Inizio da qui. Carolina Lascialfari Corso di Basic Design I A. A. 2019/2020 Prof. Francesco Fumelli
Indice 1. La rivista Il titolo Gli spazi e le griglie Alcune pagine tipo I caratteri e lo stile tipografico La copertina Le pagine di respiro
4. Coperta di Linus Introduzione Il progetto La maglietta Alcune riiflessioni
6 7 8 9 10 11
2. Il Basic Design Definizione e nascita Johannes Itten
3. Tangram 14 17
5. Logotipi 30 31 33 35
Definizione e nascita Logo geometrico Logo acronimo Logo natura Logo libero Logo multisignificato
38 41 48 55 62 69
Definizione e nascita Le tavole singole L’impaginato
6. Immagine coordinata Definizione e progetto Oggetti commerciali Biglietto da visita Carta intestata Buste da lettera Homepage sito web
22 23 26
78 79 80 82 84 86
7. Prima scheda lezione La teoria costruttivista La teoria della Gestalt Il confronto tra le due teorie
10. Errori di progettazione Primo errore: pentola a pressione Secondo errore: mouse bluetooth
90 91 93
8. Seconda scheda lezione La prossemica
96
11. Informatica 112 115
I programmi Le esercitazioni del Precorso I rendering vettoriali del Corso Infografica
120 121 122 124
9. Ambigue percezioni
Le illusioni ottiche: definizione ed elaborati Applicazione a Design ed Arte
102 107
1. La rivista
La rivista Il titolo
È proprio il corso di Basic Design ad introdurre gli allievi al progetto, per tale motivo è stato scelto il titolo “Inizio da qui”. Questa rivista è stata pensata per essere un punto di partenza di quello che si spera sarà un lungo ed articolato percorso di progettazione, grazie al quale il bianco della copertina diventerà magari un colore, nella rivista sarà preponderante una personalità più forte e strutturata, che andrà a caratterizzare i contenuti più di quanto farà la sobrietà di questo book. Ogni rivista ha il diritto di essere costruita con un messaggio di fondo, diverso da quello di tutte le altre, e questo è il mio: che sia un inizio sobrio che lascia spazio ai contenuti, ma che questa partenza porti a future numerose idee sulla carta e non soltanto!
8
Gli spazi e le griglie Il formato scelto per questa rivista è un A4 (210x297mm) orizzontale. I margini sono di 20 mm, eccetto gli interni che si allargano di 5 mm aggiuntivi per evitare che la rilegatura tolga aria ai contenuti. La giustezza che ne risulta è di 252 mm, mentre l’altezza di 170 mm. colonne orizzontali in modo che le pagine tra loro affiancate potessero comunicare. La suddivisione è in tre colonne verticali e sei La griglia è stata pensata simmetrica, y= 38,333 48,333 66,666 76,666 94,999 104,999 123,332 133,332 151,665 161,665 179,998 bande orizzontali, intervallate da gutters abbastanza larghi da lasciare un minimo di spazio bianco, che dà respiro all’impaginato. 60, 30, 11, 9
210mm
20mm
297mm
25mm
10mm
20mm
9
Alcune pagine tipo Titolo Sottotitolo Lorem ipsum dolor sit amet, consectetuer adipiscing elit, sed diam nonummy nibh euismod tincidunt ut laoreet dolore magna aliquam erat volutpat. Ut wisi enim ad minim veniam, quis nostrud exerci tation ullamcorper suscipit lobortis nisl ut aliquip ex ea commodo Lorem ipsum dolor sit amet, consectetuer
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I caratteri e lo stile tipografico Lo stile tipografico scelto è Myanmar Text, privo di grazie ma comunque facile da leggere perchè fine. La scelta di un carattere con le grazie sarebbe stata più adeguata in caso di pagine con una presenza importante di testo scritto, ma questa rivista vuole dare spazio soprattutto alle immagini. I caratteri diminuiscono di dimensione gerarchicamente, così che il titolo ed il sottotitolo prevalgono sul testo, il quale a sua volta prevale sulle didascalie ed i numeri di pagina. Inoltre, per dare più rilievo agli elementi di maggiore importanza, questi hanno un colore più scuro della scala di grigi. Le parole chiave collegate con il titolo sono del suo stesso colore, il nero, mentre gli elementi grafici da evidenziare sono di colore blu (nella rivista di Basic 2 verrà utilizzato il rosso), unica nota cromatica oltre alle immagini.
Titolo 60 pt Sottotitolo 30 pt
C: 0% M: 0% Y: 0% K: 100%
C: 66% M: 57% Y: 65% K: 61%
Testo 11 pt C: 59% M: 49% Y: 49% K: 42%
Didascalie e numeri di pagina 9 pt
C: 53% M: 43% Y: 43% K: 28%
11
La copertina I lavori del corso sono stati inseriti in due riviste differenti, che organizzano le due parti della didattica. Le copertine sono uguali, solo due elementi variano: il numero romano uno per la rivista di Basic Design I, ed il due per la seconda rivista; inoltre, il punto al termine del titolo è in blu nel primo book ed in rosso (colore piÚ intenso e corposo, come i contenuti della seconda rivista) nel secondo. Questa variazione cromatica si mantiene anche all’interno, dove pochi elementi si differenziano dal monocromatismo delle pagine.
Inizio da
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Carolina Lascialfari Corso di Basic Design I A. A 2019/2020 Prof. Francesco Fumelli
Carolina Lascialfari Corso di Basic Design II A. A 2019/2020 Prof. Francesco Fumelli
Inizio da
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qui.
Le pagine di respiro Le pagine di respiro saranno introduttive ai differenti capitoli; conterranno, quindi, il nome di questi ed un’illustrazione coerente.
1. Nome capitolo
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2. Il Basic Design
Il Basic Design Definizione e nascita Il Basic Design è la disciplina alla base del Design, dove in quella che è una meta-progettazione convergono la ricerca espressivo-formale e l’insegnamento teorico-pratico della percezione e configurazione delle forme. Secondo l’assunto più diffuso, il Basic Design nasce nella scuola Bauhaus (fondata da Walter Gropius nel 1919 a Weimar), anche se le origini di tale disciplina risalgono a molti decenni precedenti. Il Basic Design si costruisce, infatti, sull’onda dello sviluppo della didattica del Design: dapprima si assiste ad un passaggio dall’educazione del “proto-designer” al disegno tecnico/artistico fino all’insegnamento dei principi morfostrutturali del disegno stesso e dell’ornamento. In seguito, viene introdotta l’educazione alla forma ed alla configurazione. I primi passi di questo sviluppo si devono a Jean-Jacques Bachelier (1724-1806), decoratore presso la manifattu16
-ra di Sevres, il quale fonda a Parigi le Écoles gratuites de Dessin nel 1767, sulla base della sua convinzione in merito al disegno come strumento fondamentale per stimolare la fantasia del proto-designer. Durante il periodo Vittoriano il modello di tali scuole francesi costituisce un riferimento per la nascita delle prime inglesi School of Design, nel cui piano didattico si trova come disciplina l’Elementary Design, insegnamento della grammatica dell’ornamento. Nel primo decennio del ‘900 l’ulteriore sviluppo industriale ed il rapido progresso tecnologico iniziano a smuovere gli animi degli artisti, portando alla nascita delle Avanguardie artistiche, che sulla scia dell’innovazione avanzano proposte per quei tempi azzardate, prima tra le quali la distruzione dei confini tra Arti “maggiori e minori”, obiettivo che verrà raggiunto e porterà alla definitiva indipendenza del Design dall’Arte.
Contemporaneamente, il razionalismo di Adolf Loos (grazie alla sua pubblicazione “Ornamento e Delitto” del 1908) porta alla discussione della tradizione ornamentale.
“Ornamento e delitto”, Adolf Loos, 1908
Sulla scia degli ultimi fatti citati, viene istituita la scuola Bauhaus (1919), che sarà un luogo di innovazione didattica (darà il via all’epoca moderna, con la nascita stabile del rapporto tra tecnologia e cultura), e per questo il punto di riferimento per l’innovazione a venire nel campo del Design e dell’Architettura. Tutto ciò grazie al metodo d’insegnamento adottato; i professori, scelti da Gropius in persona, sono figure di rilievo in ambito artistico di diverse nazionalità. L’espressione Basic Design è la traduzione anglosassone del nome del corso propedeutico alla progettazione istituito alla Bauhaus, il “Grundkurs” (da “Grund”=”Base”). Le componenti essenziali del corso di base del Bauhaus sono principalmente due: la definizione di una grammatica e sintassi formale e la rivalutazione della pratica manuale come momento essenziale nella formazione del designer. La sperimentazione è alla base della filosofia d’insegnamento di ogni docente. Ispirate dalle Avanguardie saranno anche scuole extraeuropee quali la russa Vchutemas (1920-1930) e le americane Black Mountain College (1933-1949) e Yale University (1950-1960), i cui docenti lavoreranno alla Bauhaus e le cui innovazioni confluiranno, quindi, in quest’ultima. Bauhaus, Dessau (nuova sede), 1923
17
Al termine della Seconda Guerra Mondiale, dopo grandi sconvolgimenti mondiali, lo sviluppo del Basic Design riprende la sua strada in Europa, grazie alla fondazione della
tedesca scuola di Ulm nel 1953 (Hochschule für Gestaltung). Primo direttore è, infatti, Max Bill (1908-1994) un ex studente della Bauhaus, il quale chiama ad insegnare da
subito alcuni docenti della Bauhaus. Se l’inizio è, quindi, caratterizzato dall’influsso della pedagogia della scuola di Gropius, in seguito Ulm arriva ad assumere un orientamento indipendente e nuovo. In particolare, Tomàs Maldonado (1922-2018) caratterizza il corso fondamentale introducendo la Visuelle Einfuehrung, una materia propedeutica alla ricerca visiva. Il Basic Design perde il carattere sperimentale ereditato dalla Bauhaus per avvicinarsi ad un nuovo modello pedagogico fondato sul “problem solving”, più vicino all’attuale approccio progettuale. La diffusione del Basic Design In Italia si deve alla pubblicazione di Giulio Carlo Argan intitolata “Walter Gropius e la Bauhaus” (1951), in cui egli si sofferma sulla didattica della scuola tedesca di Gropius.
Max Bill e studenti, Hochschule für Gestaltung (Ulm), anni ‘50
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Il Basic Design si è, insomma, evoluto nel tempo ed ancora lo sta facendo. E’, tutt’oggi, una disciplina sperimentale, che accoglie cambiamenti tecnologici e sociali. Al giorno d’oggi, tale disciplina include esercitazioni sequenziali, digitali e multimodali svolte mediante l’utilizzo del computer, mezzo dal quale è ormai difficile prescindere. Educa gli allievi agli elementi che stanno alla base della progettazione, proponendo una sorta di “meta-progettazione”, che mette in correlazione il mondo fisico con quello fenomenico.
Johannes Itten Nato nel 1888 a Süderen-Linden, Johannes Itten studia per diventare maestro elementare, lavoro che svolge per qualche anno. In parallelo frequenta l’Accademia di Belle Arti di Ginevra e negli anni seguenti acquisisce un ulteriore diploma, apprendendo le Scienze naturali e la Matematica all’Università di Berna. Completa i suoi studi all’Accademia di Belle Arti di Stoccarda dove, sotto la guida di Adolf Hölzel (pittore tedesco, Arte astratta, 1853-1934) inizia a farsi strada come pittore. Hölzel conduce ricerche sulle relazioni tra colore e suono, così che Itten ne eredita la passione per il colore stesso e la propensione per metodi d’insegnamento poco convenzionali.
Johannes Itten (foto di Paula Stockmar), 1921
Dapprima interessato alle opere ed al pensiero del gruppo artistico Der Blaue Reiter e del Cubismo, si avvicina poi al pensiero di Robert Delaunay. Ed è proprio sui contrasti tra forme e colori che incentra l’insegnamento in una scuola privata aperta da lui qualche anno dopo, nel 1916, a Vienna. Già dal primo anno di apertura della Bauhaus, viene chiamato da Gropius a tenere un corso preliminare.
La sua classe sarebbe stata una delle tante comprese nel Workurs, tirocinio di sei mesi che gli studenti interessati alla Bauhaus avrebbero dovuto svolgere per poi sapere dai Maestri se sarebbero stati adatti a frequentare la scuola. Qui Itten propone l’insegnamento di materiali, colori e forme, per fornirne il pieno controllo, oltre alla Storia dell’Arte. Accanto a tali discipline ormai note, il Maestro tiene lezioni in cui guida gli studenti in esercizi di corpo atti a stimolare la concentrazione, la corretta respirazione ed il rilassamento, così da creare un tutt’uno fluido e dinamico tra corpo e mente. Tali pratiche sono considerate da Itten di fondamentale importanza per la liberazione delle energie creative e lo sblocco dei freni fisici e psicologici che tenddono a limitare la libertà espressiva. Egli ritiene, infatti, che la scoperta e l’espressione di sé siano la base di ogni attività creativa. Itten diffonde, insomma, attraverso il proprio corso i principi del Mazdaznan, del quale è seguace. È proprio questa spiritualità ed introspezione a scontrarsi con il razionalismo di Gropius, così che nel 1923 Itten stesso decide di allontanarsi dalla scuola. Continua la sua attività didattica in Germania ed in Svizzera, ponendosi a capo di Scuole e Musei. 19
Nel 1961 Itten pubblica “Kunst der Farbe” (“Arte del colore”), libro che contiene una selezione delle opinioni allora correnti sulla Teoria del Colore, rielaborate dal pittore stesso. Qui le principali: Il Mazdaznan
Il Disco cromatico
Dal persiano, “pensiero principale”, è una religione fondata da Otto Hanisch e diffusa nei primi decenni del XX secolo in vari paesi europei: si richiama all’antica religione persiana, seppur con atteggiamento sincretico dia la medesima importanza ai profeti e gli Dei di tutte le altre religioni. Il desiderio di base è la restaurazione della Terra come un grande giardino dove l’umanità possa cooperare e conversare con le divinità. I seguaci del Mazdaznan seguono una dieta vegetariana con sporadici digiuni, accompagnata da esercizi corporei di respirazione, concentrazione e rilassamento.
L’elaborazione del Disco cromatico da parte di Itten ha portato alla distinzione dei colori in primari, secondari e terziari, seppure tale classificazione sia stata presto messa in discussione, perchè non corretta. Infatti, al giorno d’oggi si può con certezza affermare che Itten era in errore, ma che le sue intuizioni hanno offerto una solida base per le ricerche sul colore. Al centro del Disco, Itten colloca un triangolo equilatero suddiviso in tre parti uguali, le quali rappresentano i colori primari[1]: rosso, giallo e blu (in realtà sono il magenta, il giallo cadmio chiaro ed il ciano). Da tale triangolo nasce un esagono, nelle cui tre sezioni sono rappresentati I colori secondari[2], ottenuti dalla mescolanza dei primari a coppie. Ogni vertice dell’esagono tocca una sezione delle dodici in cui è suddiviso il disco esterno. Le sei che rimangono vuote sono occupate dai colori terziari[3], ottenuti dalla mescolanza di un colore primario con uno secondario. Nel disco, I colori opposti risultano essere complementari.
[1]
[2]
[3] 2018
I sette contrasti cromatici Itten definisce il contrasto cromatico come la percezione di differenze o intervalli evidenti tra due colori posti a confronto. Afferma che i nostri sensi valutano sempre e solo mediante confronti: ad esempio, si riconosce che una linea è lunga soltanto quando viene messa a confronto con una più corta, e viceversa. Allo stesso modo, I colori possono potenziarsi oppure indebolirsi in virtù del colore con cui vengono messi a confronto. Itten distingue sette differenti tipologie di contrasto, che nella sua pubblicazione esamina singolarmente: Colori puri Chiaro e scuro [C] Freddo e caldo [D] Colori complementari [E] Simultaneità [F] Qualità [G] Quantità.
[B]
[E]
[C]
[F]
[D]
[G]
[A] [B]
[A]
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3. Tangram
Tangram
Definizione e nascita Il Tangram è un gioco rompicapo nato nel II secolo a.C. in Cina (al 1796 risalgono le prime opere che ne parlano) costituito da sette blocchetti (tan) inizialmente disposti a formare un quadrato. Tali tan sono un quadrato, un parallelogramma, due triangoli rettangoli grandi, uno medio e due piccoli. La leggenda lega la nascita di questo gioco alla storia di un monaco, il quale donò al suo discepolo un quadrato di porcellana su cui dipingere le bellezze che avrebbe incontrato nel viaggio che stava per intraprendere. Il quadrato gli si ruppe durante il cammino in sette pezzi distinti, così che il discepolo capì di poter rappresentare ciò che vedeva soltanto accostandoli tra di loro. Lo scopo del gioco è, infatti, quello di formare varie figure utilizzando tutti i sette pezzi senza sovrapporli, ma accostandoli tra loro: le combinazioni che si possono ottenere sono centinaia.
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Quadrato Tangram
I sette tan distinti
Le tavole singole Utilizzando la tecnica del Tangram sono stati realizzati tre elaborati: una storia[1], la descrizione di quattro emozioni[2], la descrizione di se stessi[3].
La storia a vignette racconta il percorso per superare le paure. Una bimba, all’inizio piccola rispetto alla sua paura, che ha di fronte (la fiamma), durante il racconto illustrato cresce fino a distruggerla, mentre la paura rimpicciolisce. Infatti, i nostri timori ci sembrano all’inizio piÚ grandi di noi, ma fortificandoci ci rendiamo conto di poterli demolire.
[1]. 1
2
3
4
5
6 25
Con colori e composizioni differenti, si possono ottenere emozioni e sensazioni variegate. 1. Qui, il blu intenso rimanda al mare, fermo ed inamovibile; la simmetria si collega all’equilibrio, una dipendenza per l’occhio umano. Entrambe le componenti rendono l’illustrazione statica e bilanciata.
2. I blocchetti geometrici sono impilati in modo instabile, così che sembrino scivolare gli uni sugli altri. Al tempo stesso, la compattezza della parte inferiore della composizione, unita all’illuminazione cromatica graduale, sembra dare lo slancio agli elementi posti in alto, i quali avendo una minore base d’appoggio paiono in procinto di staccarsi.
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Rabbia
Dinamismo
Stabilità e bilanciamento
[2]. 1. Stabilità e bilanciamento
3. La messa in evidenza delle punte allontana, segnala un pericolo; la posizione dei blocchetti crea linee di forza che si concentrano in un singolo punto, su cui si scarica la negatività. Il colore marrone tendente al rosso, ripreso anche dallo sfondo compatto, rinforza l’intenzione delle figure geometriche, evocando il sentimento di rabbia.
2. Dinamismo
3. Rabbia
L’andamento degli elementi è orizzontale, non fa muovere l’occhio né gli stati d’animo. Il colore verde è simbolo di serenità e tranquillità, ed i cinque blocchetti quadrati, leggermente sollevati rispetto al gruppo compatto di base, fluttuano dando una sensazione di leggerezza ed intangibilità. Le due componenti suscitano calma e rilassamento.
Questa sono io: un vortice di emozioni prende spesso il sopravvento sulla razionalità, provocando la perdità di lucidità. I differenti colori indicano le molteplici emozioni che l’animo è capabile di provare anche in una volta sola; queste nascono dal cuore e sono ospitate nella mente, come simbolicamente è noto. Il corpo è rappresentato dalla pianta.
Calma e Rilassamento 4. Calma e rilassamento
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L’impaginato Il Tangram è stato il primo lavoro di impaginazione: si denota la mancanza di una griglia strutturante abbastanza forte da permettere coerenza ed equilibrio nell’impaginato.
CAROLINA LASCIALFARI
Il Tangram è un gioco “rompicapo” cinese, costituito da sette blocchetti (tan) inizialmente disposti a formare un quadrato.
Lorem ipsum
NGRAM TA
di equ il co o ib gi
Scomponendolo, si intuisce che questo è in realtà formato da due triangoli rettangoli grandi, uno medio e due piccoli, un quadrato ed un parallelogramma.
“Guarda in te, torna a casa” Utilizzando lo schema del Tangram tradizionale, ho provato a: -Descrivermi -Parlare di emozioni -Raccontare una storia
Un
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Un po’ come la vita
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a li A.A.2019/2020
Copertina e retro di copertina
28
Lo scopo del puzzle è quello di formare varie figure utilizzando tutti i pezzi senza sovrapporli; con le varie parti si possono ottenere centinaia di combinazioni.
1
Il quadrato del Tangram è conosciuto come composto dalle “Sette pietre della saggezza” perché si diceva che la padronanza di questo gioco fosse la chiave per ottenere saggezza e talento.
Introduzione al Tangram e descrizione di sé
Questa sono io Un vortice di emozioni che inganna la razionalità e spesso fa perdere lucidità
2
Rabbia
Stabilità e bilanciamento
La messa in evidenza delle punte allontana, segnala un pericolo; la zione dei blocchetti crea linee di forza che si concentrato in un singolo punto, su cui si scarica la negatività. Il colore marrone tendente al rosso rinforza l’intenzione delle figure geometriche.
Il blu intenso inamovibile.
rimanda
al
mare,
fermo
“Ogni cammino inizia con un primo passo...”
ed
Dinamismo
Calma e Rilassamento
Rabbia
Stabilità e bilanciamento
La simmetria si collega all’equilibrio, una dipendenza per l’occhio umano.
All’inizio sembra tutto impossibile e spaventoso, perchè più grande di noi e sconosciuto
(incluso il Tangram)
Ma se prendiamo coraggio, ci sentiamo man mano più maturi e forti, pronti ad affrontare ciò che ci scoraggia proprio faccia a faccia, così che nella nostra mente quest’ultimo diventa sempre più piccolo ed insignificante
(Il Tangram non ancora)
Se abbiamo fortuna, anche a metà cammino riusciamo a distruggere ciò che ci demotivava; certo, i suoi resti rimangono sempre con noi, ma nel giusto posto e nella corretta misura per ricordarci di come siamo stati coraggiosi.
Dinamismo
Calma e rilassamento
3
L’andamento orizzontale degli elementi non fa muovere l’occhio né gli stati d’animo. Il colore verde è simbolo di serenità
Illustrazione delle emozioni
“... e non importa da dove veniamo, ma dove siamo diretti”
I blocchetti geometrici, impilati in modo instabile, sembrano scivolare gli uni sugli altri ed al tempo stesso dare la spinta agli elementi più in alto, che infatti hanno gradualmente una minor superficie di appoggio e sembrano in procinto di staccarsi.
4
5
6
Descrizione della storia
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4. Coperta di Linus
Coperta di Linus Introduzione
La coperta di Linus è comunemente nota come un oggetto che ha la capacità di fornire sicurezza a chi lo possiede. L’espressione deve la sua origine a Linus, uno dei personaggi del fumetto “Peanuts”, striscia creata da Charles Monroe Schulz negli ultimi anni ‘50. Qui, Linus non va da nessuna parte senza la sua coperta, da lui stesso definita come oggetto “di sicurezza”. Come lui, da bambini ci si affeziona sempre ad oggetti ai quali si attribuisce un’anima, e che si vuole portare con sé ovunque per sentirsi protetti e forti. Tali oggetti diventano più importanti di qualsiasi altra cosa: sono chiamati “oggetti transazionali”, un ponte tra la tenera età e le tappe del percorso di crescita. Con l’avanzare degli anni, si continua ad avere la propria coperta di Linus; così, come progetto è stata richiesta la realizzazione di un abito che la incarnasse, che fosse fonte di sicurezza e potesse rappresentare un capo da indossare per sentirsi a casa, raccontare di sé senza vergogna: in cui trovare sicurezza. 32
Il progetto
Bozzetto su carta
Progetto finale su carta (fronte e retro della maglietta)
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Dopo aver disegnato una rappresentazione che mi descrivesse, l’ho riportata sul bozzetto della maglietta. Sul capo è rappresentata una bambina che esce dal suo mondo con tante idee (rappresentate dalla lampadina). Incontra, però, una realtà in fermento dove non c’è spazio per i suoi pensieri e in cui lei si sente oppressa (le gambe scure e pesanti camminano in ogni direzione senza prestarle attenzione). La bimba è spaventata, sporge soltanto parte del viso, indecisa se ritornare da dove è venuta oppure se affrontare questo nuovo mondo così difficile. Il significato della maglietta è reso esplicito: racconta di tutte le volte in cui qualche persona speranzosa e piena di idee si scontra con la realtà, scoprendo di aver viaggiato con la mente in un mondo onirico ben diverso da quello in cui vive fisicamente. A quella che è una realtà così materialistica è difficile sopravvivere senza uscirne lesi, disillusi. Accade durante il percorso di crescita, ma non soltanto. La maglietta rispecchia, così, il modo in cui spesso mi sento, e mi rassicura perchè mi ricorda che pur vivendo in una realtà così dura ci si può ricordare del “fanciullino” Pascoliano pieno di meraviglia e speranza che è dentro ognuno di noi. Non solo ciò può aiutare ad andare avanti, ma portare ad arricchirsi l’animo: e dove sfruttare al meglio tale modo di sentire se non nella progettazione?!
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Foto (del prof. Fumelli Francesco) della sfilata: interpretazione dell’arrivo della bambina nella nuova realtà
La maglietta
Retro
Fronte
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Moodboard
Dettaglio
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Dettaglio
Alcune riflessioni Progettare la coperta di Linus ha permesso di far conciliare il mondo introspettivo con quello progettuale. Ha dato il via ad un percorso creativo personalizzato, gettando le basi per un progetto studiato ma anche vissuto, che è ciò in cui consiste il Design. Lavorare alla coperta di Linus e progettare la sfilata hanno portato unione nella classe, in quanto ognuno si è sentito libero di poter esprimere le proprie emozioni, raccontando
la propria storia, le proprie passioni e ciò che più è importante per lei/lui. Nell’organizzazione della sfilata e durante l’evento c’è stata collaborazione e condivisione, in un’intensa e lunga giornata passata in compagnia, così che il lavoro svolto in gruppo è sembrato più un gioco che un dovere, non perchè vissuto superficialmente ma perchè è stato fonte di divertimento. Un evento ed un progetto, insomma, da non dimenticare e che ancora
spesso è origine di dialoghi e risa tra noi compagni. Sarebbe emozionante poter condividere in futuro nuovi progetti di gruppo, perchè soltanto conoscendo ciò che le persone provano, ciò di cui hanno bisogno o verso le quali sono attratte si riesce a fare del Design utile non solo materialmente, ma anche socialmente parlando. E quale palestra migliore del gruppo classe?!
Foto (del prof. Fumelli Francesco) della sfilata
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5. Logotipi
Logotipi
Definizione e nascita Il logotipo (spesso abbreviato a “logo”) è la sigla, il nome o la rappresentazione grafica sintetica identificativa di un ente, un’azienda, un prodotto oppure un evento. “Logo” e “Tipo”, infatti, derivano dal Greco e significano rispettivamente “Parola” e “Lettera”. I primi ad utilizzare i loghi, seppur con un’applicazione e consapevolezza differenti da quelle attuali, sono i Greci: durante l’Età Ellenistica i sovrani fanno incidere dei monogrammi (i primi logotipi consistono in una singola cifra o lettera) sulle monete che producono, come diffusione del loro potere e del nome della loro dinastia[1]. Durante il Medioevo, poi, vengono creati nuovi simboli e scritte destinati all’uso ecclesiastico, artistico oppure commerciale; questa è, insomma, un’epoca florida per lo sviluppo del Design dei logotipi[2].
40
[1] Monete Greche con monogrammi in bassorilievo
[2] Simbolo Medioevale dei Templari
Durante l’Età Vittoriana molti progettisti lavorano per la Corte in quello che ora definiremmo Graphic Design, ed i loghi assumono forme e fonts ricchi di grazie[3]. Insomma, la progettazione del logotipo comincia ad andare di pari passo con lo sviluppo dei vari stili artistici che si susseguono. E’ così che il movimento Arts and Crafts influisce anche sulla progettazione di logotipi, fungendo da ponte tra l’epoca Vittoriana e
l’età moderna. Durante questi anni, le linee si fanno arrotondate, e le illustrazioni lievemente più spoglie[4]. Con l’avvento dell’Art Nouveau nel primo ‘900, poi, le composizioni grafiche assumono forme organiche, seguendo le orme delle opere artistiche e del Design del prodotto[5]. Con la diffusione del modernismo del ‘900 i logotipi si spogliano degli elementi ornamentali per andare a colpire in modo più
diretto l’occhio dell’osservatore, aderendo al Razionalismo diffuso in quei decenni e, poco più tardi, all’essenzialità formale volta alla pura funzionalità. Contemporaneamente, alcuni loghi si caratterizzano seguendo le orme dei movimenti artistici in diffusione durante quel Centennio (Avanguardie Storiche e movimenti artistici subordinati)[6].
[3] In alto: logo Pepsi-Cola, 1898, Caleb Bradham [4] In basso: logo Ford, 1903
[5] Logo General Electric, 1900
[6] In alto: logo Volkswagen, 1937 In basso: logo Mazda, 1928
41
Durante il post-modernismo, la riapertura al simbolismo e l’utilizzo di colori e forme eccentrici che si sta facendo strada tra i progetti di Design si riconosce anche nei logotipi[7]. Il branding Il branding è l’insieme di azioni che permettono di differenziare un’offerta commerciale da altre analoghe, tramite l’utilizzo di nomi o simboli distintivi. Tale attività è comune ad aziende, imprese, eventi, persone ed aree geografiche. Il principale obiettivo per la distinzione è quello di promuovere l’immagine di marca (“brand” significa “marca”), così da incentivare la fedeltà dei clienti verso tale marca, e quindi nei confronti dell’impresa (o altro) stessa. Infatti, le attività di branding consistono nell’elaborazione di loghi, nomi oppure nell’adozione di determinati standard progettuali; tutti elementi che consentono al potenziale acquirente di collegare un prodotto o servizio a tali segni distintivi tangibili (nome, simboli, packaging di prodotti, etc.) così come altri intangibili (la ”mission”, i valori, la reputazione aziendale, etc.).
4240
competizione aziendale così feroce da portare le imprese al continuo rinnovamento dei loro marchi identificativi e distintivi. In una società impregnata dalle immagini, noi interpretiamo il mondo che ci circonda sulla base del significato che diamo a tutti i simboli e segni che vediamo nelle centinaia di figure che ci scorrono rapidamente davanti agli occhi giornalmente. Oggi, quindi, progettare un logo significa partecipare al branding[9]. Anche se il concetto è recente, ciò a cui assistiamo oggi trova la sua origine nella rivoluzione industriale Londinese dell’800[8], ma è ora acuito dall’impennata che ha visto lo sviluppo tecnologico, e quindi industriale, prendere il sopravvento sulla società.
[7] In alto: logo MTV, 1981 In basso: logo Sex Pistols, 1975
Subentra, infine, la Digital Art, così che un logotipo può oggi essere progettato come si vuole, grazie agli strumenti digitali a disposizione. Da qualche decennio è in diffusione un “flat Design”, che sta portando i loghi ad essere progettati, con grande intuito funzionale, in modo da poter essere riconosciuti sui piccoli schermi degli smartphone, in un veloce slogan televisivo o anche in distanti cartelloni pubblicitari. È in diffusione una
[8] In alto: logo birra Bass Pale Ale, 1875 [9] In basso: logo Amazon, 2000
Logo geometrico Dalle forme geometriche ad un logo pittogramma. È qui mostrato un logotipo che rappresenta un gomitolo di lana, con un filo parzialmente inserito in un’asola. Il logo è un
pittogramma perchè rappresenta, seppur stilizzata, un’immagine reale. Ne sono proposte le matrici geometriche che costruiscono il logo. In seguito verranno applicate varianti
cromatiche e dimensionali, gruppi di simmetria, effetti grafici e tridimensionali, così come giochi percettivi e deformanti, che metteranno alla prova l’efficacia del logo.
C: 6% M: 31% Y: 61% K: 0%
40% 65% 90% 35%
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C: 8%
M: 0%
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C: 6%
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Y: 61%
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C: 37%
M: 0%
Y: 10%
K: 0%
C: 42%
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M: 24%
Y: 0%
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K: 50%
C: 0%
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M: 0%
Y: 0%
K: 70%
C: 0%
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Y: 0%
K: 30%
C: 0%
M: 0%
Y: 0%
K: 10%
45
Effetti grafici/percettivi
Applicazione di textures
46
Effetti tridimensionali e di deformazione
47
A sinistra: simmetria assiale, orizzontale e verticale In centro: simmetria rotatoria ciclica, di quarto grado A destra: simmetria traslatoria, orizzontale e verticale
48
Variazioni dimensionali
49
Logo acronimo È qui mostrato un logotipo che rappresenta le lettere C ed L (iniziali del nominativo Carolina Lascialfari) disposte circolarmente, a formare la stilizzazione di una testa che
indossa un basco francese. Il logo è anche un pittogramma perchè rappresenta, seppur stilizzata, un’immagine reale. Ne sono proposte le matrici geometriche che costruiscono il lo-
-go. Verranno applicate varianti cromatiche e dimensionali, gruppi di simmetria, effetti grafici e tridimensionali, giochi percettivi e deformanti, per provare l’efficacia del logo.
C: 4% M: 79% Y: 60% K: 0%
50
37% 0% 10% 0%
51
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C: 0%
M: 0%
Y: 0%
K: 90%
C: 0%
M: 0%
Y: 0%
K: 70%
C: 0%
M: 0%
Y: 0%
K: 30%
C: 0%
M: 0%
Y: 0%
K: 10%
C: 0%
M: 0%
Y: 0%
K: 50%
Effetti grafici/percettivi
Applicazione di textures
53
Effetti tridimensionali e di deformazione
54
A sinistra: simmetria assiale, orizzontale e verticale In centro: simmetria rotatoria ciclica, di quarto grado A destra: simmetria traslatoria, orizzontale e verticale
55
Variazioni dimensionali
56
Logo natura Ăˆ qui mostrato un logotipo pittogramma, che rappresenta un’ostrica stilizzata. Ne sono proposte le matrici geometriche che costruiscono il logo. In seguito verranno applicate
varianti cromatiche e dimensionali, gruppi di simmetria, effetti grafici e tridimensionali, cosÏ come giochi percettivi e deformanti, che metteranno alla prova l’efficacia del logo.
C: 27% M: 8% Y: 9% K: 0%
1% 0% 17% 0%
7% 24% 50% 1% 57
C: 69% M: 24% Y: 27% K: 5%
C: 100% M: 91% Y: 49% K: 70% 58
1% 0% 17% 0%
1% 0% 17% 0%
7% 24% 50% 1%
7% 24% 50% 1%
C: 82% M: 50% Y: 48% K: 43%
1% 0% 17% 0%
7% 24% 50% 1%
C: 100% M: 94% Y: 37% K: 31%
1% 0% 17% 0%
7% 24% 50% 1%
C: 57% M: 31% Y: 30% K: 9%
1% 0% 17% 0%
7% 24% 50% 1%
C: 63% M: 41% Y: 40% K: 24%
1% 0% 17% 0%
7% 24% 50% 1%
C: 0% M: 0% Y: 0% K: 50%
0% 0% 0% 10%
0% 0% 0% 20%
C: 0% M: 0% Y: 0% K: 90%
0% 0% 0% 10%
0% 0% 0% 20%
C: 0% M: 0% Y: 0% K: 70%
0% 0% 0% 10%
0% 0% 0% 20%
C: 0% M: 0% Y: 0% K: 30%
0% 0% 0% 10%
0% 0% 0% 20%
C: 0% M: 0% Y: 0% K: 20%
0% 0% 0% 10%
0% 0% 0% 20% 59
Effetti grafici/percettivi
Applicazione di textures
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Effetti tridimensionali e di deformazione
61
A sinistra: simmetria assiale, orizzontale e verticale In centro: simmetria rotatoria ciclica, di quarto grado A destra: simmetria traslatoria, orizzontale e verticale
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Variazioni dimensionali
63
Logo libero È qui mostrato un logotipo che rappresenta un mouse che si muove creando forme e colori. Si tratta di un logo pittogramma in quanto rappresenta, seppur stilizzata, un’im-
-magine reale. Ne sono proposte le matrici geometriche che costruiscono il logo. In seguito verranno applicate varianti cromatiche e dimensionali, gruppi di simmetria, effetti
grafici e tridimensionali, così come giochi percettivi e deformanti, che metteranno alla prova l’efficacia del logo.
45°
C: 0% Y: 0% M: 0% K: 80% 64
0% 0% 0% 90%
C: 100% M: 0% Y: 0% K: 0%
C: 70% Y: 15% M: 0% K: 0%
0% 0% 100% 0%
85% 10% 100% 10%
85% 50% 0% 0%
C: 100% M: 0% Y: 0% K: 0%
C: 0% Y: 95% M: 20% K: 0%
0% 100% 0% 0%
75% 100% 0% 0%
35% 100% 35% 10%
C: 0% M: 100% Y: 0% K: 0%
C: 85% Y: 10% M: 100% K: 10%
5% 0% 90% 0%
0% 75% 100% 0%
90% 30% 95% 30% 65
C: 0% Y: 0% M: 0% K: 60%
C: 0% Y: 0% M: 0% K: 20% 66
0% 0% 0% 30%
C: 0% Y: 0% M: 0% K: 10%
0% 0% 0% 70%
0% 0% 0% 20%
C: 0% Y: 0% M: 0% K: 30%
0% 0% 0% 50%
Effetti grafici/percettivi
Applicazione di textures
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Effetti tridimensionali e di deformazione
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A sinistra: simmetria assiale, orizzontale e verticale In centro: simmetria rotatoria ciclica, di quarto grado A destra: simmetria traslatoria, orizzontale e verticale
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Variazioni dimensionali
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Logo multisignificato È qui mostrato un logotipo che rappresenta due forme uguali: una che abbraccia l’altra. Si riconosce un doppio significato grazie all’utilizzo del positivo e del negativo. Infatti, è valorizzata l’importanza del soggetto nella sua individualità, rappresentato dalla figura
bianca. Inoltre, quel soggetto viene avvolto da una figura di maggiori dimensioni, rappresentata dalla forma di colore nero, simbolo di protezione. Il logotipo presentato è un diagramma, perchè rappresenta figure astratte che però rimandano ad un concetto
reale. Ne sono proposte le matrici geometriche costitutive; verranno applicate varianti cromatiche e dimensionali, gruppi di simmetria, effetti grafici e tridimensionali, giochi percettivi e deformanti, per mettere alla prova l’efficacia del logo.
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C: 100%
M: 0%
Y: 100%
K: 0%
C: 0%
C: 0%
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M: 80%
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M: 100%
Y: 98%
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C: 0%
M: 0%
Y: 0%
K: 50%
C: 0%
M: 0%
Y: 0%
K: 90%
C: 0%
M: 0%
Y: 0%
K: 70%
C: 0%
M: 0%
Y: 0%
K: 30%
C: 0%
M: 0%
Y: 0%
K: 10%
73
MOR
Effetti grafici/percettivi
Applicazione di textures
74
Effetti tridimensionali e di deformazione
75
A sinistra: simmetria assiale, orizzontale e verticale In centro: simmetria rotatoria ciclica, di quarto grado A destra: simmetria traslatoria, orizzontale e verticale
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Variazioni dimensionali
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6. Immagine coordinata
nataImmaginecoImmagine coordinata necoordinataImmaDefinizione e progetto mmaginecoordinadinataImmagineconecoordinataImmammaginecoordinadinataImmaginecoecoordinatammaL’immagine coordinata è l’insieme degli elementi che costituiscono l’identità di un’azienda, un evento, un ente o una persona; concorre, infatti, alla comunicazione visiva che è la chiave del branding (vedi pag.40). L’elemento costitutivo principale è il logotipo, applicato ad oggetti di impiego commerciale (tazze, quaderni, etc.) o di utilizzo professionale (carta intestata, busta da lettere, biglietto da visita, etc.), accompagnato da elementi grafici aggiuntivi e studiati canoni comunicativi. Se l’immagine coordinata per come è stata progettata funziona (gli elementi sono tra loro stilisticamente e concettualmente coordinati) raggiungerà l’obiettivo di trasmissione di un messaggio di solidità e coerenza ai potenziali acquirenti. Qui segue, a partire da un logo tra i cinque elaborati (vedi capitolo precedente), la progettazione di un’immagine coordinata costituita da: biglietto da visita, carta intestata, busta da lettere, qualche prodotto commerciale ed un 80
sito web. Il logo scelto è un pittogramma ed è di tipo geometrico: rappresenta un gomitolo di lana stilizzato, da cui esce un filo che si inserisce parzialmente in un’asola. L’attività commerciale inventata è una merceria creativa chiamata “My wool world”: in inglese la parola “wool” significa “lana” (per ciò il gomitolo), ma la pronuncia e la scrittura sono molto simili (in alcune regioni dell’Inghilterra uguali) alla parola “whole”, che significa “tutto/ intero”. Vi è un gioco di parole, che fa credere che il mondo della lana e, più in generale, dei tessuti sia l’intero mondo (figurato) di chi possiede l’attività con tale nominativo. Gli elementi grafici dell’immagine coordinata sono stati progettati per comunicare un’essenzialità stilistico-formale che vuole riprendere la semplicità del logoitpo, caratterizzato da sottili linee di due colori delicati (“colori pastello”). Il carattere scelto è Segoe UI, ed il colore delle scritte è il marrone dell’asola rappresentata nel logotipo.
My wool world merceria creativa
Logotipo scelto e nome dell’attività commerciale
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Biglietto da visita
Carolina Lascialfari carolina.lascialfari@isiadesign.fi.it +39 342 506 9559
My wool world
Via dell’Arte della Lana 20, Firenze www.mywoolworld.com 055 520 7139
merceria creativa
Nel biglietto da visita devono essere presenti: logo, nome e cognome del gestore (o proprietario) dell’attività, riferimenti/indirizzi, eventuali altre diciture.
85mm
Nome attività 12 pt C: 35% M: 80% Y: 60% K: 25%
C: 35% M: 80% Y: 60% K: 25%
55mm
Altre scritte 6 pt
4mm
4
5
5mm
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My wool world merceria creativa
Carolina Lascialfari carolina.lascialfari@isiadesign.fi.it +39 342 506 9559 Via dell’Arte della Lana 20, Firenze www.mywoolworld.com 055 520 7139
A sinistra: fronte A destra: retro
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Carta intestata 210mm
C: 35% M: 60% Y: 80% K: 25%
Nome attività 10 pt
297mm
Testo 11 pt
5mm
La carta intestata va studiata come “foglio autonomo” (quando il modello serve per una singola pagina) e “foglio relazione” (quando il modello serve per più pagine, come nel caso di una relazione). In entrambi i casi devono essere presenti il logo e le informazioni identificative (collocandoli in modo che vengano visualizzati quando è presente una finestra sulla busta in cui il foglio è contenuto).
C: 35% M: 60% Y: 80% K: 25% Informazioni identificative 6 pt
20mm
C: 35% M: 60% Y: 80% K: 25%
20mm 84
Via dell’Arte della Lana 20,Firenze www.mywoolworld.com 055 520 7139
My wool world merceria creativa
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Carolina Lascialfari carolina.lascialfari@isiadesign.fi.it +39 342 506 9559
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A sinistra: foglio autonomo A destra: foglio relazione
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Busta da lettere La busta da lettere deve essere di tipo commerciale, e quindi analizzata con la finestra e senza. In entrambi i casi devono essere presenti il logo e le informazioni identificative.
Nome attivitĂ 18 pt Informazioni identificative 11 pt
C: 35% M: 60% Y: 80% K: 25% C: 35% M: 60% Y: 80% K: 25%
10mm
35mm
110mm
20mm
25mm
220mm
9mm
86
24mm
50mm
Via dell’Arte della Lana, 20 50123 Firenze
My wool world merceria creativa
Via dell’Arte della Lana, 20 50123 Firenze
My wool world merceria creativa
A sinistra: busta senza finestra A destra: busta con finestra
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Lorem ipsum dolor sit amet, consectetur adipisicing elit, sed do eiusmod tempor incididunt ut labore et dolore magna aliqua. Ut enim ad minim veniam, quis nostrud exercitation ullamco laboris nisi ut aliquip ex ea commodo consequat. Duis aute irure dolor in reprehenderit in voluptate velit esse cillum dolore eu fugiat nulla pariatur. Excepteur sint occaecat cupidatat non proident, sunt in culpa qui officia deserunt mollit anim id est laborum. Sed ut perspiciatis unde omnis iste natus error sit vol chitecto beatae vitae dicta sunt explicabo. Nemo enim ipsd magnam aliquam quaerat voluptatem.
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7. Prima scheda lezione
Prima scheda lezione La teoria costruttivista Verranno di seguito esposte le due teorie storicamente più importanti elaborate relativamente alla percezione visiva. All’interno e sulle basi della Filosofia costruttivista (secondo la quale la conoscenza coincide con la costruzione di un’esperienza personale, invece che con l’apprendimento di una realtà indipendente) si sviluppa nella seconda metà dell’Ottocento la teoria della percezione secondo la quale per percepire visivamente la realtà è necessario aver imparato a farlo: secondo il costruttivismo visivo, per loro natura i dati sensoriali sono incompleti e danno origine ad una serie di sensazioni che vengono integrate con altre informazioni (derivanti dall’esperienza passata, conservate nella memoria) e sintetizzate, a livello cerebrale, nella percezione dell’oggetto. La responsabilità di quello che viene percepito è, insomma, totalmente a carico dell’osservatore. L’esperienza passata stessa è, insieme al contesto in cui avviene la 92
percezione, fondamentale per definire ciò che viene percepito; è così che secondo i costruttivisti non esiste un mondo reale preesistente indipendente dall’osservatore, ma diverse versioni della realtà, relative al punto di vista osservativo. Il singolo costruisce la propria dimensione.
Esempio della diversa costruzione della realtà da parte del singolo, in base alla personale esperienza
La teoria della Gestalt La Gestalt (in Tedesco “Gestalt” significa “Forma”, intesa come configurazione) è una corrente della Psicologia, sviluppatasi nella prima metà del ‘900 e sostenuta dagli psicologi Max Wertheimer, Kurt Koffka e Wolfgang Köhler. Nata in risposta alla psicologia di Wundt, che scompone il fenomeno nei suoi aspetti elementari, la Gestalt (dai più denominata “Teoria della Gestalt”) tratta la percezione delle immagini come governata dalla maggiore forza dell’insieme rispetto alle varie componenti; afferma, infatti, che gli stimoli visivi vengono percepiti come un insieme, non come singole parti tra loro isolate, e che la percezione è un processo immediato controllato dal sistema nervoso, il quale possiede schemi “innati” ed influenzati dalle esperienze passate personali. La Gestalt individua le regole che controllano la percezione visiva:
Gli elementi con la forma più semplice (più “pregnante”), e quindi più facilmente riconoscibili, tendono ad essere percepiti come figura, a scapito degli altri, i quali tendono a passare in secondo piano e diventare uno sfondo. [A]
[B] Gli elementi tra loro vicini vengono percepiti come un insieme unitario, quindi raggruppati.
Pregnanza Prossimità [C] Somiglianza [D] Continuità di direzione [E] Destino comune [F] Chiusura [G] Esperienza passata [A] [B]
93
[C] Gli elementi tra loro somiglianti (per forma, colore, dimensione, orientamento spaziale, posizione, chiarezza, luminosità o contiguità) vengono percepiti come insieme unitario, quindi raggruppati.
[D] Gli elementi che si susseguono in una continuazione regolare e logica sono percepiti come figura unica.
[F] Gli elementi che tendono a chiudersi in forme riconoscibili vengono percepiti come un insieme unitario, quindi raggruppati. Questo accade perchè il cervello riesce a ricostruire le parti mancanti grazie alla memoria che ha di quelle forme.
[G] Gli elementi che fanno rivivere le proprie esperienze percettive vissute in relazione a determinate forme tendono ad essere percepiti come un sistema unitario, quindi raggruppati.
94
[E] Gli elementi che condividono le stesse caratteristiche di movimento, ritmo ed orientamento (stesso “destino”) vengono percepiti come un insieme unitario, quindi raggruppati.
Confronto tra le due teorie Fino alla fine dell’800 la teoria predominante era quella costruttivista (“empirista”). Viene invertita dagli psicologi della Gestalt a causa di opinioni contrastanti. I gestaltisti, come appena detto, non credono che siano i processi mentali elementari, combinati insieme, ad originarne di più complessi; secondo loro, la mente non percepisce singoli stimoli, ma li coglie in un insieme, nel campo visivo, così che i processi mentali risultano ampi e strutturati, non tanto composti da elementi semplici collegati tra loro. Il concetto costruttivista viene quindi ripensato, seppure non demolito nel suo intero; infatti, anche se secondo la Gestalt la percezione si ottiene da una organizzazione delle sensazioni più che dalla loro associazione (come invece affermava il pensiero costruttivista) rimane di fondamentale importanza l’esperienza vissuta dall’individuo, in entrambe le teorie. Soggetto che dai Costruttivisti si è visto che viene considerato come un costruttore della propria realtà, a differenza del soggetto gestaltico che è conoscitore di una realtà indipendente.
La percezione visiva La percezione visiva è il processo di elaborazione, da parte del cervello, delle informazioni provenienti dal mondo esterno attraverso gli occhi. Più in generale, il nostro mondo di oggetti ed eventi è il risultato di una serie di mediazioni fisiche, fisiologiche e psicologiche, nota come “catena psicofisica”. Il tutto costruito in due fasi: la sensazione e la percezione. Nella prima fase gli stimoli fisici del mondo esterno raggiungono i nostri organi di senso (gli occhi, nel caso della percezione visiva), e poi vengono trasmessi al cervello. Durante quest’ultimo passaggio, vengono provocate dagli eventi stimolazioni prossimali che costruiscono la percezione (seconda fase), facendoci interpretare ciò che gli organi avevano captato. Si costruisce, dunque, la realtà percettiva: tutto ciò in tempi immediati, così da apparire come un processo elementare e diretto. Guida museale, Bruno Munari, 1966
97 95
8. Seconda scheda lezione
Seconda scheda lezione La prossemica
La prossemica è lo studio scientifico elaborato dall’antropologo Edward Hall a metà del 1960, e da lui stesso definito “studio dell’uso che gli individui fanno dello spazio (“prossimo”) sociale e personale”. Hall definisce: 1) Quattro tipologie di distanza interpersonale: intima, personale, sociale, pubblica 2) Le posizioni che ogni individuo occupa in uno spazio d’interazione. 3) Tre punti chiave della prossemica: il rapporto istintivo dell’uomo con la realtà che lo circonda è paragonabile al rapporto animale-habitat, la cultura è l’artefice primaria delle modalità di percezione da parte dell’essere vivente, tale cultura è radicata nell’intimo della persona. Le quattro distanze interpersonali
98
1) Le quattro tipologie di distanza: a) Intima La distanza intima è tra gli 0 ed i 45 centimetri*. Entro questo spazio possono accedere solamente coloro con i quali le persone hanno stabilito un forte rapporto di fiducia, così che chiunque vi acceda senza il consenso viene percepito come aggressore. Tale distanza è caratteristica dei rapporti in cui è presente intimità (tra partner, tra madre e bambino, etc.); la vicinanza è tale da poter stabilire un contatto diretto tramite tatto ed olfatto. b) Personale La distanza personale è tra i 45 ed i 120 centimetri*. Questo spazio viene solitamente occupato da coloro che hanno con le persone relazioni sociali caratterizzate da famigliarità e familiarità. Qui possono quindi accedere famigliari, amici, colleghi, tutte persone con le quali quotidianamente si comunica con piacere e affabilità. In tale situazione
la vicinanza è tanta da potersi toccare ma senza attivare pienamente gli apparati tattile ed olfattivo. I sensi maggiormente sollecitati sono, infatti, l’udito e la vista. c) Sociale La distanza sociale è tra i 120 ed i 360 centimetri*. Riservata a relazioni formali, quando ci si trova in tale porzione di spazio si affrontano argomenti lavorativi, si offre consulenza, si negozia o si contratta. Non è contemplato entrare in contatto fisico diretto con l’altro, perciò i sensi che vengono utilizzati sono soltanto la vista e l’udito. d) Pubblica La distanza pubblica è oltre i 360 centimetri*. In tale spazio ci si trova in occasioni di pubblica relazione (l’insegnante che spiega alla classe, l’oratore che parla ad un convegno, etc.). Chi comunica nella zona pubblica non intende coinvolgere ogni uditore in un rapporto, semmai l’obiettivo è la creazione di un rapporto con l’intero gruppo in ascolto. La lontananza è tale che l’apparato più coinvolto è quello visivo, ed in parte l’uditivo.
2) Le posizioni che un individuo occupa in uno spazio d’interazione La posizione frontale può rivelarsi pericolosa, perché porta inconsciamente ad assumere un atteggiamento competitivo. Posizionandosi ad angolo, invece, ci si può guardare in viso, parlando ed avendo campo libero per i movimenti: ci si sente in posizioni paritarie. L’affiancamento, infine, dà supporto reciproco, così che si ha la sensazione di tenersi vicino anche emotivamente.
*misure approssimate
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3) I punti chiave della riflessione sulla prossemica: a) Il modo in cui l’individuo utilizza lo spazio, calibrando (istintivamente o meno) le distanze interpersonali costituisce un segnale comunicativo (non verbale) importante. L’essere umano, infatti, percepisce il proprio spazio come territorio sicuro da proteggere, tendendo a costruirne uno in ogni situazione in cui si trova (in casa, al lavoro, etc.). Nel mondo animale, quando un qualsiasi essere vivente entra in quello che una bestia percepisce come proprio territorio, quest’ultima mette in atto una reazione di fuga (per evitare il confronto) oppure di attacco (se percepisce l’essere come nemico, perché avvicinatosi troppo). Vi è, insomma, una “distanza critica di fuga o di attacco”. Così l’uomo, seppur meglio contenendo l’istinto animale, mette in atto un comportamento simile quando sente invaso il proprio spazio. Tale spazio, definito appunto “prossemico”, può essere immaginato come una bolla che circonda l’individuo creando una sua distanza emotiva dagli altri. b) Le distanze dettate dalla prossemica variano in base alla situazione in cui ci si trova, così come a fattori culturali, anagrafici e di autostima. Ad esempio, nelle popolazioni mediterranee, arabe ed ispaniche vi è una interazione piuttosto ravvicinata, a differenza delle nordeuropee e statunitensi, le quali mantengono maggiori distanze interpersonali. Parlando di età, i bambini e gli anziani 100
tengono distanze di interazione generalmente inferiori. Nello specifico, le donne adottano distanze interpersonali più ridotte rispetto agli uomini.
c) L’ego è in intimo rapporto con l’ambiente, conciliazione che si stabilisce principalmente attraverso l’apparato sensoriale. Per questo motivo, ad esempio, in Giappone viene dedicata molta attenzione all’organizzazione più appropriata degli spazi; l’obiettivo è dilatare la “larghezza percettiva” dei sensi, in modo da generare benessere per chi occupa lo spazio. In realtà in tutte le culture l’obiettivo principale è il benessere dell’individuo nel suo ambiente, seppure con schemi che variano da un Paese ad un altro. Questo perchè la logistica dello spazio è alla base dell’organizzazione delle attività individuali e sociali, in quanto condiziona il comportamento dell’uomo imprimendosi nel suo intimo fin dalla tenera età, durante la quale l’individuo interiorizza irreversibilmente gli schemi spaziali che gli vengono imposti.
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9. Ambigue percezioni
Ambigue percezioni
Le illusioni ottiche: definizione ed elaborati In generale, una illusione visiva è una qualsiasi illusione che inganna la mente umana, facendo percepire all’apparato visivo qualcosa che non è presente o che nella realtà si presenta in forma differente. Si hanno tre categorie di illusioni: 1) Ottiche, quando sono causate da fenomeni esclusivamente ottici 2) Percettive, quando vengono generate dalla fisiologia dell’occhio 3) Cognitive, quando sono dovute all’interpretazione che il cervello dà delle immagini che l’occhio vede. 4) Naturali, quando vengono create dalla natura Dipinto di Margaret Keane, 1965
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1) Le illusioni ottiche possono a loro volta essere: a) Di colore e contrasto, quando due aree del medesimo colore vengono percepite di colore differente; b) Di movimento, quando alcuni elementi statici di un’immagine vengono percepiti come se fossero in movimento; c) Figure distorte, quando immagini anamorficamente distorte vengono percepite coerenti se osservate da una precisa angolazione.
È qui proposta come elaborato grafico un’illusione visiva di tipo cognitivo, che rappresenta una figura ambigua: la scala di Penrose, una scalinata infinita. La si guarda partendo da un gradino, sperando di poter scorrere con gli occhi fino alla sua fine, ma poi la scala risale, e così all’infinito.
2) Le illusioni percettive possono essere: a) Geometriche, quando la geometria dell’immagine (o parte di essa) viene percepita erroneamente; b) Prospettiche, quando viene attuata la costruzione di paradossi prospettici mediante tecniche di proiezione prospettica. 3) Le illusioni cognitive possono essere: a) Figure ambigue, ossia singole immagini con due o più figure osservabili; b) Di completamento, quando un’immagine incompleta viene completata dal cervello, tramite l’aggiunta di parti in essa assenti. Tale effetto è causato dall’inibizione laterale, processo cerebrale che permette il passaggio al cervello di immagini più comprensibili rispetto a come si presentano all’occhio.
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È qui proposta come elaborato grafico un’illusione ottica di movimento. Sono state disegnate delle bande con quadrati neri alternati a quadrati bianchi, e poi sfalsate. La figura nel complesso sembra muoversi quando osseravta, ma ovviamente, trattandosi di un’immagine vettoriale, è statica. Inoltre, le bande orizzontali risultano inclinate e di larghezza che varia gradualmente da un lato all’altro dell’immagine, quando invece le bande mantengono una larghezza omogenea e restano tra di loro parallele.
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È qui proposta come elaborato grafico un’illusione ottica di tipo cognitivo, che testimonia la capacità cerebrale di completamento delle immagini. Sono state, infatti, tracciate linee orizzontali con una curva corrispondente al punto in cui l’oggetto rappresentato presenta un aggetto. Nonostante l’immagine del diapason non sia presente, la mente la ricostruisce, grazie all’inganno tridimensionale che le linee le offrono.
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È qui proposto un “oggetto impossibile”: se guardato da una determinata angolazione è in grado di ingannare la mente, facendo credere che sia concretamente costruibile. Si tratta, insomma, di un’illusione ottica di tipo cognitivo: un vero inganno cerebrale!
Angolazione che fa credere che l’oggetto sia costruibile
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Disposizione reale degli elementi costitutivi
Elementi costitutivi dell’oggetto
Applicazione a Design ed Arte Designer ed Artisti da sempre giocano con le illusioni ottiche per progettare oggetti (bidimensionali o tridimensionali) che facciano riflettere l’osservatore o che lo colpiscano positivamente. Gli acquirenti, spesso, ad uno sguardo distratto non colgono l’inganno che la mente gli tende, specialmente con la grande diffusione di immagini a cui assistiamo oggi, che rende difficoltoso soffermarsi ad osservare, oltre che vedere. Di seguito vengono riportati alcuni esempi.
Blow, Jonathan De Pas/Donato D’Urbino/Paolo Lomazzi, 1967
Tattoo cactus, Maurizio Galante/Tal Lancman, 2008
Retro storico, Duccio Maria Gambi, 2017
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Santa Maria presso San Satiro (trompe l’œil), Donato Bramante, 1482
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Condizione umana, René Magritte, 1935
Mani che disegnano, Maurits Cornelis Escher, 1948
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10. Errori di progettazione
ettazioneErroridiprogettaErrori di progettazione iprogettazioneErroridiprorroridiprogettazioneErroriPrimo errore: pentola a pressione ioneErroridiprogettazioneettazioneErroridiprogettaiprogettazioneErroridiprorroridiprogettazioneErroriioneErroridiprogettazioneTavolta capita di utilizzare oggetti che non rispondo alla funzione per cui sono stati progettati, o che presentano dettagli costruttivi che ne rendono difficile l’utilizzo.
Qui di seguito verranno descritti ed analizzati due oggetti di uso domestico che presentano errori di progettazione che ne rendono scomodo o sgradevole l’utilizzo. Inoltre,
saranno proposte possibili soluzioni per le problematiche esposte, come idee progettuali migliorative.
Questa pentola a pressione presenta un meccanismo di sfiato disfunzionale, considerato qui come un errore di progettazione.
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Nelle altre pentole a pressione il meccanismo di sfiato lavora autonomamente, grazie all’inserimento di un oggetto tra il corpo della pentola e la levetta. Qui, va guidato
con un oggetto durante tutto lo sfiato, prestando attenzione a non scottarsi la mano con il vapore bollente. Inoltre, la levetta nera che serve a far fuoriuscire il vapore dalla
pentola va premuta gradualmente, altrimenti dalla pentola usciranno anche i liquidi contenuti all’interno (sgradevoli e pericolosi poichè bollenti) e la vite che blocca la levetta si sfilerà dal corridoio in cui è precariamente inserita.
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2
1
Proposta migliorativa
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Una soluzione potrebbe essere la costruzione di una levetta che, una volta premuta verso il basso al massimo dell’inclinazione, salga autonomamente (gradualmente) durante lo sfiato della pentola. Si tratterebbe, quindi, di un meccanismo a lento rilascio. In questo modo, a) Ci si sentirebbe piÚ sicuri ad aprire la pentola poichè si saprebbe il momento in cui il vapore avrebbe terminato di fuoriuscire dai fori del meccanismo di sfiato, b) Non si dovrebbe pensare personalmente a portare fuori il vapore c) La fuoriuscita di vapori o liquidi sgradevoli e pericolosi sarebbe evitata.
Secondo errore: mouse bluetooth
Questo mouse presenta un laser vicino al pulsante on/off nella parte inferiore, che provoca fastidio alla vista durante l’accensione.
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Per accendere il mouse, lo si deve girare sottosopra e spostare una levetta da OFF ad ON. Quando il dispositivo si attiva, il sensore laser (nella foto, la luce rossa) emana
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una luce intensa, che si affievolisce soltanto in un secondo momento. Essendo l’occhio particolarmente sensibile alle luci laser, questo meccanismo può diventare per la vista
pericoloso se il mouse viene utilizzato con un’alta frequenza. Il problema è la vicinanza di tale luce alla levetta d’accensione.
Una soluzione potrebbe essere il posizionamento del tasto di accensione in una parte di mouse lontana dalla luce laser. Sul fronte dell’oggetto, ad esempio, rimane una porzione di superficie libera che, essendo vicina all’attuale posizionamento, non causerebbe esagerate variazioni nella costruzione interna del dispositivo. In questo modo, l’attivazione del mouse non porterebbe rischi per la vista, rendendo anche più agevole e rapido il movimento di accensione.
Proposta migliorativa
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11. Elementi di Informatica
Elementi di informatica I programmi
a) Adobe illustrator * Lanciato sul mercato nel 1985 da Adobe Systems Incorporated, il programma mette a disposizione strumenti per il disegno vettoriale geometrico e libero (realizzabile con un mouse oppure una penna touch abbinata ad un apposito dispositivo), così come per la stesura di testi o l’inserimento di immagini.
b) Adobe Photoshop * Presente sul mercato dal 1990, è stato prodotto da Adobe Systems Incorporated. Il programma permette di effettuare ritocchi alle immagini (raster), offrendo anche strumenti creativi aggiunti, con i quali emulare le tecniche artistiche (pittura e disegno).
* Tre dei programmi della Creative Suite di Adobe, utili per il lavoro in bidimensione 122
c) Adobe InDesign * Presente sul mercato dal 1999, è stato prodotto da Adobe Systems Incorporated. Il programma, pensato per l’editoria, permette di creare layout personalizzati (oppure con schemi predefiniti, offerti da InDesign) per impaginazioni destinate alla stampa, al web oppure ai dispositivi mobili.
Le esercitazioni del Precorso Durante la prima settimana di lezione è stato organizzato un Precorso, con lo scopo di fornire gli strumenti informatici basilari, utili nella progettazione iniziale. Di seguito sono proposti gli elaborati realizzati durante tale periodo: esercizi di riproduzione di immagini proposte dal docente.
Meridiana
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I rendering vettoriali del Corso Immagine raster e vettoriale La raster e la vettoriale sono due tipologie di immagini digitali. La prima è composta da pixel, che sono le unità minime convenzionali della superficie di un’immagine digitale; questi sono disposti in modo da comporre una griglia non modificabile, che nel suo insieme appare come un’immagine unica. L’immagine vettoriale è composta da oggetti definiti matematicamente (punti, linee, figure geometriche, etc.) ed indipendenti l’uno dall’altro, costruiti dall’operatore. La principale differenza nell’utilizzo è che un programma raster mantiene in memoria la posizione ed il colore di tutti i pixel che compongono l’immagine, mentre un programma vettoriale memorizza le coordinate dei soli punti che definiscono la geometria degli oggetti disegnati. Per questo, la qualità visiva delle immagini raster dipenderà dalle dimensioni della griglia di pixel, mentre la definizione delle immagini vettoriali prescinderà dall’ingrandimento alle quali verranno sottoposte.
124 124
Mela verde
VISIT BALLAST & FIRST AID
X4278
Aereo militare Supermarine Spitfire X4278
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Infografica L’infografica è la rappresentazione grafica dei dati; serve ad avere una visualizzazione più immediata di numeri o concetti. Di seguito verrà riportata un’infografica personale che dà informazioni sul grado di durezza delle matite a grafite accompagnate da qualche dato rigurdante l’aspetto economico.
126
Scala di durezza Matite a grafite
Esportazione mondiale annua di matite 92.400.000€ (6,4% tot)
146.080.000€ (10% tot)
Cera
Argilla
1150€/tonn
15€/tonn
ORDEM E PRO GR ES SO
6% 47% 47%
6% 45% 50%
6% 42% 52%
6% 39% 55%
6% 36% 58%
6% 34% 60%
6% 31% 63%
6% 28% 66%
6% 26% 68%
6% 23% 71%
6% 20% 74%
6% 18% 76%
6% 15% 79%
6% 12% 82%
6% 10% 84%
6% 7% 87%
6% 4% 90%
6% 2% 93%
Fonte: Google
6% 50% 44%
641.520.000€ (44% tot)
3°
2°
6% 53% 41%
1°
Materiali e costi
9H
8H
7H
6H
5H
4H
3H
2H
H
F
HB
B
2B
3B
4B
5B
6B
7B
8B
9B
Grafite 5,5€/tonn
Inizio da qui. Carolina Lascialfari Corso di Basic Design II A. A. 2019/2020 Prof. Francesco Fumelli
Indice 1. Kirigami La tecnica Alcuni esercizi iniziali Le cittĂ invisibili
6 8 18
2. Seduta in legno Le prime idee Il progetto
28 29
3. Readymade Definizione e storia Ready-made personale
38 40
1. Kirigami
Kirigami
La tecnica e gli esercizi iniziali Il kirigami è una tecnica orientale che prevede l’intaglio e la piegatura della carta, pensati per ottenere forme tridimensionali utilizzando un unico foglio. Il termine deriva dal giapponese “Kiru” che significa “Tagliare”, e “Kami” che significa “Carta”. I modelli che si realizzano con questa tecnica sfruttano spesso le simmetrie, presentandosi come proposte geometriche, figurative o addirittura architettoniche. Il foglio utilizzato viene piegato in due parti uguali, così che dopo ulteriori piegature e tagli, la figura sia riconoscibile quando le due falde formano tra di loro un angolo di 90, 180 oppure 360 gradi. La metà inferiore del foglio fungerà da base per la costruzione tridimensionale, mentre la metà superiore diverrà lo sfondo su cui i pieni ed i vuoti giocheranno con l’occhio.
8
Esercizio 1 “Partendo da cartoncini bianchi 10x10 cm squadrati a 1 cm realizzare due delle esercitazioni proposte a lezione con almeno due varianti mostrate nella dispensa PDF e due inventate dallo studente.� Di seguito le due forme scelte: [A] Basic-1 [A] Variante proposta I - documentazione fotografica Piega a monte
Piega a monte
Piega a valle
Piega a valle
Taglio
Taglio
[A] Variante proposta II - documentazione fotografica
Forma Basic-1 Forma Basic-1
Variante proposta Variante I Variante propostaproposta I Variante II proposta II
[A] Variante proposta I - rappresentazione grafica
[A] Variante proposta II - rappresentazione grafica
Variante inventata I Variante inventata II Variante inventata I Variante inventata II Piegaaa monte monte Piega Piegaaa valle valle Piega
Taglio Taglio
10
Piega a monte Forma Basic-1 Piegaaa valle valle Piega Piega a monte
Variante proposta I
Taglio Taglio
Forma Basic-1
Variante proposta II Variante proposta I
Vari
monte
Piega a monte
valle
Piega a valle
Forma Basic-1 Forma Basic-1
Taglio
Variante proposta I Variante proposta II Variante proposta I Variante proposta II
[A] Variante inventata I - documentazione fotografica
[A] Variante inventata II - documentazione fotografica
Variante inventata I Variante inventata II Variante inventata I Variante inventata II
[A] Variante inventata I - rappresentazione grafica Piegaaa monte monte Piega Piegaaa valle valle Piega
Taglio Taglio
[A] Variante inventata II - rappresentazione grafica Piega a monte Forma Basic-1 Piegaaa valle valle Piega Piega a monte
Variante proposta I
Taglio Taglio
Forma Basic-1
Variante proposta II Variante proposta I
Variante proposta II 11
[B] Basic-2
[B] Variante proposta I - documentazione fotografica Piega a monte
Piega a monte
Piega a valle
Piega a valle
Taglio
Taglio
Forma Basic-2
[B] Variante proposta II - documentazione fotografica
Forma Basic-2
Variante proposta Variante II proposta II Variante proposta Variante I proposta I
[B] Variante proposta I - rappresentazione grafica
[B] Variante proposta II- rappresentazione grafica
Variante inventata Variante I Variante inventata inventata I Variante II inventata II Piegaaa monte monte Piega Piegaaa valle valle Piega
Taglio Taglio
12
Piega a monte Forma Basic-1 Piegaaa valle valle Piega Piega a monte
Variante proposta I
Taglio Taglio
Forma Basic-1
Variante proposta II Variante proposta I
Vari
onte
Piega a monte
lle
Piega a valle
Forma Basic-2
Forma Basic-2
Taglio
Variante proposta Variante II proposta II Variante proposta Variante I proposta I
[B] Variante inventata I - documentazione fotografica
[B] Variante inventata II - documentazione fotografica
Variante inventata Variante I Variante inventata inventata I Variante II inventata II
[B] Variante inventata I - rappresentazione grafica Piegaaa monte monte Piega Piegaaa valle valle Piega
Taglio Taglio
[B] Variante inventata II - rappresentazione grafica Piega a monte Forma Basic-1 Piegaaa valle valle Piega Piega a monte
Variante proposta I
Taglio Taglio
Forma Basic-1
Variante proposta II Variante proposta I
Variante proposta II 13
Taglio
Simmetria bilaterale Esercizio 2 “Partendo da cartoncini bianchi 30x30cm oppure 20x20cm, attraverso un programmato processo di tagli e piegature, si realizzino tre modelli tridimensionali dei quali uno evidenzi una simmetria bilaterale[A] e uno una simmetria traslatoria[B]. Il terzo preveda un doppio ribaltamento di uno dei semipiani[C].�
[A] Simmetria bilaterale - rappresentazione grafica
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[A] Simmetria bilaterale - documentazione fotografica
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Simmetria traslatoria
[B] Simmetria traslatoria - rappresentazione grafica
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[B] Simmetria traslatoria - documentazione fotografica
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Ribaltamento di un semipiano
[C] Doppio ribaltamento di uno dei due semipiani - rappresentazione grafica
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[C] Doppio ribaltamento di uno dei due semipiani - documentazione fotografica
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Le città invisibili Traendo ispirazione dal libro “Le città invisibili” di Italo Calvino (1972), si dovevano realizzare modelli, impiegando la tecnica Kirigami, che rappresentassero due delle città descritte nella pubblicazione. Tale tecnica si è prestata perfettamente all’esercitazione, in quanto il carattere metafisico della scrittura Calviniana è riscontrabile nelle strutture di carta leggere e candide.
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“ Le città sottili. 2. Zenobia Ora dirò della città di Zenobia che ha questo di mirabile: benchè posta su terreno asciutto essa sorge su altissime palafitte, e le case sono di bambù e di zinco, con molti ballatoi e balconi, poste a diversa altezza, su trampoli che si scavalcano l’un l’altro, collegate da scale a pioli e marciapiedi pensili [...], cresciuta forse per sovrapposizioni successive dal primo e ormai indecifrabile disegno. “
Documentazione fotografica del modello cartaceo (cartoncino bianco 30x40cm)
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Rappresentazione grafica ed applicazione di alcune textures
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“ Le città e il desiderio. 3. Despina In due modi si raggiunge Despina: per nave o per cammello. La città si presenta differente a chi viene da terra e a chi dal mare. Il cammelliere che vede spuntare all’orizzonte dell’altipiano i pinnacoli dei grattacieli [...], buttare fumo i fumaioli, pensa a una nave, sa che è una città ma la pensa come un bastimento che lo porti via dal deserto [...]. Nella foschia della costa il marinaio distingue la forma d’una gobba di cammello, d’una sella ricamata di frange luccicanti tra due gobbe chiazzate che avanzano dondolando, sa che è una città ma la pensa come un cammello [...]. Ogni città riceve la sua forma dal deserto a cui si oppone; e cosí il cammelliere e il marinaio vedono Despina, città di confine tra due deserti. “
Documentazione fotografica del modello cartaceo (cartoncino bianco 30x40cm)
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Le gobbe del cammello viste dal marinaio
La nave vista dal cammelliere
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Rappresentazione grafica (doppio ribaltamento di uno dei semipiani)
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Applicazione di alcune textures
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2. Seduta in legno
Seduta in legno Ăˆ stata progettata una panca in legno a piĂš utilizzi che, pensata per la produzione industriale, possa essere agevolmente montata e smontata dall’acquirente.
Le prime idee
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Il progetto - Panca a più utilizzi, per luogo pubblico La panca è stata pensata in relazione all’emergenza sanitaria in corso al momento della progettazione: si tratta di una seduta a più utilizzi, organizzata in moduli quadrati che possono fungere da seduta oppure da tavolino. Questi moduli sono, infatti, scorrevoli, ed accoppiati formano la distanza interpersonale (minima) obbligatoria imposta dal Decreto presidenziale del 17 Maggio 2020, ossia 1m: in questo caso, i moduli che si interpongono tra le persone sedute possono fungere da tavolino per l’appoggio di giornali, borse o altri oggetti. La panca, però, è utilizzabile anche in condizioni sanitarie normali, caso in cui i tutti i moduli che la compongono potranno essere sfruttati come sedute. Vengono qui riportati gli schizzi definitivi disegnati a mano, in seguito ai quali sono state apportate, però, lievi modifiche progettuali.
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Vista ed esploso assonometrici
33
*mm
300 *
800*
300 *
500 *
50*
R30 *
50*
Proiezioni ortogonali quotate, elemento laterale
34
50
*mm
*
100
*
3160
*
50
*
30
*
100
R30
*
*
300
560
500
Proiezioni ortogonali quotate, binari
35
*mm
R30 * 100*
Proiezioni ortogonali quotate, seduta
36
90*
30*
30
*
500 *
560*
Altezza 50
Altezza 50 Altezza 50
Panca vista dall’alto 30 30
Ipotesi 1 di utilizzo durante il Covid-19
Ipotesi 2 di utilizzo durante il Covid-19
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L’acquirente può scegliere se acquistare la versione standard della panca, in legno di ciliegio e bossé, oppure comprare sedute personalizzate con differenti colori, textures e materiali. Gli elementi invarianti sono le aste-binario in acciaio satinato. Nel modello qui sopra, due sedute sono più scure (per questo il legno bossé) per indicare la distanza obbligatoria interpersonale in condizioni di emergenza sanitaria. Questa è una versione della panca più estesa rispetto a quella base, perchè prevede una seduta aggiuntiva Infatti, essendo basata su moduli, la panca può essere prodotta più o meno lunga, a seconda dello spazio a cui è destinata.
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3. Ready-made
Ready-made Definizione e storia Il termine “Ready-made” è un aggettivo della lingua inglese, che significa “Prefabbricato/ Pronto all’uso”; dal 1913 viene introdotto in ambito artistico per indicare un oggetto di utilizzo comune che viene isolato dal suo contesto funzionale e pensato per una differente funzione (pratica o concettuale) grazie all’attribuzione di un nuovo significato da parte di un artista (quindi elevato ad opera d’arte) [A], oppure reso disfunzionale tramite l’abbinamento ad altri oggetti [B]. Se invece l’oggetto in tale processo viene modificato, è definito “rettificato” [C]. È l’artista dadaista Marcel Duchamp, proprio in tale anno, il primo ad adoprare il termine attribuendolo alla sua opera <<Bicycle Wheel>>, una ruota di bicicletta capovolta ed incastrata in uno sgabello per mezzo delle forcelle del telaio. Duchamp nega, così, l’arte manuale in favore di una nuova concezione secondo la quale è l’artista stesso a definire che cosa è Arte, creando significati più che nuovi oggetti. 42
[A] [A] Bottle rack, Marcel Duchamp, 1914 [B] Bicycle wheel, Marcel Duchamp, 1913 [C] Cadeau, Man Ray, 1921
[B]
[C]
Nell’ambito del Design, solo da qualche anno più tardi, molti progettisti intraprendono la strada del Ready-made come citazione artistica, tra cui (tra i primi) Achille e Pier Giacomo Castiglioni, i quali nel 1957 producono lo sgabello <<Mezzadro>> [D], forma presa in prestito da un trattore di campagna e ricontestualizzata in città come sgabello. Nonostante la differenza tra Design ed Arte sia principalmente la funzionalità dei prodot-
-ti, anche in questo primo ambito vengono spesso proposte icone culturali come oggetti, seppur non del tutto funzionali, bensì quasi totalmente concettuali. Un esempio è la poltrona <<Joe>> [E], progettata da Jonathan De Pas, Donato D’Urbino e Paolo Lomazzi nel 1970, un grande guantone da Baseball in onore dell’allora noto giocatore Joe DiMaggio. Con il passare deli anni si crea un legame tra l’operazione di origine dadai-
-sta ed il concetto di riutilizzo, così che il Ready-made arriva ad assumere un ruolo considerevole nell’ambito del risparmio economico e, più in generale, della progettazione sostenibile. Testimonianze di questa nuova visione sono, ad esempio, alcuni lavori di Enzo Mari, tra i quali (il più conosciuto) la serie <<Putrella>> del 1958 [F], che vede numerosi semilavorati metallici di scarto diventare contenitori da tavolo.
[D] Mezzadro, Achille e Pier Giacomo Castiglioni, 1957
[E] Joe, Jonathan De Pas/Donato D’Urbino/Paolo Lomazzi, 1970
[F] Putrella (un pezzo della serie), Enzo Mari, 1958
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Ready-made personale: gruccia Sulla base del concetto elaborato da Duchamp e portato avanti da molti Artisti e Designer, è stato pensato un Ready-made ottenuto attraverso lâ&#x20AC;&#x2122;assemblaggio di oggetti differenti, che insieme danno vita ad una nuova funzione: utilizzando delle vecchie squadre da disegno e dello spago, sono state costruite delle grucce per appendere gli abiti.
Oggetti di partenza: spago e squadra da disegno
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Lo spago è agganciato alla squadra grazie ad un nodo a cappio, che con il peso dei vestiti di stringe, creando un punto di forza nel filo.
La “gruccia” sarà regolabile in altezza grazie ad un nodo scorsoio realizzato lungo lo spago che la sorreggerà.
La squadra fungerà da sostegno per gli abiti, che potranno essere appesi agli spigoli dell’oggetto oppure al foro triangolare.
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