La libellula che voleva cantare

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Storie dello Stagno La libellula che voleva cantare FRANCESCO SMELZO


Allo stagno, le libellule erano ammirate come gli animali più belli. Si potevano vedere librarsi nel primo sole del mattino che, con i suoi raggi ancora deboli, illuminava di arcobaleno i loro corpi mentre planavano leggere sull’acqua. Parevano danzare, coperte di veli iridescenti, al suono di una musica che solo loro sentivano. Gli altri animali non potevano che ammirarne la naturale eleganza, sia in volo che quando, a volte, si fermavano sui bianchi fiori di ninfea. Parevano essere state create per essere ammirate. E loro lo sapevano. Infatti le libellule erano note per essere un po’ compiaciute della propria grazia e c’è chi dice, tra gli animali che le avevano osservate attentamente, che talora si fermassero in volo a mezz’aria sopra lo stagno per rimirare la propria figura riflessa nell’acqua. Tra loro però ve n’era una che non era felice. Si chiamava Lilli. Ma Lilli non era stata sempre infelice. Tempo addietro era come tutte le altre sue compagne: ammirata dagli altri e contenta delle doti che la natura le aveva donato.

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Poi, una mattina d’estate, mentre si librava a mezz’aria specchiandosi sull’acqua, all’improvviso udì un dolce canto. Era una melodia cristallina che sembrava disegnare nell’aria figure di filigrana d’oro e d’argento. Lilli si chiese da dove venisse tale meraviglia, volse in alto lo sguardo e vide un piccolo uccello sopra un ramo del salice che si protendeva sopra lo stagno. «Chi sei tu che hai una voce tanto soave e perché non ti ho mai sentito prima cantare?» - chiese all’uccello. «Sono un usignolo e mi chiamo Lorenzo, mi sono fermato in questo stagno per riposare prima di ripartire per il mio viaggio verso il sud, mia bella libellula.» «Quindi presto ripartirai e non sentirò più il tuo canto?» - disse Lilli. «Sì, riprenderò presto il mio viaggio. Oggi stesso. Ma prima voglio cantare ancora per te.» E l’usignolo intonò allora un canto struggente e delicato, mentre la libellula, che si era posata su un bianco fiore di ninfea, ascoltava incantata. Quando ebbe finito l’usignolo disse: «Adesso è tempo che mi rimetta in volo verso il sud, dove mi aspettano i miei simili, ma tornerò ancora a sostare presso questo

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stagno, agli inizi dell’estate, quando noi usignoli ci spostiamo verso il nord, dove il giorno è lungo e breve la notte.» «E anche allora ti fermerai per il tempo di un canto?» - gli chiese triste la libellula. «Sì, è questo il destino di noi usignoli: quello di viaggiare e di non fermarsi. E ognuno deve seguire il proprio destino, è stato bello incontrarti. » Lorenzo l’usignolo, dopo aver detto queste parole, spiccò il volo verso il sud. “Ognuno deve seguire il proprio destino” – pensò Lilli – “ma qual è il mio destino?” All’improvviso non era più contenta, né compiaciuta di ammirare il suo corpo illuminato di arcobaleno ai deboli raggi del sole del mattino. All’improvviso avrebbe voluto anche lei poter cantare come Lorenzo e saper produrre quei dolci suoni. All’inizio, per la verità, ci si provò, ma tra le doti che la natura aveva donato alle libellule non c’era purtroppo quella di una bella voce. Nel frattempo le giornate diventavano più corte e si approssimava l’inverno e Lilli, che pensava sempre al canto che a lei era negato, non si curava dell’arrivo dei primi freddi e non cercava riparo, come le sue compagne, tra i rami degli alberi. 3


Una mattina, mentre la libellula era ferma su una canna a fissare tristemente lo stagno ghiacciato, venne scossa da un brivido di freddo. Il brivido le fece muovere involontariamente le ali che produssero un suono, un breve suono, come una nota di viola. Lilli ripeté il movimento più volte, questa volta intenzionalmente, e, come per magia, ogni volta il suono si ripeteva. Esercitandosi capì anche come modulare questo suono, ora più acuto ora più grave, a seconda se stringesse o allargasse i muscoli delle spalle. Presa dall’entusiasmo per la scoperta di questa qualità che non sapeva di avere dedicò giorni e giorni a raffinare quella tecnica finché fu in grado, con il battito delle ali, di riprodurre la melodia che aveva sentito cantare a Lorenzo. Le altre libellule non capivano il perché di tutto questo sforzo e le dicevano: «Noi libellule siamo state create per allietare la vista, non l’udito. Lascia che a questo pensino altri animali.» Ma lei non se ne curava, sentiva che riuscire a produrre quei suoni di viola, a cantare con le sue ali, era il destino che si era scelta. E divenne brava, molto brava. Gli animali dello stagno non si fermavano ora solo per ammirare il suo corpo illuminato di arcobaleno ai deboli raggi del sole del 4


mattino, ma anche per ascoltare quel canto che proveniva dalle sue ali. L’inverno passò e le giornate cominciarono a farsi più calde. Sullo stagno tornarono le ninfee su cui si posavano le libellule. Un giorno, mentre Lilli si stava scaldando ai primi raggi del sole su un bianco fiore di ninfea, si sentì di nuovo un canto. Lilli, questa volta sapeva di chi era. Volse in alto lo sguardo e vide Lorenzo cantare sopra un ramo del salice che si protendeva sopra lo stagno. Prese allora anch’essa ad accompagnare la melodia con il contrappunto di note di viola che proveniva dalle sue ali. L’intero stagno si fermò incantato ad ascoltare Lorenzo e Lilli che eseguivano quella musica finché, terminata l’esecuzione, la libellula domandò all’usignolo: «Ripartirai presto?» «No. Questa volta mi fermerò qui.» - rispose lui. «E il tuo destino?» - chiese lei. «Grazie a te il mio destino è cambiato.» - disse. Da quel giorno Lilli, la libellula che voleva cantare, si posava ogni mattina, con il suo corpo illuminato di arcobaleno ai deboli raggi del sole, sul ramo del salice che si protendeva sopra lo stagno finché non giungeva Lorenzo e insieme intonavano un canto che allietava il cuore di tutti gli animali. 5


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