Antropos in the world luglio 2017

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LE PROBLEMATICHE DELL’INFANZIA

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ANNO XIII N.RO 5 Luglio 2017

Pag. 1. Pag. psicologica 2. La strage di Manchest. 3. L’angolo del cuore 4. La comunicazione 5. Campania felix 6. Aulos 7. Giglio Magico. 8. Aforismie 9. L’autore del mese 10. Marie Curie 11. Il minore maltrattato 12. Appuntamenti Al Mirò 13. Presidenziali 14. Martoglio Nino 15. Cristina Nicodemo 16. Paremiologia e pubbl. 17. Cibi cheprepar.all’est. 18. Hans Kung 19. Stracassone 20. Festini a Roma 21. Pollanca, ricette 22. Cassazione 23. Scarnicci 24. Storia della musica 25. Ataturk 26. Duonnu Pantu 27. La favola della settim. 28. Foto da ricordare 29. Lu conzalimbi 30. Il Museo Diocesano 31. Catullo a Napoli 32. Regimen sanitatis 33. Follie Giuffridiane 35. Arwen 36. Soc.mordi e fuggi 38. Redazioni e riferimenti

MALTRATTATA (IV) L’incuria o la grave trascuratezza avviene quando il bambino è fortemente trascurato. L’elemento centrale è l’inadeguatezza delle cure, che possono essere didiversi tipi. Esso scatta quando le persone legalmente responsabili del bambino non provvedono adeguatatamente ai suoi bisogni fisici e psichici,in rapporto alla età ed al momento evolutivo. Quando, cioè,non sono mantenute e garantite le condizioni essenziali per un sano sviluppo psicofisico, attraverso la nutrizione, il vestiario, l’igiene, le cure mediche, l'educazione e la protezione dai pericoli. Secondo Lowenthal, l’incuria si ha incuria quando il genitore non fornisce al bambino adeguata supervisione, assistenza medica o educazione,oppure lo espone ad ambienti pericolosi o malsani. La discuria, poi, si ha quando le cure sono distorte e inadeguate al momento evolutivo, o quando si richiedono al bambino compiti troppo elevati ed inadeguati alla sua età. L’ipercuria, invece, scatta quando le cure sono eccessive2 :Simulazione di segni e sintomi di malattie di varia natura (allergie, ematuria, problemi respiratori, sanguinamenti, vomito, affezioni gastrointestinali), riportati dal genitore-abusante. Vengono sempre minuziosamente descritti, ma senza prove né testimoni. Compaiono solo con il genitore. Questa patologia è una forma di abuso in cui il bambino rischia seri danni fisici e psicologici e, spesso, la vita. I genitori, però, non hanno l'intenzione di procurare danni o uccidere il proprio figlio; essi con il loro comportamento vogliono ricreare una situazione di cure e presa in carico del bambino da parte di altri e rimangono fortemente turbati se egli muore: dunque, paradossalmente la morte del figlio è contraria agli interessi patologici dei genitori. Questo tipo di violenza è molto complessa da descrivere perché intervengono, oltre alla coppia genitoriale con le caratteristiche soggettive e le dinamiche interne, anche le caratteristiche del bambino legate all'età, alle capacità di verbalizzazione, alla sua forza interna, al tipo di relazione con i genitori, soprattutto con la madre. Perché si verifichi l'abuso, è necessaria la collaborazione di tutto il sistema familiare; tutti i membri della famiglia, anche di quella estesa, utilizzano la sindrome per mantenere la stabilità familiare e negare i conflitti.

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1. LE PROBLEMATICHE DELL’INFANZIA MALTRATTATA –child abuse, saggio breve di Franco Pastore - A.I.T.W. Edizioni – Febbraio 2016 - Ebook cod. GGKEY:BZSUHT15QFF E 2. B.Lowenthal, Riconoscere e aiutare i bambini vittime di maltrattamento e abuso, in <<Difficoltà di apprendimento>>, vol. 4, n. 2, 1998.

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Antropos in the world

LA STRAGE DI MANCHESTER: LO “ IUS SOLI” HA COLPITO ANCORA Ne parlavo giusto un mese fa («Il killer di Parigi: uno dello ius soli» su “Social” del 28 aprile) ed oggi la strage di Manchester dà un triste avallo a quella tesi: i killer che insanguinano le nostre contrade sono quasi tutti “cittadini europei”: serpi che ci siamo allevati in seno per assecondare la strategia elettorale di certi partiti alla ricerca di un elettorato di riserva, o per seguire la strategia buonista di chi invoca “uguali diritti” per “i bimbi” nati qui da noi. Anche l’autore della strage di Manchester, dunque, non è uno straniero ma “un cittadino britannico di origine libica”, come hanno diligentemente spiegato giornali e televisioni. Come anche, nel nostro piccolo, il potenziale terrorista espulso dall’Italia nei giorni scorsi non è un magrebbino in trasferta, ma – abbiamo appreso dai telegiornali – un “italo-tunisino”. Già, perché – anche se non tutti lo sanno – lo “ius soli” è già parzialmente in vigore anche in Italia. La “generosa battaglia” di certa sinistra mira soltanto a renderlo automatico, alla nascita,senza neanche il disturbo- attualmente richiesto – di fare una domanda per ottenere la cittadinanza italiana «entro un anno dal raggiungimento della maggiore età» (art. 4 sub 2 della leg. n. 91 del 1992). Dopo di che, ottenuta la cittadinanza, il baldo marocchino (o afgano, o senegalese) potrà non soltanto votare alle elezioni, ma anche partecipare ai concorsi pubblici, contendendo legittimamente ai nostri figli i pochi posti di lavoro sopravvissuti all’Unione Europea ed alla globalizzazione. E ciò non perché qualcuno ce lo abbia imposto, ma perché lo hanno liberamente deciso i deputati che noi abbiamo democraticamente eletto. Cose da manicomio! Ma tutto questo è niente, al confronto delle implicazioni di carattere culturale (nell’accezione più vasta del termine) che comporta la convivenza forzata con una cospicua componente della popolazione immigrata, quella musulmana. La cultura europea, la civiltà europea, il sentire europeo sono inequivocabilmente agli antipodi della cultura, della civiltà, del comune sentire del mondo islamico. E non per un fatto di arretratezza di quel mondo, non perché – come talora si sente dire – i musulmani ragionano come ragionavamo noi mille anni fa; per cui – è sottinteso – basterebbe aggiornarli, modernizzarli o, forse, soltanto democratizzarli per renderli integrabili nella società europea. Non è assolutamente così: i musulmani (fatte le debite eccezioni, s’intende) non sono integrabili nella

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società europea per il semplice fatto che non vogliono integrarsi. Non vengono qui da noi per “diventare” italiani, francesi o tedeschi. Ma per mantenere la loro identità religiosa, culturale, etnica, per riunirsi in comunità ermeticamente chiuse al mondo esterno, giudicato alieno, corrotto, peccaminoso, “infedele”. Molti di loro – e non soltanto quelli dell’ISIS – vengono per conquistarci, per dominarci, per sottometterci al loro credo e alla loro cultura. D’altro canto, questo è il modello con cui gli arabi hanno conquistato mezza Africa e una buona fetta dell’Asia, soggiogando popolazioni che arabe non erano, colonizzandole culturalmente, con la loro religione e con la loro lingua. E questo è il modello con cui l’Islam ha tentato già in passato di conquistare l’Europa, con le invasioni medioevali delle nostre terre meridionali (Sicilia compresa); e più tardi con i turchi, che – non dimentichiamo neanche questo – fino agli inizi del secolo scorso tenevano saldamente la riva orientale del mar Adriatico, a poche braccia di mare dalle coste italiane. Fingere di ignorare tutto ciò e legiferare come se tutti i popoli del mondo fossero uguali, omologati dal “politicamente corretto” e magari accomunati dallo strano sincretismo religioso di papa Bergoglio, è semplicemente da pazzi. Se il nostro disegno (e per “nostro” intendo quello che appartiene al nostro governo e più tenuamente agli altri governi europei)... se il nostro disegno – dicevo – è soltanto quello di salvare esseri umani... ebbene, salviamoli. Ma, subito dopo, rimandiamoli a casa loro. E, se a casa loro non si trovassero bene, mandiamoli in qualche paese ove potrebbero trovare una accoglienza compatibile con il loro sentire. Questo vale per tutti i migranti, ma soprattutto per i musulmani, che certamente si troverebbero più a loro agio in paesi di religione islamica. Non vedo perché dobbiamo continuare a tenerceli in Europa, con il rischio – purtroppo concreto – che una parte di loro si dedichi all’arte di progettare stragi e attentati. Una modesta proposta: creiamo un bel “corridoio umanitario” che porti i migranti musulmani in Arabia Saudita, nel Quwait, nel Qatar, o in qualche altro ricchissimo paese islamico. Le cosiddette “monarchie del Golfo” sprizzano petrolio e miliardi. Che ne impieghino una parte per finanziare l’accoglienza dei loro correligionari, piuttosto che armare “eserciti di liberazione” in mezzo mondo arabo.

Michele Rallo


Antropos in the world L’ANGOLO DEL CUORE

Da “ Respiri di vento ”

Silloge di Franco Pastore (978-88-567-8247-9– Editrice Albatros- Filo – Roma ISBN 978-88-567-8247-9

LA RABATANA1 H κώμη

Fruscii di vento tra la timpa2 e i fossi, la notte corre tra le case stanche. Aria di povertà, sulla pitrizza3, scende giù a valle, come bestia dalla tana. D’estate il sole lampeggia ancora, canta nell’erba u chùcche,4 … dall’aurora.

CRUNA

‘H γρυμαία

ANDANDO INDIETRO

Sulla soglia dell’alba, silenziosa tra i rami, scivola la luna. Tra le braccia del tempo, prigioniero d’una cruna, infilo sogni e giorni, ma tutto sa di passato ed anche lo specchio con la cornice è andato. Imperterrita, la vita continua la sua corsa ... infinita.

Πηγαίνοντας πίσω Si perde lo sguardo all’orizzonte, in questo giorno, mentre muore il sole. Andando indietro, dove ricordo duole, ritornano nel cuor le sue parole. Conserva il tempo tutto ciò ch’è stato: l’amore per il Padre(1) è qui serbato. Ed anche ora, coi capelli bianchi, la pelle raggrinzita e gli occhi stanchi, lo vedo ancora, nei pressi dell’altare, che prende la mia mano ... prima d’andare.

RESPIRI DI VENTO Παντα ρει

All’alba, correvano gli anni nel mondo dei sogni. Con la luce del sole, al mattino, vivevo l’amore. Ora, che vedo il tramonto, tra respiri di vento, rifletto, con aria contrita, sognando la vita. -3-


Antropos in the world

LA COMUNICAZIONE COME ABILITA’FONDAMENTALE A CURA DI FRANCO PASTORE

Spesso ci è capitato di fare qualcosa senza sapere il perché, come, ad esempio, un acquisto d’impulso, un dolce di troppo, una scelta che, col senno del poi, ci siamo pentiti di aver preso e tante altre piccole cose. A questo punto, è bene riflettere sul perché ciò si è verificato! Abbiamo sempre creduto in due stati di coscienza: il sonno e la veglia, cioè: - quando dormiamo o sogniamo, chiusi agli stimoli del mondo esterno; - quando invece siamo svegli,perfettamente interagenti con il mondo esterno e, nel pieno possesso del libero arbitrio della nostra razionalità. Ma se queste fossero le uniche due opzioni, saremmo sempre pienamente soddisfatti delle decisioni prese nello stato di veglia. Purtroppo, non è sempre così. Restando sul piano fisiologico, tutti nella vita sperimentiamo diversi stati di coscienza: oltre allo stato di sonno e di veglia, ogni essere umano entra ed esce quotidianamente dallo stato di trance, uno stato collegato a fenomeni ipnotici ed auto-ipnotici. Questo aspetto viene automaticamente ignorato da chi gestisce l’educazione, così come non vengono considerate le modalità del attività mentale. Sembra, infatti, che vi sia la volontà di ignorare le più elementari regole di finanza etica, ecologia pratica, gestione emozionale, come se a monte vi fosse una decisione presa nelle alte sfere, con un pizzico di malafede, o altro. Sta di fatto che ci hanno trasferito un modello del mondo, non conforme al funzionamento della nostra fisiologia ed alle dinamiche della comunicazione umana. Il continuo ignorare del funzionamento della nostra psiche ci ha reso, sempre più, meno liberi e senza difese negli attacchi: - della pubblicità commerciale, - dei mass mediologi, - dei venditori, - dei manipolatori di coscienze. In parole più semplici, siamo indotti a perdere l’unicità delle nostre persone, smarrendo la diversità in un labirinto di omologazione, che ci livella “come copie ciclostilate”. Di qui, la nostra difficoltà a comunicare e ad un uso consapevole del nostro discernimento. Comunicare bene è un fatto istintivo, che né la Scuola dell’obbligo, né i Media, né tantomeno i Social Media, ci insegnano. La conoscenza dovrebbe portare alla libertà, ma dato che la Scuola, con i suoi interventi standardizzati, non insegna materie essenziali come la

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- PARTE PRIMA -

Comunicazione, ciò facilita il controllo dei futuri cittadini, stroncando ogni facoltà di discernimento e valutazione critica! In effetti, la Comunicazione è una delle prime abilità da imparare, perché meglio comunichiamo, più siamo liberi di esprimere noi stessi, interagendo con chi ci circonda. In sintesi, comunicare vuol dire operare per il cambiamento di quel macrocosmo entro il quale viviamo. Se le Istituzioni responsabili dell’educazione dell’individuo esercitano un’attività formativa onesta e non omologante, il fanciullo sarà un uomo libero e non facilmente plagiabile, altrimenti, la sua individualità e la sua originalità di pensiero, saranno fatte a pezzi dagli attacchi mediadici e dai manipolatori di coscienza. La modalità ipnotica della comunicazione, è alla base della comprensione, nel senso che meglio gestiamo i fenomeni ipnotici che ci investono, più li-bera sarà la tua vita. D’altro canto, l’ipnosi è un fenomeno assolutamente naturale, innescato da stimoli sensoriali, ed è necessario saperlo riconoscerlo, gestirlo e usarlo nel modo giusto. Non stiamo parlando di ipnosi regressiva o terapeutica ma di Ipnosi Conversazionale, che si serve del il linguaggio, nelle sue varie forme, per veicolarsi nella mente “cosciente” e avvicinarsi alla parte più profonda della psiche umana. «Il mio punto di vista è che… tutto nella vita è ipnosi. Le persone … si muovono costantemente da uno stato di trance all’altro. Abbiamo trance per lavorare, per relazionarci, per guidare, per comportarci da genitori e persino trance che sembrano fatte per crearci una serie di problemi…». Questo concetto di Richard Bandler, ci spinge a considerare la ipnosi, un fenomeno naturale ed ineliminabile. Non solo entriamo in trance da soli, ma tutti noi usiamo sempre una certa percentuale di persuasione ipnotica, vale a dire una sorta di competenza comunicativa che contribuisce alla persuasione, insieme ad altri fattori: la bellezza, la simpatia, il carisma, una voce calda e melodiosa e così via. (Continua)


Antropos in the world

E’QUESTA LA CAMPANIA FELIX? “L’inferno esiste. Non nell’altra vita. Ma in questa, maledettamente terrena. Lo puoi vedere, l’inferno lo puoi toccare . Ci puoi vivere e mangiare. E morire.Sulle carte geografiche non è indicato, eppure c’è: “ a nord di Napoli, a sud di Caserta” racconta Don Maurizio Patriciello parroco di Caivano. E’ un paesaggio di case imbrogliate, vie intrecciate come il cappio dei condannati, sospeso sui misteri del Vesuvio in attesa dell’ultimo cancro. “Napule è na carta sporca e nisciun se n’mport” cantava Pino Daniele con una smorfia di dolore che gli costò la vita e nello stadio stracolmo di giovani tutti inseguono, ancora oggi, le sue parole e suonano e cantano sollevando le braccia al cielo. L’agonia è una melma liquida che entra nelle case. Allaga le arterie dei monumenti di questa città, li scuote, li apre in mille fessure rivelando un cuore malato. Alle porte di Napoli, la strada verso la terra dei fuochi è un viale maleodorante d’immondizia che risale le mura dei palazzi e diventa un cielo di fuliggine. La gente passa ed esorcizza la morte portando il fazzoletto alla bocca. Inorridita e impotente “… aspett a ciort…”. I cassonetti bruciati sono pietre miliari che orientano il viaggiatore e lo portano per mano nell’inferno di Don Patriciello dove, anche, la mala coscienza del nord ha avvelenato i figli di questa terra. Qui muore la speranza e le bancarelle vendono la passione di Cristo e la vita degli innocenti per trenta dinari. Chiedi meravigliato se questa è la Campania felix. E ripeti incredulo “E’ questa la terra felice degli antichi romani?”. Il mio interlocutore parla la mia lingua con un suono dolce che nel passato amavo ma che oggi mi sembra inespressivo, monotono e mi irrita. Costeggio con lui in auto Capo Miseno dove la flotta romana ancorata nella baia riflette nel mare segnali di fuoco. Si ode il grido dei marinai in attesa del mare aperto, di spazi immensi, del sapore della salsedine sollevata dalle onde. “Bella fantasia…” e sorridi. “E’ vero: questo è quello che era: Cuma stretta attorno all’antro misterioso della Sibilla. Le notti d’estate puoi ascoltare la brezza che risale il porto e sparge un velo di salsedine lungo le strade e il tumulto dei legionari che interrogano sul loro destino la Sibilla che risponde: “Ibis redibis non morieris in bello”. Mentre parlo un filo come oro fuso disegna

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un tremolio di piccole onde. Il sole scende nel mare e guarda un altro mondo. Anche questa notte c’è una fiammella di lampara che galleggia nel vuoto della notte e le anime dei morti soffiano il loro rimpianto sul lago di Lucrino ed Enea incontra il vecchio Tiresia. “Napoli è questo paesaggio mozza fiato?” mi chiedi meravigliato. “ E’ questa natura estrema fatta di vita e di morti ingessati quando… un’ enorme nube di ceneri, pomici, blocchi solidi e gas … a diversi chilometri di altezza” sono ricaduti e si depositarono in poche ore in diversi strati di pomici che seppellirono completamente Pompei. Così, dopo averla descritta, in questa nube rovente Plinio il vecchio nel 79 a.C. esaurisce ogni ricerca, ogni desiderio di conoscenza e perde la vita. Il Vesuvio è fuoco ma adesso è domato per un tempo lungo forse… il tempo della illusione, per chi imprudentemente ha inseminato le pendici di case, piazze, scuole, ospedali, figli disegnando un’ architettura senza bellezza che svela il destino di questa terra, la certezza della vita e la prossimità della morte”. I più anziani raccontano una diversa storia e un diverso esorcismo: il Vesuvio distrugge tutto senza riuscire a impossessarsi dell’anima di questa gente. Ormai la notte confonde gli angoli più nascosti della città. Il suo linguaggio è essenziale, operativo, indifferente a chiacchiere, convegni, manifestazioni, al vuoto istituzionale. La terra dei fuochi è figlia di un Dio minore. La sua sanificazione è una trasgressione. La giustificazione è nella sperimentazione per quello che sarà, ineluttabilmente, il mondo futuro. E’ il laboratorio nel quale sperimentare nuove forme di DNA. La terra dei fuochi è la storia di tutti… Gli antichi credevano nella nemesi storica come un atto di giustizia umana, ragionevole e prevedibile. Un boomerang dove il punto di partenza e di arrivo coincidono. Se dalla terra si sollevano “vapori, fumi e veleni che nutrono il cielo questi li restituisce con i raggi del sole perché tutto ciò che vola alto non ha barriere e i confini sono soltanto stupide illusioni senza certezze “. E’ vero questo è l’inferno di don Patriciello! Quì la Geenna “… dove il verme (la cattiveria) non muore e il fuoco non si estingue". Qui la primizia, quì un inferno snaturato e all’incontrario abitato da bambini senza colpa, da ventri impauriti, da condannati a una genetica avvelenata.

Corrado Caso


Antropos in the world

Αὐλός

Musica e canti nella Grecia antica

© by Franco Pastore - Antropos in the world Salerno 2017 ISBN GGKEY:ZWAHC78XB99

Periodo arcaico In questo periodo domina, nella Grecia Antica, una concezione della musica di tipo magicoincantatorio.Ricordiamo che,per gli antichi Greci, la magia era un estremo tentativo di controllare le forze naturali che si manifestavano con violenza, all'uomo primitivo. Fu in questo periodo che nacquero i primi racconti mitologici in riferimento al potere psichico della musica. La forte presenza della componente sonora nella Grecia arcai-ca viene testimoniata dal fatto che quasi tutti i miti greci posseggono una dimensione sonora: per esempio, i miti relativi al- ellenistico-romana un numero maggiore. Il bocla nascita degli strumenti,come quello della nin- chino veniva inserito nei tubi. fa Siringa, innamorata di Pan, la quale, per sfugL'aulos poteva avere un'ancia semplice o dopgire a quest'ultimo, venne trasformata in canna. pia che, in mancanza del bocchino, poteva essere Pan, per conservare questo legame con la ninfa, introdotta direttamente nel tubo. tagliò queste canne facendone il suddetto struPer suonare l'aulòs l'esecutore, αὐλητής (l’aumento musicale. lèta) indossava una fascia di cuoio, la φορβειά Il tipico strumento associato alla civiltà greca (phorbeià), che favoriva la tenuta d'aria. fu l'aulos, uno strumento a fiato ad ancia, sacro L'aulos, utilizzato nella rappresentazione delal culto di Diòniso, dio del vino, dell'ebbrezza e le tragedie e all'interno dei costumi e dei riti simdell'incantamento. Una striscia di cuoio girava posiaci, comastici e funerari della Grecia antiintorno al capo dell'esecutore, aiutandolo a ca e dell'Etruria, aveva la caratteristica di creare fermare, tra le labbra, le imboccature dell'aulos un forte impatto emotivo:secondo Aristotele non doppio, il diaulos, piùdiffuso dell'aulos sempli- deve essere usato in situazioni che hanno scopo ce. educativo ma purificatorio e, proprio per la caL’aulòs era formato da un tubo di canna, di pacità di suscitare forti emozioni, era spesso collegno, oppure d'osso o avorio, con imboccatura legato ai culti di Dioniso. Era utilizzato anche in a bulbo e relativa lancia. Spesso lo si vede raffi- guerra:sulle triremi, per ritmare la cadenza dei gurato nella forma a due tubi divergenti, in qual remi, era previsto un apposito addetto, il τριηcaso viene detto διαυλός diaulòs, cioè doppio ραυλής (triēraulḕs), che realizzava lo scopo seraulòs. Talora il termine greco aulòs viene erro- vendosi del suono incalzante del suo strumen-to. neamente tradotto in italiano con flauto, nome Pindaro narra che la dea, dopo aver creato lo generico degli aerofoni in cui il suono viene strumento, lo disprezzò e lo gettò via perché prodotto quando l'aria colpisce uno spigolo. In mentre suonava le si gonfiavano le guance, derealtà l'aulòs è uno strumento ad ancia doppia, e formando la sua bellezza. Lo strumento venne appartiene quindi alla famiglia dell'oboe. poi raccolto dal satiro Marsia, il quale lo utilizzò Si ritiene fosse suonato con la tecnica della per sfidare Apollo in una gara di abilità, che tutrespirazione circolare. Nell'epoca classica, sui tavia perse finendo scorticato. tubi venivano praticati sino a cinque fori; in età Continua -6-


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BOSCHI, LOTTI, CARRAI:ECCO IL “GIGLIO MAGICO” Definizione derivata dagli antichi rituali della magia cerimoniale, nel politichese odierno il “cerchio magico” sta ad indicare una cerchia di potere ristretta ed esclusiva, for-mata dai fedelissimi di un leader politico. Nel tempo, la locuzione è stata talora alterata, specie in riferimento alla provenienza geografica del “capo”. Così, durante il quinquen-nio bersaniano al vertice del PD, si parlò di “tortellino magico”. E adesso, con riferimento alla provenienza fiorentina di Mattacchione Renzi, si parla di “giglio magico”. Ma chi fa parte del “giglio magico”? La folla di ministri e sottosegretari toscani? La più ampia pletora dei figli di Leopolda? I vertici del sottogoverno e del sottobosco dei consi-gli d’amministrazione? O anche le truppe di rincalzo arruola-te nelle altre regioni? Personalmente, opto per una ipotesi minimalista. Se per “giglio magico” si intende la cerchia ri-stretta dei fidatissimi, questi non sono che tre: Luca Lotti, Maria Elena Boschi e Marco Carrai. Nomi molto noti, i primi due; meno noto – ma assai più importante – il terzo. Andiamo con ordine. Di Luca Lotti il grande pubblico ita-liano non si era praticamente accorto fino all’esplodere del-l’affare CONSIP, quello che – a torto o a ragione – ha visto coinvolto anche il padre del Vispo Tereso. Ma gli addetti ai lavori lo conoscevano bene. Così – ai tempi del suo esordio nel governo dei boy-scout – “Il Foglio” lo presentava ai lettori: «il braccio ambidestro di Renzi, l'unico autorizzato a parlare in nome del capo, l'unico che se-parla-è-come-se-parlasse-Lui.» Lotti, dunque, inizia la sua esperienza governativa come Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio nonché responsabile del Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica. Quando Renzi è costretto a lasciare Palazzo Chigi, la sua permanenza(o meno) al Sottosegretariato alla Presidenza del Consiglio viene assunta come prova della reale indipenden-za (o meno) di Gentiloni dai condizionamenti del suo pre-decessore. Lo ricordavo su “Social” del 16 dicembre 2016: «La composizione del nuovo governo ci dirà se Gentiloni sarà soltanto un paravento del Vispo Tereso o se avrà un profilo autonomo, più “mattarelliano”. La cartina di tornasole sarà la riconferma o meno di Luca Lotti nel ruolo di Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio. Lotti è l’alter ego di Renzi ed il suo vero Avatar, l’uomo che dovrebbe restare al suo posto per gestire la tornata primaverile delle nomine negli Enti pubblici, pilastro fondante del potere assoluto renziano. Se Lotti resterà al suo posto, sarà chiaro che Gentiloni si è rassegnato a fare l’Avatar numero due; se Lotti sarà costretto a sloggiare, allora vorrà dire che il nuovo esecutivo sarà più libero dalla fastidiosa invadenza della monarchia renziana.» Le cose andarono poi come tutti sanno: Renzi diede una mischiatina alle carte, Lotti venne promosso Ministro del-

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lo Sport, ma al suo posto fu nominata Maria Elena Boschi, la fatina dagli occhi turchini. Co-me a dire che, con qualche cambiamento di facciata, il Sottosegretariato-chiave re-sta-va sempre in mano a Renzi. La cerulea Boschi, infatti, è anch’essa un petalo del giglio, al pari del riccioluto predecessore. Col Mattacchione è in assoluta sintonia: al punto da essersi anche lei impegnata ad abbandonare la politica nel caso di vittoria dei NO al referendum; ed al punto da avere anche lei cambiato opinione in perfetto sincrono con le decisioni del capo.Di lei si è detto e scritto tanto, ragion per cui evito di dilungarmi. Potrebbe essere maggiormente utile – piuttosto – spen-dere qualche parola in più sul terzo elemento, il più im-portante, ancorché meno noto:Marco Carrai, detto Mar-chino, imprenditore di successo con amicizie importanti negli USA e in Israele. La più importante di tutte è quella con Mi-chael Ledeen, faccendiere americano lega-to ai circoli dell’estrema destra neocon, oltre che ad ambienti dei servizi israeliani (e, in passato, anche italiani); personaggio talmente ambiguo che, negli anni ’80, venne allontanato dall’Italia perché “persona non grata”. Ritornando a Carrai, è stato l’ombra di Renzi per tutta la sua carriera toscana e fino alle primarie: consigliere, consulente, capo della segreteria, fiduciario per la raccolta di fondi, eccetera. Poi, quando l’amico diventa Presidente del Consiglio, Marchino adotta improvvisamente un profilo basso: né Ministro, né Sottosegretario, né titolare di qualche ben remunerato posto di sottogoverno, ma ugualmente presente, ugualmente incombente,ugualmente deter-minante con i consigli elargiti a “mio fratello”. Mai più in prima fila, diserta il palcoscenico e sfugge ai riflettori, la sua esistenza è nota solo agli addetti ai lavori. Improvvisamente, però, il premier fa il suo nome per un incarico di non molto peso, almeno all’apparenza: quello di “consulente” per la sicurezza informatica del DIS, il coordinamento dei servizi segreti del nostro paese. Ecco che, a quel punto, da più parti e sembra anche dai servizi segreti americani, si sottolinea l’inopportunità di affidare quella innocente “consulenza” ad un elemento che risulta in stretti rapporti d’amicizia con quel Michael Ledeen, che – leggo sul “Fatto quotidiano” – sarebbe stato esplicitamente indicato dalla CIA come “spia di Israele”. Renzi resiste e insiste. Ma i veti su Carrai sono troppo forti, e alla fine il Vispo Tereso deve rassegnarsi. Fine della storia. O, almeno, di un capitolo della storia. Vedrete, il Giglio Magico ci riserverà altre sorprese. Michele RALLO


Antropos in the world DALLA REDAZIONE DI SAN VALENTINO TORIO, il giornalista Dott.Vincenzo Soriente

A PROPOSITO DI SESSO: AFORISMI

La scappatella sta alla tresca come un singolo biglietto d’ingresso sta a un abbonamento. (Roberto Gervaso) S’invecchia quando non si desiderano più le donne d’altri. (Roberto Gervaso) Ci sono errori che mi hanno insegnato solo a ripeterli meglio. . (Roberto Gervaso) La doccia sta al bagno in vasca come una sveltina sta a un amplesso a letto. (Anonimo) Ci sono donne che si amano per i loro vizi e per le virtù dei loro mariti . ( Roberto Gervaso) Perché abbiamo paura di morire non avendo avuto paura di nascere? (Roberto Gervaso) Tutte le volte che cerco di essere serioso, mi viene da ridere. (Roberto Gervaso) I giornali andrebbero letti solo da chi ha le idee chiare. (Roberto Gervaso) Non c’è niente di più inutile che dare del cretino al cretino: Non ci crederebbe. (Roberto Gervaso) Non ho niente contro le donne che ci stanno. (Roberto Gervaso) Non ci crederò ai miracoli finché non ne avrò personalmente compiuto uno. (Roberto Gervaso) Prima di aver detto sì a una donna, pensateci bene. Dopo averglielo detto,ripensateci. (Roberto Gervaso) Il potere non si conquista mai con le virtù morali. (Roberto Gervaso) Le donne sono curiose, gli uomini sono impazienti. (Roberto Gervaso) La donna sa quasi sempre quello che vuole, ma quasi mai ciò che vuole l’uomo. (Roberto Gervaso) I filosofi rispondono a domande di cui loro stessi ignorano le risposte. (Roberto Gervaso) Quando dici a una donna:”Devo trovare me stesso”, significa che ne hai già trovata un’altra. (Roberto Gervaso) L’adulterio è capriccio per chi lo commette, affronto per chi lo subisce. (Roberto Gervaso) Gli uomini d’affari sanno fare solo affari. (Roberto Gervaso) Nel matrimonio, la fedeltà è il più egoistico dei pregiudizi. (Roberto Gervaso) L’uomo tradisce spinto dal desiderio; la donna, dal sentimento: Ma sempre corna sono. (Roberto Gervaso) L’aforisma è una pillola di saggezza, da masticare, non da inghiottire. (Roberto Gervaso) Il sesso senza amore è un’esperienza vuota, ma tra le esperienze vuote è tra le migliori. (Woody Allen) Nella vita non importa con chi vai, ma con chi vieni . (Anonimo)

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Il sesso è una trappola della natura per evitare (Friedrich Nietzsche) l’estinzione. Il sesso non è tutto,ma senza il sesso tutto è niente. (Roberto Gervaso) Il sesso è come il sonno: non se ne può fare a meno, ma uno non passa tutta la vita a letto .(Evan Hunter) Ci può essere sesso senza amore, ma non amore (Alberto Moravia) senza sesso. Tra tutte le aberrazioni sessuali, forse la più bizzarra è la castità. (Rémy de Gourmont) Care donne che vi lamentate delle prestazioni sessuali dei vostri uomini, se l’hanno chiamato pene e non gioie, ci sarà un motiv (Nicola Brunialti, Twitter) Il sesso è peccato… farlo male. (Roberto “Freak” Antoni) L’amore è prosa, il sesso è poesia. (Arnaldo Jabor) Le donne hanno bisogno di una ragione per fare sesso. Gli uomini solo bisogno di un posto. (Billy Crystal) Le donne mature sono le migliori perché pensano sempre che per loro potrebbe essere l’ultima volta. (Ian Fleming) Il sesso: la posizione è ridicola, il piacere passeggero, la spesa eccessiva.( Lord Chesterfield) Due cose mi piacciono della vita. La seconda è (Roberto Benigni) viaggiare. Il sesso è sporco solo se è fatto ben e. (Woody Allen) Il sesso è la consolazione che si ha quando non si può avere l’amore. (Gabriel García Márquez) Ci sono solo due cose che un uomo e una donna possono fare in un giorno di pioggia. E a me non piace vedere la televisione. (Carol Burnett) Il piacere è un peccato, ma qualche volta il peccato è un piacere (Lord Byron). Le donne hanno quattro labbra:due per dire delle stupidaggini, due per farsi perdonare


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L’AUTORE DEL MESE:

MACHADO IN NAPOLETANO Dodici carmi del poeta in una contaminatio in napoletana - I parte

Copyright © by Franco Pastore - Febbraio 2015

Antropos

Una realizzazione A. I. T. W. - GGKEY:NFGYY205S21 E

Nelle Biblioteche universitarie di Napoli, padova, Roma – nella Bibl.Alessandrina, Modena, Pavia e nella bibl. prov. di Salerno

NOTTE ‘E MAGGIO

ME MÀNC ‘O SCIÀTE Cùmm’a ‘na vàmpa, m’appìccia e m’arravòglia st’addòre ‘e fémmene, stu desidèrie ‘e vàse, ca dinte trase, trase e i’ te tèng mmòcche e dinte ‘o nase. Me manch ‘o sciàte e so tutte nfùse, fémmena mia ... ammòre mie azzeccùse. ________________ Non respiro più - Non respiro più, nella tiepida aria/ d'estate, / i profumi del tuo corpo e dei tuoi capelli; / ma come una vampa segreta al fondo di un bruciore / il desiderio delle tue labbra è restato fra le mie labbra! No se puede respirar, el aire caliente / verano / el olor de su cuerpo y el cabello; / Pero como un secreto de la llama en el interior de un ardor / el deseo de tus labios se mantuvo entre mis labios! (A. Machado)

‘NU IUÓRNE Pare ‘na via longa ca corre... corre e nu’ fernèsce mai. Fai chelle ca può, te spare ‘e pose, ma ‘o turmiénte è ‘na sola cosa: ‘o tiémpe passe e alla fine, ... pe’ sempe, t’arrepuòse.

Murmurave l’acqua ‘ndo’ ciardìne, nu murmurìe ca sembràve chiànte, nisciùne passave mmiéz’à via, sott’a nu ciéle ca parèva mànte. Mièzze respìre e ‘nu sciùsce ’e viénte purtàie dint’all’aria ‘nu lamiénte: era ‘nu sfoch’e còre, dint’a notte, ‘e nu viulìno ca cantava ammòre e giuvunézza, ca fernésce ‘e bòtte, e ‘na voce accumpagnava cu’ dulòre. Poi, ‘e ddòie voce se spegnère ‘nsiéme e ‘o silenzio riturnaie ancòra, cu na’ tristezza, ‘na malinconia... a fonte chiacchierava cull’aurora; nisciùne passave mmiéz’à via. _______________

Notte di maggio - Era una notte del mese /di maggio, azzurra e serena./ Sull'azzurro cipresso / il plenilunio brillava, / illuminando la fonte / dove l'acqua zampillava / or si' or no singhiozzando./ Solo la fonte udiva. / Poi d'occulto usignolo / si senti' il motivo. / Ruppe raffica di vento la curva dello zampillo. E una dolce melodia vagò' per tutto il giardino:/ un musicante tra i mirti/ il suo violino suonava./ Era un lamento accordato / di giovinezza e amore / volto alla luna e al vento, / l’acqua e l’usignolo./ «Il giardino ha una fonte / e la fonte una chimera…» / Cantava voce dolente, / anima di primavera. / Tacque la voce, il violino / frenò la sua melodia. / Restò la malinconia / va-gante per il giardino. S’udiva solo la fonte.

‘A STAGGIÓNE ‘A nacerte, ncòpp’o mure assìcche, carde do sole bruciàte, cénnere, vrìte affummàte ... canta ‘nu grillo annaccuvàte e l’arboreta, ‘nsilenzio, ______________ ‘o sta a sentì, annammuràte. In margine al sentiero - In margine al sentiero un Brìllen’‘e lucciole cumm’a perle ‘e brina. giorno ci sediamo./ Tempo è la nostra vita, e nostro ‘A cicàle arròte ‘ndo’ ciardìne, unico affanno / le pose disperate in cui per aspettare / ‘e mmièze ‘o vverde, ci atteggiamo... / Ma Lei non man-cherà al convegno. sta ‘na vipera assassina. _____________

Al borde del sendero - Al borde del sendero un dìa nos sentamos./ Ya nuestra vida sola cuita son las desesperantes postura/ que tomaio para aguardar .../ Mas ella no faltarà a la cita. (A. Machado)

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Paesaggio estivo - Lucertola sul muro. Fonte disseccata. / Car-do bruciato, cenere, /vetro affumicato, / rosolaccio sullo stelo lanoso. / Fugge una stella.... / Il grillo nascosto canta. / E l'arboreta mormora / una frase, una sola: / Poi ritorna a restarsi in silenzio. / Lucciola o brina? / Arrota la cicala / silenzio.... / Tra i fusti del giardino, percepiamo verde anche la vipera.


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LA DONNA NELLA STORIA

MARIE CURIE: LA PRIMA DONNA PREMIO NOBEL condo radio, per via della sua enorme radioattività, cioè la proprietà di emettere radiazioni. Inizialmente tali scoperte vennero ignorate ma nel 1903 arrivò il riconoscimento da parte dell'Accademia di Svezia che insignì i due coniugi e Becquerel del Premio Nobel per la Fisica.

Una mente brillante che è stata riconosciuta con ben due premi Nobel nel corso della sua carriera: è Maria Skłodowska Curie, più nota al mondo semplicemente come Marie Curie. La passione per lo studio e la grande determinazione l’hanno portata ad essere una delle scienziate più importanti del secolo scorso.

Nata a Varsavia il 7 novembre 1867 in una famiglia di insegnanti poi caduta in povertà, sin da adolescente Marie Curie lavorò come istitutrice per portare i soldi a casa e aiutare la famiglia. La sua passione per lo studio era grandissima ma in Polonia a quel tempo le donne non potevano accedere agli studi superiori. Per questo, con l'aiuto economico della sorella maggiore, si trasferì a Parigi laureandosi in Fisica nel 1893 con risultati eccezionali, al punto da ottenere un premio dalla sua stessa Polonia che le consentì di laurearsi anche in Matematica nel 1894.In quel periodo Marie si innamorò di Pierre Curie, un professore della scuola di Fisica e Chimica Industriale di Parigi che nel luglio del 1895 divenne suo marito. Il grande interesse di entrambi per la scienza li portò a rinchiudersi in laboratorio per approfondire le ricerche dello scienziato Becquerel che nel 1896 aveva scoperto accidentalmente le proprietà radioattive dell’uranio. I mezzi a disposizione che avevano lei e il marito erano davvero rudimentali ed il loro laboratorio era praticamente un garage: ma l'impegno e la passione li portarono in un anno ad enunciare che esistono in natura altri elementi radioattivi oltre all'uranio.Uno venne battezzato polonio, in onore della patria lontana di Marie, il se-

La vita ritirata di Marie e Pierre, lontana dai riflettori, venne in parte sconvolta da questo evento: tra gli effetti positivi ci fu l'offerta di una cattedra alla Sorbona, l'università di Parigi, creata apposta per Pierre, e un posto di direttore di ricerca per Marie che nel 1897 e nel 1904 diede alla luce le figlie Irene ed Eve. Una vita famigliare tranquilla ed un sodalizio professionale speciale che venne spezzato nell'aprile del 1906, quando Pierre Curie morì investito da una carrozza. Un mese dopo la Facoltà di Scienze della Sorbona decise di affidare a Marie Curie il corso di Fisica appartenuto al defunto marito, divenendo così la prima donna ad insegnare nella famosa università francese. Il dolore per la perdita di marito non arrestò comunque la ricerca scientifica di Marie Curie che nel 1910 riuscì ad isolare il radio sotto forma di metallo per renderlo più facilmente lavorabile: per questo nel 1911 le venne riconosciuto il Nobel per la Chimica.Negli ultimi anni della sua vita, fu colpita da una grave forma di anemia aplastica, sicuramente contratta a causa della continua esposizione a materiali radioattivi dei quali al tempo non si conosceva ancora la pericolosità. Il 4 luglio 1934 Marie Curie morì e il suo corpo venne sepolto accanto a quello del marito, in un cimitero nei pressi di Parigi.

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IL MINORE MALTRATTATO: IL RUOLO DELL’ASSISTENTE SOCIALE di Angela D’Ambrosi

(II parte)

A.I.T.W. Ed. – Salerno - ISBN. GGKEY:GBFUXL6A6GA –Diffusion on line over Google play

Le prime segnalazioni della letteratura medico – legale e pediatrica risalgono a Tardieu, che nel 1852 a Parigi descrisse il caso di due bambine morte per le sevizie di un’istitutrice. Altre segnalazioni le troviamo nel 1929 da parte di Parisot e Cassaude, fino al 1946 quando un radiologo pediatra ameri-cano, Caffey, riscontrò in vari bambini la presenza di ematomi subdurali associati di frequente a fratture multiple delle ossa lunghe dovute a cause non acci-dentali. Queste osservazioni furono poi confermate dalle esperienze di Silverman (1953) e successivamente da quelle di Kempe (1962) che, con la definizione di “Battered Child Syndrome” (in italiano“Sindrome del Bambino Picchiato”), descrissero una precisa entità nosologica rela-tiva alle diverse forme di maltrattamento fisico. Fu proprio questa restrizione al solo maltrattamento fisico a far ripudiare dallo stesso Kem- guate, tipica della trascuratezza. Tali situazioni, pe la sua prima proposta,sostituendola con quel- inoltre, possono, associarsi in diverso modo tra la più completa di “Child Abuse and Neglect” ( loro, determinando mani-festazioni differenti. Tuttavia, la caratteristica che accomuna i di“Abusi ed Incuria verso l’Infanzia”). Da questo momento in poi molte saranno le versi tipi di maltrattamento sono le gravi consedefi-nizioni proposte e le precisazioni fatte in guenze fisiche e psicologiche, che compromettobase alle diverse impostazioni, ma il termine, no direttamente la sicurezza del bambino, il suo che sul piano internazionale viene maggiormen- equilibrio emotivo, il suo sviluppo psicorelazionale, la stima che ha di sé. Gli effetti nefasti si te riconosciuto e usato, è “Child Abuse”. La violenza sui bambini, ed in particolare prolungano anche quando il maltrattato è divenl’abuso all’interno della famiglia, costituisce un tato adulto poiché potrà avere difficoltà a relaziofenomeno di notevole complessità, probabil- narsi con gli altri oppure a svolgere un ruolo gemente a causa dell’al-to coinvolgimento emo- nitoriale. Intervenire e bloccare forme di abuso o di tivo. maltrattamento è di importanza essenziale sia per Negli ultimi anni, le segnalazioni e le denunla sopravvivenza fisica del bambino, sia per il ce sono aumentate; inoltre, da parte delle istituzioni, si assiste a un maggior investimento nel suo successivo sviluppo, poiché la situazione non potenziare gli interventi volti alla protezione dei si modifica da sola ed un bambino maltrattato ha minori ed alla cura dei comportamenti patolo- bisogno di un trattamento terapeutico esterno per poter intraprendere un processo di “cura”. gici degli adulti/genitori. (Continua) Il maltrattamento nell’infanzia si presenta in _______________ modi diversi, sia perché può essere riconduci- Figlia dell’Agro nocerino-sarnese, Angela D’Ambrosi ha dedicato la bile ad azioni ben definite, come la violenza fi- sua vita allo studio delle “anomalie” sociali, approfondendo sull’inmaltrattata. Assistente sociale, in servizio preso l’ASL di Sasica, emozionale o l’abuso sessuale, sia perché fanzia lerno, si è laureata in Programmazione, Amministrazione e gestione si può manifestare come conseguenza di “man- delle Politiche e dei Servizi sociali, all’Ateneo napoletano S. Orsola canze” come, ad esempio, l’assenza di cure ade-- 11 Benincasa. -


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DUE APPUNTAMENTI AL MIRO’ DA NON PERDERE ! •

14 giugno 2017

SERATA ITALO-SPAGNOLA: Paella Porchetta Sangria gustate al ritmo di musica etnica, ovvero, porchetta al tango, in un fantastico clima di “follia gastro-musicale”.

Ti aspetto alle 21,30 al MIRO’ Prenota il tavolo, se vuoi poter dire: - C’ero anch’io!Una cena fantastica a suon di musica, al modico prezzo di 12 euro.

2 luglio 2017

SPORT- MODA -SPETTACOLO: Sfilata Miss Granata Miss Granata Teenager Miss Garanata Baby Una serata all’insegna della bellezza.

Ti aspetto alle 20,30 al MIRO’: ingresso, spettacolo, panino e bibita, al modica prezzo di 5 euro.

CAFE’ MIRO’ – VIA POSIDONIA,153 – TELEFONO: 0892963 813 WWW.CAFEMIROSALERNO.IT - 12 -


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PRESIDENZIALI FRANCESI:BATTUTA OPINIONI ERETICHEE

D’ARRESTO PER TUTTI I POPULISMI

Non ci avrei mai creduto: i francesi, gli stessi francesi che nel 2005 avevano clamorosamente spernacchiato l’Unione Europea bocciando al referendum la sua Costituzione, nel 2017 hanno – altrettanto clamorosamente – affidato le chiavi dell’Eliseo al più europeista dei concorrenti, al più globalista, al più mondialista, al più immigrazionista, al più arcigno assertore delle ricette reazionarie dell’alta finanza: Emmanuel Macron, il ragazzino (con vegliarda al sèguito) che si è formato alla scuola della Banca Rotschild; il Ministro le cui riforme sono state talmente impopolari da costringere il Governo a vararle con una speciale procedura, senza passare per un voto del Parlamento. Un Monti parigino, come il nostro vocàto alle misure più draconiane, come il nostro obbediente alle parole d’ordine che giungono da Berlino e da Francoforte. Eppure, nonostante tutto ciò, gli elettori d’oltralpe hanno scelto lui e non l’accattivante Marine Le Pen, la nuova “Marianne” che così bene sembrava interpretare l’anima del popolo francese. I “cugini” di Parigi se ne pentiranno per quanti capelli hanno in testa, e Macron terminerà il suo mandato – se non sarà cacciato prima – con una impopolarità addirittura maggiore di quella del suo sfigatissimo predecessore. Ma il punto non è questo. Il punto è che la marcia delle forze sovraniste-populiste – che sembrava inarrestabile – si è fermata; che quelle forze, almeno per i prossimi anni, giocheranno soltanto il ruolo di principale opposizione ai “partiti unici” dell’Unione Europea; e che l’UE avrà ancòra davanti a sé un cospicuo lasso di tempo per distruggere l’identità e per annientare gli interessi dei popoli europei. Dal guazzabuglio del mondialismo immigrazionista e del globalismo finanziario si sono tirati fuori soltanto i popoli anglosassoni. Austriaci, olandesi, francesi – e speriamo che ci si fermi lì – sono stati ad un passo dal liberarsi, ma si sono fermati all’ultimo momento. Come mai? Semplice, a mio modo di vedere: perché hanno avuto paura di quello che la macchina propagandista dei poteri forti ha dipinto come un salto nel buio. Nessuno – naturalmente – ha avuto il coraggio di difendere l’assetto attuale, ma giornali, televisioni, opinionisti stipendiati e pensatori senza idee sono stati convincenti nel martellare il leit-motiv secondo cui fuori dall’Unione Europea le cose sarebbero andate ancora peggio. E la maggioranza dei francesi – come ieri degli austriaci e degli olandesi –

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ci ha creduto. Colpa dei nemici, brutti e cattivi? No: colpa dei partiti populisti, bravissimi nell’illustrare le cose che non vanno (e in primo luogo una immigrazione oramai fuori controllo), ma del tutto carenti nella elaborazione di un compiuto progetto alternativo ai nefasti equilibri odierni. Quando Marine Le Pen – per non restare nel vago – dice che vuole chiudere le porte all’immigrazione, ha chiaramente il consenso della maggioranza del popolo francese. Idem quando dice di voler fermare il massacro sociale. Ma non quando dice di voler uscire dall’UE e dalla NATO: e non perché i francesi siano contrari, ma perché la bella Marine non convince su una valida alternativa agli attuali assetti europei e ai meccanismi di difesa comune. Quando parla di sovranità monetaria ha il consenso di buona parte dell’elettorato, che però perde quando non spiega come la sovranità monetaria si ottenga con la nazionalizzazione del sistema bancario, e come tale sovranità possa essere difesa – con successo – dalle contromisure della finanza speculativa. E così via di sèguito. Non voglio essere ipercritico verso i partiti sovranisti-populisti. In molti casi, basterebbe adottare le loro ricette-base (chiudere le frontiere, tornare alle monete nazionali, rifiutare le regole dei mercati) per ottenere concreti e consistenti vantaggi per i rispettivi paesi. Ma spesso questa essenzialità di programmi presta il fianco alla propaganda degli avversari: i populisti non hanno le idee chiare, parlano alla pancia della gente, non si rendono conto che alcuni fenomeni sono ineluttabili, che l’immigrazione non può essere fermata, che ci si deve rassegnare ai licenziamenti, alle pensioni da fame, ai cumuli di immondizia e ai malati nelle corsie degli ospedali. È, questo, l’ultimo e, per il momento, vincente strumento di chi vuole strangolare i nostri popoli, di chi vuole succhiare il sangue delle nostre nazioni. I partiti populisti e sovranisti devono rendersene conto e devono attrezzarsi per contrastarlo.Un robusto supplemento di studio e di analisi non farà certo male al Front National francese, al FPO austriaco, al PVV olandese, all’AFD tedesca, o anche all’alleanza Lega-Fratelli d’Italia. Altrimenti, ci si dovrà rassegnare al ruolo di eterni secondi, lasciando al primo Macron di turno (o al primo Renzi, o al primo Tsipras) la possibilità di prendere per mano i nostri Stati Nazionali e di condurli al patibolo della “società aperta”. M.Rallo


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NINO MARTOGLIO Figlio di un giornalista ex garibaldino, nasce a Catania in via III retta levante nel quartiere "Cristo Re" (detto anticamente Purgatorio). Abbandona ben presto le sue ambizioni di diventare capitano di marina fondando nel 1889 a soli 19 anni un settimanale umoristico e satirico scritto anche in lingua siciliana, il D'Artagnan, dove pubblicò tutte le sue poesie, raccolte in seguito per gran parte nella raccolta Centona, che vennero apprezzate dal Carducci soprattutto per il verismo descrittivo delle bellezze del caratteristico paesaggio dell'isola. Si dedicò con sempre maggiore attenzione al teatro: nel 1901, creò la Compagnia Drammatica Siciliana, del quale fanno già parte attori come Giovanni Grasso, Virginia Balistrieri, Giacinta Pezzana e Totò Majorana, con l'intento di rendere famoso, a livello nazionale, il teatro dialettale siciliano e, nell'aprile 1903, giunsero ad esibirsi con successo a Milano. Dalla stagione 1907-1908 diventa direttore della formazione capitanata da Angelo Musco, con il quale instaura una proficua collaborazione artistica, sia lanciando autori nuovi, sia con molte commedie da lui scritte, tra le quali le più famose sono San Giovanni decollato (1908) e L'aria del continente (1910). Nel 1910, fondò a Roma la struttura stabile del primo "Teatro Minimo" presso il Teatro Metastasio, curando la regia di numerosi atti unici del repertorio italiano e straniero, e soprattutto incoraggiando e portando sulla scena le prime opere teatrali di Luigi Pirandello già famoso come novelliere e scrittore (Lumie di Sicilia e La morsa, entrambe del 1913). Insieme a Luigi Pirandello scrisse A Vilanza (La bilancia), e Cappidazzu paga tuttu. Diresse numerose messinscene teatrali; nel dicembre 1918 fondò l'ultima sua compagine teatrale, la Compagnia del Teatro Mediterraneo. Dal 1913 -14, si dedicò anche al cinema. Dapprima collaborò come soggettista con la "Cines", per la quale diresse anche Il romanzo, nel quale recitarono il futuro prolifico regista Carmine Gallone e sua moglie Soava. In seguito diventò direttore artistico della neonata "Morgana Film" di Roma, per la quale diresse i tre soli film prodotti da questa società: nel 1914 capitan Blanco i cui esterni vennero girati in Tripolitania appena conquistata dall'Italia, poi Sperduti nel buio, dall'omonimo dramma di Roberto Bracco, che una parte della critica e degli storici del cinema considerarono - non senza dissensi da parte di altri – come un lontano antesignano nella corrente neorealista. Nel 1915 uscì Teresa Raquin tratto dal dramma omonimo di Émile Zola. Poi l'avventura della - 14 -

seconda parte

"Morgana Film" si chiuse a causa della guerra. Attualmente tutte queste pellicole sono perdute. Tutta la sua opera è caratterizzata,oltre che dal verismo e dall a bellezza dei paesaggi,anche da una forte contrapposizione tra ricchezza e povertà: fu il cantore dei lussuosi palazzi aristocratici e dei tuguri, dei caffè di lusso di fine Ottocento e dei vicoli affollati. La sua fama si mantenne pressoch intatta fino alla fine degli anni trenta, con molte sue commedie trasposte anche sul grande schermo, nel frattempo diventato sonoro. Scomparve tragicamente, a 51 anni, precipitando nella tromba dell'ascensore dell'Ospedale Vittorio Emanuele di Catania, dove era andato a visitare il figlio malato. Le circostanze dell'accaduto rimasero poco chiare, in quanto l'area dell'ospedale in cui venne ritrovato il cadavere era ancora in costruzione. Il fratello minore Giulio Martoglio (Catania, 1882 - 27 novembre 1915) era già morto, a soli 33 anni combattendo sul Carso durante la prima guerra mondiale. «Nino Martoglio fu un vittorioso.Vinse tutti gli osta-coli, tutte le diffidenze, tutte le gelosie. Il teatro sici-liano difatti, vive: ha ormai un larghissimo repertorio e una fin troppo numerosa schiera di attori. E finchè vivrà, vivranno per la delizia dei pubblici d'Italia, Mastru Austinu Misciasciu del "S. Giovanni Decollato" e Don Cola Duscio del "L'aria del Continente" e 'U riffanti e i due ciechi di "Scuru" e il Capitan Turrisi di "Sua Eccellenza" e il povero Marchisi di Ruvolito e Taddarita e Nica e Capitan Seniu, tutte le creature del suo teatro, in cui quei magnifici attori si sentono vivi. Lui solo, povero Nino, non potrà più soffrirne o goderne. E che abbia lasciato sul meglio e innanzi tempo il suo lavoro, sul meglio e innanzi tempo i suoi adorati piccoli figliuoli, l'adorata Compagna, i fratelli, gli amici, così, per uno sciagurato incidente, aprendo per isbaglio una porta che dava in un baratro, è cosa di tale e tanta crudeltà, che vera-mente fa disperare e inorridire». Roma, 18 Settembre 1921. LUIGI PIRANDELLO


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INES CRISTINA Nicodemo

Madre sen sibile e moglie premurosa, Ines ha perfettamen te equilibrato ruoli ed im pegni, ha ottemperato, in fatti, in modo egregio, alla sua professione di docen te, pro ducendo, tra l’altro, due interessanti pubblicazioni:

- L'inserimento scolastico dei diversamente abili, Viver Libri Edizione, - la correzione degli errori" Viver Libri Edizioni.

Nata il 13 giugno del 1981, Ines Cristina Nicodemo è docente di sostegno nella scuola primaria. Dopo il Diploma magistrale, conseguito presso l'istituto "Galizia" di Nocera Inferiore, nel 2003 inizia il corso di laurea in scienze della formazione primaria presso l' Università di Salerno , che conclude nel 2009. Di poi, per arrecare una ulteriore esperienza alla sua professione, si perfeziona in "progettazione e metodologie didattiche nella scuola delle competenze", in insegnamento/ apprendimento intenzionale “ e “nella lavagna interattiva”. Successivamente, per dare radici più profonde al suo sapere, si formava in " Disturbi specifici dell'apprendimento ", " Dislessia-Disgrafia-Autismo", ed in “didattica per l'insegnamento – apprendimebto efficace in studenti con DSA”. Cresciuta in una famiglia dove la cultura è di casa, Ines ha avuto la fortuna di essere stata guidata da papà Renato, Direttore didattico per quarant’anni, mariologo d’eccezione ed uno dei probi viri della SNALS. Saggista, pedagogo e giornalista,ha scritto per anni su questa nostra ri vist a.

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Ecco una si gnificativa i mmagine della sua Fami glia, in un momento di festa e di celebrazione dell’ar monia e dell’amore. Franco Pastore

Ἂκουστε τις λέξεις που προσέρχονται ἀπὸ τὴν καρδία. ( Luciano di Samosatra) Leggi in fondo al tuo cuore! Lett.: Ascolta le parore che vengono dal cuore


Antropos in the worldc

PROVERBI E MODI DI DIRE - OVVERO ELEMENTI DI PAREMIOLOGIA 1. Chi troppo pecora se fa, o lupe s’a magna. 2. Bere ll’acqua ‘a matìna è mezza merecina. 3. Nun c’è cane senza uòsso

Implicanze semantiche:

4. Quanne ‘a fémmena ‘o cule l’abbàlla, si puttàna

nunn’è diàvele falle. Esplicatio: L’eccessiva bontà viene scambiata per ingenuità e fessaggine. Bere l’acqua al mattino fa bene al corpo, più di una medicina. Il cane cerca sempre un osso da rosicchiare. Le donne che giocano molto con il fondo schiena, o sono viziose, o sono pericolose.

Uòsso: dal lat. volg. Ossu-m Merecìna: popolare,da medicina femmena: dal lat. foemina Sirica Dora Abbàlla: dal tardo latino ad+ballare Puttana: dal latino puteo, puzzare; da cui il fracese antico putain ed il termine di cui sopra. ______

Antropologia: Il seme dei proverbi è chiaramente

espresso in latino:

Riflessio: Sono proverbi antichissimi, che ritrovia- - Haud facile astutus fallit astutum - Non è mo anche nel mondo greco e latino. facile che il furbo inganni il furbo Fraseologia: Fémmine e cràpe tènene ‘a stessa cà pe

Progetto Famiglia Network Filiale Angri CENTRO SERVIZI ANGRI via badia n.6 - Per Privati - Assistenza socio sanitaria alla persona H 24. Ass.nza anziani.. Fax 081/946895 - Cel. 335/8065955 - Cel. 334/7317790 - angri@progettofamiglianetwork.it

Finalmente anche nell’Agro Nocerino- Sarnese si ha la possibilità di accedere ad assistenze specializzate, per gli anziani, per i disabili, per tutti i tipi di malattie e per tutte le problematiche: specialisti nelle cure mediche e nel sostegno degli ammalati, son pronti a raggiungere ogni luogo ed ogni abitazione per portare, a chi ne ha bisogno, i benefici della loro competenza. Un grazie a coloro che si sono adoperati nella realizzazione del progetto. Da settembre, l’iniziativa sarà seguita molto dalla direzione di ANTROPOS IN THE WORLD che darà tutte le informazioni che i lettori della rivista vorranno ottenere.

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LA PAGINA MEDICA: a cura di Andropos

ALIMENTI DELL’ESTATE

L’estate ci dona tra gli alimenti più buoni e sani dell’anno. Pensate, per esempio, ai frutti di bosco così ricchi di antiossidanti e naturalmente dolci che è sempre un piacere assaporarli; o il fagiolo, il re dei legumi che proprio durante la bella stagione si può gustare fresco in tante ricette, magari accanto ai cereali integrali in un perfetto piatto unico. E come dimenticare il pomodoro, il melone o le carote? 1. FRUTTI DI BOSCO Mirtilli, ribes, more e lamponi sono sinonimo di antiinvecchiamento. Per la loro elevata concentrazione di polifenoli, sono degli eccellenti alimenti antiossidanti che contribuiscono a difenderci dai radicali liberi. 2. POMODORO Che buono il pomodoro cotto, peccato per quella buccia! Per toglierla facilmente basta incidere a croce il pomodoro crudo sul fondo, immergerlo in acqua bollente per 30-60 secondi per poi porlo in acqua ghiacciata per un minuto e il gioco è fatto. 3. ZUCCHINA Chi ha deciso di intraprendere una dieta dimagrante, non può fare a meno della zucchina. Ipocalorica e ricca di acqua, è anche molto digeribile. Piccola curiosità: se si lasciasse crescere diventerebbe una zucca a tutti gli effetti. 4. CAROTA La riconosciamo subito per il suo bel colore arancione eppure non è sempre stato così. In origine, infatti, la carota era viola. Sono stati gli olandesi, nel XVI-XVII secolo, in onore della casata reale degli Orange a creare quella che ormai è diventata la classica carota arancione. 5. FAGIOLO Il fagiolo va a braccetto con la pasta perché le sue proteine dal valore biologico inferiore a quelle animali necessitano dei cereali integrali per un apporto più completo di aminoacidi. Ha il noto difetto di creare gonfiore ma si può rimediare cucinando i fagioli con una patata o con l’alga kombu o passandoli in modo che la buccia si disintegri. 6. FAGIOLINO Sarà anche il baccello immaturo del fagiolo, ma il fagiolino dimostra delle proprietà “da grande” ortaggio. È perfetto nelle diete dimagranti perché contiene poche calorie e molta acqua. Per queste caratteristiche è considerato più affine alle verdure che ai suoi parenti legumi. 7. PEPERONE Uno dei bei regali che Colombo ci portò dalle Americhe è proprio il peperone. Questo ortaggio è tra gli ali-

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menti più ricchi di vitamina C, ancor più degli agrumi. Per molte persone può risultare indigesto, ma si può ovviare a questo problema eliminando semi e buccia che può essere riciclata ed essiccata per utilizzarla a mo’ di spezia. 8. MELONE È il migliore compagno di viaggio per le sue proprietà rinfrescanti e allevianti in caso di scottature solari. Basta frullare la polpa e filtrarla attraverso un colino per ottenerne il succo da applicare con dei batuffoli di cotone sulla pelle scottata. 9. MELANZANA Questa eccellente rappresentante del “mangiare italiano”, in tutte le sue varietà, contiene poche calorie, tante fibre e molto potassio. Mai consumare però le melanzane crude perché contengono una sostanza tossica che viene debellata solo con la cottura. Per conservarle più a lungo, non togliete il picciolo! Per concludere, attenti alla milza! La digestione secondo la medicina cinese è un processo per il quale c’è bisogno di energia e di calore, del cosiddetto “fuoco digestivo”. Più un alimento è freddo e più la Milza, il sistema funzionale principalmente incaricato della digestione, dovrà fornire calore ed energia per poterlo trasformare. Alimenti freschi, freddi, crudi,umidificanti e pesanti costano alla povera Milza una grande fatica. Se quindi assecondiamo troppo il nostro bisogno estivo di questo tipo di alimenti, la nostra digestione può andare incontro a gravi problemi: accuseremo gonfiori, stanchezza (in particolare dopo pranzo), avremo le feci molli o la diarrea. In seguito a questa digestione “fredda”,nel nostro corpo si potrà creare “Umidità”, ossia sostanze che la Milza indebolita non riesce né a trasformare e quindi a usare per mantenere i tessuti, né ad espellere per liberarsene. Questa Umidità secondo la Medicina Cinese sta alla base di una lunga serie di disturbi e malattie ed è la causa principale dell’obesità. Per aiutare la digestione bisogna quindi trovare un equilibrio tra l’esigenza di rinfrescarsi e di nutrire i liquidi e la necessità di non sovraccaricare la Milza con alimenti troppo difficili da trasformare. Questo vale in particolar modo per le persone che già hanno segni di un vuoto della Milza (elencati sopra) o di freddo. Combinare ingredienti crudi ed ingredienti bolliti, condire gli alimenti freschi con qualcosa di tiepido o caldo o semplicemente sbollentare velocemente gli alimenti troppo rinfrescanti sono alcune delle possibilità che abbiamo.


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I GRANDI PENSATORI: a cura di Andropos

Hans Küng

Dopo gli studi liceali compiuti a Lucerna, viene ammesso al Pontificium Collegium Germanicum et Hungaricum di Roma e studia filosofia e teologia presso la Pontificia Università Gregoriana. Viene ordinato sacerdote a Roma nel 1954 e celebra la sua prima messa nella basilica di San Pietro, davanti a un gruppo di Guardie Svizzere. Prosegue gli studi a Parigi, dove consegue il Dottorato in teologia presso l'Institut Catholique difendendo una tesi sulla dottrina della giustificazione del teologo riformato Karl Barth. A soli 32 anni, nel 1960, viene nominato professore ordinario presso la Facoltà di Teologia cattolica all'Università di Tubinga in Germania, dove fonderà anche l'Istituto per la ricerca ecumenica. Tra il 1962 e il 1965 partecipa al Concilio Vaticano II in qualità di esperto, nominato da papa Giovanni XXIII; in questa occasione conosce personalmente anche Joseph Ratzinger, che prende parte al Concilio come teologo consigliere dell'arcivescovo di Colonia. Tornato a Tu-binga, invita l'università ad assumere Ratzinger come professore di teologia dogmatica; la cooperazione tra i due termina nel 1969, a seguito delle manifestazioni studentesche che colpirono profondamente Ratzinger, spingendolo a spostarsi nella più tranquilla facoltà di Ratisbona[1]. La prima fase della teologia di Küng è rivolta allo studio della Chiesa e dell'ecumenismo intracristiano, con opere quali La Chiesa, e Veracità. Per il futuro della chiesa. Nel 1970 pubblica il libro Infallibile? Una domanda nel quale si dichiara che non è ammissibile il dogma sulla infallibilità papale. Nel 1975 viene richiamato dalla Congregazione per la dottrina della fede. In seguito all'inasprirsi dei toni della contestazione, la Congregazione per la dottrina della fede il 18 dicembre 1979 gli revoca la missio canonica (l'autorizzazione all'insegnamento della teologia cattolica). Küng continua comunque ad essere sacerdote cattolico, e conserva comunque la cattedra presso il suo Istituto (che viene però separato dalla facoltà cattolica). Sul processo è importante segnalare la pubblicazione di Leonard Swidler, Küng in conflict. È la prima condanna della Congregazione per la dottrina della fede del pontificato di Giovanni Paolo II, una condanna di alto valore simbolico perché rivolta ad uno dei più autorevoli personaggi del Concilio Vaticano II. In seguito alla revoca della missio canonica, Küng ha sempre aspramente criticato l'operato della Congregazione per la dottrina della fede durante il pontificato di Giovanni Paolo II, affermando che è stata il braccio di una re-pressione ed epurazioni di tutte le voci critiche all'in-terno della Chiesa cattolica (Leonardo Boff, Jacques Dupuis, solo per citarne alcune).

Ha paragonato la Congregazione per la dottrina della fede ai tribunali con cui in epoca staliniana si eliminavano i dissidenti.[2] Non per questo ha smesso, inoltre, di animare ed influenzare in misura considerevole la diatriba teologica, in particolare dando un contributo alla teologia delle religioni. Dal 1996 è Professore emerito, avendo lasciato l'insegnamento per raggiunti limiti di età. Rimane fra i principali critici dell'autorità papale (che ritiene un'invenzione umana) e del culto mariano; continua la sua battaglia affinché la Chiesa cattolica, sulla base del Concilio Vaticano II, si apra all'ammissione delle donne a ogni ministero, favorisca la partecipazione dei laici alla vita religiosa, incentivi il dialogo ecumenico e interreligioso e si apra al mondo,abbandonando l'esclusivismo teologico e l'eurocentrismo. In materia bioetica sostiene che secondo la dottrina ufficiale, nei casi di utilizzo di "mezzi straordinari" per il mantenimento della vita, la loro sospensione non si configuri come eutanasia[3].Nel 1993 ha creato la Fondazione Weltethos (Etica mondiale), impegnata a sviluppare e rinforzare la cooperazione tra le religioni mediante il riconoscimento dei valori comuni e a disegnare un codice di regole di comportamento universalmente condivise. Weltethos ha preparato il Documento Per un'etica mondiale: una dichiarazione iniziale che è stato sottoscritto nel 1993 a Chicago dal Council for a Parliament of the World's Religions (Consiglio per un Parlamento delle Religioni del Mondo).Nel 2000, ha criticato aspramente la dichiarazione Dominus Iesus sull'unicità salvifica di Gesù Cristo e della Chiesa, definendola un misto di "megalomania e arretratezza vaticana". [4]Nel 2008 ottenne a Berlino la Medaglia Otto Hahn per la Pace della "Società Tedesca per le Nazioni Unite". Il suo laudatore era Alfred Grosser, Parigi.Sabato 28 gennaio 2012 è stato insignito del Premio Nonino 2012 (Rizzoli) (38ª edizione), presso le Distillerie Nonino a Ronchi di Percoto.[5] (Continua) _________________ 1. 2. 3. 4. 5.

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^ da un'intervista al teologo Wolfgang Beinert ^ Hans Küng, La mia battaglia per la libertà. Memorie, Diabasis, Reggio Emilia, 2008. ^ Hans Küng, Walter Jens, Sulla dignità del morire, BUR, MI, 2010. ^ Questioni disputate. Quale salvezza fuori dalla Chiesa, chiesa.espresso.repubblica.it. ^ Comunicato ufficiale del Premio Nonino 2012.


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Da © dicembre 2016 By Franco Pastore - Ebook Cod. GGKEY:XA5BZAQSHYY Pubblicazione cartacea - Dicembre 2016 A.I.T.W. editrice Salerno

DE COSTUMANZE NOBILIUM

Un nobile distinto, un pari d’Inghilterra, sposa una nobildonna ricchissima di terra. Bellissimi i due sposi arrivano al castello e insieme si preparano dei sensi al bel duello. Sdraiata la bellissima nel riccobaldacchino Aspetta seducente il brando e lo sposino. maliziosa e languida canticchia una canzone, spalanca gli occhi lucidi, già vive la tenzone. Giunge alla fin il pari tutto grintoso e fiero, tutto lisciato e lucido, in una vestaglia nera. -Confesso o mio consorte,gli dice la sposina, non è la prima volta che offro la rosina-. Il nobile distinto, il titolato inglese, sospira e torna indietro, con un inchincortese. Ritorna in breve tempo,men lucido e più bigio, aveva una vestaglia tutta cucita in grigio. -Perdona, o mia signora,d’aver cangiato il nero, lo indosso solamente se primi son gli eventi, se invece si ripetono per la seconda volta, il grigio è di prammatica, lo vuol l’usanza colta-.

DE POLITICHESE Se vi fu mai della creazione un progetto, fu fatto a parte quello dei politici; posso gridarlo senza alcun sospetto: sono ipocriti, lecchini e alquanto stitici. La dote principale è l’ipocrisia: sorridono e promettono facilmente, e l’arma essenziale è la bugia mentono al mondo, spudoratamente. Il lecchinaggio, poi, è basilare, se vogliono ottener larghi consensi, basta incensar chi è stimato assai, promettendo, a parole, agi e compensi. La stitichezza, infine, è dimostrata: delle promesse non ne fanno niente, l’umanità se la son giocata e dalle labbra caccian solo vento. Solo gli sciocchi hanno fede ancora, o chi fa parte di quella scuderia e deve tosto ubbidir al suo padrone, come un vermetto, o come un coglione.

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A proposito della politica europea, a marzo, Michele Rallo scriveva… “ FESTINI A ROMA, FUNERALI A PARIGI” Non perdono occasione per far bisboccia, questi “custodi” dell’Unione Europea. Per scambiarsi brindisi e voti augurali non vanno tanto per il sottile, arrivando perfino a violentare le immutabili leggi della matematica. E, così, una Unione Europea che ha appena toccato i 25 anni (fu fondata nel febbraio del 1992) se ne è vista attribuire addirittura 60, con conseguenti tavolate, libagioni, ricchi premi e cotillon. Tanto – sia detto per inciso – paga sempre Pantalone. Il trucco sta nell’avere considerato come data di nascita dell’UE quella della CEE, la Comunità Economica Europea, che risale appunto a sessant’anni fa (1957). Poco importa che la CEE fosse una semplice unione doganale, nulla a che spartire né con una moneta unica né con la globalizzazione economica, né con la rapina delle sovranità nazionali né con il massacro sociale imposto dai “mercati”. Non c’entra proprio niente. Sarebbe come se, invece di festeggiare il mio compleanno, decidessi di festeggiare quello del cognato della levatrice che a suo tempo m’aiutò a venire al mondo. Ma, tant’è. Oramai non si teme più il ridicolo, come dimostrano gli spropositi distribuiti a piene mani nel corso della “memorabile giornata” di sabato scorso. Uno per tutti: la pace in Europa dopo la seconda guerra mondiale sarebbe stata assicurata proprio da questa Unione Europea, senza la quale – forse – saremmo tornati alla campagna di Russia o allo sbarco in Normandia. Chissà come abbiamo fatto a mantenere la pace fino al 1992, fino ai parametri di Maastricht ed alla Banca Centrale Europea? Naturalmente, nessuno fra cotanti brillanti pacifisti si è spinto fino a considerare le guerre che, prima e dopo Maastricht, gli esportatori di democrazia all’uranio impoverito sono andati disseminando appena al di là dei confini dell’UE, spesso anche con la partecipazione di noi bravi sudditi atlantici: penso alle sporche aggressioni contro la Serbia, la Libia, e – ancorché malamente mascherata – contro la stessa Siria. E penso, soprattutto, ai tentativi frenetici di spingere la Russia ad intervenire in Ukraina, onde avere il pretesto per scatenare una terza guerra mondiale. Lasciamo stare dunque la pace (cosa troppo seria per essere materia di barzellette eurocratiche), e veniamo ai motivi veri di questi strani festeggiamenti. Si è voluto, palesemente, creare un palcoscenico da utilizzare a fini propagandistici: per tentare di far passare per “Europa” questa Unione che è in realtà anti-europea, per gabellare come “valori dell’Europa” quelli che sono valori anti-europei, per affermare come“interessi dell’Europa” quelli che sono interessi anti-europei; per tentare di farci il lavaggio del cervello, per convincerci che la globalizzazione finanziaria, il mondialismo economico e politico, il massacro sociale,l’immigrazionismo, il multiculturalismo siano “Europa”, quando invece sono i nemici dell’Europa; e,soprattutto,per convincerci che dobbiamo continuare così, senza scantonare dal “politicamente corretto”, senza cedere alla tentazione di difenderci votando per i “populisti”. Ecco, è proprio il populismo il convitato di pietra di questi assai strani festeggiamenti. Anzi, non sa-

rebbe azzardato dire che il 60° farlocco di Roma è stato concepito per esorcizzare, dopo il trionfo del populismo inglese e l’uscita della Gran Bretagna, la possibile vittoria del populismo francese alle imminenti elezioni presidenziali d’oltralpe. Già, perché i sondaggi veri sul voto francese dicono cose ben diverse rispetto a quelli offerti al pubblico. Secondo i bollettini ufficiali – compiacentemente replicati da giornali e tv italiani – la Le Pen ed il Renzi parigino sarebbero là là, entrambi attorno al 25%, ad una incollatura l’uno dall’altra e, in ogni caso, con il candidato europeista destinato a trionfare indubitabilmente al secondo turno. Vi faccio una “soffiata”: non è vero. Cose assai diverse dicono i sondaggi reali, quelli che affluiscono dalle prefetture e dalle antenne dei servizi, le rilevazioni “sous le manteau”, sotto il mantello. Si era già capito dalle facce da funerale che – ormai da qualche settimana – circolavano in tutti gli augusti consessi dell’Unione e dei governi associati. Ma adesso è arrivata la conferma ufficiale, dal momento che la congiura del silenzio è stata rotta da un giornalista dell’autorevolissimo “Le Figaro”, Ivan Riufol. Dunque, secondo i sondaggi riservati, la Le Pen stravincerebbe al primo turno con il 34% dei suffragi, con un risultato talmente netto che ben difficilmente potrebbe essere ribaltato al secondo turno. Inoltre – è la mia sensazione – questa volta l’elettorato gollista (tradizionalmente nazionalista e antieuropeo) non sarebbe disponibile a votare per il primo venuto in nome di supposti “valori dell’Europa” che agli europei piacciono sempre meno. Cosa vuol dire tutto ciò? Che la Le Pen ha già vinto? Certamente no. Vuol dire, semplicemente, che la partita francese è tutta da giocare, e che la bella Marine ha in mano le carte che le consentirebbero di vincere. Ecco perché tanti musi lunghi alle celebrazioni di questo strano sessantennale. Perché, dopo la batosta della Brexit, sono in molti a temere che in Francia si stiano preparando i funerali per questa Unione disunita, per questa Europa anti-europea.

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PIATTI TIPICI DEL MEDITERRANEO - A cura di Rosa Maria Pastore

I CAPPONE CON SALSA DI VERDURE Ingredienti (per 6) • 1 cappone di kg 1,500 • burro 80 gr • carote 2 o 3 • cipolle 2 • sedano - pepe e sale Preparazione Preparare il cappone svuotato, lavato e asciugato. Metterlo in una casseruola con una quantità d’acqua sufficiente a coprirlo. Aggiungere le verdure a pezzi, pepe, sale e il burro. Far cuocere a fuoco moderato, aggiungendo acqua se dovesse asciugarsi troppo. Portare a termine la cottura per 1 ora e 30 minuti circa; tagliare il cappone a pezzi, passare le verdure al setaccio, ricoprirne il cappone e servire. CAPPONE IN TEGAME Ingredienti • 1 cappone • 1 cipolla • Lardo o pancetta 100 gr • Vino bianco 200 gr • Polpa di pomodoro 250 gr • Salvia, rosmarino, sale e pepe Preparazione Fare un battuto con lardo, cipolla ed erbe aromatiche e a fuoco dolcissimo rosolarvi i pezzi di cappone privati della pelle.Salare,pepare e rigirare spesso e, quando la carne avrà preso un bel colore scuro, sfu-mare con il vino, aggiungere il pomodori e conti-nuare la cottura a lungo aggiungendo ogni tanto un po’ d’acqua.Servire con un contorno di friarielli soffritti o purè di patate. GALLINA ALLA CONTADINA Ingredienti (per 4) • 1 gallina di kg 1,500 circa • 2 carote • 1 cipolla • 2 coste di sedano • 1 mazzetto di prezzemolo • Salsa olandese, sale

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Per il ripieno • Il fegatino e il ventriglio della gallina • 150 gr di prosciutto cotto • 1 cipollina • Un mazzetto di prezzemolo • 2 uova • La mollica di un panino • Poco latte, sale, pepe Preparazione Per la preparazione del ripieno: svuotare la gallina delle interiora; tritare il fegatino e il ventriglio insieme al prosciutto, la cipollina e il prezzemolo. versare il trito in una terrina, mescolarvi la mollica di pane bagnata nel latte e ben strizzata, i tuorli, salare e pepare; mescolare bene e incorporare infine gli albumi montati a neve ben ferma. Farcitura e cottura della gallina: fiammeggiare la gallina, lavarla e asciugarla; farcirla con il ripieno, cucire accuratamente l’apertura e legarla per mantenerla in forma; metterla in una casseruola con le carote, il sedano, la cipolla e il prezzemolo, coprirla con abbondante acqua fredda, salare e portare all’ebollizione; schiumare il brodo, abbassare la fiamma e far cuocere per circa 3 ore. Sgocciolare la gallina ben cotta, tagliarla a pezzi, disporli su un piatto di servizio precedentemente scaldato e portare in tavola passando a parte la salsa. GALLINA AL VERNACCIA Ingredienti • 1 gallina di kg 1,500 circa • 2-3 spicchi d’aglio • Un mazzetto di prezzemolo • ½ l di vernaccia • Olio, sale , pepe Preparazione Pulire la gallina e tagliarla a pezzi. Far imbiondire, in una casseruola, l’aglio intero con qualche cucchiaio di olio; eliminarlo, mettere nel recipiente i pezzi di gallina, farli ben rosolare, salare, pepare e bagnare con il vino. Cuocere la gallina, a calore moderato, rigirando i pezzi ogni tanto. Prima di togliere dal fuoco unire il prezzemolo tritato, mescolare bene e servire subito.


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Cassazione: niente mantenimento alla donna che lavora

Scrive la Cassazione: “Il rapporto matrimoniale si estingue non solo sul piano personale ma anche economico-patrimoniale, sic-ché ogni riferimento a tale rapporto finisce illegittimamente con il ripristinarlo, sia pure limitatamente alla dimensione economica del tenore di vita matrimoniale, in una indebita prospettiva di ultrattività del vincolo matrimoniale. Se è accertato che [il richiedente] è economicamente indipendente o effettivamente in grado di esserlo, non deve essergli riconosciuto tale diritto” all’assegno. . . «Giustizia è fatta» diranno alcuni uomini che, da anni, versano l’assegno di mantenimento all’ex moglie; meno contente invece saranno quelle donne che, invece, si stanno per separare e che non potranno più contare sul tradizionale orientamento della giurisprudenza più flessibile nell’accordare generosi assegni. Va infatti tramontando l’idea di un mantenimento a lungo inteso più come “un’assicurazione a vita” che non come una misura assistenziale limitata al tempo stretta-mente necessario per recuperare una propria autonomia economica. Aumenta, infatti, il numero delle sentenze della Cassazione che, nel determinare l’ammontare dell’assegno mantenimento, danno rilievo a una serie di fattori ed elementi capaci di sgonfiare l’importo, fino ad azzerarlo completamente. Forse è troppo presto per parlare di tramonto definitivo, ma di certo qualcosa sta cambiando, e anche rapidamente. . La prima sentenza è stata resa nota proprio di questi giorni anche se risale a fine 2015 [1]. Secondo il Tribunale di Roma, il giudice può negare il mantenimento alla moglie se questa vive all’interno della ex casa familiare mentre il marito, costretto ad andare via dall’abitazione un tempo anche sua e, per di più a pagare anche le rate del relativo mutuo, è costretto a trovare un altro alloggio in affitto. Insomma, l’aumento delle spese per l’uomo, conseguenti alla separazione, fanno sì che questi – a meno che non abbia un reddito particolarmente alto – sia quanto-meno esentato dal versare anche l’assegno di manteni-mento. Secondo la tesi del Tribunale di Roma, la sproporzione dei redditi tra i due ex coniugi – condizione necessaria per far scattare l’obbligo al mantenimento – può essere compensata dal fatto che la donna non debba sostenere costi per l’abitazione mentre, nello stesso tempo, il marito deve provvedere al pagamento della rata del mutuo della casa in cui lei vive coi figli e, per di più, a trovarsi un altro tetto sotto cui vivere. Peraltro – ricorda sempre la stessa sentenza – l’assegnazione della casa coniugale in favore della moglie viene meno non appena questa abbandoni l’immobile per andare a vivere altrove o presso i propri genitori. Niente mantenimento alla donna casalinga che può lavorare, Non perché prima era casalinga, la donna separata deve essere mantenuta a vita dal marito,

senza che questa senta neanche l’impellenza di trovarsi un lavoro per mantenersi con le proprie forze. Con queste parole potrebbe sintetizzarsi un’altra importante presa di posizione della Cassazione [2], secondo cui solo lo stato di effettivo bisogno è meritevole dell’assegno di mantenimento. Al contrario, la donna giovane, ancora “abile” al lavoro e, quindi, in grado di reperire un proprio reddito che le garantisca un tenore di vita più o meno simile a quello goduto durante il matrimonio, non ha diritto alla stessa tutela. E ciò vale anche se la moglie durante il matrimonio si occupava solamente della casa, svolgendo le mansioni di casalinga. Almeno quando ciò è possibile, i due ex coniugi devono tentare di badare a sé stessi da soli, senza costituire un peso per l’altro. Quindi, sebbene in prima istanza ben potrà essere possibile che il giudice accordi un mantenimento alla donna con reddito nettamente più basso, al fine di garantirle una continuità con il procedente tenore di vita,laddove venga constatata la sua completa inattività all’obbligo sociale di cercare un lavoro, tale assegno può essere ridotto o azzerato. Concludendo, Il panorama delle sentenze che valorizzano la capacità lavorativa della donna e le sue potenzialità economiche sta, poco alla volta, ampliandosi.

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A cura di Antropos


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POLITICA E NAZIONE – OVVERO IL PENSIERO DELLA GENTE COMUNE

SILVANO SCARNICCI Il mondo sportivo salernitano piange la scomparsa di Silvano Scarnicci, indimenticato difensore e capitano della Salernicana calcio degli anni 60. Nato nel mese di settembre del 1935, Silvano aveva militato nella Salernitana calcio, dal 1960 al 1966. Diventò beniamino della tifoseria granata e rifiutò il trasferimento in squadre di serie superiore, per restare a Salerno. Gli sportivi salernitani condividono il dolore che ha colpito la famiglia Scarnicci.

Protagonista assoluto della promozione in serie B del campionato 65-66, fu un professionista esemplare, un calciatore di grandissimo valore, che incarnò lo spirito di una tifoseria che lo elesse idolo indiscusso,non solo per la sua bravura e per una classe, inusuale per un difensore, ma anche per quell’ attaccamento alla maglia,che lo spinse, come ho già detto, a rifiutare proposte importanti pur di proseguire la sua avventura in un Vestuti che considerava la sua seconda casa. Con la casacca granata ha collezionato quasi 200 presenze, tra campionato e coppa Italia, ornate da 4 reti e innumerevoli salvataggi difensivi. Silvano era un baluardo della retroguardia, capace di trascinare i più giovani e di conquistare la stima e la fiducia di tutti gli allenatori, che si avvicendarono sulla panchina della Salernitana. - 23 -

Ancora oggi, in questo calcio senza valori, ci sarebbe bisogno di uno come lui. Concludendo, un altro pezzo di storia che se ne va; a noi il compito di raccontare le sue gesta ai tifosi del futuro, affinché il suo ricordo possa perpetuarsi nell’animo delle nuove generazioni. Mario Bottiglieri

MI NUTRO DI STORIA Тὸν βίον τοῦ χρόνου Sotto la nube del tempo, mi nutro storia, non sempre la nostra. E ‘come sentire, nel respiro dell’universo, il profumo antico del passato.


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STORIA DELLA MUSICA - A cura di Ermanno Pastore

MUSICA MINIMAL TECHNO XV PARTE La minimal techno è un filone della musica elettronica e un particolare sottogenere della musica techno, non distante dalla microhouse e dalla glitch techno. Essa può esser caratterizzata da suoni melodici, che dovrebbero portare l'uditore verso un viaggio mentale, oppure da suoni elettronici "minimali" che portano all'inesistenza totale di melodia. In entrambi i casi, anche essendo un genere elettronico basato su dei "loop" (ripetizioni di un determinato numero di battute - solitamente 2 o 4 - per un determinato numero di volte - solitamente una strofa è composta da 32 battute -), il genere tende a diventare quasi "ipnotico" al fine di indurre l'ascoltatore in un suddetto "trip". Il tempo più comunemente usato è il 4/4, con un B.P.M. da 124 a 128. La ripetizione quasi ossessionante delle strofe e la scarsa presenza di variazioni giustifica il termine "minimale" associato a questo genere musicale. È un genere basato sulla sperimentazione sonora; a ritmiche di batteria elettronica (spesso provenienti dalle Drum Machine Roland TR-808 e TR-909) vengono accostate linee di basso ripetitive. I sintetizzatori vengono usati per riempire lo spettro sonoro o per caratterizzare l'arrangiamento del brano, hi-hats e rides per sviluppare, arricchire e curare le frequenze medio-alte. Molto usato anche il rumore bianco al fine di riempire il mix. La culla della musica minimal è l'Europa, sia per quanto riguarda la produzione di tale genere che per quanto riguarda gli eventi dedicati. Se in Europa la patria della minimal è indubbiamente la Germania, troviamo comunque una buona diffusione del movimento sia in Italia (specialmente in Campania ci si riferisce in particolare a: Marco Carola, Rino Cerrone, Markantonio, Joseph Capriati), che in Svizzera, Francia, Spagna, in alcuni paesi balcanici e nell'Europa dell'est. Molto diffusa in America Centrale, soprattutto in Messico e si sta facendo strada anche in America Latina, con i suoi ritmi incalzanti e le sonorità calde accompagnate da tamburi e strumenti a fiato (si pensi a Ricardo Villalobos, Luciano, eccetera). Si definiscono spesso minimal techno produzioni ben distanti dalle radici del genere stesso. Il motivo di tutto ciò è che il genere minimal è distante dal mainstream della musica elettronica in voga, quale house o pop dance, e spesso alcuni DJ o case discografiche, tendono a provare a creare nuove sonorità mischiandole con quelle più minimali.

In realtà la minimal techno si distacca dalle sonorità in voga, e mantiene un pubblico minore, ma che apprezza per lo più un genere più alternativo e sofisticato, seppur ormai comunque abbastanza conosciuto. Tuttavia molti dichiarano minimal techno un sound completamente differente, e spesso si ottiene confusione tra un pubblico che segue o meno tale genere.

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PARLIAMO UN PO’ DI STORIA- di Michele Rallo

LA RIVOLUZIONE LAICA DI K EMA L ATATÜRK Era sostanzialmente a partire dal novembre 1925, dopo avere assunto i pieni poteri ed avere di fatto liquidato l’opposizione, che il Ghazi iniziava pienamente un processo riformista assolutamente rivoluzionario, con l’obiettivo di realizzare il suo coerente proget-to di sovversione del vec-chio stato autocratico e teocratico ottomano: can-cellare la dominazione culturale arabopersiana, limitare l’influenza della religione islamica alla so-la sfera individuale dei singoli e restituire la Tur-chia ai turchi, alla cultura turca,al dinamismo turco che guardava verso l’occidente e il progresso e non verso l’oriente e verso concezioni politiche sorpassate ed anacronistiche. Le riforme di Kemal procederanno ininterrotta-mente per tredici anni (dal novembre 1925 al novembre 1938 data della sua morte) ed interesseranno tutti i settori della vita turca (dal campo religioso, a quello civile, a quello economico). La prima riforma (votata dalla Grande Assem-blea Nazionale nel novembre 1925) riguardava il divieto di ostentare in pubblico simboli religiosi, con particolare riguardo all’abbigliamento: veniva vietato l’uso del fez e del turbante per gli uomini e del velo per le donne, mentre il Ghazi invitava la popolazione turca ad abbandonare la vecchia moda orientale per adottare «l’abbigliamento internazionale dei popoli civilizzati». Immediatamente dopo, seguiva la riforma dell’insegnamento, attribuito in forma esclusiva e con carattere di assoluta laicità alle scuole pubbliche. Erano proibite le vecchie scuole coraniche (le madrasse) e vietato l’insegnamento religioso con tutte le sue materie (arabo, persiano, diritto islamico, scienze islamiche, eccetera). Terza importante riforma adottata nel 1925 era quella che prevedeva lo scioglimento delle potenti confraternite religiose e l’acquisizione al patrimonio pubblico dei loro beni. Venivano infine adottati l’orario ed il calendario europei, la qualcosa recideva il cordone ombelicale che legava la Turchia alla cronologia islamica, avvicinandola ulteriormente ai costumi occidentali. La prima fase riformista continuava nel 1926: in febbraio la Grande Assemblea Nazionale prendeva atto che, con la fine del Califfato e l’abolizione dei due ministeri religiosi (la Sheria e il Wakf), era già venuta meno la vigenza della legge coranica; conseguentemente, la GAN votava l’adozione di un Codice Civile e di un Codice Penale di tipo europeo. Era una vera e propria rivoluzione: non soltanto perché sottraeva agli ambienti religiosi l’amministrazione della giustizia, ma soprattutto perché sanciva l’eguaglianza davanti alla legge di tutti i cittadini turchi, senza distinzione di fede religiosa né di sesso. Veniva meno ogni penalizzazione per i non-musulmani, e la stessa scelta religiosa non era più effettuata dal genitore per conto dei figli

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minori,ma demandata personalmente ad ogni cittadino al compimento della maggiore età. La famiglia veteroislamica e poligamica cessava di esistere, la donna turca era strappata alla sua condizione di inferiorità istituzionalizzata,e veniva introdotto un modello familiare europeo e laico (divorzio compreso).Benché adottati, tuttavia, i codici non entravano effettivamente in funzione che nel 1928, dopo che – in aprile – una Grande Assemblea Nazionale o-ramai pienamente kemalizzata aveva votato quella che potremmo chiamare “la madre di tutte le riforme”, e cioè la legge che abrogava l’articolo della Costituzione che contemplava l’islamismo come religione di Stato. Veniva così meno la concezione stessa dello Stato ottomano (concepito come una somma delle diver-se comunità religiose) ed era sancita la visione kemalista della Turchia come nazione unitaria e completamente laica, formata – secondo il dettato costituzionale – «da tutti gli autoctoni della Turchia (…) senza alcuna distinzione di religione o di razza».Ma l’attivismo riformatore non conosceva soste, e già ad agosto il Ghazi iniziava a percorrere in lungo e in largo il paese per propagandare la prossima riforma in cantiere: l’abolizione dell’alfabeto arabo e l’adozione di quello latino. Proseguiva la marcia di avvicinamento all’Europa, e proseguiva soprattutto la lotta per la liberazione nazionale dal-l’influenza araba, considerata responsabile di tutte le scelte d’indole politica, religiosa e culturale che avevano allontanato la Turchia dall’Europa, accomunandola all’Asia ed integrandola nell’Islam. Attenzione: la riforma dell’alfabeto non era la riforma completa della lingua turca (che sarà portata a compimento negli anni ’30), ma soltanto il primo passo in quella direzione; era piuttosto il coronamento della riforma dell’educazione nazionale, i cui ultimi tasselli erano apposti proprio in coincidenza con la riforma dell’alfabeto. L’obiettivo era duplice: quello già ricordato di liberazione culturale dall’influenza araba, e quello della lotta contro l’analfabetismo. Ai due ordini di scuole pubbliche (le medie che risalivano ai tempi dei tanzimat ed i licei varati nel 1925) si aggiungevano adesso due nuovi istituti scolastici pensati appositamente per l’immensa platea della periferia rurale e montanara (fino ad allora quasi completamente analfabeta): le Scuole Rurali per i ragazzi, e soprattutto gli Istituti di Villaggio,una specie di istituti magistrali diffusi sul territorio e dediti alla formazione di maestri elementari laici e con orizzonti europei. ompletato così il primo blocco di riforme, il periodo a cavallo tra la fine degli anni ’20 e l’inizio degli anni ’30 era caratterizzato da un vivace dibattito politicoculturale circa la connotazione di quello che oramai era un vero e Continua a pag. 34


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DONNU PANTU, PIU’ATTUALE CHE MAI Domenico Piro, meglio noto sotto lo pseudonimo di Duonnu Pantu (e non Donnu Pantu), nacque ad Aprigliano da una nobile famiglia il 14 ottobre del 1660. Il padre si chiamava Ludovico, mentre Giuseppe e Ignazio Donato, nati rispettivamente nel 1669 e 1672, erano figli di un fratello della madre, quindi cugini più giovani di Domenico.

Jati gridannu ppe tuttu lu munnu/ viva lu cazzu, lu culu, e lu cunnu”. Concludendo,per aver violato i tabù il Piro è stato messo in prigione dal suo Ne La cazzeide, infatti, il poeta parte dal miti- Vescovo e non ha avuto co regno di Saturno quando uomini e donne vi- guai più seri con l’Inquisivevano insieme felici, divertendosi senza mali- zione perché le sue poesie zia o gelosia. Il sesso apparteneva alla sfera del circolavano in ambiti privati e solo per divertire sacro e la moglie si concedeva solo al marito. un pubblico ristretto, colto e libero. Molti studiosi Ma il poeta esce subito dal mito, si guarda di Piro, dotati di grande cultura e di acume criintorno e s’accorge che il mondo è cambiato. “E tico, come il Piromalli, hanno voluto vedere nelle mò curre nu sieculu puttanu,/ Ppe non dire nu sue poesie quasi una rivolta contro la retorica e il sieculu cornutu…/ Le fimmine te mpacchiunu vuoto del barocco e gli ultimi epigoni del petrarde manu, / Le pigli lu Diavulu pinnuta…”. chismo, nonché contro l’oppressione spagnola e Rivisita la mitologia classica ed elenca gli feudale. A me sembra che il Piro abbia scritto solo per adulteri degli dei pagani per poi descrivere divertirsi e divertire i suoi amici colti, letterati e l’incontenibile bisogno sessuale delle donne e i buontemponi come lui. Ma, ispirato dalla Musa vari artifici elaborati per appagarlo. I suoi versi sembrano ispirarsi a volte a un’orgia, a una festa amica, ha lasciato opere artistiche ricche di dioni-siaca con le baccanti ebbre scatenate. Le fantasia e musicalità che sfidano i tem-pi. Forse, donne tutte, vecchie e giovani, secondo Piro, in senza volerlo, è stato un rivoluzionario e un preda alla pulsione erotica, dimenticano antichi innovatore. Certo fu il primo grande poeta a usare tabù e infrangono regole religiose e morali. il dialetto calabrese in maniera artistica e a Osserva che i costumi sono cambiati, e non solo chiamare col loro nome gli organi sessuali main Calabria: “Nun cc’è nulla persona e nulla schili e senza orpelli ideologici, morali, religiosi o tabù. Certo ci sono esagerazioni nelle descrirazza/ chi di corna non sia pulluoru e trizza…”. E ancora: “Gapa la maritata lu maritu, /E ra- zioni, iperboli, scene orgiastiche, ma tutto questo ghi quantu vo, casu e salatu…”. Insomma nes- non nuoce all’arte. Nei versi è presente una visio-ne naturalistica e suna donna sa trovare un freno dinanzi alle profonde pulsioni dell’eros. Dinanzi a questa situa- le immagini e i paragoni sono naturali e lievi. zione, non importa se vera o frutto di fantasia, il Piro non canta la bellezza dello spirito, le donne poeta prova un solo rammarico: “A mie mi dole angelicate, esalta invece le pul-sioni naturali del ca me trovo vecchi, / E minne vorria mintere lu corpo. Questo ha suscitato scan-dalo e lo suscita cac-chiu../ Tantu chi si na vota micce spacchiu, / tuttora perché “Li Senuocrati casti e continenti” Ne vaju puturune na simana,/ Minne piglia la nella realtà non ci sono più e forse non ci sono freve e la quartana”.Alcuni studiosi hanno volu- mai stati, però persiste un mo-ralismo di facciata, to vedere in questi versi un chiaro riferimento una cultura ipocrita da Controriforma negativa. auto-biografico, concludendo che La cazzeide è La gente si finge morigerata, parla in un modo e opera d’un poeta già vecchio, diverso dal Piro opera in un altro. Questi poemetti sono stati scritti per divertire: morto giovane. Ma non siamo sicuri che detto riferimento sia autobiografico: potrebbe trattarsi questo, a mio parere, il vero intento del poeta, il d’una semplice finzione poetica. Il componi- resto appartiene alla sfera dei critici che spesso mento finisce quasi con un invito ai giovani al superano gli intenti dei poeti che vanno coi versi carpe diem, sfruttando il potere della vis erotica solo dove li porta l’estro, come scrive il sommo Andropos giovanile: “Chiantati corna ppe tutti sti pizzi… - 26 Omero. -


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LA FAVOL A DEL LA SE TTIMANA

LA GALLINA SCIOCCA Una fiaba per i più piccoli di FRANCO PASTORE Realizzazione pubblicazione in ebook e stampa

Pubbl. ISBN IT\ICCU\MO1\0038517 – Ebook GGKEY:7XXGBKN7192

Illustrazioni di Paolo Liguori

Giunti tutti nellapiazza, la gallina in un momento salta sopra un monumento e gridando come pazza disse: - Senti popolo ignorante Io mi chiamo Concettina E non sono una gallina Sono nata principessa Faccio danza e vado a messa Inchinatevi miei cari alla mia nobiltà! -. A questo punto, le scappa un uovo, che cadendo sul marmo si aprì e gocce di albume finirono sulla testa di un caneche stava in prima fila.

Ognuno è quello che è e nel suo campo può anche diventare un re. Stretta la foglia, larga la via, anche questa favola è andata via. Fine

VIRGOLE DI PACE Στιγμή τῶν εἰρηνικῶν Sotto un miracolo di luna, a sigillo del cuore, pongo virgole di pace. Franco Pastore

Allora tutti si sentirono imbrogliati e le gridarono: - Torna nel pollaio a far le uova, la mia gallina sciocca ed anche un po’ pitocca La poveretta capì di avere esagerato e ritornò a testa bassa nel pollaio, iniziò puntualmente a far le uova e non si mosse più. - 27 -


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Il Concert Manager disse a Elvis Presley, dopo la trasmissione radiofonica Grand Ole Opry: «Dovresti tornare a guidare camion,ragazzo! ».Ma il 3 aprile 1956, Elvis prende parte ad uno degli spettacoli TV più visti, il Milton Berle Show; 40 milioni di spettatori assistono entusiasti alle sue esibizioni. Anche il cinema si occupa di Elvis: arriverà a girare 33 film. Il primo lanciò anche la memorabile "Love me tender" che fece amare Presley per la sua voce profonda e terribilmente romantica. Elvis "the Pelvis", come lo chiamavano i suoi fans a proposito dei suoi piroettanti movimenti del bacino,all'apice della sua carriera sembrava un mito intramontabile: ovunque ragazzine in delirio

pronte a lanciare gridolini isterici e indumenti intimi; le cronache di quegli anni narrano di una polizia in perenne difficoltà per garantire l'incolumità di Elvis dopo ogni concerto fino a permettergli di tornare sano e salvo nella sua Graceland, un edificio coloniale a Memphis circondato da un grande parco.Da una vecchia chiesetta sconsacrata Graceland è stata trasformata nella sua reggia: gli architetti con qualche milione di dollari hanno creato un palazzo reale,degno di un re e tutt'oggi splendida meta turistica.

LO SAPEVATE CHE

VECCHIA FOTO DA

RICORDARE

Sarno Anni 90

Con Murolo e mio figlio Ermanno

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IMMAGINI DI UN ALTRO TEMPO

Lu conzalimbi Quando gli oggetti avevano un valore intrinseco e venivano utilizzati per decenni, riparandoli più volte e riutilizzandoli fino a quando era possibile farlo; senza mai cedere alla tentazione di acquistarne uno nuovo, le figure artigianali dedite alla riparazione avevano un'importanza fondamentale e anche un buon mercato. Il conciabrocche era colui che riparava lu limbu, ovvero un grande catino di terracotta, utilizzato prevalentemente come lavatoio; lu cconzalimbi non riparava soltanto i limbi, ma qualunque oggetto di terracotta; la parsimonia della cultura contadina, che non era avarizia bensì considerazione e rispetto dei beni materiali, tendeva a conservare ed a riparare gli oggetti danneggiati, per cui allorché un piatto o una giara si rompevano o mostravano segni di prossima frattura, venivano riposti in attesa che passasse lu cconzalimbi.L'attrezzatura di questo artigiano ambulante era ridottissima: calce e in seguito cemento, una tenaglia, filo di ferro, ed uno strano aggeggio chiamato trapanaturu. Lu trapanaturu era costituito da un bastone lungo circa 50 cm., con un foro all'estremità superiore e terminante in giù con una punta di ferro, un chiodo; veniva infilato in una striscia di legno, forata al centro per inserirvi il bastone, e alle due estremità per legarvi i capi di una solida corda vegetale la quale, passando per il foro del bastone, collegava verticalmente, in una croce, bastone e striscia di legno. Infine il bastone è inserito nella parte terminale, in un ovoide in legno di ulivo appesantito da chiodi, che fungeva da volano. Lu trapanaturu serviva a praticare dei forellini nella terracotta da riparare, in questa maniera: la punta di ferro finale veniva poggiata sul coccio e tenuta ferma con la mano sinistra; quindi con la destra il conciabrocche, sempre tenendo ferma la punta metallica sul coccio da forare, con la mano destra sollevava ed abbassava la striscia di legno, con la conseguenza di avvolgere e svolgere ripetutamente il filo, che faceva ruotare velocemente il bastone ed il chiodo fissato all'estremità il quale forava lentamente il coccio; il movimento veniva facilitato e potenziato dal volano. Lu conzalimbi praticava due file di fori lungo entrambi i lembi dell'oggetto rotto, a due a due cor-rispondenti; poi faceva passare tra i due buchi

corrispondenti un filo di ferro lungo una decina di centimetri, i cui capi avvolgeva strettamente e delicatamente su se stessi; una volta finita questa operazione, i due lembi ed i fori venivano ricoperti con calce o cemento: l'intervento figulo-chi-rurgico era completato. Il più famoso cconzalimbi italiano è ovviamente lo zi Dima pirandelliano il quale nella celeberrima novella La Giara riesce, irritato dagli atteggiamenti sospettosi di don Lollò, a rinchiudersi nel panciuto recipiente, avendo eseguito l'intervento di riparazione... dall'interno! « …alla fine della terza giornata, tre dei contadini che avevano abbacchiato, entrando nel palmento per deporvi le scale e le canne, restarono alla vista della bella giara nuova, spaccata in due, come se qualcuno, con un taglio netto, prendendo tutta l’ampiezza della pancia, ne avesse staccato tutto il lembo davanti. – Guardate! Guardate! – Chi sarà stato? – Oh, mamma mia! E chi lo sente ora Don Lollò? La giara nuova, peccato! …»

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IL MUSEO DIOCESANO SALERNITANO Di Paolo Liguori Sala VI - Il Seicento – IX parte Il Mosè fa scaturire l’acqua dalla roccia (fig. 40) , insieme al Martirio di sant’Erasmo (fig. 41), fa parte delle sei tele che l’arcivescovo Isidoro Sanchez de Luna (1759‒1783) comprò a Napoli per abbellire la sagrestia del Duomo; in precedenza per ambedue le opere era prevalso il riferimento alla collezione del marchese Ruggi d’Aragona.

Giovan Battista Beinaschi (1634‒1688), Mosè fa scaturire l’acqua dalla roccia, olio su tela, Salerno, Museo Diocesano

In uno spazio affollato e drammatico si svolge l’episodio biblico di Mosè, che percuote il bastone nella roccia per dissetare il suo popolo, durante l’esodo nel deserto. La tela conferma la tendenza dell’artista piemontese, nella tarda maturità, a realizzare composizione animate da vivaci raggruppamenti di figure dagli elaborati panneggi. Forti sono i richiami al neo‒correggismo di Lanfranco e alla dolce maniera di Luca Giordano, mentre nelle atmosfere cupe,appena squarciate da lampi di luce, è chiaro il riferimento alla lezione naturalistica, esemplata al modo di Mattia Preti.

Passando a considerare il Martirio di Sant’Erasmo occorre considerare come questo fu un tema alquanto raro nella pittura napoletana, mentre ebbe una certa fortuna in ambito romano sulla scia della celebre rappresentazione di Poussin nella Basilica di San Pietro (oggi esposta ai Musei Vaticani). Beinaschi, al pari di Poussin, rappresenta l’antiocheno Erasmo mentre subisce il martirio durante le persecuzioni di Diocleziano. Ma la sua rappresentazione è di cruda drammaticità: il martire, disteso nudo su una tavola, viene seviziato da un carnefice che brutalmente gli estrae l’intestino dal ventre. All’ambito di Luca Giordano viene attribuito il Gesù scaccia i mercanti dal tempio (fig. 42). È interessante sottolineare che nell’inventario Ruggi d’Aragona vengono citati due dipinti con questo soggetto: il riscontro proporzionale in relazione alle misure del dipinto esposto induce a ritenerne possibile l’identificazione con quello di dimensioni maggiori, così descritto: quadro ad olio sopra tela senza cornice di misura in altezza metri uno e trenta centimetri ed in larghezza metri uno e ottanta centimetri. Desso rappresenta un fatto di storia sacra e principalmente quando Cristo cacciò i pubblicani dal tempio. È una larga composizione composta da dodici figure tra le quali primeggia il Cristo con una fune in mano. Si valuta lire 25. Nota bene la tela è lacerata presso il collo di Cristo . Il soggetto fa riferimento al tema evangelico (Mt 21, 12‒13) molte volte replicato dal Giordano : indubbiamente il quadro in esame attinge al vasto repertorio giordanesco, prestandosi a un serrato confronto con l’esito di collezione Harrach a Rohrau , al quale rimanda la connotazione della figura di Cristo: l’analisi della quale potrà essere estesa anche alla produzione grafica del Giordano, trovando un parallelo nel foglio di identico soggetto conservato in collezione privata svizzera .

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Giovan Battista Beinaschi (1634‒1688), Il martirio di Sant’Erasmo, olio su tela, Salerno, Museo Diocesano

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Archivio Storico del Comune di Salerno, Archivio Generale, II, I, r., n. 23. Nella collezione Pinto non si riscontrano dipinti con questo soggetto, è quindi plausibile che si tratti di un’opera originariamente presente nella quadreria Ruggi d’Aragona. Cf. O. FERRARI, G. SCAVIZZI, Luca Giordano. L’opera completa, Napoli 1992, I, A 81, A192, A228b, A348; II, figg. 157, 273, 305, 455. Ivi, I, p. 218, A192; II, p. 565, fig. 273. G. SCAVIZZI, New Drawings by Luca Giordano, in «Master Drawings», 37, 1999, pp. 103‒137, in part. p. 133, n.16, fig. 5; Id., in O. FERRARI, G. SCAVIZZI, Luca Giordano. Nuove ricerche e inediti, Napoli 2003, p. 106, D37, fig. p. 218.


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TUTT’A NOTTE

Da “CATULLO A NAPOLI”di Franco Pastore – Febbr. 2015 – Ediz. A. I. T. W. - GGKEY:28FR507EU9K E

Ie nun t’’o sàcce di’ quante ne voglie e chisti vàse tuoi, oi core mie! Ne voglie … quant’’a sabbia do deserto, o tante, quanta stelle ‘nciéle, quànne regne o silenzio tutt’’a notte e l’ammòre, annascuvàte, va fuiènne. Cuntinua a me vasà, fàmme ascì pazze! Nisciùne ha da sapé quante me vàse ammìria ha da crepà, senza l’ammòre nun se po’ campà.

Carme VII - Quaeris, quot mihi basiationes / tuae, Lesbia, sint satis super-que./ quam magnus numerus Libyssae harenae / laserpiciferis iacet Cyrenis / oraclum Iovis inter aestuosi / et Batti veteris sacrum sepulcrum; / aut quam sidera multa, cum tacet nox,/ furtivos hominum vident amores:/ tam te basia multa Basiare / vesano satis et super Catullo est, / quae nec per numerare curiosi / possint nec mala fascinare lingua. Traductio - Chiedi quanti tuoi baciamenti, Lesbia, / mi sian sufficienti e di più./ Quanto grande il numero di sabbia libica / giace nella Cirene produttrice di laserpizio / tra l'oracolo dell'infuocato Giove / ed il sacro sepolcro dell'antico Batto; / o quante stelle, quando la notte tace,/ vedono i furtivi amori degli uomini:/ che tu baci con altrettanti baci / è sufficiente e di più per il pazzo Catullo, / e che i curiosi non possano contare / né gettare il malocchio con mala lingua. Esplicatio – Questo carme è una sorta di rivisitazione cólta del tema già trattato nel carme 5, come si può notare dalla presenza di allusioni "per addetti ai lavori": Cirene è infatti la città natale di Callimaco (il poeta alessandrino cui si ispira la poetica dei poëtae novi) e Batto il suo progenitore;

Constructio – vv1-2 apostrofe a se stesso vv12-18 apostrofe alla donna. Le due apostrofi assicurano un tessuto di rielaborazione formale che riscatta la lirica dall’improvvisazione dello sfogo sentimentale e la consegna al dominio dell’arte.v12 iam catullus ob-durat poliptoto. Questo poliptoto dà l’esortazione per realizzare il distacco da Lesbia. Vv1-2 desinas.. ducas- allitterazione vv13-14 requiret.. rigabit.. rogaberis - omoteleuto vv4-6 cum.. quo.. ibi.. tum - chiasmi v7 nec puella nolebat - lilote vv6-7 fiebant.. volevas.. nolebat - assonanze vv 3-8 fulsere.. fulsere – anafore. Metro – Trimetro giambico ipponatteo Note semantiche – Un ampio uso di forme colloquiali, ripetizioni, figure foniche e ritmiche;danno vita ad una espressività efficace ed immediata l’espressione immediata. Inoltre, la naturalezza dell’esposizione sollecita l’avvicinamento del lettore all’autore. Catullo in questo carme parte da un precedente letterario,ma lo arricchisce con temi e procedimenti personali, come il dialogo con se stesso, lo sdoppiamento dell’io, il contrasto fra cuore e ragione, il ricordo dell’amore passato mitizzato come un tempo di luminosa felicità. C’è il gioco sentimentale caro agli alessandrini e a Plauto, ma è in Catullo un gioco tragico.

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Regimen Sanitatis Salernitanum - Caput LXV -

DE URTICA Aegris dat somnum :vomitum quoque tollit ad usum. Compescit tussim veterem, Colicisque medetur. Pellit pulmonis frigus ventrisque tumorem, omnibus et morbis subvenit articulorum.

Con l’ortica assonni i desti / ed il vomito ne arresti; sani tossi inveterate, / e le coliche ostinate; / del polmon sciogli l’agrezza, / e del ventre la durezza; / e con essa alleggi pure / ogni male alle giunture.

LEVIORA

Una coppia vetusta in un tranquillo giorno di vita in comune. Lui: - Mia cara, vorrei tanto stringerti a me e ritrovare quelle splendide sensazioni di un tempo … oggi sento di poterti date tanto … mi comprendi?Lei: - Sei forse impazzito? Calma i tuoi bollori e lasciami tranquilla, è finito quel tempo!All’indomani, lui ritorna alla carica: - Ti prego, fa che mi risenta un uomo! Dammi il tuo amore, come un tempo!Lei:- Tu devi essere impazzito, vai pure da qualche altra parte, ma lasciami in pace!E così fu. Il giorno dopo, lui: - Come mi sento bene! Ne avevo proprio bisogno, mi sento un leone!Lei: - Sei andato da una donna di strada?Lui: - No, sono andato da tua sorella, ho dovuto darle 50 euro, ma è stata gentilissima!Lei:- Ma come, ha preso 50 euro?Lui: – Si!Lei: - Ma se io non ho mai preso un euro da suo marito!-

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FOLLIE “ARTISTICHE” DI GIUFFRIDA FARINA

VIOLENZE E CROCEFISSIONI. Biscultura: scultura in acciaio pastoso, con disegno di rondini “cartesiane” ovvero un grafico a forma di rondini, sugli assi cartesiani x ed y (nella zona prospettica); scultura in tempera (nella parte retrostante).

BIQUADRI CHE SI…IMMAGINANO;SONO MATTONELLE OPPURE SUPERFICI DI LEGNO COM-PENSATO, DIPINTE (AVVOLTE DA FOGLI SEMITRASPARENTI) SIA NELLA ZONA ANTISTANTE CHE IN QUELLA RETROSTANTE.SU UNA DELLE 2 SUPERFICI E’ INNESTATO UN OGGETTO;NELLA RAPPRESENTAZIONE IN FIGURA,UN POSACENERE. L’ELABORAZIONE VENNE PRESENTATA AD UNA MOSTRA A ROMA NEL 2001, MANIFESTAZIONE COORDINATA DAL-L’AMICO DEL DIRETTORE PASTORE, IL M°. RISPOLI.

MICROSCINTILLE INFORGABBIATE, RIELABO-RATE CON LA “METEMATICA” (METEMPSICOSI MATEMATICA).

Elaborazioni costituite da una sequenza di microscintille, “catturate” tra due forchette innestate l’una nell’altra, me-diante lo scatto di una fotografia; rielaborate, poi, tali mi-croscintille, con la “METEMATICA” (METEMPSICOSI MATEMATICA) ,attraverso una speciale “carta d’identità”, la TESSERA METEM-PSICOSI-MATICA, relativa ad autorevoli personaggi.

Le microscintille sono fatte scoccare con un accendigas elettronico; premendo il tasto di accensione dell’accendigas (il rettangolo sulla sinistra) si producono, tra le due forchette interconnesse,delle microscintille ovvero una sorta di “micro fulmini”, che sono “intrappolati” (fotografati) negli istanti in cui essi si manifestano;l’elaborazione è integrata con un disegno ed una immagine (in figura, l’immagine del poeta triestino Umberto Saba), che sono associati in virtù: delle caratteristiche della TESSERA METEM-PSICOSI-MATICA (Cognomeale, Nomeale, EssoteroNascita, EssoteroCittadinanza, EssoteroResidenza, Coniugio);e dei CONNOTATI E CONTRASSEGNI METEMATICI (Inquadramento Cognomeale,Inquadramento Nomeale). - 33 -


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Parliamo un po’ di storia – cont. Da pag. 25 - LA RIVOLUZIONE LAICA DI KEMAL ATATÜRK proprio regime; dibattito che vedeva schierati da una parte coloro che esaltavano la centralità di una Costituzione ispirata a princìpi democratico-liberali, e dall’altra quanti attribuivano maggior rilevanza al ruolo del Capo ed a quello del partito-unico. Senza volere entrare nel merito della questione, è opportuno qui sottolineare come Kemal (nel frattempo insignito anche del titolo di Atatürk, cioè Padre dei Turchi) utilizzasse le strutture del Partito Repubblicano del Popolo come strumento per la creazione di una nuova classe dirigente (con connotazione politica e al tempo stesso tecnica), da sostituire a quella di matrice ottomana, falcidiata dalla crisi dell’ottomanismo e ridotta a pochi sopravvissuti di non eccelse qualità. Per il resto, la connotazione “ideologica” del regime era codificata in sei punti, “le sei frecce di Atatürk” che lo stesso Kemal presentava al congresso del 1931 del Partito Repubblicano del Popolo: Repubblicanesimo, Nazionalismo, Populismo, Laicismo, Statalismo, Riformismo/Rivoluzionarismo. Saranno queste “sei frecce” (e segnatamente quella del nazionalismo economico, indicato come “statalismo”) a determinare la rapidissima uscita della Turchia dalla arretratezza e dalla miseria, e la sua portentosa crescita economica. Kemal non abbandonava tuttavia la battaglia per la liberazione nazionale della cultura turca, battaglia che anzi corroborava – agli inizi degli anni ’30 – con la creazione di due strumenti di supporto: l’Istituto per la Storia Turca e la Società per la Lingua Turca. Erano proprio questi due enti, con tutta la loro attività e segnatamente con convegni internazionali di studi di alta levatura, a fornire gli elementi necessari all’Atatürk per tracciare il profilo storico, etnico e culturale di una nazione turca assai diversa dal coacervo arabo-islamico-asiatico risultante dalla tradizione ottomana. Kemal elaborava la teoria delle origini sumerico-hittite della popolazione turca: origini che la accomunavano alle grandi civiltà dell’antichità mediterranea e che la allontanavano dal mondo asiatico; origini che esaltavano una qualche contiguità alla cultura occidentale e respingevano le suggestioni panasiatiche e panislamiche che avevano caratterizzato la società turca ancòra durante il regime dei Giovani Turchi. Strettamente connessa alla tematica storica era la questione della lingua, sulla quale il regime kemalista era già intervenuto con una prima riforma, quella dell’alfabeto. Bisognava tuttavia andare oltre,e riformare il vocabolario stesso della lingua turca, vocabolario imbastardito da secoli d’influenza araba e persiana, al punto che i termini autenticamente turchi ne costituivano – almeno nella lingua “colta” – appena il 25%. Nel 1932 era quindi lanciata una vera e propria epurazione dei vocaboli di origine straniera, il cui uso era vietato inderoga-

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bilmente: anche Allah non era più pronunciabile, ed in sua vece si doveva usare l’equivalente turco Tanri. Alla fine di questo processo (siamo ormai nel 1935) si perveniva all’elaborazione di una unica lingua nazionale turca – il türkceh – che pren-deva il posto sia della lingua colta ottomana, sia della lingua parlata che, soprattutto nelle zone più periferiche, presentava in passato differenze dialet-tali assai ampie e complesse. Più o meno contemporaneamente, veniva-no portate a compimento le riforme “civili” iniziate negli anni ’20. L’emancipazione della donna era completata dall’attribuzione dell’elet-torato attivo (nel 1932) e di quello passivo (nel 1934). E il Codice Civile era integrato dall’introduzione dello stato civile e dall’obbligo dei cognomi secondo l’uso europeo. Significativamente, in immediata applicazione di tale provvedimento, il 24 novembre 1934 la Grande Assemblea Nazionale attribuiva ufficialmente a Kemal come cognome quello di Atatürk, Padre dei Turchi. Parallelamente,cresceva l’attenzione verso le tematiche sociali, esaltate dal rapido arricchimento del paese e dal conseguente innalzamento del tenore di vita della popolazione. Nel 1936 era promulgato un Codice del Lavoro, che – tra l’altro – introduceva la domenica come giornata di riposo settimanale, in luogo del venerdì della tradizione islamica. Ultime riforme significative erano quelle di sapore totalitario del 1936-37: quella che attribuiva ai prefetti le segreterie provinciali del partito, e quella che modificava la carta costitu-zionale per accogliervi ufficialmente i postulati politici kemalisti. Così commentava la direzione del Partito Repubblicano del Popolo: «Il Go-verno ha il dovere di far proprie e di attuare le direttive del Partito, mentre questo ha il com-pito di assistere in ogni modo e con ogni mezzo il Governo. Lo Stato ha il timone della vita nazionale, il Partito la bussola.» Era un linguag-gio del tutto simile a quello che, negli stessi anni, echeggiava in Italia e in altre nazioni eu-ropee. Le scelte di politica interna, in ogni modo, non influivano minimamente sulle scelte di schieramento internazionale della Turchia kemalista, scelte improntate sempre e soltanto alla difesa dell’interesse nazionale. Così il nostro Amedeo Giannini (fra i massimi studiosi delle istituzioni internazionali del tempo) sintetizzava lo spirito della diplomazia di Kemal: «Con un gioco di equilibri e di audacie, sfruttando tutti i momenti propizi, è riuscito a creare una Turchia amica di tutti e di nessuno o, meglio, amica solo di sé stessa.» Ma il cammino della Turchia kemalista si interrompeva bruscamente il 10 novembre 1938, quando – all’improvviso – il Padre dei Turchi ve-niva a mancare. I suoi funerali erano imponenti, e testimoniavano un favore popolare autentico, assoluto, certamente ineguagliabile nella storia turca. M.Rallo -


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UNA DONNA NELLA LETTERATURA a cura di Andropos

Arwen

Da Il Signore degli Anelli: Il Ritorno del Re di J.R.R. Tolkien.

Come non parlare di una donna talmente bella e saggia e innamorata che quasi si fatica a credere sia esistita veramente? In effetti non solo non è esistita, ma in quanto personaggio di fantasia non possiamo nemmeno definirla realistica. Quello che è realistico invece è il suo sacrificio d'amore. Immaginate ora un angelo dai poteri divini che scende sulla Terra e s'innamora di un semplice uomo mortale, e di nascere in un mondo fantasy popolato da orchi e creature malvagie che tolgono ogni speranza di vivere un matrimonio sereno e duraturo; immaginate di visualizzare questo amore per via del vostro potere della preveggenza, che vi fa intuire la possibile nascita di un figlio dall’unione con quest’uomo. Insomma immaginate di non avere niente in mano che vi assicuri di vivere l’amore tanto desiderato, e che per provare a viverlo dobbiate rinunciare alla vostra immortalità e alla possibilità di tornare in paradiso. Ecco Arwen è tutto questo: una Elfa disposta a tutto pur di vivere il sogno romantico e cavalleresco della storia d’amore. Un personaggio illusorio che però incarna pienamente la visione romantica dell’amore che molte donne fin da ragazzine sperano di provare una volta nella vita. Sognatrice. Arwen era la figlia più giovane di Elrond e Celebrían; i suoi fratelli maggiori erano i gemelli Elladan e Elrohir. Si dice reincarnasse le sembianze di Lúthien Tinuviel, e fu chiamata Undómiel, poiché era la Stella del Vespro del suo popolo. Come è narrato ne "La Storia di Aragorn e Arwen", che si trova nell'Appendice A de Il Signore degli Anelli (dopo il terzo volume, Il ritorno del re), quando Aragorn aveva vent'anni incontrò Arwen per la prima volta a Gran Burrone, dove egli viveva sotto la protezione di Elrond. Arwen, che allora aveva oltre 2700 anni, era recentemente ritornata alla casa di suo padre, dopo aver vissuto per un po' con sua nonna Galadriel a Lórien. Aragorn s'innamorò di Arwen a prima vista. Circa trent'anni dopo, i due si ritrovarono a Lórien; quella volta, Arwen ricambiò l'amore di Aragorn; allora "si giurarono eterna fedeltà" sulla collina di Cerin Amroth. Nella Compagnia dell'Anello, Arwen viene descritta come una graziosa dama estremamente rassomigliante al padre Elrond, dal portamento regale e

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uno sguardo trapelante riflessione e saggezza, apprese col passare degli anni. Ha una carnagione bianca e vellutata e i suoi capelli sono di un nero corvino; nel suo volto limpido risplendono due occhi grigi, prerogativa della razza Elfica. Quando Frodo Baggins la vede per la prima volta a Gran Burrone, Arwen porta una cuffietta di pizzo argenteo ricamata con pietre preziose e scintillanti, e indossa una veste di un grigio pallido senza alcun ornamento all'infuori di una cinta di foglie intrecciante con fili d'argento. Nel suo primo incontro con Elessar, avvenuto anch'esso a Gran Burrone, ella veste abiti simili a quelli in-dossati anni prima nel Beleriand da Lúthien Tinu-viel: un manto argento e azzurro. Arwen porta con sé la Stella del Vespro: una gemma bianca come una stella che pende sul suo petto da una catena d'argento. Tale gioiello viene donato a Frodo Baggins in memoria dell'amicizia di Re Aragorn e Dama Arwen con lo Hobbit prima della loro separazione a Gran Burrone.

Γίγνωσκε καιρόν. Valuta il momento giusto!


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SOCIETA’ MORDI E FUGGI

Da qualche tempo l’impressione è che alla quelle parole si sono consumate. realtà che viviamo sovrapponiamo la trama di Come per il detenuto che non sa lavoun film, che però non è mai stato girato, dunque rare su di sé, ma persiste a giustificare e si tratta di sequenze prodotte dalla nostra disa- condannare gli altri delle proprie disfatte, bitudine a vedere le cose per quello che sono. anche per queste generazioni di guerrieri Nella scuola l’eroe da imitare non è quel ragaz- in erba, vi sarà la disperazione ad attenzo silenzioso dell’ultimo banco,quello che scri- derli al varco, e finchè si insisterà a racconve come il mio autore preferito,piuttosto è queltarne gli episodi in maniera ossessiva, da l’altro, che mette sotto il più debole con l’aiuto casa del “grande fratello”, il delirio contidegli altri, con metodo da lager o da gulag. Il gruppo è in marcia, batte i piedi, è diven- nuerà a investire i più giovani, quelli innatato assai più importante della famiglia, è fame- morati della messaggeria istantanea schizlico nel ricercare gli obiettivi, nell’individuare e zoide, dalla “roba” che fa bene, dalle nocche infrante. spezzare la fragilità del coetaneo di turno. Vincenzo ANDRAOUS Non è così semplice omologare una violenza, errata e inaccettabile, ma addirittura svestita di una qualunque “utilità”, quindi riottosa a qualsivoglia ridefinizione sociale. Sulla criminalità di piccolo cabotaggio, delle grandi organizzazioni, si conoscono anse e anfratti di quelle scelte dirompenti, i pochi si nascondono dietro i tanti per fare denaro, per delirio di onnipotenza. Ma di fronte a queste forme di incomprensibile distorsione umana, perché di vera e propria erosione intimistica si tratta, non è con la sola punizione esemplare, con la semplicizzazione della risposta penale, che si ripiana la follia di una fisicità comportamentale divenuta requisito primario per apparire, per essere riconosciuti all’esterno della propria carta di identità. Tolleranza zero, risposte dure, tutti pronti alla guerra di liberazione del terzo millennio, forse è questa la ricetta giusta, ma quale metodo educativo è approntato per riguadagnare il terreno perduto della buona vita, al disagio relazionale che investe l’intera società e non soltanto i più giovani? Gli adulti ben hanno da preoccuparsi, consegnando rese e tradimenti ai propri figli, quale stile di vita hanno trasmesso per fronteggiare la deriva del tutto e subito, la divinazione del mito della forza, della dialettica che mette in fila le parole, ma aiuta a distinguerne il senso, perché nel frattempo - 36 -


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CRISTINA FONTANELLI Cristina Fontanelli - è diventata una star conosciuta attraverso le sue registrazioni, le sue apparizioni in TV, radio, concerti, locali notturni e opere liriche e attraverso il suo debutto sulla televisione di rete. Tony Bennett e Crisitina Fontanelli sono apparsi come affiliati PBS-TV / NY per il "Live From Central Park" di Andrea Bocelli, anche con Celine Dion e Tony Bennett. Nel novembre del 2014 Cristina è stata scelta dal governo italiano come rappresentante mondiale della Puglia per cantare a Bari. La bella vo- l'Inno Nazionale di Capital Hill a Washington ce della soprano l’ha portata alla Casa Bianca, D.C. per la testimonianza del fashionicon Giorper festa del presidente Clinton, ma Cristina è gio Gucci; Apparire ogni anno a Feinsteins stata invitata ad aprire le cerimonie, al Bal- presso l'Hotel Regency; Cantando il buon lroom inaugurale di Stars and Stripes, per il compleanno a Mickey Rooney per la sua 90 ° presidente George W. Bush. Questo dopo il compleanno a Feinsteins (Donald Trump, Resuo Premio "Lifetime Achievement in the gis Philbin, Tony Bennett e altri presenti). Arts" dell'Ordine Figli d'Italia in America, co- Aprendo le cerimonie per il prestigioso Hamsì come era stato, in precedenza, con Pava- ptons Classic Horseshow; Onorando Connie Francis allo storico Breakers Hotel a Palm rotti.. Cristina è membro orgoglioso dei più im- Beach; Il National Arts Club NYC; Spettacoli portanti sindacati del settore dello spettacolo - a San Diego (con Giada DiLaurentis); Facendo SAG / AFTRA / EQUITY ed è stata citato il suo debutto fuori Broadway al teatro di St. come uno degli Accademici Americani delle Luke in "My Big Gay Italian Wedding"; Il Arti drammatiche più importanti, insie-me a Gala PBS a Times Square Discover e il suo 12 Robert Redford, Danny DeVito, Edward G. ° anniversario "Natale in Italia", che si è tenuto sabato 5 dicembre 2015. Robinson ed altri grandi. Cristina ha cantato a Gracie Mansion su L’artista ha cantato con la Palm Beach Opera, l'Opera del Cairo, l'Opera di Hong invito del sindaco Rudy Giuliani, Washington, Kong, la NY Grand Opera, la State Opera di DC per la National Italian American FoundaNew York e l'Opera dei Hamptons, nei ruoli tion (NIAF) e l'11 settembre Memorial presso di Tosca, La Boheme, Madame Butterfly, La l'Rockefeller Center dell'Imbasciata italiana, Traviata, così come i classici sinfonici come il Lincoln Center con stelle del Metropolitan Beetho-ven 9th. Alcuni dei popolari "giganti" Opera e della Waldorf-Astoria Per la Fondacon cui si è esibita sono Tony Bennett e Joel zione Citizens di Columbus che onora Franco Zeffirelli e Maestro Riccardo Muti. Ha visitato Gray. La signora Fontanelli è un'artista ospite il Medio Oriente ampiamente come "Ambacon molte prestigiose orchestre tra cui Boston sciatore d'Opera". La Sig.ra Fontanelli ha anPops e la Sinfonia di St. Louis che esibiscono che visitato come artista di concerti solisti nelnelle principali sale da concerto in tutta l'U.S. le principali sale da concerto in Giappone, Coe nel mondo, tra cui i Centri Lincoln e Ken- rea, Italia, Canada, Portorico e Stati Uniti. Ha nedy e le principali sale da concerto in tutto il ricevuto recensioni di rave per le sue abilità di intrattenimento del locale notturno,oltre al conFar East e il Canada. Ha completato tre tour mondiali con l'Or- certo classico e alle apparizioni operistiche. chestra Mantovani. Le apparizioni annuali e Numerosi i suoi riconoscimenti. La Sig.ra Fonrecenti includono la festa di San Gennaro di tanelli parla fluentemente italiano e canta e inJimmy Kimmel a Hollywood, CA; Cantando trattiene in 8 lingue. (A cura di Franco Pastore) - 37 -


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