Web Magazine di Arte e Cultura Marziale - Numero 3 - Novembre 2015
ANNO I - NUMERO 3 - Novembre 2015 Web Magazine di Arte e Cultura Marziale Editore Martial Arts Alliance International Direttore Editoriale Francesco Malvano capo redattore Massimo Curti Giardina redattorI NAZIONALI Flavia Tocchi
Cristiano Curti Giardina
Claudio Comotto
redattorI REGIONALI Basilicata Roberto Giano Campania Luca Raucci Friuli-Venezia Giulia Massimo Gitto Lazio Alberto Morra Liguria Fabio Forte Piemonte Vincenzo Volpino Puglia Coriolano Nino Siena Sicilia Giuseppe Pace Toscana Rosario Castronovo Umbria Tiziano Bonifazi Veneto Armando Feliciotti HANNO COLLABORATO A QUESTO NUMERO Costantino Valente
Marta Crasnich
Cristina Negrisin
Redazione Via F. Bottazzi 36 - 80126 Napoli cell:. (+39) 333/1432283 mail: maamagazine2.0@gmail.com
Antonio Giudice
Me an
erry Christmas nd happy new year
Hana Wa Sakuragi, Hito Wa Bushi
C
Tra i fiori il ciliegio, tra gli uomini il guerriero
’è una velata componente masochistica nel praticante di arti marziali: la sua passione comporta il sottoporsi a rigidi allenamenti, il confronto quotidiano con i propri limiti, l’esperienza del dolore.
Nella pratica marziale, infatti, la componente dolorosa non è legata, come in altre discipline, a soli eventi fortuiti ma è presente, in una certa misura, in ogni singolo istante, dalla tecnica appena accennata in allenamento, che si interrompe appena il compagno “batte” per segnalare la sua resa, al colpo a contatto pieno portato durante gli incontri delle discipline che prevedono tale specialità. È lecito domandarsi cosa sia esattamente questa “fisicità” (spesso banalizzata come “violenza” da chi non pratica) che affascina milioni di praticanti di migliaia di stili diversi. Stiamo parlando, è bene precisarlo, di arti “marziali”, ossia “da guerra”, concepite come approccio sistematico alla risoluzione di un conflitto. In tale accezione rientra qualsiasi disciplina antica o moderna, dall’Aikido alle MMA, dall Kung Fu al Krav Maga, che preveda il confronto tra due o più individui. A prescindere dal contesto operativo in cui venga posta in essere (un’azione di polizia, un ring, il dojo, la strada…) il fine ultimo dell’arte marziale è quello di aver ragione di una situazione potenzialmente o effettivamente pericolosa. A pensarci bene, qualsiasi attività umana è volta all’avere ragione di qualcosa: la medicina cerca di sconfiggere la malattia, la legge mira alla regolamentazione della società civile… ed ognuna di queste attività porta chi vi si dedica all’acquisizione di una specifica forma mentis. Come il dottore e il giudice svilupperanno una mentalità medica e giuridica, l’artista marziale maturerà un certo tipo di approccio alle questioni della vita. Questa “mentalità marziale” mostra però un tratto che la differenzia da tutte le altre avvicinandola più al novero artistico che a quello professionale: il suo carattere di universalità. Qualsiasi professionista ha un bagaglio di capacità legato, più o meno strettamente, al suo specifico campo di competenze. Nel campo artistico, invece, il significato di un opera tende a superare il suo significante: per questo motivo un quadro, una scultura o una composizione, possono veicolare il medesimo messaggio, a prescindere dal mezzo usato per trasmetterlo. Tutto ciò porta ad una significativa differenza tra le due figure, mentre un medico e un giudice possono tranquillamente svestire toga e camice in talune circostanze, l’artista (anche quello marziale) resta, per scelta o per forza di cose, con la sua “divisa” sempre addosso, in qualsiasi momento della vita. Questo fenomeno può sembrare strano. Ci sono tante materie che, a prima vista, hanno un campo di applicazione decisamente più vasto di quello delle arti marziali: le discipline scientifiche indagano l’origine della materia e dell’universo, quelle umanistiche gli usi e i costumi dell’uomo… mentre le arti marziali sembrano limitarsi al solo problema pratico della risoluzione di un confronto.
Tuttavia, mentre il marzialista impara a tirare un pugno, applicare una leva, buttare a terra un avversario, avviene una strana magia: diventa osservatore attento di tutta la realtà circostante. Durante l’esecuzione di ogni singola tecnica, l’artista marziale fa esperienza empirica di un elevato numero di discipline: fisica (quale movimento è utile per portare a segno questa tecnica?) biomeccanica (quali muscoli devo adoperare per riuscirvi?) medicina (quali danni ho inferto/ricevuto durante il confronto?) psicologia (dove sto focalizzando la mia attenzione? Di cosa ho paura? A cosa sta pensando il mio avversario?)… ma soprattutto, la pratica marziale insegna a risolvere qui ed ora il problema che ci si para davanti . L’insegnamento nascosto emerge spontaneamente con la pratica: ad un certo punto, l’artista marziale inizia a chiedersi se può applicare quello che ha imparato non solo per risolvere una rissa o un incontro, bensì per aver ragione di tutti i problemi che incontrerà nella vita. Prendiamo qualcuno a caso tra i tantissimi proverbi riguardanti le arti marziali: “Se voglio dominare me stesso, devo prima accettare me stesso” (Bruce Lee), “La rigidità è propria della mano morta, la morbidezza è della mano viva.” (Miyamoto Musashi), “leggi la mente del tuo avversario, e consegui la vittoria senza contrasto” (Takeda Sokaku), Tutti ci indicano che gli insegnamenti tecnici non sono altro che insegnamenti di vita applicabili (anche) alla pratica marziale. Nessuna sorpresa, dunque, se questi insegnamenti, ascoltati mille volte in mille occasioni in palestra, restano impressi nella mente dell’artista marziale, accompagnandolo in tutti gli ambiti della vita. Mi è capitato moltissime volte di sentirmi dire, come complimento o come critica, che ragiono sempre da praticante o da insegnante di arti marziali. Ciò mi ha spinto a riflettere sul posto che tali discipline debbano occupare nella vita di un artista marziale. Ho iniziato da piccolo, quasi per caso, spinto dalla curiosità nata attraverso film e letture. Sono cresciuto sul tatami, investendo quantità di tempo sempre maggiori allo studio e al perfezionamento, acquisendo per osmosi una mentalità marziale che sentivo mi confacesse sempre di più. Tante volte questa mentalità mi ha aiutato ad affrontare i problemi, a spendermi fino allo stremo delle forze, a reinventarmi e superare le difficoltà applicando i concetti che ho imparato in palestra. Più che formarmi, posso dire che la mentalità marziale mi abbia permesso di esprimere me stesso: ho compreso che le arti marziali non formano il carattere ma, mettendoti di fronte al limite estremo delle tue capacità, lo rivelano. Ho visto me stesso prima ed i miei allievi poi capaci di tirare fuori, sia sul tatami che nella vita, una forza incredibile e primordiale, una forza che nessuno può insegnarti, che risiede dentro ognuno di noi, pronta ad esprimersi nel momento del bisogno. I samurai ripetevano “Tra i fiori il ciliegio, tra gli uomini il guerriero”. Siamo artisti marziali, abbiamo la fortuna di possedere uno dei più potenti strumenti per esprimere noi stessi e approcciare alla vita in modo del tutto libero e personale... quindi sì, ragioniamo sempre, e sempre fieramente, da artisti marziali!
Francesco Malvano
Pronti per un anno di cambiamenti
È
tutto pronto per il Meeting Internazionale di Torino del 30 e 31 gennaio. Come ogni anno, saranno presenti i Docenti Federali e tanti ospiti che daranno prestigio all’evento. L’evento cade in prossimità della fondazione della MAA, 27 gennaio di un 2010, che pare così lontano, quando un gruppo di Maestri con le proprie Associazioni Sportive decisero di riunirsi per costituire una asd che potesse unire sotto lo stesso tetto tutti i marzialisti che credevano in un obiettivo comune. Ripensando a quei giorni, mi coglie un senso di vertigine: eravamo ancora in pochi, ma potevamo contare sulla professionalità di grandi maestri come Luciano Foralosso, Ranato Bosch, Franz Strauss e tanti altri. Cinque anni dopo, agli sgoccioli di questo 2015, abbiamo ancora tanta fame e tanta voglia ancora di crescere. In questi anni si sono avvicendati tanti Maestri, abbiamo pianto la scomparsa di alcuni amici, ma lo spirito della MAA è restato lo stesso, quello di una grande alleanza per tutte le arti marziali. Attualmente siamo presenti in Italia, Germania, Svizzera, Austria e Spagna con le nostre segreterie operative e con referenti in tante altre nazioni, che stanno gettando le basi per aprire nuove sedi. In questi anni abbiamo lavorato con diversi Enti di Promozione, stringendo accordi e crescendo anno dopo anno in professionalità e in capacità di offrire sempre nuovi servizi ai nostri tesserati. Abbiamo sempre seguito scrupolosamente tutte le normative degli Enti di Promozione riconosciuti dal CONI, allontanandoci dalla politica adottata da tante altre asd che, usando impropriamente termini come “federazione”, millantano una dimensione che non ci appartiene. A partire dal prossimo anno il nostro Ente di riferimento sarà L’Associazione Cultura Sport e Tempo Libero - ACSI. Dopo tanti anni, torno ad operare insieme a vecchi amici come il Presidente Antonino Vito ed il Vicepresidente Claudio Cimmino, con i quali negli anni ’80 ho condiviso tante belle esperienze dentro e fuori il tatami. L’organizzazione dell’attività sportiva in Italia sta vivendo un periodo di transizione: dopo tanti anni passati a navigare a vista, non agevolati affatto da normative spesso poco chiare (e spesso sfruttate utilitaristicamente da molte sigle…) il CONI si sta muovendo con decisione per regolamentare la situazione. La strada è ancora lunga, ma ci auguriamo che nei prossimi anni si pervenga ad una nuova struttura normativa capaci di disciplinare più puntualmente il vasto panorama sportivo nazionale. 8
Massimo Massimo Curti Giardina Curti Giardina
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La MAA presenta il progetto Black Belts Alliance International. Lo scopo del progetto BBA è dare l’oportunità a tutte le cinture nere, operanti e non all’interno della MAA INTERNATIONAL di entrare a far parte, gratuitamente, di una grande famiglia di artisti marziali internazionali, per condividere idee, progetti, professionalità e competenze. Nata nel 2013, la BBA ha ottenuto consensi in oltre 30 Paesi in tutto il mondo, con eventi organizzati in partnership con le principali organizzazioni di arti marziali e sport da combattimento. L’adesione alla BBA INTERNATIONAL è comletamente gratuita e da l’opportunità di ionserirsi in un network internazionale con grande copertura mediatica, garantita da siti web, riviste e la prsenza costante sui magiori social network. La BBA INTERNATIONAL mette a disposizione di tutti i marzialisti un albo internazionale accessibile gratutamente, nel quale vengono inserirti solo i tecnici e le cinture nere in possesso di una documentazione ufficiale comprovante il loro grado.
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Vim vi rep
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Legittima difesa e pre dell’ingiustam
pellere licet
È lecito respingere la violenza con la violenza
PARTE I - LA NOZIONE DI LEGITTIMA DIFESA
L
a legittima difesa viene disciplinata all’ art. 52 del codice penale. Nel suddetto articolo si statuisce che “Non è punibile chi ha commesso il fatto, per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio od altrui contro il pericolo attuale di una offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all’offesa.” Quando si parla di legittima difesa si richiama alla mente il concetto di autodifesa o capacità dell’aggredito di difendersi nei confronti dell’aggressione ingiusta di un altro soggetto. Spesso nei giornali si leggono casi di aggressioni e violenze fisiche. Spinte dalla necessità di difendersi da un’ingiusta aggressione molte sono le persone che si avvicinano a corsi di autodifesa personale o alle arti marziali. In particolare le donne, spesso impaurite dalla forza del proprio aggressore non riescono a reagire.
evalenza all’interesse mente aggredito
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Esistono molte arti marziali che permettono anche a persone minute e magari non avvezze all’uso della forza di sviluppare la capacità di difendersi ed in special modo è possibile citare una leggenda attinente al jujitsu, che basa i suoi principi sul concetto: Hey yo shin kore do, ovvero “Il morbido vince il duro”. Si racconta che molti secoli fa, un medico di nome Shirobei Akiyama durante un’abbondante nevicata osservò che il peso della neve aveva spezzato i rami degli alberi più robusti ma non quelli più flessibili di un salice, che si flettevano lasciandola cadere riprendendo, poi, la primitiva posizione. L’applicazione delle arti marziali nell’ambito della difesa personale, come tutti i casi di utilizzo della forza fisica nei confronti di un altro soggetto può comportare conseguenze giuridicamente rilevanti regolamentate dal diritto ed in particolare può venire in evidenza la fattispecie della disciplina della legittima difesa. La legittima difesa è una causa di giustificazione prevista dall’art 52 cp. Questa si concretizza quando chi ha commesso il fatto vi sia stato costretto dalla necessità di difendere un diritto, proprio o altrui, contro il pericolo attuale di un ‘offesa ingiusta, purché la difesa sia proporzionata all’offesa. Presupposti essenziali della legittima difesa sono costituiti da un lato dall’insorgenza del pericolo (determinato da un’aggressione ingiusta) e da una reazione difensiva legittima: l’aggressione ingiusta deve concretarsi nel pericolo attuale di un’offesa che, se non neutralizzata tempestivamente, può sfociare nella lesione di un diritto proprio o altrui (personale o patrimoniale) tutelato dalla legge; la reazione legittima deve inerire alla necessità di difendersi, alla inevitabilità del pericolo e deve sussistere comunque una proporzione tra difesa ed offesa. L’esimente della legittima difesa non è applicabile allorché il soggetto agisce nella convinzione, sia pure erronea, di dover reagire a solo scopo difensivo, ma per risentimento o ritorsione contro chi ritenga essere portatore di una qualsiasi offesa. (Cass. Sez I 18 febbraio 2000-15 marzo 2000 n. 3200). Dibattuti in dottrina sono stati i riferimenti politico-criminali che permettono di considerare non punibile il fatto commesso in tali circostanze. Per parte della dottrina, infatti, tale esimente inciderebbe sull’elemento soggettivo, cioè l’agente non agisce con malvagità; altra parte della dottrina parla di delegazione cioè il soggetto agirebbe nell’esercizio di una pubblica funzione delegatogli dallo Stato impossibilitato ad intervenire, ma, a tale tesi, si è eccepito che lo Stato non può uccidere l’aggressore. Per altri ancora invece si è parlato di bilanciamento degli interessi nel senso che rispetto all’interesse dell’aggressore prevale quello dell’aggredito.
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Veniamo ora ai requisiti della legittima difesa. Oggetto dell’offesa deve essere un diritto, comprensivo non solo dei diritti soggettivi ma anche degli interessi tutelati giuridicamente. Legittimo è anche il “soccorso difensivo”, cioè la difesa di un diritto altrui. L’offesa deve essere ingiusta cioè contraria ai precetti dell’ordinamento. Il pericolo deve essere attuale. E’ attuale il pericolo incombente quello cioè che scaturisce da una situazione che se non interrotta sfocerebbe nella lesione di un diritto, sia il pericolo perdurante cioè quando la lesione è in corso. Pertanto non ci sono gli estremi della legittima difesa se il pericolo è passato o futuro.
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Si discute se il pericolo può essere o meno determinato volontariamente dall’agente. In realtà la determinazione volontaria dello stato di pericolo esclude la legittima difesa non per la mancanza del requisito della ingiustizia dell’offesa ma perché viene meno il requisito della necessità della difesa. L’esimente quindi non può essere invocata da chi agisce e ragionevolmente può prevedere di determinare una reazione aggressiva, accettando volontariamente la situazione di pericolo a lui determinata. (Cass. Sent. 2654 del 23 .1.2012). Non è invocabile la legittima difesa da parte di colui che accetti una sfida, ponendosi volontariamente in una situazione di inevitabile pericolo per la propria incolumità, fronteggiabile solo con l’aggressione altrui (Cass. sez. 1, n. 4874 del 27/11/2012, Spano, Rv. 254697; Sez. 5, n. 26172 del 11/05/2010, P., rv. 247898; sez. 5, n. 2505 del 14/11/2008, P.G. in proc. Olari e altri, rv. 242349). Anche la reazione deve avere dei requisiti. Essa deve essere necessaria, cioè non deve essere possibile evitare altrimenti l’offesa al diritto proprio o altrui. L’attualità del pericolo richiesta per la configurabilità della scriminante della legittima difesa implica un effettivo, preciso contegno del soggetto antagonista, prodromico di una determinata offesa ingiusta, la quale si prospetti come concreta ed imminente, cosi da rendere necessaria l’immediata reazione difensiva. Pertanto resta estranea all’area di applicazione della scriminante ogni ipotesi di difesa preventiva. (si veda in proposito Cass. Sez I 27 gennaio 201018 febbraio 2010 n. 6591). Necessario per ritenere legittima la reazione di fronte all’imminenza del pericolo è la necessità di difendersi che si ha quando il soggetto si trova nell’alternativa tra reagire e subire, nel senso che non può sottrarsi al pericolo senza offendere l’aggressore. (Cass. Sez I 24 novembre 1984-7 maggio1985 n. 4194). Ci si chiede se sia legittima la difesa di chi aveva la possibilità di evitare l’offesa con la fuga. Alcuni autori sostengono che fuori dalle ipotesi del c.d. “commodus discessus” sia da ritenere legittima la reazione in quanto la legge non vuole incoraggiare i delinquenti e suggerire la viltà agli onesti; altri autori invece considerando il fatto che non sempre la fuga lede la dignità umana, sostengono che si dovrebbe verificare caso per caso. La giurisprudenza sostiene invece che non è possibile invocare la legittima difesa da parte di colui che può allontanarsi dal luogo senza pregiudizi e senza disonore (Cass. Sent. 18926 del 30.4.2013) né da parte di chi accetta una sfida o si ponga volontariamente in una situazione di pericolo dalla quale è prevedibile o ragionevole aspettarsi che derivi la necessità di difendersi dall’altrui aggressione(Cass. Sent . 4874 del 31.1.2013). Il giudizio pertanto non è assoluto ma relativo, da effettuarsi caso per caso.
Dott.ssa Flavia Tocchi
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Le A.S.D. - Asso Sportive Dilett Parte I - Adempimenti amministrativi Per la costituzione di un A.S.D. è necessaria la sottoscrizione di un verbale di costituzione scritto (atto costitutivo), con il quale i soci fondatori approvano lo statuto, che ne disciplina i reciproci rapporti anche rispetto ai terzi, e procedono alla nomina delle prime cariche sociali. Negli articoli 36, 37, e 38 del codice civile vengono dettati i principi di ordine generale mentre nel D.Lgs. n. 460 del 04/12/1997 e successive modifiche si trova la disciplina fondamentale di dettaglio. La redazione dell’atto costitutivo e dello statuto di un’Associazione non riconosciuta può avvenire nelle specifiche forme dell’atto pubblico, della scrittura privata autenticata o della scrittura privata registrata: la forma più diffusa è quella della costituzione mediante scrittura privata registrata che non necessita della presenza di un notaio ma è sufficiente la registrazione presso l’Ufficio Registri – Atti privati dell’Agenzia delle Entrate localmente competente previo versamento della relativa imposta di registro (nel 2015 ammonta ad € 200,00 22 oltre le marche da bollo).
ociazioni tantistiche
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L’A.S.D. viene considerata ente non commerciale e quindi può avvalersi delle agevolazioni fiscali previste, a condizione che non abbia per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali (art. 73 comma 1 lett. c) del DPR 917/1986) e che siano rispettati i principi di cui all’art. 148 del T.U.I.R. (Enti di tipo associativo) e all’art. 4 comma 7 del DPR n. 633/1972 (Esercizio di imprese) e quindi l’atto costitutivo e lo statuto dell’ A.S.D. devono contenere i seguenti elementi essenziali: a) divieto di distribuire anche in modo indiretto, utili o avanzi di gestione nonché fondi, riserve o capitale durante la vita dell’associazione, salvo che la destinazione o la distribuzione non siano imposte dalla legge; b) obbligo di devolvere il patrimonio dell’ente, in caso di suo scioglimento per qualunque causa, ad altra associazione con finalità analoghe o ai fini di pubblica utilità, sentito l’organismo di controllo di cui all’articolo 3, comma 190, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, e salvo diversa destinazione imposta dalla legge; c) disciplina uniforme del rapporto associativo e delle modalità associative volte a garantire l’effettività del rapporto medesimo, escludendo espressamente la temporaneità della partecipazione alla vita associativa e prevedendo per gli associati o partecipanti maggiori d’età il diritto di voto per l’approvazione e le modificazioni dello statuto e dei regolamenti e per la nomina degli organi direttivi dell’associazione; d) obbligo di redigere e di approvare annualmente un rendiconto economico e finanziario secondo le disposizioni statutarie; e) eleggibilità libera degli organi amministrativi, principio del voto singolo di cui all’articolo 2532, secondo comma, del codice civile, sovranità dell’assemblea dei soci, associati o partecipanti e i criteri di loro ammissione o esclusione, criteri e idonee forme di pubblicità delle convocazioni assembleari, delle relative deliberazioni, dei bilanci o rendiconti; f) intrasmissibilità della quota o contributo associativo ad eccezione dei trasferimenti a causa di morte e non rivalutabilità della stessa; Inoltre l’attività nei confronti degli associati o partecipanti sia svolta in conformità alle finalità istituzionali (art. 148 del T.U.I.R). Ed in più, trasmetta, esclusivamente per via telematica, all’Agenzia delle entrate il Modello EAS entro 60 giorni dalla data di costituzione per come previsto dall’art. 30, comma 1, del DL 185/2008, convertito con modificazioni della L. 2/2009 (nel caso di variazione nei dati comunicati, con esclusione dei punti: 20-21-23-24-30-31-33, bisogna trasmettere nuovamente il modello EAS per intero 24 entro il 31 marzo dell’anno successivo a quello in cui sono avvenute le variazioni).
Per l’attività istituzionale all’A.S.D. occorre l’attribuzione del solo Codice fiscale, da richiedere su appositi moduli presso gli Uffici dell’Agenzia delle Entrate. Le A.S.D. possono svolgere oltre all’attività istituzionale anche quella commerciale. L’attività di tipo istituzionale deve essere sempre presente. L’attività di natura commerciale è eventuale e viene esercitata allo scopo di reperire fondi per l’attuazione degli scopi statutari: a tal fine, in dottrina si parla di strumentalità dell’attività commerciale nel senso che è uno strumento concesso alle associazioni per attuare le proprie finalità di carattere non commerciale. Ai fini della qualificazione fiscale la distinzione tra le due attività, come sopra indicato, è fondamentale: sono enti non commerciali, infatti, non solo gli enti che svolgono soltanto attività istituzionale ma anche gli enti che, pur svolgendo anche attività commerciale, non la svolgono in modo esclusivo né in maniera prevalente.
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Per le A.S.D. che hanno la qualifica di ente non commerciale, in base all’art. 148 del TUIR, non si considerano attività commerciali, e quindi non concorrono a formare il reddito complessivo: - le attività svolte in diretta attuazione degli scopi istituzionali, effettuate anche verso pagamento di corrispettivi specifici nei confronti degli iscritti, associati o partecipanti, di altre associazioni che svolgono la medesima attività e che per legge, regolamento, atto costitutivo o statuto fanno parte di un’unica organizzazione locale o nazionale, dei rispettivi associati o partecipanti e dei tesserati dalle rispettive organizzazioni nazionali ; - le somme versate dagli associati o partecipanti a titolo di quote o contributi associativi; Le A.S.D. per lo svolgimento dell’attività commerciale, sempre in via non esclusiva, devono: - richiedere all’Agenzia delle Entrate, oltre al codice fiscale, l’attribuzione della Partita Iva - effettuare l’iscrizione al REA (Repertorio delle notizie Economiche ed Amministrative della Camera di Commercio). Ai sensi dell’art. 9-bis del D.L. 30 dicembre 1991, n. 417, convertito dalla legge 6 febbraio 1992, n. 66, le disposizioni della legge n. 398/91 si applicano anche alle associazioni senza fine di lucro, pertanto le A.S.D. che richiedono la partita IVA possono esercitare l’opzione ai sensi della L. 398/91 (tale opzione rappresenta sicuramente una scelta consigliabile in quanto prevede adempimenti contabili ridotti e un sistema di tassazione di tipo forfetario). L’opzione deve essere comunicata al competente Ufficio della SIAE e confermata nella prima dichiarazione dei redditi successiva all’opzione (quadro VO del modulo Iva). Gli elementi che possono causare la decadenza dei benefici della legge 398/91 sono:
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- superamento in corso di anno del tetto massimo di 250.000 euro di proventi al di sopra del quale non è possibile usufruire dei predetti benefici;
- effettuazione di pagamenti e versamenti di importo superiore a € 1.000,00 senza modalità tracciabili per come previsto dal nuovo comma 713 art. 1 della Legge 23/12/2014, n.190 (Legge di stabilità 2015). In tal caso si applicano con effetto dal mese immediatamente successivo le disposizioni ordinarie in tema di contabilità. - mancato adempimento dell’obbligo di tenere la contabilità separata per le entrate di natura commerciale: è sufficiente nel rendiconto annuale evidenziare le entrate delle attività commerciale con un apposita sezione denominata “entrate di natura commerciale”; In ottemperanza al criterio della trasparenza e della regolarità gestionale, nello svolgimento delle attività sociali, i responsabili della gestione dell’A.S.D. devono istituire i libri di seguito indicati per i quali non è necessaria nessuna vidimazione iniziale, tuttavia è opportuno che la vidimazione sia effettuata dal presidente, timbrando, siglando e datando ogni singolo foglio progressivamente numerato: - LIBRO SOCI - che è l’elenco delle generalità complete di tutti gli associati; - LIBRO VERBALI DELLE ASSEMBLEE DEI SOCI; - LIBRO VERBALI DEL CONSIGLIO DIRETTIVO. Il Consiglio Direttivo dell’Associazione, deve predisporre il rendiconto annuale da presentare all’Assemble adei soci che deve approvarlo entro 4 mesi dalla chiusura dell’esercizio.
Dott. Alfredo Vivenzio
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La International Police Training System è una associazione internazionale formata da esperti Istruttori del settore della Self Defense e delle Tecniche e tattiche Operative, con l’obiettivo primario della formazione specialistica degli Operatori di Polizia, dei militari delle Forze Armate, degli operatori della sicurezza privata e degli Istituti di Vigilanza. Il POLICE TRAINING SYSTEM (P.T.S.) è un sistema di allenamento operativo che racchiude, adatta e sviluppa i programmi internazionali adoperati dalle Accademie Internazionali preposte all'addestramento degli Operatori di sicurezza, garantendo una formazione altamente specializzata e protocolli efficaci. Il P.T.S., in continua espansione sul territorio nazionale, negli ultimi anni ha beneficiato di un ampio e gratificante consenso nel panorama internazionale degli Operatori della Sicurezza. Svizzera, Francia, Germania, Brasile, Argentina, Messico e Stati Uniti sono alcuni tra i paesi nei quali gli operatori della sicurezza hanno adottato il sistema IPTS. 28
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“Le percosse e le violenze colpiscono l’involucro di una persona. La violenza sessuale, invece, colpisce e distrugge l’essenza stessa della donna. La donna non dimentica per tutta la vita”. Tina Lagostena Bassi, cofirmataria della legge 66/96. I media propongono quotidianamente episodi di violenza: ogni giorno apprendiamo di atti di violenza pubblica e privata, verso le cose e verso le persone. Una delle più odiose e diffure forme di violenza è quella perpetuato contro le Donne, inquadrate dalla società come soggetti meno avezzi a difendersi e a denunciare tali soprusi. Istituito dalla International Police Training System nel 2011, il progetto Donne al Sicuro, curato da professionisti nel campo della sicurezza e della self defense, opera in sinergia con le Associazioni che tutelano i diritti delle donne, Forze di Polizia, psicologi, criminologi ed esperti del settore. Il progetto prevede corsi di autotutela presso Associazioni onlus, istituti scolastici, atenei universitari, centri sportivi ed enti pubblici e privati. Grazie alla fitta rete di collaborazioni sul territorio nazionale, il progetto garantisce la diffusione delle attività istituzionali che forniscono molteplici forme di assistenza e promuove lo studio dei fenomeni di violenza con particolare attenzione alle metodologie di prevenzione di tali atti criminosi. Donne al Sicuro aderisce alle iniziative del Ministero per le Pari Opportunità e a tutte quelle che hanno come primario scopo la diffusione delle attività a tutela dei diritti delle donne e contro la violenza di genere.
Il Programma, accessibile a tutte le donne, indipendentemente dall’età e dalle condizioni fisiche, insegna a conoscere e prevenire i fenomeni di violenza e a gestire psicologicamente e fisicamente un’aggressione, impartendo nozioni realistiche sul modus operandi degli aggressori. Riproponendo scenari reali e aggressioni sotto l’effetto adrenalinico, vengono illustrate tecniche di difesa a mani nude, con oggetti di uso quotidiano e strumenti di auto protezione. I corsi si differenziano dai normali metodi di difesa personale, poiché prevedono analisi degli aspetti della vittimologia, criminologia, biomeccanica e della difesa con esclusivo riguardo all’ambito femminile. Le tipologie di addestramento vengono calibrate a seconda delle caratteristiche fis iche, della capacità motoria e dell’età delle corsiste. Le partecipanti vengono coinvolte emozionalmente e fisicamente, per accrescere sia la sicurezza psicofisica che il bagaglio tecnico, costituito da semplici ma efficaci tecniche difensive. CORSI ISTRUTTORI DONNE AL SICURO I Corsi di Formazione DaS sono riservati esclusivamente a coloro che sono in possesso di titoli riconosciuti quali insegnanti di Arti Marziali e Sport da Combattimento,. ROGRAMMA DI STUDIO IN SINTESI P - La Violenza di genere - Music Timing Training - Effetti stressogeni - Inoculation Stress Training - Fondamentali di difesa perosnale - Ground Techniques - Women’s Self Defense - Weapons Defense INFOLINE: donnealsicuro@gmail.com FB: Donne al Sicuro
25 NOVEMBRE: GIORNATA MONDIALE CONTRO LA VIOLENZA SULLE DONNE Si è celebrata in tutto il mondo lo scorso 25 novembre la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. Tale ricorrenza, istituita dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite, tramite la risoluzione numero 54/134 del 17 dicembre 1999, ricorda il brutale assassinio nel 1960 delle tre sorelle Mirabal considerate esempio di donne rivoluzionarie per l’impegno con cui tentarono di contrastare il regime di Rafael Leónidas Trujillo (1930-1961), il dittatore che tenne la Repubblica Dominicana nell’arretratezza e nel caos per oltre 30 anni. Il 25 novembre 1960, le sorelle Mirabal, mentre si recavano a far visita ai loro mariti in prigione, furono bloccate sulla strada da agenti del Servizio di informazione militare. Condotte in un luogo nascosto nelle vicinanze furono torturate, massacrate a colpi di bastone e strangolate, per poi essere gettate in un precipizio, a bordo della loro auto, per simulare un incidente. In Italia, a partire dal 2005, alcuni centri antiviolenza e Case delle donne hanno iniziato a celebrare questa giornata, anche se è solo negli ultimi anni che tale data è entrata nel calendario di grandi organizzazioni come Amnesty International. Oggi la ricorrenza è onorata attraverso centinaia di iniziative a carattere locale e nazionale. Grande attenzione a questa tematica è stata dimostrata quest’anno dal Comune di Napoli. In particolare, la V Municipalità ha organizzato una gornata ricca di appuntamenti, con Installazione di info point nelle vie principali, per promuovere attività di volontariato o di imprenditoria femminile, un bibattito sul tema “Non esiste l’amore che uccide”, a cura dell’Associazione EIP, in collaborazione con l’associazione “Telefono rosa” organizza, tenutosi presso le sale della Municipalità, ed una fiaccolata lungo l’isola pedonale di via Scarlatti e L. Giordano in commemorazione delle vittime della violenza sulle donne.
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L’evento principale della giornata è stato tenuto presso il cinema Plaza, dove davanti ad oltre 700 studenti degli istituti scolasti Liceo Alberti, Mario Pagano, Liceo Vittorio Emenuele II, Galilei, Galiani e Vittorio Veneto
si è tanuto in incontro finalizzato alla sensibilizzazione sulle tematiche della violenza di genere, coinvolgendo soggetti che hanno subito maltrattamenti nell’ambito familiare e non solo. L’evento è stato presieduto dal team Donne al Sicuro in collaborazione con la Polizia Municipale (capitano Sabina Pagnano, responsabile dell’Unità operativa tesm). Dopo il saluto istituzionale del presidente della Municipalità, Mario Coppeto, e dell’Assesore alla cultura Marco Gaudini, si è aperto il dibattito, durante il quale sono state affrontate le tematiche dello stalking e sono state mostrate alcune tecniche di autodifesa, presentate dalle allieve degli istruttori Francesco Mavano e Sara Spiga. L’evento si è concluso con la proiezione di un cortometraggio sulla tematica della violenza di genere e con l’intervento dell’attrice Cristina Donadio e di Asia, la studentessa 17enne recentemente aggredita e molestata a Napoli. Uno dei principali obiettivi del progetto Donne al Sicuro è quello di creare un canale di fomrazione e informazione sempre attivo contro la violenza sulle donne, per questa ragione l’atticità promozionale del 25 novembre continuerà, per tutto il mese di dicembre, negli istituti scolastici, con lezioni gratuite di autodifesa per tutte le studentesse, che verranno svolte in orario curricolare, arrichite da materiale didattico audiovisivo, per fornire alle giovani un quadro completo su un fenomeno che sta assumnedo proporzioni sempre più allarmanti.
Cristiano Curti Giardina
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Il Bushido
N
. ella storia del Giappone, caratterizzata da un susseguirsi di guerre feudali, il ruolo del guerriero ( bushi 武士 ) rivestì una particolare importanza nella cultura popolare. La difesa del territorio, la disputa delle contese, la protezione offerta dal più forte al più debole sono i principali fattori che hanno determinato lo sviluppo dl mestiere delle armi, e con esso la fortuna della classe militare ( buke 武家 ) che ha dato i natali alla figura del Samurai. Tali discipline nacquero dallo studio del combattimento corpo a corpo, detfinito genericamente kumiuchi ( 組み打ち ) per poi evolversi nel corso dei secoli nelle diverse discipline 36 marziali tutt’ora conosciute.
La via del Guerriero
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La necessità di una tecnica combattiva di carattere marziale, adatta all’uso sul campo di battaglia portò, durante il periodo feudale (1185 - 1625) alla codifica del Bujutsu, (武 術 arte militare) un insieme di sistemi di combattimento armati e a mani nude, fondati su basi analitiche e contenenti un’importante componente tattica, praticati all’interno della classe militare. Il Bujutsu presenta tratti caratteristici che lo differenziano rispetto ad altre tradizioni di esercizio militare: in primo luogo, la natura stessa della disciplina, che costituisce un sistema integrato contenente diverse discipline indipendenti, definito propriamente con il termine Sogo Bujutsu. Il Bujutsu era inoltre caratterizzato da una forte organizzazione: controllato dall’autorità imperiale, era divulgato attraverso scuole familiari o claniche, che di lì a poco avrebbero dato origine ai numerosi 流 (Ryu: scuole), che avrebbero vissuto il momento di massimo splendore durante il periodo Edo. Nel corso dei secoli si pervenne ad una sistematizzazione delle discipline del Bujutsu, che prese il nome di Bugei Juhappan (武芸十八 18 arti marziali: 芸 è un “sinonimo” di 術, sebbene quest’ultimo appartenga ad un registro linguistico più raffinato). L’analisi etimologica dell’ideogramma 武 (Bu), ottenuto dalla fusione dei kanji 戈 (hoko: lancia, equivalente del kanji 矛), nella parte destra dell’ideogramma; e tomeru (止 fermare, bloccare), nella parte sinistra, si presta ad un’analisi approfondita, che suggerisce la propensione ad un atteggiamento tattico attendista, mirato a lavorare sull’attacco portato dall’avversario per ottenere un vantaggio tattico in vista di un efficace contrattacco.
Hoko
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Tomeru
Bu
Anche il kanji 術 (Jutsu) è il risultato dell’unione di due caratteri, posti l’uno all’interno dell’altro: il kanji 行 (iku), costituito dai tratti esterni dell’ideogramma, rappresenta l’incrocio di due strade (e quindi anche il camminare, la circolazione di merci, idee e persone); il kanji 朮 (mochiawa), che occupa la parte centrale dell’ideogramma, rappresenta il grano. La combinazione dei due concetti da vita ad una stupenda immagine, che riporta alla mente la bellezza minimalista degli haiku: “il grano che cresce all’incrocio della strada”.
Iku
Mochiwa
Jutsu
Tale immagine tratteggia una raffinatissima visione dell’arte intesa come il frutto dell’unione delle diverse persone e delle loro esperienze. L’analogia tra l’arte ed il grano, principale fonte di nutrimento per il corpo, pone l’esperienza estetica come prima fonte di nutrimento spirituale. Nel contesto culturale orientale, si usa definire “arte” qualunque attività umana, nel momento in cui questa raggiunge il suo più alto livello di espressione. L’importanza dell’esperienza estetica, ivi intesa non come mero fluttuare di piacevoli sensazioni, ma come punto più alto della capacità tecnica (in questo aspetto simile all’idea greca, che assimila arte e tecnica sotto lo stesso significato gnoseologico) assume nel contesto un ruolo di primissimo piano.
武術 39
Il Bushido (武士道 “la via del guerriero”) è il codice di condotta etica e morale adottato dai samurai. In esso, a differenza di altri addestramenti militari nel mondo, sono raccolte, oltre le norme di disciplina militari, anche precetti filosofici e morali, risalenti agli shogunati di Kamakura (1185 – 1333) e Muromachi (1336 – 1573) che furono formalmente definiti ed applicati nel periodo Tokugawa (1603 – 1867). La prima comparsa del termine “Bushido” si trova già nel Kōyō Gunkan, compilato in gran parte dal vassallo Kōsaka Danjō Masanobu, fu completato nel 1616 da Obata Kagenori, figlio di Obata Masamori, uno dei famosi 24 generali di Takeda Shingen, nonché Signore del castello Kaizu di Shin Shu, l’attuale Nagano. Altri riferimenti al Bushido si trovano nel Heihō Okigi-sho, riguardante le strategie militari della famiglia Takeda. La redazione finale del “Bushido” è datata 660 a.C., ad opera di Tsuramoto Tashiro, allievo diretto del monaco samurai Yamamoto Tsunetomo, autore del noto testo Hagakure. Ispirato alle dottrine del buddhismo e del confucianesimo adattate alla casta dei guerrieri, il Bushido esige il rispetto di sette principi, che dovevano essere perseguiti dal Samurai per tutta la vita: il venir meno a questi precetti era grave causa di disonore per il guerriero, che espiava la propria colpa commettendo il suicidio rituale. Per via di un malinteso piuttosto diffuso, è opinione comune che hara-kiri sia una forma volgare del termine seppuku: in realtà Seppuku è la lettura cinese (On-yomi) tradizionalmente usata nei comunicati ufficiali, e mantenuta in tutta la lingua scritta, mentre hara-kiri. Hara-kiri è un termine esclusivo della lingua parlata, adotta la lettura giapponese (On-yomi). Entrambi i termini hanno il medesimo significato. Nella sua trascrizione originale, il Bushido presenta le sette virtù proprie del guerriero, accostate ad una breve didascalia che ne sottolinea il significato, corredata da una chiosa di carattere aforistico. Nato come ideale completamento dell’Hagakure, che si presenta in generale come un codice di condotta del nobile, con insegnamenti di connotazione più mistica ed esoterica (Hagakure significa infatti «nascosto tra le foglie»), il Bushido tratta in maniera più diretta del codice di condotta del Samurai, uomo si di cultura ma principalmente esperto d’arme, traducendo in termini squisitamente marziali parte dei concetti già introdotti dall’Hagakure. Per la sua immediata accessibilità, che gli ha garantito una connotazione sicuramente più universale rispetto al suo predecessore, il Bushido ha assunto lo status di testo iconico della cultura giapponese, al pari di quanto era precedentemente avvenuto per «L’arte della guerra» di Sun Tsu nel panorama cinese.
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Analogamente al testo cinese, gli insegnamenti del Bushido vengono tutt’ora studiati ed alaborati in diversi campi delle scienze sociali (marketing, gestione d’impresa, team working, gestione del personale etc…). La forza di questi precetti risiede nella loro universalità: le massime di vita proposte dal bushido, applicabili in tutti gli ambiti delle relazioni umane, richiamano ad un etica estremamente precisa, che si potrebbe accostare a quella Kantiana. Rispetto al pensiero dell’illuminista tedesco, però, conservano una visione morale più vicina alle virtù cavalleresce, restituendo al Samurai, temibile guerrireo dispensatore di morte, l’immagine più umana e romantica di protettore della patria e della famiglia (del resto ilo stesso termine “Samurai” è reso tramite l’ideogramma 侍 che significa “servitore” Un’analisi etimoligica dei Kanji rappresentanti le vistù del bushido ( 義 Gi: Onestà; 勇 Yu: Coraggio; 仁 Jin: Compassione; 礼 Rei: Rispetto; 誠 Makito: Sincerità; 名誉 Meiyo: Onore; 忠義 Chugi: Lealtà) può rilevare una chiave di lettura molto profonda, capace di fare luci su alcuni interessanti aspetti dell’etica e della cultura dei Samurai
侍
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義
Sii scrupolosamente onesto nei rapporti con gli altri, credi nella giustizia che proviene non dalle altre persone ma da te stesso. Per il vero Samurai ogni azione viene posta in atto tenendo in massima considerazione l’onestà, la giustizia e l’integrità morale. Il samurai si assume la piena responsabilità delle sue azioni.
Questo ideogramma si compone di due diversi kanji: nella parte inferiore troviamo 我 (ware - protezione) che a sua volta è composto da 扌 (Te - mano) e 戈 (hoku - lancia) quindi una mano che impugna la lancia; posto al di sotto del del kanji 𦍌 (Hitsuji - pecora). La “mano che impugna la lancia” assume letteralmente il significato di “prendere le armi per difendere”, il soggetto da difendere è la pecora, simboleggiante il debole. Il significato finale, ottenibile mettendo in relazione i diversi concetti, configura la rettitudine come il braccio che si arma per difendere il più debole.
礼
I Samurai non hanno motivi per comportarsi in maniera crudele, non hanno bisogno di dimostrare la propria forza. Un Samurai è gentile anche con i nemici. Senza tale dimostrazione di rispetto esteriore un uomo è poco più di un animale. Il Samurai è rispettato non solo per la sua forza in battaglia ma anche per come interagisce con gli altri uomini. La vera forza di Samurai si mostra nei momenti di difficoltà
Questo ideogramma si compone mediante l’accostamento dei kanji 礻 (shimesu altare) e 乚 (kakureru - officiare riti sacri). Il rispetto è forse il valore più importante dell’intera mentalità orientale: mostrare rispetto (ad un ideale, un superiore, un avversario) assume la stessa valenza di officiare un rito sacro presso un altare votivo.
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勇
Nascondersi come una tartaruga nel guscio non è vivere. Un Samurai deve possedere un eroico coraggio. Ciò è assolutamente rischioso e pericoloso. Ciò significa vivere in modo completo, pieno, meraviglioso. L’eroico coraggio non è cieco ma intelligente e forte.
Questo ideogramma si compone di due diversi kanji: nella parte inferiore troviamo 甬 (tsune - percorso, via) nella parte inferiore simboleggiare la protezione dei kanhi situato nella parte superiore, 力(chikara - forza). Il significato è di semplice interpretazione: il coraggio è inteso come il sentiero, ovvero il modo di vivere, nel quale inoltrarsi con vigore
名誉
Vi è un solo giudice dell’onore del Samurai: egli stesso. Le decisioni che prendi e le azioni che ne conseguono sono un riflesso di ciò che egli è in realtà. Non puoi nasconderti da te stesso.
Il Concetto di onore è reso mediane i kanji: 名 (mei - titolo) e 誉 (yo - reputazione). Esaminando singolarmente i due kanji: 名 è formato da 夕 (yuu - mezzaluna, sera) e 口 (kuchi - bocca); mentre 誉 è composto da 兴 (okoru - prospera) e 言 (koto - parola). Il concetto di “titolo” è quindi legato alla figura della luna, che nella simbologia religiosa buddista è infatti il simbolo dell’illuminazione suprema, oggetto di adorazione e contemplazione. Un titolo insignito “per bocca della luna” attribuisce al portatore una grandissima rilevanza nella scala sociale, e per questo il soggetto farà di tutto per onorare il suo titolo, mantenendo l’adeguata condotta che i membri della comunità si aspettano da lui. Il concetto di reputazione è associato alla figura della “prospera parola”, ovvero della fama che accompagna un individuo.
仁
Attraverso l’intenso addestramento il samurai diviene svelto e forte. Egli è diverso dagli altri. Acquisisce un potere che deve essere utilizzato per il bene comune. Possiede compassione. Coglie ogni opportunità di aiutare i propri seguaci Se l’opportunità non si presenta, è il Samurai ad andare alla sua ricerca.
Questo ideogramma si compone mediante l’accostamento dei kanji 亻 (jin- individuo che quando si trova in un kanji composto assume questa forma, al posto della canonica 人) e ニ (ni - due) . I Kanji 亻 e 仁 condividono la medesima pronuncia (jin). A fronte di una costruzione tanto semplice, il kanji assume un significato estremamente profondo, ossia l’unione dell’individualità con la molteplicità, l’agire del singolo in funzione del bene comune.
誠
Quando un Samurai esprime dichiara l’intenzione di compiere un’azione, questa è praticamente già compiuta. Nulla gli impedirà di portare a termine l’intenzione espressa. Egli non ha bisogno né di dare la parola né di promettere. Parlare e agire sono la medesima cosa.
Questo ideogramma si compone mediante l’accostamento dei kanji 言 (koto - parola) e 戈 (Hoko - lancia, inteso nell’accezione sineddotica di arma). L’accostamento di un concetto di matrice teoretica (parlare) e uno di matrice pratica (l’arma) suggerisce quindi un’identità tra pensiero e azione, esplicata dalla massima “parlare e agire sono la medesima cosa”, che il Samurai deve porre nella medesima considerazione
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忠義
Il Samurai è responsabile di qualunque cosa dica e di qualunque cosa faccia, e di tutte le conseguenze che ne conseguano. Egli è immensamente leale verso coloro di cui si prende cura. Egli resta fieramente fedele nei confronti di coloro di cui è responsabile.
Il Concetto di onore è reso mediane i kanji: 忠 (chu - fedeltà) e 義 (gi - rettitudine). Il significato di 義, come precedentemente esposto, riguarda la visione della rettitudine come “la mano che prende la lancia per difendere il più debole”. Alla rettitudine viene accostata la fedeltà, resa con gli ideogrammi 中 (chu - centro) e 心 (shin - anima). La lealtà è quindi descritta come un sentimento di protezione che proviene dal centro dell’anima. Con questa profonda immagine si chiude il cerchio che riassume le sette virtù del Samurai. Di tale circolo, l’anima costituisce il tratto d’unione, capace di imprimere un significato estremamente vivido e personale al senso di rettitudine, il primo dei precetti che il samurai apprende nel proprio cammino. La fedeltà del Samurai al suo signore, alla sua terra, ai suoi cari non è quindi un precetto imposto dall’alto, ma scaturisce direttamente dal centro della sua anima: solo in tal modo il valore morale può essere innalzato come principio guida lungo il cammino del guerriero.
Francesco Malvano
IJeet sistemi Kune tradizion Do
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Kyu, Dan
nali di gradazione
N
ell’ ambito della tradizione marziale giapponese esistono due differenti sistemi di graduazione.
Il sistema più antico, detto Menkyo, si basa su 5 licenze di trasmissione, che certificano la maestria nella disciplina e le capacità didattiche del tecnico. Il sistema moderno, detto Kyu / Dan, rappresenta una vera e propria scala gerarchica, divisa in gradi inferiori, 級 (Kyu) numerati in senso decrescente, e gradi superiori 段 (Dan) numerati invece in ordine crescente.
e Menkyo
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Il Sistema Menkyo Il Sistema Menkyo è il sistema originale di license per la trasmissione degli insegnamenti utilizzato dalle Koryu dal periodo medievale, attualmente in uso presso alcune delle scuole antiche ancora in attività ai nostri giorni. Questo sistema non prevede alcun grado, inferiore o superiore, e nemmeno la distinzione fra cintura colorate e cinture nere. Le moltissime scuole attive nel periodo feudale, gestite dalle più influenti famiglie di samurai, operavano privatamente o al servizio dei sovrani locali per l’addestramento dei militari e dei duellanti, e l’unica distinzione funzionale in tal senso era quella tra istruttori e praticanti. Al completamento dell’apprendistato di base (equiparabile grossomodo al corpus di conoscenze oggi richieste ad una cintura nera) il praticante riceveva una prima “licenza”, che lo ammetteva allo studio approfondito della disciplina. Tale licenza era detta “Oku Iri” 奥入 - ingesso nelle profondità, ovvero quello che si trova al di là della superfice della pratica. A questo punto iniziava lo studio del vero e proprio programma della scuola (gli insegnamenti di base erano più o meno gli stessi per tutte le scuole). Tale curriculum era diviso in due sezioni principali, dette “Sho Mokuroku (初目録 - Programma di base) e “Go Mokuroku” (後目録 - programma avanzato). Acquisite le necessarie conoscenze, il praticante riceveva il corrispondente “Mokuruku”, ossia il rotolo di pergamena sul quale erano trascritti gli insegnamenti della scuola, e con esso la relativa qualifica. Il quarto passaggio costituiva l’acquisizione della vera e propria “licenza di trasmissione” (免許 - Menkyo), ottenuta la quale l’artista marziale era considerato a pieno titolo un Maestro. Esisteva poi un’ulteriore licenza, conseguibile a livelli di maestria ancora più elevati, la “licenza di trasmissione completa” (免許皆伝 - Menkyo Kaiden). Ottenuta questa prestigiosissima qualifica, i Maestri erano ritenuti in possesso di tutte le conoscenze della scuola, ed erano autorizzati ad operare in proprio, anche al di fuori del Dojo del proprio insegnante. Spesso i Menkyo Kaiden aprivano nuove filiali delle scuole, iniziando delle nuove line dinastiche (dette Ryu-ha) che, pur rimanendo all’interno dei ranghi della scuola madre, aquisivano propri tratti peculiari in relazione allo stile del fondatore. Tra i maestri in possesso della licenza Menkyo Kaiden veniva designato il successore del capocuola, che sarebbe subentrato al momento del suo ritiro dall’attività didattica. Tale individo acquisiva così òa carica di Waka Sensei (若先生 - Giovane Maestro). Spesso, ma non sempre, questi era un’erede biologico del caposcuola, il che permetteva di lasciare intatta la linea genealogica. Non sono rari i casi in cui un Menkyo Kaiden non 48 imparentato con il caposcuola sposasse una sua erede, o venisse adottato dalla famiglia, acquisendone il cognome.
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Il Sistema Kyu / Dan Tale sistema, ideato da Jigoro Kano al momento della Fondazione Kodokan Judo (1882) ha subito diverse modifiche prima di pervenire all’assetto oggi conosciuto. L’idea di Kano, figlia della sua esperienza di educatore, era quella di organizzare un sistema diviso in un certo numero di gradi conseguibili ad intervalli relativamente brevi: questo espediente riusciva nell’intento di mantenere alto il livello di interesse degli allievi durante la progressione didattica. Nel 1883 venne ufficializzata la distinzione tra principianti, detti mudansha (無段者 praticanti non graduati) ed esperti, detti yudansha (有段者 praticanti graduati). La prima categoria comprendeva 6 gradi, detti kyu, numerati in ordine decrescente, mentre la seconda ne contava 10, detti dan, numerati in ordine crescente. Non era ancora nata l’idea di associare dei colori a questi gradi: tale concetto venne introdotto solo tra il 1886 ed il 1887, attribuendo a mudansha una cintura (帯 Obi) di colore bianco ed agli yudansha una di colore nero. I motivi della scelta di tali colori sono legati alla tradizione culturale giapponese: in primo luogo il bianco e il nero rappresentano, nella filosofia taoista, i concetti chiave dello lo ying e dello yang. Inoltre, il bianco è associato alla pulizia ed alla sacralità: per Kano questi concetti risultavano particolarmente affini con la forma mentris ideale del principiante, la cui “pura innocenza” costituisce prerequisito fondamentale per lo sviluppo delle virtù marziali espresse nel bushido. Il nero, viceversa, è associato alla perizia degli esperti ed è considerato un tratto distintivo di coloro che hanno raggiunto un certo grado di maestria in una disciplina. Il passo successvio fu quello di intrudurre una cintura marrone per i mudansha giunti al grado di 1° Kyu, ossia il livello immediatamente precedente alla cintura nera. Per i gradi dal 6° all’8° dan, viene utilizzata una cintura bianco-rossa, che diventava completamente rossa per gli ultimi due gradi, riservati ai più alti esponenti della disciplina. L’abbinamento di tali colori (considerato beneaugurante, in quanto proprizia il favore degli dei) rappresenta l’unione tra il punto di partenza (la cintura bianca del principiante) ed il punto di arrivo (la cintura rossa dei Maestri guida della scuola) del percorso marziale. I praticanti che indossano queste cinture sono al livello Kodansha (固段者). A tali livelli si può ambire ad alte onorificenze quali Renshi (練師 maestro allenatore), Kyoshi (教師 maestro istruttore) e Hanshi (師 師 maestro guida). Tali onorificenze sono analoghe a quelle degli antichi Samurai, con l’unica differenza che il suffisso “shi”, in ambito militare, veniva reso tramite l’ideogramma omofono 士 (guerriero, lo stesso kanji che ritroviamo in “bushi” - 武士 – guerriero marziale).
La Cintura Nera Kyusha Sebbene nella maggior parte delle scuole il grado immediatamente successivo al 1° Kyu sia direttamente il 1° Dan, alcunie ryu, specialmente nell’ambito del Ju Jitsu, conservano l’utilizzo della Cintura Nera Kyusha ( 級者 praticante dei kyu). Tale grado, collocato tra il 1° Kyu ed il 1° Dan, viene inteso come un livello intermedio tra quello dei Mudansha e quello degli Yudansha. Etimologicamente, tale termine indica un “possesso” di determinate conoscenze, in contrapposizione con il significato di “mancanza” di gradazione indicato dal termine Mudansha. Tale possesso verrà poi “tradotto in gradi” quando il praticante accederà al livello Yudansha. Per le scuole che lo utilizzano, il grado Kyusha ha un’importanza cruciale: con la sua acquisizione il praticante completa il percorso dell’allievo, per entrare nella fase accademica degli studi: oltre ad acquisire nuove conoscenze, inizierà a curare la parte relativa all’insegnamento delle stesse, intraprendendo il lungo cammino che lo porterà dal grado di Cintura Nera a quello di Maestro.
Francesco Malvano
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“Il Vero Budo non lo puoi descr non lasceranno che lo dica a p
Aikido
Delle origini ai nostri giorni Ciò che differenzia l’Aikido dalle altri arti marziali è l’intrinseca spiritualità: essa è inscindibile dal keiko e, insieme, si concretizzano nel ki no nagare. L’Aikido è nato in Giappone in un preciso contesto storico, sospeso tra i rigidi codici della tradizione e l’apertura verso l’Occidente: il periodo Meiji.
A questo particolare momento storico risale, infatti, la centralizzazione della figura dell’imperatore a scapito dei nobili, basti pensare all’abolizione del mibun, che spazza via le differenziazioni in classi sociali e con esse i privilegi riservati ai Samurai.
rivere con immagini, gli dei parole” M.Ueshiba
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La situazione dei samurai fu la più svantaggiosa e complessa. La loro liquidazione in koku di riso cessò e vennero risarciti con un piccolo capitale affinché fosse riconvertito in attività imprenditoriali, proprio quel genere di occupazione che quella casta di guerrieri aveva sempre disprezzato. La morte di questa casta fu definitivamente sancita nella rivolta di Satsuma nel 1877, quando l’imperatore ordinò il fuoco sui guerrieri rivoltosi. Fu un momento emblematico, le armi antiche avevano definitivamente preso il posto degli abili combattenti, il Giappone aveva ormai intrapreso la strada della modernizzazione e, con essa, sentiva il bisogno di creare un esercito di coscrizione moderno. Basti pensare che gli ufficiali militari cominciarono ad essere inviati in Europa per addestrarsi e per valutare le strategie e le tattiche degli eserciti e delle marine militari occidentali. Inizi così un periodo di decadenza delle arti marziali. Le palestre in cui si insegnavano i metodi tradizionali di combattimento cominciavano a diradarsi, tuttavia il loro spirito non era definitivamente morto e solleticava ancora il senso di appartenenza di molti giapponesi, in bilico tra radici, identità e un futuro innovatore che guardava a ponente. In questo contesto storico si colloca la figura di Morihei Ueshiba, fondatore di quello stile marziale che egli chiamò Aikido, la via dell’armonia. Ueshiba nacque a Tanabe il 14 dicembre del 1883 nella prefettura di Kii nell’isola di Honshu e dedicò l’intera vita alla formazione di un’arte marziale non finalizzata esclusivamente al combattimento, ma che fosse in grado di riportare invita gli antichi e, per molti aspetti ormai obsoleti, valori di sacrificio, lealtà e onore propri del bushido. Già all’età di dodici anni Ueshiba nutrì un forte interesse per il Budo e trascorse gran parte della sua gioventù frequentando diversi artisti marziali, da tutti loro sentiva di avere qualcosa a cui attingere, ma quest’arte doveva contenere in sé, oltre alle virtù del bushido, anche dei principi spirituali, a tale scopo compì vari pellegrinaggi presso le più svariate sette e scuole religiose. Tutto ciò che aveva appreso nelle sue esperienze giovanili sul dojo, i continui raffronti con maestri di diverse pratiche marziali tradizionali, confluirono nell’elaborazione di questa nuova pratica. Molte delle tecniche che ritroviamo in quest’arte marziale vengono fatte risalire, dalla letteratura specializzata, persino all’epoca Genji ed Heike, i due clan guerrieri che si disputarono la predominanza politica e militare giapponese più di 700 anni fa. In quella letteratura ritroviamo i nomi di scuole antiche, come quella della Kito-ryu, e di maestri di Jujitsu, del maestro Tokusabaru Tozawa, primo maestro di un Ueshiba ancora tredicenne, e della Yagyu-ryu, del maestro Masakatsu Nakai che lo istruì nella scherma e da cui ottenne il diploma nel 1908. Ueshiba stesso affermò in diverse occasioni che le reminiscenze degli studi di quei tempi, una volta confluite nell’Aikido, furono da lui utilizzate negli attuali Te-sabaki e Ashi-sabaki.
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Mentre studiava sotto la guida di Nakai, prosimo a compiere vent’anni, decise di interrompere momentaneamente gli studi per arruolarsi come volontario nel 37° Reggimento della Quarta Divisione a Osaka.
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Combatté nella guerra Russo Giapponese, dove si distinse sul campo per l’abilità nell’uso baionetta, che gli unadecine promozione al grado adiriguardo, sergente. tutte Al ritorno Nei mieidella 45 anni di attività hofruttò sentito di definizioni perdella Manciuria il suo reparto stazionò a Hamadera, fu così che riuscì a riprendere gli fettamente lecite, tutte perfettamente giustificate, tutte perfettamente primegstudi Nakai. Quando ottenne il congedo dal servizio militare gli fu offerto di rimanegianticon sulle altre. re in servizio attivo volontario e di entrare a far parte dell’Accademia Militare ma rifiutò. Allora, cos’è il karate? Sembrerebbe di tutto ed il contrario di tutto. Forse doIlvremmo vigorosomodificare e tenace Ueshiba aveva altri piani, a Tanabe, divenne uno la domanda: cosa nonsiè stabilì il karate? Forsedove in questo modo dei maggiorenti del villaggio, dirigendo anche le attività del Distretto. Indiscordanti questo periodo si riescono a mettere insieme molte risposte apparentemente tra Kiyoichi Takagi, allora detentore del III Dan di Judo, visitò la città natale del fondatore, loro. Ueshiba mise assieme un gruppo di giovani che divennero allievi di Takagi. In seguito, nel 1911 sinon trasferì a Hokkaido pochigratuita, anni dopo, modo di conoscere l’auIl Karate è una forma di dove, violenza nonebbe è uno sport, non è una distero Sokaku Takeda, maestro della Daito-ryu Jujitsu. Takeda era un uomo di spirito sciplina sic e simpliciter, non è questo o quello stile. violento e indole molto severa con i suoi praticanti, ma questo non frenò l’entusiasmo di chead concentrò tutta la suaforma, energia studio di intrapreso ottenendo l’amSiUeshiba, incomincia intravedere una unnello qualcosa riconoscibile. Spingiabitissimo moci piùdiploma avanti. del Daito-ryu Jujitsu. Negli anni a seguire
NON C’È UNO STILE CHE PREVALE SUaffinò DI UN l’arte ALTRO della lancia
e della spada presso la Un altro argomento che viene affrontato con poca serenità è laShinkage-ryu primogenitura scuola Ju da assegnare a un maestro piuttosto che ad un altro sull’origine del karate-do. jitsu, ma in quel periodo un È storicamente documentato che il karate nasce telegramma ad Okinawa unadelle migli come annunciò stura di combattimento autocno (ti) con disciplinegravissime che provengono dalla Cina condizioni di salute meridionale, con cui l’isola intratteneva rapporti didel vassallaggio. padre. Nutrito dal profondo affetto per il genitore e colpito dalla In Okinawa ci sono tre città importanti, ognunatragica con lenotizia sue specificità cominciò acommersentire il ciali e culturali. Questi tre centri diventano, bisogno ciascuno, punto di incontro perdi comprendere il verodi senso sone che conoscono arti marziali cinesi anche diverse tra loro. Queste attività della vita, donò ogni sua proprietà al vengono elaborate sulle necessità propriemaestro degl’isolani. Cosa viene fuori? Takeda, lasciò Hokkaido e siA Naha il Naha-te, a Shuri lo shuri-te, a Tomari il tomari-te. Quali Un diresse ad Ayabe condifferenze? l’intento di farvi pò più duro uno, un po’ più sciolto l’altro, ricoverare un po’ piùil veloce l’ultimo. Ognuno di padre. Lì avvenne l’incontro questi stili comunque, al proprio interno, presenta caratteristiche degli altri. Il decisivo con Wanisabu Deguchi, il grande maestro più veloce dirà: il karate è “la velocità”, quello più forte dirà: il karate reverendo fondatore dell’Omoto-kyo, unaè “la potenza”, quello più agile dirà: il karate è “l’agilità”. setta di matrice shintoista finalizzata alla ricerca di un’armonia universale, basata su Conclusione? Tre scuole apparentementeprincipi diversedima cheeoperano su principi amore umana bontà che si identici. Stiamo parlando del Ba Gua, del Tai-chi Chuan, della cinese, rivolgeva agli spiriti puriBoxe di cuore con della Gru Bianca dello Yunnan e dello Shaolin di Fukien. Queste discipline l’intento di unirli grazie allo stimolo religioso. sono state innestate sulle pratiche indigene e hanno dato vita a queste tre scuole. Sarebbe però fuorvianteUeshiba, parlare che del fin karate senza parlare del kobudo, da bambino, era stato educato in a cui questo è intimamente legato. questa direzione (a sette anni studiò con il monaco buddista Shingon Mitsuo Fujimoto del tempio Jizoji, a dieci approfondì il Buddismo Zen presso il tempio Homanji, per crescere con una ricerca costante di nutrimento spirituale, che lo spinse a numerosi viaggi) rimase profondamente colpito dall’eccezionale 56 carisma di quell’uomo.
Nel frattempo il padre morì, turbato dalla scomparsa della persona che più amava al mondo, il Fondatore giurò a se stesso che prima di morire sarebbe riuscito a uscire dal punto morto in cui la sua mente si era bloccata e sarebbe andato avanti fino a scoprire il segreto del budo. Fu allora che la sua vita cambiò di colpo, a volte saliva, completamente vestito di bianco, sulla cima di uno sperone roccioso, e iniziava a pregare, altre si inginocchiava da qualche parte sulla vetta di una montagna, recitando inni e mantra shintoisti fino allo sfinimento. I vecchi amici del villaggio rimasero attoniti dinanzi al suo cambiamento e temettero che Ueshiba fosse impazzito, in realtà egli stava cercando una luce con cui far brillare il proprio cuore. Una piccola casa, ai piedi della montagna su cui aveva sede il tempio principale dell’Omoto-kyo, divenne la sua dimora in Ayabe. Qui iniziò ad insegnare Jujitsu e studiare sotto il reverendo Deguch i principi spirituali della setta, confluiranno poi nell’Aikido. Così la sua ricerca, sino ad allora insoddisfatta per un significato più profondo da assegnare alle arti marziali, cominciò a dare i primi frutti. Egli percepì per la prima volta la dimensione che avrebbe poi esplorato e approfondito per formulare le basi del metodo che identificava col nome di Aikido, trasformando le arti marziali e assegnandogli un significato etico, superiore e umanistico. Egli veniva così a toglierle dalla dimensione limitativa del combattimento per fini singolari e utilitari, per renderle strumenti funzionali per il perfezionamento della persona. Questa trasformazione veniva a coinvolgere anche quegli ideali religiosi che, sino ad allora, non era riuscito a far confluire in quelli marziali. La religione, infatti, gli aveva offerto una visione etica superiore e sublime dell’esistenza, ma non i mezzi pratici per realizzarla nella realtà umana. D’altronde, la pratica delle arti marziali, nonostante si ispirasse a finalità etiche superiori di maturità spirituale e di difesa universale, gli aveva offerto mezzi pratici che mal si adeguavano a quelle stesse finalità. Con l’Aikido, gli parve possibile di realizzare fini etici, di ispirazione religiosa, mediante la pratica di discipline marziali che, invece che contradirle, ne facilitavano l’acquisizione. Progredendo nei suoi studi, affinò quella sorta di “sesto senso” grazie al quale era in grado di intuire in anticipo le mosse degli avversari, cosi come gli era già successo in guerra in Mongolia e in vari scontri che aveva sostenuto. L’illuminazione arrivò nella primavera del 1925 ad Ayabe, il maestro stesso racconta:
“Mentre camminavo da solo in un giardino, ebbi all’improvviso la sensazione che l’universo stesse tremando, uno spirito dorato scaturì dalla terra e mi avvolse; il mio corpo divenne d’oro, subito la mia mente ed il mio corpo raggiunsero una nuova dimensione, fui in grado di comprendere il cinguettio degli uccelli e mi si rivelò chiaro il pensiero di Dio, il Creatore dell’universo.” 57 In quel momento il Fondatore ebbe l’illuminazione.
“La fonte del Budo è l’amore per Dio, lo spirito di amorevole protezione nei confronti di tutti gli esseri viventi. Infinite lacrime di gioia fluirono lungo le mie guance, in quel preciso istante divenni consapevole che il mondo intero fosse la mia casa, e che il sole, la luna e le stelle fossero tutte cose mie, inoltre divenni libero da tutto, smisi di agognare fama, grandi proprietà ed una solida posizione sociale, e quel che era più importante, tralasciai di cercare di diventare forte, capii che il vero Budo non consiste nell’abbattere chi ci attacca con la forza. Il vero Budo non è nato affinché le armi distruggono il mondo, il vero Budo consiste nell’accettare lo spirito dell’universo, mantenere la pace nel mondo, produrre nella giusta misura, proteggere e valorizzare tutti i beni della natura, l’insegnamento del Budo è di offrire il proprio amore a Dio, e che si debba permeare di questa verità il proprio essere, nella sua interezza di mente e corpo utilizzandola nella vita di tutti i giorni”. Questa rivelazione, che ebbe la durata di un istante, rivoluzionò la sua vita e diede origine alla via dell’armonia, l’Aikido. Ueshiba arrivò a codificare che il fine dell’Aikido è l’accordo con le disposizioni della Natura e, quindi, necessita più l’allenamento dello spirito che l’abilità nelle tecniche, che sono una Via di Misogi, di purificazione rituale del corpo e dello spirito, ma al tempo stesso una Via di allenamento poiché il corpo è sotto l’influenza dello spirito. E’ preciso dovere di coloro che praticano l’Aikido affinare in se stessi, giorno per giorno, quello spirito di cui partecipano con l’Universo affinché i loro rapporti con le altre creature siano pacifici ed ogni essere nel mondo abbia la gioia di vivere e verrà il giorno in cui essi stessi saranno ricolmi di una gioia celeste. La via dell’Aikido è la via dell’Universo. Ueshiba dichiarò nelle sue Memorie:
“L’Aikido indica una via per guidare il mondo a divenire unito come una sola famiglia. Si conforma allo scopo divino di costruire il paradiso sulla terra. Quando mente e corpo sono in perfetta unione, l’uomo si fonde con l’Universo, quando mente e corpo sono uniti, allora nascono le tecniche”. Egli mise in rilievo la natura dell’Aikido in quanto entità separata nella famiglia del Budo, i cui membri spesso tendono dare prominenza alle tecniche e alla forza, dimenticando che la via del Budo consiste nel far proprio il cuore dell’Universo e nel compiere la propria missione di amore e di protezione nei confronti di tutti gli esseri, e che le tecniche sono solo un mezzo per raggiungere questo fine. Dal Jujitsu al Do, dalla tecnica alla Via, questo è il cammino da compiere per evolvere infinitamente verso lo scopo fis58 sato dal Fondatore dell’Aikido.
Nel 1927 O’ Sensei fu invitato ad aprire una scuola a Tokyo. Il suo metodo attirava l’interesse sempre più vasto di circoli aristocratici e militari per la perfezione estetica e l’efficienza pratica delle tecniche da combattimento che egli presentava al pubblico, Allo scoppio della seconda guerra mondiale si ritirò a Iwama, lontano dagli scontri e dalla violenza. Lavorava la terra e insegnava l’Aikido formulando quei principi integrativi e pacifisti che, nel dopoguerra, venivano ad offrire ai suoi compatrioti, sconfitti e demoralizzati, un messaggio ristoratore che reinterpretava la tradizione marziale del Paese sotto una nuova luce, diversa da quella sino ad allora propagandata dalle autorità militari che avevano trascinato il Giappone in un’avventura disastrosa. Dal 1948, anno in cui fu abolita la proibizione della pratica delle arti marziali, imposta dalle autorità d’occupazione, sino al 1969, anno in cui cessò di vivere, Morirei Ueshiba assistette ad uno sviluppo sempre più vasto del suo metodo che, dal Giappone, si diffondeva nel mondo nelle forme e nei nomi più diversi, mediante diverse discipline e personalità che, per vie spesso divergenti, continuano a ricercare i mezzi pratici e le ispirazioni teoriche per raggiungere quell’integrazione finale e quella pace equilibrata interiore della personalità umana, gli stessi che Ueshiba aveva ricercato in tutta la sua vita. Il diretto successore di Ueshiba, designato dal Fondatore stesso, fu Morihiro Saito, il quale aveva lavorato a lungo a fianco del maestro, divenendo il suo allievo più fedele. Saito nacque il 31 marzo 1928 nella prefettura di Ibaraki in un piccolo villaggio a poche miglia dal dojo del Maestro. Appartenente a una umile famiglia di agricoltori, come tutti gli adolescenti della sua generazione ammirava i grandi eroi del periodo feudale come Yagy J. Bei Mitsuyoshi e Goto Ma Tabe. Ciò lo spinse alla pratica delle arti marziali.
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Cominciò a praticare lo Shito-ryu Karate durante il periodo scolastico, ma dovette Sembrerebbe tutto molto semplice, in realtà queste metodologie, di Sairicesmettere quando, tornato a casa, cominciò a lavorare per le ferrovie. Il prima giovane vere l’imprimatur di scuoleJudo, di karate, hanno vistonon l’impegno e la determinazione to decise allora di praticare ma tale disciplina lo convinse. In quel periodo di uomini che hanno speso la loro vita alla ricerca di un sistema complessivo Ueshiba viveva a Hatsu, un piccolo villaggio sulle montagne vicino a Iwama, dove si di autodifesa fosse applicabile e perciò efficace e checoltivando permettesse una era ritirato dopoche la seconda guerra mondiale insieme alla moglie la terra e discreta possibilità di sopravvivenza ai praticanti. allevando bachi da seta. Il Fondatore aveva 60 anni quando Saito, incuriosito da questo nuovo stile di cui aveva sentito parlare, andò a trovarlo. Il viaggio verso Hatsu fu Successivamente questa disciplina, come di del restoma il kobudo, arrivata Giapun’impresa, si avventurò a piedi con un gruppo amici, dopo poche ore di in cammipone si compagni è misurata discipline marziali collegate intimamente no i suoi lo con abbandonarono lasciandolo proseguire da solo. con la cultura e la religione giapponese e, con pieno merito, è stata inserita nel contesto del BUDO. Da descrisse questo momento, quindi,con parlando del karate di Okinawa possiamo Saito stesso il primo incontro Ueshiba: usare il termine karate-do. Alla fine della mia ricerca ho trovato quattro personaggi veramente eccezionali ritengo i veri precursori di quello sul che dojo. oggi è “Entrai in quella che che oggi è la stanza di sei tatami definito il karate Mentre me moderno: ne stavo seduto là, entrarono O’Sensei e Tadashi
Abe, uno dei primi pionieri dell’Aikido in Francia. Non appena O’Sensei si sedette, Abe mise subito a terra un cuscino per lui; si muoveva rapidamente per aiutare il maestro. O’Sensei mi fissò e disse: “Perché vuoi imparare l’Aikido?”. Quando io risposi che mi sarebbe piaciuto imparare l’Aikido se me l’avesse insegnato, lui mi domandò: “Sai cos’è l’Aikido? Non c’era modo che io sapessi cos’era; quindi O’Sensei aggiunse: “T’insegnerò come servire la società e la gente attraverso quest’arte marziale”. Non avevo la minima idea che un’arte marziale potesse essere di aiuto alla società e alla gente: volevo semplicemente diventare forte”
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Ueshiba accettò Saito come suo allievo. Gli insegnamenti a Iwama erano svolti come da ogni altra parte, il maestro eseguiva delle tecniche e gli allievi lo dovevano imitare, senza alcuna spiegazione. I turni presso le ferrovie gli permettevano di passare molto tempo con il Fondatore e quando gli allievi diminuirono a causa della povertà del
dopoguerra, Saito fu uno dei pochi che poterono continuare gli allenamenti. Andò a vivere accanto al dojo di Ueshiba e lo servì fino alla morte in cambio degli insegnamenti dell’Aikido. Alla fine degli anni ’50 Saito divenne uno dei migliori istruttori dell’Aikikai ed era l’unico a poter impartire lezioni ad Iwama in assenza del maestro. Dopo la scomparsa del Fondatore divenne il primo istruttore del dojo di Iwama e il custode del vicino tempio dell’Aiki. Egli aveva servito fedelmente il Fondatore per ventiquattro anni e decise che avrebbe preservato intatta l’eredità dell’Aikido di O’ Sensei, non è un caso che tutti gli alti gradi lo consideravano il custode della tradizione. Negli anni ’70 vennero pubblicati i cinque manuali tecnici redatti da Saito, intitolati “Traditional Aikido”; essi introducevano un sistema di classificazione e nomenclatura delle tecniche e contenevano la descrizione di centinaia di tecniche ed applicazioni di Tai-Jutsu, Aiki-Ken ed Aiki- Jo. Nella metà degli anni ’70 si ritiro dal suo lavoro presso le ferrovie, impiegando tutto il suo tempo allo studio ed alla divulgazione dell’Aikido. Nel corso degli anni ha creato un’ampia organizzazione di istruttori fuori dai confini giapponesi che insegnano e diffondono lo stile di Iwama che altro non è che il Takemusu Aiki. L’Aikido di Iwama pone uguale attenzione alle tecniche eseguite a mani nude e alla pratica con le armi, contrariamente a molte scuole e stili che praticano solo il tai-jutsu. Morihiro Saito Sensei, si spense il 13 maggio 2002, ma ancora oggi molti aikidoka stranieri, provenienti da svariate parti del mondo, si recano per qualche tempo a Iwama per allenarsi alla maniera di O’Sensei e Saito nel loro dojo.
Antonio Giudice
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Gong Fu S
Praticare con Shifu Zhou
ono di ritorno dall’ennesimo viaggio in Cina per andare a praticare con il mio Maestro di Nei Qi Gong, Zhou Shifu, esperto di pratiche energetiche cinesi e medico tradizionale cinese.
Ci siamo incontrati a Shenzhen, modenra metropoli del sud della Cina, vicina ad Hong Kong. Questo è il luogo ideale per avvertire amplificato il contrasto tra la Cina di oggi, votata all’apparenza, al consumismo, piena di grattacieli e macchine costose, dalla vita frenetica e le antiche pratiche energetiche cinesi che fanno dell’introspezione, del rilassamento , dell’essere naturali la base del lavoro personale. Ho portato con me alcuni allievi che hanno potuto constatare in prima persona le capacità del Maestro. Il Qi scorre dentro ognuno di noi e tutt’intorno a noi. Come il Vento, esso è invisibile, ma come è possibile vedere le foglie muoversi per il vento, è possibile avvertire il Qi sulòla propria pelle. Le pratiche energetiche cinesi sono la base del vero Gong Fu e dovrebbero essere studiate da tutti i praticanti di alto livello di qualsiasi pratica marziale o terapeutica. L’uomo e tutto ciò che ci circonda è energia: se riusciamo ad utilizzare le energie di cui siamo costituiti tutto ciò che faremo sarà potenziato da questa conoscenza. Ciò vale per le arti marziali, per l’aspetto terapeutico, per l’aspetto spirituale e per qualsiasi obiettivo ci interessi. Il Nei Qi Gong ha come obiettivo quello di accumulare tanta energia nel Dantian (il nostro serbatoio naturale, posizionato al di sotto dell’ombelico e dentro il corpo) più energia di quella che serve per stare bene in salute, in modo tale che questo surplus di energia possa essere utilizzato per raggiungere i propri scopi. Se il mio scopo è marziale, questo surplus di energia ottimizzerà e renderà più potente la mia pratica. Se il mio scopo è terapeutico, posso utilizzare questa energia in eccesso per donarla agli altri. Se il mio scopo è spirituale, questa grande quantità di energia posso utilizzarla per accrescere il mio livello di consapevolezza e per poter entrare in contatto con entità più sottili. Il prossimo anno, a fine maggio, riporterò il Maestro Zhou in Italia. Tutti potranno avere la possibilità di avere un contatto diretto con lui provare i prima persona la potenza di una emissione energetica.
Costantino Valente
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Shiatsu
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L
oShiatsu è una tecnica manuale che affonda le radici nelle antiche forme di massaggio tradizionale orientale ed è stato codificato in Giappone nel periodo compreso tra le due guerre mondiali. Si tratta di pressioni (shi=dita, atsu=pressione) che vengono effettuate principalmente con le dita e i palmi delle mani, ma mediante gomiti e stiramenti.
Da quando è approdato in Europa, negli anni settanta, ha avuto un grande sviluppo e diffusione. Si sono formate diverse scuole che hanno “declinato” in diverse forme questa disciplina. Lo Shiatsu proviene da una cultura che considera l’essere umano come un “Tutto“ (in greco “olos” da cui il termine “olistico”), cioè considera l’aspetto fisico, mentale, spirituale dei fenomeni che lo riguardano come parti di un’unica entità intercorrelate ed in correlazione con la Natura, la Terra e l’Universo: le leggi del macrocosmo sono le leggi del microcosmo. Da noi si recita: ”così in Cielo come in Terra..”. Le pressioni vengono effettuate sui canali energetici o Meridiani, che percorrono il corpo umano e rappresentano i tragitti percorsi dall’energia per formarlo (e “riformarlo” costantemente) e animarlo. Lo schema a cui fa riferimento questa disciplina è il Taoismo Naturalista e la Medicina Tradizionale Cinese. Per queste concezioni l’universo intero non è altro che “Soffi” (energia), nulla esiste che non ne esali e che non si manifesti per mezzo di esalazioni, muovendosi attraverso le forme dello spazio e del tempo. Soffi è ciò che in occidente viene definito energia, sebbene anche questo termine non sia libero da difficoltà nel nostro linguaggio qui si intende comunque quell’ aspetto che è percepibile nell’azione delle forme che essa muove, è una forza. Il Qi, i soffi, sono la forza che presiede a tutte le funzioni nel corpo umano, sia sul piano macroscopico che microscopico, secondo le modalità dello yin e dello yang, cioè della dualità, modalità di comprensione della nostra mente che conosce per opposti (luce/buio, caldo/freddo, secco/umido).
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La pressione dello shiatsu influenza lo scorrere del qi all’interno dei meridiani. Se questa energia scorre liberamente e con vigore, abbiamo uno stato di benessere: forza, salute fisica e lucidità mentale, di dinamico equilibrio. Ci possono essere delle difficoltà nello scorrimento di questa energia, a diversi livelli: le pressioni hanno come scopo quello di rimuovere queste difficoltà e ristabilire una situazione di armonia. Il trattamento shiatsu è una forma di dialogo tra due entità, l’operatore (tori) ed il ricevente (ukè), che entrano in connessione e si modificano a vicenda. Il loro linguaggio non è la parola ma il contatto fisico (tramite le pressioni) e meno fisico, più sottile, quello dell’interazione dei loro campi energetici (elettromagnetici). L’attenzione e l’ascolto vanno anche alle forme più sottili di energia a cui solitamente non si pone attenzione, per questo avviene preferibilmente in silenzio, un silenzio in cui ci si può calare nell’ascolto più profondo di noi stessi, imparando a sentire lo scorrere dell’energia e divenendo sempre più consapevoli delle zone in cui non scorre bene. E’ un percorso di conoscenza che ci porta a sperimentare l’unità delle diverse istanze che ci compongono come esseri umani (corpo, spirito, anima, io ) e a guardare con occhi diversi e con maggiore consapevolezza anche la realtà in cui siamo immersi.
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Marta Crasnich Cristina Negrisin
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m G
artial ovies
eneralmente, per gustarsi al meglio un film di arti marziali, il pubblico si prepara ad un certo grado di sospensione dell’incredulità: che si tratti di titoli dichiaratamente fantastici o fantascientifici (da “matrix” ai “47 ronin”, con un Keanu Reeves ormai esperto nel fronteggiare avversai sovrannaturali) o di pellicole prettamente d’azione (dai film di Bruce Lee a quelli del suo “successore spirituale” Jet Li, dove le spettacolari coreografie di combattimento sono volte ad esaltare le eccezionali doti acrobatiche dei protagonisti) gli spettatori sono ben consapevoli che gli scontri a cui assisteranno avranno ben poco di realistico. Esistono però delle (rare) eccezioni, titoli che puntano a raccontare le loro storie in modo completamente diverso: Redbelt è uno di questi.
QUANDO ARTI MARZIALI FA RIMA CON REALISMO
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Scritto e diretto nel 2008 da David Mamet, il film racconta le vicende di Mike Terry (Chiwetel Ejiofor) un istruttore di Brazilian Ju Jitsu, che tra mille difficoltà tira avanti grazie ai (pochi) profitti del suo dojo. Non gli va meglio in campo sentimentale: la sempre meno paziente moglie Sondra (Alice Braga) stilista brasiliana e sorella di Ricardo Silva (John Machado) noto atleta della stessa disciplina, copre con la sua attività i debiri della palestra, rimproverandogli costantemente la sua scelta di non affacciarsi al mondo degli incontri professionistici, che ha garantito fama e ricchezza alla sua famiglia. Mike giudica il pro-fighting un mero business, lontano dai valori marziali che cerca di trasmettere ai suoi allievi, fornendo loro insegnamenti che possano essere utili anche fuori dal tatami. Durante le sue lezioni, ispirate agli addestramenti dei samurai, l’insegnate adotta una articolare metodologia di allenamento: due contendenti, prima di iniziare lo sparring, pescano da un sacchetto conte72 nente tre biglie, due bianche ed una nera.
Questa precaria situazione crolla definitivamente quando una serie di eventi, apparentemente del tutto sconnessi tra loro, cambieranno radicalmente la vita di Mike, costringendolo a mettere in discussione tutta la sua morale. Un’avventrice occasionale, l’avvocato Laura Black (Emily Mortimer) fraintendendo gli atteggiamenti di un allievo, il poliziotto Joe Collins (Max Martini), sottrae la pistola di quest’ultimo e, accidentalmente, fa partire un colpo, distruggendo la vetrata della palestra. La donna, precedentemente vittima di violenze sessuali, si era fatta prendere dal panico: per evitarle la pesante accusa di aggressione ad un pubblico ufficiale, Mike e Joe concordano di non denunciare l’accaduto. Pe riparare i danni, Mike viene spinto dalla moglie a chiedere un prestito al cognato, ed è proprio recandosi al suo club (al quale lavora, sottopagato, anche l’agente Joe) che si ritrova suo malgrado coinvolto in una rissa. L’attore Chet Frank (Tim Allen) decisamente ubriaco, infastidisce la persona sbagliata in breve si arriva alle mani e Mike interviene per sedare la rissa, riportando una lieve fe73 rita da coltello al braccio sinistro.
L’attore, in segno di ringraziamento, lo invita a casa sua per discutere di una sua co-produzione nel film di guerra che sta girando (Mike è un veterano della Guerra del Golfo) e gli fa recapitare un costoso orologio d’oro. Sembra che Mike abbia risolto i suoi guai, trovando un’occupazione ben remunerata per lui e per Sondra (che chiude un grosso accordo con la moglie di Chet per una fornitura di abiti) e potendo addirittura aiutare l’allievo Joe, donandogli il prezioso oggetto appena ricevuto, che il poliziotto avrebbe potuto impegnare rimediando una grossa somma… ma la situazione è ben diversa: Mike è in realtà di una complessa truffa, orchestrata dai sui cognati (che gli rubano l’idea del combattimento con handicap per inserirla nei loro incontri): nonostante l’aiuto di Laura, vanificato quando i Silva la minacciano rendere pubblico l’incidente della pistola (che avrebbe incriminato sia Mike che Laura), il protagonista si ritroverà costretto a partecipare al torneo organizzato dai cognati… durante il quale scoprirà la portata della loro macchinazione. David Mamet si conferma un grande drammaturgo, capace di confezionare un plot ricco di intrighi, insolitamente complesso per un film di arti marziali, che pone l’accento sulla solidità della trama piuttosto che sulle coreografie di combattimento. Mike tenta disperatamente di seguire i suoi ideali morali nella decadente realtà dello show-business di Los Angel, che piega ogni valore alle logiche del commercio. Il suo personaggio è tanto “puro” quanto vulnerabile: Coinvolto in uno scontro, resta ferito (anche contro semplici beoni da bar), schiacciato dal potere del denaro, deve chinare il capo: soffre sia il piano fisico che quello psicologico, e non si tira indietro quando è costretto a mettere in discussione la sua visione del mondo, quando sembra che non ci sia più alcuna alternativa.
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La pellicola da molto più spazio allo sviluppo della trama che ai combattimenti: gli scontri sono asciutti, poco spettacolari, ma incredibilmente realistici. L’utilizzo di artisti marziali e combattenti professionisti del calibro di Dan Inosanto, Randy Couture, Enson Inoue e John Machado permette la realizzazione di scene credibili e tecnicamente valide, che contribuiscono in maniera determinante a ad innalzare la percezione di realismo. Se pur non molto numerose, le fights sono molto varie: si spazia dallo sparring in palestra alla rissa da bar, dallo stunt cinematografico al match sul ring. Chiwetel Ejiofor è credibile sia come istruttore che come combattente, riuscendo nell’impresa di non risultare ne stucchevole come insegnante (niente “dai la cera togli la cera” ma consigli e richiami da vero istruttore) ne eccessivamente plastico come atleta, pur mostrando uno stato di forma di tutto rispetto. La sua grande interpretazione, che gli è valsa critiche entusiastiche, ha definitivamente lanciato la sua carriera, aprendo per lui un quinquennio eccezionale, che lo porterà fino alla sua consacrazione con il ruolo di Solomon Northup in “12 anni schiavo”. Purtroppo però, a dispetto di un valido cast, un plot ottimamente congegnato, uno sviluppo intricato e mai banale della vicenda, il buon bilanciamento tra scene d’azione e sviluppi narrativi, il film cala drasticamente nel finale. Le ultime scene, ambientate interamente nell’arena del combattimento, non offrono un degno epilogo rispetto alle ottime premesse: Mamet sceglie di non raccontare quello che accade dopo il combattimento finale, lasciando in sospeso sia il futuro professionale che quello sentimentale di Mike.
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Le esperienze vissute rafforzeranno le sue convinzioni o scalfiranno definitavemtne i suoi valori? Che ne sarà della sua attività? L’abbozzatissima sottotrama sentimentale con Laura sfocerà in una relazione? Il regista ha puntato tutto sul climax narrativo della resa dei conti tra Mike e Ricardo, ma lo scontro non si avvicina minimamente ai picchi drammatici dei finali dei vari Rocky (pur essendo infinitamente più realistico e con vincente dal punto di vista tecnico), che riuscivano a far chiudere un occhio sulla semplicità della trama con un’incredibile vis drammatica. Tali mancanze hanno portato a giudizi controversi dei critici (per alcuni il film è nella top 5 del 2008, altri non gli perdonano lo scivolone del finale) e all’impietoso riscontro di un pubblico che ha mal recepito il reale target della pellicola, la quale ha incassato poco più di due milioni e mezzo di dollari, un terzo degli oltre 78 sette stanziati per il budget.
Redbelt è un film sulle arti marziali, non sui combattimenti: la scelta del regista è quella di dare spazio alla filosofia e l’etica del suo samurai post-moderno, che più che la gloria cerca l’onore (in tal caso è azzeccatissima la metafora della cintura d’oro, per la quale contendono gli iscritti al torneo, in contrapposizione alla cintura rossa del Maestro a cui aspira Mike). Più che lo scontro fra esseri umani, va in scena lo scontro degli ideali marziali contro le difficoltà della vita, in il protagonista cerca di prevalere grazie alla capacità di adattamento propria del Ju Jitsu che. In questa favola post moderna, i cui toni noir e disillusi affascineranno più un pubblico adulto che una platea adolescente, un ronin del ventunesimo secolo si erge a difesa degli antichi valori, ricordando a tutti gli artisti marziali che, al di là delle logiche commerciali entrate di prepotenza anche in questo mondo, esiste ancora la possibilità di praticare per passione.
Francesco Malvano
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comitati regionali
veneto programmi 2016 a cura di: Armando Feliciotti La MAA Veneto apre l’anno con un calendario ricco di eventi. La segreteria provinciale di Vicenza, curata da Tiziana Urciuolo, ha già messo in opere, presso la palestra comunale Don Bosco di Fellette di Romano d’ Ezzelino, il Corso di Autostima, rispetto e autocontrollo, rivolto ai Bambini delle scuole elementari. Il corso, patrocinato dal Comune, che da anni appoggia le iniziative MAA, sarà seguito da un corso di Difesa Personale rivolto a tutta la cittadinanza.
nord italia
La segreteria provinciale di Padova, curata da Diego Cardello, sta intanto curando l’organizzazione del Primo trofeo Ju Jitsu Duo System, in programma per il mese di gennaio. Il mese di febbraio vedrà la seconda edizione della Red Ribbon Competition, organizzata dalla MAA Veneto, alla quale parteciperanno i centri sportivi che hanno contribuito al grande successo della prima edizione, la Street Combat System Scuola di Ju Jitsu del maestro Armando Feliciotti di Romano d’ Ezzelino (VI), la A.S.D. Shingan Ju Jitsu del maestro Diego Cardello di Villafranca Padovana (PD); e la A.S.D.O. Bu Shin Kai del maestro Pietro Magni di Conegliano Veneto (TV), insieme ai nuovi centri che stanno sempre più interesse all’attività della MAA International. Anche quest’anno la location sarà Romano d’Ezzellino, e verranno riproposti gli elementi di maggior successo della scorsa edizione: la coreografia di KasaDanza ed i costumi dei bambini in gara.
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Evento clou della stagione sarà il 3° Stage Nazionale Ju Jitsu Nord Italia, in programma per il 19-20 marzo 2016. L’aggiornamento tecnico sarà diretto dal So-Shi Soke Massimo Curti Giardina, 10° Dan Hanshi. Allo stage farà seguito la conferenza: “I Samurai i ieri, oggi e domani” tenuta da Francesco Malvano. L’evento si concluderà Domenica 20 con uno stage interdisciplinare. La novità del 2016 sarà il Tatami Ludico “Giocando si impara... a crescere” allestito per i piccoli marzialisti. Accompagneranno l’evento le performance dalla associazione KasaDanza di Selenia Mocellin. Sono gia in cantiere tante altre iniziative, che riempiranno l’agenda della MAA Veneto, per completare un 2016 incredibilomente ricco di eventi.
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LIGURIA mma cup sanremo a cura di: Fabio Forte Si è concluso un grande weekend dedicato alle arti marziali a Sanremo (IM) promosso dalla Segreteria MAA Liguria. Ad aprire l’evento, sabato 28 Novembre, presso le sale del Palfiori, una giornata di stage gratuiti aperti a tutti, con lezioni di Lao Long Dao (Kung Fu Vietnamita), Karate Shotokan, Kung Fu Jowga, Krav Maga ed Escrima Doce Pares Multi Style. I numerosi partecipanti hanno avuto modo di conoscere l’attività della Segreteria sul territorio, sperimentare nuove discipline e condividere lo spirito e la filosofia alla base delle arti marziali. Domenica 29 Novembre si è tenuta la seconda edizione della MMA Cup, con gare di Mixed Martial Arts,Grappling, Muay Thai, K1, Point Fighting e Free Boxe aperte a tutte le federazioni.
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Ma l’attività del Comitato Ligure non si ferma qui: Venerdì 13 Dicembre è in programma, presso la palestra Chikara Dojo di Sanremo, un grande stage di Muai Thay con Christian Zahe, campione italiano FIKBMS 2011 e mondiale WKN 2015. Sempre a Dicembre avrà inoltre inizio il secondo corso istruttori SFC (Street Fighting Concept) Striking, diretto dal Maestro Fabio Forte. Per quanto riguarda l’ordinamento interno, è stata ufficializzata la nomina di Matteo Pavone quale a Segretario Provinciale per Imperia. Hanno inoltre ottenuto la qualifica di arbitri per i settori Muai Thay e MMA i signori: Matteo Pavone, Antonio Fontò, Davide Vadalà e Luca Signorelli.
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lazio aspettando gli europei a cura di: Alberto Morra Dopo una partenza autunnale che ha visto l’adesione di diverse nuove associazioni sportive operanti sul territorio Il bimestre ottobre – novembre 2015 della MAA Lazio è stato particolarmente ricco di eventi: si sono susseguiti corsi di aggiornamento tecnico delle varie discipline, stage, seminari e soprattutto si è tenuto il primo corso di BLSD (Basic Life Support and Defibrillator) al quale hanno aderito numerosi i Maestri e Istruttori regionali. Il corso RCP (rianimazione cardio polmonare) e disostruzione delle vie aree, sapientemente diretto dal personale specializzato della American Heart Association, si è concluso con la consegna degli attestati di partecipazione e la registrazione dei corsisti presso l’albo della Regione Lazio, in qualità di operatore non sanitario di BLS e defibrillatore. Nei prossimi mesi sono in programma nuovi corsi per la formazione di aspiranti Maestri e Istruttori ed è altresì confermata la seconda Edizione della gara Natalizia, che prevede gare di Red ribbon (la nuova competizione MAA aperta a tutti i bambini) e competizioni di kata singoli e a squadre. Evento clou della prossima stagione saranno i Campionati Europei MAA International che si terranno nella capitale nel mese di Aprile. Ottenuta l’approvazione della nostra candidatura da parte dell’Ufficio di Presidenza, ci siamo subito attivati per l’organizzazione logistica dell’evento, che costituisce uno dei principali appuntamenti del calendario MAA International per il 2016.
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Continua inoltre l’opera capillare di diffusione del settore karate, che già in questi primi mesi ha registrato una notevole adesione di Tecnici e Centri Sportivi.
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campania martial village 4 a cura di: Luca Raucci Giunta alla sua 4° edizione, la Notte Bianca, uno dei principali eventi cittadini dell’autunno partenopeo, oganizzato annualmente nella zona collinare del Vomero, ha aggiornato il suo format, trasformandosi nella “Notte della Legalità”. Scopo dell’evento, promosso dalla 5° Municipalità Vomero-Arenella, è stato ribadire ancora una volta la cultura della legalità come mezzo di miglioramento della società. Nella notte del 25 ottobre, numerose scuole ed esercizi commerciali sono rimasti aperti fino alle 3 del mattino, mentre nelle strade e nelle piazze del Vomero sono stati allestiti stand e palchi che hanno ospitato performance e concerti. La MAA International era presente con la 4° edizione del Martial Village. L’evento, curato dal M° Francesco Malvano, ha accompagnato tutte le edizioni della notte bianca partenopea, non mancando di proporre, anche quest’anno, l’importanza dell’arte e della cultura marziale come strumento di crescita fisica e morale dell’individuo. Tema di questa edizione è stato “Il Giappone dal periodo feudale ai nostri giorni. Attraverso esibizioni, dimostrazioni e lezioni aperte al pubblico, sono state mostrate alcune tra le più antiche arti marziali giapponesi, il Ken jitsu ed Il Ju Jitsu, viste sia nella loro forma tradizionale, con la presentazione degli stili Sankaku Ryu e Shinken Shobu Ryu, che nelle loro declinazioni più moderne, dalla difesa personale del progetto “Donne al Sicuro” ai programmi di addestramento per le forze dell’ordine della International Police Training Sistem. Tra il pubblico coinvolto, si è registrata una forte presenza di bambini e ragazze, due categorie a la nostra attività si è sempre rivolta con particolare interesse, 92 attraverso corsi e programmi progettati specificamente.
sud italia
È stata una serata all’insegna della condivisione e dell’amicizia, impreziosita da momenti di collaborazione nati spontaneamente nel corso dell’evento, come il simpatico siparietto improvvisato con i comici dell’emittente locale Luna TV. Le esibizioni sono state accompagnate dalla musica etnica del trio i Freegoldass, composto da Matteo La motta (voce e chitarra) Libero (cajon) e Giuseppe Sanseverino (digeridoo). L’evento è stato realizzato grazie al supporto della 5° Municipalità, in modo particolare del Presidente Mario Coppeto e dell’Assessore Marco Gaudini, sempre disponibili per venire incontro a tutte le esigenze organizzative. Prezioso è stato anche il supporto logistico di Stair Coffe Shop, che anche quest’anno è stato partner della serata, mettendo a disposizione suoi spazi.
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Si è tenuto il 6 dicemre presso l’impianto “POLIFUNZIONALE SOCCAVO” di Napoli, l´8° Allenamento Collegiale Interdisciplinare di Arti Marziali ACSI, organizzato dal Direttore Tecnico Grandmaster Mario Bellerino (coordinatore regionale del settore Arti Marziali) con la collaborazione dei Dirigenti ACSI Vincenzo Izzo e Sara Borriello. L’evento ha registrato la presenza di moltissime discipline, rappresentate dai Maestri: Tommaso Lippiello, Massimo Curti Giardina, Giuseppe Rosa, Francesco Di Giacomo, Rodolfo Traversi, Antonio Fortunato, Ernesto Marsicano, Massimo Fiorentini, Fabio Sarnataro, Domenico Frezza, Mestre Carcanà, che insieme ai loro team hanno dato vita ad un grande evento gratuito, che ha dato ai numerosi praticanti intervenuti un´opportunità di conoscersi e praticare insieme, passando una giornata all’insegna dell’amicizia e della condivisione dei valori marziali.
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Ph. Sara Borriello
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L’evento, che ha coinvolto a 360° tutti i presenti, si è svolto all’insegna della grande umiltà che da sempre distingue i praticanti di tutte le discipline Sportive ACSI. Le 6 aree di attività hanno dato la possibilità ai partecipanti di praticare arti marziali provenienti da tutto il mondo, dal Tang Soo Do al Jujitsu, dal Karate all’Haidong Gumdo, dal Krav Maga al Kung Fu, dal MMA alla Capoeira, e tante altre. Tutti i Tecnici Hanno dichiarato: “Siamo incoraggiati da questo esito e continueremo con ancora maggior convincimento a promuovere momenti di valore, di unione, d´incontro e di scambio di esperienze, nello spirito dello Sport e delle Arti Marziali, affinché la nostra collaborazione diventi sempre più forte, valida e connessa”. Si rinnova l’appuntamento ai prossimi eventi ACSI sul territorio regionale e nazionale, da sempre grandi momenti di aggregazione per tutti i praticanti e gli appassionati di arti marziali.
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Ph. Sara Borriello
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