds not of the families but of the wardens who tried to control them, and history documents a bloody trail of hideous torture and extinction of life there. “Everyone whose been there say they get a feelin’ about the place,” stated the stout teashop waitress in Bellingham nearby. Of course, that’s old news. Castles are always supposed to be haunted. As the wind stings your face whistling down the massive block fortress from across the empty moors, the chill you feel at Hermitage may just be the cold. Or it may not be. Reivers fed hatred, hatred fed wars, and the great border castles and abbeys suffered the most. Before 1603, when Scotland and England united under King James, the border was most strategic of demarcations, and some 100 castles guarded from both sides. These royal sentinels of medieval power now stand mostly in skeletal ruins, evocative reminders of what once happened here. Some are intact, and many are open to the public. It is easy to visit a dozen castles

Lindisfarne Castle on Holy Island offers a dramatic view of the North Sea. Beaches in this area are open to swimmers in the summer. in a long weekend if you are traveling by car, the best way to visit the borders. But kings and nobles played only part of the lore of the borders. The wall built by Roman emperor Hadrian in A.D. 122 runs 73 miles from Irish Sea to North Sea. Some of the once 20-foot high stone is gone, and the rest has been beaten down by the ages to more of a high fence. But an interpretive center near the excavation of Housesteads, a second-century fort just at the wall’s geographic center near Haydon Bridge, describes vividly how Romans lived in Britain. Whom did they wish the wall to

keep out? This was before Scotland was Scotland; likely Roman legions quarrelled against the Picts. The barbarian tribe painted their bodies in gaudy colors and attacked naked, even in winter. No wonder Romans believed a wall to be necessary. Christianity was brought to Northumberland and northern England in the 7th century, at Lindisfarne. The ruined priory and well-preserved castle of Lindisfarne rise from the sea on Holy Island south of Berwick, accessible by a causeway open only during low tide. Here Lindisfarne’s monks established one of the greatest scriptoriums in the Christian

world, 400 years after the Romans, but still 600 years before the reivers. The Lindisfarne Gospel, illuminated about A.D. 800, is on display at the British Museum in London. It is one of the most famous documents of Anglo-Saxon Christianity, a religion reaching back to Jesus, but still apparently quite different from what we call Christianity today. A pilgrimage to the border abbeys might follow the plan of King David I of Scotland (1124-1153). This king tried to bring prestige and order to his country by founding four abbeys, at Jedburgh, Kelso, Melrose, and Dryburgh. These began as centers of monasticism, an acscetic way of life then in vogue which requires Christians to live simply and chastely, renouncing worldly pleasures. Monks of these abbeys would rise at 2:30 a.m., pray in the unheated stone chapel until sunrise, and spend the day in prayer or manual toil. They could not speak except in the “parlour,” (French: “parler,” =to talk) and were seldom allowed to see their families. It seems one society’s cult is another’s great religion. The abbeys soon gained power and riches from the pilgrims or locals who paid to save their souls. Weath begat arrogance and tempted greed. The great medieval border abbeys were put to ruin during wars of the 1500s, leaving melancholy memorials to a pain-wracked age next to the ancient castles and walls. For the thoughtful adult traveller anxious to avoid the banality of modern marketing, the borders offer a site for quiet meditation and reflection. Practical Information: The borders begin about 60 miles from Edinburgh, or about five hours by train from London. While facilities are modest, the smaller towns nevertheless have tourist offices, hotels, and B and Bs. For information write the Scottish Borders Tourist Board, Municipal Buildings, High Street, Selkirk TD7 4JX, U.K.

A standard headline about Quebec City

The province of Quebec might be called a poor manʼs Europe. Or Europe for beginners. It has an exchange rate, but the currency is still dollars and cents. It has a foreign lan- guage, but nearly everybody also speaks English. Itʼs road signs read French, but people drive American cars. Yet to cast Quebec and its two main cities, Mon- treal and Quebec City, into the role of “Europe 101” for U.S. travelers is just a beginning. Montreal, and provincial capital Quebec City, about 150 miles apart, (and some 1,700 from Fargo-

Moorhead) claim a distinct North American culture of their own, a sometimes star- tling melange of French and English on an American plate. Quebec City, elder of the two, is one of North Ameri- caʼs oldest settlements, estab- lished 12 years before the Pilgrims sailed. Thoroughly French, for another century and one-half North Americaʼs premier commercial and mili- tary capital built fortifications to fight off British opportun- ism until finally capitulating in 1759. The conquerors, fear- ing further attacks, added to

the fortifications. Visitors still may visit the citadel and stone walls. Montreal was settled a little later, in 1642, and was at first the less important of the two French colonies. Big ships then could not reach past Quebec City up the shal- low St. Lawrence. But Montreal did play a major role in the French fur trade. It was home to many of the voyagers who paddled Minnesotaʼs Boundary Waters for the majority of the 17th and 18th centuries. Montreal, too, attracted the British, who gained it finally along with Quebec just

before the American Revolution. Less known is that revolutionary rebels from the American colonies also conquered Montreal--for six months America ruled this Canadian city, in hopes the French too would revolt against King George III. They didnʼt. That common history so important to our own nation makes these two cities more than just a bit of Europe. And 200 years of British-French tension explains the almost schizophrenic bilinguals today. No shop or street signs can be in English, according

to provincial law, despite that a strong minority of residents call English their mother tongue. Yet streets like “rue Rene Levesque” jut into “rue Stanley,” vigorously French neighboring stanching Eng- lish. “I went to an English- speaking high school,” said an artist in Quebec Cityʼs outdoor art market, with pride, in a city that looks as thoroughly French as Lyons. “I had to learn French for self-defense.” An Anglo- phone Quebec boutique Quebec to page 2

Travel

The Sunday Glitch June 11, 2004 Page C-1

Scotland: standard headline American travellers who have already seen much of Britain often have ignored the borders, a windy moorland at the neck of the island. This sparsely-populated frontier between England and Scotland rolls through about 80 miles between Berwick (pronounced Bear-ick) on the east coast and Carlisle on the west, generally following a military line drawn by the Romans between ancient adversaries nearly 2,000 years ago. That was only the beginning of centuries upon centuries of horror haunting a bleak land open to the 20th century visitor, battles and betrayals told through scores of ruined castles, abbeys, and massive stone walls. You find no glitzed theme parks in the borders, no swank hotels or tours to gimmicky made-up castles with costumed natives guarding souvenir shops. And few chain stores in these little towns. Even fewer banalized malls and fast food franchises. Instead, borderers offer mostly rough-and-ready accomodation and hearty staple food at prices about one-third down from touristy norms. Add to that an open welcome that reminds you of going home. Perhaps thats what you are doing. Armstrong... Bell... Burn... Dodd... Elliot... Graham... Hall... Johnstone... Little... Maxwell... Nixon... Ridley... Robley... Scott.... These are some of the greatest names of the borders, and unless your Scandinavian family borrowed one of them, your ancestors bearing these names likely came from this barren fought-over land. In fact, these were names of some of the most nefarious border reivers, as they called themselves. Between about 1450 and

1600, bands of these families and others from either the English or Scottish side of the border robbed and feuded from their great stone fortresses, claiming allegiance to neither king nor lawman, but only to their family laird. The lowland reivers are not as famous today as the highland clans, but they were as courageous and as fearsome, their lives a web of castles and kings, hangings and raids, intrigue and kidnapping, and justice meted out by lawmen called wardens who often also were themselves reivers. It is a story of the Old West three centuries in advance. Visitors to the moors of the reivers can trace their paths through a raggedly beautiful, baleful vista of wild hills and muddy copses pocked with black-faced Scottish sheep and redoubtable stone peels. The “peel” tower is a kind of castle, but smaller, built for a reiver clan to resist assaults of other families or the law. Many latemedieval peels, like Smailholm, six miles from Kelso, Scotland, and family castle of the Pringles, are intact and open to the public. Others, like the 13th century Hermitage near Newcastleton, were strongholds not of the families but of the wardens who tried to control them, and history documents a bloody trail of hideous torture and extinction of life there. “Everyone whose been there say they get a feelin’ about the place,” said the stout teashop waitress in Bellingham nearby. Of course, that’s old news. Castles are always supposed to be haunted. As the wind stings your face whistling down the massive block fortress from across the empty moors, the chill you feel at Hermitage may just be the cold. Or it may not be.

Lindisfarne Castle on Holy Island offers a dramatic view of the North Sea. Beaches in this area are open to swimmers in the summer. Reivers fed hatred, hatred fed wars, and the great border castles and abbeys suffered the most. Before 1603, when Scotland and England united under King James, the border was most strategic of demarcations, and some 100 castles guarded from both sides. These royal sentinels of medieval power now stand mostly in skeletal ruins, evocative reminders of what once happened here. Some are intact, and many are open to the public. It is easy to visit a dozen castles in a long weekend if you are traveling by car, the best way to visit the borders. But kings and nobles played

only part of the lore of the borders. The wall built by Roman emperor Hadrian in A.D. 122 runs 73 miles from Irish Sea to North Sea. Some of the once 20-foot high stone is gone, and the rest has been beaten down by the ages to more of a high fence. But an interpretive center near the excavation of Housesteads, a second-century fort just at the wall’s geographic center near Haydon Bridge, describes vividly how Romans lived in Britain. Whom did they wish the wall to keep out? This was before Scotland was Scotland; likely Roman legions quarrelled against the Picts. The barbarian tribe painted

their bodies in gaudy colors and attacked naked, even in winter. No wonder Romans believed a wall to be necessary. Christianity was brought to Northumberland and northern England in the 7th century, at Lindisfarne. The ruined priory and well-preserved castle of Lindisfarne rise from the sea on Holy Island south of Berwick, accessible by a causeway open only during low tide. Here Lindisfarne’s monks established one of the greatest scriptoriums in the Christian world, 400 years after the Romans, but still 600 years before the reivers. The Lindisfarne Gospel, illuminated about A.D. 800, is on display at the British Museum in London. It is one of the most famous documents of Anglo-Saxon Christianity, a religion reaching back to Jesus, but still apparently quite different from what we call Christianity today. The abbeys soon gained power and riches from the pilgrims or locals who paid to save their souls. Wealth begat arrogance and tempted greed. The great medieval border abbeys were put to ruin during wars of the 1500s, leaving melancholy memorials to a pain-wracked age next to the ancient castles and walls. For the thoughtful adult traveller anxious to avoid the banality of modern marketing, the borders offer a site for quiet meditation and reflection. Practical Information: The borders begin about 60 miles from Edinburgh, or about five hours by train from London. While facilities are modest, the smaller towns nevertheless have tourist offices, hotels, and B and Bs. For information write the Scottish Borders Tourist Board, Municipal Buildings, High Street, Selkirk TD7 4JX, U.K.

A standard headline about Quebec City The province of Quebec might be called a poor manʼs Europe. Or Europe for beginners. It has an exchange rate, but the currency is still dollars and cents. It has a foreign language, but nearly everybody also speaks English. Itʼs road signs read French, but people drive American cars. Yet to cast Quebec and its two main cities, Montreal and Quebec City, into the role of “Europe 101” for U.S. travelers is just a beginning. Montreal, and provincial capital Quebec City, about 150 miles apart,

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(and some 1,700 from FargoMoorhead) claim a distinct North American culture of their own, a sometimes startling melange of French and English on an American plate. Quebec City, elder of the two, is one of North Americaʼs oldest settlements, established 12 years before the Pilgrims sailed. Thoroughly French, for another century and one-half North Americaʼs premier commercial and military capital built fortifications to fight off British opportunism until finally capitulating in 1759. The conquerors, fearing further attacks, added to

the fortifications. Visitors still may visit the citadel and stone walls. Montreal was settled a little later, in 1642, and was at first the less important of the two French colonies. Big ships then could not reach past Quebec City up the shallow St. Lawrence. But Montreal did play a major role in the French fur trade. It was home to many of the voyagers who paddled Minnesotaʼs Boundary Waters for the majority of the 17th and 18th centuries. Montreal, too, attracted the British, who gained it finally along with Quebec just before the Ameri-

can Revolution. Less known is that revolutionary rebels from the American colonies also conquered Montreal--for six months America ruled this Canadian city, in hopes the French too would revolt against King George III. They didnʼt. That common history so important to our own nation makes these two cities more than just a bit of Europe. And 200 years of British-French tension explains the almost schizophrenic bilinguals today. No shop or street signs can be in English, according

to provincial law, despite that a strong minority of residents call English their mother tongue. Yet streets like “rue Rene Levesque” jut into “rue Stanley,” vigorously French neighboring stanching English. “I went to an Englishspeaking high school,” said an artist in Quebec Cityʼs outdoor art market, with pride, in a city that looks as thoroughly French as Lyons. “I had to learn French for self-defense.” An Anglophone Quebec boutique

Quebec to page 2

Esercitazione su InDesign. Attraverso gli strumenti illustrati dal professore, il compito era realizzare un fax-simile dell’articolo avendone il testo del giornale e l’immagine riportata.


4. INFOGRAFICA Un infografica può essere definita come l’insieme dei disegni e dei grafici elaborati al computer per rappresentare sinteticamente lo sviluppo di fenomeni complessi, statistiche, ecc... L’argomento su cui si basa l’infografica qui accanto riportata riguarda un aspetto della vita quotidiana e pubblica degli italiani: l’interesse politico. I dati utilizzati sono attendibili poichè il sito consultato è quello dell’ l’ISTAT 2019, (Istituto nazionale di statistica) un ente pubblico di ricerca italiano che si occupa dei censimenti generali della popolazione, dei servizi e dell’industria, e dell’agricoltura, di indagini campionarie sulle famiglie e di indagini economiche generali a livello nazionale. L’argomento scelto riguarda più precisamente la frequenza e i canali di informazione da parte dei giovani italiani. Ho deciso di dividere in tre fasce di età i giovani: la prima, gli adolescenti che vanno dai 14 ai 17 anni, la seconda che comprende ragazzi di 18 e 19 anni, età del dirtto al voto, per ultima la fascia dei ragazzi ormai più maturi che va dai 20 ai 24 anni. I dati raccolti sono in percentuale rispetto a 100 perosne con le stesse caratteristiche. La frequenza di informazione viene genericamente divisa in tre diversi gruppi: settimanale, mensile e mai; per settimanale si intende chi si informa tutti i giorni o qualche volta a settimana; per mensile invece chi si informa una volta a settimana o qualche volta al mese, mentre mai comprende chi non si informa per niente o chi si informa raramente durante l’anno.

Nel caso dei canali utilizzati invece, vengono proprosti: il giornale, la tv, i parenti e gli amici. Il web è sicuramente oggi uno dei canali più diffusi e utilizzati per qualsiasi tipo di informazione, ma i dati che lo stesso web offre al riguardo sono davvero poco dettagliati. Nell’infografica ogni omino stilizzato corrisponde a 10 persone. In base alla fascia di età gli omini sono rappresenati con colori diversi. Ognuno di questi, tramite dei filamenti, viene collegato a un informazione che lo riguarda, per quanto e come si informa di politica. I filamenti che collegano gli omini ai canali sono colorate con una gradazione di grigio in modo tale da non confrondere visivamente lo schema.

Grafica per la prima bozza dell’infografica. Rispondeva al perchè molti giovani non si informano di politica.

PERCHEʼ

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Dal grafico è quindi possibile intuire a prima vista che: -sono pochi i ragazzi in generale che si informano di politica, infatti “mai” ha molte più diramazioni rispetto alle altre frequenze; -non tutti i ragazzi, quando comprendono il potere del voto, iniziano ad informarsi e ad impegnarsi di più rispetto al proprio paese; -la tv svolge un ruolo fondamentale rispetto all’informazione; -i quotidiani o giornali non vengono più consultati come una volta; -i parenti e le amicizie ampliano le proprie conoscenze;

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1. COS’ E’ IL KIRIGAMI

Il kirigami è una tecnica orientale di intaglio e piegatura della carta per ottenere forme tridimensionali a partire da un unico foglio, senza asportare pezzi. Il significato del termine deriva dal giapponese "kiru" = tagliare e "kami" = carta). Questa tecnica consente all'artista di enfatizzare la presentazione visuale dell'opera salvaguardando la semplicità e la pulizia delle linee. Il kirigami può essere considerato una variante dell'origami, anche se nell'origami il taglio della carta non è accettato dalla maggioranza dei moderni piegatori. Il kirigami viene solitamente realizzato eseguendo dapprima tutti i tagli necessari, ottenendo in questo modo una base che viene quindi piegata e appiattita per ottenere il modello. I modelli sono solitamente simmetrici e possono rappresentare modelli geometrici, figurativi e strutture architettoniche.

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2.1 TAGLIA E PIEGA Taglio Piega a monte Piega a valle

Tipologia scelta: BASIC 2 Varianti: eseritazione Takeshi

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2.2 TAGLIA E PIEGA Taglio Piega a monte Piega a valle

Tipologia scelta: BASIC 2 Varianti: inventate

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2.3 TAGLIA E PIEGA Taglio Piega a monte Piega a valle

Tipologia scelta: BASIC 6 Varianti: eseritazione Takeshi

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2.4 TAGLIA E PIEGA Taglio Piega a monte Piega a valle

Tipologia scelta: BASIC 6 Varianti: inventate

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3.1 SIMMETRIE

Taglio Piega a monte Piega a valle

Simmetria bilaterale. Viene specchiato il modulo rispetto l’asse centrale verticale del foglio.

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3.2 SIMMETRIE

Taglio Piega a monte Piega a valle

Simmetria traslatoria. Viene traslato il modulo lungo un’asse orizzontale della figura.

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3.3 SIMMETRIE

Taglio Piega a monte Piega a valle

Ribaltamento di un semipiano. Viene ribaltato il modulo rispetto al suo piano originale.

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1. INTRODUZIONE

Le città invisibili è un’opera di Italo Calvino pubblicata nel 1972 e fa parte del periodo combinatorio dell’autore, in cui è evidente l’influenza della semiotica e dello strutturalismo. Nella letteratura combinatoria centrale diventa il lettore, che si trova a “giocare” con l’autore, nella ricerca delle combinazioni interpretative nascoste nella sua opera e nel linguaggio stesso. Il punto di partenza di ogni capitolo è il dialogo tra Marco Polo e l’imperatore dei Tartari Kublai Khan, che interroga l’esploratore sulle città del suo immenso impero. Marco Polo descrive città reali o immaginarie, che colpiscono sempre più il Gran Khan. Il libro è costituito da nove capitoli, ma c’è un’ulteriore divisione interna: ognuna delle 55 città è divisa in base a una categoria (sono 11 in totale), dalle “città e la memoria” alle “città nascoste”. Il lettore ha quindi la possibilità di “giocare” con la struttura dell’opera, scegliendo di seguire un raggruppamento o un altro, la divisione in capitoli o in categorie, o semplicemente saltando da una descrizione di città a un’altra. Calvino stesso ha affermato, in una conferenza del 1983 alla Columbia University a New York, che non c’è una sola fine delle Città invisibili perché “questo libro è fatto a poliedro, e di conclusioni ne ha un po’ dappertutto, scritte lungo tutti i suoi spigoli”.

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Struttura Così parlerà del suo libro Italo Calvino nelle Lezioni americane: «Un simbolo più complesso, che mi ha dato le maggiori possibilità di esprimere la tensione tra razionalità geometrica e groviglio delle esistenze umane è quello della città. Il mio libro in cui credo d'aver detto più cose resta Le città invisibili, perché ho potuto concentrare su un unico simbolo tutte le mie riflessioni, le mie esperienze, le mie congetture; e perché ho costruito una struttura sfaccettata in cui ogni breve testo sta vicino agli altri in una successione che non implica una consquenzialità o una gerarchia ma una rete entro la quale si possono tracciare molteplici percorsi e ricavare conclusioni plurime e ramificate.»

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2. EUTROPIA

Taglio Piega a monte Piega a valle

Le città e gli scambi. 3. “Entrato nel territorio che ha Eutropia per capitale, il viaggiatore vede non una città ma molte, di eguale grandezza e non dissimili tra loro, sparse per un vasto e ondulato altopiano. Eutropia è non una ma tutte queste città insieme; una sola è abitata, le altre vuote; e questo si fa a turno. Vi dirò ora come. Il giorno in cui gli abi- tanti di Eutropia si sentono assalire dalla stanchezza, e nessuno sopporta piú il suo mestiere, i suoi parenti, la sua casa e la sua via, i debiti, la gente da salutare o che saluta, allora tutta la cittadinanza decide di spostarsi nella città vicina che è lí ad aspettarli, vuota e come nuova, dove ognuno prenderà un altro mestiere, un’altra moglie, vedrà un altro paesaggio aprendo la finestra, passerà le sere in altri passatempi amicizie maldicenze. Cosí la loro vita si rinnova di trasloco in trasloco, tra città che per l’esposizione o la pendenza o i corsi d’acqua o i venti si presentano ognuna con qualche differenza dalle altre.”

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3. EUSAPIA

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Le città e i morti. 3.

Piega a monte Piega a valle

“Non c’è città piú di Eusapia propensa a godere la vita e a sfuggire gli affanni. E perché il salto dalla vita alla morte sia meno brusco, gli abitanti hanno costruito una copia identica della loro città sottoterra. I cadaveri, seccati in modo che ne resti lo scheletro rivestito di pelle gialla, vengono portati là sotto a continuare le occupazioni di prima. (...) L’incombenza di accompagnare giú i morti e sistemarli al posto voluto è affidata a una confraternita di incappucciati. (...) Dicono che ogni volta che scendono trovano qualcosa di cambiato nell’Eusapia di sotto; i morti apportano innovazioni alla loro città; non molte, ma certo frutto di riflessione ponderata, non di capricci passeggeri. Da un anno all’altro, dicono, l’Eusapia dei morti non si riconosce. E i vivi, per non essere da meno, tutto quello che gli incappucciati raccontano delle novità dei morti, vogliono farlo anche loro. Cosí l’Eusapia dei vivi ha preso a copiare la sua copia sotterranea. Dicono che questo non è solo adesso che accade: in realtà sarebbero stati i morti a costruire l’Eusapia di sopra a somiglianza della loro città. Dicono che nelle due città gemelle non ci sia piú modo di sapere quali sono vivi e quali i morti.”

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1. CONCEPT

La seduta in legno è pensata per essere posizionata sia in un ambiente esterno che interno ed è concepito per un target che va da 3 a 12 anni. La panca si ispira a un concetto studiato e teorizzato dallo zoologo Konrad Lorenz, ovvero l’imprinting. L’imprinting è una tipologia di apprendimento che appartiene ai cuccoli di tutte le specie, i quali durante un preciso periodo di sviluppo, se a contatto con dei giusti stimoli apprendono inconsapevolmente. Una delle esperienze più conosciute di Lorenz è quella con i piccoli di oca. Le oche dopo la loro nascita fino alle 48 ore dopo associano alla figura di “madre” qualsiasi figura che interagisce con loro in quel determinato periodo. L’ochetta Martina, così chiamata da Lorenz, riconobbe in lui la sua figura di “madre”. Nel caso dell’uomo non è così poiche fin da piccolo riconosce di essere uomo e riuscendo a individuare la sua specie. La sedia MARTY è progettata per i bamabini, periodo di sviluppo dell’essere umano, con lo scopo di diventare un posto sicuro in cui riporre i propri giochi e libri educando così all’ordine. Non solo educa ma ha l’intento di creare uno spazio in cui il bambino può rifugiarsi acquistando un luogo tutto suo.

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2. SCHIZZI PROGETTUALI

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2. SCHIZZI PROGETTUALI

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3. MARTY

PRIMA POSIZIONE. La seduta si ispira alle forme di un oca. Il bambino può scegliere due posizioni per sedersi sulla seduta. La prima è quella qui riportata. Il bamabino si siede sullo spicchio di tessuto rimanendo sospeso, una delle sensazioni più belle di sempre. Il tessuto accoglie e abbraccia il corpo del bamabino e sembrerà di essere trasportati da un oca mentre nuota nel laghetto.

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3. MARTY

SECONDA POSIZIONE. Con l’aggiunta di un elemento cilindrico veticale piantato nella base della panca è possibile trasformare la seduta in una tenda. Il bambino interagisce così in maniera completamente diversa con la seduta, sotto la tenda potrà riporre oggetti come giochi e libri creando così un suo piccolo spazio personale in cui giocare e leggere.

Materiali panca: -Legno d’acero, è un legno duro e pesante, con buone caratteristiche di robustezza che includono una resistenza elevata all’abrasione e all’usura. Può essere facilmente carteggiato, trattato con mordenti e lucidato per ottenere un’eccellente finitura liscia. -Tessuto nattè (dal francese natter intrecciare) o panama (perché simile all’intreccio che caratterizza il cappello di Panamá) è un tessuto derivato dall’armatura tela. Resistente soprattutto se il filato contiene sostanza plastiche.

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1. COS’E’ IL READY-MADE Duchamp e il ready-made: un binomio che ha rivoluzionato la storia dell’arte, portando alla creazione di opere uniche e mai immaginate fino a quel momento. Marcel Duchamp, artista stravagante ed estroso, ha avuto un ruolo chiave nell’arte contemporanea del secolo scorso: diventato celebre per l’invenzione del ready-made, pur essendosi dedicato all’arte fin dalla giovinezza e per quasi tutta la vita, ha sempre mostrato una certa sofferenza nei confronti delle correnti artistiche della sua epoca. Marcel fatica a rientrare negli schemi, nella pittura così come nella vita: non ama definirsi simbolista né cubista, né parte di qualsiasi altro movimento dell’epoca. L’artista è conosciuto soprattutto per il suo coinvolgimento nel movimento dadaista. Il movimento Dada nacque come avanguardia artistica all’inizio del XX secolo, ufficialmente a Zurigo, da un gruppo di artisti che rifiutavano la ragione e la logica in favore dell’intuizione, l’irrazionalità e la follia. I dadaisti rigettavano gli standard e le convenzioni artistiche tradizionali, rispondendo con opere che andavano contro l’estetica e la cultura del tempo. Nel contesto di derisione e riscrittura del concetto di arte convenzionale si inquadra Duchamp e il ready-made: oggetti pronti, “confezionati”, estrapolati dal loro contesto e resi opera d’arte tramite la semplice selezione degli stessi da parte dell’artista. La prima opera ready-made nasce prima ancora del movimento dadaista, nel 1913: la Ruota della bicicletta. Sebbene non si tratti di un’opera ready-made pura, in

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quanto la ruota è stata manipolata e infilata dentro a uno sgabello, sancisce la nascita del concetto artistico. La prima opera ready-made pura è invece lo Scolabottiglie (1914). Nella dissacrazione dell’arte il ready-made nasconde in realtà una filosofia più profonda: nega l’arte in quanto attività manuale in favore di una nuova identità per l’opera. Essa può essere qualsiasi cosa, un oggetto di uso quotidiano, anche usato o danneggiato, in quanto ciò che rende un artista tale non è l’abilità di manipolare la materia, ma la sua capacità di creare nuovi significati. La grandezza di Marcel Duchamp sta nell’aver spostato la concezione di arte dal piano fisico a quello intellettuale: il genio artistico non è nella mano ma nell’ingegno. La forza del legame tra questo nuovo concetto di arte e il dadadismo è dimostata dall’entusiasmo con cui fu accolta dagli artisti del movimento, quali Man Ray e Francis Picabia, che ne diedero un’interpretazione più personale fondendolo con la pittura. Il ready-made diviene il metodo di sconvolgimento e derisione dell’arte tradizionale preferito dai dadaisti, in particolare dopo la polemica suscitata dalla più celebre delle opere “già pronte” di Duchamp, una Fontana (1917) realizzata con un orinatoio. Fontana è stata definita l’opera più influente del XX secolo, prima opera d’arte concettuale con la quale il suo autore sancì una nuova epoca, fatta di oggetti comuni che abbandonano il loro uso pratico per acquisire nuovi significati e divenire opere d’arte.

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2. IL MIO READY-MADE

Il mio ready made è dedicato a tutte quelle persone che come me tendono ad accumulare borse di stoffa di tutti i tipi. Ultimamente le borse in tessuto vengono regalate come oggetto promozionale di brand, aziende e scuole o vengono vendute con tantissime tipologie di grafiche e stampe. Quella proposta è una piccola soluzione per ridare vita a una di quelle borse che non vengono utilizzate nella quatidianità .

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Occorrente:

-borsa in tessuto 42x38 cm -cuscino 45x45 cm -5 bottoni -ago e filo -spilli -forbici -scotch di carta

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1. Scucire i manici della borsa

2. Cucire i 5 bottoni lungo il perimetro interno del pezzo di stoffa sotto a quello con la grafica. Puoi aiutarti a dividere in cinque la zona con gli spilli.

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3.

Questo passaggio è facoltativo ma consigliato. Inserire nella fascia, sul quale verranno tagliati i buchi per i bottoni, una striscia si scotch di carta. Questa azione sarà possibile scucendo la parte interna del bordo. Questo impedirà alla tela di sfilarsi con la manipolazione del cuscino.

4. A questo punto è possibile forare il tessuto (se si ha un occhiellatrice il procedimento risulta piu veloce e preciso).

5. Ecco fatta la federa per il cuscino. Non rimane che infilarci il cuscino...e testarlo!

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Bibliografia. Appunti di Basic Design, vol.1 Appunti di Basic Design, vol.2 a cura di Francesco Fumelli Il canone Vignelli, Massimo Vignelli, 2010

Sitografia. https://www.pexels.com https://it.wikipedia.org https://www.travelonart.com https://mockups-design.com https://www.pentagram.com https://www.pinterest.it

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NOT SO BASIC Chiara Ceruti A.A.2019-2020


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