L’esame

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L’esame di Francesco Smelzo – Ecco, lo sapevo! È chiaro che me ne dimenticavo! Che testa! Giacomo era uno studente della Facoltà di Lettere. Certo addosso a lui la parola “studente” era decisamente esagerata; l’attività da cui prende il nome questa qualifica occupava sì e no un’ora della sua giornata. Non quel giorno però! Quel giorno si giocavano le sue possibilità di continuare ancora per un pezzo la sua vita da sfaccendato. Suo padre infatti, alla fine si era rotto le scatole di foraggiare con lauti stipendi mensili quel buono a nulla del figlio. Quindi, caro mio, “aut aut”! Se non mi dai almeno un esame entro un mese… zac! Stop ai quattrini e “a lavurà” come diceva lui, Riccardo Bianchini, noto imprenditore lombardo. E così, lo scioperato, fu costretto a informarsi sugli esami di sessione. Scartò subito la roba più tosta, per quella c’era sempre tempo, tanto poi il “papi” cazzo ne capiva di letteratura! Per lui “l’è tutta roba da lazzaron”, da fannulloni insomma. Rimaneva solo quell’esame, Storia dei costumi nel Medioevo, considerato da tutti facilissimo, la professoressa era mezza scema, Domitilla De Brandis, una donna sulla sessantina più larga che alta che, durante gli esami spesso si addormentava svegliandosi solo quando l’esaminando, trascorso un certo periodo di tempo, si schiariva la voce fino poi a fingere di tossire rumorosamente, allora la Domitilla apriva gli occhietti porcini dietro le lenti spese e, fingendo di aver capito tutto esclamava “bene, bene 30… il prossimo”. Sì andava sul sicuro insomma, se non fosse stato per quella ricerca! Sì, infatti la Domitilla per sveltire le operazioni di esame, e recuperare tempo per il sonnellino del dopo pranzo, questa volta aveva deciso che gli esaminandi avrebbero dovuto presentare una ricerca scritta. Per Giacomo una bella grana, lui che era famoso per perle come “in fatti”, “da vero”, “sarebbe meglio non l’avrebbe” sui post di Facebook. Per fortuna c’era sempre Vincenzo, lo sgobbone, certo gli costava un po’, mica lo faceva gratis il bastardo! Ma ne valeva la pena, in gioco c’era la “paghetta” del papi e la bella vita. Doveva passarci quella mattina in biblioteca, era quello il luogo dello scambio: soldi contro ricerca, come nei film di spionaggio. Ma era già ora di pranzo, Vincenzo ci sarà ancora? E tra mezz’ora poi sarebbe iniziato l’esame, e senza la ricerca… brrr meglio non pensarci. L’unica cosa da fare era correre e correre parecchio. L’ascensore per la biblioteca al terzo piano rotto, ecco, naturale. Infilò come un razzo la tromba delle scale dribblando come un campione tre matricole che si facevano degli spinelli, una coppia che stava ripassando le cinquanta sfumature di grigio con qualche variazione sul tema, un gruppo di secchioni che ripassavano invece Letteratura Moderna attendendo di essere chiamati all’esame; finalmente arrivato al portone della biblioteca lo spalancò come in un’irruzione della polizia. Vuoto. Eh certo all’ora di pranzo in biblioteca chi ci vuoi trovare, i topi? Il maledetto! Si sarà rotto di aspettare, gli aveva detto alle 10,00, certo che dopo 4 ore anche a quel testone pieno di libri gli saranno girate le balle eh? Ma in fondo, da una delle salette secondarie di lettura sente un rumore, che sia… Si precipita, inciampa in un banco da lettura triturandosi mezzo menisco, ma l’ansia è più forte, zoppicando continua indomito verso la meta, apre la porta e…


– Vincenzo! Grazie! Mi hai salvato la vita! Vincenzo il secchione, il “nerd” come lo chiamavano su Facebook, col suo golfino giallo con lo scollo a V e la camicia bianca abbottonata fino al collo, se ne stava seduto lì a fissarlo, stranamente immobile. – Allora vecchio mio ce l’hai la ricerca sì? Tra venti minuti devo andare dalla vecchia matta. Io i soldi li ho eh… ecco… quanti erano? 300? Vincenzo non si muoveva, era come paralizzato, solo i suoi occhi, dietro gli occhiali di tartaruga, facevano strani movimenti, si sarebbe detto quasi dei segnali. – Insomma, mica vorrai ringambare eh? Che mi fai, mi alzi il prezzo? Va beh dai te ne do 400 ma tira qua questi fogli che tempo me ne rimane poco! Mentre Vincenzo rimaneva nel suo mutismo, un’ombra si proiettò lentamente nella piccola stanza di lettura, un’ombra che si materializzava sui banchi, qualcosa che era dietro Giacomo e che si frapponeva tra il faretto e lui. Vincenzo, recuperata in parte la voce, ma non ancora la parola, pronunciava suoni inarticolati: – La… la… la… – Sì “la la la” ora ci mettiamo pure a cantare, me la vuoi dare o no ‘sto cazzo di ricerca? – La… la… la… – continuava il solfeggio l’altro. – La vecchia matta. – parlò l’ombra. A sentire quella vocetta nasale un brivido percorse la schiena di Giacomo, solo allora si accorse dell’ombra dietro di sé. Presentendo il peggio, lo studente fuoricorso si girò lentamente. Una Domitilla, questa volta ben sveglia, e con un’espressione niente affatto benevola lo stava fissando con i suoi occhi porcini dietro le spesse lenti. – Era un po’ che tenevo d’occhio queste ricerche tutte uguali – disse la professoressa – così sono andata a vedere quelle delle sessioni passate e ho trovato da dove provenivano, dal qui presente Vincenzo Maretti, naturalmente vi sarà una punizione esemplare cari miei, e per lei, signor Giacomo Bianchini ovviamente l’espulsione, vi prego di seguirmi dal preside”. È così che finì la carriera universitaria di Giacomo Bianchini, attualmente apprendista carrozziere presso la Autofulgor di Milano. Nel parcheggio dell’ateneo la professoressa Domitilla De Brandis si avviava verso la sua utilitaria, aveva finito la sua lezione e si apprestava a rientrare a casa dai suoi dodici gatti. Un’ombra da dietro una colonna: – Buonasera siura professoressa. – Ah è lei! A momenti mi faceva prendere un colpo! – I patti sono patti. Ecco qui la busta, sono 3000, li conti. – Non c’è bisogno. – Ecco qua, e grazie di avermi liberato di quella sanguisuga scassaballe. Non sapevo più come fare. – Di niente signor Bianchini, di niente. È stato un piacere.


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