Web Magazine di Arte e Cultura Marziale - Numero 1 - Luglio 2015
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Re
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Partner Herbalife: Francesco Testa tributore Indipendente
esponsabile MAA INT: Vito Poderico sigliere Internazionale
ANNO I - NUMERO 1 Bimestrale - Gennaio 2012 Web Magazine di Arte e Cultura Marziale Editore Martial Arts Alliance International Direttore Editoriale Francesco Malvano capo redattore Massimo Curti Giardina redattorI NAZIONALI Flavia Tocchi Luca Raucci Cristiano Curti Giardina Claudio Comotto Vito Poderico Giuseppe Pace redattorI REGIONALI Basilicata Roberto Giano Campania Tobia Varchetta Emilia-Romagna Bruno Angarano Friuli-Venezia Giulia Massimo Gitto Lazio Paolo Falcioni Liguria Fabio Forte Piemonte Vincenzo Volpino Puglia Coriolano Nino Siena Sicilia Goacoma Maggio Toscana Rosario Castronovo Umbria Claudio Bonifazi Veneto Tiziana Urciuolo hanno collaborato a questo numero Maurizio Di Benedetto, Costantino Valente Redazione Via Epomeo 523 - 80126 Napoli cell:. (+39) 333/1432283 mail: maamagazine2.0@gmail.com
Editoriale
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’estate è alle porte. Molti dojo, nelle ultime settimane, si sono animati per esami gli fine corso, le cerimonie dei passaggi di cintura, le cene sociali e tutti quei piccoli e grandi eventi tanto importanti per cementare il gruppo, integrare gli ultimi arrivati nella classe e gettare le basi per ripartire dopo uno o due mesi di riposo. Questo periodo invita a riflettere: le esperienze maturate in un anno di vita e di tatami lasciano sempre, in misura minore o maggiore, la loro traccia. Personalmente, in un anno caratterizzato da tanti cambiamenti, mi sono ritrovato a riflettere sul concetto di cambiamento in sé. Tutti sono alla ricerca di una propria personale stabilità: per alcuni questo si traduce in una famiglia, per altri in una certa posizione lavorativa… anche chi sceglie una vita del tutto avventurosa e priva di vincoli fa di tutto perché la sua esistenza rimanga tale. Siamo tutti alla ricerca di qualcosa: che si tratti di un obiettivo da raggiungere o da mantenere, ci impegniamo, ognuno a suo modo, a perpetuare questo continuo movimento, forse per evitare una delle più grandi paure del nostro tempo: quella di ritrovarsi senza uno scopo. Tale ricerca, che ci mantiene vivi e attivi, può però avere dei risvolti negativi: in primo luogo, rischiamo che la ricerca di uno scopo diventi lo scopo stesso, rischiamo di perderci nelle pieghe di un movimento, per quanto vibrante e bello, senza scopo. Il rischio più grande, però, è un altro: quello di cristallizzarsi intorno a ciò che riusciamo ad ottenere (che sia il primo traguardo o il frutto di anni di ricerche) con la cieca convinzione di essere, infine, arrivati. Entrambe le situazioni sono ugualmente pericolose: la prima rischia di privarci di un obiettivo, la seconda, e forse ciò è ancora più spaventoso, esautora il senso della ricerca stessa. Sembra di trovarci ad un punto morto: continuare a girare a vuoto, rischiando di non arrivare a nulla, o fermarsi quando decidiamo arbitrariamente di aver raggiunto un traguardo, precludendoci così la scoperta di cosa ci sia più in là? Forse esiste una terza strada: invece di affannarci nel rincorrere i successi e gli insuccessi della vita, nella utopistica convinzione di poterli davvero imbrigliare per sempre, dovremmo concentrarci sull’infinità di momenti che trascorriamo distratti dal pensiero fisso del conseguimento dei nostri obiettivi. Le arti marziali ci abituano a ragionare sul lungo periodo: tra un tgrado e l’altro non passa solamente un certo divario tecnico ma anche, e soprattutto, una profonda maturazione interiore, che accresce ogni singola volta che saliamo sul tatami. Ogni kata, ogni singola tecnica richiede una vita intera di pratica, e ogni volta che ci si sofferma ad esaminarla, potrà ancora svelare quel piccolo particolare pronto a spianare la strada a mesi, forse anni di studio.
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In questo risiede l’ineffabile bellezza dele nostre discipline: puoi prendere due praticanti, del medesimo livello di esperienza nel medesimo stile della medesima arte…
Mizu no kokoro Lo spirito come l’acqua
e questi mostreranno sempre, specialmente ad alti livelli, diverse peculiarità, che a volte potranno sembrare antitetiche, ma che saranno sempre riconducibili alla medesima matrice comune. Questo dualismo rende le arti tradizionali un perfetto specchio dell’intera esistenza, con tutte le grandi e piccole differenze che caratterizzano gli esponenti del genere umano, che però non fanno altro che riportarci alla medesima razza, alla medesima specie, alla medesima famiglia. In fin dei conti, tutte le arti marziali rappresentano la medesima risposta al medesimo bisogno, quello di confrontarsi con le asperità dell’esistenza. Una risposta declinata magari in maniera differente da luogo a luogo, certo, ma comunque la medesima risposta. Posseidamo di un potente strumento per la ricerca di noi stessi: le esperienze marziali ci riportano al nostro io più profondo, ciinvitano ad adattarci alle difficoltà della vita, esaltando, e non sminuendo, le nostre peculiari capacità. “Mizu no kokoro”: lo spirito come l’acqua, che per quanto se versata in una tazza, una bottiglia o una teiera neassuma la forma, non perde mai la sua essenza. L’acqua, nel suo fluire, non ha la pretesa di trattenere nulla con se: semplicemente, ciò che risulta utile allo scopo viene trascinato da suo movimento, fino a che non si incaglia in qualche secca, rilevando nfine quanto non fosse così indispensabile, o si discioglie completamente in essa, diventando parte integrante della sua essenza. le arti marziali ci insegnano che il nostro Io è in costante divenire: invece che sforzarci di modificarlo, dovremmo lasciarlo scorrere attraverso le esperienze della vita, avendo cura di preservarne intatta la più intima essenza. Ciò che ci accompagna pe un po’ e poi ci abbandona non è mai stato davvero nostro, né davvero importante... ciò che invece permarrà, tanto a lungo da disciogliersi non verrà mai perso né conquistato.... semplicemente, diverrà parteintegrante del nostro essere.
Francesco Malvano
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Nuove idee, nuove prospettive
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ari amici, come ogni anno, prima di sospendere l’attività per la pausa estiva, l’Ufficio di Presidenza si è riunito per fare il punto della situazione ed esaminare gli aspetti più salienti della vita associativa. E’ stata presa la decisione di aggiornare Atto Costitutivo e lo Statuto della federazione, in modo da per renderle queasti ultimi ancora più completi ed aderenti alle ultime normative emanate dal CONI e al Codice Europeo di Etica Sportiva approvato dai Ministeri Europei responsabili per lo Sport. Tale aggiornamento ha richiesto naturalmente un revisione del Regolamento Tecnico Organizzativo: sono statiinseriti nuovi articoli che ci permetteranno di operare maggiormente per lo sviluppo e la diffusione delle nostre discipline, offrendo servizi di registrazione, creazione di banche dati e riconoscimenti internazionali per tutti i nostri iscritti. Il carnet di eventi MAA International si amplierà significativamente nei prossimi mesi, con corsi di formazione ed aggiornamento per tecnici, educatori ed operatori sociali, manifestazioni, gare, rassegne e spettacoli sia in ambito pubblico che privato, tavole rotonde, meeting, centri estivi e invernali con finalità sportive, culturali e ricreative, ma anche viaggi e qualsiasi attività che sia giudicata idonea al raggiungimento degli scopi sociali. Andremo a promuovere attività con finalità sportive, culturali, formative e ricreative, che andranno a migliorare la qualità della vita. In Italia continueremo a svolgere la nostra attività di promozione sportiva principalmente mediante gli Enti di Promozione riconosciuti dal CONI, fornendo assistenza alle associazioni e alle organizzazioni che aderiscono a noi e che si ispirano al principio di democrazia. I nostri Comitati Regionali forniranno assistenza a tutti i Centri che aderiranno alla MAA, organizzando durante l’arco dell’anno tantissimi momenti di aggregazioni: gare, stage, seminari, corsi di formazione e quant’altro possa essere necessario per soddisfare le esigenze dei nostri tesserati. Dal prossimo anno, il lavoro amministrativo di tesseramento verrà svolto direttamente dalla Segreteria Generale, la quale ha organizzato un sistema di inserimento dati con l’ente di promozione che permetterà di ottenere in pochissimi giorni la registrazione dei richiedenti.
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Naturalmente sarà sempre disponibile, per tutti gli affiliati che ne facciano richiesta, l’iscrizione annuale gratuita presso l’Ente di Promozione, il quale provvederà a fornire non solo la la copertura assicurativa, ma anche l’inserimento di tutti i Centri Sportivi affiliati presso l’Albo Nazionale CONI.
Molti di voi hanno richiesto uno snellimento della modulistica affiliativa: tale richiesta è stata attentamente esaminata dall’Ufficio di prsidenza. Siamo sicuri che i nuovi modelli federali, di semplicissima consultazione e compilazione, saranno in grado di semplificare l’intero iter affiliativo. Nuova veste grafica per il sito nazionale, con i collegamenti diretti a MAAMAGAZINE 2.0 e alla pagina facebook MAA INTERNATIONAL, che nei primissimi giorni di attività ha già superato l’obiettivo dei 500 like. Vi raccomando di consultare spesso la pagina per essere sempre aggiornati sulle nostre iniziative: come sempre, abbiamo tantissimi progetti in cantierre, e naturalmente la loro completa riuscita sarà possibile solo grazie alla vostra fattiva collaborazione. Vi auguro una serena pausa estiva, che possa essere rigenerante e ricca di spunti per riprendere a settembre con tanta voglia di crescere!
Massimo Curti Giardina
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La MAA IN dell’Intern
L’evento, la Sala Ar disposizio
In conven gli accom per notte e prenota o telefona
Per gli os “Barone”, Sarà pos partecipaz della cena di Napoli del lungom liberamen
L’apertura ore 20.30 ristornate l’attività in
Quota un pervenire
NTERNATIONAL è lieta di invitare tutti gli artisti marziali alla 5° edizione national Keiko Ryu.
che vedrà la partecipazione di docenti internazionali MAA si terrà presso rti Marziali dello Stadio A. Collana di Napoli, con oltre 300 mq di tatami a one dei partecipanti.
nzione con l’hotel “San Paolo” (via Terracina 159, Napoli), tutti gli stagisti e mpagnatori potranno soggiornare in formula Bed & Breakfast a soli € 25,00 in camera doppia (€ 35,00 in camera singola). Per ullteriori informazioni azioni, contattare direttamente l’hotel via mail (info@albergosanpaolo.it) ando al n. 081/6171766, specificando la partecipazione all’evento.
spiti in arrivo il venerdì ci sarà la possibilità di cenare presso il Ristorante , che metterà a disposizione una selezione di piatti tipici partenopei. ssibile effettuare la prenotazione, contestualmente alla conferma della zione all’evento, direttamente tramite la segreteria generale MAA. Costo a € 20,00 a persona. Dopo la cena sarà inoltre possibile visitare la città in tour organizzato attraverso le location più rappresentativa del golfo e mare. La mattina del sabato sarà a disposizione degli ospiti per visitare nte la città.
a dei lavori si terrà Sabato alle ore 15.30. L’attività continuerà fino alle 0. Sarà poi possibile cenare liberamente o insieme ai Docenti presso il e “Barone”, previo prenotazione. (€ 20,00 per persona). La domenica nizierà alle ore 9.30 e proseguirà fino alle ore 20.30
nica di partecipazione allo stage € 30,00. Le prenotazioni dovranno e entro il 20 settembre 2015 alla Segreteria Generale MAA.
Tiberio Abategiovanni resp. internazionale rapporti con gli enti In Data 6/6/2015, durante lo stage internazionale di Marsala, il Presidente della MAA International ha ufficializzato la carica del Maestro Tibero Abategiovanni quale Responsabile Internazionale per i Rapporti con gli Enti per il biennio 2015 – 2017.
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L’ufficio di Presidenza, il Direttivo e la Redazione di MAAMAGAZINE porgono al Maestro Abategovanni i migliori auguri per la gestione di un compito di grande prestigio e importanza all’interno della MAA INTERANTIONAL
accordi internazionali
MARIO GOCKLER C.T. NAZIONALE JUDO GERMANY In occasione di tale evento è stata inoltre ufficializzata la carica di Mario Gockler come Coordinatore Tecnico Nazionale per la Germani del settore Judo. Il Tecnico, oltre ad una comprovata esperienza nel Judo (6° Dan) vanta nel suo curriculum un 5° Dan di Ju Jitsu e il Grado di Istruttore di MMA. La sua lezione a Marsala, che ha spaziato dalle tecniche classiche alle varianti a terra peculiari del Brazilian Ju Jitsu, ha entusiasmato e coinvolto i presenti, che potranno di nuovo allenarsi con lui al Keiko 13 Ryu Internazionale di Napoli, il 26 e 27 settembre 2015.
La MAA presenta il progetto Black Belts Alliance International. Lo scopo del progetto BBA è dare l’oportunità a tutte le cinture nere, operanti e non all’interno della MAA INTERNATIONAL di entrare a far parte, gratuitamente, di una grande famiglia di artisti marziali internazionali, per condividere idee, progetti, professionalità e competenze. Nata nel 2013, la BBA ha ottenuto consensi in oltre 30 Paesi in tutto il mondo, con eventi organizzati in partnership con le principali organizzazioni di arti marziali e sport da combattimento. L’adesione alla BBA INTERNATIONAL è comletamente gratuita e da l’opportunità di ionserirsi in un network internazionale con grande copertura mediatica, garantita da siti web, riviste e la prsenza costante sui magiori social network. La BBA INTERNATIONAL mette a disposizione di tutti i marzialisti un albo internazionale accessibile gratutamente, nel quale vengono inserirti solo i tecnici e le cinture nere in possesso di una documentazione ufficiale comprovante il loro grado.
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per info e registrazione
SERVIZI AGGIUNTIVI Per le cinture nere ed i maestri interessati, la BBA mette a disposizione i seguenti servizi: | MEMBERSHIP KIT | Tutti gli iscritti alla BBA possono richiedere il Membership Kit composto da: - Attestato di registrazione - Card Personale plastificata - Distintivo BBA - Inserimento nell’albo BBA INTERNATIONAL - Registrazione gratuita alla MAA per un anno (per chi non è gia tesserato MAA) | PREMIUM MEMBERSHIP | La registrazione premium compende -
Diploma in conformità BBA/MAA Card Personale plastificata premium Distintivo BBA premium Inserimento nell’albo BBA INTERNATIONAL Spazio pubblicitario per eventi sul sito BBA Registrazione gratuita alla MAA per un anno (per chi non è gia tesserato MAA)
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Yin e yang tra
Sport alestra di vita” PARTE II: IL RISCHIO SPORTIVO
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hi si dedica ad uno sport accetta di essere esposto ad un evento dannoso più o meno in base all’attività praticata.
Proprio in relazione alla possibilità del verificarsi di incidenti o lesioni nel corso di un’attività sportiva la giurisprudenza ha elaborato una serie di concetti e definizioni, come ad esempio il “cd rischio consentito”, cioè il limite entro il quale l’attività sportiva pur determinando illeciti penali non viola una fattispecie penale incriminatrice perché si tratta di comportamenti connessi ad azioni di gioco che sono considerate normali nello svolgimento dell’azione sportiva.
forza e diritto
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Il superare tale limite è causa di responsabilità per dolo o colpa grave in quanto si esorbita dalla cornice agonistica e si sfocia nella lesione all’incolumità personale e all’integrità fisica. Si è affermato in dottrina e giurisprudenza che il rischio sportivo opera una sorta di scriminante non scritta in virtù della quale non sono risarciti i danni che normalmente lo sarebbero proprio in virtù di tale parametro di rischio. Non è però un rischio illimitato ma il limite è posto nel rispetto delle regole tecniche. La soglia del rischio per ciascuna disciplina sportiva sarà individuata dal giudice di merito in base alle circostanze del caso concreto. Chi svolge attività sportiva, infatti,ha diritto di essere tutelato da accadimenti che possono verificarsi nel corso dello svolgimento di una attività agonististica o amatoriale. L’agonismo è caratteristica fondamentale dell’attività sportiva a cui è connesso un contatto fisico che può causare la produzione di illeciti penali(lesioni, ingiurie, minacce, percosse ecc). La giurisprudenza ha distinto attività sportive in cui l’attività sportiva genera illeciti perché la violenza è in re ipsa(es. pugilato, lotta libera), da attività sportive non violente che pur rispettando le regole del gioco possono causare involontariamente illeciti. Ovviamente per esercitare tale attività sportive occorre il consenso dell’atleta alla partecipazione e alla competizione sportiva. E’ altresì necessario che vengano rispettate le regole del gioco. Tali regole possono anche essere violate purchè però si rispetti il “cd. rischio consentito”. Altra classificazione attiene alle attività sportive pericolose per le quali occorre distinguere tra condotte dolose o colpose. Per quanto attiene alla responsabilità dell’atleta nel caso di illecito lo stesso ne risponderà sia da un punto di vista sportivo in base ai singoli regolamenti che dal punto di vista dell’ordinamento statale qualora l’ordinamento riconosca una particolare rilevanza alla condotta lesiva. (Es il calciatore che commette fallo colpendo violentemente l’ avversario sarà sanzionato dall’ordinamento sportivo ma non dall’ordinamento statale in virtù del concetto di rischio consentito). Per quanto attiene alla responsabilità dei giocatori in caso di incidenti avvenuti durante lo svolgimento di attività sportiva la giurisprudenza ha distinto varie ipotesi : risponde a titolo di colpa l’atleta che nell’esercizio dell’attività 18 sportiva cagiona una lesione
all’avversario per aver violato le regole del gioco e superato il rischio consentito; risponde a titolo di dolo eventuale il giocatore che agisce non con la volontà di ledere l’integrità fisica dell’avversario ma fermamente convinto della sua abilità sportiva agisce non prevedendo la lesione ma accettandone il rischio; invece si configura vera e propria fattispecie dolosa quando l’attività agonistica è un mero pretesto della condotta lesiva dell’incolumità fisica dell’avversario. E’ necessario distinguere le conseguenze lesive frutto di ardore agonistico che pur essendo conseguenza della violazione delle regole sportive sono positivamente considerate dall’ordinamento perché connesse all’ansia da risultato dalle conseguenze lesive di condotte frutto di involontario violazione delle regole del gioco e dalle conseguenze lesive di comportamenti volontariamente assunti in spregio delle norme sportive.
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Nell’ambito delle lesioni derivanti da coscienti violazioni delle regole del gioco si deve distinguere tra l’ ipotesi in cui pur non difettando la volontarietà dell’inosservanza, lo sportivo miri a raggiungere un risultato connesso alla gara e quella in cui la competizione diviene mero pretesto per assumere certi comportamenti dannosi. Il comportamento dell’atleta è colposo per aver interpretato l’evento sportivo come competizione effettiva ed animato da agonismo non adeguato alla situazione concreta abbia violato le regole del gioco a causa della sproporzione ed eccessività dell’intervento a fronte delle caratteristiche dell’incontro. Vi sono poi attività in cui l’aggressività dell ‘avversario sono parte integrante della stessa attività sportiva agonistica es. la box. Chi non ricorda il film di “Rocky”? Ebbene come in quel film si vede che le ripercussioni fisiche sono parte integrante della stessa attività sportiva, anche nelle arti marziali ciò accade. Per fare un esempio noto a tutti, quante volte nei film di Bruce Lee si vedono combattimenti. E’ ovvio che qui trattasi di pellicole cinematografiche ma tale riferimento ci permette in ogni caso di capire che un contatto fisico è parte integrante di tali attività sportive. La scriminante in tali attività opera solo se sono rispettate le regole del gioco e la competizione avviene tra atleti della stessa caratura (professionisti o appartenenti alla stessa categoria) senza “colpi proibiti o vietati”. Gli sport sono stati classificati in giurisprudenza anche in base al grado di violenza necessaria a raggiungere le finalità che la disciplina si prefigge.Tipiche attività non violente sono ad esempio il tennis ed il nuoto in cui il contatto fisico tra gli atleti manca, attività fisiche eventualmente violente es. calcio e basket in cui il contatto fisico tra gli atleti c’è e può comportare danni e lesioni ed infine attività necessariamente violente es. boxe ed arti marziali in cui il contatto fisico e l’ uso della forza è nella natura del gioco stesso. Per tali discipline più aggressive è richiesta, specialmente in ambito agonistico ma anche a livello amatoriale, una maggiore carica agonistica e, quindi, di conseguenza, la necessità di una maggiore prudenza e cautela specialmente nel corso degli allenamenti. Pertanto quando la violazione è voluta per raggiungere un risultato con indifferenza dell’altrui integrità fisica e/o accettazione del rischio di pregiudicarla allora le lesioni sono penalmente rilevanti; se invece il giocatore rispetta le regole del gioco ma arreca un danno all’avversario pur agendo con cautela e prudenza è esente da responsabilità.
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Dott.ssa Flavia Tocchi
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Grande Successo per la 6° edizione dello stage internazionale di Marsala, tenutosi dal 2 al 7 giugno nella consueta e splendida cornice dell’Hotel Delfino Beach. Tante le novità dell’edizione 2015, a partire dall’allungamento del format da 3 a 6 giornate, che ha trovato il consenso di moltissimi partecipanti, i quali hanno potuto abbinare la pratica marziale ai momenti di svago e relax offerti dalla bellissima location, dallo splendido litorale delle saline al caratteristico centro storico di Marsala, opportunamente valorizzate dalle tante attività turistiche ed escursioni proposte dallo staff della Segreteria Regionale MAA Sicilia, coordinato da Giacoma Maggio.
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Nutritissimo, come sempre, l’elenco dei docenti, con importanti partecipazioni internazionali dalla Svizzera e dalla Germania, per le quali erano presenti il M° Tiberio Abategiovanni (7° Dan Krav Maga e Mario Goeckler (6° Dan Judo) insieme al team dei docenti federali maa international, per il quale erano presenti: Massimo Curti Giardina (9° Dan Ju Jitsu), Salvatore Bramante (9° Dan Ju Jitsu, Davide Pollione (6° Dan Ken Jitsu), Massimo Gitto (6° Dan Jeet Kune Do), Fabrizio Faldella (6° Dan Judo), Vito Poderico (4° Duan Kung Fu) Giuseppe Pace (6° Dan Aikijutsu - Ju Jitsu). Tanti inoltre i docenti ospiti che hanno contribuito alla riuscita dell’evento: Taramanni Renato (7° Dan Kung Fu), Morgano Antonio (6° Dan Aikido) Canicatti Sebastiano (6° Dan Ju Jitsu) Pisano Giuseppe (5° Dan Ju Jitsu), Giano Roberto (4° Dan Krav Maga), Bruno Aglieco (4° Liv Bastone Siciliano), Franzò Pasquale (3° Dan Aikido), Giudice Antonio (3° Dan Aikido). Altro momento di grande interesse è stato il Sakura Festival, che ha ospitato lezioni e conferenze sulla cultura marziali. Confermato per questa edizione il team dei relatori MAA composto da Presidente Massimo Curti Giardina, Giacoma Maggio, esperta in medicina tradizionale cinese, Poderico Vito, consulente sul tema della fiscalità nelle A.S.D., e Malvano Francesco, esperto di storia e cultura tradizionale orientale. Il Team, da quest’anno ha registrato due nuovi componenti, Gitto Massimo, esperto di medicina tradizionale cinese, e la Dott.ssa Tocchi Flavia, consulente legale.
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Durante la serata di gala del sabato sono stati ufficializzati i nuovi mandati e gli incarichi federali. Il M° Tiberio Abategiovanni ha ricevuto l’incarico di Responsabile Internazionale per i Rapporti con gli Enti per il biennio 2015 – 2017. Per il notevole lavoro svolto in questi anni, il M° Giuseppe Pace ha ricevuo il 7° dan di Ju Jitsu e l’incarico di Coordinatore Tecnico Regionale di Settore. Anche questo evento, come tutti i principali raduni maa svoltisi durante l’anno, ha voluto omaggiare i 50 anni di attività del So-Shi Soke Massimo Curti Giardina. Lo stage ha come di consueto segnato l’inizio di una brevissima pausa estiva, con un calendario ricchissimo di eventi che già nel mese di Settembre preve il Keiko Ryu Internazionale di Napoli, seguito da tantissimi eventi disseminati tra Italia, Germania e Svizzera, che animeranno l’ultimo trimestre di un 2015 ricchissimo di appuntamenti.
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Durante la giornata di Domenica si sono svolte le sessioni d’esame, che hanno visto le promozioni dei seguenti marzialisti: Settore Ju Jitsu Vinci fabrizio Giacalone Stefano Indaco Filippo Nanè Salvatore Olara Alessandra Polara Ilary
4° Dan 4° Dan 2° Dan 1° Dan 1° Dan 1° Dan
Maestro Maestrro Istruttore Allenatore Allenatrice Allenatrice
Settore Aikido Franzò Pasquale Giudice Antonio
4° Dan 4° Dan
Maestro Maestro
Ph.: Fabrizio Vinci - Fabio Fiorin
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Il Mon
l Mon 紋 è il tipico emblema giapponese usato per identificare un individuo, un gruppo o una famiglia.
Il termine è inteso in un accezione più ampia rispetto ai suoi corrispettivi di uso comune, quali monsho 紋章, mondokoro 紋所 e kamon 家紋, utilizzati in modo più specifico in relazione ad emblemi familiari. Con buona approssimazione, possiamo renderci conto della funzione del Mon nella società nipponica paragonandolo ai simboli araldici del medioevo occidentale. 30
Origini e cenni storici
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I mon vennero inizialmente introdotti come distintivi da apporre sugli abiti, con la funzione di distinguere i leader all’interno dei clan e delle organizzazioni. Questa usanza, inizialmente ad appannaggio esclusivo dell’aristocrazia, col passare del tempo divennedi uso comune: i mon venivano utilizzati da un ampio ventaglio di categorie, dai mercanti alle gilde, dai templi ai teatri, non di rado essi venivano scelti anche dalle organizzazioni criminali. In una società lontana dalla completa alfabetizzazione, divennero utili segni di riconoscimento. A partire dal XII secolo, con l’introduzione di una vera e propria araldica nella società giapponese, i mon venivano utilizzati in ambito militare per contrassegnare vessilli, tende e accampamenti. Sul campo di battaglia, i mon trovavano posto sugli stendardi delle truppe (指物 sashimono) e dei comandanti (馬印 uma-jirushi, insegne da cavallo), anche se non si pervenne mai ad una completa codifica dei vessilli, per questo le insegne militari risultavano parecchio variegate: alcune truppe utilizzavano i mon, altre preferivanoi kanji, altre ancora sceglievano disegni geometrici o artistici. L’abbigliamento formale richiedeva generalmente un l’esposizione del mon sugli abiti, e chi non possedeva un mon di famiglia spessochiedeva il permesso di utilizzare quello del suo superiore o del suo clandi appartenenza. In mancanza di tale possibilità, il popolano poteva attingere ad un vasto campionario di mon “volgari” (non legati ad una specifica classe) o addirittura inventarsi un proprio mon da passare poi ai suoi discendenti (questa usanza venne poi adottata dai commercianti, che utilizzavano i mon come predecessori dei moderni loghi aziendali). Le tre altee rosate, simbolo del clan Tokugawa
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Le regole concernenti la scelta del mon, basate sul costume sociale, non erano particolarmente restrittive: era sconsigliabile utilizzare mon identici o molto simili ad altri già in uso, specialmente se questi erano stati adottati da qualcuno di un livello sociale superiore. In casi del genere, la persona di rango inferiore era solita cambiare il proprio mon per non recare offesa a quella di rango superiore. Era anche in uso una sorta di “registrazione ufficiale” che andava a tutelare i mon delle classi dominanti (come quello dei Tokugawa, raffigurante tre altee rosate, o quello a forma di crisantemo, ad esclusivo appannaggio dell’Imperatore) dall’utilizzo non autorizzato.
La Palownia simbolo del primo ministro
In rari casi i signori permettevano, in segno di riconoscenza, l’utilizzo del proprio mon ai loro servitori, si trattava di un gesto molto eclatante (aveva pari importanza al permesso di utilizzare il proprio cognome) che attestava che il servitore in questione diveniva quasi parte della famiglia. Altra forma (meno spinta) di riconoscenza era quella di assegnare un mon ex-novo o aggiungere un elemento del proprio emblema a quello già utilizzato dal sottoposto. La maggor parte dei mon ha la forma di un disco, recante sulla superficie le figure più disparate: piante, animali, manufatti, soggetti terreni o divini, figure geometriche o forme astratte, simboli religiosi o anche kanji. Per quanto riguarda il colore, essi sono per lo più monocromatici, anche se non esiste alcuna restrizione, in quanto il colore non viene inteso come parte del disegno, quindi un mon può essere riprodotto in qualsiasi materiale e usando qualsiasi tinta. Ogni mon ha un nome, ma l’attribuzione funziona in modo diametralmente opposto a quella dell’araldica occidentale, nella quale il cognome del signore o il nome dell’organizzazione sono prescrittivi (i Crociati e le loro derivazioni non potevano esimersi dal mettere una croce nel loro stemma). In oriente, invece, il disegno del mon precede la scelta del suo nome, il quale ha una funzione puramente descrittiva, e non è necessariamente legato al nome del clan o del possessore.
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Mon del Clan Oda
È teoricamente permesso apportare modifiche ai mon, che spesso nel corso delle epoche subiscono piccole modifiche, anche se il rispetto per la tradizione ha portato alla cristallizzazione dei modelli classici. Per alcuni disegni esistono poi regole specifiche, ad esempio la cresta di Paulownia con 17 foglie è riservata al primo ministro, sebbene chiunque possa utilizzare la stessa pianta con un numero minore di foglie; mentre il crisantemo dell’imperatore conta 16 petali, ma gli altri membri della casata imperiale possono utilizzare crisantemi con un numero di petali inferiore.
In linea generale non sono previste brisure (elementi di variazione che contraddistinguono i rami cadetti o illegittimi dei blasoni occidentali) ma il più delle volte i rami secondari delle famiglie nobiliari utilizzano mon sostanzialmente simili a quelli della casata originale (per esempio ogni ramo della Seshū Shinnōke (世襲親王家) – ovvero le quattro branche della famiglia imperiale stabilitesi a partire dal 1947 – utilizza un particolare tipo di crisantemo). Sui kimono e sui gi il mon viene riportato da una a cinque volte, a seconda del tipo di abito: più esso è formale, maggiore è il numero dei mon. Gli abiti più formali ne portano uno per ogni lato del petto, uno per manica e uno sulla schiena. Sulle armature, invece, i mon trovano posto sui kabuto (冑 elmi) e sui do (胴 corazze), nonché sui tekko (手 甲 guanti d’arme) oltre che su vessilli e simili. In generale, ogni oggetto di rappresentanza, dagli scrigni ai ventagli, prevede uno spazio per il mon. Moneta da 500 yen recante la rappresentazione della palownia
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Kabuto con il mon della casata So
Alcuni Mon Storici Famiglia Reale
Clan Tokugawa
Clan Taira
Primo Ministro Taro Aso
Clan Asano
Famiglia Hira
Clan Hogo
Famiglia Ichikawa
Clan Nakagawa
Clan Minamoto
Clan Takaoka
Clan Inagisawa
Francesco Malvano
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Storia delle Arti Marz marziali dell’estremo oriente attribuiscono la
avvenuta con la nascita del marziali erano tramandate di
piccoli gruppi d’adepti.
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ziali cinesi
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Il Sifu era il maestro di WU SHU KUNG FU ed era considerato il saggio del villaggio. Il Sifu era comunemente anche un esperto di medicina tradizionale ed aveva una cultura superiore a quella delle altre persone del villaggio. Era considerato un punto di riferimento ed era rispettato da tutti. Oggi la figura del Sifu è cambiata anche se in molte Scuole Tradizionali è possibile vedere dei maestri che, in qualche modo, si avvicinano all’antica figura del Sifu. Il Tempio di SHAOLIN fu creato intorno al 520 DC; questo edificio appare sotto diversi nomi: Shaolin in Mandarino, Si Lum in Cantonese (i due nomi significano giovane foresta), Shorinji in Giapponese (da cui lo stile di Karate nipponico Shorinji Kempo, le cui tecniche si ritiene risalgano ai tempi del celebre monastero). I monaci fusero le loro pratiche meditative con la pratica marziale dando origine ad alcuni stili che basavano i loro movimenti sul comportamento degli animali. I cinque principali animali degli stili Shaolin sono: Tigre, Drago, Leopardo, Gru, Serpente. Successivamente gli stili basati sugli animali furono fusi in un unico sistema, anche se alcuni monaci non aderirono a tale unificazione e continuarono ad insegnare il loro stile originale. La storia delle Arti Marziali Tradizionali “MODERNE” la si può far iniziare con Bodhidarma (Da Mo) che, originario dell’India, estese il buddismo nei confini cinesi.
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Ideatore di alcuni esercizi fisici, che avevano come obiettivo quello di aiutare i monaci che passavano la maggior parte del loro tempo in meditazione sedentaria, legò inseparabilmente il proprio nome a colui che diede l’avvio alle Arti Marziali “Esterne”. Così come i buddisti hanno trovato in Bodhidarma il loro eroe leggendario anche i taoisti hanno Chang San Feng, la mitica figura che diede origine agli Stili “Interni”. Fu cosi’ che mentre Bodhidarma viene identificato come l’ideatore dello stile Shaolin Chuan, Chang San Feng viene associato alla nascita del Tai Chi Chuan. Le prime fonti certe sulla storia delle arti marziali cinesi sono antichissime, è possibile tracciare una cronostoria a partire dal XV secolo avanti Cristo
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XV sec. a.C.: si trova per la prima volta traccia di una tecnica di lotta ancora primitiva, constente nell’infilzare l’avversario con l’ausilio di un elmo provvisto di corna: GoTi o ChiaoTi. Secondo la leggenda, lo Shuaijiao - che è stato chiamato originariamente JiaoTi - è stato utilizzato inizialmente nel 2697 a.C. nelle battaglie tra l’imperatore giallo (Huang Di) e Chi Yu, che era un ribelle ed un lottatore potente. Nella Dinastia Chin che ebbe inizio nell’anno 221 a.C., Lo Shuaijiao - che era ancora noto come Jiao Ti - divenne parte del programma di addestramento militare ufficiale. In seguito, il Jiao Ti è stato conosciuto sotto diversi nomi nella storia fino a quando il governo centrale della repubblica della Cina ha stabilto l’Istituto centrale di Kuo Shu a Nanjing nel 1928 e ha standardizzato il nome a Shuaijiao. VI sec. a.C: la tecnica di lotta si raffina e compare con i nomi di Shang Pu, Shuai Go, Shou Pu. Mille anni più tardi la tecnica terminerà di svilupparsi con l’apporto dell’invasione mongola, si avrà quindi Lung Hua Quan, più scientifica e più veloce, contenente prese studiate anteriormente al Ju Jitsu e Judo nipponico.
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Contemporaneamente si sviluppava il Qin Na o (Ch’inna): l’arte della chiave di braccio. Perfezionata dagli attuali stili di Kung Fu, integrate nelle loro tecniche, quest’arte detiene tutti i segreti per immobilizzare l’avversario. All’epoca di Lao Tsu e di Confucio, le arti marziali nobili erano : il tiro con l’arco e l’equitazione. Si trova comunque traccia, in questa epoca di un’arte praticata dalle caste nobiliari e da certi monaci (per ragione evidente, di protezione durante i loro pellegrinaggi, ma anche per ragione di certi insegnamenti Taoisti, secondo i quali, la concentrazione poteva essere favorita dalla pratica costante di certi esercizi fisici). Si è sentito parlare di KungFu nelle storie cinesi sotto diversi nomi: Chi Chi San, Wu Ni, Chi Ni ecc. I sec. d.C.: Un certo Kwok Yee, avrebbe creato il primo stile di Kung Fu veramente “Schematizzato”, eretto nel metodo: CHANG KUO CHANG (“l’arte della lunga mano” o la “boxe di lungo raggio”). III sec.: un medico chiamato Hua To (ma potrebbe essere anche un personaggio leggendario, al quale la tradizione popolare attribuì un insieme di scoperte mediche di origine completamente differenti) fece delle ricerche sistematiche, osservando i sistemi di combattimento di cinque animali: igre, l’orso, il cervo, la scimmia, la gru. Si tratta di un certo numero di gesti di combattimento che si ritrovano attualmente nella maggior parte degli stili di Kung Fu, amalgamati in seguito a quelli di altri animali: serpente, topo, cavallo, mantide religiosa, drago ecc. Insieme alla pratica marziale si sviluppa un grande fermento sulle varie teorie e filosofie che sostengono queste pratiche fondendosi con la cultura, la religione e la filosofia tradizionali. In Cina il rapporto tra esercizio fisico e medicina ha preceduto di gran lunga la nascita delle arti marziali e ciò che i cinesi hanno sviluppato intorno alla cultura fisica ha avuto inizio prima che la storia venisse documentata attraverso fonti ufficiali.
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Esempi di tali relazioni possono essere facilmente riscontrabili nei testi di medicina tradizionale ove sono descritte molte delle teorie che costituiscono la base delle Arti Marziali Tradizionali Cinesi. Così come nella medicina terapeutica e preventiva si sono sviluppati esercizi fisici che hanno tratto il loro spunto da alcune posizioni di animali, molte sono le tecniche che anche nel Wu Shu Kung Fu prendono il nome e i movimenti da questi. VI sec.: un personaggio straniero giunge al monastero Shaolin: si tratta di Ta Mo (Ta Mo o Daruma Taishi in giapponese è conosciuto anche con il nome di Bodhidharma, l’ “illuminato”, un monaco proveniente dalle Indie del sud, forse Ceylon). L’ipotesi più diffusa è quella che il monaco fosse di origine nobile, e che fosse profondo conoscitore dell’arte indiana di Vajramukiti: tecnica di maneggio di armi, praticato dalle caste guerriere. Certo è che Ta Mo lasciò il marchio indelebile della sua forte personalità. Nel piano spirituale fu all’origine del Buddismo Chan (Zen in giapponese) una corrente di pensiero che darà un’impronta a tutte le arti marziali dell’estremo oriente. Sul piano che interessa direttamente il Kung Fu a lui si attribuisce la messa a punto di alcuni esercizi fisici, destinati a rinvigorire i monaci provati dalle lunghe sedute di meditazione. Secondo alcuni, questi esercizi, non erano altro che delle “Asanas” (posizioni) dello Yoga, secondo altri un’originale tecnica da combattimento: Shih Pa Lo Han Shou, “le 18 mani di Han”, metodo ugualmente conosciuto sotto il nome di I Chin Chin o Eki Kin Kyo per le storie giapponesi di arti marziali. Da allora, atorto o a ragione i monaci del monastero della “giovane foresta” ebbero una reputazione di particolare capacità di combattimento, che li farà conoscere in tutti i paesi. XII sec.: Il generale Yao Wei ideò il sistema “Dell’artiglio dell’aquila”. XIII d.C. : l’eremita taoista Cheng Salm Fung (o Chan San Feng) che visse dentro Hopei, codificò le basi di quello che divenne il sistema interno del Kung Fu (Nei Jai), nel quale si ricerca il movimento dell’energia interna del corpo, piuettosto che la forsa muscolare subordinata all’età. Dalle sue ricerche nasce il Tai ji Quan (Tai Chi Chuan). Suoi stimati successori furono: Wong Tsung, Ch’en Chou T’ung, Chaing Fa. La provincia di Honan a causa della sua posizione geografica, fu il paese nel quale i maestri si incontravano, per questo nacquero degli stili o dei metodi di combattimento, che coglievano il meglio del Kung Fu interno e del Kung Fu esterno, di cui fa capo lo Shaolin Quan. XV sec.: un giovane uomo divenne monaco Shaolin, il suo nome era Chuen Yuan chiamato anche Kwok Yuen). Egli revisionò l’antico sistema legato a Ta Mo. In un primo tempo ordinò in 72 tecniche; poi sempre insoddisfatto, si mise alla ricerca di un maestro di Kung Fu al di fuori delle mura monastiche. Nel sud della Cina incontrò maestri come: Pai Yu Feng e Li Chieng che accettarono di aiutarlo nella sua opera rigeneratrice. Fecero una sintesi di ben 170 movimenti che diventarono la nuova base della scuola esterna popolarizzata con il nome di Shaolin Chuen. Yuan ritornò al monastero, Proprio in questo periodo, i monaci ebbero la reputazione di essere invincibili.
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XVII sec.: 1640, quando regnava la dinastia mandarina Ching, dappertutto si svilupparono focolai contro l’oppressore. I monasteri, terra di asilo per i capi della resistenza, furono particolarmente odiati dalla nuova dinastia che disperse con forza le comunità monastiche. Un ingente numero di soldati dopo una sanguinosa lotta vinsero su pochi monaci guerrieri. L’invasione al tempio fu favorita da alcuni “infiltrati” che aiutarono i soldati ad entrare nel monastero. Solo Alcuni monaci sopravvissero alla distruzione di Shaolin, si parla di cinque o sette maestri che si rifugiarono altrove. Secondo la tradizione, questi cinque esperti di Kung Fu assicurando la sopravvivenza dell’arte secolare. Sarà l’origine dei 5 metodi “derivati dallo Shaolin” della Cina del sud: Hung Gar, Liu Gar, Choy Gar, Li Gar e Mo Gar. Si svilupparono inoltre così per opera di questi maestri e dei loro allievi gli stili come il Wing Tsun , il Choy Lee Fut, la Gru Bianca del Nord e la Mantide Religiosa (Tang Lang).
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XVIII sec.: la Cina è passata sotto le autorità Mandarine: Attacato dalle truppe il monastero Shaolin, dopo una accanita resistenza si arrese e fu distrutto. Esistono comunque degli stili che non derivano dal tempio Shaolin, come ad esempio lo stile dell’ubriaco, lo stile della traccia perduta, lo stile dalle gambe elastiche (Ten Tui) ecc.. Attualmente esistono circa 400 stili di Wu Shu Kung Fu ma solo una quindicina possono considerarsi realmente differenti tra loro ed hanno una larga diffusione sia in Cina sia nel mondo intero. Molti stili sono molto simili ad altri pur avendo un nome proprio. Dopo e durante la rivoluzione culturale comunista molti maestri si spostarono nei paesi vicini, Taiwan, Hong Kong e persino in America aprendo delle scuole e diffondendo il loro WU SHU KUNG FU.
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XIX sec.: Tung Hai Chuan crea nella regione di Pechino la scuola “interna” Ba Gua Jian (Pa Kua Chang). 1850: il cristiano Hung Hsiu Chuan lancia la rivolta dei Tai Pings (la setta della “grande purezza”), tenendo per 15 anni le truppe imperiali all’erta. Si sa che egli istruiva i suoi uomini all’uso delle armi bianche e del combattimento a mani nude. 1900: Nello Shantoung c’è la rivolta dei “Boxers” ai quali il popolo attribuiva una potenza soprannaturale per il loro grado di efficacia nel combattimento a mani nude. Ma i “pugni della giustizia e della concordia” saranno annientati al tempo dei “55 giorni di Pechino”. XIX sec.: nuovo impatto del Kung Fu a Okinawa (Uechi Ryu) che diaspora nel resto dell’Asia combinandosi con metodi local: da queste sintesi nascono il Pukulan, il pentiak Silat, il Kuntow, il Serak ecc. Dal 1912 al periodo di guerre civili in Cina nel corso delle quali il Kung Fu si sviluppò anarchicamente in seno alle società segrete, che si battevano contro tutto ciò che minacciava la civilizzazione cinese tradizionale, e all’interno dei gruppi militari (talvolta truppe mercenarie) per il bisogno dei terribili “Signori della Guerra”: potenze locali senza legge né fede che stimolavano allenamento fisico dei loro mercenari. 1917 : il giovane Mao Tse Tung, allora 21enne, redige uno “studio sulla cultura fisica”, nel quale appare già il suo desiderio di una pratica di massa in cui le arti tradizionali dovranno avere buona parte. 1920 ca: sotto il regime Kuoming Tang si assiste al primo tentativo di riprendere le redini del Wu Shu (termine che letteralmente significa arte marziale sinonimo di Kung Fu. Letteralmente esercizio eseguito con abilità). 1927: Rivoluzione Democratica: Chang Kai Tchek al potere. 1930: si verificarono i primi incontri ufficiali fra esperti di Wu Shu, ma le difficoltà politiche del paese e la guerra con il Giappone diedero un colpo di arresto allo sviluppo delle arti marziali tradizionali.
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1945: si conoscevano due grandi associazioni di Kung Fu su scala nazionale: l’Istituto Centrale di Boxe Nazionale e Cultura Fisica el’Associazione di Boxe Cinese. Dopo il 1949 le arti marziali ebbero evoluzioni differenti: nella Repubblica Popolare Cinese si diede risalto soprattutto alla cultura fisica; c’è il rilancio dell’ “arte del pugno”, come d’altre parte di tutti gli sport, considerati dal regine come eccellente mezzo di sviluppo fisico e morale della nazione. La finalità del Kung Fu è cambiata. Gli sono preferite forme di Wu Shu moderno, con esercizi terapeudici e non destinati unicamente al combattimento reale. Tuttavia rimmangono nella Cina Popolare vecchi maestri, formidabili per efficacia, ma molto difficili da rintracciare in particolare in Cina, visto che gli stessi di solito, sono contro il regime che uccideva le nobili tradizioni. A Hong Kong e a Taiwan si è mantenuto fortemente l’orientamento originale del Kung Fu: per i “Si Fu” (maestri), fuggiti prima del regime comunista, vi sono rappresentati tutti gli stili ed è eccezionale il numero delle sale di trattenimento. Questo succede anche nelle più importanti comunità cinesi nel mondo; soprattutto nella costa ovest degli U.S.A. e nella Malesia. 1980: Repubblica Popolare Cinese sembra rivalutare l’aspetto combattivo delle arti marziali codificando una forma sportiva di combattimento chiamato SANDA che e’ simile alla kick boxing dove è però anche possibile proiettare l’avversario. E’ molto diversa dal combattimento tradizionale del WU SHU KUNG FU. Parallelamente, per gli stili più rappresentativi, il Comitato Sportivo Nazionale ha codificato alcune forme diminuendone il numero di tecniche e semplificandone talune parti. Negli ultimi decenni sono state infatti create sequenze composte da ventiquattro movimenti definite “forme da gara”.
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Maurizio Di Benedetto
m
F
artial ovies
atta eccezione per le pellicole del filone “arti marzialiâ€? prevalentemente incentrate sulle coreografie di combattimento, l’industria cinematografica occidentale non si è quasi mai cimentata in grandi produzioni sulla storia e la cultura marziale
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A colmare questo vuoto ci ha pensato, nel 2003, Edward Zwick, con “L’ultimo Samurai”.
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Il film racconta le vicende storiche della Ribellione di Satsuma viste dagli occhi del capitano americano Nathan Algren (Tom Cruise), veterano del 7° reggimento di cavalleria, che sotto la guida del generale Custer, conobbe la propria fama al tempo delle guerre indiane, fino alla sanguinosa disfatta di Little Bighorn. Sono passati anni, ma i tramatici ricordi della battagli tormentano ancora Algren, ridottosi a fare da fenomeno da baraccone per pubblicizzare i fucili Winchester. L’occasione di riscatto si presenta quando Algren riceve la proposta di recarsi in Giappone, alle dipendenza dell’Imperatore Meiji, per addestrare le truppe imperiali e sedare le rivolte di alcuni samurai dissidenti.
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Giunto ad Yokohama, Algren scopre un mondo in aperto conflitto tra i sostenitori della millenaria cultura dell’onore e delle tradizioni ed i fautori della rincorsa alla modernità dell’Occidente.
Il giovane imperatore (Shichinosuke Nakamura) è tra questi ultimi, ma la scarsa preparazione delle sue truppe e la testardaggine dei suoi generali non lascia presagire nulla di buono al capitano americano, il quale tenta di dissuadere gli imperiali dall’intervenire subito contro i dissidenti. I moniti di Algern non vengono però ascoltati, e così alla prima sortita l’esercito (composto per lo più da contadini coscritti) viene facilmente sbaragliato dalle esperte truppe della resistenza, capeggiate dal generale Katsumoto (Ken Watanabe). L’esperto samurai, colpito dalla tenacia dell’americano, che stoicamente non abbandona il campo neppure quando le sue truppe sono in rotta, decide di risparmiarli la vita e condurlo al proprio villaggio. Tra i monti e le vallate dell’entroterra Algren impara a conoscere l’antica mentalità giapponese, fatta di onore e rispetto delle tradizioni.
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I samurai dissidenti non si sentono affatto avversari dell’imperatore, ma conducono la loro crociata per difendere i valori tradizionali dallo spettro di un’occidentalizzazione che rischia di sgretolare l’essenza della cultura nipponica. Katsumoto, pur essendo contrario alla mentalità occidentale, nutre per essa una profonda curiosità, che lo porta a lunghi colloqui con il prigioniero di guerra, che faranno maturare in lui la convinzione di schierarsi dalla parte dei Samurai. Poco a poco l’americano si integra nella vita del villaggio, arrivando ad innamorarsi di Taka (Koyuki Kato) sorella di Katsumoto e vedova di uno dei suoi uomini, ucciso in battaglia dallo stesso Algren. Continuano intanto gli scontri con le truppe imperiali, mentre prendono corpo i giochi politici del Primo Ministro Omura (Masato Harada) portavoce di una classe politica ben più forte del giovane imperatore, fino all’epica battaglia finale, dove i pochi ma risoluti uomini di Katsumoto, bardati nelle loro armature e imbracciando spade e archi, fronteggiano il moderno esercito imperiale, equipaggiato con fucili e mitragliatori. Il regista ci offre una visione decadente di un paese spaccato tra la corsa alla modernizzazione ed il legame con le tradizioni antiche, filtrata dall’occhio di un protagonista occidentale, che attraverso le pagine del suo diario cerca di fermare sulla carta suggestioni di un mondo che è ben conscio di non riuscire a comprendere appieno.
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Algren è lo straniero, e non abbandona mai del tutto le sue origini: nella battaglia finale indossa l’armatura del samurai, ma nel successivo colloquio con l’imperatore e nelle ultime scene torna a vestire abiti occidentali. Le marcate differenze fisionomiche tra gli attori americani e giapponesi, unite alla scelta di lasciare in lingua originale parte dei dialoghi tra gli orientali, riescono perfettamente nell’intento di rievocare il senso di estraneità. E’ ben resa la ritualità di tutte le azioni degli orientali, dall’esecuzione dell’harakiri, volutamente confusionaria perché vista dagli occhi di un Algren quasi privo di sensi e del tutto privo dei mezzi per comprendere cosa stia accadendo, alla quotidiana pratica marziale, che adulti e bambini affrontano con la medesima dedizione. Il film si prende tutto il tempo necessario per soffermarsi sui paesaggi, sui volti, sul lento scorrere della vita del villaggio. Tale scelta incide sulla durata finale (che sfiora le due ore e mezza) e rende necessario il taglio di alcune scene non essenziali per la trama, che costituiscono però vere chicche per gli amanti della storia e della cultura marziale, facilmente reperibili sul web o tra i contenuti extra delle versioni home video (su tutte, la scena del samurai di Yokohama che, offeso dallo scherno di due giapponesi moderni, non esita ad estrarre la spada per decapitarne uno, e quella dell’allenamento di Kastumoto con due suoi samurai, nella quale Watanabe fa sfoggio di una buona tecnica nell’arte del Ken Jitsu). Il ritmo del film, comunque, non risulta mai troppo lento, anche grazie all’ottima colonna sonora di Hans Zimmer, capace non solo di esaltare i momenti epici, ma anche di accompagnare gradevolmente le frequenti pause narrative.
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Zwick mette in campo la sua esperienza nel tracciare il profilo degli uomini d’arme (come aveva già fatto in Glory e Courage Under Fire) orchestrando una trama che regge per tutta la durata del film. Cruise e Watanabe si alternano al centro della scena mostrando una grande sinergia: da protagonista assoluto della prima parte del film, Cruise si trasforma a più riprese in narratore, lasciando spazio alla grande interpretazione di Watanabe, per riprendere il suo ruolo durante l’epilogo. Scambiandosi continuamente i ruoli di spalla e protagonista, gli attori donano spessore alle scene, sostenendo il crescendo della tensione narrativa. Sottotono la componente femminile: nonostante la buona prova di Koyuki, che riesce ad imprimere personalità ad una figura che, in linea con la realtà storica, è relegata ai margini della società, l’intreccio romantico fatica ad inserirsi nel corso degli eventi: la scelta di legare la donna all’assassino di suo marito appare troppo forzata, e le poche scene dedicate al rapporto tra Algren e Taka non riescono a restituire allo spettatore il senso di un legame di odio/amore che, se meglio narrato, avrebbe potuto essere un ulteriore punto di forza dell’intreccio. Dal punto di vista storico, il film non è esente da inesattezze. In primo luogo, due distinti eventi storici, la Ribellione di Satsuma (1877) e la Guerra Boshin (1986-1989), vengono fusi in un unico continuum, ma soprattutto non appare verosimile l’inferiorità degli armamenti di Katsumoto: alla fine dell’800 anche i samurai più tradizionalisti si erano aperti all’uso delle armi moderne, tanto che lo Hojutsu (arte delle armi da fuoco) era entrato nel novero del Bugei Juhappan, il curriculum delle conoscenze dei samurai in vigore a partire dall’epoca Tokugawa. La figura di Katsumoto, invece, ricalca fedelmente quella del personaggio storico al quale si è ispirato, Saigo Takamori, che guidò i ribelli di Sastuma. Marzialmente parlando, il film appare convincente: i concetti chiave della filosofia zen e del bushido vengono presentati attraverso una costellazione citazioni, ora appena suggerite (Algren che esegue i kata al tramonto) ora più esplicite (Katsumoto che cita alcuni famosi proverbi zen). Ben coreografati i combattimenti, che non eccedono in esagerazioni acrobatiche e restituiscono, soprattutto durante le scende di allenamento, un buon mix di intensità tecnica ed emotiva. Cruise appare un convincente spadaccino, e tutto sommato si può chiudere un occhio sull’inverosimile velocità di apprendimento del personaggio, che in pochi mesi riesce ad arrivare al livello degli esperti samurai del villaggio.
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l polo intorno al quale ruota questo microcosmo è la compessa figura di Katsumoto: in una scena lo vediamo lodare le sanguinose strategie di Custer, facendo inorridire Algren, che considerava il suo generale quasi un pazzo sanguinario, in quella successiva dispensare massime zen con la tranquillità di un illuminato. Tali slanci non sono mere contraddizioni di un samurai guerrafondaio, ma il risultato di un’esistenza spesa tra lo studio dello zen e quello dell’arte della guerra, fondata sull’importanza dell’onore, posto come metro di giudizio dell’intera esistenza. Nota dolente per il doppiaggio italiano che, pur lasciano opportunamente intatti i dialoghi in giapponese, affibbia ai protagonisti nipponici un accento troppo marcatamente orientale quando questi parlano nella nostra lingua, generando un effetto quasi fastidioso, che abbassa di molto il livello di drammaticità delle scene. Tale scelta, peraltro non condivisa né nella versione originale, dove i protagonisti parlano un inglese giusto appena stentato, né nelle altre localizzazioni, che restano fedeli all’originale, penalizza sicuramente la versione italiana rispetto alle sue controparti. Il film ha raccolto forti consensi dal pubblico e dalla critica: gli incassi al botteghino, (oltre 450 milioni di dollari) hanno superato il budget di ben 140 milioni, mentre sia la critica occidentale che quella orientale sono state concordi sul valore della pellicola: Rogert Ebert ha valutato il film con 3 stelle e mezzo su 4; Tomomi Katsuta ha giudicato la pellicola “un grande passo in avanti rispetto ai precedenti tentativi americani di ritrarre il Giappone”. L’apprezzamento delle critica giapponese ha avuto positive ripercussioni anche sui premi vinti dal film, che mentre in occidente ha ricevuto diverse nomination, ma nessun Oscar (anche se non sono mancati riconoscimenti quali: Miglior Regia per la National Board of Review Award; Miglior Fotografia, Migliori Costuimi Miglior Montaggio e Miglior Colonna sonora per i Satellite Awards) in oriente ha trionfato come Miglior Film Straniero ai Japanese Academy Award, l’equivalente Nipponico degli Oscar. Il Riconoscimento dell’Academy giapponese è forse il miglior premio possibile per uno dei pochissimi film occidentali in grado di offrire una visione dettagliata e convincente del Giappone dei Samurai, cogliendone in pieno lspirito ed esaltando i valori morali che animano l’immaginario di tutti gli amanti delle arti marziali e della cultura orientale.
Francesco Malvano
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La International Police Training System è una associazione internazionale formata da esperti Istruttori del settore della Self Defense e delle Tecniche e tattiche Operative, con l’obiettivo primario della formazione specialistica degli Operatori di Polizia, dei militari delle Forze Armate, degli operatori della sicurezza privata e degli Istituti di Vigilanza. Il POLICE TRAINING SYSTEM (P.T.S.) è un sistema di allenamento operativo che racchiude, adatta e sviluppa i programmi internazionali adoperati dalle Accademie Internazionali preposte all'addestramento degli Operatori di sicurezza, garantendo una formazione altamente specializzata e protocolli efficaci. Il P.T.S., in continua espansione sul territorio nazionale, negli ultimi anni ha beneficiato di un ampio e gratificante consenso nel panorama internazionale degli Operatori della Sicurezza. Svizzera, Francia, Germania, Brasile, Argentina, Messico e Stati Uniti sono alcuni tra i paesi nei quali gli operatori della sicurezza hanno adottato il sistema IPTS. 60
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Ju Jitsu
Parte I: Etimologia dei Kanji
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l Ju Jitsu (柔術) è probabilmente la più antica forma pienamente codificata di arte marziale giapponese, intesa come schematizzazione metodica di un programma di studi Sviluppata per fronteggiare avversari sia armati che disarmati, utilizza principalmente tecniche di combattimento senz’armi, sebbene nei programmi di numerose scuole non manchino tecniche che prevedano l’utilizzo di armi, mutuate dalle singole arti specializzate nel loro maneggio.
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L’arte della Cedevolezza
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Prima che il termine Ju Jitsu si imponesse nel linguaggio comune, si usava riferirsi alle tecniche di tale disciplina con una grande varietà di denominazioni, tra cui: “combattimento corpo a corpo con spada corta” (小具足腰之廻 kogusoku koshi no mawari), “corpo o corpo” (組討 o 組打 kumiuchi), “arti del corpo” (体術 taijutsu, prima che entrasse in uso riferire questo termine, etimologicamente piuttosto generico, alla parte espressamente combattiva del Ninjitsu), “bloccare le mani” (捕手 torite), ed anche “via della cedevolezza” (柔道 judo), intorno al 1724, quasi due secoli prima che Jigoro Kano fondasse il moderno Kodokan Judo. Le denominazioni più calzanti risultarono “morbidezza” (柔 Ju o 和 yawara) e “arte dell’armonia” (和術 wajutsu o yawarajutsu): la combinazione dei due diede origine al nome attuale . I kanji 柔術, che significano rispettivamente “morbido, adattabile” e “arte, tecnica”, trovano diverse traslitterazioni (ju-jitsu, ju-jutsu, jiu-jutsu, jiu-jitsu...) Ssebbene la pronuncia “Jutsu” sia formalmente più corretta, la maggior musicalità del termine “Jitsu” nelle lingue occidentali ha determinato un utilizzo pressoché universale in tutto l’occidente, mentre la pronuncia Ju / Jiu dipende spesso dalla maggior aderenza di una delle due versioni alla fonetica dei diversi paesi: mentre in lingue come l’italiano,il francese, l’inglese e l’americano (quindi in buona parte dell’Europa meridionale, in Gran Bretagna e in tutto il Nord America) è più familiare la pronuncia “Ju”, nelle lingue di origine germanica, spagnola e portoghese (Europa centro-occidentale e tutto il Sud America) è più diffusa la pronuncia “Jiu”. Prima di addentrarci nell’analisi etimologica dei kanji è opportuna una breve digressione di carattere linguistico: l’evatissimo numero di kanji esistenti (oltre 80.000), capace di sintetizzare moltissimi concetti in pochi caratteri, si ottiene mediante la combinazione di più kanji, che fusi insieme danno origine a nuovi caratteri, il cui significato è reso mediante associazioni logiche. Se la traduzione corrente di “Ju Jitsu”, resa come “arte della cedevolezza” sia formalemtne corretta e descriva in modo sufficientemente preciso le caratteristiche salienti della disciplina, un’approfondita etimoligia dei termini rivela ulteriori livelli di significato. I kanji 柔 e 術,esaminati singolarmente,forniscono una visione significativamente più profonda e dettagliata della discilina: ricostrutendo l’etimologia di 柔 (Ju) notiamo che il kanji si compone di due distinti caratteri disposti verticalmente: il primo, 矛 (hoko), che significa lancia (e per estenzione “arma”), il secondo, 木 (ki), che significa legno.
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Ci troviamo di fronte ad uno dei casi in cui l’etimologia non è immediatamene riconducible al significato finale: un “legno da lancia”, abbastanza morbido da poter essere facilmente tagliato, adatto ad essere adoperato per un’arma leggera e maneggevole. Le caratteristiche principali di tale materiale risultano quindi essere la morbidezza e l’adattabilità: il significato finale del kanji racchiude una vasta gamma di significati, dall’adattabilità all’efficacia, dalla morbidezza all’attitudine guerriera, legati insieme in una perfetta sintesi resa mediante l’utilizzo di una singola immagine.
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Anche il kanji 術 è il risultato dell’unione di due caratteri, posti l’uno all’interno dell’altro: il kanji 行 (iku), costituito dai tratti più esterni dell’ideogramma, rappresenta l’incrocio di due strade (e quindi anche il camminare, la circolazione di merci, idee e persone); il kanji 朮 (mochiawa), che occupa la parte centrale dell’ideogramma, rappresenta invece il grano.
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L’incontro dei due concetti da vita ad una stupenda immagine, che riporta alla mente la bellezza essenziale degli haiku: “il grano che cresce all’incrocio della stada”. Tale immagine tratteggia una raffinatissima visione dell’arte intesa come il frutto dell’unione delle diverse persone e delle loro esperienze. L’analogia tra l’arte ed il grano, priniciapale fonte di nutrimento per il corpo, pone l’esperienza estetica come prima fonte di nutrimento spirituale. Nel contesto culturale orientale, che usa definire “arte” qualunque attività umana, nel momento in cui questa raggiunge il suo più alto livello di espressione, l’importanza dell’esperienza estatica assume quindi un ruolo di primissimo piano. Le arti marziali, le discipline militari, al pari di altri riti sociali e religiosi (dalla cerimonia del tè alle pratiche ascetiche e meditative), si accostano quindi alle classiche arti figurative e letterarie: tra queste, considerata la natura ideogrammatica della scrittura giapponese l’arte calligrafica, molto più vasta e complessa rispetto a qualunque corrispettivo occidentale, assume un ruolo di primissimo piano. Non a caso, lo Shodo (書道 via/arte della scrittura), con i suoi cinque stili e le moltissime scuole, è considerato in giappone tra le più alte espressioni culturali, nonchè esso stesso fonte di cultura, avendo a sua volta influenzato altre forme artistiche, che da questa disciplina hanno mutualto ia il profondo senso estetico sia il substrato filosofico: tra queste troviamo la xiligrafia, l’ikebana (arte della disposizione dei fiori) e la pittura sumi-e (墨絵).
Francesco Malvano 69
Jeet Kune Do
I
l JKD è uno sport da combattimento a contatto pieno estremamente vasto: questa disciplina combina le tecniche di numerose arti marziali, permettendo così all’atleta un’infinita varietà di possibili combinazioni per vincere l’avversario. Si svolge sia in piedi che a terra, con l’utilizzo di tecniche di grappling (strangolamenti, portate a terra, leve articolari) e di striking (calci, pugni, ginocchiate, gomitate).
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Il lato sporti
ivo del JKD
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Nel JKD il corpo viene utilizzato in maniera globale: la necessità di utilizzare sia colpi in piedi che la lotta corpo a corpo impone all’atleta di sviluppare numerosi aspetti della proprie capacità fisiche. La preparazione atletica risulta pertanto fondamentale: in una disciplina a così elevato impegno organico, la sola preparazione tecnica non consente all’atleta di raggiungere il massimo del suo potenziale: è indispensabile pianificare un’adeguata preparazione atletica, da sviluppare nell’arco dell’intera stagione. Andando ad analizzare da un punto di vista atletico le qualità fisiche utilizzate nel JKD, ci accorgiamo che gli atleti utilizzano il corpo in molteplici situazioni, che spaziano dalla lotta al combattimento in piedi. È possibile individuare le numerose qualità atletiche che vengono impegnate durante un incontro, ciascuna delle quali dev’essere allenata tramite esercizi specifici:
Forza assoluta La massima forza che l’atleta riesce a sviluppare. Essa è fondamentale nelle fasi di lotta, per spostare, afferrare, sopraffare ed evitare l’avversario, soprattutto a terra.
Forza esplosiva Una manifestazione di forza massima sprigionata con estrema rapidità. Si può definire come accelerazione della forza, ossia capacità di imprimere una forza elevata in tempi brevi. Essa è indispensabile per colpire efficacemente l’avversario, per afferrarlo e dominarlo, anche nella lotta a terra, e per liberarsi dalle prese. La forza esplosiva si manifesta e si allena con gesti particolarmente veloci, ma è inevitabilmente influenzata dalla forza massimale.
Forza veloce La capacità di superare resistenze moderate con un’elevata velocità di contrazione. La forza veloce è alla base delle tecniche di calcio e pugno utilizzate durante l’incontro di JKD
Forza resistente La capacità del muscolo di produrre forza per un tempo prolungato; essa viene utilizzata dall’atleta durante la lotta, in quanto in questa fase del combattimento il continuo contatto con l’avversario obbliga l’atleta a molteplici contrazioni muscolari per impedire di essere sopraffatto.
Resistenza alla forza veloce La capacità di esprimere elevati livelli di forza veloce; questa capacità viene sfruttata nelle tecniche di calcio e pugno per un tempo lungo. Risulta indispensabile se l’incontro si sviluppa prevalentemente con scambi di colpi in piedi, per garantire l’adeguata velocità all’atleta.
Forza speciale o forza specifica La forza espressa nei gesti atletici specifici del JKD, che pertanto si sviluppa nei colpi e nella lotta. La forza speciale rappresenta la capacità dell’atleta di utilizzare il proprio corpo al meglio durante ogni incontro.
Reattività La capacità dell’atleta di eseguire movimenti e sviluppare forze in tempi rapidi; corrisponde alla capacità di rispondere nel minore tempo possibile alle differenti situazioni che si evolvono durante l’incontro.
Allenamento cardiovascolare La capacità dell’organismo di fornire ossigeno e sangue ai muscoli. Questa definizione implica un discorso di condizionamento organico e non solo muscolare: il sistema respiratorio, il sistema cardiocircolatorio e l’apparato muscolare sono coinvolti in questo condizionamento. È indispensabile in ogni fase dell’incontro, dato che un atleta senza fiato non può sopraffare l’avversario, ma anzi viene inevitabilmente sopraffatto da esso. L’impegno energetico in questa disciplina è misto aerobico /anaerobico, quindi la classica attività cardiovascolare non è la strategia migliore per condizionare l’organismo; piuttosto bisogna utilizzare attività di soglia ed HIIT. L’ High Intensity Interval Training è un metodo di allenamento cardiofitness. Si tratta di una forma avanzata di Interval training (IT), che prevede l’alternanza tra periodi di esercizio anaerobico breve e intenso a periodi di recupero attivo mediante attività aerobica meno intensa in maniera consecutiva sullo stesso esercizio. L’HIIT è una forma di allenamento cardiovascolare misto.
Coordinazione ed equilibrio La capacità dell’atleta di controllare il proprio corpo, sono un’ulteriore componente atletica fondamentale per confrontarsi con l’avversario, sia nelle fasi di lotta che negli scambi in stazione eretta.
Massimo Gitto
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Karate
Nei miei 45 anni di attività ho sentito decine di definizioni a riguardo, tutte perfettamente lecite, tutte perfettamente giustificate, tutte perfettamente primeggianti sulle altre. Allora, cos’è il karate? Sembrerebbe di tutto ed il contrario di tutto. Forse dovremmo modificare la domanda: cosa non è il karate? Forse in questo modo si riescono a mettere insieme molte risposte apparentemente discordanti tra loro. Il Karate non è una forma di violenza gratuita, non è uno sport, non è una disciplina sic e simpliciter, non è questo o quello stile. Si incomincia ad intravedere una forma, un qualcosa di riconoscibile. Spingiamoci più avanti.
NON C’È UNO STILE CHE PREVALE SU DI UN ALTRO Un altro argomento che viene affrontato con poca serenità è la primogenitura da assegnare a un maestro piuttosto che ad un altro sull’origine del karate-do. È storicamente documentato che il karate nasce ad Okinawa come una mistura di combattimento autocno (ti) con discipline che provengono dalla Cina meridionale, con cui l’isola intratteneva rapporti di vassallaggio.
S
ccopo di questo articolo è quello In Okinawa ci sono tre città importanti, ognuna con le sue specificità commerdi rispondere allepunto domande ciali e culturali. Questi tre centri diventano, ciascuno, di incontro per di persone che conoscono arti marziali cinesi anche diverse tra loro. Queste attività eccellenza ci vengono poste vengono elaborate sulle necessità proprie che degl’isolani. Cosa viene fuori? A Naha il Naha-te, a Shuri lo shuri-te, a Tomari il tomari-te. Quali differenze? Un e a cui vengono date l’ultimo. risposte nondi pò più duro uno,sempre un po’ più sciolto l’altro, un po’ più veloce Ognuno questi stili comunque, al proprio interno, presenta caratteristiche degli altri. Il maestro più veloce dirà: il karate è “la velocità”, più forte dirà: il karate è sempre serene: cos’è ilquello karate? “la potenza”, quello più agile dirà: il karate è “l’agilità”.
Conclusione? Tre scuole apparentemente diverse ma che operano su principi identici. Stiamo parlando del Ba Gua, del Tai-chi Chuan, della Boxe cinese, della Gru Bianca dello Yunnan e dello Shaolin di Fukien. Queste discipline sono state innestate sulle pratiche indigene e hanno dato vita a queste tre scuole. Sarebbe però fuorviante parlare del karate senza parlare del kobudo, a cui questo è intimamente legato.
La ricerca di un’origine certa dove collocare un paletto di partenza delle discipline di Okinawa è stata una volontà costante che ha dato i suoi frutti dopo anni di ricerche. 76
Cos’è il Karate?
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Nei miei 45 anni di attività ho sentito decine di definizioni a riguardo, tutte perfettamente lecite, tutte perfettamente giustificate, tutte perfettamente primeggianti sulle altre. Allora, cos’è il karate? Sembrerebbe di tutto ed il contrario di tutto. Forse dovremmo modificare la domanda: cosa non è il karate? Forse in questo modo si riescono a mettere insieme molte risposte apparentemente discordanti tra loro. Il Karate non è una forma di violenza gratuita, non è uno sport, non è una disciplina sic e simpliciter, non è questo o quello stile. Si incomincia ad intravedere una forma, un qualcosa di riconoscibile. Spingiamoci più avanti.
Non c’è uno stile che prevale su di un altro Un altro argomento che viene affrontato con poca serenità è la primogenitura da assegnare a un maestro piuttosto che ad un altro sull’origine del karate-do. È storicamente documentato che il karate nasce ad Okinawa come una mistura di combattimento autocno (ti) con discipline che provengono dalla Cina meridionale, con cui l’isola intratteneva rapporti di vassallaggio. In Okinawa ci sono tre città importanti, ognuna con le sue specificità commerciali e culturali. Questi tre centri diventano, ciascuno, punto di incontro di persone che conoscono arti marziali cinesi anche diverse tra loro. Queste attività vengono elaborate sulle necessità proprie degl’isolani. Cosa viene fuori? A Naha il Naha-te, a Shuri lo shuri-te, a Tomari il tomari-te. Quali differenze? Un pò più duro uno, un po’ più sciolto l’altro, un po’ più veloce l’ultimo. Ognuno di questi stili comunque, al proprio interno, presenta caratteristiche degli altri. Il maestro più veloce dirà: il karate è “la velocità”, quello più forte dirà: il karate è “la potenza”, quello più agile dirà: il karate è “l’agilità”. Conclusione? Tre scuole apparentemente diverse ma che operano su principi identici. Stiamo parlando del Ba Gua, del Tai-chi Chuan, della Boxe cinese, della Gru Bianca dello Yunnan e dello Shaolin di Fukien.
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Queste discipline sono state innestate sulle pratiche indigene e hanno dato vita a queste tre scuole. Sarebbe però fuorviante parlare del karate senza parlare del kobudo, a cui questo è intimamente legato.
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Sembrerebbe tutto molto semplice, in realtà queste metodologie, prima di ricevere l’imprimatur di scuole di karate, hanno visto l’impegno e la determinazione di uomini che hanno speso la loro vita alla ricerca di un sistema complessivo di autodifesa che fosse applicabile e perciò efficace e che permettesse una discreta possibilità di sopravvivenza ai praticanti. Successivamente questa disciplina, come del resto il kobudo, arrivata in Giappone si è misurata con discipline marziali collegate intimamente con la cultura e la religione giapponese e, con pieno merito, è stata inserita nel contesto del BUDO. Da questo momento, quindi, parlando del karate di Okinawa possiamo usare il termine karate-do. Alla fine della mia ricerca ho trovato quattro personaggi veramente eccezionali che ritengo i veri precursori di quello che oggi è definito il karate moderno: SOKON MATSUMURA (1809- 1901) Da cui avrà origine successivamente lo SHORIN-RYU, nacque nel villaggio di Yamagawa vicino a Shuri. Come tanti giovani del luogo apprese i fondamentali del Ti dai maestri della zona. Successivamente imparò da Sakugawa Satanushi, che viveva ad Akata vicino a Shuri, l’arte del bastone (kun in cinese e Bo in giapponese). Anch’egli, come gi altri maestri, si recò a Fuchou e poi a Satsuma. Apprese da Ason e Iwah alcune forme di boxe cinese. Successivamente fu iniziato alla scuola di spada Jigen-ryu dal maestro Yashichiro Ijuin. Matsumura insegnò nel villaggio di Sakiyama vicino a Shuri. Tra i suoi allievi ebbe: Anko Itosu, Kentsu Yabu, Chomo Hanashiro, Gichin Funakoshi, Chotoku Kyan, Anko Asato, Kiyuna Pechin Sakihara Pechin Rosei Kuwae.
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KANRYO HIGAHONNA (1853-1917) Ideatore della scuola SHOREI-RYU da cui deriverà successivamente la scuola GOJURYU del maestro CHOJUN MIYAGI (18881953), nacque a Naha, ventenne, dopo aver approdato nella sua fanciullezza al TI di Okinawa, divenne allievo di Seisho Arakaki Maestro di TO-DE in Naha. Si recò successivamente nella Cina sudorientale a Fuchou dove fu allievo del Maestro RU-RU-KO(Ryuei-ryu).In questa scuola conobbe Wai Shin Zan un cinese che come diplomatico si recò successivamente ad Okinawa. Da lui Higaonna apprese un metodo di combattimento segreto chiamato Hsing-i. Ritornato ad Okinawa incominciò ad insegnare ad un piccolo gruppo di giovani allievi tra cui emersero Chojun Miyagi, Juhatsu Kyoda e Koki Shiroma. Higaonna chiamò il suo stile Shorei-kyu (stile dello spirito illuminato) che ad Okinawa veniva chiamato comunemente Naha-te KANBUN UECHI (1877- 1948) Fondò la scuola dello UECHI-RYU Anche Kanbun Uechi come Higaonna e Nakaima, si recò a Fuchou per imparare la boxe cinese. Conobbe Shu Shi Wa, un’esperto nella forma di boxe cinese chiamata Pangai Noon(duro-morbido). Insegnò a Wakayama nella parte centro-occidentale dell’isola di Honsù. Ebbe, tra i suoi allievi, il figlio Kanyei che al ritorno ad Okinawa, dopo aver insegnato per oltre due anni ad Osaka, aprì il centro di ricerca del karate-jutsu Uechi ryu.
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GICHIN FUNAKOSHI (1868-1957) Il divulgatore per eccellenza del karate è stato il Maestro Gichin Funakoshi. Ha dato un nome che chiarisse la differenza tra le discipline cinesi e quelle di Okinawa: KARATE, usando kanji giapponesi al posto di quelli cinesi. Ha portato il karate da questa sperduta isola all’estremo sud del Giappone a Tokio, la sua capitale.Ha ideato una pedagogia di insegnamento così semplice che a permesso una divulgazione orizzontale della disciplina che si è estesa in poco tempo in tutto il Giappone e in pochi anni è penetrato in tutto il mondo. Ha colto l’importanza d’una divisa propria creando il karategi, copia più duttile del judogi. Ha avuto la lungimiranza d’una gradualità dei livelli già attiva nello judo. Stiamo parlando di una temporalità molto vicina ai nostri tempi, siamo infatti, negli anni 20, quindi in meno di cento anni il karate è passato da una attività praticata di nascosto in vecchi cimiteri o sulle rive di spiagge desolate e poi in doji minimali ad una pratica che coinvolge decine di milioni di persone in centri altamente specializzati in tutto il mondo.
Conclusione Molti altri maestri hanno reso possibile la trasmissione del karate-do nel mondo. Alcuni di essi sono molto noti, altri praticamente sconosciuti. Alcuni hanno dato vita a stili che oggi sono praticati da centinaia di migliaia di atleti, altri si sono spenti lungo le difficili strade della ricerca, altri insegnano questa disciplina nel chiuso dei loro dojo senza preoccuparsi dei grandi numeri o dell’appartenere o meno a grandi organizzazioni. Tutti, ma veramente tutti, hanno posto una piccola pietra per costruire questa grande realtà che si chiama karate-do.
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Luca Raucci
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Nei Qi Gong T
utte le arti marziali si basano e parlano di energia (Qi, Ki, Prana) ma quante hanno al loro interno uno strumento adatto a sviluppare e padroneggiare queste energie?
Come mai ci hanno sempre mostrato il vecchio Maestro che nonostante l’età avanzata riusciva a manifestare una grande potenza ed invece nella nostra realtà questo non avviene? Il Nei Qi Gong è il metodo che permette al praticante di prendere consapevolezza e padronanza dell’energia che è in ognuno di noi ed in tutto ciò che ci circonda. Il Nei Qi Gong parte dallo studio delle manifestazioni energetiche più dense, più fisiche, per arrivare allo studio delle manifestazioni più sottili, più interne, ma allo stesso tempo realmente dimostrabili. Il metodo viene insegnato attraverso seminari ed è strutturato in sei livelli di base e sei livelli superiori. Ogni praticante di Arti Marziali, ogni terapeuta e tutte le persone interessate ad evoluzione spirituale dovrebbero studiare il Nei Qi Gong, perché con questo metodo si vanno a coltivare le energie interne che sono il cuore di ogni attività Umana.
Costantino Valente
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comitati regionali
friuli progetto anti bullismo a cura di: Massimo Gitto Ottima partenza per Il progetto anti-bullismo organizzato dalla Segreteria Regionale Friuli in collaborazione con il Masayume Dojo di Monfalcone. Il Corso, rivolto alle ragazze dagli 11 ai 18 anni, storicamente e statisticamente fascia pi첫 sensibile al fenomeno. Il programma, che vuole essere pi첫 specifico rispetto alla generica e sola difesa personale, verte su lezioni pratico-teoriche di tecniche difensive, coadiuvate da altre tre sezioni, comprendenti gli aspetti psicologici del fenomeno, curata dalla Dot.ssa Elisa Brumat, psicoterapeuta, la noirmativa vigente, a cura del
nord italia
Dott. Alessandro Ceresi avvocato penalista e il rapporto con le autorità , in collaborazione con l’Arma dei Carabinieri. Le 16 ore di lezione, a cadenza bisettimanale, alternano l’insegnamento tecnicopratico con le tre lezioni teoriche. Obiettivi principali del corso sono quelli di aiutare le ragazze a riconoscere i pericoli, i soggetti pericolosi, i comportamenti aggressivi e ad imparare a gestire le situazioni che si presentano, costruendo nel tempo un efficace sistema di riconoscimento e gestione del pericolo. Il corso inoltre ha inoltre la fialità di creare una maggiore consapevolezza del proprio corpo, della propria agilità , e della propria concentrazione. Le esercitazioni pratiche permettono di prendere confidenza con le tecniche, aumentando la fiducia nei propri movimenti ed in se stesse.
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comitati regionali
Il messagio principale da trasmettere alle ragazze è che la violenza non è mai la prima e nemmeno la soluzione migliore, ma solo una estrema ratio che non è mai priva di conseguenze. Il sistema didattico è basato su un numero limitato di principi e di tecniche funzionali, applicabili da subito in situazioni di reale pericolo. Per questo è adatto soprattutto alle ragazze, che possono reagire ad aggressioni e tentativi violenza, in una frazione di secondo, in qualsiasi ambiente. Per raggiungere rapidamente questo obiettivo, viene utilizzato un metodo progressivo che riproduce, con crescente realismo, le condizioni svantaggiose tipiche di un attacco reale, sia ambientali che psicologiche. Tutte le esercitazioni vengono svolte nella massima sicurezza, segurando protocolli operativi consolidati, per rendere ogni situazione automatica ed immediata. Il programma del corso comprende: • • • • • • • • • •
Stretching strutturale; Allenamento Aerobico; Tecniche a terra; Autodifesa con oggetti di uso comune trasformati in armi (penne, chiavi, ombrelli, giornali, giacconi, borsette, ecc.); Valutazione e gestioni delle emozioni che si provano da vittime, Caratteristiche del bullismo, la vergogna ed il chiedere aiuto Reazione ad atti di bullismo Nozioni legali di legittima difesa Il rapporto con le Forze di Polizia, la fiducia nella divisa Educazione alla legalità.
Già pronto il programma esteso, ad appannagio di tutte le interessate che desidereranno contiunare l’attività sino alla fine dell’anno.
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comitati regionali
LIGURIA mma cup sanremo a cura di: Fabio Forte Si è svolta a nella prestigiosa cornice di Villa Ormond (Sanremo) la prima edizione della Mixed Martial Art Cup, competizione multi stile di combattimento e forme. L’organizzazione del maestro Fabio Forte del Chikara Dojo di Sanremo e dal comitato regione Liguria della MAA ha potuto contare sulla partecipazione di diverse scuole nazionali ed internazionali di arti marziali, tra queste: Thai Boxe (Sanremo), Club Puket (Ventimiglia), Sambo Lutie Strike de Voiron (Francia), Gladiator Fightin Academy (Ventimiglia), Palestra Weia (Sanremo), ASD Nuova Shougun (Torino), Urban Sport Center (Francia). Il Ricco programma di gare ha contato ben 25 incontri di MuayThai, MMA, Grappling e un incontro dimostrativo di Boxe. Una giornata di puro Sport e Agonismo ricca e coinvolgente, impreziosita dalle dimostrazioni di Aikido del Maestro 6° Dan Giovanni Vico e di Sanda dell’istruttore Davide Vadalà (Kungu/Wushu), che ha riscosso un notevole successo di pubblivo, già in trepida attesa per la proissima edizione.
nord italia
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comitati regionali
lazio stage settore KARATE a cura di: Paolo Facioni Il giorno 14 Giugno 2015 in Tivoli (RM), abbiamo dato luogo ad uno Stage Settoriale del Karate Do, che ha riunito diversi stili di Karate inun appuntamento amichevole all’insegna dello studio e della condivisione. Un nutrito gruppo di oltre 100 karateka, tra Maestri, Istruttori, Allenatori ed allievi, ha partecipato, durante la giornata, alle diverse attività organizzate dal comitato regionale, tra cui Kata sincronizzato; Kumite sportivo; Esami di Cintura e Tecniche Anti Aggressione. I tanti praticanti hanno vissuto, con spirito di umiltà, e senso dell’umorismo, una giornata meravigliosa e stracolma di emozioni, sotto l’esperta guida dei docenti MAA, M° Morra Alberto, D.T.N. Karate Shotokan Maa e Coord. Tecnico regionale Maa e M° Mariotti Renato Resp. Settore Shotokan Karate Do Lazio Maa, coadiuvati da Insegnanti ed Istruttori provenienti da altri enti e Discipline Marziali. Un Evento federale riuscito in pieno, considerando anche il “vivaio” carico di bambine e bambini che seguono il Karate Do.
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centro italia
comitati regionali
Anche durante la brevissima pausa estiva, il Comitato Reg.Lazio Maa continuerà comunque il proprio lavoro, stiamo preparando infatti nuove iniziative che coinvolgeranno tutte le Discipline Marziali presenti nela MAA. Sono inoltre in cantiere programmi e corsi che promuoveremo dal nuovo anno, tra cui: Corsi per Arbitri Federali; Corsi per Allenatori ed Istruttori Federali. In qualità di Comitato regionale, al nostro prossimo evento presenteremo nuovi insegnati provenienti da diverse Discipline Marziali e Sport da Combattimento, prossimi ad entrare far parte della nostra federazione. Ma non è tutto: abbiamo in programma Campi estivi durante i quali Insegnati e praticanti potranno prendere parte svolgeranno attività marziali alternando il momento di svago con le attività di studio e di allenamento. Infine, sono già stati presentati diversi progetti di autodifesa rivolti agli alunni delle Scuole primarie e secondarie, curati direttamente dalla segreteria regionale.Insomma, tra moltissimi impegni e progetti, l’attività della segreteria non conoscerà pause! Salutando tutti i lettori interessati ai nostri programmi, vi diamo appuntamento ai prossimi eventi federali organizzati nella Regione Lazio.
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comitati regionali
basilicata stage interazionale a cura di: Roberto Giano La Segreteria Regionale MAA Basilicata organizza presso Viggiano (PZ), il 25-26 Luglio 2015, uno Stage Internazionale di Arti Marziali, con docenti provenianti da Italia, Germania e Svizzera. Tante le lezioni in programma, con arti marziali oreientali ed occidentali, tenute da docenti di atilissimo livello, tra cui: So- Shi Soke Massimo Curti Giardina (9° Dan Ju Jitsu), M° Antonino Marchese (8° Dan Karate) M° Tiberio Abategiovanni (7° Dan Kenpo) Giuseppe Pace (6° Dan Ju Jitsu) M° Roberto Giano (4° Dan Krav Maga) M° Raffaele Irminio (Bastone Siciliano). Durante l’evento si terrà inoltre la prima presentazione uffficale del progetto “MAA INTERNATIONAL / HERBALIFE”, in virtù del protocollo di intesa internazionale siglato dalle due organizzazioni. La presentazione sarà curata da Francesco Testa, membro indipendente Herbalife e Vito Poderico, Consigliere Internazionale, Responsabile per i rapporti di partnership MAA INTERNATIONAL / HERBALIFE. Location dello stage, organizzato in collaborazione con l’A.S.D. “Accademia delle arti marziali Italia”, è l’hotel Kris, via G. Falcone, VIlla D’agri (PZ), dove sarà possibile per gli stagisti soggionrare in trattamento di pensione completa grazie alla convenzione con la struttura. Tutti gli interessati possono contattare dirattamente la Segreteria Regionale ai numeri: 331.5027385 o 347.7992668.
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maamagazine 2.0 maamagazine2.0@gmail.com