Basic Design 1+2 - ISIA Firenze A.A. 2019/2020 - Tonia Storto - Doc. Francesco Fumelli

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Basic Design


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Corso Basic Design 1+2 A.A. 2019-2020 Docente Francesco Fumelli Allieva Tonia Storto

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Basic Design 1+2

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“L'arte è ricerca continua, assimilazione delle esperienze passate, aggiunta di esperienze nuove, nelle forme, nel contenuto, nella materia, nella tecnica, nei mezzi.“ Bruno Munari

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10 21 35 41 INTRODUZIONE

TA N G R A M

L A R I V I S TA

2.0 Introduzione 2.1 Tavole singole 2.2 Impaginato finale

1.1 impaginazione 1.2 Spazi e griglie 1.3 Scelte tipografiche 1.4 Il timone e il menabò 1.5 Il titolo e la coper tina

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L A C O P E R TA DI LINUS 3.0 Introduzione 3.1 Progettazione 3.2 Moodboard 3.3 Relazione


51 115 131 139 LOGOTIPI 4.0 Introduzione 4.1 Storia del logo Barilla 4.2 Logo geometrico 4.3 Logo natura 4.4 Logo acronimo 4.5 Logo significante libero 4.6 Logo multi-significato

IMMAGINE C O O R D I N ATA

PROSSEMICA 6.0 Introduzione 6.1 Prossemica e culture 6.2 Prossemica nel 2020

5.0 Introduzione 5.1 Biglietto da visita 5.2 Carta intestata 5.3 Busta da lettera 5.4 Home page sito web 5.5 Oggetti promozionali

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C A R AT T E R I TIPOGRAFICI 7.0 Introduzione 7.1 I caratteri


147 165 173 187 AMBIGUE PERCEZIONI 8.1 La percezione visiva 8.2 Illusioni ottiche 8.3 Design e percezione 8.4 Prodotti grafici 8 . 5 L’ o g g e t t o i m p o s s i b i l e

ERRORI DI P R O G E T TA Z I O N E

ELEMENTI DI I N F O R M AT I C A 10.1 I programmi 10.2 Esesrcitazioni 10.3 Rendering vettoriale 1 0 . 4 L’ i n f o g r a f i c a

9.1 La madia 9.2 La caraffa

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DAL PIANO AL VOLUME TA G L I A E P I E G A 11.1 Esercizio iniziale 11.2 Le simmetrie 11.3 Le narrazioni


225 249 259 L A PA N C A 12.0 Introduzione 12.1 Le proposte 12.2 Proposta finale

IL READY-MADE 13.0 Introduzione 13.1 La progettazione 1 3 . 2 L’ o g g e t t o

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BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA


La rivista “Basic design” si sviluppa in 13 capitoli nei quali si articolano le esercitazioni dei corsi Basic Design1, Elementi di Informatica e Basic Design 2 svolti durante l’anno accademico. Di questi, i primi dieci, riguardanti la prima parte del corso, prevedono un approccio teorico, dunque studio ed analisi di sistemi compositivi, studio ed osservazione di problemi progettuali, analisi del mondo della percezione. I restanti tre capitoli individuano un approccio maggiormente pratico, in cui lo studente ha la possibilità di applicare determinare competenze acquisite al fine di realizzare un progetto finito. Ogni capitolo propone un’introduzione al tema trattato e lo svolgimento di elaborati personali di natura progettuale-grafico-testuale al fine di sviluppare le competenze base del mondo del design. Gli elaborati sono stati documentati per mostrare il processo di progettazione in ogni sua parte, dall’ideazione alla realizzazione, sviluppando capacità di ragionamento volte ad un prodotto funzionale e creativo.

schema del metodo di studio del Bauhaus

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INTRODUZIONE

Basic Design - cenni storici Nonostante il Basic Design abbia origini antecedenti al Bauhaus, l’origine dei suoi corsi viene ricondotta al corso propedeutico vorkurs del Bauhaus e al grundkurs della Hoschule fur Gestaltung di Ulm. Il corso è di tipo propedeutico, caratterizzato da una metodologia didattica fondata sulla sperimentazione e sulla ricerca. Nel Bauhaus, il corso si articola in tre anni e sei mesi. Tra i docenti iniziatori del corso possiamo individuare Johannes Itten, pittore, designer e scrittore svizzero, il quale introduce per la prima volta “l’addestramento sensoriale” all’interno della scuola. Itten viene chiamato nel 1919 da Walter Gropius per insegnare al Bauhaus, dove inserisce anche un corso preliminare introduttivo in cui gli allievi fanno “tabula rasa” delle proprie conoscenze accademiche per fare spazio ad un nuovo approccio creativo (concetto che riprenderà Munari e che sarà definizione del design al fine di avere la massima libertà mentale per la ricerca di nuove idee svincolandosi dalle forme precostruite). Dal 1923 al 1928 il corso viene tenuto da Moholy-Nagy.

Itten durante una sua lezione

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Con Moholy-Nagy avremo all’interno del corso di Basic Design anche elementi di fotomontaggio. Il docente inserisce l’elemento della luce, di suo grande interesse, come base di studio per la fotografia e il fotomontaggio. Oltre a questo, dobbiamo a Moholy-Nagy anche l’inserimento degli effetti sensoriali (tavole che analizzano e sviluppano il tatto e la vista). Fra i docenti che hanno arricchito questa disciplina troviamo inoltre Josef Albers, pittore tedesco che affiancò Moholy-Nagy dal 1923 focalizzandosi sugli aspetti percettivi e strutturali della configurazione. Lo ricordiamo anche per l’influenza sulla Optical Art, o Op Art. Per quanto riguarda le influenze maggiormente teoriche, il Bauhaus accoglie tra il 1921 e il 1924 artisti già noti come Kandinsky e Klee, figura pacata all’interno della scuola tanto che venne definito da Gropius “l’estrema istanza morale del Bauhaus”. Altro personaggio fondamentale nella storia del basic design è Tòmas Maldonado, il quale applica modifiche a livello pedagogico, portando un approccio diverso e seguendo la filosofia “imparare facendo”. Infine, Bruno Munari, il quale apporterà anche lui modifiche di tipo pedagogico sperimentando nuovi percorsi creativi e progettuali tra gioco e design.

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Bruno Munari


“Il messaggero d’autunno”, Paul Klee

“Bonjour Madame Diagonale”, Tòmas Maldonado

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Josef Albers: Glass, Color and light

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Otl Aicher Nato nel 1922, tedesco, fervente antinazista, Otl Aicher è stato uno dei più grandi designer del ‘900. Studia scultura alla Akademie der Bildenden Kunste di Monaco, nel 1952 si sposa con Inge Scholl, con la quale fonda, insieme a Max Bill la sua scuola di design ad Ulm. La scuola di Ulm visse principlamente sotto l’influenza del Bauhaus nei suoi primi anni. Tra il 1954 e il 1956 tiene lezioni presso la scuola di Yale mentre tra il 1962 e il 1964 diventa direttore della scuola da lui fondata. Aicher lavora principalmente come designer di Corporate Identity ma la sua fama è senza dubbio dovuta agli ideogrammi realizzati per i giochi olimpici a Monaco di Baviera del 1972. L’incarico gli viene proposto nel 1966 e si consulta con Masaru Katsumie il quale aveva progettato gli ideogrammi dei Giochi olimpici di Tokyo del 1964. Aicher crea dunque una serie di pittogrammi destinati a fornire un’interpretazione visiva dei vari sport della competizione in modo che gli atleti e i visitatori del centro olimpico potessero facilmente trovare la strada. Per rappresentare le varie discipline olimpiche, Aicher si ispira al sistema Isotype, antenato della “data visualization” in cui i dati statistici sono sostituiti da simboli. Gli atleti, raffigurati in pose tipiche, sono ridotti a silhouette costituite da poche e semplici forme geometriche (fig.1). Oltre agli ideogrammi, per le Olimpiadi del 1972 Otl realizza anche una serie di poster secondo una modalità grafica detta “posterizzazione”. Per realizzarli vengono utilizzate foto degli atleti scattate durante momenti d’azione, vengono poi ridotti tutti i dettagli fino a ridurre l’immagine ad aree cromatiche in contrasto tra loro (fig.2).

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fig. 1

fig. 2

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“Good art inspires; good design motivates.� Otl Aicher

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L A R I V I S TA

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1.1 Impaginazione

Nella progettazione di una rivista, l’impaginazione svolge un ruolo chiave. Si tratta dell’operazione per mezzo della quale tutti gli elementi che compongono uno stampato vengono posizionati, dimensionati e organizzati nello spazio-formato. Gli elementi sono i blocchi di testo, i titoli e sottotitoli, le illustrazioni, gli elementi decorativi. Per giungere all’impaginazione in senso operativo si effettuano normalmente delle prove, che portano alla creazione di un layout di pagina. Una corretta ed equilibrata impaginazione degli elementi è necessaria per la comprensione del messaggio da parte del lettore e deve dunque rispondere a due ordini di problema: • la relazione ottico-formale che intercorre tra lo spazio-formato e l’insieme degli oggetti grafici definiti “area stampata”, ovvero il rapporto tra

il “quadro” e la “cornice”, ma anche il posizionamento del quadro entro la cornice. Da questa relazione scaturiscono scelte tra cui la giustezza di composizione, il numero di colonne, l’altezza di pagina, la dimensione e i rapporti tra i margini; • l’organizzazione, all’interno dell’area stampata, dei diversi elementi grafici in quanto a dimensione e posizione, e alla gestione dei bianchi di distacco tra gli elementi stessi. Per fare ciò si possono seguire regole prettamente ottiche e funzionali, in base all’importanza dei vari elementi e alle loro relazioni; oppure si può seguire una logica modulare, che mira a rendere omogenei e unitari gli elementi grafici, soprattutto negli stampati multipagina.

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Possiamo individuare 3 tipologie d’impaginazione.

I M PA G I N A Z I O N E C L A S S I C A

I M PA G I N A Z I O N E M O D U L A R E

I M PA G I N A Z I O N E L I B E R A

Nell’impaginazione classica il rapporto tra la base (giustezza di composizione) e l’altezza dell’area stampata è lo stesso di quello esistente tra i due lati del formato-carta. Questo tipo di impaginazione è comunemente utilizzata per le edizioni librarie di una particolare eleganza. Si basa sulla ricerca di proporzione, equilibrio e simmetria. Per ottenere la gabbia delle due pagine frontali con il sistema di impaginazione classica si applicano normalmente dei modelli costruttivi geometrici, alcuni risalenti a svariati secoli fa, come, per esempio, il metodo di Villard de Honnecourt. Si tratta di un metodo in cui l’area testo presenta un rapporto di 1:2 tra base ed altezza mentre i margini (partendo da quello interno e andando i senso orario), hanno rapporto 2:3:4:6.

L’impaginazione modulare la troviamo invece negli stampati multipagina (quali riviste, quotidiani, fascicoli illustrati, cataloghi,...). Mantenere l’unitarietà d’impaginazione su tutte le pagine permette al lettore di comprendere le relazioni e le gerarchie di importanza tra i diversi elementi lungo tutte le pagine. La costruzione modulare della gabbia di pagina consiste nella sua suddivisione, sia in orizzontale che in verticale, in un numero preciso di spazi o blocchi modulari. Il blocco modulare è una porzione componibile della superficie dell’area stampata, alla quale fanno riferimento, per posizione, dimensione e allineamento, tutti gli elementi grafici delle pagine dello stampato.

L’impaginazione libera è tipica degli stampati sviluppati su un unico spazio-formato, come ad esempio manifesti, volantini, locandine, cartoncini da invito ecc. L’organizzazione grafica degli elementi non sempre presenta una logica modulare, anche se talvolta essa esiste. L’impaginato libero segue dunque regole in base alla funzione, all’importanza ottica e alla relazione tra gli elementi, e in rapporto alla necessità di evidenziazione e di contrasto. La dimensione, la posizione, gli allineamenti e gli spazi tra gli elementi non hanno una logica strettamente modulare, bensì vengono valutati caso per caso, secondo la forma grafica che si vuole ottenere.

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I M PA G I N A Z I O N E C L A S S I C A

I M PA G I N A Z I O N E M O D U L A R E

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I M PA G I N A Z I O N E L I B E R A


1.2 Spazi e griglie

Negli stampati è necessario posizionare gli elementi all’interno di griglie (o gabbie) secondo una struttura predeterminata. La griglia consente la creazione di colonne, margini, aree per il testo e per le immagini. Divide l’area di testo disponibile in unità porzionate, fornendo una struttura visiva generale e facilitando la composizione degli elementi. La struttura della griglia più semplice, a una sola colonna, è quella di solito per i romanzi, e la misura di quest’area di testo è relativa alla leggibilità. Nei layout più complessi con testo, immagini, grafici e didascalie è necessario approntare una griglia più elabo

Singole unità di uguale dimensione separate da margini superiori e inferiori uguali, formano un sistema perfetto per le composizioni con molte immagini. Le unità possono essere combinate per immagini più grandi o colonne di testo.

rata, orizzontale e verticale. Le griglie che comprendono da tre a sei colonne consentono l’inserimento di tutti gli elementi. Più unità si creano e maggiore sarà la flessibilità di cui si dispone nell’inserimento di testi brevi come le didascalie e testi più lunghi, come sottotitoli e testo principale. Anche per quanto riguarda i margini bisogna considerare il tipo di pubblicazione, nelle brossure i margini tendono ad essere ridotti per mantenere il basso numero della pagine, mentre le pubblicazioni ricche di immagini hanno spesso margini e spazi bianchi più ampi.

Tre colonne funzionano bene per una media quantità di testo. É possibile utilizzare una qualsiasi colonna per aggiungere spazio bianco e la pagina può essere divisa in modo asimmetrico con testi e immagini.

Un sistema a quattro colonne consente una maggiore flessibilità per la disposizione. La divisione simmetrica aggiungerà ordine e un maggiore controllo.

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Nel caso di questa rivista è stato utilizzato il formato A4 (210mm x 297mm) disposto orizzontalmente. La griglia utilizzata è di tipo modulare, composta da 48 quadrati uguali (8 sul lato lungo e 6 sul corto) con uno spazio di separazione di 0,5 cm. Questa tipologia di pagina mastro è stata utilizzata per l’intera rivista in quanto molto versatile sia per pagine dedicate ad immagini che per quelle ricche di testo, in cui sono state impiegate 2 colonne da 4 “quadrati” ciascuna oppure 2 colonne rispettivamente da 2 e da 6.

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esempi impaginazione

Nella prima prova di impaginazione era stato scelto anche in questo caso un formato A4 ma con orientamento verticale. Le colonne di testo erano più strette e di conseguenza più numerose all’interno della pagina. Successivamente è stato cambiato l’orientamento del foglio per una disposizione più lineare dei contenuti ed è stato cambiato il colore principale della rivista optando per un colore più tenue.

prima prova impaginazione

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1.3

Scelte tipografiche

Elementi grafico di inizio capitolo: - Fascia laterale: C: 45; M: 18; Y: 25; K:2. OpacitĂ 50% - Linea: C: 45; M: 18; Y: 25; K:2. OpacitĂ 100%, 1 pt Titolo capitolo: Sukhumvit Set Thin 40 pt

Numerazione capitolo: Baskerville Regular 300pt

Titolo capitolo: Sukhumvit Set Thin 20 pt

Paragrafi: Sukhumvit Set Thin/Light 15 pt Corpo: Baskerville Regular 9 pt

Didascalie: Sukhumvit Set Thin 6 pt

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1.4 Il timone e il menabò Menabò Il menabò è un modello d’impaginazione. Precede l’imposizione tipografica e viene impiegato solitamente per libri o riviste, contenenti testo, fotografie e/o illustrazioni in una precisa disposizione; differentemente dal timone, viene impostato con dimensioni reali o quasi reali.

Timone

Consiste nell’impostare un disegno della pagina entro la quale posizionare attraverso le rispettive gabbie i vari “pesi” grafici, ovvero titoli, sommari, didascalie e immagini ecc.

In ogni progetto grafico ci deve essere una sequenza logica visiva . Il timone puo consistere solo nel titolo di ogni pagina o accennare ai suoi contenuti o anche presentare un abbozzo grafico della disposizione degli elementi . Il timone ha la funzione di chiarire la sequenza logica, la distribuzione del colore e la quantità di elementi da inserire.

esempio menabò di giornale

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1.5 Il titolo e la coper tina

La copertina utilizza come sfondo il colore proposto in tutta la rivista. Gli elementi grafici presenti sono stati realizzati su ispirazione delle iconiche forchette di Munari presenti anche nella copertina del libro “Fantasia”. Ho voluto rappresentarle come simbolo e riassunto dei contenuti del corso, mantenendo lo spirito giocoso di Munari ed adattandole appunto ad alcuni elementi di Basic Design. Non avremo più dunque “Salve” “Sigaretta?” “no grazie” e “Très chic” presenti nella copertina del libro di Munari ma “Progetto” “Uff!” “click.” e “idea”, da me realizzati. Anche la griglia, essendo presenti solo un elemento testuale ed uno grafico, è semplice, formata da due colonne e otto righe. Gli elementi citati occupano la parte bassa dello spazio mentre il restante è libero.

La scelta del titolo fa riferimento al nome del corso per mantere la filosofia semplice della rivista. Per quanto riguarda il font è stato utilizzato il Sukhumvit Bold da 130 pt. Il sottotitolo riguardante il corso, l’anno accademico, il docente e l’alunno sono stati posizionati all’interno della rivista, mentre il logo ISIA Firenze si trova sul retro di copertina.

Basic Design

forchette Munari

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La coper tina - il proget to

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TA N G R A M

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2.0 Introduzione

sia figure di ogni tipo in cui invece le caratteristiche di ciascun tan vengono messe in risalto. Alcune figure sono così espressive da sembrare vive e articolate. È anche possibile rappresentare lo stesso soggetto in posizioni differenti e quindi il tangram si può utilizzare anche per illustrare storie e per realizzare cartoni animati. Una caratteristica notevole di molte figure tangram è quella di suggerire all’immaginazione molto più di quanto effettivamente rappresentano: di fatto si tratta di illusioni ottiche; le figure tangram nella loro essenzialità ed efficacia offrono una ricchezza percettiva simile a quella della pittura zen che si basa sull’idea che “la tavolozza della mente è più ricca di quella del pennello”. Le figure tangram ricordano nella loro espressività le silhouettes o i giochi d’ombra con le mani. Il tangram offre così notevoli spunti allo studio della percezione visiva e può essere impiegato come base di test psicologici.

Il tangram è un antico gioco di origine cinese, ottenuto scomponendo un quadrato in sette parti dette tan: un quadrato, un romboide, e cinque triangoli rettangoli isosceli, di cui due grandi, uno medio e due piccoli. E’ conosciuto come “Le sette pietre della saggezza” perché si diceva che la padronanza di questo gioco fosse la chiave per ottenere saggezza e talento. Poco o nulla si sa circa le origini del gioco; persino l’etimologia del nome non è chiara. Combinando opportunamente i pezzi del Tangram, è possibile ottenere un numero pressoché infinito di figure, alcune geometriche, altre che ricordano oggetti d’uso comune, persone o animali. Qualsiasi figura realizzata con il Tangram deve essere costituita impiegando tutti i sette pezzi. Giocare con il tangram può sembrare facile, soprattutto quando lo si vede già assemblato sotto forma di quadrato, ma non lo è, soprattutto se si è alle prime armi. Nel gioco del tangram, così come per l’origami, accade che, malgrado la semplicità del materiale impiegato, si possono realizzare sia figure geometri che – come il quadrato – in cui si annullano le caratteristiche dei vari tan,

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2.1 tavole singole Questa sono io

stabilità ed equilibrio

calma e rilassamento

Dinamismo

Tonia Storto, A.A. 2019-20

Tonia Storto, A.A. 2019-20

Tonia Storto, A.A. 2019-20

Tonia Storto, A.A. 2019-20

Tonia Storto, A.A. 2019-20

P R I M A E S E R C I TA Z I O N E

S E C O N D A E S E R C I TA Z I O N E

T E R Z A E S E R C I TA Z I O N E

La prima esercitazione consisteva nella realizzazione di una storia di fantasia utilizzando tutti i 7 pezzi del tangram. Le forme sono dello stesso colore e non è previsto l’uso di elementi testuali. Il formato utilizzato per l’intera storia è A4 verticale.

La seconda esercitazione consisteva invece nella creazione di 4 tavole “tematiche” di lato 20cm x 20cm. Aumenta la libertà nell’utilizzo dei pezzi tangram: è possibile colorare liberamente sia le forme che lo sfondo e utilizzare anche più copie della stessa forma. Le tematiche affrontate nelle 4 tavole sono stabilità e bilanciamento, rabbia, dinamismo, calma e rilassamento.

L’ultima esercitazione, a tema “questo sono io”, consentiva la massima libertà di utilizzo sia di colore che di numero di pezzi tangram.

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2.2 impaginato finale

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L A C O P E R TA D I L I N U S

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3.0 Introduzione

CO S ’ È ?

M A G L I E T TA

FA S I

Con “coperta di Linus”o security blanket si fa riferimento ad un qualsiasi oggetto a cui attribuiamo un valore identificativo particolare, nonchè di sicurezza e comfort personale. Il termine nasce con i celebri fumetti di Charles Shulz, riferendosi a queli oggetti inseparabili per i bambini, come appunto una coperta, poichè rassicuranti. Trasferendo questo concetto all’ordinario del mondo degli adulti possiamo trovare un corrispondente nel vestiario. Il nostro modo di vestirci ci rappresenta, non tanto per chi siamo “dentro” ma per ciò che ci fa sentire sicuri e a nostro agio con l’esterno.

Ciò che abbiamo dunque realizzato per questa esercitazione di Basic Design 1 è stata una maglietta (ma poteva essere un qualsiasi indumento a nostro piacimento) che rappresentasse, in modo esplicito, la nostra “coperta di Linus”, ovvero la nostra identità e come tendiamo a mostrarci all’esterno, in relazione a ciò che ci fa sentire a nostro agio.

Il primo step per la realizzazione delle nostre magliette è stato il brainstorming e la creazione di schizzi a mano libera. Successivamente ci siamo occupati dei moodboard, ovvero una tavola che raccoglie idee per ricostruire lo stile e “l’atmosfera” di un progetto. Successivamente abbiamo realizzato le nostre magliette utilizzando materiale a piacere. Il fine di questa esercitazione era la presentazione delle nostre coperte di Linus attraverso una sfilata (il progetto è stato realizzato in collaborazione con il corso di linguaggi multimediali).

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3.1 Progettazione

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Brainstorming Brainstorming è un termine inglese composto dalle parole brain (cervello) e storming (tempesta) e significa letteralmente tempesta di cervelli. Questa espressione è entrata nell’uso comune per indicare una modalità di lavoro di gruppo in cui viene sfruttato il gioco creativo dell’associazione di idee: la finalità è fare emergere diverse possibili alternative in vista della soluzione di un problema.

Dopo aver fatto brainstorming riguardo a cio che secondo me mi identificava ho deciso di focalizzarmi su due aspetti significativi per me: la natura e l’osservazione ci ciò che mi circonda. Ho deciso dunque di utilizzare un mio disegno che raffigurava entrambi i concetti. Per quanto riguarda la maglietta ho deciso di optare per il colore nero e una taglia abbondante per sentirmi a mio agio.

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3.2 Moodboard

MOODBOARD Per moodboard, dall’inglese “umore”, mood, e “tavola”, board, s’intende la raccolta di suggestioni che restituiscono la filosofia e lo stile di un progetto.

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Vedere

v.tr. [sogg-v-arg] 1. Percepire qlcu. o qlco. mediante la vista, scorgerlo.

Osservare

v.tr. [sogg-v-arg] 1. Guardare, esaminare, considerare con attenzione, al ďŹ ne di conoscere meglio.

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3.3 La relazione

Ho trovato quest’esercitazione molto interessante poichè ho avuto modo di sperimentare la progettazione di un oggetto e di un evento in modo completo, affrontando tutte le fasi che concorrono alla realizzazione del prodotto finale. Per quanto riguarda la maglietta è stato stimolante avere la possibilità di realizzare a nostra totale discrezione un indumento che parlasse della nostra persona. Qui mi sono imbattuta nel primo tassello del lavoro di un progettista: i limiti e i vincoli. Ho modificato più volte la mia maglietta in relazione agli strumenti in mio possesso e al fine ultimo, ovvero la sfilata, andando ad eliminare elementi o aggiungendone altri. Per quanto riguarda l’esposizione finale è stato molto interessante, anche in questo caso, vedere e partecipare in modo collaborativo alla realizzazione di un evento, dividendoci in gruppi di lavoro. Inoltre la collaborazione col professor De Carli, e dunque la fusione con Linguaggi Multimediali, ci hanno permesso di capire la complessità di un progetto e la ricchezza degli elementi che lo costituiscono.

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“Serve liberarsi dall’ossessione di voler ad ogni costo inquadrare tutto, catalogare tutto, giudicare tutto con il metro della tendenza.� Achille Castiglioni

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LOGOTIPI

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4.0 Introduzione Possiamo schematizzare il funzionamento semiotico del logo (ovvero il suo modo di costruire e comunicare i suoi significati) in quattro direzioni: verso il pubblico della marca, verso il contesto esterno della marca, verso il contesto interno della marca e verso la storia e la cultura aziendale.

Il logo, o logotipo, è la rappresentazione grafica del nome di un’azienda o un prodotto che permette un efficace individuazione e riconoscimento da parte del consumatore. Essendo l’aspetto grafico di una marca, i logotipi devono dunque essere il più possibile rappresentativi dell’azienda, rispecchiando i suoi valori e obiettivi. Affinchè un logo sia efficacie, è necessario che sia facilmente riconoscibile e associabile alla propria azienda sia in piccole che in grandi dimensioni, avere elementi e colori originali al fine di non creare confusione con le altre aziende. Il termine logo deriva dal greco “logos” che significa appunto “parola”. Nei marchi o logotipi non è presente dunque solo il pittogramma, l’immagine, ma anche l’elemento testuale, caratterizzato da un lettering specifico, che identifica il brand. Inoltre il logo può essere accompagnato da un payoff, ovvero uno slogan, che contribuisce a rafforzare la filosofia del brand, ad esempio Apple “think different”o McDonald - “i’m lovin’ it”.

Il pubblico. Si tratta essenzialmente dei consumatori della marca. Il logo veicola valori di consumo (ad esempio, la bontà suggerita dal logo del gruppo Danone) o può evocare i benefici funzionali o simbolici legati a una frequentazione della marca (la libertà del logo Motorola, l’energia indomita del logo Ferrari). • Il contesto esterno della marca. Si tratta del contesto socio-economico, socio-culturale ed estetico nel quale il logo si trova immerso e dal quale dipende tanto la sua concezione e il suo significato quanto l’interpretazione che viene fatta di tale significato. •

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Il contesto interno della marca. Si tratta in primo luogo dei prodotti commercializzati dalla marca. Il logo può comunicare una specificità del prodotto (il blu chiaro del logo Danone per ricordare il latte), una caratteristica del processo di lavorazione (il blu chiaro del logo Gelati Motta, per ricordare il freddo), una competenza specifica (l’universo Art Déco del logo Antica Gelateria del Corso per evocare la qualità quasi artigianale della produzione).

La storia e la cultura aziendale. In questo caso il logo dà indicazioni sull’identità dell’azienda stessa, che può essere espressa sia da un nome familiare, come è il caso per Barilla, sia da un’evocazione dei valori che animano il funzionamento dell’azienda che da un riferimento alle componenti dell’azienda: risorse umane, apparato produttivo, competenze specifiche.

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I L LO G O S I M B O L I CO

I L L O G O A S T R AT T O

IL LOGO TESTUALE

La morfologia del logo simbolico si basa esclusivamente su una grafica, ne sono un esempio l’uccellino di Twitter, la mela di Apple e così via. Il logo simbolico è molto efficace per quanto riguarda aziende note e consolidate poichè il collegamento tra il simbolo e l’azienda è immediato. Non si presta invece per le aziende nuove e poco conosciute, se non accompagnate dall’elemento testuale.

Il logo astratto, come il logo simbolico, comprende esclusivamente l’elemento grafico ma, a differenza del caso precedente, non si tratta di elementi gia noti e reali (come una mela) bensì frutto d’invenzione. Un classico esempio lo troviamo nel logo della Nike, che richiama il brand per la dinamicità ma non rappresenta un oggetto reale.

Nel caso del logo testuale il logo diventa il nome stesso dell’azienda, senza elementi grafici, e i valori e gli obiettivi vengono dunque trasmessi dalla tipologia di carattere utilizzato. Trattandosi di testo è necessario che sia ben leggibile e identificabile in tutte le varianti dimensionali.

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IL LOGO STEMMA

I L LO G O I CO N O G R A F I CO

I L LO G O M A SCOT T E

Questa tipologia di logo è costituita da un elemento testuale inserito all’interno di un’icona o un simbolo. Sono loghi che risultano ricchi e compatti e giocano sull’elemento “tradizione” come se fosse rimasto invariato nel tempo. Li troviamo maggiormente impegati nell’ambito scolastico, governativo o nell’industria automobilistica.

Il logo iconografico, o misto, prevede un design che unisce l’elemento testuale a quello grafico, combinazione che spesso rende piu memorabile il marchio.

Si tratta di un personaggio illustrato che fa da “portavoce” all’azienda, spesso simpatico e allegro, si rivolge a famiglie e bambini. Tra i più noti ricordiamo il panda del WWF e l’omino Michelin.

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L’ i m p o r t a n z a d e l c o l o r e La psicologia del colore afferma che il colore è una sensazione che viene recepita dal nostro cervello e che provoca determinati sentimenti ed emozioni. La nostra relazione con i colori che ci circondano è strettamente legata al modo in cui li abbiamo percepiti nel corso della nostra vita e determinati colori ci trasmettono ben specifiche sensazioni perché il nostro cervello, in automatico, le associa grazie alla nostra esperienza su di essi.

ROSSO Il rosso è uno dei colori più utilizzati nella grafica a causa delle sue caratteristiche di vitalità, di passione e di una gran quantità di sensazioni positive. Viene utilizzato specialmente nell’ambito dell’industria alimentare perché, in pratica, stuzzica l’appetito, non è infatti un caso che sia il colore aziendale di marchi come McDonald, Coca-Cola, Barilla ma anche di prodotti come Kinder e Nutella della Ferrero.

ARANCIONE L’arancione è il colore della creatività, della fiducia e dell’energia mentale. È usato per loghi e marchi di bevande energetiche, società hi-tech o di consulenza, palestre, centri ricreativi ed è largamente usato anche nel settore dell’industria alimentare perché, al pari del rosso, stimola fortemente appetito e bisogno di consumo fisico.

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GIALLO Il giallo rappresenta uno stimolo all’azione e all’attività mentale, favorisce la comunicazione e simboleggia ottimismo, positività e crescita. Poiché è il colore che associamo al sole e quindi alla fonte della vita e del calore è un ottimo colore per rappresentazione felicità e vitalità ma allo stesso momento per trasmettere pericolo, come ad esempio i cartelli che si mettono per terra per avvisare che il pavimento è bagnato.


VERDE

BLU

VIOLA

È per definizione il colore della natura e quindi di tutto ciò che è ecologico, che è bio, che non inquina, che è “green”. Il verde trasmette vivacità in modo rilassato e naturale. Tonalità diverse di verde esprimono diversi sentimenti. Un verde scuro trasmette un profondo senso di fiducia e sicurezza ed è infatti usato per numerosi istituti bancari o assicurativi e, in alcune nazioni, anche come colore sociale della polizia. Un verde chiaro invece simboleggia innovazione e giovinezza.

Il blu suscita nell’uomo diverse emozioni. Ci trasmette pace e rilassatezza, calma. Ispira fiducia, riduce lo stress e predispone ad un atteggiamento positivo e di lealtà. Le caratteristiche di rilassatezza e di spirito amichevole lo rendono invece perfetto per aziende che puntano sull’interazione come ad esempio Twitter, Skype, Facebook, Flickr, Linkedin e Vimeo. Molto usato, comunque, in ogni ambito e settore.

Il viola è un colore molto particolare che suscita emozioni e reazioni ben definite in chi lo osserva. Un logo di colore viola trasmette immediatamente sensazioni molto spirituali e interiori. La ricchezza di questo colore è strettamente legata alla sua regalità e profondità spirituale. È un colore di eleganza ed è utilizzato da aziende nei settori dell’alta moda, dell’industria dei profumi e dell’igiene personale.

57


Storia del logo barilla

1910-1930 “IL PUTÈN” Benché l’attività commerciale della Barilla risalga al 1877, ed esista una carta intestata documentata già nei primi anni del Novecento (immagine n.1), il primo “logo” appare solamente nel 1910. La produzione e lo smercio dei prodotti Barilla si sono considerevolmente sviluppati e in quell’anno viene inaugurata fuori le mura del centro storico di Parma una vera e propria fabbrica per la produzione di paste alimentari, con una potenzialità produttiva di 80 quintali giornalieri. Non a caso, è proprio in questo momento importante della storia aziendale che Barilla sente il bisogno di dotarsi di un elemento figurativo che simbolizzi la propria identità. Nelll’illustrazione possiamo notare che la presenza dell’uovo gigantesco salta sùbito agli occhi. La sua taglia manifestamente sproporzionata permette di costruire un’iperbole visiva e di utilizzare un procedimento divenuto più tardi familiare nel linguaggio pubblicitario. La dimensione dell’uovo permette, a livello di contenuto, di comunicare la grande quantità di uova presente nella pasta Barilla e, a livello di organizzazione visiva dell’immagine, la loro centralità. Il logo propone un micro-racconto organizzato intorno al momento delicato della preparazione dell’impasto. Vediamo la madia piena di farina bianchissima colta proprio nel momento cruciale in cui accoglie l’uovo; vediamo il mastello a sinistra che contiene altra farina per correggere, se necessario, le proporzioni dell’impasto. Ed infine, lo sguardo del garzone - il putèn . Esso è rivolto verso di noi, verso il fuori quadro, verso l’osservatore. Si tratta di un tratto non poco originale per un dispositivo comunicativo di quest’epoca. Lo sguardo diretto all’osservatore, e dunque al potenziale consumatore, sembra ammiccare, evocare la preparazione colta nel pieno divenire, suggerire, attraverso lo sguardo volto verso di noi, di guardare quello che si sta preparando: “Guarda che magnifico impasto sto preparando sotto i tuoi occhi”.

Garzone Nuovo Marchio Aziendale

58


1936 - 1954 LE FIRME Verso la fine degli anni ‘30 il logo del Putèn appare ormai obsoleto e viene sostituito. Senza essere scomparso, l’analfabetismo è in netto regresso. Viene meno dunque la necessità di utilizzare un’immagine fortemente descrittiva per illustrare la produzione dell’azienda. Si apre così una fase, che durerà circa vent’anni, in cui il logo aziendale viene ridotto alla sua più semplice espressione, all’espressione del nome Barilla. Il logo del Putén valorizzava soprattutto l’Azienda Barilla, i suoi garzoni, il suo saper fare, il processo di lavorazione e i suoi ingredienti. Il nuovo logo è invece una firma, che focalizza l’attenzione sul nome Barilla, giocando sulla dualità di un nome che designa sì un’azienda, ma anche una famiglia che si sta trasformando in vera e propria dinastia industriale. Da un punto di vista formale, possiamo osservare come lo stile della grafia del nome Barilla abbia subìto delle evoluzioni in questo periodo, muovendosi lungo due direzioni: una transizione dalla solidità alla leggerezza e una transizione dalla stabilità al movimento. Per quanto concerne la prima tendenza, si possono osservare le tipografie compatte e spesse delle prime firme, l’uso esclusivo del colore nero, l’allineamento orizzontale delle lettere, la tipografia che evoca un testo stampato piuttosto che manoscritto (figure 1 e 2). I valori che si vogliono esprimere con questi primi nomi sono manifestamente di rigore, di rettitudine, di forza, di solidità. Progressivamente il logo va ad alleggerirsi, si diagonalizzano per imprimere dinamismo laddove prima si cercava solidità. La grafia diventa anche più manoscritta, più personale, fino ad assomigliare ad una e vera propria firma. La sobrietà delle prime firme cede il passo a una grafica più gaia, talvolta quasi leziosa. Appaiono ombre, spessori, svolazzi, ghirigori, contorni di vario tipo (figure 3 e 4). Infine due loghi che rispecchiano il gusto e gli stili dell’epoca, notiamo infatti che la B di Barilla assomiglia molto a quella dei Baci Perugina. (figure 5 e 6).

f ig.1

f ig.3

f ig.4

f ig.5

59

f ig.2

f ig.6


1952 - oggi L A SINTESI DELL’OVALE Nel 1952 l’azienda incarica Ernesto Carboni, grafico e architetto parmense fortemente legato alla cultura figurativa del Post-cubismo francese, di ripensare integralmente il logo Barilla. Come vedremo, anche se più volte rimaneggiata, è l’intuizione iniziale di Carboni che resta al centro del dispositivo visivo del logo attuale. Nel nuovo logo di Carboni, il riferimento all’uovo diviene puramente geometrico e astratto. L’uovo del Putén designava un vero uovo, anzi un uovo gigantesco, per evocare i principi nutritivi, i preziosi ingredienti del prodotto, il processo di lavorazione. L’uovo di Carboni, invece, è una forma ovale che se da un lato ricorda, ma in modo ellittico e molto stilizzato, nel gioco tra fondo bianco e macchia di rosso, il vero uovo, dall’altro evoca i valori plastici della forma ovoidale chiusa: l’armonia, la perfezione, la linearità, la rotondità, la delicatezza. Un ovale che – come ben Carboni sapeva grazie alle sue indagini sulla psicologia della Gestalt – crea un effetto di unità, armonia, equili brio. Siamo quindi di fronte a un pattern strutturale che permette di fissare le basi del patto fiduciario fra azienda e consumatore (figura 7). Nel 1969 Barilla chiede alla Lippincott & Margulies, società internazionale di consulenza nel campo del design e delle comunicazioni visive con sede in America, di studiare l’immagine della Società. L’Azienda ha acquisito un’ottima immagine – appare contraddistinta da attributi di prestigio, di qualità, di fiducia -, ma non viene percepita come particolarmente moderna. La rivisitazione della Lippincott & Margulies dà al logo una sua intrinseca coerenza tra le diverse componenti plastiche e figurative (figura 8). Le lettere perdono gli svolazzi e i tratti pieni e fini tipici della scrittura manoscritta e vengono rappresentate con un’estetica sobria, che gioca a fondo sul ritmo tra pieni e vuoti e sul doppio contrasto tra il fondo bianco, la macchia rossa e le lettere bianche inscritte sul fondo rosso.

f ig.7

f ig.8

60


Sulla confezione progettata nel 1969 sempre da Lippincott & Margulies, il nuovo logo viene inserito entro una “lingua” bianca. Si tratta di un’area dai bordi smussati che sul pack riproduce l’effetto visivo di un riflettore che inquadra e investe di luce il logo, mettendolo in primo piano, portandolo alla ribalta. Una valorizzazione visiva che aumenta l’impatto dell’ovale rosso sulla confezione blu. Visti su una confezione distesa, “lingua” e logo acquistano la fisionomia di una tovaglia bianca sulla quale è appoggiato un piatto di pasta condita al pomodoro. Ad aumentare questa connotazione gastronomica e culinaria contribuisce la rappresentazione fotografica del prodotto: esso è nella pentola al momento della cottura e c’è un mestolo con cui la pasta viene offerta a un ipotetico osservatore, che viene così direttamente coinvolto nella scena. Attraverso la combinazione di questi elementi, quindi, il pack racconta all’osservatore una microstoria della pasta Barilla: dal suo uso al momento del consumo. La rivisitazione del pack realizzata nel 1985 (ad opera di Vittorio Mancini) trasforma la “lingua” in un rettangolo, un’area di servizio attraverso cui Barilla presenta ai suoi consumatori una serie di informazioni, in maniera sintetica e puntuale: al logo aziendale e alla denominazione del tipo di pasta, seguono l’immagine del formato (visto di profilo e in sezione) e i tempi di cottura. Nel 1996 il designer Gio’ Rossi lo ha sottoposto a qualche lieve ritocco (figura 9), che non modifica i significati di fondo. La forma ovale è stata allargata, ma colori, tipografia e struttura generale sono rimasti invariati. Nel 2000, in occasione del lancio delle nuove confezioni, è stato effettuato un leggero stiramento e abbassamento dell’ovale (figura 10). In conclusione possiamo dire che tre elementi dominano la gestalt visiva della confezione Barilla: il parallelepipedo blu, il tondo trasparente e il logo Barilla.

f ig.9

f ig.1 0

61


62


63


4.1 Logo geometrico

Il logo geomtrico realizzato prende origine dalla figura regolare dell’esagono. Sono stati successivament curvati i lati opposti e “separata” una faccia della figura. Questo logo geomtrico vuole richiamare proprio il conceto della goemetria dei solidi (in questo caso un cubo). Potrebbe essere utilizzata per un’azienda di videogiochi o materiale tecnologico.

64


Studio delle matrici geometriche

65


Studio di alcune composizioni privilegiando forme geometriche

Studio di alcune composizioni deformando le matrici geometriche

66


Studi compositivi applicando i gruppi di simmetria

- simmetria assiale e traslatoria

- simmetria traslatoria

- simmetria traslatoria e antitraslatoria

67


Studi delle varianti cromatiche (colori)

C: 55; M: 79; Y: 0; K: 0

C: 89; M: 67; Y: 0; K: 0

C: 94; M: 34; Y: 45; K: 26C

: 85; M: 11; Y: 18; K: 0

C: 38; M: 82; Y: 0; K: 0

C: 68; M: 0; Y: 19; K: 0

C: 0; M: 0; Y: 0; K: 100

C: 0; M: 0; Y: 0; K: 100

C: 100; M: 100; Y: 0; K: 0

C: 0; M: 0; Y: 0; K: 20

C: 60; M: 80; Y: 0; K: 0

C: 59; M: 0; Y: 7; K: 57

68


Studi delle varianti cromatiche (bianco e nero, scala di grigi

C: 0; M: 0; Y: 0; K: 100

C: 16; M: 11; Y: 13; K: 0

C: 59; M: 49; Y: 47; K: 39C

: 42; M: 33; Y: 33; K: 12

C: 0; M: 0; Y: 0; K: 0

C: 0; M: 0; Y: 0; K: 0

C: 0; M: 0; Y: 0; K: 100 sfumatura lineare sfumatura lineare

C: 0; M: 0; Y: 0; K: 100 sfumatura lineare C: 16; M: 11; Y: 13; K: 0 sfumatura s f u m a t u lineare ra lineare

69


Effetti bi/tridimensionali

Ombra esterna opacitĂ 100%

Ombra esterna opacitĂ 60%

Ombra esterna opacitĂ 30%

70


Effetti grafici/percettivi/textures

Variazioni dimensionali

71


P R O P O S TA F I N A L E

72


73


4.2 Logo natura

Per la realizzazione del logo natura mi sono ispirata all’orso e alla montagna. É stato realizzato immaginandolo per un’azienda di materiale da trekking.

74


Studio delle matrici geometriche

75


Studio di alcune composizioni privilegiando forme geometriche

Studio di alcune composizioni deformando le matrici geometriche

76


Studi compositivi applicando i gruppi di simmetria

- simmetria assiale

- simmetria traslatoria

- simmetria traslatoria e antitraslatoria

77


Studi delle varianti cromatiche (colori)

C: 88; M: 51; Y: 50; K: 48

C: 100; M: 100; Y: 25; K: 25

C: 67; M: 60; Y: 22; K:5

C: 20; M: 65; Y: 61; K: 9

C: 26; M: 47; Y: 56; K: 17

C: 33; M: 24; Y: 47; K: 7

C: 100; M: 0; Y: 0; K: 0

C: 5; M: 0; Y: 90; K: 0

C: 65; M: 40; Y: 0; K: 0

C: 90; M: 30; Y: 95; K: 30

C: 15; M: 100; Y: 90; K: 10

C: 100; M: 98; Y: 35; K: 40

78


Studi delle varianti cromatiche (bianco e nero, scala di grigi

C: 0; M: 0; Y: 00; K: 100

C: 66; M: 56; Y: 53; K: 58C

C: 14; M: 10; Y: 11; K: 0

C: 88; M: 51; Y: 50; K: 48C

79

: 44; M: 34; Y: 34; K: 13

: 88; M: 51; Y: 50; K: 48


Effetti bi/tridimensionali

Ombra esterna opacitĂ 100%

Ombra esterna opacitĂ 60%

Ombra esterna opacitĂ 30%

80


Effetti grafici/percettivi/textures

Variazioni dimensionali

81


P R O P O S TA F I N A L E

Font utilizzato: Gill Sans Light 16pt avv. 1000

H

I

G

H

G

82

R

I

Z

Z

L Y


83


4.3 Logo acronimo

Per il logo di un mio ipotetico studio di design sono state fuse le iniziali del mio nome. La scelta è ricaduta sulle iniziali fuse inisme, in minuscolo e grassetto racchiusi in un rettangolo nero.

84


Studio delle matrici geometriche

85


Studio di alcune composizioni privilegiando forme geometriche

Studio di alcune composizioni deformando le matrici geometriche

86


Studi compositivi applicando i gruppi di simmetria

- simmetria trslatoria e antitraslatoria

- simmetria assiale e traslatoria

- simmetria traslatoria

87


Studi delle varianti cromatiche (colori)

C: 0; M: 0; Y: 0; K: 100

C: 0; M: 0; Y: 0; K: 100

C: 0; M: 0; Y: 0; K: 100

C: 0; M: 100; Y: 99; K: 0

C: 0; M: 45; Y: 100; K: 0

C: 11; M: 0; Y: 100; K: 0

C: 0; M: 0; Y: 0; K: 100

C: 0; M: 0; Y: 0; K: 100

C: 0; M: 0; Y: 0; K: 100

C: 63; M: 0; Y: 47; K: 0

C: 75; M: 0; Y: 0; K: 0

C: 47; M: 59; Y: 0; K: 0

C: 0; M: 0; Y: 0; K: 100

C: 0; M: 0; Y: 0; K: 100

C: 0; M: 0; Y: 0; K: 100

C: 0; M: 52; Y: 100; K: 0 C: 35; M: 100; Y: 35; K: 10

C: 54; M: 0; Y: 37; K: 0

C: 2; M: 72; Y: 0; K: 0

C: 88; M: 74; Y: 0; K: 0

C: 88; M: 74; Y: 0; K: 0

88


Studi delle varianti cromatiche (bianco e nero, scala di grigi

C: 0; M: 0; Y: 0; K: 100

C: 0; M: 0; Y: 0; K: 100

C: 0; M: 0; Y: 0; K: 100

C: 0; M: 0; Y: 0; K: 0

C: 33; M: 25; Y: 26; K: 5

C: 58; M: 47; Y: 47; K: 38

C: 0; M: 0; Y: 0; K: 100

C: 0; M: 0; Y: 0; K: 100

C: 0; M: 0; Y: 0; K: 100

C: 0; M: 0; Y: 0; K: 0

C: 0; M: 0; Y: 0; K: 0

C: 0; M: 0; Y: 0; K: 0

sfumatura lineare

sfumatura lineare

sfumatura radiale

89


Effetti bi/tridimensionali

Ombra esterna opacitĂ 50%

Ombra esterna opacitĂ 25%

90


Effetti grafici/percettivi/textures

Variazioni dimensionali

91


P R O P O S TA F I N A L E

92


93


4.4 Logo significante libero

Il logo con significante libero è stato immaginato per il brand di un’azienda di packaging per liquidi. É dunque presente l’elemento della goccia che va a costituire la lettera “o” nel nome del brand “drop”, “goccia”. Il logo è semplice, ridotto a poche forme geometriche.

94


Studio delle matrici geometriche

95


Studio di alcune composizioni privilegiando forme geometriche

Studio di alcune composizioni deformando le matrici geometriche

96


Studi compositivi applicando i gruppi di simmetria

- simmetria rotatoria di ordine 8

- simmetria traslatoria

- simmetria traslatoria e antitraslatoria

97


Studi delle varianti cromatiche (colori)

C: 90; M: 76; Y: 0; K: 0

C: 95; M: 59; Y: 38; K: 29

C: 58; M: 0; Y: 21; K: 0

C: 17; M: 99; Y: 49; K: 7

C: 76; M: 28; Y: 71; K: 13

C: 54; M: 0; Y: 100; K: 0

C: 30; M: 0; Y: 100; K: 0

C: 2; M: 12; Y: 92; K: 0

98


Studi delle varianti cromatiche (bianco e nero, scala di grigi

C: 0; M: 0; Y: 0; K: 100

C: 39; M: 30; Y: 31; K: 9

C: 15; M: 10; Y: 11; K: 0

C: 64; M: 54; Y: 51; K: 52

C: 31; M: 23; Y: 24; K: 4

C: 7; M: 5; Y: 6; K: 0

99


Effetti bi/tridimensionali

Ombra esterna opacitĂ 100%

Ombra esterna opacitĂ 50%

Ombra esterna opacitĂ 25%

100


Effetti grafici/percettivi/textures

Variazioni dimensionali

101


P R O P O S TA F I N A L E

Font utilizzato: Arial Unicode MS

102


103


4.5 Logo a lettura multipla

Questo logo è stato immaginato per un’ipotetica azienda di energie rinnovabili. Sono presenti infatti l’elemento della lampadina e un elemento naturale, il limone, che richiama anche il colore iconico della luce. Il nome ipotizzato per l’azienda è Lùz, “luce” in spagnol, dove l’accento della vocale richiama la foglia del frutto.

104


Studio delle matrici geometriche

105


Studio di alcune composizioni privilegiando forme geometriche

Studio di alcune composizioni deformando le matrici geometriche

106


Studi compositivi applicando i gruppi di simmetria

- simmetria assiale

- simmetria traslatoria

- simmetria traslatoria e antitraslatoria

107


Studi delle varianti cromatiche (colori)

C: 0; M: 0; Y: 0; K: 100

C: 0; M: 0; Y: 0; K: 100

C: 0; M: 0; Y: 0; K: 100

C: 0; M: 0; Y: 0; K: 100

C: 37; M: 0; Y: 100; K: 0

C: 13; M: 0; Y: 100; K: 0

C: 0; M: 31; Y: 100; K: 0

C: 0; M: 87; Y: 100; K: 0

C: 0; M: 0; Y: 0; K: 100

C: 0; M: 0; Y: 0; K: 100

C: 0; M: 0; Y: 0; K: 100

C: 0; M: 0; Y: 0; K: 100

C: 61; M: 0; Y: 39; K: 0

C: 90; M: 40; Y: 100; K: 43

C: 71; M: 35; Y: 31; K: 12

C: 46; M: 87; Y: 0; K: 0

108


Studi delle varianti cromatiche (bianco e nero, scala di grigi

C: 0; M: 0; Y: 0; K: 100

C: 0; M: 0; Y: 0; K: 100 C: 69; M: 59; Y: 56; K: 65C

C: 0; M: 0; Y: 0; K: 100 : 50; M: 39; Y: 39; K: 21

C: 0; M: 0; Y: 0; K: 100

C: 0; M: 0; Y: 0; K: 100

C: 0; M: 0; Y: 0; K: 100

C: 50; M: 39; Y: 39; K: 21

C: 42; M: 33; Y: 33; K: 12

C: 15; M: 10; Y: 11; K: 0

109


Effetti bi/tridimensionali

Ombra esterna opacitĂ 100%

Ombra esterna opacitĂ 50%

Ombra esterna opacitĂ 25%

110


Effetti grafici/percettivi/textures

Variazioni dimensionali

111


P R O P O S TA F I N A L E

Font utilizzato: Sukhumvit Medium 21 pt

LÙZ 112


113


5

114


I M M A G I N E C O O R D I N ATA

115


5.0 Introduzione

Immagine coordinata “Anche l’occhio vuole la sua parte”, un luogo comune che ne mondo del marketing e della comunicazione diventa una regola. Per mantenere l’identità di un’azienda è necessario che essa sia fornita dell’immagine coordinata. Perché l’immagine risulti coordinata e, di conseguenza, l’azienda stessa sia immediatamente riconoscibile, è necessario che tutti gli strumenti e i fenomeni comunicativi che danno vita all’immagine siano legati l’un l’altro da un rapporto di coerenza reciproca. Si partirà dunque dal logo, vero e proprio simbolo dell’impresa, e rispettando le sue caratteristiche (colori, forme, caratteri tipografici) si sceglieranno le impostazioni della presentazione grafica e dell’impaginazione di documenti come brochure, volantini, ebook, carte intestate, buste da lettere, biglietti da visita, per arrivare ad altri strumenti identificativi del gruppo come uniformi, auto aziendali, ecc.

116


5.1 Biglietto da visita

vecchi (e curiosi) biglietti da visita

Il biglietto da visita è lo strumento attraverso il quale l’azienda si relaziona con le persone e i clienti. In pochissimo spazio deve racchiudere le informazioni principali dell’azienda e i suoi contatti, consentendo di poter risalire alla sua identità in qualsiasi momento. Il biglietto da visita è indispensabile per fare una buona prima impressione. Il suo compito è anche quello di lasciare a portata di mano i contatti dell’azienda o del professionista, per poter essere poi ricontattati. Le informazioni principali che non possono assolutamente mancare al suo interno sono: • Il logo dall’azienda, deve risaltare all’interno del biglietto ed essere ben in evidenza; • L’area di attività dell’azienda, per rendere il settore di attività più chiaro; • Il nome dell’azienda, anche questo deve avere il giusto spazio, spesso è integrato nel logo, ma se il biglietto da visita si sviluppa fronte e retro allora è fondamentale che sia presente su entrambi i lati; • L’indirizzo della sede o dell’ufficio, in modo che i clienti possano individuare facilmente il luogo; • Il numero di telefono fisso e cellulare, l’email e il sito web.

117

Google

Microsoft

Facebook

Walt Disney


5 mm

75 mm

5 mm

Misure 5 mm

• • • • •

In Italia e nell’Europa occidentale, il formato standard dei biglietti da visita è di 85 x 55 mm; Negli Stati Uniti e nel Canada il formato standard è di 88.9 x 50.8 mm; I biglietti da visita in Giappone sono 91 x 55 mm; Per l’Europa orientale e la Russia, i biglietti da visita hanno dimensioni 90 x 50 mm; Nel resto del mondo, le dimensioni usate sono le stesse che utilizziamo in Europa occidentale.

45 mm

5 mm

Il biglietto da visita per l’ipotetica azienda High Grizzly è realizzato sulle misure standard 85mm x 55mm con 5mm di margine. Nella parte frontale il logo è collocato al centro mentre sul retro appare di sfondo con opacità 9%. Sul retro sono inoltre collocati la sede, l’indirizzo e-mail, il numero di telefono, il sito web e in alto a sinistra il nome dell’azienda. Il colore dello sfondo e la carta ruvida utilizzata richiamano lo spirito e gli obiettivi del marchio. Per quanto riguarda il font è stato utilizzato, in entrambi i lati, Sukhumvit Set thin 6 pt.

118


119


5.2 Carta intestata modello foglio block-notes

La carta intestata è necessaria all’azienda per fornire informazioni dell’azienda al destinatario. In cima al foglio è presente il logo o il design identificativo dell’azienda, ma è fondamentale inserire anche il nome dell’azienda e i vari recapiti (indirizzo della sede, numeri di telefono, indirizzi e-mail, partita IVA , fax e siti web). Poichè ha un ruolo informativo, la carta intestata deve essere facile da consultare, di conseguanza il layout dovrà essere semplice ed equilibrato. Le dimensioni standard rispecchiano quelle del formato A4, quindi 210 mm x 297 mm con grammatura intorno ai 100/110 g. 210 mm

297 mm

120


modelli per fogli autonomi

121


122


5.3 Busta da lettera Il formato più comune della busta da lettera è il formato chiamato DL (o americano) che misura 11 x 22 centimetri. La busta DL è anche detta busta americana ed è usata soprattutto per le comunicazioni di tipo commerciale. La busta da lettera con formato DL (chiamato anche C6/5) ha misure adatte a contenere un foglio A4 piegato su sé stesso in tre parti. Nella busta di tipo commerciale può essere presente un pannello trasparente in pellicola traslucida di dimensioni 90 x 40 mm oppure una “finestra”. Possono inoltre avere la chiusura autoadesiva e l’aperura facilitata sul lato.

A L T R I F O R M AT I : A3 A4

A3

A4

A5

C6

114x162

DL

110x220

C5

C4

162x229

229x324

123

C3

324x458


F O R M AT O D L ( 1 1 0 x 2 2 0 )

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F O R M AT O C 5 ( 1 6 2 x 2 2 9 )

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5.4 Home page sito web

Tutte le pagine web hanno delle aree strutturali in comune. La sezione superiore è definita “header”, di solito contiene pochi elementi chiave, come ad esempio, le immagini del marchio e i principali link di navigazione. Sotto l’header troviamo il “body”, ovvero l’area principale dei contenuti. Infine il “footer”, il quale contiene dettagli sui titolari del sito ed un riepilogo della struttura di navigazione che permette di accedere ai collegamenti senza dover tornare in cima alla pagina. Per quanto riguarda il layout, possiamo individuare 3 comuni strutture per una pagina web.

layout a larghezza fissa: molto diffuso negli attuali siti web, questo layout ha una larghezza in pixel fissa, e di solito posizionata al centro della finestra del browser.

layout liquido: è progettato per essere fluido, riposiziona gli elementi in base alla larghezza della finestra del browser.

layout flottante: si basa su una larghezza e un’altezza fissa all’interno della finestra del browser. Di solito lo sfondo rimane visibile su almeno tre lati (sinistra, destra, in basso) e non è necessario scorrere per visualizzare il contenuto.

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5.5 Oggetti promozionali

Gli oggetti promozionali sono oggetti personalizzati con il nome, il logo o il messaggio di un azienda e sono progettati per aumentare la consapevolezza del marchio tra i consumatori. Essendo una delle poche forme di pubblicità che permette ai consumatori di interagire con un marchio a livello fisico, i gadget promozionali spesso creano un’esperienza emotiva che si lega al brand e che induce il consumatore a ricordare il marchio aziendale.

Il mockup è un modello dimostrativo di un oggetto originale che viene realizzato per dare un’idea dell’oggetto finito. I mockup costituiscono la soluzione migliore se bisogna farsi approvare un lavoro nel minor tempo possibile perché sono relativamente brevi da realizzare e rappresentano il modello più comprensibile e più vicino al prodotto finale.

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6

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LA PROSSEMICA

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6.0 introduzione “Il termine inglese proxemics, derivato di proximity, “prossimità“, è stato introdotto dall’antropologo americano E.T. Hall negli anni Sessanta del 20° secolo per indicare lo studio dello spazio umano e della distanza interpersonale nella loro natura di segno. La prossemica indaga il significato che viene assunto, nel comporta-

mento sociale dell’uomo, dalla distanza che questi interpone tra sé e gli altri, tra sé e gli oggetti, e, più in generale, il valore che viene attribuito da gruppi culturalmente o storicamente diversi al modo di porsi nello spazio e di organizzarlo, su cui influiscono elementi di carattere etnologico e psicosociologico.”

Le 4 distanze della prossemica •

distanza intima: da 0 a 45 cm circa. A questa distanza possono accedere solamente coloro con i quali le persone hanno stabilito un rapporto di grande fiducia, altrimenti chiunque vi acceda senza il consenso viene percepito come aggressore. La distanza intima è caratteristica dei rapporti stretti, dove è presente intimità, come tra partner, tra madre e figlio, ecc. Essi sono talmente tanto vicini da potersi perfino toccare e odorare attraverso l’apparato tattile e olfattivo.

distanza sociale: da 120 a 360 cm circa. La distanza sociale è riservata a relazioni formali e impersonali. In essa non si parla della propria vita privata, non ci si confida, ma si affrontano le questioni di lavoro, si offre consulenza, si negozia, si contratta. A questa distanza non è possibile avere il contatto fisico con l’altro, per questo motivo i sensi che vengono utilizzati sono soltanto la vista e l’udito.

distanza personale: da 45 a 120 cm circa. Questo spazio viene frequentemente occupato da coloro che hanno con le persone relazioni sociali caratterizzate da familiarità. Nella zona personale possono tranquillamente accedere tutte quelle persone come familiari, amici, colleghi, che non hanno un rapporto intimo, ma con le quali quotidianamente si comunica con piacere e affabilità. A questa distanza ci si trova abbastanza vicini agli altri, tanto da potersi toccare ma non da attivare pienamente l’olfatto e il tatto. I sensi maggiormente sollecitati sono l’udito e la vista.

distanza pubblica: da 360 cm in poi. Questo spazio è generalmente utilizzato nelle situazioni pubbliche come l’insegnante che spiega alla classe, oppure l’oratore che parla ad un convegno. Chi comunica nella zona pubblica non intende stabilire con ogni partecipante un rapporto di coinvolgimento e se un certo coinvolgimento viene a crearsi è più che altro con l’insieme delle persone. La distanza è tale che l’apparato che più di ogni altro viene utilizzato è il visivo e solo in parte, ossia se è presente un’amplificazione, l’apparato uditivo.

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133 distanza pubblica

distanza sociale

distanza personale

distanza intima

Le 4 distanze della prossemica


6.1 Prossemica e culture

Le culture nord-mediterranee ritengono che la sfera dell’intimità sia data dalla distanza di un braccio teso: che si avvicina di più invade il campo dell’altro, mettendolo a disagio e dandogli la sensazione di essere aggredito (se poi questa invasione si unisce ad un accentuato movimento delle mani ed un tono di voce alto, tipici delle culture Mediterranee, la sensazione di un nordeuropeo di essere aggredito si trasforma in certezza e genera una reazione). Ma nel Mediterraneo arabo spesso chi parla tocca l’interlocutore sul petto o sul braccio. Al capo opposto troviamo gli europei non mediterranei e gli americani che richiedono che ciascuna distanza sia rispettata, per cui i due interlocutori restano lontani quanto un doppio braccio. Quanto al contatto laterale vigono svariate regole: molti mediterranei si

prendono a braccetto anche tra uomini, cosa esclusa nel nord Italia e nel resto d’Europa. Anche nelle zone rurali dell’Oriente sopravvive l’abitudine di prendersi per mano tra persone dello stesso sesso, ma in Giappone il prendersi a braccetto ha una connotazione sessuale, così come il camminare molto vicini, a contatto di spalla, anche se la ragazza sta qualche centimetro avanti. In Italia, e non solo, è comunissimo salutarsi con una stretta di mano e addirittura accostando le guance per scambiarsi dei baci amichevoli. In Svizzera, ma anche in Francia ed in Russia il saluto prevede addirittura tre baci. Questo tipo di saluto che prevede un contatto fisico è del tutto escluso in Paesi come il Giappone o l’India.


6.2 La prossemica nel 2020

Con l’arrivo del Covid-19 il governo, per contrastare la diffusione del contagio, ha emanato le cosiddette “misure di distanziamento sociale”. Queste misure, che possono sembrare banali per anglosassoni o asiatici, forse lo sono un po’ meno per noi popoli latini e hanno inevitabilmente portato a riflettere sulla prossemica e su come questo linguaggio non verbale sia di fondamentale importanza nella comunicazione e forse ora più che mai ce ne stiamo rendendo conto. Questo fenomeno, poichè virus e prossemica sono in “stretto contatto”, ha portato a numerose modifiche non solo nelle relazioni ma anche nella gestione degli spazi, dai sedili limitati dei mezzi pubblici ai percorsi ridisegnati nei negozi.

I nuovi protocolli spingono il presidente tanzaniano John Magufuli a salutare il capo dell’opposizione Maalim Seif Hamad accostando i piedi, lo scat to diventa virale.

Burger King e la sua soluzione al distanziamento tra i consumatori sfrut tando il simbolo del marchio: la corona.

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“Culture hides more than it reveals, and strangely enough what it hides, it hides most effectively from its own participants.� 137

Edward T. Hall


7

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C A R AT T E R I T I P O G R A F I C I

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7.0 Introduzione La tipografia è il sistema di disposizione di lettere, parole e testo, uno strumento indispensabile per un’efficace comunicazione. Nel design, la tipografia è la manifestazione visuale della lingua, di cui utilizza tutte le qualità espressive e pratiche, e si colloca a metà strada tra scienza, arte e comunicazione. Riguarda inoltre l’aspetto funzionale del carattere usato ai fini della leggibilità e della comunicazione del messaggio mentre la tipografia espressiva e le lettere disegnate a mano sono una forma d’arte calligrafica a pieno titolo.

Maiuscolo

Altezza della maiuscola

Linea di base

Linea delle discendenti

Orecchio

Abcdefghijkxyz Occhiello

Minuscolo

Linea delle ascendenti

Tratto orizzontale

La comune terminologia dei caratteri tipografici comprende la misura della “x” (occhio), gli occhielli (spazi chiusi), lo stile delle grazie e l’asse della lettera (verticale/obliquo). La capacità di confrontare questi aspetti tra diversi caratteri tipografici rende in grado di scegliere un font piuttosto che un altro. La conoscenza dell’anatomia del carattere e dei segni distintivi, di come un carattere si colloca rispetto ai sistemi di classificazione (carattere romano antico, transizionale, romano moderno, con o senza grazie) aiuta il designer ad individuare e scegliere il carattere giusto ad ogni scopo.

Gamba

Occhiello

Tratto ascendente

Tratto discendente

Barra

Occhiello

Grazia

Collo

Raccordo Anello

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Terminazione

Becco

Occhio del carattere


o o

L’anatomia delle lettere comprende oltre 25 tratti distintivi ed ogni singola parte di una lettera possiede il proprio nome. I diversi assi, ovvero gli angoli definiti dalle variazioni di spessore del tratto curvo, sono un’informazione utile per collocare i caratteri tipografici all’interno dei sistemi di classificazione e associarli ad un determinato periodo storico.

L’asse obliquo è tipico del carattere romano antico.

L’asse semiobliquo è tipico del carattere transizionale.

L’asse verticale è tipico del carattere romano moderno e lineare.

L’ o c c h i o Occhio piccolo

Occhio ampio

Nei caratteri con occhio piccolo, come Caslon e Futura, c’è più spazio bianco sopra e sotto le lettere minuscole. Questi caratteri sono più facili da leggere perchè l’occhio del lettore può spaziare avanti e indietro lungo le righe senza particolare fatica. In questo caso si può usare un’interlinea aggiuntiva quando si sceglie una dimensione maggiore del font.

Nei caratteri con occhio ampio, come Bookman e Helvetica, la mancanza di spazio bianco sopra e sotto le lettere minuscole e l’abbondanza di spazi bianchi tra le lettere richiedono un’interlinea maggiore. Aumentando l’interlinea si rende il testo più leggibile e il “colore” (ovvero la densità del carattere) meno pesante.

Caratteri della stessa misura sembrano diversi Helvetica

PingFang

Source Serif Variable

perchè hanno occhi di varie dimensioni Bodoni 72 OldStyle

Cochin

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Futura


7.1

I caratteri

Classificare un carattere per categorie non è semplice a causa delle molte incompatibilità. Una distinzione possibile è tra caratteri per la composizione di testi e caratteri di fantasia ma ci sono anche caratteri che funzionano in entrambe le situazioni.

C A R AT T E R I P E R L A C O M P O S I Z I O N E D I T E S T I : romani antichi, transizionali e moderni. I caratteri da testo sono concepiti per una lettura scorrevole con interruzioni rare o del tutto assenti. •

Caratteri romani antichi con grazie: sono caratteri come Bembo, Garamond e Caslon. Sono considerati font “classici” poichè sono validi e molto utilizzati ancora oggi. Questi font romani sono usati fin dalle origini della stampa nel IX secolo. Negli anni ‘30 del Novecento furono introdotti molti nuovi caratteri con grazie che si adattassero al nuovo sistema Monotype di composizione a caldo (fusione con il piombo); anche molti dei caratteri classici furono rivisti per lo stesso motivo. Il font Times New Roman e l’Imprint sono esempi di caratteri graziati del XX secolo. In seguito, i disegnatori tedeschi di caratteri Herrmann Zapf e Jan Tschichold aggiunsero a questo gruppo rispettivamente il Palatino e il Sabon. Caratteri romani contemporanei come Minion e Swift sono stati disegnati in ambiente digitale.

Caratteri romani transizionali: hanno un asse verticale, grazie nette e raccordate, un medio o forte contrasto tra tratti fini e tratti spessi. Baskerville e Century Schoolbook ne sono un esempio. Le loro caratteristiche denotano un allontanamento rispetto al gruppo degli antichi, il quale è influenzato dalla calligrafia, per un maggior orientamento verso caratteri più moderni, ispirati più alla geometria che al tratto a penna.

Caratteri romani moderni: anche questi caratteri presentano un asse verticale, ma anche un netto contrasto tra tratti fini e spessi, grazie orizzontali, larghezza ridotta (quasi sempre). Bodoni è uno dei primi esempi e tra i più noti, ma anche Walbum è una versione più contemporanea di un carattere “moderno”.

ABCdef ABCdef Big Caslon (antichi con grazie)

ABCdef

Baskerville (transizionanali)

Palatino (antichi con grazie)

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ABCdef

Bodoni (moderni con grazie)


C A R AT T E R I D I FA N TA S I A I grandi cambiamenti sociali del XIX secolo sono all’origine della nascita di questi caratteri. In Inghilterra, la Rivoluzione industriale portò le masse a spostarsi dalle campagne alle città determinando un aumento della produzione e del consumo di beni e servizi, che a sua volta innescò l’esigenza di comunicare ad un pubblico sempre più ampio. I font esistenti erano usati principalmente per i libri, rivolti a una limitata tipologia di consumatori. Gli stampatori trovarono la gamma di font esistenti inadeguata per i tabelloni pubblicitari, i manifesti e gli opuscoli da produrre, soprattutto perchè erano molti i messaggi esposti pubblicamente ed erano in competizione tra loro per attrarre l’attenzione. Servivano caratteri più forti e più marcati per questo nuovo contesto e per soddisfare la nuova domanda. Il carattere lineare era più marcato e più “industriale” nell’aspetto, come del resto gli egiziani e i romani moderni in grassetto conosciuti come Fat Face.

C A R AT T E R I L I N E A R I E D I S C R I T T U R A Il XX secolo vide uno sviluppo massicio del sans serif ad opera della Bauhaus negli anni ‘20 e ‘30. La filosofia di questa scuola era di fare tabula rasa delle forme tradizionali caratterizzate da eccessivi ornamenti, secondo il principio per cui la forma deve corrispondere alla funzione. Semplici strutture tipografiche richiedevano font puliti e funzionali, da qui l’interesse per il sans serif e per le sue forme a tratto uniforme. Il Futura fu introdotto nel 1927 e due anni dopo fu la volta del Gill Sans. Negli anni successivi il sans serif si confermò lo stile più popolare, grazie a noti font come Helvetica e Optima in Europa, Franklin Gothic e Avant Garde negli Stati Uniti.

L a ri v i s ta Emigre è s ta ta p u b b licat a t ra il 1 9 8 4 e il 2 0 0 5 . É st ato u n o d e i p r im i e s e mp i d i fond e ri a d i g i t ale e u n a d e lle p r im e p u b b licaz io n i a r ico n o sc e re l’ im pa t to d e l p e rs ona l comp u t e r su lla d isc ip lin a d e l grap h ic d e sign e r .

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UNIVERS Disegnato da Adrian Frutiger nel 1954, l’Univers è un sistema modulare che comprende 44 caratteri numerati di vario peso, larghezza e con versioni corsive. Questa flessibilità rende il font ideale per includere in un progetto diversi livelli d’informazione.

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“... I just hated Helvetica” Paula Scher

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8

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AMBIGUE

PERCEZIONI

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8.2 Illusioni ottiche

8.1 La percezione visiva

La percezione visiva è un processo che ha origine dallo stimolo luminoso sul sistema visivi che attiva il sistema nervoso centrale e viene decodificato dal cervello. Del processo della percezione visiva fanno parte il riconoscimento della presenza di qualcosa, l’identificazione dell’oggetto, la localizzazione nello spazio (se l’oggetto è vicino o lontano), la relazione con altri oggetti/persone o ambiente, l’identificazione del movimento e colore, forma e luminosità. Nello sviluppo delle capacità cognitive, a partire dalla primissima infanzia, il processo di percezione visiva ha un ruolo essenziale nella conoscenza del mondo circostante e richiede il collegamento con altri stimoli sensoriali (tatto, olfatto, udito) oltre che visuomotorie (a partire dal coordinamento occhio-mano).

La visione di ciò che ci circonda è data dalla luce riflessa dagli oggetti che entra nei nostri occhi e, dopo aver attraversato il cristallino, forma sulla retina un’immagine capovolta e rimpicciolita (vedi la pagina di scienze dove si parla della fisiologia dell’occhio umano). Questa immagine viene inviata dai nervi ottici al cervello che ci permette la visione dell’oggetto stesso. A volte, però, tutto questo meccanismo ci mostra una strana realtà: oggetti che non possono esistere realmente, facce che nascondono altre figure, curve che sembrano rette, disegni curiosi, forme che scompaiono, luci che appaiono. Sono le cosiddette illusioni ottiche. Le illusioni ottiche consistono in fenomeni per cui le sensazioni visive generano, in determinate circostanze, delle false interpretazioni delle dimensioni, forme o colori di particolari figure e oggetti.

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Le figure ambigue Questo fenomeno è l’inversione del rapporto tra la figura e lo sfondo. Le linee che definiscono i margini di certe figure possono dare origine a due immagini o a due sagome diverse. Per la nostra mente è difficile percepire simultaneamente due immagini significative. Per percepire dunque le due possibili “soluzioni percettive”, si dovrà invertire alternativamente ciò che è visto come “figura” con ciò che è visto come “sfondo”.

Illusioni geometriche Sono illusioni dovute alla percezione errata della geomtria dell’immagine o parte di essa. Linee parallele vengono ad esempio percepite come divergenti, convergenti o curve.

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Illusioni prospettiche Sono dovute alla tendenza del cervello a stimare una dimensione basandosi su effetti prospettici o sul confronto con oggetti vicini. Lo psicologo che per primo ha ideato questi curiosi esperimenti è stato l’americano Albert Ames. Egli ha modificato gli elementi di una stanza normale, “distorcendoli” per quel tanto che non impedissero, a chi la osservasse da un foro, di percepire un ambiente perfettamente rettangolare, con le pareti parallele e il pavimento orizzontale. La distorsione può riguardare le pareti di questa strana stanza ma anche le finestre e le porte, costruite a forma di trapezio invece che a forma rettangolare. In questo modo l’immagine che si forma sulla retina è quella di una “normale” stanza rettangolare. Proprio come una grande varietà di oggetti dà una stessa immagine retinica a seconda del loro orientamento nello spazio, così si possono costruire varie “camere distorte” che, se osservate dalla giusta posizione, danno immagini retiniche assolutamente uguali a quelle delle stanze normali. Secondo il suo principio, ciò che viene collocato nell’angolo più lontano appare molto più piccolo di quanto ci si aspetterebbe dalla distanza reale, mentre ciò che viene posto nell’angolo più vicino appare in proporzione gigantesco.

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A

B

L’illusione della freccia Una delle illusioni ottiche più note, l’illusione della freccia o effetto Muller-Lyer (dal nome dello psicologo che si dedicò a questi studi) è rappresentata nella figura 1. In essa i due segmenti (AB e A’B’) di uguale lunghezza ma delimitati in modo diverso da frecce, risultano l’uno più corto dell’altro. Questa illusione ottico-geometrica ha dato a sua volta vita ad altre varianti ad essa strettamente collegate. In figura 2 possiamo vedere infatti una freccia, con la punta alla sua estremità (A) e la cocca alla sua estremità opposta (C). Il punto B è collocato esattamente a metà del segmento AC, ma percepiamo la metà AB più corta di quella BC, per cui il segmento AC non risulta diviso a metà. La distorsione che subisce la nostra percezione dipende dunque dall’aggiunta delle linee ausiliarie.

B’

A’

fig.1

A

B

C

fig.2

L’illusione del ventaglio Nota come illusione del ventagli o figura di Oribson (immagine 3) si basa sul fatto che il quadrato e la circonferenza neri sembrano “deformarsi”. La distorsione è provocata dalla disposizione a raggiera delle linee che investono due figure geometriche e che richiamano alla mente le forme di un ventaglio. Possiamo considerarli casi di “rottura della forma”.

fig.3

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Illusioni cromatiche

Illusioni di quantitĂ

Si tratta di effetti ottici legati alla percezione dei colori e dei contrasti. Determinati accostamenti cromatici ci inducono a giudicare di colore o luminositĂ differente due aree identiche.

Queste illusioni sono create dall’accostamento di due elementi della stessa dimensione che ne produce la sensazione di differenza delle grandezze.

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Movimenti illusori Questi effetti hanno una spiegazione neurale, nella quale hanno un ruolo fondamentale i processi di eccitazione e inibizione reciproca fra strati cellulari della retina e della corteccia cerebrale. Prendendo la figura 4, un cerchio a raggiera, se fissata per almeno 5 minuti mentre ruota su se stessa (ritagliandola e posizionandola su un bastoncino) e successivamente viene fissato il centro della figura geometrica a destra (figura 5), avremo la sensazione che quest’ultima ruoti in senso contrario anche se ferma. Questo effetto è noto anche come “effetto consecutivo negativo”, dove il termine “negativo” indica il movimento illusorio che si svolge in senso opposto a quello reale. Sono effetti che possono riguardare anche la variazione di colore.

fig.4

fig.5

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Figure fantasma Secondo questo tipo di illusione tendiamo a vedere un’immagine data dalla mancanza di altri elementi grafici. Questa resistenza del sistema percettivo è uno dei fenomeni che ci fa capire come la nostra mente crea o costruisce le immagini. La percezione è il prodotto finale di una serie di attività di ricezione, elaborazione e trasformazione dei messaggi sensoriali in entrata.

L’esperienza passata Il modo in cui percepiamo gli oggetti è buona parte condizionato dall’esperienza passata, ovvero tutte le volte in cui abbiamo ripetuto la stessa esperienza percettiva. Prendendo come esempio la figura 6, le prime forme sembrano un indistinto mucchio di disegni disordinati, mentre nella seconda riusciamo a riconoscere la sillaba “TI”. Un oggetto dunque, ha un suo significato perchè tale lo individua la nostra percezione, ma questa dipende in gran parte dal nostro complesso di esperienza acquisita.

fig.6

154


9.3 Design e percezione

La sedia tagliata di Peter Bristol Possiamo trovare l’influenza delle illusioni percettive nella “sedia tagliata” di Peter Bristol. Si tratta di una sedia che appare instabile, incompleta, tagliata appunto, mentre in realtà è ancorata ad un supporto metallico celato da un tappeto. Vista da una certa angolazione la sedia sembra tagliata in modo netto e preciso. Il colore rosso delle parti tagliate ne enfatizzano il concetto.

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8.4 Prodotti grafici

Illusione ottica

Ef fet to cinetico

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Variazione della percezione di un oggetto per effetto di diversi disegni sulle super fici

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8 . 5 L’ o g g e t t o i m p o s s i b i l e

“Un oggetto impossibile è un oggetto che non può essere costruito nella realtà tridimensionale perché in contrasto con le leggi della geometria, sebbene sia possibile disegnarne una rappresentazione bidimensionale. La percezione dell’immagine bidimensionale come oggetto verosimile rappresenta un paradosso ed è per questo una illusione ottica di tipo cognitivo.”

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Il triangolo di Penrose

La scala di Penrose

Il cubo impossibile

Il triangolo di Penrose o triangolo impossibile è un oggetto impossibile, ovvero può esistere solamente come rappresentazione bidimensionale e non può essere costruito nello spazio, poiché presenta una sovrapposizione impossibile di linee parallele con differenti costruzioni prospettiche. Appare come un solido costituito da tre prismi a base quadrata uniti tra loro con tre angoli retti a formare un triangolo. L’ occhio percepisce inizialmente un triangolo in quanto è riuscito a ingannare il cervello ma, successivamente, si accorge che questa figura è impossibile. Lo stesso sistema vale per la cascata di Escher dove vengono infrante delle leggi gravitazionali, infatti l’ acqua è sullo stesso piano mentre le colonne la fanno sembrare su piani diversi. Ciò è ottenuto con l’ uso di due triangoli impossibili.

La scala di Penrose, anche nota come scala infinita o impossibile è un altro esempio di illusione ottica. Si tratta della rappresentazione bidimensionale di una rampa di scale che muta la propria direzione di 90 gradi quattro volte mentre la si sale o la si scende, per ritornare al punto di partenza in un giro infinito. Seppure realizzare un oggetto tridimensionale di questo genere non sia possibile, l’immagine di Penrose riesce a darne l’illusione falsificando la prospettiva. Il paradosso risulta evidente quando ci accorgiamo che effettivamente il gradino più basso della scala viene fatto coincidere visivamente con il più alto in modo da fornire un’impressione di discesa infinita.

Il cubo impossibile è un oggetto impossibile che rappresenta un cubo impossibile da costruirsi nello spazio. La raffigurazione degli spigoli come oggetti solidi rende certa la collocazione delle facce anteriore e posteriore ma i prismi che costituiscono gli spigoli laterali si intrecciano in modo impossibile per un oggetto tridimensionale. La costruzione di un modello che dia l’illusione di un cubo impossibile può essere ottenuta tagliando i prismi di una figura cubica reale in modo che si intravedano gli spigoli posti dietro come se passassero anteriormente.

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L’oggetto impossibile realizzato consiste nella visione di una sedia completa mentre in realtà si tratta di due pezzi separati: le gambe e la seduta con lo schienale, di dimensioni maggiori. Posti ad una certa distanza l’uno dall’altro e con una determinata angolazione, è possibile vedere l’oggetto come unico. L’effetto ottico si accentua quando vengono posizionati due oggetti di uguali dimensioni sopra e vicino alla sedia, risultando di dimensioni diverse.

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Documentazione dell’oggetto

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ERRORI DI P R O G E T TA Z I O N E

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Il primo errore di progettazione è stato individuato nell’anta di una madia. L’apertura è verso l’esterno con le cerniere poste in basso sul lato lungo. In questo modo, una volta aperta, l’anta costituirà un ostacolo per raggiungere gli oggetti più lontani. Si tratta di una soluzione scomoda poichè una persona si deve abbassare e allungare, senza potersi appoggiare sull’anta aperta e dovendo prelevare oggetti anche pesanti. Profondità madia: 560 mm Altezza anta: 400 mm

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madia chiusa - vista laterale

madia aperta - vista laterale

400mm

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560mm


Una soluzione per questo errore di progettazione potrebbe essere un sistema di scorrimento per l’anta in modo da non rappresentare un impedimento e risparmiare spazio. Le due ante basse si troveranno dunque su due livelli diversi in modo da non scontrarsi.

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2 Il secondo errore di progettazione è stato individuato nella caraffa filtrante. La caraffa possiede superiormente un tappo ad incastro che quando viene utilizzata tende a staccarsi a causa del peso dell’acqua e della sua inclinazione. Per correggere questo errore di produzione si possono applicare diversi metodi di fissaggio simili a quelli dei tappi del packaging per la conservazione degli alimenti. Nel primo caso avremo dunque due alette ad incastro, poste simmetricamente sul lato lungo del tappo, mentre sul corpo della caraffa avremo le rispettive sporgenze per l’incastro. Nel secondo caso non avremo due elementi di fissaggio ma uno solo, posizionato sul manico. Questo elemento andrà a a tenere il tappo nella sua parte alta più vicina alla mano.

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soluzione 1

soluzione 2

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“Anyone who has never made a mistake has never tried anything new.� Albert Einstein

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ELEMENTI D I I N F O R M AT I C A

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10.1 I programmi

Immagini raster ed immagini vettoriali Il termine “raster” deriva dall’inglese griglia. La grafica raster è infatti caratterizzata dalla suddivisione dell’immagine in una griglia composta da punti detti pixel. Ciascun pixel contiene determinate informazioni di colore che nell’insieme rendono l’immagine complessiva. La risoluzione di un’immagine raster è data dunque dal numero di pixel per una determinata unità di misura, maggiore sarà il numero di pixel e maggiore sarà la risoluzione dell’immagine. Una grafica vettoriale invece si basa su forme geometriche (punti, linee, poligoni) per creare le immagini. La peculiarità delle immagini vettoriali è la possibilità di ingrandire notevolmente l’immagine senza mai perdere la risoluzione, poichè queste forme geometriche si basano su equazioni matematiche. Oltre alla risoluzione grafica, la differenze tra le due tipologie di immagini consiste nello spazio che occupano. Un’immagine vettoriale occupa meno spazio di un’immagine raster poichè le informazioni contenute sono inferiori. immagine raster

Illustrator Adobe Illustrator è un programma vettoriale usato per disegnare loghi e layout di pagina e consente la creazione di forme e la gestione dei testi. É possibile ridimensionare i dettagli senza perderne i dettagli. Consente quindi di ottenere un profilo nitido degli oggetti prodotti. Il lavoro può essere organizzato su diversi livelli usando trame, trasparenze ed elementi tipografici, per poi creare immagini finite da importare in programmi di impaginazione (come Adobe Indesign). Tra le funzioni più utilizzate troviamo il comando “penna”, il quale permette di creare linee vettoriali e punti modificabili, il comando “testo”, col quale è possibile creare loghi nitidi e soluzioni tipografiche, “rettangolo”, col quale è possibile creare forme personalizzate, “elaborazione tracciati”, il quale trasforma forme semplici in forme più complesse attraverso l’unione, la sovrapposizione e la sottrazione di elementi.

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immagine vettoriale


Indesign Adobe Indesign è un programma di impaginazione ideato per grafica editoriale, dunque riviste, libri, giornali, poster, brochure, cataloghi ecc. Nonostante anche Illustrator permetta le gestione dell’elemento testuale, Indesign permette di creare stili di testo e paragrafo, gestire in modo avanzato margini e colonne e progettare in modo più ordinato il testo. La funzione “pagina mastro” consente di creare un template di pagina da applicare ad ogni pagina o ad alcune. Non è adatto alla modificazione di immagini.

Photoshop Adobe Photoshop è un software per creare e modificare grafica non vettoriale, spesso utilizzato per immagini, montaggio di elementi e fotoritocco. Il maggior vantaggio di Photoshop risiede nel fatto che le immagini importate possono essere spostate, elaborate e disposte su vari livelli in un numero infinito di riquadri. Le funzioni principali sono lo “strumento selezione”, che seleziona un’area o traccia un confine, la “bacchetta magica”, lo “strumento penna”, “lazzo” e “pennello”.

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10.2 Esercitazioni

Per prendere dimestichezza con i programmi Adobe Illustrator e Indesign abbiamo svolto alcune esercitazioni. Come allenamento alla funzione “penna� di Illustrator abbiamo ricalcato dei loghi, in modo da comprendere la linea retta, curva e il campionamento del colore sia a campitura unita che sfumato. Per conoscere Indesign, ci siamo occupati della trascrizione di una pagina per comprendere come impostare le griglie, inserire i testi, regolare font e dimensioni, inserire immagini.

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10.3 Rendering vettoriale

Il rendering vettoriale è un processo in cui si riproduce, a partire da un’immagine raster, una “copia” vettoriale, facendo dunque corrispondere elementi geometrici (punti, linee, poligoni) e colori all’immagine di partenza. Si tratta di una tecnica realizzabile attraverso appositi software, uno fra questi, Adobe Illustrator. É necessario saper utilizzare le funzioni “penna”, lo strumento “contagocce” ma soprattutto lo “strumento trama”, il quale crea gradazioni di colore in un oggetto vettoriale 2D.

re n d e r in g ve t to r iale

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im m agin e o r igin ale


Rendering vettoriale - carro armato

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1 0 . 4 L’ i n f o g r a f i c a

Secondo l’Oxford English Dictionary, un’infografica (o informazione grafica) è “una rappresentazione grafica di un’informazione o di un dato”. Tuttavia, il significato di un’infografica è qualcosa di molto più specifico. Un’infografica è una collezioni di immagini, grafici e testo essenziale che fornisce una panoramica di facile comprensione di un argomento. Può essere utile per spiegare un processo complesso, mostrare risultati di ricerca o di sondaggi, fornire una veloce anteprima di un argomento, confrontare opinioni o informare riguardo ad un problema o un’iniziativa. Storicamente, una delle prime forme di infografia è la cartografia, ovvero la tecnica relativa alla realizzazione delle carte geografiche e topografiche. Per come la intendiamo oggi però, possiamo dire che la prima infografica risale alla metà dell’800 e rappresenta la marcia di Napoleone (immagine a destra).

Alcuni esempi di infografiche

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L’infografica realizzata illustra la produzione del miele in Italia per tipologia e regione nella stagione produttiva del 2019. Per la realizzazione è stata fatta una ricerca per poi confrontare i dati e riportarli graficamente. Le linee che collegano le tipologie di miele e le regioni di produzioni variano nel colore, a seconda appunto della tipologia, e nello spessore, sulla base del quantitativo totale (da 0 a 25 kg/alveare utilizzando toni caldi progressivamente più scuri). Fonti: https://www.informamiele.it, Osservatorio Nazionale Miele

Prima realizzazione Questo esempio di infografica risulta scorretto in quanto riporta i dati senza una mediazione grafica ma utilizzando solo grafici a torta e istogrammi. É stata inoltre effettuata una variazione ed una riduzione dei contenuti (nella prima viene esposto il fenomeno dello spopolamento degli alveari in Europa e le sue conseguenze).

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P R O D U Z I O N E M I E L E I N I TA L I A S TA G I O N E 2 0 1 9 stima della produzione media regionale in kg/alveare 25

183 * regione non vocata; fonte: Osser vatorio Nazionale Miele


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“I’m as proud of many of the things we haven’t done as the things we have done. Innovation is saying no to a thousand things.” Steve Jobs

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DAL PIANO AL VOLUME TA G L I A E P I E G A

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11.1 Esercizio iniziale

Una fonte autorevole e di influenza per il tema della “piega” è sicuramente il pensiero del designer, artista e scrittore Bruno Munari, nel cui lavoro ha riservato al concetto di piega un ruolo significativo. La teoria del piegare è divenuta in Munari un estendere l’arte e la tecnica dell’origami al mondo del product design. Egli dimostrò come utilizzare la piega spingendosi oltre i confini che ci si può porre, in un’economia di gesti e di materiale che da’ luce a risultati sorprendenti. È con questo principio che, ad esempio, una semplice barra metallica per Munari può diventare il portacandele Panarea. Un’altra fonte d’ispirazione è quella derivante dall’arte dell’origami: essa è una forma artistica di origini nipponiche dai profondi significati simbolici che affondano le sue radici nei tratti più particolari della cultura. Il termine deriva dal giapponese, ori “piegare” e kami “carta”, e delinea questa forma d’arte che viene elaborata con il solo mezzo di un foglio di carta che, piegato più volte su se stesso, prende forma mutando la materia per creare forme che ricordano la natura, gli animali o oggetti d’uso comune.

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Partendo da cartoncini bianchi di forma quadrata con dimensioni di 10X10 squadrati a 1 cm realizzare due delle esercitazioni proposte a lezione con almeno due varianti mostrate e due inventate. Modelli selezionati: “Basic 2” e “Basic 5”

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Esercitazione 1 - varianti mostrate:

taglio piega

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Esercitazione 1 - varianti inventate:

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Esercitazione 2 - varianti mostrate:

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Esercitazione 2 - varianti inventate:

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11.2 le simmetrie

Partendo da cartoncini bianchi di forma 20x20cm, attraverso un programmato processo di tagli e piegature, sono stati realizzati tre modelli tridimensionali secondo le seguenti simmetrie: • • •

simmetria traslatoria simmetria bilaterale doppio ribaltamento di uno dei semipiani.

I modelli sono stati documentati con ripresa digitale attraverso diversi punti di vista e diverse altezze di ripresa, variazioni di luce e colore, proiezione di textures, effetti di ambiguità percettiva e simulazione di altri materiali. Oltre alla documentazione digitale è presente la documentazione del passaggio dal piano al volume.

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simmetria traslatoria

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simmetria bilaterale

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doppio ribaltamento di uno dei semipiani

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11.3 le narrazioni

La terza esercitazione prevede la creazione di due modelli, attraverso la tecnica del kirigami, che rappresentino due “città ideali” su ispirazione del libro “Le città invisibili” di Italo Calvino. Documentazione dei modelli attraverso riprese fotografiche variando le luci e le textures.

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Ottavia

Le città sottili

nuvola vuoto

Se volete credermi, bene. Ora dirò come è fatta Ottavia, città–ragnatela. C’è un precipizio in mezzo a due montagne scoscese: la città è sul vuoto, legata alle due creste con funi e catene e passerelle. Si cammina sulle traversine di legno, attenti a non mettere il piede negli intervalli, o ci si aggrappa alle maglie di canapa. Sotto non c’è niente per centinaia e centinaia di metri: qualche nuvola scorre; s’ intravede piú in basso il fondo del burrone. Questa è la base della città: una rete che serve da passaggio e da sostegno. Tutto il resto, invece d’elevarsi sopra, sta appeso sotto: scale di corda, amache, case fatte a sacco, attaccapanni, terrazzi come navicelle, otri d’acqua, becchi del gas, girarrosti, cesti appesi a spaghi, montacarichi, docce, trapezi e anelli per i giochi, teleferiche, lampadari, vasi con piante dal fogliame pendulo. Sospesa sull’abisso, la vita degli abitanti d’Ottavia è meno incerta che in altre città. Sanno che piú di tanto la rete non regge.

sospesa

montagne 207


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Cloe

Le città e gli scambi

frecce

stelle

A Cloe, grande città, le persone che passano per le strade non si conoscono. Al vedersi immaginano mille cose uno dell’altro, gli incontri che potrebbero avvenire tra loro, le conversazioni, le sorprese, le carezze, i morsi. Ma nessuno saluta nessuno, gli sguardi s’incrociano per un secondo e poi si sfuggono, cercano altri sguardi, non si fermano. Passa una ragazza che fa girare un parasole appoggiato alla spalla, e anche un poco il tondo delle anche. Passa una donna nerovestita che dimostra tutti i suoi anni, con gli occhi inquieti sotto il velo e le labbra tremanti. Passa un gigante tatuato; un uomo giovane coi capelli bianchi; una nana; due gemelle vestite di corallo. Qualcosa corre tra loro, uno scambiarsi di sguardi come linee che collegano una figura all’altra e disegnano frecce, stelle, triangoli, finché tutte le combinazioni in un attimo sono esaurite, e altri personaggi entrano in scena: un cieco con un ghepardo alla catena, una cortigiana col ventaglio di piume di struzzo, un efebo, una donna-cannone. Così tra chi per caso si trova insieme a ripararsi dalla pioggia sotto il portico, o si accalca sotto il tendone del bazar, si consumano incontri, seduzioni, amplessi, orge, senza che ci si scambi una parola, senza che ci si sfiori con un dito, quasi senza alzare gli occhi. Una vibrazione lussuriosa muove continuamente Cloe, la più casta delle città. Se uomini e donne cominciassero a vivere i loro effimeri sogni, ogni fantasma diventerebbe una persona con cui cominciare una storia d’inseguimenti, di finzioni, di malintesi, d’urti, di oppressioni, e la giostra delle fantasie si fermerebbe.

triangoli

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“Le città, come i sogni, sono costruite di desideri e di paure.” Italo Calvino

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L A PA N C A

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12.0 Introduzione

In progettazione, il concept è una proposta progettuale necessaria a definire gli elementi fondamentali di un progetto e fornisce le basi per la realizzazione dello stesso. Rappresenta l'elaborato finale di un metaprogetto. All'interno di un concept il progettista espone le linee guida che accompagneranno la fase esecutiva; tali linee sono di massima e a seconda della qualità del concept stesso a fini progettuali, il prodotto finale può più o meno discostarsi

dalla prima proposta concettuale. All'interno di un percorso progettuale possono esserci più proposte concettuali che nel succedersi testimoniano i punti che il progettista ha seguito per arrivare alla fine del suo elaborato; si può quindi dire che un percorso progettuale è prevalentemente formato da una successione di concetti progettuali.

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“Normalmente l’artista progetta le sue opere usando tecniche classiche o comunque già sperimentate per cui non ha bisogno di un metodo di progettazione. Egli si esprime nelle tecniche che gli sono familiari con le quali, forzandole con particolari trucchi come gli effetti prospettici per la pittura, riesce a creare delle opere dense di concetti personali. Il designer invece, proprio perchè deve usare qualunque materia e qualunque tecnica, libero da preconcetti artistici, deve avere un metodo che gli consenta di realizzare il suo progetto con la materia giusta, le tecniche adatte e nella forma corrispondente alla funzione (compresa la funzione psicologica). Egli deve produrre un oggetto che non ha solo qualità estetiche ma dove ogni componente, compresa quella economica, sono considerate allo stesso livello.” da Design e comunicazione visiva, Bruno Munari. In questo estratto di Munari è condensato il metodo della progettazione da parte del designer in quanto processo ricco e complesso di elementi e considerazioni da fare per giungere ad un prototipo. L’immagine a fianco, tratta anch’essa dal medesimo libro, illustra un metodo di progettazione partendo dall’individuazione di aspetti e funzionalità che eventualmente possono essere corretti, integrati o modificati, constatare i limiti, che possono essere di varia natura, per poi ipotizzare delle soluzioni sempre più “pulite” fino ad arrivare all’oggetto finale.

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La progettazione della seduta in legno, protagonista di questo capitolo, è stata affrontata seguendo questa tipologia di ragionamento. In collaborazione col professor Antonio Abate, abbiamo innanzitutto analizzato la seduta domandandoci quali funzionalità potessero mancare o essere migliorate. Successivamente ci è stata fornita una direzione di progettazione che rientrasse nei seguenti parametri: • • • • • •

panca allungabile panca con elementi di rotazione panca pieghevole panca a più funzioni panca a più utilizzi panca per posture multiple.

Nelle prime bozze del progetto, nella pagina seguente, abbiamo due casi che sono stati eliminati poichè non conformi ad un richiesta dell’esercitazione: il prodotto deve essere montabile e smontabile dall’acquirente. Infine, la scelta finale della panca è ricaduta su una panca modulare, la quale rientra dunque nella panca allungabile per posture multiple. Inoltre, il materiale principale da utilizzare è il legno (aste o piani). A documentare l’oggetto, studi a mano delle varie proposte, disegni tecnici tra cui proiezioni ortogonali quotate e assonometrie, realizzazione del modello 3D e infine realizzazione del prototipo.

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12.1 Le proposte

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Questo modello si avvicina all’oggetto finale. Le modifiche apportate riguardano le gambe della seduta e il metodo di incastro. Non verrà dunque aggiunto un quinto elemento (il tavolo basso) a chiudere le quattro panche ma verranno utilizzati degli elementi di incastro posti superiormente. Inoltre non è prevista la giunzione dei pezzi linearmente, come riportato nella prima fotografia, ma solo se ruotati di 90°, utilizzando sempre l’apposito elemento d’unione.

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12.2 La proposta finale - bozze

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La proposta finale presenta dunque una panca modulare in legno multistrato nobilitato. Si tratta di 4 panche che possono essere assemblate secondo varie disposizioni. Possiamo avere la singola seduta “normale” con le gambe perpendicolari al suolo, oppure ruotare di 90° la panca (con le gambe parallele al suolo) ed incastrare i moduli. La scelta del multistrato è motivata dunque dal fatto che una gamba diverrebbe elemento di seduta mentre un legno massello con le venature tutte nella stessa direzione potrebbe risultare meno resistente col passare del tempo. L’idea è dunque quella di poter spostare i moduli a proprio piacimento utilizzando da 1 a 4 pezzi fino a poter formare un quadrato (ma anche altre figure, illustrate in seguito). Per quanto riguarda l’elemento di giunzione, è stato scelto un elemento esterno alla panca stessa e di diverso materiale (ottone), il quale unisce dall’alto i vari pezzi. Una scanalatura nella panca permetterà all’elemento in metallo di allinearsi al piano evitando di sporgere sulla seduta. Questo elemento è stato progettato per permettere un incastro anche nel caso del “quadrato

completo” ovvero nel caso dell’unione di tutti e 4 i pezzi in forma quadrata, altrimenti, con un incastro, ad esempio, a tenone, avendo sempre un elemento sporgente, non potremmo incastrare l’ultimo elemento della panca. Da considerare anche l’eventuale pesantezza dell’oggetto per cui sarebbe complicato alzare completamente i pezzi per un ipotetico incastro dall’alto. Al fine di incastrare questo elemento in metallo che unisce i pezzi modulari,(una specie di “U” capovolta), sono stati realizzati 4 fori nella gamba che una volta girata la panca si troverebbero superiormente. Nel caso in cui un lato non fosse unito ad un altro, per evitare di lasciare il foro scoperto, sono stati realizzati anche degli inserti, sempre in metallo, della stessa misura del foro al fine di coprirlo lasciando comunque la superficie liscia. Per poter invece togliere l’elemento di giunzione una volta infilato nei fori, è stata realizzata una sorta di “leva”. Basta fare pressione su un lato della parte superiore dell’elemento per farlo alzare in modo da poterlo afferrare ed estrarre dalla panca.

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Proiezioni ortogonali e quote (scala 1:10)

Le proiezioni ortogonali sono state realizzate ipotizzando la seduta già ruotata di 90°. Misure principali: 1300mm x 450mm x 450mm Spessore materiale: 80mm Scala: 1:10.

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Studio dell’elemento di giunzione e quote (scala 1:10)

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Esercito una pressione sul lato dell’elemento superiore che ruoterà su un perno.

L’elemento si alza in modo da poterlo afferrare ed estrarre dalle panche assemblate.

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Modello 3D dell’elemento di giunzione (materiale: ottone)

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Rappresentazione di due panche assemblate

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proiezioni ortogonali

modello 3D

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L’ e s p l o s o e i l m o n t a g g i o .

Il montaggio avviene tramite il fissaggio dei tre elementi principali. Vengono utilizzate 4 viti (con bussola) che percorrono il lato lungo del piano in lengo.

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Possibili disposizioni con i 4 pezzi (dall’alto) : Unità singola “normale” e ruotata (un pezzo)

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disposizioni con due pezzi

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disposizioni con tre pezzi

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disposizioni con quat tro pezzi

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READY MADE

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13.0 Introduzione

“Oggetto di uso comune, prefabbricato, scelto da un artista che, senza usare su di esso alcun intervento di carattere estetico, ne determina il valore con l’atto mentale di percepirlo come opera d’arte.” I ready-made, dice Octavio Paz, letterato messicano, sono “segni di interrogazione”. Ponendosi essi stessi come interrogativi, invitandoci alla discussione, mostrano come nessuna opera d’arte possa considerarsi un processo creativo compiuto. Lo spettatore, il fruitore, lasciandosi interrogare da ciò che gli si presenta allo sguardo, risponde facendo emergere di volta in volta il senso dell’opera senza tuttavia poterlo mai esaurire. Così nel contesto di derisione e riscrittura del concetto di arte convenzionale tipico del movimento Dada dell’inizio del XX secolo, si inquadrano Marcel Duchamp e il ready made: oggetti pronti, “confezionati”, estrapolati dal loro contesto e resi opera d’arte tramite la semplice selezione degli stessi da parte dell’artista. La prima opera ready-made nasce prima ancora del movimento dadaista, nel 1913: la Ruota della bicicletta. Sebbene non si tratti di un’opera ready-made pura, in quanto la ruota è stata manipolata e infilata dentro a uno sgabello, sancisce la nascita del concetto artistico. La prima opera ready-made pura è invece lo Scolabottiglie (1914). Nella dissacrazione dell’arte il ready-made nasconde in realtà una filosofia più profonda: nega l’arte in quanto attività manuale in favore di una nuova identità per l’opera. Essa può essere qualsiasi cosa, un oggetto di uso

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quotidiano, anche usato o danneggiato, in quanto ciò che rende un artista

re “già pronte” di Duchamp, come Fontana (1917) realizzata con un orinato-

tale non è l’abilità di manipolare la materia, ma la sua capacità di creare

io. Fontana è stata definita l’opera più influente del XX secolo, prima opera

nuovi significati. La grandezza di Marcel Duchamp sta nell’aver spostato la

d’arte concettuale con la quale il suo autore sancì una nuova epoca, fatta di

concezione di arte dal piano fisico a quello intellettuale: il genio artistico non

oggetti comuni che abbandonano il loro uso pratico per acquisire nuovi signi-

è nella mano ma nell’ingegno. La forza del legame tra questo nuovo concetto

ficati e divenire opere d’arte. Tra gli appunti dello stesso Duchamp, possiamo

di arte e il dadadismo è dimostata dall’entusiasmo con cui fu accolta dagli

leggere “l’artista non è il solo a compiere l’atto della creazione, perché lo

artisti del movimento, quali Man Ray e Francis Picabia, che ne diedero un’in-

spettatore stabilisce il contatto dell’opera con il mondo esterno decifrando e

terpretazione più personale fondendolo con la pittura. Il ready-made diviene

interpretando le sue profonde qualificazioni e così aggiunge il proprio contri-

il metodo di sconvolgimento e derisione dell’arte tradizionale preferito dai

buto al processo creativo”.

dadaisti, in particolare dopo la polemica suscitata dalla più celebre delle ope-

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13.1 La progettazione

L’oggetto ready-made proposto è una lampada da tavolo. Gli elementi che la compongono sono prettamente di riciclo. Il corpo è formato da una bottiglia di plastica mentre il paralume è costituito da un porta-uovo di Pasqua. I pezzi sono congiunti tra loro tramite dei pezzi di tubi di metallo.

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La bottiglia è stata tagliata a metĂ per poter inserire il tubo di metallo attraverso cui passa il filo (riciclato da una vecchia lampada). Attraverso l’apertura della bottiglia sono stati inoltre inseriti dei sassolini che mantengono saldo il corpo della lampada, ma è stata pensata anche per potervi inserire altri oggetti a piacere, come ad esempio tappi di sughero, conchiglie, biglie o piccole piante grasse (utilizzando in ogni caso un peso sul fondo per mantenerne la stabilitĂ ). Il tappo e il fondo sono stati forati per farvi passare il tubo di metallo.

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1 3 . 2 L’ o g g e t t o

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“Creatività.Tutto ciò che prima non c’era ma realizzabile in modo essenziale e globale.” Bruno Munari

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Bibliografia e sitografia

Sitografia http://filosofia.dipafilo.unimi.it/itinera/mat/saggi/toppif_duchamp.pdf https://creactivitywebstudio.it/guide-grafica/tutto-sui-loghi/ https://www.dmep.it/pubblicita/cose-limmagine-coordinata https://www.lacomunicazione.it/voce/impaginazione/ https://www.informamiele.it/ https://www. http://www.treccani.it/ https://manualefaidate.com/design/otl-aicher/it/564 https://www.insidemarketing.it/glossario/definizione/logo/

Bibliografia Giocare con le immagini, Franco Agostini Appunti di Basic Design (Le fondamenta del Basic Design/Gli strumenti del Basic Design), Francesco Fumelli Design e comunicazione visiva, Bruno Munari

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