MAAMAGAZINE 2.0 - Num. 4

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Web Magazine di Arte e Cultura Marziale - Numero 4 - Gennaio 2016



ANNO II - NUMERO 4 - Gennaio 2016 Web Magazine di Arte e Cultura Marziale Editore Martial Arts Alliance International Direttore Editoriale Francesco Malvano capo redattore Massimo Curti Giardina redattorI NAZIONALI Flavia Tocchi

Cristiano Curti Giardina

Claudio Comotto

Alfredo Vivenzio

redattorI REGIONALI Basilicata Roberto Giano Campania Luca Raucci Friuli-Venezia Giulia Massimo Gitto Lazio Alberto Morra Liguria Fabio Forte Piemonte Vincenzo Volpino Puglia Coriolano Nino Siena Sicilia Giuseppe Pace Toscana Rosario Castronovo Umbria Tiziano Bonifazi Veneto Armando Feliciotti HANNO COLLABORATO A QUESTO NUMERO Pasquale Franzò

Sara Borriello

Redazione Via F. Bottazzi 36 - 80126 Napoli cell:. (+39) 333/1432283 mail: maamagazine2.0@gmail.com


Ryuutou Dabi Testa di drago, Coda di serpente L

e discipline sportive mutano e si evolvono nel corso del tempo. Sono anni che molti “maestri” si dilettano nella “Corsa ai Dan”, prodigandosi in velocissime staffette da un’organizzazione all’altra per ottenere, nel più breve tempo possibile, gradi sempre più alti. Inevitabilmente, con il passare del tempo questa pratica è diventata sempre più inflazionata, tanto che il numero di tacche sulla cintura sta diventando sempre meno indicativo del reale valore del marzialista. Così, tra i (troppi) maestri in possesso dei più alti gradi nelle loro discipline sta diventando sempre più popolare la pratica di creare un proprio stile personale. Prima di procedere oltre, un opportuno chiarimento: come tutto quello che ruota intorno alle arti marziali, non si tratta affatto di un’invenzione recente. Anche le più antiche scuole di arti marziali prevedono, da sempre, la possibilità di lasciare ai propri esponenti più meritevoli la possibilità di diversificare i loro insegnamenti da quelli della scuola madre, ma ciò avviene seguendo un iter ben preciso. Nelle koryu giapponesi, ad esempio, veniva utilizzato il Menkyo, un sistema di licenze ben più antico dello schema kyu/dan introdotta da Jigoro Kano. Il Menkyo prevede il conseguimento di cinque attestati di merito: l’okuiri (ingresso nell’arte), il mokuruko (certificato, diiviso in Sho e Go, inferiore e superiore), ed appunto il menkyo (licenza di trasmissione, al quale segue l’ultimo grado, il menkyo kaiden (licenza di trasmissione completa) che autorizza il discepolo ad insegnare la propria disciplina al di fuori dell’hombu dojo, creando una ryu-ha, ovvero una nuova branca della scuola madre. Il sistema menkyo, che viene tutt’ora adoperato dalle koryu in abbinamento alla usuale gradazione del Budo, ha permesso a molte scuole di espandere le proprie aree di attività e proporre i propri insegnamenti in contesti sia tradizionali che moderni. Tale sistema, di cui esistono analoghe versioni in tutti gli stili e le tradizioni marziali (come ad esempio il kung fu, che mediante cerimonia del “Baishi” con la quale il praticante di kung fu viene accettato come “discepolo” del Shifu ed entra a far parte della genealogia dello stile) funge anche come una garanzia di qualità: le scuole rilasciano le proprie licenze solo ai discepoli più meritevoli. Questi, dal canto loro, sono ben consci del prestigio di tale carica e, serbando un grande rispetto nei confronti del proprio caposcuola, del quale non smettono di considerarsi allievi, tramettono ai loro allievi gli stessi principi fondamentali della scuola madre, particolareggiati grazie alle loro ulteriori esperienze marziali. Spesso però la stragrande maggioranza dei maestri occidentali bypassa completamente l’intero iter voluto dalla tradizione e, di punto in bianco, decide di fondare un proprio stile, che si presenta, senza alcun riferimento ad un origine tradizionale e ad un background culturale, come “qualcosa di nuovo”.


Certe volte, tali esperimenti travalicano le singole discipline marziali, dando vita ad improbabili stili che fondono scuole e tecniche provenienti da aree geografiche e contesti completamente differenti, con un miscuglio di movimenti spesso talmente vasto ed eterogeneo da far perdere allo stile qualsiasi identità. Anche in questo caso, nulla di nuovo: esistevano in giappone le “Sogo Bujutsu” (che possiamo tradurre con il termine “accademie di arti marziali”) che proponevano gli insegnamenti di diverse scuole, opportunamente selezionate per la loro matrice comune, che li rendeva perfettamente interfacciabili e combinabili. In ogni caso, le Sogo Bujutsu mantenevano intatti i programmi di ogni singola disciplina, evidenziandone le peculiarità ed i punti di contatto con gli altri insegnamenti. Stiamo assistendo, in altre parole, dalla “corsa al grado” alla “corsa alla novità”. Se fino a qualche anno fa l’attenzione era focalizzata sulla self defence, con la nascita di decine di metodi di autodifesa tutti più o meno simili e nessuno realmente innovativo, oggi si marcia sempre di più in direzione delle “arti marziali miste”, intese non solo come lo stile di combattimento sportivo che si è affermato negli anni 2000 ma più in generale con la ricerca della “ricetta giusta” per creare il perfetto mix di arti marziali… ricetta che si traduce, nella stragrande maggioranza dei casi, nel mischiare, senza troppo ritegno, i colpi dell’arte x, le prese dello stile y, le leve del metodo z. Tale mentalità, oltre che svilire l’efficacia delle singole arti marziali, stimola i praticanti ad uno studio parziale, limitato alle sole tecniche che “funzionino meglio” in gara o per strada. Ci si dimentica che ogni singola art marziale, se utilizzata a dovere, funzione perfettamente, e autonomamente, proprio grazie alla capacità del praticante di portare il combattimento verso le tecniche più efficaci della propria disciplina. A tutto ciò si aggiunge, inutile negarlo, la vanità di molti insegnanti, sedotti dall’idea di essere i “capi” di un’arte (anche se nata l’altro ieri) spesso attribuendosi in maniera del tutto arbitraria titoli come “Soke” o “Shifu” senza che questi siano stati rilasciati da alcuna scuola tradizionale. In oriente si dice: avere la testa del drago e la coda del serpente, ossia mostrare una grande autorità di facciata che non viene alla fine supportata da alcuna sostanza. Con l’immensa varietà di arti marziali che esistono, tutte bellissime, affascinanti, piene di storia e di un valore tecnico certificato da secoli di storia, riconosciuto anche nelle più moderne forme sportive e competitive (i grandi campioni di mma come St. Pierre, Silva, Emelianenko provengono tutti da arti marziali tradizionali) c’è davvero bisogno di sentirsi i “creatori” di qualcosa? Non è sufficiente sentirsi i continuatori di una splendida tradizione secolare?

Francesco Malvano


Il Salto del Dan!

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he il “salto del Dan” fosse ormai diventato una disciplina largamente praticata, nonché un elemento basilare delle trattative tra (pseudo)maestri e (pseudo)organizzazioni, lo sapevamo da tempo… ma non è tutto! Ora basta tradurre in giapponese delle cariche e dei titoli ed ecco che, in pochi passaggi, si diventa Renshi, Kioshi, Hanshi… o addirittura Soke! Naturalmente, la sfacciataggine di tali soggetti trova la massima espressione su facebook e gli altri social network, con la pubblicazione in pompa magna di contenuti pubblicitari e “tecnici,” approfittando della scarsa informazione in merito a regolamenti e quadri tecnici. Oramai lo sanno tutti, ma è sempre bene ricordarlo: il 99% delle sedicenti “Federazioni” operanti in Italia non sono altro che delle ASD affiliate ad Enti di Promozione! Alcuni Enti e (pseudo)federazioni rilasciano con troppa facilità gradi e qualifiche ai propri tesserati, senza svolgere le opportune operazioni di verifica, ma fortunatamente ci sono ancora Enti che non accettano tali scambi e compromessi. Nel 2010, quando ho accettato la carica di Presidente della Martial Arts Alliance, ero pienamente consapevole di stare impostando un movimento in completa controtendenza rispetto al trend del momento, purtroppo ancora identico a quello attuale. Ancora oggi cerco di utilizzare la mia posizione per indurre promuovere, sia tra i tesserati MAA che tra i colleghi appartenenti ad altre organizzazioni, la cultura del rispetto delle regole e dei principi del Budo. L’obiettivo è sempre lo stesso: riunire tutti coloro che amano e rispettano le arti marziali sotto una sola bandiera. Mi ritengo fortunato di aver stabilito con tanti Maestri un rapporto di stima e di assoluta correttezza sia dal punto di vista organizzativo che tecnico. Posso affermare con fierezza che la MAA International non accetta alcun compromesso quando si parla di qualità e trasparenza in materia di gradi e qualifiche, senza regalare niente a nessuno per indurlo a collaborare con la nostra grande alleanza. La MAA International promuove e promuoverà sempre coloro che coloro che non chiedono trattamenti di favore, lavorando con professionalità e con passione nel loro settore. Al Meeting Internazionale di Torino abbiamo accolto tanti nuovi tecnici che credono negli obiettivi della MAA, e che hanno speso parole di elogio nei confronti del nostro staff organizzativo, del corpo docente e delle commissioni tecniche.


In piena trasparenza, presentiamo sul sito nazionale i programmi tecnici di tutti gli stili e metodi che vengono diffusi sul territorio, insieme all’albo nazionale delle cinture nere, l’albo dei Direttori Tecnici Nazionali e dei Capiscuola accreditati, oltre all’elenco aggiornato dei Docenti che operano presso la nostra alleanza. A Torino sono stati inoltre nominati per il 2016 dal nostro Ufficio di Presidenza 11 Comitati Regionali e tantissimi Comitati Provinciali, che con i loro staff (oltre 100 membri pronti ad operare su tutto il territorio nazionale) provvederanno alla diffusione capillare dell’attività associativa. Tutte le nomine sono state assegnate unicamente in base a criteri meritocratici, premiando in particolare gli associati che hanno dimostrato di credere, fin dal primo momento, nel nostro progetto. Grazie a loro, e al supporto dell’ACSI, stiamo lavorando per organizzare un 2016 ricco di eventi, competizioni e corsi di formazione e di specializzazione per i nostri tesserati.

Massimo Massimo Curti Giardina Curti Giardina

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La MAA presenta il progetto Black Belts Alliance International. Lo scopo del progetto BBA è dare l’oportunità a tutte le cinture nere, operanti e non all’interno della MAA INTERNATIONAL di entrare a far parte, gratuitamente, di una grande famiglia di artisti marziali internazionali, per condividere idee, progetti, professionalità e competenze. Nata nel 2013, la BBA ha ottenuto consensi in oltre 30 Paesi in tutto il mondo, con eventi organizzati in partnership con le principali organizzazioni di arti marziali e sport da combattimento. L’adesione alla BBA INTERNATIONAL è comletamente gratuita e da l’opportunità di ionserirsi in un network internazionale con grande copertura mediatica, garantita da siti web, riviste e la prsenza costante sui magiori social network. La BBA INTERNATIONAL mette a disposizione di tutti i marzialisti un albo internazionale accessibile gratutamente, nel quale vengono inserirti solo i tecnici e le cinture nere in possesso di una documentazione ufficiale comprovante il loro grado.

i numeri della bba

5 40 presenti in

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membership kit Tutti gli iscritti alla BBA possono richiedere il Membership Kit composto da:

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per info e registrazione www.bballiance.net

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stili e discipline


INTERNATIONAL MEETING 2016 5/8 MAGGIO - ADEJE (ISOLE CANARIE) La Maa International è lieta di invitarvi al primo Meeting Internazionale MAA Spagna, che si terrà dal 5 all’8 maggio presso Adeje, nelle Isole Canarie. Adeje è una delle più belle città dell’isola di Tenerife, nel cuore dell’arcipelago delle Canarie. Nel XIV secolo, un centinaio di anni prima della conquista delle isole, in questo luogo si trovava il Menceyato de Adeje, la corte del mencey Guancio Sunta e di suo figlio Tinerfe, da dove ha dichiarato l’unificazione dell’isola sotto il suo governo e che i nove figli di Tinerfe successivamente si spartirono in altrettanti regni. Pertanto Adeje è stato il luogo di origine e la principale sede del governo e della cultura Guancia in quel momento storico, oltre che la sede di tutti i Menceyes (Reyes aborígenes). l’Isola offre diversi siti di interesse turistico, come la Chiesa di Santa Úrsula, risalente al XVI secolo, che conserva all’interno elementi architettonici arabo-cristiano ed elementi barocchi; la Chiesa del Convento di Nostra Signora di Guadalupe e San Pablo, risalente al XVII secolo, dichiarata Bene di Interesse Culturale nel 1986; La Casa Fuerte, edificata nel 1556 da Pedro de Ponte, che ospitò in varie occasioni il corsaro John Hawkins; Il Barranco del infierno, il Monumento dedicato a Tinerfe El Grande, il Museo di Arte Sacra.



E’ stato scelto per la permanenza durante l’evento l’Hotel Jardin Caleta, Situato a La Caleta, a 50 metri dalla spiaggia di La Enramada, con alloggi panoramici, 3 piscine all’aperto e vasca idromassaggio, ristorante a buffet con barbecue, bar a bordo piscina, terrazza solarium e bar sport con tavolo da biliardo e freccette, che organizza eventi di intrattenimento serali. Presso il Jardin Caleta troverete un parco giochi per bambini, un miniclub, un tavolo da ping-pong e diverse piscine, di cui una riscaldata in inverno. L’hotel dista 1 km dal Costa Adeje Golf Resort e fornisce il servizio di noleggio auto e biciclette.

offerta maa INTERNATIONAL Riservata ai partecipanti al meeting ed agli accompagnatori

TIPOLOGIA DI CAMERA MEZZA PENSIONE PENSIONE COMPLETA Singola 39,60 46,53 Doppia 28,80 35,55 Tripla 25,20 31,95 Prezzi a notte per persona, non complensivi di IGIC (+7%)


L’evento verrà ospitato presso il Pabellon Deportivo del Galeon. In programma uno Stage Interdisciplinare con Docenti Internazionali, Gare Internazionali di Martial Fighting System, Duo System, Kata, Freestyle, Red Ribbon Competition.

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Italia-Gi

150 anni di am Il 25 agosto 1866 Italia e Giappone firmavano il Trattato di amicizia e di commercio che auspicava “pace perpetua ed amicizia costante tra Sua maestà il Re d’Italia e Sua maestà il Taicoun, i loro eredi e successori” e tra i rispettivi popoli, “senza eccezione di luogo o persona”. L’augurio, formulato nel primo articolo dell’accordo, è diventato realtà: nei 150 anni trascorsi dalla firma del trattato, le relazioni tra Italia e Giappone sono state costantemente amichevoli. Nel periodo successivo all’apertura delle relazioni ufficiali, varie circostanze contribuirono a determinare una significativa convergenza di interessi tra i due paesi. Innanzitutto, Italia e Giappone erano uniti da complementari esigenze commerciali. L’Italia, per la quale la sericoltura costituiva una fondamentale attività economica, era alle prese dal 1854 con una perniciosa infezione che aveva colpito quasi tutte le aree sericole della penisola. Questa epidemia, diffusa anche nel resto d’Europa, spinse gli imprenditori italiani a guardare con interesse al mercato delle uova di baco da seta giapponese. Per il Giappone, d’altro canto, la domanda italiana costituiva un’importante fonte di rendita: si calcola che tra la fine del periodo Tokugawa (1603-1868) e l’inizio del periodo Meiji (1868-1912) l’Italia sia arrivata ad assorbire fino ad un quinto delle esportazioni giapponesi. Oltre che da fattori commerciali, la cordiale intesa tra i due popoli era favorita anche dall’aura di simpatia creata intorno all’Italia dal Risorgimento. Agli occhi dei giapponesi, l’esperienza risorgimentale italiana appariva molto simile alle vicende che, pressappoco negli stessi anni, avevano causato la fine dello shogunato e la Restaurazione Meiji (1868). Con queste premesse, non stupisce che, nel 1881, il vascello italiano Vettor Pisani sia stata la prima imbarcazione straniera a ricevere l’onore di una visita dell’Imperatore giapponese. che grande impulso avrebbe dato alla reciproca conoscenza della cultura dei due paesi.

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iappone

micizia costante Del resto, l’ottimo stato delle relazioni bilaterali era stato confermato anche otto anni prima, in occasione della visita in Italia della missione Iwakura (1871-3). La missione diplomatica, salpata dal Giappone alla volta degli Stati Uniti e dell’Europa, aveva il duplice scopo di presentare le credenziali del nuovo governo giapponese agli stati visitati e di far acquisire al Giappone conoscenze dirette sulle loro istituzioni politiche, economiche e giuridiche. In Italia, la delegazione giapponese si fermò dal 9 maggio al 3 giugno 1873, visitando varie città. Nel 1888, fu istituita la Società italo-giapponese (Nichi-I gakkai) che grande impulso avrebbe dato alla reciproca conoscenza della cultura dei due paesi. La Prima guerra mondiale vide Italia e Giappone schierati al fianco delle potenze della Triplice intesa (Francia, Gran Bretagna, Russia). Anche dopo la firma del trattato di pace, le strade dei due paesi non si separarono. Nel clima fortemente impregnato di idealismo dell’immediato dopoguerra, Roma e Tokyo diventarono sempre più vicine: sul piano simbolico, in seguito alla visita in Italia del futuro imperatore Hirohito, avvenuta nel 1920; sul piano materiale, grazie al primo volo Roma-Tōkyō, effettuato nello stesso anno da due piloti italiani. Purtroppo, i due paesi finirono col condividere anche il nefasto processo che portò alla crisi della democrazia liberale e all’espansionismo militaristico, come testimoniato dal Patto anti-Komintern (1937) e dal Patto tripartito (1940). Il 1945 segnò un nuovo inizio per Giappone ed Italia. Ancora una volta, le scelte dei due paesi si incrociarono. La neo-nata Repubblica italiana fondò la sua esistenza sui valori democratici dell’antifascismo, della Resistenza e del ripudio della guerra come strumento di risoluzione delle controversie internazionali. Il Giappone fece della democrazia e del pacifismo le basi della sua rinascita. Complessivamente, gli anni della Guerra fredda sono stati un periodo molto proficuo per i due paesi: il dialogo politico si è sviluppato ai più alti livelli e il volume degli scambi commerciali è progressivamente aumentato.

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Le iniziative in ambito culturale si sono intensificate, grazie alla preziosa attività dell’Istituto giapponese di cultura (inaugurato a Roma nel 1962) e del ricostituito Istituto italiano di cultura (riaperto a Tokyo nel 1959). Inoltre, l’erogazione di numerose borse di studio ha consentito a generazioni di giovani studiosi dei due paesi di venire in contatto, creando una vera e propria comunità accademica transcontinentale. Vari fattori hanno contribuito a perpetuare l’amicizia e la pace tra i due paesi. In primo luogo, va ricordato che la firma del Trattato di amicizia e commercio (1866) non fu preceduta soltanto dalle già menzionate missioni commerciali dei setaioli italiani, ma anche da reiterati e significativi contatti tra i due paesi, le cui origini risalgono al sedicesimo secolo. Proprio quest’anno, si è celebrato il quattrocentesimo anniversario dell’arrivo a Roma della missione guidata dal giapponese Hasekura Tsunenaga, partita da Sendai nel 1613. Come è stato meticolosamente documentato dai contributi contenuti nei volumi Italia-Giappone 450 anni (curati dal Professor Adolfo Tamburello) ai quali si rinvia per approfondimenti, quella tra Italia e Giappone è una relazione di lunga durata, che ha toccato vari aspetti della vita politica, economica e culturale dei due paesi. In secondo luogo, il contesto internazionale all’interno del quale si sono sviluppati i rapporti tra Giappone ed Italia ha inciso positivamente sulla relazione bilaterale. Nella seconda metà del diciannovesimo secolo, quando fu concluso il Trattato di amicizia e commercio, Italia e Giappone erano due late-comer, cioè due paesi che avevano intrapreso i loro rispettivi processi di modernizzazione in ritardo rispetto alle grandi potenze che all’epoca dominavano il sistema internazionale. Per questo motivo, Roma e Tokyo dovettero misurarsi con gli stessi vincoli sistemici e perseguirono gli stessi obiettivi, cioè la ricerca del prestigio e del riconoscimento all’interno dell’arena internazionale. Allo stesso modo, dopo il 1945, quando il sistema internazionale assunse una struttura bipolare, Giappone e Italia si trovarono nuovamente a dover rispondere a sfide analoghe. Nel mondo rigidamente diviso in blocchi, la priorità divenne garantire la sicurezza del proprio territorio, senza pregiudicare la possibilità di una rapida ripresa del sistema economico, fortemente danneggiato dalla guerra. Anche in questo caso, i due paesi operarono scelte simili: optando per un allineamento (bandwagoning) con gli Stati Uniti, riuscirono a massimizzare i vantaggi della loro peculiare collocazione geografica e ad assicurare pace e prosperità alle loro popolazioni. Ancora oggi, Giappone e Italia continuano a camminare fianco a fianco, forti dei profondi legami che le uniscono.

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Noemi Lanna (Professore associato di Storia e istituzioni del Giappone, Università degli studi di Napoli “L’Orientale”) Fonte: http://www.it.emb-japan.go.jp/150/index.html


1. E’ stato selezionato il logo ufficiale del 150° anniversario delle relazioni tra Giappone e Italia (2016). 2. L’autore è il Sig. Antonio di Rosa (designer residente a Torre del Greco, provincia di Napoli). L’immagine di un ventaglio, elemento simbolo della cultura giapponese, ispirato ai colori delle bandiere dei due Paesi, racchiude il sentimento di felicitazione per questa amicizia che dura da centocinquanta anni. 3. Il lavoro vincitore, a seguito di una rigorosa selezione effettuata dalla “Commissione per la selezione del logo celebrativo ufficiale” composta da nove esperti di entrambi i Paesi, è stato prescelto tra le 358 candidature pervenute tra il 23 aprile ed il 30 giugno u.s. 4. Il logo di norma verrà utilizzato in occasione delle manifestazioni celebrative organizzate nelle varie località italiane per il 150° anniversario delle relazioni tra Giappone e Italia e per il materiale di comunicazione relativo. 5. Per la richiesta di riconoscimento di eventi quali manifestazioni ufficiali per il 150° anniversario delle relazioni tra Giappone e Italia e del relativo utilizzo del logo ufficiale, si prega di consultare il link che segue: http://www.it.emb-japan.go.jp/150/it/progetti.html 6. Per conoscere le linee guida per l’utilizzo del logo si prega di consultare il seguente link: http://www.it.emb-japan.go.jp/150/it/logogaido.html 7. La Commissione per la selezione del logo celebrativo ufficiale, oltre al logo vincitore, ha selezionato quali finalisti i lavori dei due autori che seguono: - Sig. Norito Matsui, residente in Giappone, nella città di Fukui, Provincia di Fukui. - Sig.a Elisabetta Rebecchi, residente in Italia, nella città di La Spezia.

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Vim vi rep

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Legittima difesa e pre dell’ingiustam


pellere licet

È lecito respingere la violenza con la violenza

PARTE II - LA PROPORZIONE DIFESA / OFFESA

U

no dei concetti più citati in materia di leggittima difesa è che la difesa deve essere sempre proporzionata all’offesa.

In dottrina è dibattuto se la proporzione debba sussistere fra il male minacciato e quello inflitto oppure tra i mezzi a disposizione dell’aggredito e quelli da esse effettivamente usati. Per la giurisprudenza per riconoscere la legittima difesa, la necessità di difendersi e la proporzione tra la difesa e l’offesa vanno intese nel senso che la reazione deve essere nelle circostanze della vicenda (valutate ex ante) l’unica possibile, non sostituibile con un’altra idonea a tutelare il diritto ma meno dannosa (Cass. IV 29.9.2006 n. 32282).

evalenza all’interesse mente aggredito

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In merito alla proporzionalità tra difesa e offesa è opportuno accennare al concetto di eccesso colposo. Si parla di eccesso colposo di legittima difesa a fronte di una reazione di difesa eccessiva: non c’è volontà di commettere un reato ma viene meno il requisito della proporzionalità tra difesa ed offesa configurandosi un’errata valutazione colposa della reazione difensiva. L’art 55 cp disciplina l’eccesso colposo sancendo che: “Quando, nel commettere alcuno dei fatti preveduti dagli articoli 51, 52, 53 e 54, si eccedono colposamente i limiti stabiliti dalla legge o dall’ordine dell’autorità ovvero imposti dalla necessità, si applicano le disposizioni concernenti i delitti colposi, se il fatto è preveduto dalla legge come delitto colposo. L’onere della prova incombe sul soggetto che ha difeso il diritto proprio o altrui e che dovrà indicare i fatti e le circostanze dai quali si evince l’esistenza della scriminante”. La valutazione è rimessa al libero convincimento del giudice che terrà conto di una serie di circostanze: l’esistenza di un pericolo attuale o di un’offesa ingiusta; i mezzi di reazione a disposizione dell’aggredito e il modo in cui ne ha fatto uso; il contemperamento tra l’importanza del bene minacciato dall’aggressore e del bene leso da chi reagisce.

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E’ necessario altresì distinguere le ipotesi di eccesso dovuto ad errore di valutazione ed eccesso consapevole e volontario, in quanto la prima rientra nell’ambito dell’ eccesso colposo, mentre il secondo configura un superamento doloso e volontario dei requisiti richiesti dalla scriminate in parola. La volontà dell‘aggredito deve essere diretta a un evento che è giustificato dalla realtà oggettiva o è scusato dalla situazione che l’autore si è erroneamente rappresentato, in tale ipotesi allora si avrà un eccesso colposo; quando invece si ha la volontà di arrecare all’aggressore un’offesa più grave di quella cha sarebbe giustificata ala luce della situazione reale o da quella scusata dall’erronea rappresentazione si è fuori dalle ipotesi di eccesso colposo versandosi invece in un ipotesi di eccesso doloso (responsabilità per dolo). Pertanto per poter applicare l’art 55 cp (eccesso colposo) è necessario che l’attività sia iniziata in presenza di una causa di giustificazione e si siano ecceduti i limiti previsti dagli articoli 51,52,53,54 cp e che l’eccesso deve dipendere da imprudenza, negligenza, imperizia o inosservanza di leggi regolamenti, ordini etc. Essendo la legittima difesa una esimente giuridica, nel casi in cui sussistono i requisiti della legittima difesa, si esclude l’antigiuridicità dell’azione di chi reagisce ad un aggressore. Può accadere però che per un errore di fatto un individuo si creda minacciato mentre nella realtà il pericolo non sussiste. In questo caso si ha l’ipotesi della legittima difesa putativa.

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La legittima difesa putativa prevede i medesimi presupposti di quella reale, con la sola differenza che nella prima la situazione di pericolo non sussiste obiettivamente ma è supposta dall’agente sulla base di un errore scusabile nell’apprezzamento dei fatti, determinato da una situazione obiettiva atta a far sorgere nel soggetto la convinzione di trovarsi in presenza del pericolo attuale di un’offesa ingiusta. Una recente sentenza della corte di cassazione (n. 28224/2014) ha chiarito che “l’errore scusabile, nell’ambito della legittima difesa putativa, deve trovare un’adeguata giustificazione in qualche fatto che, sebbene malamente rappresentato o compreso, abbia la possibilità di determinare nell’agente la giustificata persuasione di trovarsi esposto al pericolo di un’offesa ingiusta”. Un tipico esempio di legittima difesa putativa è quella di chi viene aggredito per scherzo da un amico con un’arma finta al buio. La persona aggredita che trovandosi al buio non riconosce l’amico e non riuscendo a capire che si tratta di uno scherzo, reagisce ferendolo o uccidendolo configura proprio un ipotesi di legittima difesa putativa. La legittima difesa putativa e l’eccesso colposo presuppongono gli identici presupposti con la differenza che nella prima la situazione di pericolo non esiste ma erroneamente e giustificatamente supposta dall’agente mentre nel secondo tutti i requisiti della difesa legittima sono presenti eccedendosi colposamente da parte dell’agente nella difesa del diritto verso il quale si rivolge l’offesa. In tema di legittima difesa è necessario un chiarimento in merito ad una recente riforma, che ha modificato il testo di cui all’art.52 del Codice Penale aggiungendo due commi. Tale riforma ha suscitato molte perplessità soprattutto nei cittadini spaventati da un possibile ritorno al “Far West” in cui era quasi sempre possibile usare armi legittimamente. La legge 59 del 2006 ha rivisto i confini di operatività della legittima difesa. Sebbene possa sembrare come una sorta di presunzione assoluta di sussistenza del rapporto di proporzione tra l’aggressione privata e l’uso dell’arma detenuta, la Suprema Corte ha confermato che le modifiche legislative hanno avuto ad oggetto solo il concetto di proporzionalità fermi restando i requisiti dell’attualità dell’offesa e della inevitabilità dell’uso delle armi come mezzo di difesa della propria e altrui incolumità.

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Il nuovo testo consta di un solo articolo nominato “Diritto all’autotutela in un privato domicilio” e aggiunge due commi alla norma originaria: «Nei casi previsti dall’articolo 614, primo e secondo comma, sussiste il rapporto di proporzione di cui al primo comma del presente articolo se taluno legittimamente presente in uno dei luoghi ivi indicati usa un’arma legittimamente detenuta o altro mezzo idoneo al fine di difendere: a) la propria o altrui incolumità; b) i beni propri o altrui, quando non vi è desistenza e vi è pericolo d’aggressione. La disposizione di cui al secondo comma si applica anche nel caso in cui il fatto sia avvenuto all’interno di ogni altro luogo ove venga esercitata un’attività commerciale, professionale o imprenditoriale». A seguito delle modifiche apportate dalla legge 13 febbraio 2006 n. 59 all’art 52 cp , si è stabilita la proporzionalità nel caso di violazione del domicilio da parte dell’aggressore a cui si contrappone, per salvaguardare la propria incolumità o propri beni, l’uso di arma legittimamente detenuta (Cass. Sez v 28 giugno 2006-21 luglio 2006 n. 25339). Tuttavia ai fini del riconoscimento della causa di giustificazione della legittima difesa la reazione deve essere nelle circostanze della vicenda apprezzate ex ante l’unica possibile, non sostituibile con altra meno dannosa egualmente idonea alla tutela del diritto (Cass. Sez V 14 maggio 2008-24 giugno 2008 n. 25653).

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RACCOLTA GIURISPRUDENZIALE Cassazione penale sentenza 07/10/2014 n. 50909

In tema di legittima difesa, la legge 13 febbraio 2006, n. 59, introducendo il comma secondo dell’art. 52 codice penale, ha stabilito la presunzione della sussistenza del requisito della proporzione tra offesa e difesa, quando sia configurabile la violazione del domicilio dell’aggressore, ossia l’effettiva introduzione del soggetto nel domicilio altrui, contro la volontà di colui che è legittimato ad escluderne la presenza, ferma restando la necessità del concorso dei presupposti dell’attualità dell’offesa e della inevitabilità dell’uso delle armi come mezzo di difesa della propria o altrui incolumità.

Cassazione penale sentenza 02/07/2014 n. 35709

La causa di giustificazione prevista dall’art. 52, comma 2, c.p., così come modificato dall’art. 1 l. 13 febbraio 2006 n. 59, presuppone che il soggetto che si introduce fraudolentemente nella dimora altrui agisca per insidiare l’altrui sfera domestica ovvero le persone che in essa si trovano”.

Cassazione penale sentenza 26/03/2014 n. 28224

L’errore scusabile, nell’ambito della legittima difesa putativa, deve trovare un’adeguata giustificazione in qualche fatto che, sebbene malamente rappresentato o compreso, abbia la possibilità di determinare nell’agente la giustificata persuasione di trovarsi esposto al pericolo di un’offesa ingiusta.

Cassazione penale sentenza del 25/02/2014 n. 28802

Nella legittima difesa putativa la situazione di pericolo non sussiste obiettivamente, ma è supposta dall’agente sulla base di un errore scusabile nell’apprezzamento dei fatti, determinato da una situazione obiettiva atta a far sorgere nel soggetto la convinzione di trovarsi in presenza del pericolo attuale di un’offesa ingiusta; sicché, in mancanza di dati di fatto concreti, l’esimente putativa non può ricondursi a un criterio di carattere meramente soggettivo identificato dal solo timore o dal solo stato d’animo dell’agente.

Cassazione penale sentenza del 13/02/2014 n. 11806

L’eccesso colposo in legittima difesa non comporta l’assoluzione dell’imputato ma la riqualificazione del reato addebitatogli come reato colposo con conseguente applicazione delle disposizioni concernenti i delitti colposi, considerato che l’art. 55 c.p. Non configura alcuna fattispecie scriminante o esimente, limitandosi a ribadire in tema di cause di giustificazione la disciplina generale dell’errore e della colpa di cui agli art. 43 e 47 c.p”.

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Cassazione penale sez I 06.02.2015 n. 19789

“L’eccesso colposo di legittima difesa non ricorre allorché i limiti imposti dalla necessità della difesa vengono deliberatamente superati mediante una condotta reattiva frutto di una scelta cosciente e volontaria che trasmodi in uno strumento di ingiustificata aggressione. Nel caso esaminato dalla Corte è stato escluso l’eccesso colposo in quanto l’imputato, che aveva esploso dei colpi di pistola contro la vittima che lo stava aggredendo si trovava in una situazione per la quale si poteva allontanare dal pericolo, pertanto la decisione di sparare in punti vitali da distanza ravvicinata era stata ritenuta del tutto ingiustificata e sproporzionata”.

EXCIPIT La legittima difesa costituisce uno dei nodi centrali del rapporto tra le discipline marziali e la loro applicazione pratica nella vita quotidiana. Sempe più le presone si avvicinano a tali arti proprio per apprendere il bagaglio tecnico necessario a fronteggiare un eventuale aggressione, e nascono continuamente corsi e discipline imporontati sulla difesa personale. Risulta però cruciale avere una sufficiente conoscenza dei risvolti legali della propria condotta, onde evitare, pur agendo esclusivamente nella giusta salvaguardia della propria o dell’altrui persona, di andare incontro a procedimenti civili e penali che possono anche assumere proporzioni notevoli. Ogni istuttore responsabile, come ogni praticante, è quindi tenuto ad informarsi ed aggiornarsi con continutà in merito agli sviluppi normativi inerenti la difesa personale ed il concetto di legittima difesa.

Dott.ssa Flavia Tocchi

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Le A.S.D. Sportive D

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. - Associazioni Dilettantistiche Parte II - La sicurezza negli impianti sportivi Il D.Lgs. 81/2008 stabilische che le “Società/ Associazioni Sportive, indipendentemente dalla loro struttura gerarchica e organizzativa nonché dalla loro dimensione, dal loro ruolo di gestori o utilizzatori di impianti sportivi sono soggetti all’applicazione del D.Lgs. 81/08 s.m.i. con l’individuazione dei fattori di rischio connessi allo specifico tipo di attività nello specifico luogo di lavoro (impianto sportivo)”. E infatti gli Enti Locali “nei documenti di appalto per affidamento del servizio per gestione degli impianti sportivi richiedono ‘l’osservanza delle norme e degli obblighi in materia di sicurezza e delle condizioni di lavoro con particolare riferimento al D.Lgs. 81/08’”. Se facciamo riferimento ai vari luoghi di lavoro in cui operano le Società/Associazioni Sportive (es. palestre, piscine, …), “la specificità di chi opera e/o pratica attività sportive in questi luoghi” porta a considerare ruoli ed o diverse figure: il proprietario della struttura, il suo 29 gestore, ed infine l’utilizzatore della stessa.


Il proprietario della struttura (pubblico o privato): Deve garantire al gestore la rintracciabilità di tutta la documentazione relativa alla conformità legislativa della struttura e degli impianti pertinenti (es. agibilità dei locali, conformità impianti, denuncia e verifica impianti di messa a terra e scariche atmosferiche, CPI, ecc.) ed inoltre dovrà renderla disponibile, in fase di audit della sicurezza (iniziale e periodico), da parte del gestore. Nel caso degli impianti sportivi il riferimento legislativo è il D.M. 18.3.1996 integrato con il D.M. 6.6.2005 (Norme di sicurezza per la costruzione e l’esercizio degli impianti sportivi)”. Nel caso delle piscine “i riferimenti sono l’accordo Ministero della Salute-Regioni del 16.1.2003 e le norme tecniche relative ai requisiti di sicurezza per la progettazione, costruzione e gestione delle stesse)”

Il gestore (associazione sportiva/ente/privato/ente pubblico): Deve garantire il rispetto della sicurezza sia in termine di esercizio dell’ impianto sportivo, della palestra, della piscina, che di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Se il gestore si avvale di lavoratori subordinati e/o subordinati di fatto (volontari) deve assolvere agli adempimenti del D.Lgs. 81/08 s.m.i.. Se vi sono terzi (Associazioni Sportive) frequentanti la palestra, la piscina, l’impianto sportivo, il gestore deve predisporre una gestione documentale dei prerequisiti relativi ai luoghi e alle attrezzature nonché dei rischi residui”;

L’utilizzatore (società/associazione sportiva): la Società/ Associazione Sportiva, “indipendentemente dalla sua specificità sportiva, dalla sua struttura gerarchica e organizzativa, nonché dalla sua dimensione, è soggetta all’applicazione del D.Lgs. 81/08 s.m.i. e quindi deveindividuare e valutare i rischi connessi ai processi di supporto alle attività sportive, equiparabili alle attività di tipo occupazionale (cone le attività di segreteria, di movimentazione materiale, di preparazione degli attrezzi sportivi, di trasporto atleti, di manutenzione locali e attrezzature, ecc.) negli specifici ‘luoghi di lavoro’ (sede della Società/Associazione e/o altri luoghi di svolgimento delle attività)”.

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La valutazione del rischio consente al “Datore di Lavoro” di “adottare i provvedimenti opportuni per salvaguardare, in primis, la salute e la sicurezza dei ‘lavoratori’ nei ‘luoghi di lavoro’ e, contemporaneamente, la salute e la sicurezza degli addetti che a vario titolo operano all’interno degli stessi e, più in generale, degli spettatori. A tal fine la valutazione del rischio svolge la funzione essenziale di prevenzione del rischio attraverso la sua attuazione preliminare e permanente” durante tutte le fasi dell’attività lavorativa/sportiva.

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La valutazione del rischio presuppone l’osservazione delle attività ed il collegamento dei rischi, considerando le caratteristiche generali dei ‘luoghi di lavoro’; il rapporto uomo / attrezzature, il rapporto uomo / ambiente, l’analisi dei posti di lavoro e delle mansioni. In merito agli obblighi che devono essere assolti dalle Società e Associazioni Sportive nell’ambito del D.Lgs. 81/08 s.m.i. si prenda in considerazione: - l’individuazione del “datore di lavoro” nella “figura del Presidente o del Delegato nominato dal Consiglio Direttivo, o dal Socio nominato dall’Assemblea del Soci, e comunque in funzione della specifica organizzazione”; - la designazione del “ Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione” (RSPP) che può identificarsi anche con il “datore di lavoro”. L’art. 2 comma 1f del D.Lgs. 81/08 s.m.i. indica che il responsabile del servizio di prevenzione e protezione è la persona in possesso delle capacità e dei requisiti professionali di cui all’articolo 32 designata dal datore di lavoro, a cui risponde, per coordinare il servizio di prevenzione e protezione dai rischi. Il Datore di Lavoro “può assumere anche il ruolo di RSPP e quindi DL/RSPP”. Nel documento è presente una tabella relativa all’impegno (ore e gg) minimo del RSPP; - l’individuazione dei “lavoratori” delle “attività sportive” ai sensi dell’art. 2 e art. 3 del D.Lgs. 81/08 s.m.i..Ricordando che nell’ambito delle società sportive esiste anche il lavoratore che svolge “attività di volontariato”; - l’elezione interna del “ Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza” (RLS) o individuazione a livello territoriale o “comparto sportivo” secondo gli artt. 57 e 48 del D.Lgs. 81/08 s.m.i.; - l’eventuale nomina del “Medico Competente” in funzione della “tipologia di rischio” presente nell’ambito dell’attività svolta; - l’assegnazione dei compiti di “primo soccorso” e “gestione emergenze” - valutazione dei Rischi e redazione del Documento di Valutazione dei Rischi - la messa in sicurezza dei “luoghi di lavoro”; - la formazione degli operatori addetti alle attività sportive.

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Prima di avviare le attività per assolvere gli obblighi legislativi è importante conoscere tutte le norme cogenti e/o volontarie che interessano la specifica Società/Associazione Sportiva e che possono quindi impattare sulla redazione del DVR e prima ancora sulla valutazione dei rischi. Si ricorda, inoltre, che “il Responsabile della Società/Associazione Sportiva, indipendentemente dalla presenza o meno di lavoratori, è soggetto alla disciplina degli artt. 2043 e 2050 del Codice Civile ed è quindi personalmente responsabile della tutela di tutte le persone presenti nell’impianto sportivo e quindi compresi gli atleti dilettanti (definiti con il D.M. 17.12.2004), che non sono equiparati a lavoratori dipendenti ma hanno diritto alla stessa forma di tutela riservata agli spettatori”. In particolare, nell’ambiente delle palestre, si tengano in considerazione: - Il microclima: la manutenzione degli impianti di climatizzazione e ricambio d’aria - Il fattore biologico: la prevenzione della diffusione di microrganismi patogeni; - la movimentazione manuale dei carichi e l’allestimento delle sale adibite ai corsi - l’ambito gestionale: regolamentazione del flusso di fruitori della palestra, la vigilanza sulle operazioni di sanificazione e igienizzazione, La normativa riguarda anche il settore delle palestre che operano sotto forma di associazioni sportive ed è pensata per tutelare tutti coloro che svolgono un’attività sportiva non agonistica o amatoriale. Tra le novità introdotte dal Decreto Legge 13 settembre 2012, n. 158 si introduce l’obbligo per le società sportive di dotazione e impiego di defibrillatori semiautomatici, come recita l’art. 7, comma 11: “Al fine di salvaguardare la salute dei cittadini che praticano un’attività sportiva non agonistica o amatoriale il Ministro della salute, con proprio decreto, adottato di concerto con il Ministro delegato al turismo e allo sport, dispone garanzie sanitarie mediante l’obbligo di idonea certificazione medica, nonché linee guida per l’effettuazione di controlli sanitari sui praticanti e per la dotazione e l’impiego, da parte di società sportive sia professionistiche che dilettantistiche, di defibrillatori semiautomatici e di eventuali altri dispositivi salvavita”. 34


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Equipaggiamento di protezione per arti marziali Ăˆ stata recentemente pubblicata la nuova parte 7 della norma UNI EN 13277 intitolata “Equipaggiamento di protezione per arti marzialiâ€?.

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La nuova norma specifica i requisiti supplementari (e i relativi metodi di prova) per i protettori delle mani e dei piedi e fa parte di una serie più ampia di documenti (esistono infatti altre sei parti) relativi ai dispositivi di protezione per arti marziali per specifiche parti del corpo. In particolare la parte 1 della norma, la UNI EN 13277-1, specifica i requisiti generali e i metodi di prova per tutti i tipi di protettori, in termini di innocuità, ergonomia, dispositivi di sicurezza, zone di protezione, etc. Tali protettori vengono utilizzati nelle arti marziali che non prevedono l’uso di armi per colpire altre persone o per equipaggiamenti di addestramento. I protettori delle mani e dei piedi sono dispositivi che si applicano agli arti per coprirli e proteggerli da eventuali lesioni provocate da urti con altre persone o contro le attrezzature per l’addestramento. Essi offrono un buon grado di sicurezza in caso di contatto accidentale durante la pratica di questi sport. Per quanto riguarda i soli protettori delle mani, la norma li classifica in due categorie, di classe A e di classe B, a seconda della zona protetta. I protettori di classe B offrono un maggior grado di sicurezza in quanto coprono una zona più ampia della mano. La norma prevede che i protettori possano essere forniti in taglie diverse in modo da adattarsi alle varie dimensioni corporee degli utilizzatori. Il produttore deve sempre indicare le dimensioni del protettore. I protettori delle mani e dei piedi possono essere utilizzati anche in combinazione con altri tipi di protettori per arti marziali (ad esempio protettori per la testa, per il torso, ecc.) e devono avere un sistema di sicurezza e trattenuta che consenta all’utilizzatore di applicarli con l’aiuto di un’unica persona (nel caso delle mani) o da solo (nel caso dei piedi). Per verificare l’efficacia del sistema di ritenuta, la norma stabilisce che il protettore debba essere indossato. Dopo una verifica visiva della “vestibilità” in termini di taglia e dimensioni del protettore - che non deve in alcun modo comprimere gli arti - inizia la prova vera e propria che consiste nell’applicare una forza di 20 N in tutte le direzioni. I protettori delle mani e dei piedi vengono inoltre sottoposti a prove d’impatto: vengono individuate le zone più “sensibili” e potenzialmente deboli del protettore dopo di che, su ciascuna di queste zone, vengono eseguite tre prove di impatto (con un livello di energia specificato dalla norma) con un intervallo di circa un minuto tra una e l’altra.

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I protettori delle mani e dei piedi vengono inoltre sottoposti a prove d’impatto: vengono individuate le zone più “sensibili” e potenzialmente deboli del protettore dopo di che, su ciascuna di queste zone, vengono eseguite tre prove di impatto (con un livello di energia specificato dalla norma) con un intervallo di circa un minuto tra una e l’altra. I protettori devono essere contrassegnati chiaramente e in modo indelebile con le seguenti informazioni: - il nome o il marchio del fabbricante o del suo rappresentante autorizzato all’interno dell’Unione europea; - la denominazione del protettore, il nome commerciale o il codice che identifica il protettore; - la taglia; - il numero della norma europea; - l’anno di fabbricazione (data o codice); - il pittogramma che segnala all’utilizzatore di fare riferimento alle informazioni fornite dal fabbricante. - istruzioni per la pulizia.

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Inoltre il fabbricante deve fornire una serie di informazioni (nella lingua ufficiale del Paese in cui il protettore viene venduto) tra cui: - una spiegazione del tipo di protezione fornita dal protettore; - istruzioni per la scelta della giusta taglia e adattamento dei protettori; - dettagli sulla taglia in rapporto alle dimensioni corporee dell’utilizzatore; - istruzioni per l’adattamento e il regolamento corretti del protettore, in modo da garantire che rimanga nella posizione prevista durante l’uso normale; - un’avvertenza in cui si specifichi che le variazioni delle condizioni ambientali, come la temperatura, potrebbero ridurre notevolmente le prestazioni dei protettori; - un’avvertenza in cui si specifichi qualsiasi contaminazione o alterazione del protettore o uso scorretto dello stesso che ridurrebbe pericolosamente la prestazione; - istruzioni per la pulizia.

Dott. Alfredo Vivenzio

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Si è tenuta anche quest’anno a Moncalieri (TO) dal 30 al 31 gennaio l’edizione 2016 del Meeting Internazionale MAA. L’evento, che da ormai 5 anni sancisce l’apertura dell’attività della MAA International, ha visto, come di consueto, la presenza di atleti e docenti provenienti da diverse nazioni europee. Erano presenti delegazioni dalla Svizzera e dalla Spagna, guidate rispettivamente dai Maestri Tiberio Abategiovanni e Giuseppe Corbo. Lo stage, ospitato nei locali del Palablu di Piazza Brennero, ha riproposto la formula “open mat” - che ha permesso agli atleti di scegliere liberamente tra le tantissime discipline presenti - già sperimentata nel Keiko Ryu di Napoli, che anche in questa occasione ha ottenuto larghi consensi.

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Sul tatami si sono avvicendati i Docenti Federali MAA (Per il settore Ju Jitsu Curti Giardina Massimo - 10 ° dan, Bramante Salvatore - 9° dan, Comotto Claudio - 9° dan, Cardello Diego - 8° dan, Pace Giuseppe - 7° dan , Corbo Giuseppe - 6° dan Feliciotti Armando - 6° dan; per il Krav maga Abategiovanni Tiberio - 7° dan; per il Kung fu Valente Costantino - 7° duan ; per il Judo Faldella Fabrizio - 6° dan; per il Jeet Kune Do Gitto Massimo - 6° duan, per l’aikido e il Ken Jitsu Pollione Davide - 5° dan; per L’MMA Forte Fabio - 4° Livello) ed i docenti ospiti del settore Karate (Tancredi Danilo - 5° dan, Di Palma Ettore - 4° dan e Facioni Paolo - 3° dan) che hanno dato vita ad uno stage di altissimo livello tecnico. La cena di gala del Sabato si è tenuta presso il Ristorante Sant’Andrea, nel complesso alberghiero dell’ Hotel Parisi di Nichelino, la stupenda struttura che ha ospitato i partecipanti all’evento, ottimamente diretta dalla Sig.ra Sabina che, insieme al suo staff, ha saputo venire incontro con competenza e professionalità a tutte le esigenze organizzative.


Durante la serata sono state assegnate, per il lavoro svolto all’interno della MAA International idurante questo quinquennion, le sseguenti nomination: 8° Dan di Karate al Maestro Luca Raucci, 7° Dan di Ju-Jitsu al Maestro Cristiano Curti Giardina, 5° Dan di Aikido al Maestro Davide Pollione, 4° Dan di Ju-Jitsu al Maestro Francesco Malvano, 3° Dan di Judo a Vincenzo Volpino. La logistica dell’evento è stata curata dallo staff della Segreteria Regionale, composto da Anna, Fabiana, Graziella, Giancarlo, Elena, Fabio ed Annalisa. Un team giovane e motivato, che ha saputo gestire egregiamente l’andamento dell’evento. Il meeting di tornio ha aperto ufficialmente quello che sarà un anno pieno di eventi, con nuovi appuntamenti - come i campionati europei MAA, che si terranno ad aprire a Roma e lo stage Nazionale MAA Spagna, in programma a Maggio presso l’isola di Tenerife - che andranno ad arricchire ancora di più il già corposo calendario MAA INTERNATIONAL.

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SE S S IO N I D’ESA M E ELE N C O D E I P RO M OSSI Settore Ju Jitsu

5° Dan 2° Dan 1° Dan 1° Dan 1° Dan 1° Dan

Fabio Fantini Daniele Boscarino Giancarlo Coia Lidia Albera Iris Alpe Sandra Genisio

Settore Aikido

3° Dan 1° Dan

Roberto Talenti Giovanni Enna

Settore Judo

2° Dan 1° Dan 1° Dan 1° Dan

Sebastiano Abruzzo Corrado Carbonaro Isabella Mirabile Alessandro Surace

Settore Ken Jitsu 1° Dan

Giovanni Enna

Settore Karate

1° Dan Nicola Alessio Barbaro 1° Dan Antornio Antonio

Maestro Istruttore Allenatore

Aspirante Maestro Allenatore Allenatore Allenatore Allenatore Allenatore Allenatore Allentore

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La International Police Training System è una associazione internazionale formata da esperti Istruttori del settore della Self Defense e delle Tecniche e tattiche Operative, con l’obiettivo primario della formazione specialistica degli Operatori di Polizia, dei militari delle Forze Armate, degli operatori della sicurezza privata e degli Istituti di Vigilanza. Il POLICE TRAINING SYSTEM (P.T.S.) è un sistema di allenamento operativo che racchiude, adatta e sviluppa i programmi internazionali adoperati dalle Accademie Internazionali preposte all'addestramento degli Operatori di sicurezza, garantendo una formazione altamente specializzata e protocolli efficaci. Il P.T.S., in continua espansione sul territorio nazionale, negli ultimi anni ha beneficiato di un ampio e gratificante consenso nel panorama internazionale degli Operatori della Sicurezza. Svizzera, Francia, Germania, Brasile, Argentina, Messico e Stati Uniti sono alcuni tra i paesi nei quali gli operatori della sicurezza hanno adottato il sistema IPTS. 48

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DIVENTA ISTRUTTORE IPTS Con la formazione e la certificazione IPTS, potrai addestrare, allenare e formare gli appartenenti alle Forze di Polizia, Forze Armate, Polizie Locali, Istituti di Vigilanza, Guardie Ambientali Venatorie, Protezione Civile. Destinatari: Sono corsi intensivi riservati a tre categorie di utenti: • Istruttori di Arti Marziali, Sistemi di Difesa Personale e di Sport da combattimento con specifica certificazione rilasciata dalle Federazioni/Associazioni riconosciute o da Enti di Promozione riconosciuti dal C.O.N.I.; • Istruttori di tiro, tecniche operative, scorta e di altre specifiche certificazioni che attestino la qualifica di formatore rilasciate e convalidate dai Ministeri dell’Interno e della Difesa. • Gli Operatori di Polizia, delle Forze Armate e GPG potranno accedere ai corsi di formazione per la certificazione IPTS per la qualifica di Assistant Instructor. La formazione dell’Instructor IPTS, mira all’acquisizione di capacità professionali che consentono di ALLENARE – FORMARE – ISTRUIRE sia in modo di Istituto (nelle Scuole di formazione per Operatori di Polizia) che attraverso i CROSS TRAINING il vasto pubblico degli Operatori della Sicurezza. I Cross Training (allenamenti operativi) della I.P.T.S. si basano sull’addestramento alle Tecniche e Tattiche Operative di Polizia e su simulazioni realistiche dei vari contesti operativi in cui possono trovarsi le varie tipologie dei nostri corsisti.

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• Migliorare la professionalità degli Operatori della Sicurezza pubblica e privata attraverso l’allenamento intensivo operativo basato sul sistema denominato “International Police Training System” che racchiude le metodiche di addestramento delle forze di polizia e dei reparti speciali del panorama internazionale; • Fornire le conoscenze, le I.C.C.S. (Individual Common Core Skills) e gli strumenti per poter garantire l’incolumità dell’operatore di polizia e del cittadino; • Sviluppare competenze per gestire i compiti di istituto.

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“Le percosse e le violenze colpiscono l’involucro di una persona. La violenza sessuale, invece, colpisce e distrugge l’essenza stessa della donna. La donna non dimentica per tutta la vita”. Tina Lagostena Bassi, cofirmataria della legge 66/96. I media propongono quotidianamente episodi di violenza: ogni giorno apprendiamo di atti di violenza pubblica e privata, verso le cose e verso le persone. Una delle più odiose e diffure forme di violenza è quella perpetuato contro le Donne, inquadrate dalla società come soggetti meno avezzi a difendersi e a denunciare tali soprusi. Istituito dalla International Police Training System nel 2011, il progetto Donne al Sicuro, curato da professionisti nel campo della sicurezza e della self defense, opera in sinergia con le Associazioni che tutelano i diritti delle donne, Forze di Polizia, psicologi, criminologi ed esperti del settore. Il progetto prevede corsi di autotutela presso Associazioni onlus, istituti scolastici, atenei universitari, centri sportivi ed enti pubblici e privati. Grazie alla fitta rete di collaborazioni sul territorio nazionale, il progetto garantisce la diffusione delle attività istituzionali che forniscono molteplici forme di assistenza e promuove lo studio dei fenomeni di violenza con particolare attenzione alle metodologie di prevenzione di tali atti criminosi.


Donne al Sicuro aderisce alle iniziative del Ministero per le Pari Opportunità e a tutte quelle che hanno come primario scopo la diffusione delle attività a tutela dei diritti delle donne e contro la violenza di genere. Il Programma, accessibile a tutte le donne, indipendentemente dall’età e dalle condizioni fisiche, insegna a conoscere e prevenire i fenomeni di violenza e a gestire psicologicamente e fisicamente un’aggressione, impartendo nozioni realistiche sul modus operandi degli aggressori. Riproponendo scenari reali e aggressioni sotto l’effetto adrenalinico, vengono illustrate tecniche di difesa a mani nude, con oggetti di uso quotidiano e strumenti di auto protezione. I corsi si differenziano dai normali metodi di difesa personale, poiché prevedono analisi degli aspetti della vittimologia, criminologia, biomeccanica e della difesa con esclusivo riguardo all’ambito femminile. Le tipologie di addestramento vengono calibrate a seconda delle caratteristiche fisiche, della capacità motoria e dell’età delle corsiste. Le partecipanti vengono coinvolte emozionalmente e fisicamente, per accrescere sia la sicurezza psicofisica che il bagaglio tecnico, costituito da semplici ma efficaci tecniche difensive.


CORSO ISTRUTTORI DONNE AL SICURO I Corsi di Formazione DaS sono riservati a coloro che sono in possesso di titoli riconosciuti quali insegnanti di Arti Marziali e Sport da Combattimento.

​PROGRAMMA DEL CORSO - La Violenza di genere - Effetti stressogeni - Fondamentali di difesa personale - Women’s Self Defense - Music Timing Training - Inoculation Stress Training - Ground Techniques - Weapoons Defense

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Aikido

I Dieci Pilastri Ogni tecnica di Aikido fa parte di un meccanismo delicato e complesso che fonda le sue meccaniche fondamentali su 10 regole aure, che ogni praticante deve applicare ogni volta che esegue una forma : Zan Shin, Shisei, Kokyu, Kamae, Ma Ai, Irimi, Ura Omote, Tai Sabaki, Atemi, Kokyu Ryoku. Perfezionare tali fondamentali, attraverso la pratica quotidiana, è la strada per arrivare al vero cuore della discplina 59


Zan Shin Per meglio comprendere l’interiorità dell’Aikido vale la pena sottolineare un concetto come lo zan shin, con il quale si indica un momento di concentrazione e di attenzione particolare, durante il quale il marzialista tiene sotto controllo sia la propria emotività sia lo stato intenzionale emotivo dell’avversario. Zan, significa mantenere, mentre shin è spirito. Letteralmente: mantenere lo spirito allerta. Il vero zan shin nasce da una concentrazione di tutti i sensi rivolta ad un particolare momento o ad una determinata azione, fisica o mentale. Lo zan shin delle arti marziali è strettamente legato al “mi kamae”,ovvero la postura del corpo e “ki kamae” o postura psicologica interna. La perdita dello zan shin, dunque, equivale ad aprire una falla (“kyo”) nella propria difesa, che potrebbe essere sfruttata dall’avversario per abbatterci. Zan shin è l’atto di mettere da parte il nostro stato di coscienza razionale, senza però perdere lo stato di vigilanza continuo. Lo zan shin abitua a mantenere una guardia psicologica finchè non vi sia la certezza assoluta di uno stato di sicurezza o di vittoria completa.

Shisei Shisei si traduce con: posizione, attitudine. Sugata (shi) esprime la forma, la figura, la taglia. Ikioi (sei) esprime la forza, la vivacità, il vigore. Shisei contiene entrambi i significati, ma non esprime solamente un’attitudine esteriore: una buona forma, ma anche una forza interiore visibile dall’esterno nella sua manifestazione. Pensiamo alla la vitalità del bimbo, visibile attraverso la sua vivacità ,i suoi occhi vispi, i suoi movimenti…. Per raggiungere lo bisogna prima di tutto di mettere ordine nel corpo, che e’ il vaso contenente il Ki .Per questo bisogna estendere la colonna vertebrale e tenerla dritta. Se si ha un’idea di spingere il cielo con la testa, la colonna vertebrale si stende naturalmente. Non bisogna gonfiare il petto, come nella posizione di attenti. Le spalle rilassate vengono lasciate cadere con morbidezza, l’ano resta chiuso, i reni rilassati, il KI e’ confortevolmente posato nel “seika tanden”,il corpo disteso e interamente calmo. Il grande spadaccino Myamoto Musashi diceva, parlando dello shisei marziale: il viso calmo, non rivolto verso l’alto ne’ verso il basso, ne’ di lato, gli occhi chiusi leggermente, senza movimento del globi oculari, la fronte senza una ruga, le sopracciglia leggermente corrugate, il profilo del naso diritto, senza troppo rientrare, il mento in avanti, la nuca ugualmente diritta, le vertebre cervicali piene di forza. Sotto le spalle cadenti, il corpo e’ perfettamente rilassato, la colonna vertebrale e’ in posizione, i glutei rientrati, le ginocchia, estese fino agli alluci, si appongono fortemente al suolo, le anche non sono attorcigliate, il ventre è fermamente arrotondato.

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In Aikido si chiama “Sankakutai” una simile posizione soffice, equilibrata, che permette di muoversi liberamente similmente ad un tetraedo regolare che, girando, si trasforma in un cono.


KOKYU Quando lo Shisei è acquisito e l’attitudine è positiva, ci si può dedicare al Kokyu, da Haku (Ko) espirare, e Suu (Kyu) inspirare. Un buon Kokyu è lento, profondo, lungo ed eseguito naturalmente. È dunque una respirazione addominale. All’inizio è bene insistere sull’espirazione e lasciare che l’inspirazione venga da se. La respirazione si fa con il naso. Se il ritmo respiratorio è perturbato, si utilizza la bocca per ristabilirlo. L’inspirazione si fa con la bocca socchiusa, i molari leggermente serrati, la lingua in contatto con il palato, l’ano chiuso. I principianti contano mentalmente per regolare l’espirazione e l’inspirazione, visualizzando l’aria che scende al di sotto dell’ombelico. Nella pratica del budo possono occorrere un inspirazione ed un’espirazione sia rapide che lente: durante l’esercizio bisogna prestare molta attenzione alla padronanza del Kokyu. Kokyu non consiste solamente nel rinnovare l’aria dei polmoni, ma anche a riempire il corpo di un Ki puro, pronto a uscire con potenza al momento del bisogno. Questo irradiamento costante del Ki è il giusto shisei.

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Kamae Nella lingua giapponese kamae significa: prepararsi, mettersi in guardia. Il verbo kamaeru si traduce con fabbricare, preperare, attendere con intensità, stare allerta.L’ideogramma cinese di kamae e’ costruito sulla chiave “legno”, unita agli strumenti della carpenteria, il perno e la mortasa. Così il kamae di cui si parla nel budo consiste a prendere per rapporto Aite la posizione più vantaggiosa possibile. Sia che siano due singoli o due armate a fronteggiarsi, in qualsiasi circostanza Kamae è ugualmente importante. Non si può tradurre semplicemente kamae in “guardia”: kamae contiene contemporaneamente le forze del KI e il potere di percepire tutti i dettagli. Ogni disciplina, marziale o sportiva, dal kendo al tennis possiede un suo “kamae”. Nell’Aikido si utilizza “hanmi no kamae” (la guardia di profilo). Partendo da una buona posizione naturale “shizentai”, con le gambe divaricate allargate alla larghezza delle spalle, un piede avanza mentre l’altro, trascinato naturalmente, ruota. Se i due avversari assumono la guardia dallo stesso lato, piede destro o piede sinistro avanti, otteniamo ai hanmi no kamae; se al contrario, i due avversari hanno la guardia opposta, l’uno piede destro in avanti, l’altro piede sinistro o viceversa, diciamo gyaku hanmi no kamae. Se da qui avanziamo di un un passo come in irimi, facendo seguire il piede arretrato, con l’alluce nell’allineamento del tallone e del pollice del piede avanzato, siamo nella posizione o guardia detta hitiemi o ura sankaku.

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Hitiemi e’ la guardia fondamentale dell’Aikido perchè permette di muoversi facilmente di fronte a qualunque attacco e applicare tutte le tecniche. Nondimeno, bisogna arrivare a superare le guardie, per giungere al “kamae senza il kamae”, dal quale trovare la giusta risposta per ogni attacco, in qualunque luogo, in qualunque momento, a partire da qualunque posizione. O’Sensei diceva: “Non guardare gli occhi di Aite, il cuore si fa aspirare dagli occhi di Aite, non guardate la spada di Aite, la mente si fa aspirare dalla spada di Aite, non guardate il ki di Aite. Il Bu di verità è una pratica con lo scopo di assorbire Aite nella sua totalità. Mi reggo in piedi semplicemente”.

Ma Ai Ma-ai è la parola che definisce la relazione spaziale tra Aite e se stessi. La posizione da dove è facile attaccare o difendersi. Il ma-ai non è dunque solo una nozione di distanza: bisogna includervi il movimento dei cuori nello spazio. Se ho paura, lo spazio sembra troppo piccolo, se ho troppa fiducia in ma stesso, lo spazio sembra troppo grande. L’ideogramma MA è costituito dalla porta della luna. È la luna intravista dalle fessure delle porte chiuse: per quanto sia perfetta la guardia, vi sarà sempre un interstizio ove scivola la luce. Questa fessura, per minima che possa essere, contiene l’intero spazio vuoto. Sul muro principale del soggiorno della tipica casa giapponese vi è il Tokonoma: in quel vuoto si può sistemare un quadro oppure un vaso di fiori. Quel vuoto dona vita al quadro come al vaso. Nella pittura, come nella musica, tutto viene alla vita perchè vi è questo spazio vuoto. È il vuoto del bicchiere che permette di riempirlo. Anche quando non si vede nulla, quando si pensa non vi sia nulla, c’è sempre qualcosa. La civiltà orientale da una grandissima importanza al concetto di vaquità. L’AI di ma-ai, analogamente a come presente in “Aikido”, significa “fare uno”, mettere in ordine, armonizzare. Ma-ai è dunque lo spazio che nasce tanto dal cuore che dalla mente, di se stesso e dell’altro, e include entrambi in una evoluzione costante verso la posizione più vantaggiosa.

Irimi L’irimi rappresenta la radice dell’Aikido.Si dice che O’Sensei avrebbe trasposto in Aikido tale ”legge”, colta con lo studio approfondito dell’arte della lancia. L’ideogramma IRI esprime l’idea di passare l’entrata di una casa, di propria iniziatica o dietro invito. L’ideogramma MI da l’idea del bimbo nel ventre materno, il senso di pienezza. Irimi esprime il mettere il proprio corpo in quello dell’avversario. Nell’arte della lancia, irimi è utilizzato per esprimere l’azione di penetrare vittoriosamente sino all’interno della guardia di un avversario. Quando due forze si muovono in direzioni opposte la forza che ne risulta è la somma delle signole forze contrapposte: in irimi, spesso, per effettuare un movimento si gira su se stessi cambiando direzione. Il gesto da l’immagine della ruota che gira. Nella rotazione si è cambiato sia posto che orientamento. Questo cambiamento di stato o di posizione è “tenkan”.Irimi e tenkan sono le due facce della stessa medaglia.


Ura Omote Ogni tecnica di Aikido ha due aspetti: ura e omote. Ura rappresenta principalmente il contrario, il rovescio,il retro, l’aspetto nascosto, mentre Omote è il diritto,la superficie, l’esterno, l’aspetto apparente; in tutto vi è omote-ura. L’uomo stesso ha una facciata ed una schiena. Si può ugualmente utilizzare omote-ura nel senso: esteriore e interiore. Si puo’ avere, per esempio, il viso sorridente e la pena nel cuore, o anche, l’apparenza del Buddha ed essere privo di sangue e lacrime. Classificando grossolanamente si potranno dire omote waza le tecniche eseguite entrando di fronte all’avversario ed ura waza le tecniche eseguite entrando dietro da dietro. Alcune tecniche sono possibili tanto in omote come in ura waza, altre solo in unda delle due versioni. Questa classificazione si usa per facilitare l’apprendimento ma, nella pratica reale, tende a scomparire.

Tai Sabaki L’ideogramma sabaki è composto di due elementi: il corpo (TAI) ed il verbo separare (SABAKI) che rende l’idea di separare con un coltello. Per estensione il verbo sabaku è utilizzato nelle espressioni designanti azioni e le sue varianti come: vendere, distribuire, sistemare, sbrigare un affare. Un omofono di sabaki che si scrive con un altro ideogramma si traduce con tagliare un indumento, o giudicare. Tai-sabaki viene effettuato per guidare il movimento dell’avversario, capovolgendo la situazione.

Atemi Contrariamente a quanto si pensa, anche nell’aikido gli atemi risultano essenziali: anzi senza di essi alcune tecniche sarebbero inapplicabili. Purtroppo molte scuole hanno soppresso gli atemi, sia per rendere più sicura ed accessibile la pratica che orientare l’insegnamento verso lo studio di leve articolari e squilibri. In ogni caso, chi a affermano che non vi è atemi in Aikido, non conoscono a fondo l’arte marziale. O’Sensei diceva: “l’Aikido è irimi ed atemi”. Tutte le tecniche di Aikido includono l’atemi. Etimologicamente ateru esprime l’idea di stimare e valutare con precisione la superficie e il valore di un campo. Per estensione quindi collocarsi esattamente, cadere nel punto voluto, nel centro del bersaglio. Mi ancora una volta significa crpo. Nelle discipline più antiche, gli atemi comprendevano i colpi ai punti vitali, mirati a provocare la perdita di conoscenza o la morte. In Aikido l’atemi è anche utilizzato per dominare la volontà dell’attaccante, perturbare la concentrazione, bloccare l’intenzione di azione, ma sono inclusi anche gli atemi provenienti dalle discipline antiche.

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Lo studi degli atemi viene spesso abbinato allo studio del punti di rianimazione “Kuatsu”. Ciò costituisce un ulteriore sempio del rapporto tra ura ed omote.


Kokyu Ryoku Si usa dire “Si può praticare l’Aikido se si possono sollevare tre once di suono”. L’Aikido non è un’arte di combattimento fondata sull’utilizzo della forza fisica. Il lavoro della tecnica in Aikido si fa utilizzando pienamente l’energia mentale e razionalmente la forza fisica. Utilizzando questo metodo è possibile sviluppare una forza superiore a quella che si crede di possedere. Chiunque può trarre giovamento dalla pratica e applicare la disciplina al combattimento, dopo averla pienamente compresa. Attraverso il kokyu si acumula energia nel seika-tanden, che riempie tutte le parti del corpo. Questa forza si chiama Kokyu-ryoku. O’Sensei ripeteva sovente: l’Aikido è una purificazione del corpo e dell’anima, è sgrassare il corpo e l’anima”. Kokyuryoku deve dare vita, nel praticante, ad un gesto tanto semplice quanto il sollevare un braccio o avanzare un piede. Una tecnica di Aikido eseguita senza l’uso del kokyu-ryoku, non è una tecnica di Aikido. Kokyu-ryoku va esperito ogni giorno attraverso il corpo, non lo si assimila che dopo un lungo lavoro ripetuto continuamente. O’Sensei diceva a questo proposito: “un lavoro di tre giorni non è che un lavoro di tre giorni, un lavoro di un anno non è che un lavoro di un anno, un lavoro di dieci anni accumula la forza di dieci anni”.

Pasquale Franzò

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lienazione, Nichilismo, Autodistruzione. Una discesa negli scantinati più buoi della propria anima per incontrare il peggio di se. Dopo il successo (per certi versi inaspettato) di Seven, David Fincher si consacra al suo ruolo di indagatore dei più oscuri recessi dell’animo umano (battendo con più decisione alcune della tematiche già affrontate in “The Game”) portando sul grande schermo l’opera prima di Chuk Palahniuk, cogliendone in pieno lo stile crudo e provocatorio, dando luce (ed ombra) ad uno dei più in66 fluenti cult degli anni ’90.


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Un anonimo consulente assicurativo (Edward Nolan) trascorre la sua esistenza iper-produttiva tra gli impegni lavorativi e le incombenze della vita moderna. “Diventato schiavo della tendenza al nido IKEA” sviluppa un senso di frustrazione che sfocia in ansia, piccole psicosi, una crescente angoscia esistenziale. Quando questa situazione sfocia in un’insonnia cronica, l’unica apparente valvola di sfogo per il protagonista è quella di frequentare gruppi di ascolto per malati gravi. Entrare in contatto con “veri malati” sperimenta un miscuglio di auto-gratificazione (per la sua condizione tutto sommato sopportabile) e calore umano (rubato ai pazienti spacciandosi per loro pari) che, nonostante un velato senso di colpa, sembra funzionare come sonnifero. Il precario equilibrio è destinato a incrinarsi in seguito all’incontro con Marla Singer (Helena Bonham Carter) altra sedicente malata che incontra alle varie riunioni.

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La reciproca presenza agli incontri mette a nudo la loro ipocrisia nonostante Marla appaia molto più smaliziata e cinica del protagonista) tanto da costringerli a “dividersi” le dosi della loro inusuale dipendenza.


Tornando da un volo di lavoro, il narratore si ritrova vicino di posto con uno stravagante produttore di sapone di nome Tyler Durden (Brad Pitt) rimanendo colpito dal suo stile tagliente e decadente. Tornato al suo appartamento, completamente distrutto a causa di una fuga di gas, il protagonista, ancora sotto shock, si ritrova in tasca il biglietto da visita di Tyler: quello che doveva essere solo uno strano incontro di viaggio, si trasforma in uno strano rapporto di amicizia. Ospite nel suo fatiscente appartamento, il narratore entra in contatto con lo stravagante stile di vita di Tyler, che oltre a produrre sapone (procurandosi le materie prime dagli scarti di una clinica di liposuzione) svolge altri lavori mirati unicamente a destabilizzare l’ordine costituito (come cameriere, altera i cibi in ristoranti di lusso, come proiezionista inserisce nelle pellicole, fotogrammi osceni, che gli spettatori percepiscono sotto forma di messaggi subliminali. Il protagonista si lascia sedurre dalla visione di Tyler, che mescola l’odio per la società consumistica moderna a sprazzi di masochismo, nichilismo e misantropia.

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Punto massimo di tale visione è la creazione del “Fight Club”, dove i partecipanti si incontrano in uno scantinato per prendere parte a violenti combattimenti. Inaspettatamente, questa forma estrema di terapia di gruppo trova sempre più adepti, fino a trasformarsi in un ritrovo fisso per uomini alienati e insoddisfatti, disillusi dalle promesse infrante dell’american way of life. Il passo successivo è la creazione del “Progetto Mayhem”, che consiste nella creazione di un gruppo sovversivo che aspira a rovesciare l’ordine mondiale. L’abitazione di Tyler, che convive stabilmente con il protagonista e riceve le visite di una Marla inaspettatamente riapparsa sulla scena, diviene la base operativa di quello che sta assumendo sempre più i connotati di un movimento eco-terrorista. Un’inspiegabile sparizione di Tyler fa lanciare il protagonista alla sua ricerca, dandogli nel frattempo modo di riflettere e scoprire che il movimento si è segretamente diffuso in tutto il Paese. Quando ritrova l’amico in una stanza d’albergo è ormai pronto a denunciarlo, ma dovrà fare i conti con una sconvolgente rivelazione. Fight club è un’opera volutamente controversa, costruita in modo da celare, dietro una presentazione decisamente cruda e violente, una profonda introspezione psicologica unita ad una decisa critica della società consumistica.

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Gli avventori del Fight Club sono persone che non riescono ad integrarsi in un sistema che li giudica esclusivamente in termini di produttività. Lo scantinato che funge da arena per i loro combattimenti è una sorta di mondo parallelo, una setta segreta che, intimando ai suoi seguaci di rimanere tale (“Prima regola del Fight Club: non parlate mai del Fight Club”) non fa altro che attirare nuovi adepti. Lo scantinato è una sorta di versione oscura di un tempio zen: esiste solo in funzione del combattimento, ma l’esito dello stesso non è assolutamente importante; non offre alcuna risposta, ma risulta a suo modo catartico (“Nel Fight Club non era questione di vincere o perdere, non era questione di parole. Quando il combattimento era finito niente era risolto, ma niente importava. Alla fine tutti ci sentivamo salvi”). Tyler è il Maestro Zen dei reietti: offre loro uno scopo, ma non un’occasione di riscatto. Non li loda, non li incora. Gli infligge continue umiliazioni fisiche e psicologiche (“Sentite, balordi, non siete speciali, non siete un pezzo bello, unico e raro. Siete materia organica che si decompone come ogni altra cosa”). I membri del club divengono semplicemente parte di un diverso ingranaggio, che li seduce attraverso la sua schiettezza, non promettendo i falsi miti della società consumistica. Sarebbe troppo semplice però liquidare la figura di Tyler (e la grandissima prova attoriale di Brad Pitt) come quella del diabolico macchinatore: nei momenti di maggior intensità del film si dimostra profondamente umano e passionale, l’incarnazione di tutto il non-vissuto del protagonista (“Quanto sai di te stesso se non ti sei mai battuto? Non voglio morire senza cicatrici, perciò picchiami se no perdo il coraggio!”).

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Tayler è sia il padre assente per cui il narratore serba un infinito rancore, sia il rimpianto per quella immagine bella e dannata che non è mai riuscito a costruirsi. Tayler sembra fare di tutto per distruggere e ricostruire la vita del protagonista, ma ad un certo punto è il narratore stesso a rendersi conto di essere stato il vero artefice della propria morte e rinascita. Analogamente, anche Marla è amata e odiata: “il taglietto sul tuo palato che si rimarginerebbe se la smettessi di stuzzicarlo con la lingua, ma non puoi”. Inizialmente, il protagonista odia i suoi difetti ma, quando si accorge che non sono altro che lo specchio delle sue insicurezze, non può far a meno di sviluppare con lei una sorta di legame, che si nutre più del rimpianto e della ricerca di soddisfazione per le reciproche mancanze che di un vero e proprio sentimento. Il dualismo delle esistenze e delle relazioni è la vera chiave di lettura del film. I protagonisti costituiscono gli archetipi di vite antitetiche che trovano, senza ragione apparente, strani punti di contatto. La stessa idea della realtà è presentata in maniera dualistica: l’insonnia del personaggio fa sfumare i confini tra l’esperienza reale e quella onirica, e quest’ultima si dimostra molto più reale della prima. Contribuisce a rafforzare il duopolio immedesimazione/alienazione la trovata di far parlare in prima persona gli organi e le sensazioni del protagonista, che in questo frangente trova anche un nome, Jack, che però non è il suo: viene preso in prestito dall’articolo di una rivista. Dal punto di vista tecnico, siamo di fronte ad un pellicola di grande spessore. Fincher dimostra una grande capacità di gestione del testo, valorizzando i punti salienti della trama e apportando piccole modifiche capaci (per stessa ammissione di Palahniuk) di rendere gli eventi ancora più fluidi 75 e scorrevoli.


Lo spettatore è invitato a partecipare: gli indizi utili a svelare il finale, seppur centellinati, sono ben visibili, ma soprattutto (e qui emerge l’ottima sceneggiatura) anche intuendo in anticipo il colpo di scena, la godibilità della pellicola non viene intaccata. Per godere appieno di questo gioco lo si deve conoscere a fondo: le parti in cui il film si rivolge allo spettatore, i messaggi subliminali, (alcuni da individuare con il fermo immagine) le inquadrature riservate a Tyler (mai in controcampo né da dietro le spalle) l’intera sequenza della camera di montaggio, a partire dalla quale si comincia a prevaricare i binari della realtà, sono tutti spettacolari esempi di metalinguaggio. L’ottima sceneggiatura di Jim Uhls è supportata da un sapiente utilizzo della macchina da presa (ottime sequenze in slow motion e arditi movimenti della macchina da presa) dalla grande fotografia di Jeff Cronenweth e dai notevoli montaggi grafici (di James Haygood) e sonori (Ren Klyce e Richard Hymns). Ottimi anche i costumi, che sono valsi a Michael Kaplan il Costume Designers Guild Award 2000 come Migliori costumi in un film contemporaneo. Inevitabilmente, la natura controversa della pellicola si è rispecchiata nelle discostanti opinioni della critica. L’esposizione della violenza (in senso sia positivo e negativo) è la principale pietra dello scandalo: i detrattori del film (come Maltin, Ebert e il Mereghetti) la giudicano ridondante e inconcludente; i suoi sostenitori (come Berardinelli, che addirittura lo candida ad Arancia Meccanica degli anni ’90, sottolineando anche il valore del testo) è la giusta cassa di risonanza per amplificare la vis critica della pellicola e la sua capacità di lasciare il segno. Tali critiche hanno frenato l’accoglienza del pubblico in sala, ma a fronte di un incasso al botteghino non certo esaltante (circa 100 milioni contro i 63 investiti) la pellicola ha avuto un enorme successo in home video, ed è diventata con gli anni un vero cult, anche grazie agli ottimi dialoghi, cha hanno consacrato allo cultura pop un tantissime citazioni. Il film è stato citato in tantissime opere, in particolare nelle successive interpretazioni di Brad Pitt (come in “Mr. & Mrs. Smith” dove indossa la maglietta del film e in “Bastardi senza gloria” con la famosa battuta “Combattere in uno scantinato presenta numerosi inconvenienti, primo fra i quali il combattere in uno scantinato!”, nonché in serie tv, canzoni e videoclip.

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Godibili le scene di combattimento, ammesso che si apprezzi l’abbondante violenza (che comunque, nonostante l’abbondanza di sangue e lividi, non cade mai nello splatter fine a se stesso) Gli attori mostrano un’infarinatura di MMA - che all’epoca dell’uscita del film era appena esplosa come fenomeno mediatico nel mondo degli sport da combattimeto - abbastanza convincente (considerando che non si tratta di un film sulle arti marzilali) con tecniche tirate in modo da enfatizzare la drammaticità delle ferite inflitte, ma non è tanto nel combattimento fisico, bensì in quello mentale, che lo spettatore è chiamato ad immedesimarsi. Nel pieno del decadimento morale, consacrato dall’assuefazione da stereotipi consumistici, il messaggio arriva come un diretto in piena faccia: Combatti per sapere chi sei.

Francesco Malvano

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veneto LE C.I.M.E. DELLA DANZA a cura di: Armando Feliciotti C.I.M.E. 2016 (Corso Intensivo Modalità Espressive) è un progetto pensato per essere una soluzione formativa adatta a danzatori in diverse fasi della propria esperienza e prevede la possibilità di modulare il programma in base alle specifiche esigenze. Nasce dalla collaborazione tra l’associazione sportiva dilettantistica Kasadanza di Rosà (VI) diretta da Selenia Mocellin, consigliera MAA per la segreteria del Veneto, con Hinterland Dance Theatre, compagnia di danza contemporanea diretta da Fernando Pasquini, danzatore e coreografo in Italia e all’estero.

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SarĂ proprio il direttore della compagnia a seguire i due mesi di percorso previsti per C.I.M.E. (18 gennaio-13 marzo 2016) curandone la parte artistica , didattica e il lavoro quotidiano in sala. Questo intenso periodo verrĂ arricchito da 3 ospiti che proporranno 3 week end di approfondimento della durata di 10 ore ciascuno, aperti anche a danzatori esterni non iscritti al percorso di C.I.M.E Ecco le date degli approfondimenti Data Docente Tema 23-24 gennaio Loris Petrillo LIMITLESS 6-7 febbraio Loredana Parrella EXPLORATIONS 12-13 marzo Claire Benson EMPOWERING

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I tre ospiti proporranno dei percorsi specifici condividendo la propria ricerca atletica e artistica con i partecipanti poiché ciascuno possa poi trovare su di sé un proprio percorso. Necessità della danza contemporanea è l’apertura e la molteplicità di sguardi sulle cose senza verità assolute ma con mille possibilità aperte. C.I.M.E accompagna nella ricerca delle proprie soluzioni fisiche e artistiche, proponendo domande e innescando curiosità. Luogo del percorso è la sede associativa di Kasadanza, da 13 anni a Rosà (VI). Da subito l’a.s.d. Kasadanza ha iniziato il proprio percorso intrecciando relazioni di collaborazioni con altre realtà via via sempre più grandi con lo scopo di offrire momenti di alta formazione nella danza, di scambio artistico e umano.

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La collaborazione con HDT e la messa in opera di C.I.M.E. è quindi una conseguenza “logica” di un modo di pensare in rete da sempre parte del Dna di Kasadanza, che ha riscontrato in questa realtà professionale lo stesso intento. Hinterland è la terra tra le terre, per creare ponti, poiché solo la collaborazione può dare origine a cose grandi. A tutti i danzatori che desiderano prendere parte ai seminari o intraprendere il percorso completo o anche solo una parte diamo fin d’ora il benvenuto in Kasa e vi preghiamo di non esitare a contattarci. Sarà possibile inserirsi anche a percorso iniziato. Per Info e prenotazioni: infohinterland@gmail.com - info@kasadanza.it Margherita +39 334 3218559

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lazio l’inizio di un grande anno! a cura di: Alberto Morra La segrateria reglionale MAA Lazio è pronta per un 2016 ricco di eventi! Già in pogramma, per il mese di marzo, le gare di Kata e Red Ribbon riservate a bambini e ragazzi, mentre si stanno ultimando i preparativi per il budofest del 24 aprile, che si terrà presso il Complesso Sportivo Heaven Fight Arena di Roma e cghe ospiterà, il Primo Stage Nazionale ed il corso di aggiornamento tecnico del Settore Karate Shotokan. Nell’ambito della manifestazione verrà dato spazio a docenti provenienti da molteplici discipline, che daranno vita ad una giornata ricca all’insegna dello studio, della professionalità e della condivisione. Continuano intatno le adesioni dei giovani e giovanissimi alle nostre iniziative domenicali e nei week end, con gli incontri nelle varie palestre laziali. I tecnici presenti sul territorio continuano l’attività di formazione con impegno e passione, sempre con un occhio di riguardo all’educazione ed al senso civico necessario nel crescere buoni atleti e onorevoli marzialisti. Dopo il successo dei corsi di Basic Life Support Defibrillator (B.L.S.D.) e Pediatric Basic Life Support Defibrillator (P.B.L.S.D.), in linea con le nuove normative vigenti su tutto il nostro territorio, Sono inoltre in preparazione i nuovi corsi per Allenatori, Istruttori, Aspiranti Maestri e Maestri, come di consueto improntati sulla professionalità che da sempre contraddistingue la nostra organizzazione. Continuano inoltre le aperture di nuovi corsi aderenti al progetto POF scolastico della prima e seconda infanzia, nelle scuole materne ed elementari, con tante nuove adesioni in più. la realtà della MAA Lazio è in costante crescita, grazie all’impegno profuso dal team tecnico, sempre presente ai maggiori eventi nazionali ed internazionali, come il Meeting MAA International di Torino, che ha costituito un’importante occasione di formazione e consolidamento del gruppo, nonchè un graditissimo riconoscimento della 84 sua operatività nell’ambito dell’organizzazione.


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stage collegiale acsi

a cura di: Luca Raucci Si sono dati appuntamento allimpianto Polifunzionale di Soccavo, per il 9° Allenamento Collegiale Interdisciplinare di Arti Marziali ACSI, i Responsabili dei settori sportivi ACSI Napoli, coordinati dal Direttore Tecnico Grandmaster Mario Bellerino e la Supervisione dei Dirigenti ACSI Vincenzo Izzo, Sara Borriello e Patrizio Borriello, per il consueto incontro delle discipline praticate nell’ACSI. Importanti presenze di Insegnanti Tecnici e Operatori Sportivi delle varie Discipline presenti, rappresentate dai Maestri: Vito Castiglione, Tommaso Lippiello, Massimo Curti Giardina, Luca Raucci, Massimo Fiorentini, Enrico Palmentieri, Luigi Aliberti, hanno arricchito l’Evento proprio perché “Lo Sport” aiuta la comunità a crescere attraverso la diffusione delle regole e il loro rispetto.

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Ph. Sara Borriello


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comitati regionali

“Special Guest” della kermesse è stato Luigi De Magistris, Sindaco di Napoli e Ciro Borriello, Assessore allo Sport, che hanno presenziato l’Evento. Grande il loro supporto e l´interesse dimostrato verso la pratica dei vari stili di Arti Marziali presenti e per il loro tempo dedicato ai vari gruppi delle diverse discipline. E’ stata di sicuro un’opportunità per stare insieme e conoscerci all’insegna di allenamenti per tutti i partecipanti, poiché conta molto operare nella prevenzione, e il canale sportivo ci aiuta perché fonde regole e divertimento, tutti possono approcciarsi a quella che si voglia definire sana correttezza, sia in una situazione di squadra che d’individualità, e nello stare insieme si possono valutare le molteplici occasioni per organizzare futuri e sinceri incontri, per sviluppare e far conoscere la realtà del vivere quotidiano dei praticanti di Attività Sportive e Arti Marziali. Fonte: Comitato Provinciale ACSI NAPOLI

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Ph. Sara Borriello


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natale del budo

Grande successo per la ventiseiesima edizione del “Natale del Budo” organizzato dall’A.S.D. Vip Center con il patrocinio dell’Ente di Promozione sportiva ACSI e della Kombat League. L’evento, svoltosi l’8 dicembre presto l’Istituto dei Salesiani al Vomero,l ha coinvolto maestri e atleti delle discipline più varie del mondo delle arti marziali, dal Ju Jitsu al Krav Maga, dal Ken Jitsu alla Kick Boxing, dal Muay Thai al Kung Fu. Grande soddisfazione per l’organizzatore, Dott. Salvatore Izzi, che insieme alla Madrina dell’event,o la dottoressa Lina de Cesare, direttore della riabilitazione ASL Napoli 1, ha condotto una grande serata di sport, dove si sono avvicendate competizione di Kick Boxing ed esibizioni di arti marziali. A rappresentare la MAA International il team del M° Francesco Malvano, composto dagli atleti Marco della Volpe, Flavia Tocchi, Luigi Parisi, Stefano Longo e Alejandro Gutierrez, che si è aggiudicato il primo posto nella gara dimostrativa a squadre con l’esibizione “Miyamoto Musashi”.

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puglia maratona marziale a cura di: Coriolano Nino Siena In data 31 Gennaio 2016 a Barletta (BA) presso il palazzetto dello sport PALADISFIDA MARIO BORGIA, ha avuto luogo la maratona marziale italiana WTKA GIRONE CENTRO SUD realizzata dal comitato organizzatore: Team FEDERICOGYM - Team FIGHTERS. All’evento, che ha contato più di 1500 i partecipanti di oltre 200 discipline provenienti da tutto il sud italia, la MAA International era rappresaneta dall’associazione sportiva dilettantistica Fondazione Paolo Siena “ Scuola Cori”, diretta dall’ l’istruttore Siena Coriolano Nino. Grazie ad ottime prestazione, gli atleti in gara hanno conquistato 4 medaglie: Kick Boxing Light (-76 kg) Primo classificato Mirizzi Giovanni Forme Esperti Primo classificato

Antonio Careccia

Forme Principianti Primo classificato

Giacomo Rifino

Kick Boxing K1 Secondo Classificato Giuseppe Basile

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Complimenti a tutti gli atleti che si sono fatti onore nel corso della competizione, tenendo alta la bandiera della MAA International.


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sicilia aikijujutsu a siracusa a cura di: Giuseppe Pace Grande successo per lo stage tenuto presso la Cittadella dello sport di Siracusa, organizzato dalla ASD “Zan shin Aikido” con il patrocinio della MAA Sicilia. L’incontro, diretto dal Maestro Giuseppe Pace (7° Dan Aiki jutsu, caposcuola dell’Otonashi Jutsu Ryu) ha visto la partecipazione di docenti di alto profilo come il Maestro Giuseppe Pisano (5°Dan Jujutsu) e dei Maestri Antonio Giudice (4° Dan Aikido) e Pasquale Franzo’. Lo stage è stato improntato sullo studio di tecniche dell’Otonashi Jutsu Ryu”,ovvero la scuola dell’arte del “silenzio”. Il Maestro Pace ha dimostrato la poderosa efficacia delle sue tecniche basate sull’ascolto del corpo e del respiro dell’avversario, o per meglio dire del “compagno”, come ama sottolineare il maestro, ricordando che un aggressore, in fondo, è una persona bisognosa di una guida che lo induca a non nuocere. Durante le due giornate di stage sono state illustrate le tecniche di base di atemi, leve articolari e soffocamenti, con particolare attenzione all’esecuzione in “omote waza” e “ura waza”, e sui concetti di “go no sen” e “sen no sen”. Grande spazio è stato dedicato alla necessità dell’ascolto e quindi del “silenzio”, condizioni necessarie per poter cogliere il giusto tempo per poter contrattaccare. Sono state infine illustrate tecniche “te goshin jitsu” con cenni di Kyusho jitsu, anatomia delle articolazioni e tecniche “buki waza”, con particolari cenni all’uso della Katana nella scuola Otonoashi.

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Altissimo lo spessore tecnico e filosofico dello stage, cghe non ha mancato di approfondire tematiche come lo studio dello zanshin, molto apprezzato dai partecipanti.


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cinture rosa in sacrestia Si è tenuto tra i mesi di ottobre e gennaio, presso la sacrestia della chiesa della Madonna della grazia a Mazara del Vallo il corso “Cintura Rosa” rivolto a tutte le donne della comunità. Il corso (che già aveva ottenuto forti consensi nelle sue precedenti incarnazioni, rivolte alle studentesse degli istututi scolastici del terrirorio) fortemente avallato da don Vincenzo Aloisi, è stato diretto dal Maestro Giuseppe Pace (7° Dan Aiki jutsu, caposcuola dell’Otonashi Jutsu Ryu) Durante incontri settimanali le 30 partecipanti di tutte le età (orgogliosamente presente una signora di 76 anni!) hanno appreso tecniche di difesa personale sia mani nude che con oggetti comuni di uso comune, nonchè nozioni di prevenzione e body language, grazie al contributo della psicologa Cinzia Sciacca. Dalle parole del parroco: “Non deve sembrare strano che in chiesa si tenga un corso del genere, che non istiga affattoa lla violenza, bensì è uno strumento per affermare la dignità e la libertà delle persone. Nessuno, sia esso uomo o donna può inferire contro un altro essere calpestando i suoi diritti”.

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Sabato 12 e Domenice 13 Marzo Seminario della scuola Otonashi jutsu ryu con l’intervento del Maestro Tiberio Abategiovanni dalla Svizzera. Il seminario inizierà sabato, ore 15, con lo studio delle buki waza, per continuare nell’intera giornata di domenica con con lo studio del te goshin jutsu, con possibilità di pranzo al sacco all’interno del dojo. Per la giornata di domenica sono graditi anche i bambini. Disponibile pernottamento in B&B a prezzi modici. Per info: 3505382071




maamagazine 2.0 maamagazine2.0@gmail.com


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